Visualizzazione post con etichetta lingua latina. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lingua latina. Mostra tutti i post

sabato 20 agosto 2022


LA MALA ORDINA 

Titolo originale: La mala ordina 
Titolo in inglese: The Italian Connection 
AKA: Manhunt in the City; Manhunt in Milan 
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Italia, Germania
Anno: 1972
Durata: 97 min
Rapporto: 1,66:1
Genere: Noir, thriller, gangster
Regia: Fernando Di Leo
Soggetto: Fernando Di Leo
Sceneggiatura: Fernando Di Leo, Augusto Finocchi,
     Ingo Hermes
Produttore: Armando Novelli, Ermanno Curti
Casa di produzione: Cineproduzioni Daunia 70, Dear Film
     Produzione, Hermes Synchron
Fotografia: Franco Villa
Montaggio: Amedeo Giomini
Musiche: Armando Trovajoli
Scenografia: Francesco Cuppini
Costumi: Francesco Cuppini 
Trucco: Antonio Mura 
Supervisore alla produzione: Luciano Appignani, 
    Vincenzo Salviani 
Direttore di produzione: Lanfranco Ceccarelli 
Reparto artistico: Tino Avelli, C. Sormani 
Reparto sonoro: Goffredo Salvatori 
Effetti speciali: Basilio Patrizi  
Guardaroba: Alain Reynaud 
Reparto editoriale: Ornella Chistolini  
Continuità: Vivalda Vigorelli 
Interpreti e personaggi: 
    Mario Adorf: Luca Canali
    Henry Silva: David Catania
    Woody Strode: Frank Webster
    Adolfo Celi: Don Vito Tressoldi
    Luciana Paluzzi: Eva Lalli
    Cyril Cusack: Corso
    Franco Fabrizi: Enrico
    Sylva Koscina: Lucia Canali 
    Laura Wendel: Rita Canali
    Francesca Romana Coluzzi: Trini
    Femi Benussi: Anna*
    Peter Berling: Damiano
    Giuseppe Castellano: Piero Panunzio
    Giuliano Petrelli: Francesco
    Domenico Cianfriglia: Gustavino
    Pasquale Fasciano: Dog
    Giovanni Cianfriglia: Peppiniello
    Gianni Macchia: Nicola
    Jessica Dublin: Miss Kenneth
    Empedocle Buzzanca: Vice di Don Vito
    Omero Capanna: Scagnozzo di Don Vito
    Ulli Lommel: Guardiaspalle in corridoio 
    Renato Zero: Hippy con la bombetta
    Franca Sciutto: Ballerina
    Sergio Ammirata: Carlo, il cameriere sodomita 
    Ettore Geri: Barista della discoteca  
    Andrea Scotti: Garo 
    Vittorio Fanfoni 
    Franca Sciutto 
    Pietro Ceccarelli: Scagnozzo di Don Vito 
    Alberto Fogliani: Scagnozzo di Don Vito in garage 
    Enrico Chiappafreddo: Scagnozzo di Don Vito con Nicola  
    Sergio Ammirata: Carlo 
    Lanfranco Ceccarelli: Insegnante di scuola 
    Liliana Chiari: Prostituta 
    Guerrino Crivelli: Barista 
    Fernando Di Leo: Passante 
    Lina Franchi: Prostituta 
    Claudio Morabito: Delinquente 
    Martina Orlop: Ballerina bionda in topless 
    Virgilio Ponti: Pappone 
    Giuliana Ruffini: Prostituta 
    Clemente Ukmar: Barone 
    Mira Vidotto: Prostituta 
    *Nella versione in inglese è Nana, ma nel film in italiano
    si sente in modo nitidissimo Anna
Doppiatori originali:
    Stefano Satta Flores: Luca Canali
    Sandro Iovino: David Catania
    Bruno Alessandro: Frank Webster
    Antonio Guidi: Don Vito Tressoldi
    Noemi Gifuni: Eva Lalli
    Gabriella Genta: Lucia Canali
    Ludovica Modugno: Trini
    Gino Donato: Damiano
    Giorgio Piazza: Corso 
Titolo provvisorio: Ordini dall'altro mondo 
Titoli in altre lingue: 
   Tedesco: Der Mafia-Boss - Sie töten wie Schakale 
   Francese: L'Empire du crime 
   Spagnolo (Spagna): Nuestro hombre en Milán 
   Lituano: Žmogaus medžioklė 
   Russo: Охота на человека 
   Serbo: Po naređenju podzemlja 
   Turco: Gangsterler çarpışıyor 
   Giapponese: 皆殺しハンター (Mina-goroshi Hanta) 

Trama: 
Primi anni '70. Milano brutale e corrotta, ma illuminata da un pallido sole primaverile. Due sicari, l'inespressivo Dave Catania e il colossale mandingo Frank Webster, vengono inviati da New York a Milano dal loro boss Corso, con la missione di trovare e uccidere Luca Canali, un piccolo magnaccia accusato di aver sottratto un carico di eroina della mafia. Il locale boss mafioso Don Vito Tressoldi è sconvolta dall'intrusione degli americani nel suo territorio, ma è costretto a stare al gioco dando ordine di consegnare loro Canali. Schiera così una rete di spie e informatori in tutta la città per trovarlo, ma questi riesce a eludere tutti per un pelo. Per il pappone ha inizio una precipitosa fuga, anche se i suoi stessi amici si rivoltano contro di lui. Tra questi, uno strano sodomita biondiccio, che cerca di consegnarlo ai picciotti.  
Si scopre che il carico di droga è stato effettivamente rubato da Don Vito, che ha provveduto a incastrare Canali, scegliendolo perché è un "pesce piccolo", dotato di bassa "statura criminale". A un certo punto il boss maligno ricorre all'uccisione della moglie e della figlia di Canali per attirarlo allo scoperto. Infuriato, Canali scatena una violenta vendetta contro la mafia, facendo fuori i membri della gang e infine uccidendo lo stesso Don Vito con una revolverata nel cuore, nel suo stesso ufficio. Si tratta di una vera e propria esecuzione: il boss ammette di essersi gravemente sbagliato sulla "statura criminale" di Canali e sulle sue capacità. Così, capendo di aver perduto il suo "onore", chiede di essere soppresso.  
Canali conduce Catania e il mandingo gigantesco, Webster, a uno scontro finale in uno squallidissimo cantiere di demolizione di automobili, dove riesce a ucciderli entrambi, pur rimanendo gravemente ferito nella lotta. Esausto, Canali crolla sul posto di guida di un mezzo d'opera dotato di artigli meccanici, lasciando il finale ambiguo, senza che lo spettatore possa capire se riuscirà a sopravvivere o se le sue ferite sono mortali. 


Recensione: 
Questo film è il secondo capitolo della cosiddetta Trilogia del milieu del regista Di Leo, dopo Milano calibro 9 (1972) e seguito da Il boss (1973), quest'ultimo ambientato in una Palermo anomala, perennemente notturna.   
Il soggetto de La mala ordina è stato tratto dalla raccolta di racconti noir Milano calibro 9 dello scrittore e giornalista di origine ucraina Giorgio Scerbanenco. In particolare, si riconosce facilmente la trama del racconto Milan by Calibro 9
"David e Frank Drewer, killer americani, si recano a Milano per uccidere Giordano, un malavitoso locale. Guidati per i locali della città da una ragazza di nome Francesca, i due killer portano a termine il loro incarico."
(Fonte: Wikipedia) 
Potente, adrenalinico, pervaso in ogni fibra dal profondissimo nichilismo antropologico che costituisce una caratteristica fondante dell'opera di Fernando Di Leo. Il mondo è come una massa di cibo attaccato e corrotto dai bruchi delle tarme: non si trova nemmeno una sua particella che non sia contaminata dall'oscena masticazione dei parassiti e dai loro escrementi! 
Superlativo il grandissimo Mario Adorf! In lui agisce la Forza della Sopravvivenza, che è qualcosa di inenarrabile nella sua coercizione. Egli, colpito da fati avversi, vorrebbe porre fine al tormento degli eventi, ma non gli è concesso di fermarsi neppure per un attimo, pena la morte! Così, tesissimo come un cavo di fibre d'acciaio, diventa una spaventosa macchina di guerra e di morte. L'eroismo entra nelle sue membra e gli permette di aver ragione dei suoi nemici, seppur a carissimo prezzo!  
Ottimo anche Adolfo Celi nel ruolo del Padrino, con quel faccione sardonico e quegli occhi cerulei da cui irradia l'Abisso del Male! Mefistofele ha presieduto alla nascita del personaggio, assieme a tutti i Demoni del Gran Consiglio dell'Inferno!  
Henry Silva è un corpo senz'anima, una specie di golem. Non si scorge alcuna luce nei suoi occhi incapaci di qualsiasi minimo movimento! Agisce spinto da una volontà demoniaca, eseguendo con membra zombesche i comandi che giungono dall'Oltre. 
Il mandingo Woody Strove è reso ancora più odioso dal suo salutismo fanatico, che lo spinge a rifiutare anche una singola goccia di alcol. Parafrasando il Sommo Lovecraft, le sue braccia sono vere e proprie zampe anteriori! Le sue mani sono macine in grado di stritolare. 
Sylva Koscina, è splendida e ha un portamento nobilissimo, anche se mi sembra un po' afflittiva, forse per via del suo ruolo di ex moglie. Terribile la scena in cui viene investita e uccisa assieme alla figlia - una scena che dovrebbe far riflettere chi si culla nell'illusione di una mafia che non uccide donne e bambini. 
Eva Paluzzi è una bellissima fulva, ma trovo il suo personaggio troppo passivo, troppo remissivo. Purtroppo fa una brutta fine, come un agnello sacrificale condotto allo scannatoio. 
Francesca Romana Coluzzi interpreta la contestatrice pasionaria, oltre che zoccolona, che fa la sua bella figura con la parrucca azzurra. A un certo punto dice: "Il negro mi piaceva, mi era venuto di farmelo, ma il bianco proprio no, non mi piaceva". Già solo per via di un mandingo chiamato "negro", sarebbero capaci di censurare il film!
Femi Benussi è molto convincente nel ruolo della fallofora  esuberante e aggressiva, dalla marcata cantilena napoletana.
Compaiono i soliti intensi flussi di pubblicità occulta (in realtà molto esplicita), tanto che vari produttori di liquori, come il whisky J&B e il vermut Punt e Mes, andrebbero accreditati nei dati tecnici assieme ad Armando Novelli e a Ermanno Curti. 


Produzione

Dato che nel cast c'erano almeno tre nazionalità diverse (italiana, tedesca, americana), i dialoghi sul set per la maggior parte delle riprese erano in inglese. Questo è ovvio se si guarda il doppiaggio in lingua inglese; i dialoghi si sincronizzano con le labbra degli attori nella maggior parte delle scene, mentre non lo fanno nelle versioni italiana e tedesca. Per avere un'idea delle parti non in inglese, si rimanda nel seguito all'espressività della prostituta crespa Anna! 

Strane comparse 

In mezzo alla fauna notturna si nota di sfuggita, vestito da Figlio dei Fiori con la bombetta in testa, il famoso Renato Zero. In tutto, questo personaggio controverso è comparso in nove film, dal 1967 al 1979.  

Ulli Lommel, l'attore e regista tedesco noto per le sue collaborazioni con Rainer Werner Fassbinder, appare come comparsa. È un individuo bizzarro con una fisionomia dura e patibolare, che non sfigurerebbe nel mondo dei gorilla e dei gangster. Tra le altre cose, ha diretto La tenerezza del lupo (Die Zärtlichkeit der Wölfe, 1973), incentrato sul serial killer pederasta e cannibale Fritz Haarmann, sorpannominato "Il macellario di Hannover", clinicamente affetto da vampirismo (sindrome di Renfield): ha ucciso alcune vittime recidendo loro la carotide con un morso! 

Un caratteristico insulto napoletano 

Una delle puttane gestite da Luca Canali, delusa, gli urla: "Vaffambocca!" In pratica si augura che il grosso magnaccia sia irrumato da un fallo. L'esclamazione "vaffambocca" (ossia "vai a fare in bocca") è in tutto e per tutto parallela al più noto "vaffanculo" (ossia "vai a fare in culo"). L'origine è dal napoletano 'afammocc, usato molto di frequente in frasi brutali come "'afammocc a chi t'è mmuort, 'afangul a chi t'è strammuort".
Trovo strano che questo insulto non sembri essere molto diffuso al di fuori della Campania. Tutte le sue (rarissime) attestazioni in cui mi sono imbattuto nel mondo della Settima Arte, sono riconducibili a personaggi napoletani. In un film con l'eroico Tomas Milian, non ricordo bene quale, un brigadiere partenopeo apostrofava così un agente veneto biondiccio: "Vaffambocca, Ballarin, tu e l'anima r'o ricchione ca sì". Non è facile ricostruire i dettagli: avvengono distorsioni nei miei banchi di memoria stagnante, ma la sostanza è proprio quella da me riportata! Ai nostri giorni, simili sequenze non potrebbero più essere girate: il politically correct lo impedirebbe sul nascere!  
Mi stupisce enormemente che non si sia diffusa dovunque in Italia l'usanza di dire "vaffambocca" e che la sua applicazione sembri essere riferita soltanto a persone di sesso maschile - quando sappiamo bene che sarebbe più idonea riferita alle zoccole. La crespa prostituta Anna, si guadagnava il pane proprio facendo in bocca, poi apostrofava il suo pappa, che tutto sommato era incredibilmente civile e gentile: nella Milano degli inizi XXI secolo sarebbe stata massacrata a zampate! 


Di Leo e Tarantino 

Anche a costo di finire linciato dal pubblico, dirò senza esitazione che detesto vivamente Quentin Tarantino e le sue opere. A pelle mi dà l'impressione di un personaggio untuoso e turpe. Spiace avere in comune con lui la passione per le pellicole di Fernando Di Leo! È appurato che i due gangster Catania e Webster hanno dato l'ispirazione per i protagonisti del tarantinesco Pulp Fiction (1994), interpretati da John Travolta e da Samuel L. Jackson. 

Tecnicamente non poliziesco

Una cosa salta subito all'occhio. In tutto il film sembra che non esistano Forze dell'Ordine. Ci sono sparatorie, inseguimenti, investimenti, scontri, violenze di ogni genere, eppure nessuno interviene. Si ha una sola menzione dell'esistenza di qualche autorità non appartenente al mondo criminale, quando un giovane freak trova il nerboruto lenone alla porta ed esclama: "C'è uno con la faccia da poliziotto!" Stando così le cose, non si potrebbe ascrivere quest'opera di Di Leo al genere poliziesco o poliziottesco. Eppure, nonostante questi dati di fatto di per sé innegabili, Tarantino ha definito La mala ordina "capolavoro assoluto del genere poliziesco". 

Un universo interconnesso 

Nel film scerbanenchiano Liberi, armati e pericolosi, diretto da Romolo Guerrieri (1976), si ha un esplicito riferimento a La mala ordina. Il titolo della pellicola di Di Leo viene pronunziato a voce alta da uno dei tre protagonisti criminali e borghesi, mentre gli altri due uccidono i gangster in un'autodemolizione. 


Origine e diffusione del cognome Canali 

Dal modo di parlare, si capisce all'istante che Luca Canali è siciliano doc: tipica cantilena, forme pronominali come a mmia, a ttia, ordine SOV della frase e via discorrendo. Eppure al Sud il cognome Canali è rarissimo. È particolarmente diffuso in Lombardia, in Emilia-Romagna e nel Lazio. Certo, il simpatico pappone potrebbe aver preso il cognome dalla madre, che sarà stata del Nord. In fondo anche l'attore, Mario Adorf, che ha padre calabrese e madre tedesca, si trova in una situazione abbastanza simile. Oppure sarà stato proprio il padre a trasmettere a Luca Canali un cognome raro nella sua terra d'origine?   
Per quanto riguarda l'etimologia del cognome, il sito Cognomix riporta quanto segue:
"Dovrebbe derivare, direttamente o tramite una modificazione dialettale, da toponimi quali Canale (TR) - (CN) - (AV) - (BL) - (GE) - (RM) - (TN) - (BO), o dal fatto che la famiglia abitava in prossimità o sulle rive di un canale." 
Questa è la mappa di diffusione per regione: 


Alcune note sul cognome Catania

Mentre il ben noto toponimo siciliano è pronunciato Catània, con l'accento sulla seconda sillaba, il cognome che ne è derivato è pronunciato Catanìa, con l'accento sulla -i-. A prima vista non è facile trovare una chiara spiegazione del curioso fenomeno, anche se non è un caso unico. Ad esempio il cognome siciliano Troja è pronunciato Troìa, anche qui con l'accento sulla -i-. Con ogni probabilità questa inconsueta posizione dell'accanto si deve ad influenza greca. Così il toponimo Kατάνη (Katánē), di origine sicula (dovrebbe significare "grattugia") e pronunciato in epoca bizantina /ka'tani:/, che ha dato direttamente il cognome Catani, è stato adattato in romanzo come Catània, quindi è tornato in greco per effetto boomerang, dando Catanìa, da cui l'omonimo cognome. In latino il toponimo era Catĭna, con la -i- breve e l'accento sulla prima sillaba: /'katina/. Non può aver dato i cognomi di cui ci stiamo occupando. Nemmeno l'arabo è una sorgente plausibile: la città era chiamata Qutāna, ma sono attestate le denominazioni Madīnat-al-fīl "Città dell'elefante" e Balad-al-fīl "Territorio dell'elefante".  


Critica

Mi sono divertito ad assemblare un ricco cut-up raccolto dal sito Il Davinotti. Ne raccomando la lettura.
"Scattante, iperviolento, con una sceneggiatura stringente e un cast di facce da duri, su cui giganteggia un ottimo Adorf, prima piccolo malavitoso smarrito in un gioco più grande di lui, poi implacabile nella sua vendetta"
"Ottima la prova del cast (specie del bravo Mario Adorf), così come la colonna sonora" 
"Musiche di Trovatoli (sic) che si fondono efficacemente con le immagini"
"Adorfiano ed alterno"
"L'inizio è lento ma il film ingrana poco a poco, regalando una seconda parte davvero adrenalinica e mozzafiato"
"Altro potente capitolo del noir italiano, che rispetto a MC9 appare meno cupo e tragico e più essenziale, lineare ed immediato"
"Inferiore al bellissimo Milano calibro 9, anche se ne segue lo stile" 
"Tra i migliori esempi di film di genere italiano, ed ottimo esempio di noir, è anche una delle opere migliori di Fernando Di Leo"
"Bel noir di Di Leo, non all'altezza degli immortali Milano calibro 9 o Il boss, ma comunque buono" 
"Inizio con luci e ombre, parte centrale bella carica per merito di Adorf, finale abbastanza banale" 
"Molto convincente Mario Adorf, nel ruolo di un pappone milanese un po' sbruffone, che viene incastrato dal boss locale" 
"Noir criminale nel quale i pesci grossi vengono sconfitti dalla voglia di vivere di uno rimasto incastrato" 
"Straordinario quadro al contempo pop e verista, ritratto d'ambiente e saggio sulla violenza cinematografica"
"Bravo il protagonista a costruire il personaggio, che da omuncolo dalla lingua lunga si trasforma in vendicatore, quando viene attaccato negli affetti più cari. Nessuna morale. Il boss difenderà nome e credibilità a tutti i costi" 
"Pietra miliare dileiana, liberamente tratta dalla vena noir di Scerbanenco, qui con un "uomo di casino" braccato come nelle più sadiche delle cacce all'uomo"
"Finale memorabile" 
"Morti a non finire in questo boss-movie che dagli Usa muove i suoi tentacoli a Milano alla ricerca di un malandrino da poco"
"Scabro e prototipico"
"il film ancora spaura e avvince per la sua intrinseca natura di fumetto metafisico che trascende tutti i suoi singoli elementi (alcuni dei quali evidentemente dissonanti o persin pressapochisti - leggasi i dialoghi minimali) in un ensemble iconografico che rende sacro il profano e viceversa" 
"A tratti sembra anche meglio di Mc9, ma nel complesso è meno secco" 
"Grezzo, trucido, spietato ma simpatico" 
"Secondo capitolo della cosiddetta trilogia del milieu. È il più debole dei tre ma raggiunge comunque vette di potenza notevoli per il genere criminale all'italiana"
"Di Leo, autore anche del soggetto, è bravo nel descrivere con cura la disperata deriva di un uomo finito in un ingranaggio più grosso di lui"
"Luca Canali è fisiognomicamente animalesco" 
"Un noir... zoomorfo!"
"Al di là del surplus di spot poco occulti (ma questo sappiamo che accadeva a tantissimi film italiani dell'epoca) e di alcuni dialoghi un po' ambigui nonchè di alcune scazzottate che nulla han da invidiare ai film di Bud Spencer, sono anche tante le cose notevoli" 
"Tenuto in piedi da un Adorf come sempre grande e sottovalutato" 
"Le musiche e i continui effetti sonori, dovuti agli scontri tra gli scagnozzi, sono inseriti sempre al punto giusto e non sfociano mai nel banale" 
"Alla cieca furia vendicatrice del protagonista, spesso mostrata con una spietatezza unica, si affianca il lato "debole" della persona con i suoi affetti familiari" 
"Livido, violento, spietato, degno di autori di fama mondiale come Don Siegel e Melville. Sceneggiatura tesa e vibrante" 
"ritmo che decolla lentamente ma che poi vola fino a quota diecimila" 
"A rivederlo oggi ci si accorge quanto sia invecchiato ben poco e di come rimanga piacevolissima la visione: merito di una trama molto semplice, efficace anche per questo"
"Di Leo non si differenzia di molto dagli altri registi del genere di quel periodo. Violenza allo stato puro. Personaggi intelligenti ed originali, ma forse cade un po' nella storia" 
"Erculeo e sanguigno Adorf" 
"Viscerale, crudo, violento" 
"Dopo la superba interpretazione del Rocco Musco di Milano calibro 9 Di Leo promuove Adorf come protagonista assoluto e gli cuce addosso un ruolo perfetto" 
"Raoul Montalbani, Ugo Piazza, Luca Canali, ecc.. ecc... Tutti nomi rimasti nel mito del cinema di genere gangsteristico italiano anni '70; nomi che, anche oggi, i ragazzi delle nuove generazioni ricordano"
"Da vedere e rivedere!" 

venerdì 8 aprile 2022


LA CARTA DI LARMENIUS E IL PROBLEMA DELLA CONTINUITÀ OCCULTA DEL TEMPIO 

Sfogliando un dizionario che riporta molte informazioni su società occultiste di ogni genere (Greer, 2008), mi sono imbattuto nella voce Johannes Marcus Larmenius. Su questo argomento l'utile volume riporta quanto segue:  

Secondo le tradizioni elaborate nei circoli massonici francesi di inizio Ottocento, Larmenius, un Cavaliere Templare, fu segretamente nominato Gran Maestro dell'Ordine nel 1314 da Jacques de Molay, l'ultimo Gran Maestro storicamente riconosciuto. 

Larmenius presumibilmente scrisse e trasmise ai suoi successori un documento, la Carta di Trasmissione, che concedeva loro i poteri di Gran Maestro dei Templari. La Carta emerse nel 1804 nelle mani di Bernard Favré-Palaprat, un massone francese, che la utilizzò come base per un ordine templare rinnovato. 

La Carta di Trasmissione è stata esaminata da esperti ed è chiaramente ritenuta essere un falso settecentesco, anche se l'identità del falsificatore non è in alcun modo certa. La Carta è l'unico documento in cui viene citato il cavaliere templare chiamato Johannes Marcus Larmenius, e le prove suggeriscono in modo definitivo che lo stesso Fabré-Palaprat, o il falsificatore da cui ottenne il documento, semplicemente si inventarono di sana pianta la figura di Larmenius. Fatto questo non inusuale nella creazione di storie sulle origini di società segrete. 

(Dal Dizionario Enciclopedico dei Misteri e dei Segreti, di John Michael Greer, pag. 306, edito da Mondadori) 

Il nome di questo misterioso personaggio di pura finzione è in realtà un appellativo derivato da una sua presunta origine armena: è infatti nota anche la variante Jean-Marc de l'Armenie. La forma Larmenius contenuta nel manoscritto implicherebbe un'agglutinazione dell'articolo francese, cosa un po' strana, dal momento che un autore del XIV secolo avrebbe piuttosto usato forme come Armenus o Armeniacus (una variante della seconda in effetti ricorre nella Carta, ma è riferita a due personaggi diversi e forse sta per D'Armagnac). Larmenius è descritto come nato in Palestina da genitori cristiani la cui origine ultima, armena o meno, non è precisata. 

Questo è l'inizio della Carta di Trasmissione, scritta in un latino ineccepibile al punto da sembrare libresco e sospetto: 

"Ego frater Johannes Marcus Larmenius, hierosolymitanus, Dei gratia et secretissimo venerandi santissimisque martyris supremi Templi militiae magistri (cui honos et gloria) decreto, communi fratrum concilio confirmato, super universum Templi ordinem, summo et supremo magisterio insignitus, singulis has decretales litteras visuris, Salutem! Salutem! Salutem! .........Fiat sicut dixi. Fiat! Amen! Ego Johannes-Marcus Larmenius, dedi die decima tertia februari 1324." 

Consultando documenti dell'epoca alla quale la Carta è ascritta dai sostenitori della sua autenticità, troviamo tutta una varietà di  forme bizzarre e sgrammaticate, che spesso ripugnano a chi ha studiato il latino a scuola (ad esempio, molto spesso il dittongo -ae- è ridotto a -e-, compare -y- dove dovrebbe esserci -i- e viceversa, a volte manca la h-, ecc.). 

Il documento contiene una lista di tutti coloro che avrebbero nei secoli ricoperto la carica occulta di Gran Maestro. Johannes Marcus Larmenius avrebbe ricoperto il suo incarico fino al 1324, quindi avrebbe scelto come successore Franciscus Theobaldus (da altri è riportato come Thomas Theobald), che avrebbe retto il Priorato di Alessandria fino al 1340. A questi sarebbero succeduti Arnaud de Braque (1340-1349), Jean de Claremont (1349-1357), Bertrand de Guesclin (1357-1381), Bertrand Arminiacus (1381-1392), Jean Arminiacus (1419-1451),
Jean de Croy (1451-1472), Bernard Imbault (1472-1478), Robert Leononcourt (1478-1497),  Galeatius de Salazar (1497-1516), Phillippe Chabot (1516-1544), Gaspard de Galtiaco Tavanensis (1544-1574), Henri de Montmorency (1574-1615), Charles de Valois (1615-1651),  Jacques Ruxellius de Granceio (1651-1681), Jacques Henri Duc de Duras (1681-1705), Phillippe, Duc d'Orleans (1705-1724), Louis Augustus Bourbon (1724-1737), Louis Henri Bourbon Conde (1737-1741), Louis-Francois Bourbon Conti (1741-1776), Louis-Hercule Timoleon, Duc de Cosse Brissac (1776-1792), Claude-Mathieu Radix de Chavillon (1792-1804), Bernard Raymond Fabre Palaprat (1804-1838). 

Cosa possiamo dedurre da questa lista? Innanzitutto mi balza agli occhi un membro di una famiglia legata alla stirpe di Simon de Montfort, la cui moglie aveva il cognome De Montmorency. Un'altra cosa notevole è una lacuna nella successione tra Bertrand Arminiacus e Jean Arminiacus: il primo avrebbe dismesso il suo incarico nel 1392, e un successore sarebbe stato trovato solo nel 1419. A questo fatto non viene a quanto mi consta data alcuna spiegazione. Dulcis in fundo, la lista si conclude proprio con il nome del suo scopritore/autore!  

In alcuni siti massonici sono date forme lievemente diverse dei nominativi, e la trasmissione del titolo di Gran Maestro viene fatta continuare dopo Palaprat con nomi anglosassoni. 

A parer mio, la Carta di Trasmissione fu creata in risposta a una richiesta di nobilitazione delle origini della Massoneria, inizialmente fatta derivare dalle Gilde dei Muratori della Scozia (risalgono alla sua fase più antica le leggende sull'Architetto Hiram). Quando la società segreta fu importata nel continente, molti nobili sentirono con disgusto ogni connessione con una qualche forma di lavoro manuale. Fu così ideata la connessione all'Ordine dei Cavalieri Templari, sentito come la quintessenza del mistero per via delle orribili ed oscure circostanza della sua scomparsa. Non dimentichiamoci che non era estranea alle società segrete del XVIII secolo una dimensione goliardica (basti pensare alle inverosimili leggende dell'Ordine dei Gormogons). In seguito la goliardia degenerò in falso storico, e ancora oggi ci si imbatte abbastanza spesso in residui di questa attività di mistificazione. 

Le conseguenze a lungo termine del falso in questione si sono rivelate macroscopiche: è di certo in quella lista di pretesi Maestri Segreti l'origine dell'odierna pullulazione di associazioni neotemplari. 

venerdì 18 febbraio 2022


I CATARI DI REIMS

Una comunità dualista nella Champagne del XII secolo


Dal Chronicon Anglicanum di Ralph (Radulfo) di Coggeshall traggo un significativo brano in cui si parla dell'incontro tra alcuni rappresentanti della cultura egemone e due donne catare, avvenuto intorno al 1175 nei pressi dell'augusta città di Reims.

Ai tempi di Luigi, Re di Francia che generò Re Filippo, mentre l'errore di certi eretici, che sono chiamati Publicani in volgare, si stava diffondendo in molte delle province di Francia, una cosa portentosa avvene nella città di Reims in relazione a un'anziana donna infettata da quella piaga. Un giorno, mentre il Signore Guglielmo, arcivescovo di quella città e zio del Re Filippo, stava facendo una gita con i suoi chierici fuori della città, il Maestro Gervasio di Tilbury notò una ragazza che camminava da sola in una vigna. Spinto dalla curiosità di una gioventù dal sangue ardente, le si avvicinò, come più tardi sentimmo per sua bocca, quando egli era diventato un canonico. Egli la salutò e indagò attentamente di chi fosse la figlia, e cosa stesse facendo tutta sola in quel luogo; e poi, dopo aver contemplato per un po' la sua bellezza, le fece alla maniera dei cortigiani una proposta di amore lascivo. 

Lei fu molto imbarazzata e, rivolgendo gli occhi a terra, gli rispose con gesti semplici e una certa gravità: "Buon giovane, il Signore non desidera che io sia tua amica o amica di un qualsiasi uomo, perché se io dovessi perdere la mia verginità e se il mio corpo fosse sporcato anche una sola volta, sarei dannata in eterno senza alcuna speranza di porvi rimedio."

Come udì queste parole, il Signore Gervasio comprese all'istante che ella apparteneva alla più empia delle sette, quella dei Publicani, che a quel tempo venivano cercati dovunque per essere annientati, specialmente da Filippo, Conte delle Fiandre, che li perseguitava in modo spietato, con la giusta crudeltà. Alcuni di loro erano giunti in Inghilterra e furono catturati ad Oxford, dove per ordine del Re Enrico II vennero vergognosamente marchiati a fuoco sulla fronte con una chiave incandescente.


Mentre il suddetto chierico stava argomentando con la ragazza, cercando di dimostrare l'errore della sua risposta, l'Arcivescovo si avvicinò al corteo. Come apprese la causa della discussione, ordinò che la giovane fosse arrestata e portata con lui in città. Quando le si rivolse in presenza del suo clero e le citò molti passaggi scritturali e argomenti ragionati in modo da confutare i suoi errori, lei rispose che non aveva ancora appreso abbastanza per dimostrare la falsità degli argomenti presentati, ma ammise che aveva una maestra in città che avrebbe confutato facilmente le obiezioni di tutti.

Così, quando la ragazza ebbe rivelato il nome e la residenza della donna, essa fu immediatamente cercata e trovata, e convocata davanti all'Arcivescovo dai suoi ufficiali. Quando fu attaccata da tutti i lati dall'Arcivescovo stesso e dal clero con svariate domande e con testimonianze delle Sacre Scritture che avrebbero dovuto distruggere l'errore, tramite perverse interpretazioni ella alterò tutti i testi proposti, in modo tale che divenne evidente a tutti come lo Spirito di Tutti gli Errori parlasse per bocca sua.

Invero rispose facilmente a tutti i testi e le narrazioni che le venivano presentate, sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, a menadito, come se padroneggiasse la conoscenza di tutte le Scritture e fosse stata ben istruita a questo tipo di risposte, mescolando il falso al vero e facendosi beffa della vera interpretazione della nostra fede con una perspicacia perversa. Quindi, siccome fu impossibile richiamare le menti ostinate di queste due persone dagli errori delle loro vie per mezzo di minaccia o persuasione, o di un qualsiasi argomento o passaggio scritturale, esse furono messe in prigione fino al giorno seguente.

Al mattino furono richiamate alla corte arcivescovile, davanti all'Arcivescovo e a tutto il clero, e alla presenza della nobiltà, esse furono di nuovo messe di fronte a molte buone ragioni affinché rinunciassero al loro errore pubblicamente. Ma siccome non ammisero in alcun modo le salutari ammonizioni, persistendo testardamente nell'errore adottato, fu decretato all'unanimità che entrambe fossero consegnate alle fiamme.

Quando il fuoco ebbe illuminato la città e gli ufficiali si prepararono a trascinarle alla punizione sentenziata, la signora dei vili errori esclamò: "O giudici stolti ed iniqui, pensate adesso di bruciarmi nelle vostre fiamme? Non temo il vostro giudizio, né tremo aspettando il fuoco!". Con queste parole, estrasse all'improvviso un gomitolo tratto dal suo seno e lo scaglò attraverso una grande finestra, afferrando l'estremità del filo con le mani: allora ad alta voce, udibile da tutti, esclamò: "prendetemi!", e fu sollevata da terra prima che gli occhi di tutti potessero seguire il gomitolo nel suo rapido volo, sostenuto - come crediamo - dal potere degli spiriti maligni che trasportarono Simon Mago nell'aria. Ciò che avvenne a quella donna malefica, o dove fu trasportata, gli astanti non poterono mai scoprirlo in alcun modo. 

Ma la ragazza non era ancora coinvolta così a fondo nella follia della setta; e, siccome era ancora presente, si sarebbe potuta salvare dalla testarda maledizione in cui si era imbarcata, ma non fu distolta né dalla ragione, dalla persuasione o dalla promessa di ricchezze. Così fu bruciata. Causò grande stupore in molti, perché non emise un solo sospiro, né una lacrima, né un gemito, ma sopportò l'intera agonia della combustione con fermezza e letizia, come una martire di Cristo.


Per comprendere meglio il contesto, occorre fare alcune precisazioni sui protagonisti di questa narrazione. Il sovrano di cui si parla in questa narrazione è Luigi VII, detto il Giovane. L'Arcivescovo Guglielmo di Reims (1176-1202) era il figlio del Conte Thibaud (Tebaldo) II di Champagne e lo zio di Filippo II di Francia. Anche il Maestro Gervasio è ben noto, anche se la maggior parte dei lettori certo non lo ha mai sentito nominare. Era inglese di nascita ma era un cosmopolita, come a quei tempi era la norma delle classi alte. Fu cresciuto a Roma e studiò legge all'università di Bologna. Servì svariati sovrani nella sua lunga esistenza, tra i quali Ottone IV e Guglielmo II di Sicilia.

All'epoca i Catari di Francia erano chiamati Publicani o Popelicani. Era questo uno dei molti nomi con cui erano conosciuti. Tra gli altri vanno menzionati Piphles (di origine oscura) e Tisserands, ossia Tessitori, dalla professione che molti di loro esercitavano. Il nome Publicani non allude ai funzionari incaricati di esigere le tasse nell'Impero Romano (i pubblicani), ma è chiaramente una deformazione del bulgaro Pavlikeni, ossia Pauliciani.

Le Chiese Catare più antiche furono stabilite dai Franchi che ebbero a lungo residenza in Bulgaria e a Costantinopoli. La formazione del Catarismo avvenne proprio nella terra che fu un tempo chiamata Tracia dai Romani, dall'incontro e dalla lunga convivenza di elementi manichei e marcioniti deportati a più riprese dall'Armenia. Le comunità della regione nota come Champagne (dal latino Campania) sono tra le prime di cui si abbia notizia nell'intero Occidente, e data la consistenza che già avevano nella seconda metà XII secolo, si pensa che il processo di formazione debba essere predatato al secolo precedente.

La cosa che più stupisce leggendo questi tristissimi fatti è già una sfida al buon senso comune di molti moderni: la figura del monaco libidinoso, un autentico sileno sbavante alla vista di una bella vergine, del tutto incapace di trattenere gli impulsi del suo basso ventre. Nonostante gli scandali sessuali di cui si ha notizia con cadenza quasi quotidiana, c'è una riluttanza nella maggior parte delle persone ad associare una condotta simile a chi indossa le vesti della Chiesa di Roma.

Non dimentichiamoci che tra quell'epoca torbida e i nostri giorni c'è di mezzo il Concilio di Trento, con la sua opera di moralizzazione esteriore dei corrotti costumi ecclesiastici. Nei secoli del Medioevo era del tutto normale il nicolaismo dei chierici. Moltissimi frati, preti e porporati avevano amanti, senza badare di certo ai limiti di età sanciti dalla legge odierna. Era molto comune che un uomo della Chiesa somministrasse comunioni oscene. Certo, la cosa accade anche oggi, e di questo abbiamo ampia testimonianza dai fatti di cronaca. Il punto è che nei secoli di cui stiamo trattando questi abusi erano ritenuti un diritto inalienabile ed esercitati alla luce del sole senza alcuna vergogna.

La Chiesa Romana incarnava la morale normativa,
e sanciva la divisione delle classi sociali come giusta e santa. Aveva la funzione di rendere legittimo l'arbitrio dei regnanti. Il contadino era ritenuto dal nobile poco più di una bestia. Se Catone il Censore definì lo schiavo "instrumentum vocale", per un porporato del XII il servo della gleba era un maiale dotato di favella. Pertanto una ragazza di bassa condizione sociale era soltanto materiale di soddisfacimento e poteva essere posseduta in tutti i modi possibili senza che potesse protestare. La sua volontà, le sue aspirazioni, la sua stessa morale, erano tutte cose irrilevanti. Quello che faceva scalpore nel lettore medievale non era quindi il comportamento del chierico, ma quello della fanciulla. La sua ribellione era ritenuta semplicemente inaudita!

I toni superstiziosi usati dal canonico di Coggeshall indicano la paura cieca verso una controcultura tenebrosa
che lentamente andava corrodendo le fondamenta della luminosa Città di Dio. Un male assoluto, verso cui non poteva esistere neppure un larvato tentativo di comprensione.

Compare anche il tema ormai familiare dell'identificazione forzata tra eresia e stregoneria, con conseguente attribuzione di portenti ai dissidenti religiosi. Ogni dottrina contraria all'interpretazione canonica delle Scritture veniva senza mezzi termini identificata con una grossolana forma di satanismo.

Sempre a proposito dei Catari della Champagne, il cronista di Coggeshall ci rivela che essi "credono che un angelo apostata, che chiamano Luzabel, presieda a tutta la creazione fisica..." Quello che all'inglese parve pazzia, è ora identificabile come uno dei capisaldi della teologia di Concorezzo, di diretta filiazione bogomila.

A dispetto della demonizzazione operata dalle classi alte, il pubblico ammirò la martire catara nella sua agonia tra le fiamme. A dispetto delle parole dei principi e dei preti, gli spettatori videro nella giovane quella purezza che non apparteneva alla religione dominante.

Questo sentimento è una chiara prova del terreno fertile che permise la crescita esponenziale dell'eterodossia, finché lo stato non si decise a chiedere l'aiuto del potere pontificio per compiere opere di sterminio.

Notevole è anche la menzione degli sfortunati Catari di Oxford, condannati da Enrico II ad essere marchiati a fuoco ed esposti a un inverno rigido senza poter indossare alcun abito. Siccome la popolazione li riteneva maledetti e non ammetteva alcun contatto con loro, essi non trovarono cibo e morirono assiderati. Un fatto atroce che è soltanto una delle tante prove dell'odio inestinguibile provato dagli Inglesi per la religione dualista. Anglo-francese era anche Simon de Montfort, il Conte di Leicester che condusse la funesta crociata contro gli Albigesi. In un luogo della sua opera, l'ormai anziano Gervasio di Tilbury ci narra l'ardita evocazione di un fantasma da parte di un prete. A detta sua, lo spettro avrebbe rivelato l'estrema gioia di Dio per il genocidio degli Albigesi e la condanna verso i cattolici che pur non aderendo all'eresia si erano mostrati tolleranti verso chi la professava.

Eppure il Catarismo sopravvisse anche in condizioni così ostili,
al punto di lasciare traccia di sé: è ben possibile che John Wycliffe fosse un discendente di Catari, visto che incorporò elementi bogomili nella sua dottrina. 

giovedì 10 febbraio 2022

EON DELLA STELLA

La storia di un Messia Bretone

Eudo (Eudes) nacque da una famiglia della nobiltà minore, nei pressi di Loudéac, in Bretagna. Si ignora l'anno della nascita, così come non si hanno notizie sulla prima parte della sua vita. Si sa che Eudo divenne un monaco degli Agostiniani, conducendo vita da anacoreta nella foresta di Brocéliande (Brecheliant in lingua bretone). Era quello un luogo considerato sacro dagli antichi Druidi e ricco di testimonianze di una civiltà megalitica anteriore all'arrivo dei Celti. Nel 1140, durante il regno di Conan III di Bretagna, ebbe la sua residenza in un'abbazia abbandonata, nel luogo conosciuto come Moinet. Tuttavia non rimase per lungo tempo in quel luogo. Secondo quanto ci è riportato da alcune fonti, mentre assisteva alla messa, udì nitidamente il prete dire "Per eum qui venturus est judicare vivos et mortuos", ossia ("per colui che verrà a giudicare i vivi e i morti", e riconobbe nella formula il suo nome, perché la pronuncia del prete avrebbe riprodotto la parola "eum" della liturgia come "Eon", essendo "Eon" (con la variante "Yun") la forma bretone di Eudo, Eudes. Altrove è invece riportata una versione del tutto diversa: egli avrebbe fatto un sogno soprannaturale. In questa rivelazione divina in cui gli sarebbe stato nominato Giudice Universale e gli sarebbe al contempo stato imposto di cambiare il suo nome in Eon. È possibile che in seguito all'episodio della messa, egli abbia avuto il sogno, la cui descrizione farebbe pensare all'uso di amanita muscaria, un fungo dagli intensi poteri allucinogeni. C'è anche chi pensa che queste narrazioni fossero null'altro che scherni e irrisioni da parte delle autorità ecclesiastiche, di cui è ben nota la strategia di negare l'intelligenza degli avversari per screditarli agli occhi delle genti. Quale che sia la verità dei fatti, ammesso che a distanza di tanto tempo sia ancora appurabile, dal momento della rivelazione il nobile bretone si fece chiamare Eon e si presentò come Profeta e Messia.

Correva l'anno 1145 quando si registrarono segni celesti, tra cui il passaggio di una cometa, in concomitanza alla morte del Pontefice Lucio II. Verosimilmente da questo evento, Eon prese il soprannome "de Stella" (in francese "de l'Étoile"). Nel Medioevo le comete erano ritenute portenti nefasti, che annunciavano la caduta dei potenti. Proprio in quell'anno
Eon cominciò a predicare nella foresta. Riscosse immediatamente molti consensi tra i poveri e gli oppressi, tanto che un folto gruppo di seguaci si riunì intorno a lui, costituendo il primo nucleo di una setta destinata ad accrescere rapidamente la propria popolarità. I tratti distintivi della nuova religione fondata da Eon erano improntati a un acceso messianismo: in modo simile al Cristo di Bourges di alcuni secoli prima, egli era ritenuto lo Spirito Santo incarnato e chiamato il Signore dei Signori, mentre i suoi seguaci erano Angeli e Apostoli. In quest'ottica, elesse una sua corte i cui membri si fregiavano di altisonanti appellativi: Giudizio, Saggezza, Conoscenza, etc. Mentre imperversava una carestia atroce in tutta la Bretagna, Eon predicava in nome di Cristo. Esaltava la vita ascetica e le virtù evangeliche contro le crapule e la dissolutezza degli ecclesiastici, che pensavano solo a rubare, a riempire i loro pingui ventri mentre il popolino moriva di fame e non aveva di che nutrire i proprii figli. I sacramenti della Chiesa Romana erano giudicati inefficaci, perché il Vangelo era stato tradito e usato come maschera dell'iniquità. Mentre altrove, a molte miglia di distanza, Bernardo di Chiaravalle si stava affannando per restaurare la dignità perduta e la parvenza di santità degli ordini monastici ormai decadenti, Eon della Stella era arrivato a giudicare i vivi e i morti. I toni delle sue prediche divennero sempre più esaltati e violenti, tanto che presto iniziarono i saccheggi delle proprietà della Chiesa di Roma. I granai furono svuotati, le chiese e i monasteri subirono razzia e devastazione. I tesori immensi dei monaci rapaci furono ridistribuiti al popolo. La fama di Eon si espanse, tanto che ci furono suoi seguaci in Normandia e persino in Guascogna. Si diceva che un alone luminoso lo circondasse e che avesse il potere di bilocarsi. Un grande paradosso si produsse a questo punto, perché le risorse sottratte servirono ad alimentare un grandissimo lusso tra Eon e i suoi seguaci, che finirono col vivere in modo altrettando dissoluto dei chierici da loro condannati a causa della mondanità. Se dobbiamo credere ai cronisti, mangiavano avidamente, vivevano tra mille eccessi, incarnando una contraddizione.

La reazione della Chiesa di Roma non poteva tardare. Ci fu un grande
clamore a proposito di quelle che fu chiamata Eresia Eonista, e il Pontefice, Eugenio III, la condannò nel Concilio di Reims. Era il 1148. Fu ordinato l'arresto di Eon, ma è riportato che i primi uomini inviati a catturarlo si convertirono, attratti dallo stile di vita stravagante che regnava alla corte del profeta bretone. Ci furono altri tentativi e alla fine Eon della Stella fu catturato dagli uomini dell'Arcivescovo Ugo di Ammiens, e portato in catene davanti al Sinodo presieduto dallo stesso Pontefice Eugenio III. Egli aveva con sé un ramo a forma di Y, e disse fieramente che lo avrebbe puntato verso il cielo se Dio avesse dovuto possedere due terzi del mondo e lui un terzo, mentre sarebbe stato il contrario se lo avesse puntato verso il basso. Il Concilio scoppiò a ridere fragorosamente di fronte a queste dichiarazioni. Quanto seguì non fu certo comico. Il prigioniero venne sottoposto a spaventose torture, nel tentativo di fargli ritrattare ogni cosa. Alla fine, dato che insisteva nel ritenersi lo Spirito Santo venuto a giudicare i vivi e i morti e il mondo nel fuoco, fu ritenuto del tutto insano di mente e condannato ad essere imprigionato a vita a pane e acqua. La Chiesa Romana affermò che si era riconciliato, pentendosi e ritrattando, in modo tale da togliere vigore ai suoi seguaci; non è facile stabilire cosa realmente avvenne, a parte il fatto che il condannato fu assegnato alla custodia dell'Arcivescovo Sansone di Reims e rinchiuso nell'Abbazia di Saint-Denis. Morì nel 1150, a causa delle privazioni e dei maltrattamenti. La sua organizzazione resisté con coraggio, e tutti i suoi membri furono catturati solo dopo molte difficoltà, in quanto si annidavano in luoghi impervi. A differenza del loro Messia, furono tutti riconosciuti sani di mente e condannati ad essere bruciati vivi sul rogo, dato che nessuno di loro rinnegò la propria religione.

Questo è il testo originale di Guglielmo di Neuburg che parla di Eudo
de Stella, tratto dalla Historia de Rerum Anglicarum: 

Eudo is dicebatur, natione Brito, agnomen habens de Stella, homo illileratus et idiota, ludificatione daemonum ita dementatus, ut, cum sermone Gallico Eon diceretur, ad suam personam pertinere crederet, quod in ecclesiasticis exorcismis dicitur, scilicet "per eum, qui venturis est judicare vivos et mortuos, et seculum per ignem." Ita plane fatuus, ut Eon et eum nesciret distinguere, ded supra modum stupenda caecitate crederet, se esse dominatorem et judicem vivorum et mortuorum. Etatque per diabolicas praestigias tam potens ad capiendas simplicium animas, ut - seductam sibi multitudinem aggregaret, quae tota illum tanquam dominum dominorum individue sequeretur. - Et interdum quidem mira velocitate per diversas provincias ferebatur: interdum vero morabatur cum suis omnibus in locis desertis et inviis, mosque instigante diabolo, erumpebat improvisusi, ecclesiarum maxime, ac monasteriorum infestator. Accedebant ad eum plerumque noti ejus et propinqui, erat enim non infimi generis; sive ut eum familiari ausu corriperent, sive ut quomodo se circa eum res haberet cautius explorarent. Videbatur autem esse circa eum ingens gloria, apparatus fastusque regius, et qui cum eo erant, sollicitudinis laborisque expertes, pretiose indui, splendide epulari, et in summa laetitia agere videbantur : in tantum ut plerique, qui ad corripiendum eum venerant, conspecta ejus non vera sed fantastica gloria, corrumperentur. Fiebant enim haec fantastice per daemones ; a quibus scilicet misera ilia multitudo, non veris et solidis, sed aeriis potius cibis in locis desertis alebatur. Nam, sicut postmodum per quosdam audivimus qui in ejus fuerant comitatu, eoque sublato tanquam agentes poenitentiam per orbem vagabantur, in promptu eis erant, quotiescunque volebant, panes, carnes, et pisces, et quique cibi lautiores. Verum quod iidem cibi non solidi sed aerii fuerunt, subministrantibus invisibiliter spiritibus aeris hujus, ad capiendas magis quam pascendas animas, hinc elucet, quod quantamcunque ex cibis illis repletionem modico ructu exinanitio sequebatur, tanta mox succedente esurie ut eosdem cibos illico repetere cogerentur. Quicunque autem forte ad eos accedens ex cibis eorum vel modicum gustasset, ex participatione mens daemoniorum mente mutata spurcissimae multitudini continuo adhierebat; et quicunque ab eis aliquid in qualibet specie.

Veniamo ora all'interpretazione di questa strana vicenda. Non pochi sono rimasti impressionati dall'assonanza tra il nome Eon e l'Eone gnostico, arrivando persino a supporre che nel monastero degli Agostiniani in cui era stato per breve tempo, il nobiluomo avesse avuto accesso ad antichi testi che descrivevano una qualche forma di Gnosticismo antico. Tuttavia egli è definito "analfabeta" da Guglielmo di Neuburg, e a quei tempi davvero in pochi sapevano scrivere, anche nella piccola aristocrazia. Se davvero egli fu incapace di leggere, crolla la possibilità che abbia potuto avere accesso a fonti antiche. Quello che appare evidente è la scarsità di influenze da parte del Dualismo, a parte la negazione della validità dei sacramenti della Chiesa di Roma e la condanna della sua mondanità. Ma queste caratteristiche erano all'epoca molto diffuse. I nomi dati ai ministri di Eon, Saggezza, Giudizio, Conoscenza, ricordano in effetti caratteri gnostici. Dall'analisi dei fatti, manca tuttavia il riscontro di una qualsiasi forma di anticosmismo e di dottrina di tipo gnostico. Anzi, l'esiguità del corpo dottrinale eonista è palese. Egli non era interessato a dispute filosofiche sull'origine dell'universo e sulla natura di Dio, a stabilire se Satana fosse a sua volta un Dio o una creatura, e così via. Tutto in lui era pratico, volto ad instaurare in concreto il Regno Millenario, una caratteristica tipica di una grande schiera di predicatori indipendenti e di visionari di ogni genere, dal Cristo di Bourges ad Adolf Hitler. L'opinione prevalente tra gli studiosi moderni è scettica a proposito di un qualsiasi nesso con tradizioni più antiche: nonostante la gran confusione delle fonti, è estremamente improbabile che Eon abbia qualcosa a che vedere con gli Eoni dei sistemi di Valentino e di Basilide.

domenica 6 febbraio 2022


IL MISTERO DEGLI ERETICI SARDI

Il millenarismo imperversava. Gli animi pii provavano un sincero terrore: l'avvicinarsi dell'Anno 1000 aveva riportato in vita le suggestioni apocalittiche del primo cristianesimo. In corrispondenza della data si temeva che sarebbe giunta la Fine dei Tempi. Anche quando l'Anno 1000 fu passato, il timore restava: molti credettero possibile che la data fatidica fosse invece il millenario della morte di Cristo anziché quello della sua nascita - ossia il 1033. Di quest'atmosfera ci dà testimonianza uno storico e cronista dell'epoca: Rodolfo il Glabro. Questo autore interpreta la comparsa di fermenti eterodossi come un segno dell'imminenza del Giudizio. Così egli scrive a questo proposito: 

Tutto ciò costituisce un presagio che ben si accorda con la profezia di Giovanni, là dove dice che Satana verrà liberato, e al termine di mille anni [uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra].

Tra i tanti eventi descritti come calamitosi, molti devono essere connessi alla comparsa di gruppi di Protocatari, riconducibili al Dualismo Bogomilo. È però da notare che alcuni casi sono di natura totalmente dissimile, come quello di Vilgardo da Ravenna (1), spiegabile piuttosto come un fermento neopagano nato tra i cultori delle lettere. Un fenomeno certo stravagante per il contesto dell'epoca, ma descritto tutto sommato nei particolari. Per contro un passo è ancora senza alcuna spiegazione soddisfacente:

Anche dalla Sardegna, isola dove gli eretici sempre abbondano, in quel tempo uscirono alcuni che andarono a traviare in parte la popolazione della Spagna: e finirono massacrati dai cattolici.

A cosa si riferisce Rodolfo il Glabro? Non sono riuscito a trovare in alcuna fonte altre allusioni a movimenti eterodossi in Sardegna. Il fatto, di per sé eccezionale, dovrebbe risalire al tardo X secolo, quindi prima della comparsa dei fermenti protocatari. Qual era la situazione religiosa della Sardegna dell'epoca in questione? Va notato che se ci fosse stata un'inveterata abbondanza di dissidenti religiosi, la cosa sarebbe dovuta emergere anche nelle opere di altri autori, anche se è probabile che la natura periferica di quel territorio spieghi almeno in parte questo silenzio.

Quando i Vandali giunsero ad occupare l'isola verso il 456, la cristianizzazione era abbastanza recente e non si era diffusa che nei centri costieri. I Vandali erano una popolazione appartenente al ramo rientale dei Germani, come i Goti e i Burgundi. Seguivano l'Arianesimo, ma essendo un'aristocrazia poco numerosa, la loro influenza religiosa sulle popolazioni sottomesse fu in pratica nulla. Avendo occupato anche l'Africa e perseguitandovi accanitamente il clero cattolico, utilizzarono la Sardegna come terra di esilio per i dissidenti. Accadde così che molti chierici della Chiesa di Roma furono confinati nell'isola.

Le lotte tra le diverse confessioni cristiane non toccarono la popolazione dell'interno. Questa regione era conosciuta come Barbaria, ossia come Terra Barbara (da cui Barbagia), perché i suoi abitanti non erano stati romanizzati. I Barbaricini, lontanamente imparentati con i Baschi, continuavano ad esprimersi in un idioma preindoeuropeo derivato dal nuragico, e adoravano gli idoli. Non c'è traccia di un singolo cristiano in quest'area prima dell'epoca di Gregorio Magno. Quando il dominio vandalico finì in Sardegna, nel 534, vi subentrarono i Bizantini. Papa Gregorio Magno scrisse nel maggio del 594 una lettera al barbaricino Ospitone, esprimendosi in questi termini:

"Gregorio ad Ospitone, capo dei Barbaricini.
Poiché nessuno della tua gente è Cristiano, per questo so che sei il migliore di tutto il tuo popolo: perché sei Cristiano. Mentre infatti tutti i Barbaricini vivono come animali insensati, non conoscono il vero Dio, adorano legni e pietre, tu, per il solo fatto che veneri il vero Dio, hai dimostrato quanto sei superiore a tutti.
Ma dovrai mettere in atto la Fede che hai accolto anche con le buone opere e con le parole, e al servizio di Cristo, in cui tu credi; dovrai impegnare la tua posizione di preminenza, conducendo a Lui quanti potrai, facendoli battezzare e ammonendoli a prediligere la vita eterna.
Se per caso tu stesso non potrai fare ciò perché sei occupato in altro, ti chiedo, salutandoti, di aiutare in tutti i modi gli uomini che abbiamo inviato lì, cioè il mio "fratello" e coepiscopo Felice e il mio "figlio" Ciriaco, servo di Dio consolatore, e di aiutarli nelle loro mansioni, di mostrare la tua devozione nel Signore onnipotente, e Lui stesso sia per te un aiuto nelle buone azioni come tu lo sarai per i servi consolatori in questa buona opera, e tramite loro ti mandiamo veramente la benedizione di San Pietro Apostolo, che ti chiedo di ricevere con buona disposizione d'animo."

Sembra che l'intento cristianizzatore di Gregorio si sia dimostrato fallimentare e che anzi il paganesimo abbia conosciuto una fase di espansione accompagnata da violente scorrerie ai danni delle popolazioni cristianizzate di lingua romanza.

Il dominio bizantino, limitato alle coste, portò nuove forme di culto cristiano, fino ad allora sconosciute. Alcuni residui di quest'epoca ancora permangono. Un tipico esempio è il culto di San Costantino (in sardo Santu Antine). L'Imperatore Costantino è ignorato dal martirologio romano, ma è considerato santo dalla Chiesa Ortodossa, che anzi gli attribuisce un singolare epiteto, chiamandolo Pari agli Apostoli.

Qualche autore ha pensato che Rodolfo il Glabro alludesse a forme di monachesimo greco-bizantino, che sarebbero state considerate eretiche (2). Ancora oggi qualcuno nei forum si chiede con stupore come mai i Sardi venererebbero Costantino se la Chiesa di Roma non lo considera santo.

Non è comunque possibile che il cronista facesse riferimento a questo. L'uso di termini come "eretici" o "traviare" alludono evidentemente a contenuti dottrinali e non a mere differenze formali.

Non è neppure possibile pensare che Rodolfo confondesse del tutto l'eresia con il paganesimo (3). Agli adoratori di pietre ed alberi non è mai interessato il proselitismo. Chi erano dunque questi dissidenti religiosi che veleggiarono fino alla Spagna? Questo è un vero mistero, e a differenza dei tanti falsi dei misteriologi non ha soluzione alcuna. Si potrebbe pensare a Bogomili radicatisi precocemente attraverso ambienti monastici bizantini. Non si trovano comunque prove a favore di questa interpretazione. Dai documenti emerge che la Barbagia era ancora pagana nel X secolo, e che la sua prima cristianizzazione avvenne soltanto nel XI secolo (4). A un certo punto le fonti ci dicono che i cristiani della Sardegna avevano nemici esterni, ossia i Saraceni, come nemici interni, ossia i Barbaricini pagani. Non è facile capire come in un contesto simile l'isola potesse essere registrare abbondanza di eretici.

La stessa ipotesi di una precoce influenza bogomila comporta difficoltà. Se corrispondesse al vero, nei secoli successivi l'isola avrebbe dovuto essere un territorio ben predisposto alla diffusione del Catarismo, che vi apparve invece solo in forma marginale. Verso la fine del XIII secolo la Chiesa di Roma organizzò una spedizione in Sardegna per cercare di snidare esuli Albigesi, ma non registrò a quanto pare alcun successo (5).

Interessante è infine notare quanto contrasti con il quadro descritto da Rodolfo il Glabro la faziosa affermazione del Vaticano
, secondo cui "la Sardegna non è mai stata terra di eresie; il suo popolo ha sempre manifestato filiale fedeltà a Cristo e alla Sede di Pietro". 

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/
homilies/2008/documents


Sarebbe tra l'altro bello disporre di una macchina del tempo e spedire tra i Barbaricini pagani chi ha scritto "Sì, cari amici, nel susseguirsi delle invasioni e delle dominazioni, la fede in Cristo è rimasta nell’anima delle vostre popolazioni come elemento costitutivo della vostra stessa identità sarda". 

Note: 
 
(1) Vilgardo era un grammatico di Ravenna, appassionato di studi classici, che in seguito a una visione di Virgilio, Orazio e Giovenale, si mise a predicare il ritorno all'antica religione di Roma, finendo sul rogo (fine X secolo). Di lui ci parla Rodolfo il Glabro.
(2) Benelli è particolarmente incline a considerare gli eretici Sardi come Bogomili detti Fundaiti; Duvernoy è incline poi a considerare il Bogomilismo come un esito diretto del monachesimo basiliano.
(3) Jones e Pennick (2013) sono di diversa opinione e attribuiscono a una forma attiva di culto pagano l'eresia menzionata da Rodolfo il Glabro. 
Melis (2010) è incline a considerare gli eretici della Sardegna come proseliti di Vilgardo, giunti dalla Penisola.
(4) Non si deve confondere il nicodemismo con la conversione. "Gregorio la informa di aver mandato nell'isola dei chierici per convertire i Barbaricini pagani e si lamenta del fatto che il giudice dell'isola (ab eodem insulae judice...) esigeva la tassa dovuta dagli idolatri per poter praticare la propria religione, anche da quelli che si erano già convertiti" (Fois, 1990). Altri dettagli sono riportati in Jones-Pennick (2013). Una testimonianza tardissima di persistenza dei Barbaricini nel paganesimo è una poesia di Fazio degli Uberti (1305 o 1309 - post 1367), che dell'isola aveva esperienza diretta. Nel Dittamondo è scritto: "Quel che sia Cresime, e Battesimo non sanno". Con superficialità, il mondo accademico ha liquidato questo verso come dovuta all'influenza della lettera a Ospitone.
(5) Lambert (2001).

venerdì 24 dicembre 2021


LA GRANDE ABBUFFATA 

Titolo originale (in francese): La Grande Bouffe 
Paese di produzione: Francia, Italia
Lingua: Italiano, francese
Anno: 1973
Durata: 132 min (versione originale)
     123 min (versione distribuita in commercio italiano)
     112 min (versione censurata)
Rapporto: 1,66:1
Genere: Grottesco, drammatico, erotico
Regia: Marco Ferreri
Soggetto: Marco Ferreri
Sceneggiatura: Marco Ferreri, Rafael Azcona, Francis
     Blanche (dialoghi)
Produttore: Edmondo Amati
Casa di produzione: Mara Films S.a.r.l. (Parigi),
     Capitolina Produzioni Cinematografiche S.r.l. (Roma)
Distribuzione in italiano: Fida Cinematografica
Fotografia: Mario Vulpiani
Montaggio: Amedeo Salfa, Claudine Merlin, Gina Pignier
Effetti speciali: Paul Trielli
Musiche: Philippe Sarde
Scenografia: Roger Jumeau, Michel Suné
Costumi: Gitt Magrini
Trucco: Alfonso Gola, Jacky Bouban
Interpreti e personaggi:
    Ugo Tognazzi: Ugo
    Marcello Mastroianni: Marcello
    Philippe Noiret: Philippe
    Michel Piccoli: Michel
    Andréa Ferréol: Andréa, la maestra
    Solange Blondeau: Danielle, prostituta
    Florence Giorgetti: Anne, prostituta lesbica
    Alexandre Michèle: Nicole, prostituta lesbica
    Monique Chaumette: Monique, moglie di Ugo
    Rita Scherrer: Anulka
    Henri Piccoli: Hector
    Bernard Menez: Pierre
    Louis Navarre: Braguti
    Cordelia Piccoli: Barbara
    Giuseppe Maffioli: Lo chef
    James Campbell: Zac
    Patricia Milochevich: Mini
    Mario Vulpiani: Il copilota
    Gérard Boucarou: L'autista
    Margaret Heneywell: Una hostess
    Annette Carducci: Una hostess
    Eva Simonnet: La segretaria
Doppiatori italiani:
    Pino Locchi: Michel
    Sergio Graziani: Philippe 
Titoli in altre lingue: 
   Inglese: The Great Feast 
   Tedesco: Das große Fressen
   Spagnolo: La gran comilona
   Russo: Большая жратва
   Finlandese: Suuri pamaus 
   Ungherese: A nagy zabálás 
   Greco (moderno): Το μεγάλο φαγοπότι 
   Giapponese: 最後の晩餐 (Saigo no bansan) 
Riconoscimenti: 
- Festival di Cannes 1973
- Premio FIPRESCI 


Trama: 
Quattro uomini stanchi di una vita sommamente noiosa e priva di appagamento, decidono di farla finita in un modo abbastanza inconsueto: intendono chiudersi in una villa fuori Parigi nel corso di un weekend, andando avanti a mangiare e a bere fino alla morte. Eccoli:   
   Ugo: è proprietario di un ristorante, "Le Biscuit à Soupe", oltre che un rinomato chef; la sua famiglia paterna è originaria di Carpugnino.
   Philippe: è un importante magistrato, un giudice scapolo, diabetico e pieno di complessi, che ancora vive con la balia, una donna massiccia come un armadio; la balia si occupa di soddisfare i suoi bisogni masturbandolo, per impedirgli di frequentare altre donne.
   Michel: è un produttore televisivo effeminatissimo, passivo, petomane e con gravi problemi intestinali, riconducibili a una grave sindrome del colon irritabile.
   Marcello: è un pilota Alitalia e un donnaiolo esuberante, che non può stare un solo giorno della sua vita senza penetrare qualcuna. 
Arrivati nella villa, i quattro trovano il vecchio custode, Hector, che ha preparato tutto per la grande festa, senza sapere che si tratta di un banchetto funebre. Trovano anche un visitatore cinese che vuole offrire un lavoro a Philippe nella lontana Cina; il magistrato rifiuta cortesemente pronunciando la frase "Timeo Danaos et dona ferentes", citando Virgilio. Arriva la consegna di una grandissima quantità di carne, soprattutto selvaggina, porci e manzi macellati. 
Rimasti soli, i quattro iniziano ad ingurgitare selvaggiamente. In una scena, Marcello e Ugo gareggiano per vedere chi riesce a inghiottire più ostriche. A un certo punto discutono di organizzare una piccola "presenza femminile" e decidono di invitare a casa tre prostitute la sera successiva (non quattro, perché Philippe non vuole partecipare). La colazione del giorno dopo viene interrotta dall'arrivo di una classe scolastica che vorrebbe visitare il giardino della villa per vedere il famoso Tiglio di Boileau, un albero monumentale chiamato così perché il poeta francese Nicolas Boileau (1636 - 1711) era solito sedersi alla sua ombra, in cerca di ispirazione. I quattro invitano volentieri i bambini non solo in giardino, ma anche a vedere la vecchia Bugatti blu nel garage, per poi offrire un magnifico pranzo in cucina. Cosa più importante, fanno la conoscenza della fulva Andréa, la giovane e prosperosa maestra, che invitano spontaneamente a cena quella sera. Philippe è sgomento all'idea che l'insegnante di scuola sia nella stessa compagnia di tre prostitute; lui la avverte, ma lei sembra non essere turbata. Le prostitute arrivano a tempo debito e l'atmosfera diventa frivola e sessualmente carica. Andréa è attratta da Philippe e trova il modo di sedurlo: con la scusa di attaccargli un bottone della patta, gli bacia il fallo e inizia a fellarlo. Lui rimane sconvolto da quelle attenzioni (la balia si limitava a segarlo), che le fa una proposta di matrimonio. 
Le crapule continuano senza sosta. Ugo è il responsabile della preparazione dell'incessante rifornimento per i bagordi sfrenati. Il femmineo Michel, allevato rigorosamente per non avere fiato, ha una grave indigestione e gli si occlude l'intestino. Per fortuna riesce a riprendersi e dal suo ventre scaturisce in un'emissione impetuosa di miasmi fecali. Terrorizzate e sconvolte dall'andamento degli eventi, le prostitute fuggono all'alba, in preda a nausea profonda e vomito. L'unica donna che rimane è Andréa. L'insegnante sembra intuire lo scopo ultimo dei protagonisti, così decide di aiutarli nei loro sforzi, stabilendo un tacito accordo e rimanendo con loro fino alla morte di tutti e quattro. Dopo la partenza delle meretrici, si abbandona al sesso con tutti gli uomini, anche col non troppo virile Michel, partecipando attivamente alla loro abbuffata. 
Il primo a essere ghermito dalla Morte è Marcello: infuriato per la propria improvvisa impotenza, va in bagno e fa esplodere le tubature, provocando un'inondazione di liquami. La materia escrementizia, che percola dal soffitto sottostante, lascia un fetore nauseabondo anche dopo aver ripulito. Rendendosi conto dell'inutilità della farsa, decide di uscire di casa nella notte, durante una tempesta di neve, a bordo della vecchia Bugatti blu che aveva riparato all'inizio della giornata con grande gioia. I suoi amici lo trovano la mattina dopo, morto assiderato sul sedile di guida. Philippe, essendo un giudice, fa desistere i compagni dall'idea di seppellire Marcello in giardino - avvertendo che è prevista una pena severa per la sepoltura illegale di un cadavere. Così il cadavere viene riposto nella cella frigorifera della villa, dove rimane seduto e ben visibile dalla cucina. Dopo Marcello muore Michel, che trova nel cortile un nuovo cane seduto nella Bugatti. Già sofferente di indigestione e stracolmo di cibo (non riesce nemmeno a sollevare le gambe praticando la danza, il suo passatempo preferito), è colpito da un violentissimo attacco di diarrea mentre suona il pianoforte. Scaricando flatulenze e un fiume di merda liquida giallastra, crolla sul terrazzo. I suoi amici lo mettono nella cella frigorifera accanto a Marcello. Sotto lo sguardo dei morti nella cella frigorifera, Ugo prepara un enorme ed elaboratissimo piatto composto da un'ingente massa di tre diversi tipi di fegato (oca, anatra e pollo), a cui dà la forma della cupola dell'Hotel des Invalides. Tuttavia, Philippe e Andréa non riescono a ingerirne nemmeno un boccone. Ugo è deciso a ingerire l'intera preparazione. Dopo alcuni tentativi di dissuaderlo dall'insano proposito, il magistrato e l'insegnante si occupano di lui. Philippe lo imbocca, mentre Andréa lo masturba. Di colpo l'anima di Ugo vola al cospetto di Anubi, proprio nel momento in cui esce il materiale genetico. L'ultimo a trapassare è il diabetico Philippe, sulla panchina sotto il Tiglio di Boileau e tra le braccia di Andréa, dopo aver mangiato un gigantesco e dolcissimo budino a forma di una coppia di seni, da lei preparato. Va in coma iperglicemico e muore proprio mentre arriva un'altra consegna di carne. I fattorini restano sbalorditi quando Andréa ordina loro di lasciare nel giardino la carne - animali interi e parti di maiale e manzo. Le sequenze si concludono in modo bizzarro con una scena del giardino pieno di cani che iniziano a inseguire il pollame e a ingozzarsi della carne delle carcasse.
 
Citazione del regista:
"Basta con i sentimenti, voglio fare un film fisiologico!"  


Recensione: 
Questo film di Ferreri è viscerale! VI-SCE-RA-LE! Tognazzi è pantagruelico, gargantuesco! Proprio per questo ci piace. Gli elementi sadiani sono evidenti: il tema degli uomini altolocati che si appartano in una dimora nobiliare, lontano da occhi indiscreti, compiendo atti dissoluti, è preso direttamente dal romanzo incompiuto del Divin Marchese, Le 120 giornate di Sodoma (Les Cent Vingt Journées de Sodome ou l'École du libertinage). Sono convinto che lo stesso Pasolini abbia almeno in parte tratto ispirazione dalla pellicola di Ferreri per il suo adattamento Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Nella gerarchia delle passioni descritte da Sade, Ferreri si limita alle cosiddette passioni semplici, anzi, al loro livello più elementare: ingurgitare smodatamente cibi e bevande, compiere atti sessuali tra uomo e donna. Nel film mancano del tutto, com'è ovvio, già le passioni semplici più estreme, come l'ingestione di escrementi e di urina, oltre agli atti di pedofilia che Sade non risparmia certo nelle sue pagine. Ferreri non va oltre, non giunge ai successivi livelli delle passioni complesse (stupri, incesti, flagellazioni), delle passioni criminali (pratiche al limite dell'assassinio, necrofilia, zoofilia) e delle passioni assassine (torture efferate e altre aberrazioni). In ogni caso, è indubitabile l'impianto sadiano dell'opera. Su questa architettura fondata dal Divin Marchese, Ferreri ha innestato una corrosiva critica alla società dei consumi. Il concetto di base è questo: l'abbondanza, che dovrebbe rappresentare l'apoteosi di ogni civiltà umana, è in realtà la causa prima della decadenza e dell'autodistruzione. Una volta raggiunto il pieno soddisfacimento dei sensi, subentra una noia mortale che porta al cupio dissolvi. Un'idea senza dubbio molto interessante, anche se la vedo sempre professata da gente che la fame non l'ha mai dovuta soffrire.
 
Etimologia di Carpugnino 
 
Ugo afferma di essere partito da Carpugnino all'età di 14 anni assieme a suo padre, che portava con sé un'eccellente collezione di coltelli, comprati col ricavato della vendita di due vacche. Il borgo di Carpugnino si trova nel Verbano e mi è ben noto, perché passavo sempre nelle sue vicinanze in compagnia di amici quando eravamo diretti all'Ossola. Vedevamo il cartello con scritto "CARPUGNINO" e facevamo battute grottesche, perché quel nome ci sembrava bizzarro. Il paese attualmente si chiama Brovello-Carpugnino
Brovello deriva dal celtico: è senza dubbio da *brogellos, una variante di *brogilos "frutteto", ben attestato nell'area romanza (da cui anche il toponimo Breuil) - a sua volta formato da *brogā, *brogis "campo", "paese", "confine". Gli Allobrogi (celtico Allobroges, adattato in latino come Allobrogēs) sono stati chiamati così perché "traslati da un altro paese", come riportato da Polibio. In gallese sopravvive tuttora la forma allfro "esiliato", che è di identica etimologia. 
Carpugnino (attestato anche come Carpignino; piemontese Carpugnì), è un derivato del leponzio *karpinos "carpino" (Carpinus betulus), di origine ligure (pre-celtica), passato al latino come carpĭnus come elemento di sostrato. Dal fitonimo deve essere derivata la forma *karpiniom "bosco di carpini", da cui l'aggettivo *karpiniīnom "(villaggio) del bosco di carpini". Sorprende che nessuno si sia occupato, a quanto ne so, di studiare questo singolare toponimo. 
 
Meringhe al cioccolato!
 
Nel vocabolario tognazzesco, la locuzione "meringhe al cioccolato" indica l'atto di leccare l'ano del partner (in genere una puttana) allo scopo di dare e provare piacere. Per il resto, l'atto viene soltanto accennato, con Ugo che si china davanti alle chiappe di una prostituta con la parrucca rossiccia e crespa, dando un leggero bacio sul coccige. La donna sarà poi posseduta carnalmente da Marcello, la cui sessualità è puramente penetrativa e poco incline a fantasie morbose.  
 
 
L'insegnante libertina

Per il ruolo di Andréa, il regista aveva idee molto precise: voleva un'attrice procace, sensuale e morbidissima, con due poppe prorompenti, capaci di mandare un uomo in criticità al minimo contatto. Uno dei suoi assistenti vide a teatro Andréa Ferréol, allora sconosciuta al grande pubblico. "Mi hanno chiamato una mattina alle 9, non conoscevo affatto Ferreri, ma conoscevo gli altri attori", ha detti la Ferréol. Al primo incontro fu subito entusiasta del ruolo, solo che per assumerlo doveva crescere molto di peso. Questo ebbe a dire: "Rappresento la donna, la sorella, l'amante, l'angelo della morte. Questa donna capì che volevano morire e decise di accompagnarli. Così mi sono detta: 'Questo ruolo lo avrò', e mi sono messa a mangiare". Quando la giovane incontrò finalmente il regista, utilizzò un furbo escamotage: "A questo incontro, da cattiva che ero, avevo messo tre maglioni per ingrandirmi e degli stivali. Dovevo ancora prendere 25 chili in due mesi. Con il suo meraviglioso accento italiano, lui mi ha semplicemente chiesto se potevo ingrassare di più". Alla fine è stata assunta. Alain Coiffier si è incaricato di negoziare il contratto un po' insolito dell'attrice: "Lei veniva pagata per ogni chilo in più che prendeva, sotto controllo medico, e poi dovevamo farci carico di un programma di dimagrimento. Ferreri la invita regolarmente al ristorante per controllare la sua dieta e le chiede di cambiare colore di capelli". Detto fatto, diventata fulva e pesante 85 chili, era pronta! 

Un'erezione improvvisa 

La Ferréol ha detto che Mastroianni aveva avuto un'erezione turgidissima durante le riprese: avrebbe potuto schiacciare le noci col glande! "Era nella scena in cui mi prende da dietro", ricorda l'attrice. In parole povere, Mastroianni pressava da tergo e cercava di penetrarla con l'immenso favone. In seguito lei ha ricordato l'accaduto con un linguaggio molto sobrio: "Niente di cui vergognarsi e questo posso dirlo anche adesso. Quando ho capito che a Marcello stava succedendo qualcosa, ho fatto finta di non preoccuparmi per non metterlo in imbarazzo"
 

La farfalla e il ramo secco 
 
Il giudice Philippe appartiene a una specie di setta lucifuga, un gruppo di esclusi e reietti di cui la società sana non vuole nemmeno sentir parlare. In un mondo in cui vengono esaltati modelli di performance, abilismo, successo e iperattività sessuale, non c'è posto per i vinti. Vengono macinati. Così il magistrato è cresciuto in quasi completo isolamento, in un rapporto morboso e innaturale con la nutrice che lo aveva allattato da piccolo. Questa vecchia libidinosa lo ha plagiato nel corso degli anni, facendo di tutto perché non potesse avere il benché minimo contatto con altre donne. Gli ha indotto il terrore delle prostitute e delle malattie veneree. Per impedire ogni tentativo di fuga da questa prigionia domestica, ha provveduto a drenargli manualmente lo sperma. Quando si trova per la prima volta a contatto con una libertina, Philippe crolla. L'insegnante prosperosa gli pratica la fellatio e gli distrugge ogni traccia di volontà, rendendolo una specie di succubo. Quest'uomo, travolto da una mole ingestibile di sensazioni intensissime, si ritrova di colpo in condizioni larvali. Vuole legarsi alla donna nel matrimonio ed ecco che subito gli tocca sopportare le corna! Alla fine accetta docile di uscire dal mondo, il coma è per lui una liberazione. Qualcuno ha detto che Ferreri nel suo film dipinge la donna come elemento salvifico. Guardando l'epilogo, direi che si tratta di un'opinione valida soltanto a patto di identificare la Salvezza con la Morte. Cosa che difficilmente le genti fanno, perché non rientra nel loro modo di concepire il mondo.   


Un difficile ruolo da fallofora 
 
Tra Florence Giorgetti, che interpreta una delle prostitute, e Ferreri, i rapporti diventarono presto molto tesi. "All'inizio andavamo d'accordo con Marco...", ha detto l'attrice, "poi all'improvviso ho compreso la sua perversione". All'epoca lei era ancora alle prime armi nel suo cammino nella Settima Arte. Era sposata con Pierre Arditi ed aveva da poco partorito. Ha provato un immenso disagio per via di una scena di pasto improvvisato in cui si strozza con un osso di pollo, afflitta dalle risate del resto della squadra. "Guardo Ferreri e non taglia. Martella: 'dai, dai, dai!'", dice. Poi il suo vicino di tavolo, il libidinoso e priapico Mastroianni, le ha dato una pacca sulla spalla, facendole sputare finalmente il bolo. "Sentivo di avere davanti a me un pervertito, qualcuno che amava tutti i pericoli che possono esistere su un set cinematografico", ha ricordato, ancora indignata. La scena dello strozzamento venne finalmente tagliata in fase di montaggio, ma di fronte alla reazione rabbiosa della Giorgetti, il regista ha cercato di spingerla negli ultimi passi e di metterla in situazioni sempre più sgradevoli. A un certo punto le ha chiesto di pisciare davanti a tutti. Lei pensava ai suoi genitori iperprotettivi e tradizionalisti, quasi vandeani, sentendosi annientata. Aveva il terrore di tradire le loro aspettative: immaginavano che lei dovesse fare un film straordinario con Tognazzi, ignorando la sua provenienza dalle 120 giornate di Sodoma! Alla fine la scena della pisciata è stata interpretata da Michel Piccoli. Questi sono i terribili ricordi che la Giorgetti ha avuto delle riprese: gesti distorti, scene di sesso dolorose. Una delle cose che più mi ha colpito nell'interpretazione di quest'attrice biondiccia è stata la sua reazione di fronte a una colossale torta al cioccolato preparata da Tognazzi: prima ci ha sputato sopra, lasciando sconvolti gli astanti, poi ha afferrato la zolla su cui ha deposto la sua saliva, ne ha fatto una grossa pallottola e l'ha tira al cuoco. 
 

La medicina tognazzesca 

Ugo utilizza un metodo di cura più arcaico dei Merovingi! Secondo il suo principio fondante, ogni malattia del corpo deve essere curata tramite uno specifico cibo. La scelta del cibo-farmaco, definito pomposamente "medicamentoso", segue in un certo qual modo il principio dell'omeopatia: simile cura simile. La parola "omeopatia" non deve però essere intesa in senso quantitativo, come di solito oggi avviene, bensì qualitativo. Quando Michel cade malato con sintomi abbastanza chiari di occlusione intestinale, ecco che Ugo gli porta un immenso vassoio di "puré medicamentoso". Si tratta di puré di patate fatto senza alcuna aggiunta di burro. Perché questa scelta? Semplice: l'occlusione intestinale provoca un particolare tipo di vomito, detto fecaloide, che ha l'aspetto del puré di patate ma puzza di merda. Per curare questo pericoloso inconveniente, al malato viene somministrata una sostanza alimentare che ricorda nell'aspetto quella espulsa. Michel non vuol mangiare? Poco importa. Ugo lo imbocca. L'atto di imboccare è ritenuta una pratica taumaturgica! Infatti l'occlusione intestinale di Michel si risolve e dall'ano scaturisce una raffica di spaventosi peti! I gas intestinali, liberi di uscire, saturano la stanza asfissiando i presenti! 
 

L'esplosione delle tubature merdarie! 

Una delle sequenze più significative dell'intera pellicola è senza il minimo dubbio quella dell'esplosione delle condotte del cesso, incidente che causa la fuoriuscita di un'immensa quantità di merda. A quanto ho potuto apprendere da un veneto che ha sposato un'esuberante parigina, nella capitale francese simili incidenti non sono affatto rari. Non essendo stata rasa al suolo dai bombardamenti, Parigi conserva tuttora moltissimi edifici vetusti, spesso risalenti addirittura alla fine del XIX secolo. Come ben sappiamo, George A. Romero nei suoi film ci mostra il consumatore compulsivo trasformato in zombie, che è un morto vivente completamente privo di facoltà di pensiero e di senso critico. Marco Ferreri invece insiste sull'incessante produzione di escrementi. Il consumatore compulsivo viene a trasformarsi in una macchina il cui output consiste in montagne di merda. La domanda è questa: come smaltire tutte queste feci? Non è possibile farlo, il processo di smaltimento richiede infatti risorse ed energie che non sono disponibili. L'unica possibilità è occultare la merda in qualche recesso oscuro, in modo che non possa turbare la coscienza dello spettatore. Il problema è che da queste spelonche, da queste latebre, da questi canali, il materiale digerito ed espulso da milioni di buchi del culo compie un'opera di corrosione delle strutture, ritornando poi alla luce del sole tramite una possente eruzione. Non ci si libera di queste scorie!   


Le uova come simbolo di morte
 
A un certo punto Philippe chiede a Ugo: "Perché metti le fettine di uovo?" Ugo risponde in modo singolare e notevole: "Perché le uova, secondo i Giudei, sono il simbolo della morte". La cosa è di per sé abbastanza sorprendente. In realtà non è così semplice e potrebbe essere avvenuto qualche fraintendimento. 
Nella cultura ebraica la pietra è simbolo di lutto, perché la parola per dire "pietra", èven, somiglia nel suono alla parola per dire "lutto", èvel. L'uovo somiglia a una pietra. Un uovo è il primo alimento con cui viene rotto il digiuno praticato durante il lutto. Questo ha portato ad associare l'uovo alla morte. Tuttavia l'uovo è al contempo anche simbolo nella nascita e della vita. Una profonda ambivalenza. Nel sulfureo film Angel Heart - Ascensore per l'Inferno (Alan Parker, 1987), Louis Cyphre, ossia Lucifero, ha l'abitudine di mangiare uova sode. Spiega che l'uovo per le antiche religioni è il simbolo dell'anima. Così Lucifero divora le anime e a causa del suo atto, l'uovo viene a rappresentare la dannazione eterna, ossia la Morte dell'Essere. 
Vale la pena di vedere il film di Ferreri già soltanto per le parole pronunciate da Ugo sulle uova e sulla morte! 
 
Alcuni problemi pratici 
 
Nella realtà sarebbe molto difficile realizzare qualcosa di simile alla vicenda narrata nel film di Ferreri. Già notiamo che Philippe si oppone per motivi legali alla sepoltura clandestina di Marcello nel nudo terriccio del giardino. La morte per bagordi non è per forza un improvviso, fulmineo passaggio dalla pienezza delle viscere alla Pace. In genere non è indolore e rapida. Si agonizza come cani. Immaginamo, tanto per fare un esempio che l'occlusione intestinale occorsa a Michel non si fosse risolta, peggiorando fino ad evolvere in una peritonite fulminante. Cosa fare di fronte a tanta sofferenza atroce, se non chiamare all'istante i soccorsi? Lo stesso dicasi per gli ictus emorragici o ischemici, per gli attacchi ischemici transitori, per gli infarti cardiaci o intestinali, insomma, per ogni incidente che dovesse presentarsi. Va inoltre notato che sistono sistemi di difesa del corpo, come la nausea e il vomito, che renderebbero molto difficile masticare e ingollare fino all'exitus. Secondo Ferreri, nausea e vomito colpiscono soltanto le puttane. Insomma, l'impianto narrativo non sembra reggere. Andréa, avendo somministrato i budini a Philippe proprio per farlo morire (secondo il principio della goccia che fa traboccare il vaso), rischierebbe un'imputazione di omicidio intenzionale. Non uno scherzo, dunque. In sostanza, volendo proprio farla finita, si potrebbe ricorrere a sistemi molto più semplici ed efficaci.

L'opinione di Pasolini
 
Pier Paolo Pasolini scrisse queste parole sul film di Ferreri, apparse sulla rivista Cinema Nuovo (n. 231, settembre-ottobre 1974):
 
"Corpi colti in una sintesi di gesti abitudinari e quotidiani che nel momento in cui li caratterizzano li tolgono per sempre alla nostra comprensione, fissandoli nella ontologicità allucinatoria dell'esistenza corporea."  
 
L'idea più ricorrente è che Pasolini abbia identificato Philippe, Ugo, Marcello e Michel con i pilastri dell'ideologia borghese, che ridurrebbe la vita alle sue funzioni biologiche elementari, da cui si originerebbe proprio la merda. Poi bisognerà vedere se in una società socialista la gente non mangerebbe, non berrebbe, non copulerebbe e non cagherebbe. O forse le interiora vuote hanno il potere miracoloso di trasformare le persone affamate in intellettuali?  
 
Altri giudizi critici 
 
Morando Morandini assegna 5 stelle su 5 nel suo Dizionario, riportando il seguente giudizio: 
 
"Scritto con Rafael Azcona, è probabilmente il più grande successo internazionale (di scandalo) nell'itinerario di M. Ferreri. Questo apologo iperrealista ha gli scatti di una buffoneria salace e irriverente, i toni furibondi di una predica quaresimalista e, insieme, l'empietà provocatrice di un pamphlet satirico; e chi lo prende per un film rabelaisiano, non ne ha inteso la sacrale tristezza. C'è piuttosto l'umor nero, la salute, la disperazione di uno Swift. Con qualcosa in più: la pena. La sua forza traumatica risiede nella calma lucidità dello sguardo, e nell'onestà di un linguaggio che Ferreri conserva anche e soprattutto quando non arretra davanti a nulla. Se si esclude parzialmente Mastroianni, forse il meno riuscito del quartetto, i personaggi non sono mai volgari. Nonostante le apparenze realistiche (di un neorealismo fenomenico e irrazionalistico), sfocia nel clima allucinato di un apologo fantastico come certi segni e invenzioni suggeriscono." 

Alcune opinioni interessanti sono riportate nel sito del Davinotti: 


Daniela ha scritto nel lontano 2016:

Lo chef, il produttore televisivo, il pilota e il giudice: quattro amici di varia estrazione sociale e caratteri diversi decidono di rinchiudersi in una villa e mangiare fino alla morte... Svaporata l'aura di scandalo col passare dei decenni, il capolavoro di Ferreri mantiene però intatta la sua forza di limpida metafora: quel che divoriamo, ci divora ed il cibo, nella società opulenta veicolo di piacere fine a se stesso, è l'arma utilizzata per un paradossale suicidio causato da un'abbondanza che provoca assuefazione, noia, infine vuoto esistenziale. Banchetto sadiano con un cast memorabile.
MEMORABILE: All'arrivo alla villa, nello scaricare le merci dal furgone, vengono minuziosamente elencate tutte le vivande e le carni; il budino mammelloso
 
Homesick ha scritto nel remoto 2011:

Apologo culinario e freudiano sulla società capitalistica destinata a collassare sotto il peso della propria opulenza e a restituirsi all’Es. Commensali dell’apocalittica crapula quattro individui - variamente frustrati - che si autoannientano negli spasmi di un edonismo tragicomico, ove leccornie da gourmet si mischiano a vomito, liquami, coiti promiscui e peti, e i profumi dei cibi svaniscono in una cupa atmosfera di malinconia, dolore e morte. L’erudizione della messa in scena e la somma bravura e signorilità degli attori edulcorano il disgusto, stimolando sane risate e amare riflessioni.
MEMORABILE: Ugo e i suoi coltelli legati al ricordo del padre; l’esplosione del wc; le morti, ciascuna delle quali corrispondente a passioni o vizi dei quattro.
 
Se tanti odiano il piacere fine a se stesso e vogliono restituire il proprio essere all'Es freudiano, perché non sperimentano il contrario dell'opulenza, ovvero la carestia dura e severa? In fondo si fa presto a sentenziare davanti a uno schermo del pc, avendo la pancia ben satolla. 

 
Censura  
 
La versione originale del film, la cui durata è 132 minuti (secondo altri 135 minuti), è stata sottoposta a tagli in alcune scene di natura sessuale. Tra le sequenze rimosse, ci sono quelle in cui Andréa si mette a dare baci alla francese con vistosi slinguazzamenti. In Italia il film ha subìto una pesante censura. La versione francese dura 129 minuti, mentre quella italiana ne durava soltanto 123. Il film è stato ridotto ulteriormente ad appena 112 minuti per il commercio home video italiano. Quest'ultima versione è quella che si trova in VHS e nei DVD, dove evidenti le discontinuità causate dai tagli. Soltanto nel 2019 la CG Entertainment ha fatto uscire il DVD e il Blu-Ray del film nella sua versione integrale e restaurata. All'epoca in cui la pellicola fu fatta, il problema principale era il sesso, che oggi non sembra più destare alcuna reazione di traumatismo. Invece ci sono scene in cui vengono mostrati animali macellati, che oggi desterebbero la furia di elementi animalisti e vegani sempre più integralisti, aggressivi, violenti.