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giovedì 15 dicembre 2022

CANOSA LONGOBARDA

Romano Colizzi, ricercatore indipendente impegnato in ricerche sui Longobardi nel Salento, è l'autore dell'articolo Le Pergamene di Conversano Tracce longobarde (2005), consultabile liberamente nel sito della Provincia di Brindisi. Ecco il link: 


A puro e disinteressato scopo di conoscenza mi avvalgo del sacrosanto diritto di citazione. Questo riporta Colizzi nella sua opera sommamente lodevole e meritoria: 

"Oltre ai boni homines(1) che avevano raggiunto una posizione di rispetto e a coloro che si erano inseriti nelle posizioni offerte - anche se onorifiche e a livello minimo - dai Bizantini, ciò che emerge dalle carte è che i discendenti dei Longobardi, che si erano impadroniti di gran parte della proprietà rurale, ora formano una società di piccoli proprietari, alcuni, però, abbastanza agiati, se nel 915 (c. 3) Grimoaldo, imperialis spatharius candidatus, con la moglie Adelgrima, figlia del gastaldo Madelfrit, può donare al monastero di San Leucio, vicino a Conversano, ingenti proprietà formate da case, terreni, cisterne, buoi, pecore, maiali, asini, giumente e cinque servi. Non tutti vivono negli agi. La situazione sociale è un riflesso delle difficoltà politiche dei Longobardi e della contea di Capua in particolare. Sin dalla lettura della prima pergamena (a. 901), siamo come immersi in un mondo longobardo. Ermefrid di Canosa vende insieme alla moglie Trasiperga, alla quale "in die nuptiarum, secundum ritus gentis nostre Langobardorum" concesse il morgincap, a Iannipertus tutti i poderi ereditati dalla madre. Trasiperga, assistita dai parenti come vuole il mundio, interrogata dal giudice, afferma che nessuno le ha fatto violenza e che agisce liberamente. Viene invocato, con approssimazione, l'art. 22 delle leggi di Liutprando: "Si mulier res suas consentiente viro suo, aut comminiter venundare voluerit, ipse qui emere vult, vel illi qui vindunt, faciant noditiam ad duos vel tres parentes illius mulieris, qui propinquiores sunt [.......]. ('Se una donna vuole vendere i suoi beni con il consenso di suo marito o in comune [con lui], colui che vuol comprare o coloro che vendono ne diano comunicazione a due o tre parenti della donna, di quelli che le sono più prossimi [.......]'). I beni - secondo il primo editore di queste pergamene, Morea - vengono ceduti a prezzi non alti, segno di un impoverimento di questa classe di proprietari. Canosa, da dove proveniva Ermefrid, fu ripetutamente devastata e bruciata tra l'813 e l'875. Dei 21 antroponimi che compaiono nell'atto, ben 17 sono longobardi." 

(1) Con la locuzione boni homines si intende in questo contesto una classe di persone privilegiate che contribuivano tra le altre cose alla nomina dei giudici e dei curiales. Non hanno nulla a che vedere con gli omonimi Boni Homines della religione Catara (nota mia). 

Etimologie degli antroponimi:

Molti antroponimi longobardi o di altra origine germanica erano diffusissimi in molte zone dell'Italia medievale. Tuttavia, a Canosa e in molti altri luoghi della Puglia si segnala una loro particolare concentrazione. Sono chiare prove di una lunga persistenza della lingua longobarda come realtà viva e vitale. Eppure siamo nei secoli IX-X, dopo la fine del Regno Longobardo, per quanto possa non piacere ai romanisti e al sistema scolastico italiano. 

Adelgrima 
Protogermanico: *Aþalagrīmō 
    (< *aþalaz "nobile" + *grīmō "maschera")
   Significato: "Nobile Maschera" 
Nota: 
La protoforma *grīmō "maschera (dell'elmo)", deriva probabilmente dall'aggettivo *grimmaz "terribile", esso stesso di origine incerta. 

Ermefrid 
Protogermanico: *ermanafriþuz  
   (< *ermanaz "immenso" + *friþuz "pace")
   Significato: "Pace immensa"

Grimoaldus 
Protogermanico: 
   (< *grimmaz "terribile" / *grīmō "maschera"
    + *waldaz "che domina")
  Significato: "Principe Terribile", "Principe della maschera"  
Nota: 
La protoforma *grīmō "maschera (dell'elmo)", deriva molto probabilmente dall'aggettivo *grimmaz "terribile", esso stesso di origine incerta. 

Iannipertus 
L'antroponimo deve essersi formato in epoca cristiana. 
  (< Iōhannēs "Giovanni" + *berχtaz "splendente") 
  Significato: "Giovanni splendente" 
Nota: 
Un interessante nome ibrido.

Liutprando 
Protogermanico: *Leuþibrandaz 
   (< *leuþiz "gente" + *brandaz "tizzone", "spada") 
  Significato: "Spada delle genti" 
Nota: 
È il nome del Re dei Longobardi (690 - 744), autore di leggi che erano citate quasi a memoria in Puglia, ancora secoli dopo.   

Madelfrit 
Protogermanico: *Maþlafriþuz 
   (< *maþlan "riunione" + *friþuz "pace") 
   Significato: "Pace della riunione"

Trasiperga 
Protogermanico: *Þrasōbergō 
   (< *þrasō "minaccia" + *bergō "protezione")
   Significato: "Protezione dalla minaccia" 

Sono convinto che ad eventuali lettori potrebbe piacere esplorare le ricostruzioni della lingua protogermanica. Riporto così la sezione del Wiktionary in inglese che contiene molti dati utili, anche se l'ortografia usata non è identica a quella che utilizzo. 


Conclusioni:

Questa indagine linguistica e storica ha anche un aspetto molto divertente. Trovo che sia molto probabile che l'eroico Lino Banfi, nato Pasquale Zagaria (1936 - vivente), provenga da questa gloriosa stirpe. Forse è addirittura un diretto discendente di Ermefrid da Canosa, anche se la sua famiglia era della vicina Andria! 

mercoledì 7 dicembre 2022

ETIMOLOGIA LONGOBARDA DEL TOPONIMO AFFORI

Tra i molti quartieri di Milano, uno ha un nome particolarmente bizzarro e degno di nota: Affori. Si trova nella periferia settentrionale della città. "Vi si trovano cascine, palazzi d'epoca dei primi novecento, ville e case borghesi, edilizia popolare del boom anni sessanta e bei condomini recenti" (Fonte: Tripadvisor). Un tempo il toponimo in questione era famoso e dava nome a una locuzione di uso corrente: la Banda d'Affori. Esisteva anche una canzone popolare milanese intitolata Il tamburo della Banda d'Affori (1942), testo di Mario Panzeri e Nino Rastelli, interpretata da Aldo Donà e in seguito dal mitico Nanni Svampa. Faceva così: "L'è 'l tamburo principal della Banda d'Affori, ch'el comanda cinquecentocinquanta pifferi". Tale banda musicale è stata fondata nel 1853 da un piccolo gruppo di appassionati di musica, divenendo poi un corpo bandistico importante. Risulta attiva ancora oggi. 

Toponimo: Affori 
Forme milanesi: Affor, Affer
Pronuncia: /'afur/, /'afer/ 
(accento sulla prima sillaba)

Attestazione antica: 
Affoni 
Pronuncia: /'affoni/ 
(accento sulla prima sillaba) 
Varianti: Afoni, Afori, Avori 
Epoca della prima attesazione nota: Anno 915. 
Documento: Codice Diplomatico Longobardo. 
Riferimento: Colonna 796/d 
Testo: Signum manus Ambrosii de loco Affoni. 
Altre datazioni: Afoni (anno 1006), Afori (anno 1009; anno 1214), Avori (anno 1019).
Nota: 
Le circostanze in cui si è prodotto il rotacismo della nasale -n- sono oscure. Secondo i romanisti, l'alternanza -r / -n rilevata nelle trascrizioni Afori / Afoni sarebbe analoga a quella riscontra negli antroponimi Cristoffer / Cristoffen "Cristoforo" o Melchiorre / Marchionn. Tuttavia, in questi casi la forma con -r- è quella originale, mentre risulta chiaro che nel caso di Affori la forma più antica è quella in -n-.  

False etimologie latine 
 
1) Latino Ad fontem "Alla fonte"; 
2) Latino Ad forum "Al mercato";  
3) Latino A foris "Da fuori", "Fuori (Milano)", da Sancta Iustina a foris, supposto nome della chiesa del paese, per distinguerla da un'altra chiesa di Santa Giustina, collocata in Milano presso Porta Romana. 
4) Latino Ad forem "Alla porta", "All'entrata", riferito al borgo intorno alla chiesa di cui sopra, intesa come "chiesa foranea". 
Note: 
Questi rozzissimi tentativi di spiegazione, frutto di latinisti rudimentali di qualche parrocchia sprofondata nel coma storico, sono a dir poco insensati. Non è possibile che l'accento sia passato sulla preposizione, che è per sua natura atona.  Parole come fontem, forum e simili non possono essere tagliuzzate o ridotte a mere terminazioni atone seguendo le bizze dell'arbitrio. Anche ammettendo tali stupide pseudoetimologie, gli esiti in milanese sarebbero stati questi, tutti con l'accento sull'ultima sillaba: 
1) *Affont /*a'funt/ 
2) *Affœur /*a'för/
3) *Affœur /*a'för/ 
4) *Affœur /*a'för/ 
Tutto ciò è in contrasto con la realtà dei fatti. Contra factum non fit argumentum

Ulteriori false etimologie 

i) Il toponimo Affori deriverebbe dall'antroponimo latino Afer alla lettera "Africano", attestato in un'iscrizione su lapide (CIL V, 5864). Se così fosse, troveremmo nei documenti il genitivo Afri, cosa che non avviene. Questo tentativo etimologico contraddice le attestazioni.
ii) Secondo un'ipotesi trovata nel magma informe del Web, il toponimo Affori sarebbe da accostarsi al seguente antroponimo:  
 
Antico inglese: Offa, nome di un Re degli Angli 
Varianti: Wuffa, Uffa 
Etimologia: 
L'antroponimo si spiega come un ipocoristico dell'antico inglese wulf "lupo". 
Un simile antroponimo longobardo attestato: Hoffo
(la consonante h- non è etimologica ed era muta; vedi Colizzi, 2022). 
Nota: 
Come si può ben vedere, questo tentativo etimologico non può spiegare le attestazioni storiche. Il vocalismo è incompatibile con quello di Affoni, etc.

L'etimologia più plausibile 

Protogermanico: *apǣn 
Ricostruzioni alternative: *apô 
Genere: maschile 
Significato: "scimmia"; "persona stupida" 
    Esito antico alto tedesco: affo "scimmia" 
         Esito medio alto tedesco: affe "scimmia"
         Esito tedesco moderno: Affe "scimmia"
    Esito longobardo: *apho, *affo "scimmia" 
    Esito antico sassone: apo "scimmia"
    Esito antico inglese: apa "scimmia"
        Esito medio inglese: ape, aape, eape "scimmia"
        Esito inglese moderno: ape "scimmia"
    Esito norreno: api "scimmia"; "persona stupida" 
    Esito gotico: *apa "scimmia" 

Questa è la declinazione protogermanica ricostruibile: 

Singolare:
nominativo: *apǣn
vocativo: *apǣn
accusativo: *apanun
genitivo: *apiniz 
dativo: *apini  
strumentale: *apinǣ 

Plurale: 
nominativo: *apaniz
vocativo: *apaniz
accusativo: *apaniz
genitivo: *apanôn
dativo: *apammaz
strumentale: *apammiz 


Questa è la declinazione dell'esito antico alto tedesco:

Singolare: 
nominativo: affo 
accusativo: affon, affun 
genitivo: affen, affin 
dativo: affen, affin 

Plurale: 
nominativo: affon, affun
accusativo: affon, affun 
genitivo: affôno 
dativo: affôm, affôn 

Questa è la declinazione dell'esito longobardo ricostruibile: 

Singolare: 
nominativo: *apho, *affo 
accusativo: *aphon, *affon 
genitivo: *aphon, *affon 
dativo: *aphon, *affon 

Plurale: 
nominativo: *aphon, *affon 
accusativo: *aphon, *affon 
genitivo: *aphono, *affono 
dativo: *aphon, *affon 

Forme latinizzate alla base del toponimo: 
genitivo singolare: Affoni 
nominativo plurale: Affoni 

Semantica 

La possibilità sono due: 

a) L'abitato ha tratto il nome dal suo fondatore, che si sarebbe chiamato Affo "Scimmia"; 
b) L'abitato ha tratto il nome dalla sua popolazione, che avrebbe avuto una fama di scarsa intelligenza e di stupidità. Il senso di "persona stupida" è ben attestato in norreno e dovette essere comune. Esempio: norreno margr verðr af aurum api "i soldi rendono la gente (come) una scimmia". 

Dal momento che le attestazioni di Affoni e varianti sembrano essere genitivi singolari (es. de loco Affonivico Afori, locus Afori, loco et fundus Avoni, etc.), l'interpretazione favorita è la prima: Affoni = di Affo. Se valesse la seconda, dovremmo assumere che Affoni è una forma indeclinabile, il che porrebbe qualche problema morfologico.  

Conclusioni 

Colgo l'ennesima occasione per stigmatizzare Google, che smuove la polvere e diffonde i deliri di dilettanti ormai ricomposti negli ossari, dando loro un'immeritata autorevolezza - complici le perversioni immonde del sistema scolastico. 

sabato 26 novembre 2022

ETIMOLOGIA DI MANIGOLDO

Ormai la parola manigoldo è quasi desueta. L'ultima volta che mi sono imbattuto nel suo uso nella lingua scritta al di fuori dei miei studi, è stato in un racconto di Zio Paperone e Paperino, in cui Paperinik era etichettato come "un gran manigoldo". Per quanto riguarda la lingua parlata, esiste maggior riscontro, ho sentito pochi giorni fa un carissimo amico riferirsi a un politicante definendolo "manigoldo". Se qualche giovane della Generazione Z dovesse sentire qualcuno pronunciare questo termine, si chiederebbe: "Chi è questo babbo?" Oppure sentenzierebbe: "OK, boomer!" Come al solito, è necessario procedere nella ricerca dell'etimologia. Partiamo dunque dai dati disponibili:

manigoldo 
Pronuncia: /mani'goldo/ (con -o- tonica chiusa)
Uso: sostantivo 
Forma plurale: manigoldi 
Forma femminile (obsoleta): manigolda 
Significato: 
  1) individuo malvagio e privo di scrupoli
  2) furfante, briccone, mascalzone (epiteto scherzoso
  3) aguzzino, carnefice 
Glossa inglese: rascal, rogue, scoundrel
Derivati (obsoleti): manigoldaccio, manigoldone, manigolderia



Esempi di frasi: 

Razza di manigoldi! 

Guarda che cosa ha combinato quel manigoldo di tuo figlio!

Poi che d'innumberabil battiture 
Si vide il manigoldo Amor satollo 
(Ariosto)

Diffusione nella Romània: 

La voce è tipica della sola lingua italiana: lo spagnolo manigoldo è un evidente prestito dall'italiano.

Alcune note etimologiche

L'opinione corrente è che l'epiteto manigoldo derivi dall'antico alto tedesco Manegold, attestato nel XI secolo come antroponimo maschile (variante: Mangold; forma latina: Manegoldus, Manegaudus). Per l'esattezza, ci è noto un ecclesiastico alsaziano, Manegoldo di Lautenbach (1040 - circa 1119), che fu teologo e filosofo. Viene ricordato come autore di libelli contro gli eretici e per le sue posizioni anti-imperiali, spinte fino alla giustificazione morale del tirannicidio. Sosteneva la riforma monastica nella sua forma più radicale. Queste sono le sue opere, menzionate più volte nel Web ma in concreto difficilmente reperibili: 

i) Ad Gebehardum liber
ii) Ad Wibaldum Abbatem
iii) De psalmorum libro exegesis 
iv) Contra Wolfelmum Coloniensem
      (Liber contra Wolfelmum)

A quanto sono riuscito ad appurare, Manegoldo di Lautenbach era un convinto terrapiattista: sosteneva che i cristiani non devono necessariamente fare affidamento sulle opere degli autori pagani per quanto riguarda la cosmologia. Quindi polemizzò e tentò di confutare i geografi che sostenevano la geometria sferica della Terra. 

Che fondamento c'è in questa connessione tra il nome del teologo alsaziano e la parola manigoldo? Ben poco, a mio avviso. Secondo i sostenitori di questa teoria etimologica, Manegoldo era talmente odiato per le sue idee che il suo nome sarebbe diventato una parola comune per indicare un malfattore. La cosa pare piuttosto implausibile. Per ovviare a questo problema semantico, è stato da lungo tempo supposto che esistesse un altro famoso Manegoldo, che esercitava la professione del carnefice. Un boia quasi proverbiale, una specie di Mastro Titta del medioevo germanico. Resta il fatto che di un simile personaggio, che mi immagino simile al Boia Scarlatto, non esiste traccia alcuna nella storiografia. Tutto ciò ha l'aria di una storiella costruita ex post

Bisognerebbe smetterla di rimandare tutto a un nome proprio di persona, confidando nel fatto che sia incomprensibile per sua intrinseca natura ("è un nome di persona, cosa dovrebbe significare", disse un cinese a una ragazza che gli aveva chiesto lumi sul perché si chiamasse così). Invece i nomi hanno un significato, anche se spesso si è sclerotizzato e non è più chiaro alle genti da tempo immemorabile. 
L'antroponimo Manegold sarebbe di per sé ben comprensibile al filologo appassionato delle lingue degli antichi Germani: 

Protogermanico: *manaγīwaldaz "che domina le masse"
   (< *manaγīn "folla", "moltitudine";
     -waldaz "che domina") 
Possibili esiti antroponimici in antico alto tedesco: 
ManegoldManigoldMangoldManogold, ManogaldManagoldManagolt, ManigoltMenegald, etc.
Nota: 
Esiste il cognome Menegaldo, particolarmente diffuso in Veneto ma presente anche in Lombardia, Piemonte, Umbria e Lazio (con ogni probabilità per migrazione). 



Se questa fosse la vera origine di manigoldo, come sostenuto ad esempio da Reinold Kapff (1889), potremmo ipotizzare questa catena di slittamenti semantici: 

dominatore di folle => capopopolo, sobillatore => tirannello => malvagio,  malfattore 

Il Vocabolario Etimologico di Pianigiani (prima edizione 1907), non si spinge a tanto, fermandosi al significato originale "colui che domina la gente", aggiungendo queste considerazioni: "lo che però se sta in accordo con un onesto nome di persona, si ribella al significato obbrobrioso, che è annesso alla voce Manigoldo." Ne conclude quanto segue: "Dunque è chiaro che siamo dinanzi a una confusione di nomi, con idee separate e diverse, a meno che il senso di spregio non sia puramente aneddotico."


Ebbene, esiste la possibilità, a lungo sostenuta dagli studiosi, che manigoldo abbia avuto origine nella Langobardia e che si sia quindi diffuso in Germania come antroponimo. 

Etimologia: 

Protogermanico: *mundōwaldaz "che esercita l'autorità" 
   (< *mundō / *munduz "mano", "autorità";
   -waldaz "che domina")
   Esito longobardo: mundoald "tutore", "guardiano legale" 
   Varianti: mundualt 
   Forma tedesca attuale: Mundwald
   Forme italianizzate: mundoaldo, mondoaldo,
        mundualdo, mondualdo 

La radice mund- (chiaramente imparentata alla lontana con il latino manus), ha dato origine al termine legale latinizzato in mundium (Rotari et al.). 

Esempi di attestazioni datate:

si autem mundoald eius [puellae] consentiens fuerit, aut tradederit eam ante ... duodecim annos, conponat in sagro palatio solidos trecentos, et mundium eius amittat, et sit ipsa cum rebus suis in mundio palatii
(717)

si quis fream alienam sine uolontatem de mundoald eius mouere de casa, ubi inhabitat, presumpserit, et alibi duxerit, conponat ille, qui in caput est, pro inlecita presumptione ad mundoald eius solidos numero octonta 
(727)

si ... quiscumque homo, in cuius mundium non est, hoc facere presumserit, conponat uuirigild suum in sagro palatium, et ipsa cum rebus suis sit in potestatem mundoaldi sui
(728)

ubi ipsa femina pro sua necessitatem nuda esse uedetur, pungere uel percutere presumpserit, conponat ad mundoald eius solidos octuagenta
(731)

ut si aliqua iniuria aut obprobrium, ... aut mortem ibi acceperint, nihil ad ipsas mulieres aut ad uiros aut ad mundoald earum conponant illi, qui se defendendum eis aliqua fecerint lesionem
(734)

si quis inuenerit libera mulierem aut puellam per campum suum seminatum ambolantem et uiam indicantem, pignerit eam, et parentes aut mundoald eius conponat pro ipsa solidos sex
(735) 

serui ipsi tradantur in manus mundoald eius, et ipse faciat de eis, quod ei placuerit
(755)

cum illa compositione quam in publico dare debuerunt vel mundoaldo eius
(779)

et Pisana civitas habeat plenam iurisdicionem ... faciendi iusticiam et etiam vindictam et dandi tutores et mundualdos et alia
(1162)

et dandi tutores et curatores et mundualdos et cetera omnia que iudex ordinarius ab imperatore debet habere ex sua iurisditione in suo districtu
(1191)


Potremmo ipotizzare questa verosimile catena di slittamenti semantici che ha portato da mundoald al manigoldo

tutore => uomo oppressivo, tirannico => malvagio,  malfattore => aguzzino, boia, carnefice  

Dal momento che sussisterebbe qualche difficoltà fonetica, possiamo immaginare che tutto si spieghi con la traduzione in latino del primo membro del composto: 
 
Traduzione: mund- "mano, autorità" => mani- 
Motivo della traduzione: formazione in epoca tarda di un gergo italo-longobardo. 

A riprova di ciò, in italiano esiste un'antica variante inattesa di mundoaldo, che è nata dalla stessa operazione di adattamento tramite traduzione: manovaldo. Questa è foneticamente molto affine a manigoldo.

Tentativi etimologici fallimentari 

Sono stati fatti anche altri tentativi di spiegazione, per lo più incentrati sull'idea che il significato originale fosse quello di "boia". Non risultano affatto convincenti. 
1) Jacob Grimm (1785 - 1863) ha ipotizzato un composto antico alto tedesco formato da menni, meinni , da lui tradotto come "collo", e da gold "oro", a significare quindi "collo d'oro". Sarebbe stato dato a un boia particolarmente vanesio o come denominazione ironica. Il composto, ammesso che sia esistito, significherebbe invece "oro del collare". Infatti menni non significa affatto "collo", bensì "collare"; l'ordine delle parole nel composto è sbagliato.  
2) C'è poi la ricostruzione di manigoldo come Manowalt, tradotto come "che maneggia il collare". Tuttavia l'antico alto tedesco mana non significa affatto "collare", bensì "criniera". 
3) Friedrich Kluge (1856 - 1926) ha invece preso il nome composto Managold interpretandolo come "molto potente" (tedesco Vielherrscher) anziché "che domina le masse", ritenendolo un sinonimo dell'antroponimo greco Πολυκράτης.  
4) Un blogger, Michele Rondelli, ha ipotizzato che manigoldo sia una termine italoamericano proveniente da money "denaro" con l'aggiunta di gold "oro". C'è da dire che la sua suggestione non ha alcuna pretesa di essere autorevole. Non sembra avere ben chiaro che Ariosto non avrebbe potuto usare una parola italoamericana, per semplici ragioni di cronologia. Il composto "denaro" + "oro" non è molto solido. Ho tuttavia ritenuto utile riportare anche questa paretimologia.


Conclusioni 

Si ravvisa sempre il solito problema delle proposte etimologiche datate che vengono rese nuovamente popolari da Google, soffocando ogni iniziativa. Mancano studi innovativi nel mondo accademico. Mi rendo conto che un blog non sia il mezzo adatto per trovare soluzioni a problemi tanto gravi, tuttavia non ci sono molte alternative. 

domenica 20 novembre 2022

UN IMPORTANTE RELITTO LONGOBARDO: MARCOLFA 'PIETRA APOTROPAICA'

Le marcolfe, dette anche margolfe, sono pietre apotropaiche a forma di volto, collocate sulle architravi delle porte, sulle pareti delle case o sulle fontane. In molti casi questi volti hanno un'espressione minacciosa, con occhi dilatati e denti che sporgono, mentre in altri invece sono impassibili o contorti in ghigni grotteschi. Il loro scopo, nel sentire popolare, era quello di custodire i luoghi, tenendo alla larga streghe, spiriti maligni e nemici. Le marcolfe sono particolarmente diffuse nelle zone appenniniche tra Toscana, Emilia Romagna e Liguria, ma se ne trovano anche altrove. 

Anche se l'uso di scolpire questi bizzarri manufatti è certamente antichissimo e precristiano, con ogni probabilità risalente ai Celti (basti pensare al culto dei crani), il loro nome è di chiara origine longobarda. Molte marcolfe risalgono al Basso Medioevo, per lo più dal XIII al XV secolo, ma se ne trovano anche di più recenti, dato che la tradizione non si è mai del tutto interrotta. Si segnala l'opera di Gionata Orsini, un moderno scultore di Fanano, nel Frignano, molto impegnato nel dare forma a queste teste petrigne. A quanto ho potuto apprendere nel corso dei miei studi, le marcolfe sono anche chiamate "mummie", anche se non mi è chiaro il motivo di questa denominazione. 



Etimologia: 

Protogermanico: *markō "confine", "regione", "area"
Protogermanico: *wulfaz "lupo" 



Composto: 

Protogermanico: *markōwulfaz 
Significato: lupo dei confini, i.e. custode dei confini 

Esiti longobardi: *marchulf, *marcholf 
    Forme plurali: *marchulfos, *marcholfas 
    Esiti romanzi: marcolfa, margolfa 
N.B. 
Si è avuta una reinterpretazione, del tutto naturale, delle forme plurali longobarde intese come forma singolare femminile, in origine di significato collettivo. 

La terribile Marcolfa

Notiamo subito che la designazione delle pietre antropomorfe descritte richiama un nome di persona femminile ormai rarissimo e ignoto ai più. Marcolfa è un personaggio immaginario, moglie di Bertoldo, madre di Bertoldino e nonna di Cacasenno. Donna molto rude ma di grande saggezza, è protagonista di due racconti di Giulio Cesare Croce (San Giovanni in Persiceto, 1550 - Bologna, 1609): 

1) Le sottilissime astuzie di Bertoldo
2) Le piacevoli et ridicolose simplicità di Bertoldino

Questi racconti sono stati raccolti nel 1620 nel volume Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, con l'aggiunta dell'ulteriore seguito, Novella di Cacasenno, figliuolo del semplice Bertoldino, scritto da Adriano Banchieri. Le vicende ebbero poi diverse trasposizioni cinematografiche; nella più celebre, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, diretta da Mario Monicelli nel 1984, i panni di Marcolfa erano vestiti da Annabella Schiavone. È quel film con un Ugo Tognazzi particolarmente grottesco eppur massiccio, per non parlare del figlio di Maurizio Nichetti che fa appena in tempo a nascere e già smerda tutti, a partire dal Re: ricordo ancora le scariche di diarrea in faccia dell'esterrefatto Lello Arena! 

Origini dei nomi Marcolfo, Marcolfa 

Ora presento il problema. Giulio Cesare Croce, vissuto in epoca prescientifica, ignorava tutto sulla lingua dei Longobardi. Si cullava nell'illusione che Alboino (circa 530 - 572) parlasse italiano - basti pensare all'epitaffio di Bertoldo - oppure una lingua galloitalica non diversa da quelle di uso corrente nell'Italia Settentrionale nel XVI secolo. Ignorava del tutto l'esistenza di una lingua germanica che era stata portata da Nord e che continuava nel suo sacrosanto uso. Sarebbe andato vicino al vero se avesse affermato che Alboino parlava todesco. Quello che lo scrittore non poteva immaginare è che non esiste un formante antroponimico femminile -olfa derivato dal maschile -ulf, -olf, che invece è ben documentato da innumerevoli esempi e significa "lupo" (dal protogermanico *wulfaz). Eppure la forma femminile di Marcolfo esisteva già prima di Croce e in particolare era presente in area alto tedesca. Come spiegare la cosa? Possiamo soltanto dedurre che l'antroponimo femminile Marcolfa è stato derivato a partire da quello maschile come forma secondaria. 

Attestazioni in antico alto tedesco: 

Markulf
Marculf (*),
Marculph (*), 
Markolf
Marcolf (*),
Marcholf (*), 
Markholf (**)

(*) 
Förstemann, 1856.
(**) Arcivescovo di Magonza (1141 - 1142). 

Significato:
Lupo dei Confini, i.e. Colui che custodisce i confini 

Forme latinizzate: 

Marculphus,
Marcolfus 

Forma femminile: 

Marculpha 
(derivata dal maschile Marculph)
N.B.
Il significato non è "Lupa dei Confini" o "Colei che custodisce i confini", bensì "(Che è come) Marcolfo", "(Simile a) Marcolfo".

Natura dell'antroponimo:
apotropaica 

Per far comprendere meglio il menzionato problema del femminile, basti menzionare che il nome germanico della lupa è molto diverso e non è usato come formante antroponimico. 

Protogermanico: *wulbī / *wulgī 
Significato: lupa 


Brevi note agiografiche 

San Marculfo (circa 500 - 588) era un abate franco, festeggiato il 1° maggio. Monaco ed eremita, fu quindi abate di Nantus e di Cotentin. Le sue reliquie furono traslate a Corbeny, in Normandia, e in seguito usate per l'incoronazione dei re di Francia. 

Marcolfo: origini del personaggio grottesco

Il Dialogus Salomonis et Marcolphi (Dialogo di Salomone e Marcolfo) è una novella medievale satirica, derivata dal ciclo salomonico e di antica tradizione: nel Decretum Gelasianum (VI secolo) era già presente nella lista dei testi apocrifi e proibiti un'opera di argomento simile, menzionata come Scriptura quae appellatur Salomonis Interdictio. Il testo in latino della novella risale al XII secolo ed è scritto nel pungente e scurrile stile dei clerici vagantes. Questo è l'incipit:  
 
«Cum staret rex Salomon super solium David patris sui,
plenus sapiencia et divicijs,
vidit quendam hominem Marcolfum nomine
a parte orientis venientem,
valde turpissimum et deformem, sed eloquentissimum.
Uxorque eius erat cum eo,
que eciam nimis erat terribilis et rustica.» 

«Il re Salomone, sedendo sul trono di Davide suo padre,
colmo di sapienza e di ricchezze,
vide un tale individuo di nome Marcolfo
che giungeva da oriente,
davvero orribile e deforme, ma tanto loquace.
E la moglie di questi era con lui,
ed anch'essa era davvero terribile e rozza.» 


Le testimonianze sono tuttavia più antiche e risalgono al X secolo. Il dottissimo abate Notkero III Labeone di San Gallo (circa 950 - 1022) fa menzione del grossolano ma furbissimo Marcolfo: 

«Vuaz ist ioh anderes daz man Marcholfum saget sih éllenon uuider prouerbiis Salomonis?
An diên allen sint uuort scôniû, âne uuârheit.» 

«Cos'è mai ciò che Marcolfo argomenta contro i proverbi di Salomone?
Null'altro che belle parole senza verità alcuna.» 
N.B.
I nomi propri maschili avevano spesso terminazioni latine anche in testi in antico alto tedesco della Germania, proprio come nelle attestazioni longobarde!   

Risulta evidente che questo Marcolfo altri non è che il prototipo del Bertoldo di Giulio Cesare Croce (e di Monicelli). L'opera medievale era però ben più interessante: parlava di eruttazioni dal culo! 

Salomon: Benefac iusto, et invenies retribucionem magnam ; et si non ab ipso, certe a domino.
Marcolfus: Benefac ventri, et invenies eructacionem magnam ; et si non ab ore, certe a culo.

Come si può vedere, il Signore finiva con l'essere contrapposto al deretano! 
Il Croce, piuttosto pudibondo e forse temendo processi per eresia, si è dato da fare per "ripulire" ogni traccia di escrementi e di volgarità dal testo mediolatino. Inoltre ha cambiato la sua ambientazione, sostituendo Salomone con il grande Re dei Longobardi, Alboino. Dei due cambiamenti appena citati, gradisco poco il primo, mentre sono entusiasta del secondo. 
Ne discende in italiano letterario la voce marcolfo "persona rozza e ignorante". 


Un paio di strani esiti 

Troviamo, in area tedesca, anche due varianti molto problematiche di Markulf, prive di ogni traccia di consonante occlusiva velare: Marolf, Morolf. Un poemetto tedesco databile al 1190 circa si intitola Salman und Morolf. Con ogni probabilità è un altro antroponimo, Marwolf, il cui primo elemento è l'antico alto tedesco mâri "famoso". La confusione con Markulf potrebbe essere dovuta a ragioni superstiziose. Mi propongo di indagare meglio la cosa in successivi approfondimenti. 

Curiosità 

Dario Fu, pardon, Dario Fo, nel 1958 scrisse La Marcolfa, commedia in unico atto. Narra la storia di una donna brutta e povera, che di colpo viene chiesta in sposa da un gran numero di signorotti, convinti che lei sia in possesso di un biglietto vincente della lotteria. 

Conclusioni 

Il nome delle marcolfe, pietre apotropaiche, in ultima analisi ha la stessa etimologia degli antroponimi Marcolfo e Marcolfa, derivando dallo stesso composto protogermanico, tuttavia tramite diverse trafile che ne spiegano le peculiarità morfologiche.

venerdì 4 novembre 2022

ETIMOLOGIA DI TANGO

Un caso particolarmente arduo da trattare è quello dell'etimologia del nome del famosissimo ballo argentino, il tango. Le proposte sono innumerevoli, contraddittorie e poco convincenti. 

Ricordo un grossolano tentativo di spiegare la parola, che fu enunciato da un partecipante alla prima edizione del Grande Fratello, Pietro Taricone - nel frattempo deceduto. All'epoca il "gieffino" esibiva qualche rudimento di latino, vantandosi di essere un maestro di etimologie: tra le sue "perle" si riportano snob spiegato come "sine nobilitate" (ossia "senza nobiltà") e il toponimo belga Spa interpretato come "salus per aquas" (ossia "salute per mezzo delle acque"). Allo stesso modo riconduceva tango, nome del ballo argentino, al verbo latino tangere "toccare", ritenendolo una pura e semplice forma coniugata (prima persona singolare del presente indicativo, tango "io tocco"). Il suo ragionamento era questo:  quando si balla il tango si tocca la donna, la si palpa sensualmente, così la danza stessa deve per forza di cose prendere il nome da questa attività sessuale pubblica. Non a caso, il tango fu condannato dalla Chiesa Romana, in tempi in cui il tuonare di un Pontefice aveva ancora qualche importanza e poteva incutere timore in vasti strati della popolazione, un po' come il Mago di Oz. 

Passiamo ora in rassegna quanto ho potuto reperire. 

Etimologie neolatine di tango 

A dire il vero, l'origine da esiti romanzi del latino tangere "toccare" è stata più volte proposta, tuttavia non nel senso di "toccare una donna", bensì in quello di "toccare uno strumento (a corda)", ossia "suonare uno strumento", oppure in altri modi più complessi e implausibili. 
Ecco un elenco di proposte: 
1) Spagnolo tañer "suonare uno strumento". 
"Altri ritengono che il termine derivi dallo spagnolo tañer (a sua volta dal latino tangĕre), cioè suonare uno strumento." 
(estratto da: Una parola al giorno)
2) Portoghese tanger "suonare uno strumento" (corrisponde allo spagnolo tañer). 
3) Portoghese tangomão "trafficante di schiavi in Africa", "portoghese africanizzato". William W. Megenney (2003) suppone che si tratti di un composto di tanger e di mão "mano", quasi un "toccamano", attribuendo la sua prima attestazione al creolo portoghese di São Tomé descritto da Alonso de Sandoval (XVII secolo). Lo stesso Megenney la somiglianza alla parola espressiva portoghese tanglomanglo, tanglomang, tangolomango "specie di magia, stregoneria", che ne potrebbe essere una deformazione. Sono tuttavia dell'idea che tangomão sia piuttosto un adattamento dell'arabo ترجمان tarjumān "interprete"
4) Antico francese (dialetto di Normandia) tangue "tipo di ballo". La parola, attestata in epoca medievale, appartiene di certo alla descritta categoria semantica. È verosimile che fosse un ballo con accompagnamento di strumenti a corda, da cui il nome. Ovviamente non ha nulla a che fare con l'omofono tangue, tanque "concime di alghe", che è dal norreno þang "alghe".  
5) Francese tanguer "beccheggiare", "oscillare", tangage "beccheggio, movimento oscillatorio". Sono parole tipiche del gergo marinaresco, derivate dall'antico francese tengre "oscillare". Anche se ci sono dubbi, la radice dovrebbe essere dal latino tangere "toccare", con questo slittamento semantico:
"toccare" => "toccare ritmicamente" => "far oscillare" => "beccheggiare", "oscillare". Si noti però che esiste in antico frisone il verbo tangeln "oscillare", che suggerisce piuttosto un'origine germanica.
6) Spagnolo tángano "gioco che consiste nel cercare di abbattere un cilindro lanciandogli contro pezzetti di pietra, ossicini o dischi". Il gioco è anche chiamato tanga, mentre il cilindro da colpire è chiamato tango. Queste parole, tángano, tanga e tango, sono fatte derivare dal latino tangere "toccare". È il solito genio dei romanisti. Da qui è nato il mito secondo cui il tango avrebbe tratto il suo nome da un ossicino! Non si capisce secondo quale logica. 

Etimologie Romaní di tango 

1) Secondo quanto riportato da William Sayers (2013), la parola tango sarebbe di origine Romaní e deriverebbe da un precedente *tanzkó, dove -kó è un tipico suffisso agentivo. La radice della parola sarebbe un prestito dal tedesco Tanz "danza, ballo". Questa parola *tanzkó dovrebbe essere giunta  nella regione rioplatense dal Kalderash (lingua di un importante sottogruppo Rom della Romania), non dal Caló (lingua para-Romaní iberica). 
Si vede che questa derivazione è abbastanza implausibile per motivi fonetici. Non si dovrebbe avere la scomparsa di -z- nel gruppo consonantico -nzk-. In spagnolo, una simile parola avrebbe poi dato *tazco, non tango
2) Un'altra possibilità, sempre riportata in Sayers (2013), è che tango derivi dalla parola Romaní tang "stretto, compresso; costretto, forzato" (variante tango). La semantica sarebbe abbastanza ragionevole: l'uso di questo aggettivo deriverebbe dal fatto che l'uomo e la donna ballano appiccicati, avvinghiati, stretti l'uno all'altra. Anche se per altra via, senza passare attraverso il latino scolastico, si arriverebbe ancora all'idea espressa a suo tempo da Taricone. In ogni caso, sembra che questo aggettivo tang, tango non sia applicato al ballo. Ci vorrebbe il parere di uno ziganologo, anche se tutto questo convince poco. 

Etimologie arabe di tango 

1) Nell'Andalusia è in uso la parola tanguillo, che indica un tipo di danza, il flamenco. L'origine è dall'arabo taḥanjul, parola rara e difficilmente traducibile, connessa con il verbo biyitḥanjil "egli fa qualche passo di corsa seguito un gran salto". La consonante affricata araba -j- (suona come la g- di getto) sarebbe diventata un'occlusiva velare -gu- in andaluso (suona come la g- di gatto) - cosa di per sé abbastanza strana. L'ipotesi è che da questo tanguillo sia poi stato retroformato tango, essendo l'elemento -illo interpretato erroneamente come un suffisso diminutivo.
2) La parola araba طنبور ṭunbūr "strumento musicale a corde", confusa in parte con طبول ṭabūl "tamburi" (plurale di طبل ṭabl "tamburo"), ha dato l'italiano tamburo e lo spagnolo tambór. L'ipotesi diffusa è che tambór, pronunciato tambó dagli schiavi africani deportati in America Latina, sia poi diventato chissà come tangó. Quindi, per retrocessione dell'accento, questo tangó sarebbe diventato infine tango. Non mi risultano casi di sviluppo di -mb- in -ng- e sono incline a rigettare questa teoria già soltanto per la sua implausibilità a livello fonetico. La semantica è essa stessa poco soddisfacente. Si immagina che si sia avuto il passaggio da "tamburo" a "ballo al suono dei tamburi", da cui "tipo di ballo". Troviamo attestazioni di tango con significati come "spazio chiuso per feste comuni", "società di neri liberi e liberti", "luogo di riunione di dette società", che però non è affatto un derivato di tambó(r): sembra essere invece una voce di origine africana (vedi nel seguito). Si sarebbe quindi avuta la coalescenza di due parole del tutto diverse.   

Etimologie africane di tango 

Cercare in Africa possibili parole in grado di spiegare le origini del tango, si rivela un'impresa molto difficile. Ci si imbatte in problemi come la scarsa disponibilità di dati, la facilità che le informazioni siano distorte, la mancanza di ricostruzioni complete e affidabili delle protolingue. Megenney (2003) riporta alcuni dati, da me integrati con altre fonti disponibili nel Web, inclusi vocabolario on line.  

1) Lingue Bantu  
- parole col significato di "riunione" 
Ai tempi della tratta degli schiavi era usata la parola tango "punto di raccolta degli schiavi", in Africa; "punto di vendita degli schiavi", nelle Americhe (José Gobello, Ricardo Rodríguez Molla). Questo vocabolo deve aver avuto origine in una lingua Bantu al momento non identificata. 
Kikongo: tango "tipo di suono di tamburo, danza e canto del Congo" (Díaz Fabelo, 1998) 
Kikongo: tanga "festa, banchetto", plurale matanga "feste, banchetti" 
- parole col significato di "sole", da cui "ora" e quindi "spazio", "tempo"
Kikongo: ntangu "sole" (sinonimo: mwini "sole") 
Kikongo (dialetto Luango): ntango "sole" (Diaz Fabelo, 1998)
Kituba: ntangu "momento", "tempo", "era" 
Lingala: ntango "tempo"
- parole indicanti una caratteristica legata al movimento 
Kikongo: tánngu "versatilità" (Megenney, 2003)  
2) Lingue non Bantu  
- Ibibio: tamgu "danzare" (Etymonline.com). 

La lingua Ibibio, parlata in Nigeria, appartiene alla famiglia Volta-Congo. Nel 2013 contava circa 4,5 milioni di locutori. La derivazione della parola tango da un verbo Ibibio sembra lineare e plausibile, tanto da essere considerata la soluzione del problema da diversi siti di grande importanza, tra cui Wiktionary. A dispetto di ciò, trovo lecito nutrire qualche dubbio e preferisco l'ipotesi della parola Bantu col significato di "riunione". 

Altre etimologie di tango 

1) Sayers (2013) riporta una proposta etimologica dal tedesco Tingel-Tangel "ballo da cabaret". Verosimilmente si tratta di una denominazione gergale di origine espressiva. 
2) Blas Matamoro (1996) propone addirittura l'origine dal vocabolo Quechua tampu che significa "luogo di riunione", "taverna" (adattato in spagnolo come tambo), menzionando quindi il tango come una danza usata nell'isola canaria di Hierro nel XIX secolo, supponendo che vi sia stata introdotta dal Sudamerica coloniale. 
3) C'è chi ha proposto che tango derivi da fandango "tipo di danza andalusa", la cui etimologia è incerta, nella migliore delle ipotesi. L'unica labile proposta a cui ho potuto accedere, è che la parola fandango abbia connessione con il portoghese fado "canzone popolare", alla lettera "fato, destino". La trovo risibile. Comunque sia, il passaggio da fandango a tango è sommamente implausibile già per motivi fonetici. 
4) Tra le più stravaganti proposte c'è quella dell'origine dal supposto nome di una città giapponese, Tango: sarebbero state le comunità nipponiche trapiantate a Cuba nel XIX secolo a inventare il ballo da cui sarebbe poi derivato il tango. Chiaramente è una ridicola storiella di etimologia popolare inventata ex post. Non ho trovato una città giapponese, bensì una provincia con tale nome. Questo riporta Wikipedia: "Tango, propriamente Tango no Kuni (丹後国), fu una provincia del Giappone, nell'area che è ora la parte settentrionale della prefettura di Kyoto, di fronte al mare del Giappone. Tango confinava con le province di Tajima, Tamba e Wakasa. In periodi diversi sia Maizuru che Miyazu furono le capitali della provincia di Tango." 

Origine onomatopeica 

Questo riporta il Vocabolario Treccani alla voce "tango":

[voce spagn., di origine sudamer. e forse di natura onomatopeica (si ritiene che abbia indicato dapprima un tipo di tamburo e poi una danza eseguita da neri al suono del tamburo)] 

Sarebbe dunque una parola fatta di aria sottile, senza alcuna reale provenienza da una qualsiasi lingua umana: soltanto il suono del tamburo reso foneticamente come "tang tang", nella regione del Río de la Plata. Come teoria mi pare abbastanza ridicola. 

Sono convinto che, con un po' di pazienza, riuscirei a raccogliere molte altre proposte etimologiche ancora più strambe! Sono convinto che non manchi chi si cimenterebbe nel costruire storielle a partire da vocaboli puramente omofoni, come lo Swahili tango "cetriolo", il Tagalog tango "cenno" e il giapponese たんご tango "parola"!

Link: 

William W. Megenney, 2003: 
https://www.jstor.org/stable/23054732

William Sayers, 2013: 
https://www.jstor.org/stable/43803264 

Conclusioni: 

Capisco bene lo scetticismo e lo sfinimento. C'è sempre chi afferma un radicale nichilismo gnoseologico imbattendosi negli infiniti e inconcludenti tentativi di trovare un'etimologia credibile al  nome del tango. Riporto addirittura il caso di un internauta che, di fronte alla teoria dell'ossicino e alla teoria dei Giapponesi, urla a gran voce: "DROGA!" Si pretendono risposte esatte, assolute, irrevocabili. Se queste non arrivano, ecco che i filologi e i linguisti si drogano! Detto questo, rimango dell'idea di un'origine Bantu e sono convinto che col tempo si potrà fare maggiore chiarezza. 

venerdì 23 settembre 2022

ETIMOLOGIA DI VADUZ

Il Principato del Liechtenstein è una micronazione situata nell'arco alpino, incastonata tra la Svizzera e l'Austria. In effetti è uno dei paesi più piccoli del mondo. La lingua ufficiale è il tedesco standard ed è correntemente parlato un dialetto alemannico. Questa varietà di alemannico, usata dal 73% della popolazione (dato 2020), è molto divergente dal tedesco standard, che invece è usato dal 92% della popolazione (dato 2020). Tecnicamente parlando, vi sono due gruppi di dialetti; alto alemannico nel nord e altissimo alemannico nel sud. La capitale del Principato ha un nome che desta subito l'attenzione per il suo singolare aspetto fonetico: Vaduz. L'accento è sull'ultima sillaba. Riporto nel seguito alcuni dati sintetici:  

Tedesco standard: Vaduz 
   Pronuncia: /fa'dʊts/, /va'du:ts/ 
   Declinazione: gen., dat., acc. Vaduz 
Alemannico: Vadoz 
   Pronuncia: /fa'dots/
Prima attestazione: Faduzes
    Anno: 1175-1200 
Attestazioni successive (XIII sec.): Faduzze (1250), Vaducz, Vaduz (1249, 1304), Vadutzze, Vadutz  



Ci si pone ora una domanda. Qual è l'etimologia del toponimo Vaduz? A questo proposito, in letteratura si trovano due possibilità. 

1) Vaduz deriva dal latino Vallis Dulcis, ossia "Valle Dolce".  Il riferimento è alla grande bellezza dei luoghi e all'amenità del clima. Questa teoria in passato era molto accreditata. Friedrich Umlauft ha scritto in una nota nel suo libro "Das Fürstenthum Liechtenstein. Geographisch, historisch, touristisch" (1891): "Vaduz oder Valdulz, corrumpirt aus dem rätoromanischen Valdultsch, ist gleich "Süßthal", ehedem Valdulz, Valdultsch", ossia "Vaduz o Valdulz, corrotto dal retoromancio Valdultsch, è uguale a "Valle Dolce", anticamente Valdulz, Valdultsch" (i grassetti sono miei). Resta il fatto che non sono riuscito a trovare alcuna attestazione delle forme Valdulz e Valdultsch. All'epoca non erano diffusi gli asterischi per contrassegnare le forme ricostruite o congetturali. Fatto sta che la nota di Umlauft è stata citata centinaia e centinaia di volte, acquisendo un prestigio senza limiti.
 
2) Vaduz deriva dal latino Aquaeductus, ossia "Aquedotto". In romancio esiste la parola auadutg "canale del mulino", "conduttura" (glossa tedesca: Wasserleitung; offener Wassergraben, Kanal für Mühlen), da alcuni riportata come avadutg, che deriva direttamente dal latino aquaeductus "acquedotto". La sua pronuncia è /ava'dutʃ/ e presenta numerose varianti, come auadottel, aquaduct, etc. Il riferimento è ai canali che a quanto pare sarebbero stati usati già nel XII secolo per alimentare le numerose segherie e i mulini dell'area, che ferveva di frenetica attività imprenditoriale. Questa teoria alternativa sembra acquistare sempre più sostegno. 

Questo è quanto, allo stato attuale delle cose, è riportato sul Wiktionary in inglese: 


Etymology 

Via Rhaeto-Romance auadutg from latin aquaeductus.

Questo è quanto, allo stato attuale delle cose, è riportato sul Wiktionary in tedesco (i grassetti sono miei):


Zur Herkunft des Ortsnamens gibt es verschiedene Theorien: Einmal glaubt man, festgestellt zu haben, dass ein Bezug zum lateinischen vadum oder vadutium (Furt) bestehe. Dieser Ansatz gilt heutzutage als falsch. Es wird nun davon ausgegangen, dass Vaduz dadurch entstanden sei, dass aus dem Lateinischen das Wort aquaeductus (Wasserleitung, Wassergraben, Mühlgraben) in das Alträtoromanische als auadutg übergegangen sei. Die Übersetzung Mühlgraben oder Mühlgerinne ist den anderen vorzuziehen, da Wassergräben in Liechtenstein in früherer Zeit ungleich seltener vorkamen als Mühlgräben. Anlass zur Benennung des Ortes nach einem Mühlgraben hat aller Wahrscheinlichkeit nach eine Mühle am heute kanalisierten Altabach gegeben.[1]
Eine andere Quelle spricht davon, dass der Name der Gemeinde sich aus Valdutsch entwickelt hat, was sich aus dem lateinischen Wort vallis (Tal) und dem althochdeutschen diutisk (deutsch) zusammensetzt.[2]

1. Historischer Verein für das Fürstentum Liechtenstein: Vaduz
2. Wikipedia-Artikel „Vaduz“ 

Traduzione in italiano: 

Esistono diverse teorie sull'origine del toponimo: in primo luogo si ritiene sia stabilito un collegamento con il latino vadum o vadutium (guado). Questo approccio è oggi considerato sbagliato. Ora si suppone che Vaduz sia nata perché la parola aquaeductus (conduttura dell'acqua, canale dell'acqua, corsa del mulino) è stata trasferita dal latino nell'antico romancio come auadutg. La traduzione "fossato del mulino" o "canale del mulino" è preferibile alle altre, poiché in passato nel Liechtenstein i fossati erano molto meno comuni dei fossati dei mulini. Il motivo per cui la località prese il nome da una corsa di mulini era molto probabilmente un mulino sull'Altabach, che ora è canalizzato.(1)
Un'altra fonte afferma che il nome del comune deriverebbe da Valdutsch, composto dalla parola latina vallis (valle) e dall'alto tedesco antico diutisk (tedesco).(2)  

1. Associazione storica per il Principato del Liechtenstein: Vaduz
2. Articolo di Wikipedia “Vaduz
 
Non solvitur? Non proprio

Sono partito dal fatto che in romancio il digramma tg trascrive il suono palatale (affricata postalveolare) sordo /tʃ/.
Il passaggio dal latino volgare -ct- a /tʃ/ è molto comune: si trova anche nelle lingue galloitaliche, oltre che in spagnolo (es. octō "otto" > ocho). 
Invece in Vaduz si trova /ts/, che a quanto ne so non è mai il prodotto del latino volgare -ct- (se qualcuno può confutarmi portandomi esempi in qualche remota lingua locale, è di certo il benvenuto).  
Ho quindi dedotto che Vallis dulcis è possibile e plausibile, mentre Aquaeductus è comunque possibile ma abbastanza implausibile. 
Questa mia prima conclusione si è dimostrata troppo tecnicistica e frettolosa, non avendo tenuto conto dell'estrema variabilità dei dialetti della lingua romancia e del fatto che auadutg è  una voce semidotta. Rianalizzando la questione, ecco quanto ho appreso. 
Un esito /ts/ è il prodotto a partire dalla desinenza del plurale -s: aquaducts "canali del mulino", che è una forma attestata anche nella variante Avaduz (1725). Tutto mi è stato chiaro consultando il Dicziunari Rumantsch Grischun, disponibile online. Riporto il link (i grassetti sono miei): 


Flurnamen (aus RN.): als Adúts, Idúts (Tujetsch); Aquaduck, -dutgi, -dugt (Urk. 1448, Untervaz); Uadọ́tg (Bach, Lohn); Avaduz (Urk. 1725, Filisur); Suot Aguadottas (Äcker und Wiesen in Zuoz, urkundl. 1479 subter awadoytta, 1547 Sutaguaduttas, 1650 Suott aguaduattas, 1655 Suottaguaduottels). Gaduottel, Vaduottel (Wiese, Lavin, urkundlich 1742 guaduotel).  

Traduzione in italiano:   

Nomi di campi (da RN.): als Adúts, Idúts (Tujetsch); Aquaduck, -dutgi, -dugt (docum. 1448, Untervaz); Uadọ́tg (ruscello, Lohn); Avaduz (documento del 1725, Filisur); Suot Aguadottas (campi e prati a Zuoz, documentati nel 1479 subter awadoytta, 1547 Sutaguaduttas, 1650 Suott aguaduattas, 1655 Suottaguaduottels). Gaduottel, Vaduottel (prato, Lavin, documentato nel 1742 guaduotel).* 

*Tujetsch, Untervaz, Lohn, Filisur, Lavin sono cognomi di autori.

Conclusioni 

A questo punto non ci sono dubbi che la teoria dell'origine di Vaduz da Vallis Dulcis debba per necessità tramontare. Nel territorio del Liechtenstein era un tempo parlata una lingua retoromanza, con ogni probabilità affine al romancio dei vicini Grigioni. È possibile che questa lingua si sia estinta nel corso del XIII secolo. L'area è stata quindi interamente germanizzata da popolazioni di lingua alemannica: fa parte a tutti gli effetti della Romània sommersa

lunedì 19 settembre 2022

ETIMOLOGIA DELLO SPAGNOLO BRUJO 'STREGONE', BRUJA 'STREGA'

Il professor Fabio Calabrese, persona di cui ho la massima stima, molto spesso si diverte a fare battute argute fondate su assonanze. In una di queste, la parola spagnola brujo "stregone" è considerata omofona dell'italiano bruco "larva di lepidottero". In realtà la pronuncia non è proprio identica. L'omofonia è molto approssimativa: in spagnolo c'è una fricativa velare /x/, mentre in italiano c'è una semplice occlusiva velare /k/. In altre parole, -j- in brujo ha un suono simile a quello di -ch- del tedesco Achtung. Mi rendo conto che per un parlante della lingua italiana non sia facile distinguere suoni a cui non è abituato. Detto questo, sorge una domanda. Qual è l'etimologia delle parole spagnole brujo "stregone" e bruja "strega"? 

L'idea dei romanisti, che sono inclini a spiegare Omero con Omero, è che il brujo sia proprio un bruco, ossia una larva di lepidottero, intesa come manifestazione demoniaca. La parola viene quindi ricondotta al greco βροῦχος (brûkhos) "tipo di locusta senza ali", passato in latino tardo come brūchus, da cui per l'appunto l'italiano bruco. La parola greca, presente in liste di vocaboli di epoca bizantina, è attestata anche la variante βροῦκος (brûkos), senza consonante aspirata; Esichio ci riporta per Creta la variante βρεῦκος (brêukos). L'origine ultima è sconosciuta, anche se si riconosce il suo aspetto non indoeuropeo. Un possibile lontano parente potrebbe essere il latino ērūca "bruco", con la variante ūrūca (potremmo ricostruire una protoforma *ewrouka). L'idea evocata è quella di una masticazione immonda, di un rosicchiare magico che indurrebbe il maleficio, provocando un danno ai viventi - esseri umani o animali che siano.  

I romanisti in questione non tengono conto del fatto che la parola in analisi non è presente soltanto in spagnolo, ma anche in altre lingue romanze occidentali (in cui -x- ha il suono "palatale" /ʃ/, come sc- nell'italiano scia): 

Galiziano: bruxa "strega"
Portoghese: bruxa "strega"
Catalano: bruixa "strega"
Occitano: bruèissa "strega" 

Non tengono nemmeno conto del fatto che al tempo dei Conquistadores, anche j in spagnolo aveva lo stesso suono palatale /s/, del tutto dissimile dall'attuale aspirazione: bruja era pronunciato /ʃ/ e in italiano sarebbe trascritto come *bruscia. La parola non può avere nulla a che fare col bruco. Si tratta di una parola preromana sopravvissuta come elemento di sostrato. 

Ecco la protoforma ricostruibile:  

Proto-celtico: *bruχtijā "strega"  
  Celtiberico: *brūχsā "strega" 
  Note: 
Si è avuta un'assibilazione e la vocale tonica si è allungata per compenso. La forma proto-romanza evolutasi da queste premesse è *brùissa, da cui si sono originate le forme documentate nelle varie lingue della Penisola Iberica. 

Proto-celtico: *briχto-, *briχtu-, *briχtijā "magia" 
   Gallico: brictom, brixtia "magia" 
       (bnanom brictom "la magia delle donne", Piombo
       di Larzac; brixtia anderon "con la magia delle donne", 
       Piombo di Chamalières)
   Antico irlandese: bricht "incantesimo, formula magica"
        (gen. brechtobrechta
      Gaelico d'Irlanda: briocth "incantesimo"; "amuleto"
   Medio gallese: bryth-, -frith "magia"
         (brythron "bacchetta magica"; lledfrith "illusione",
         lett. "mezza magia")
      Gallese moderno: lledrith "illusione"  



L'etimologia ultima è incerta. Secondo alcuni potrebbe essere una variante di una ben nota radice di origine indoeuropea, comune al proto-germanico: 

Proto-celtico: *berχtos "splendido" 
   Antico irlandese: -bertach "splendido" 
      (Flaithbertach "Splendido Principe", antroponimo)
   Medio gallese: berth "bello"; "prospero, ricco"
      Gallese moderno: berth "bello"; "prospero, ricco" 
   Medio bretone: berz "prosperità" 
      Bretone moderno: berzh "prosperità" 


Proto-indoeuropeo: *bherg'h- "splendere", 
        *bherg'h-tó-s "splendente" 
   Proto-germanico: *berχtaz "splendente" 
      Gotico: bairhts "splendente" 
      Antico alto tedesco: beraht "splendente" 
      Norreno: bjartr "splendente" 
    etc.

La semantica non è affatto soddisfacente e sono incline a rigettare questo collegamento. L'idea più sensata è a parer mio quella di considerare il nome proto-celtico della magia un residuo preindoeuropeo oppure un resto di una forma di indoeuropeo preceltico ancora da chiarire. Siamo davanti a un percorso in salita! 

Esisterebbe un'altra possibilità, che non è priva di problemi fonologici. La semantica sarebbe connessa alla visione sfocata, all'inganno allucinatorio della magia. 
 
Proto-gallo-britannico: *briχtos "maculato, screziato" 
   Antico gallese: brith, glossa latina pictam 
     Medio gallese: brith "maculato, screziato" 
     Gallese moderno: brith "maculato, screziato"; "grigio"
         (detto di capelli)
   Medio bretone: briz "maculato, screziato" 
      Bretone moderno: brizh "maculato, screziato"
   Antico cornico: bruit "screziato, striato"
      Cornico: brith, bryth "screziato, striato"; "tartan" 
 
Il punto è che la forma proto-celtica da cui deriva ha *mr-

Proto-celtico: *mriχtos "maculato, screziato" 
   Antico irlandese: mrecht "maculato, screziato" 


Così in antico irlandese abbiamo mrecht "maculato" contro bricht "incantesimo, formula magica": due forme ben distinte tra loro e non assimilabili.

Esistono altre teorie alternative, a parer mio meno plausibili di quella sopra esposta. Le esporrò in questa sede per sommi capi. 

1) Il nome spagnolo della strega deriverebbe dal nome di un'antica divinità femmilile. Il significato sarebbe diventato negativo per via del processo di cristianizzazione. 

Proto-celtico *Brigantī "Somma Dea" 
   (gen. *Brigantijās "della Somma Dea") 
       Antico irlandese: Brigit
          Gaelico d'Irlanda: Bríd
          Gaelico di Scozia: Brìghde, Brìde
           Manx: Breeshey
Note: 
Il nome divino femminile è ben conosciuto. Ne deriva anche il nome della Brianza, ossia "(Terra) della Somma Dea". La radice è molto produttiva e ne è attestato un derivato notevole: 

Proto-celtico: *brigantīnos "capo", "sovrano"
  Antico bretone: brientin, brientinion "sovrano"
    Medio cornico: brentyn, bryntyn "sovrano"
    Medio gallese: brenhin "sovrano" 
      Gallese moderno: brenin "sovrano"
Note: 
In passato questi vocaboli sono stati erroneamente creduto l'etimologia del nome di Brenno.


Proto-indoeuropeo: *bherg'h- "elevare, ascendere"; "essere elevato"  


2) Il nome spagnolo della strega deriverebbe dal nome celtico dell'erica e della brughiera. 

Proto-celtico *wroikos "erica", "brughiera" 
Le parole attestate si sarebbero formate da un composto con un suffisso sibilante: 
maschile *wroiχsos, femminile *wroiχsā  
Significato postulato: "abitante della brughiera".
Dalla stessa radice deriva la parola italiana brughiera, oltre al desueto brugo "erica". Lo stregone, la strega, sarebbero gli abitanti della brughiera. 


Sono propenso a scartare queste etimologie per motivi fonetici. 

Conclusioni 

Spero che questo mio trattatello possa dare un'idea anche vaga di quanta ricchezza culturale è andata perduta per colpa di secolari pregiudizi portati avanti dai romanisti!