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sabato 3 luglio 2021

LADY MONDEGREEN E LE DISTORSIONI PERCETTIVE

La scrittrice e giornalista americana Sylvia Wright (1917 - 1981) ricordava il testo di una poesia che durante l'infanzia sua madre le leggeva spesso. L'autore era il poeta, antiquario e religioso inglese Thomas Percy, nato Piercy (Bridgnoth, 1729 - Dromore, 1811). Il componimento in questione è stato tratto dalla ballata scozzese The Bonnie Earl O' Moray e fa parte della raccolta Reliques of Ancient English Poetry. È scritto in un inglese che presenta una certa influenza della lingua Scots. Ecco il testo nella versione ricordata dalla Wright:
 
Ye Highlands and Ye Lowlands,
Oh Where hae ye been?
They hae slain the Earl Amurray
And Lady Mondegreen.

"Voi monti e vallate,
Oh, dove siete stati?
Hanno ucciso il Conte di Moray
E Lady Mondegreen."
 
Spiccano il pronome ye "voi" (corrisponde a you) e la forma verbale hae "avere" (corrisponde a have). Il problema è che c'è un vistoso errore nell'ultimo verso, causato da una distorsione percettiva! La frase originale era "and laid him on the green" ed è stata segmentata in modo erroneo dalla scrittrice-giornalista, dando origine a un antroponimo femminile fantomatico: Lady Mondegreen.
 
and laid him on the green => and Lady Mondegreen 
 
Questa è la trascrizione IPA della pronuncia, che descrive il mutamento avvenuto:
/ənd 'leɪd (h)ɪm 'ɔn ðəˌgɹi:n/ => /ənd 'leɪdɪ 'mɔndəˌgɹi:n/  

Il pronome obliquo di terza persona singolare maschile, him, spesso perde l'aspirazione e viene agglutinato al verbo che lo precede. In questo caso la consonante finale -m è stata incorporata dalla seguente preposizione on; la fricativa interdentale sonora dell'articolo the è stata percepita come un'occlusiva dentale sonora d-, cosa che senza dubbio ha favorito la creazione di un antroponimo fantomatico. La pronuncia attuale di Mondegreen è /'mɔndɪˌgɹi:n/

Questo è il testo corretto della poesia: 
 
Ye Highlands and Ye Lowlands,
Oh Where hae ye been?
They hae slain the Earl o' Moray
And laid him on the green.
 
"Voi monti e vallate,
Oh, dove siete stati?
Hanno ucciso il Conte di Moray
E lo hanno disteso sul verde."

Questa è la versione in Scots:

Ye Hielands an ye Lowlands,
Oh, whaur hae been?
They hae slain the Earl o' Moray
And lain him on the green. 
 
Si noterà che lo Scots presenta molte più forme verbali irregolari rispetto all'inglese: il verso And lain him on the green non avrebbe potuto essere frainteso come ha fatto la Wright per via della presenza di lain "distesero" anziché laid

Questo è il link all'articolo scritto da Sylvia Wright sull'argomento nel 1954, intitolato The Death of Lady Mondegreen e arricchito con disegni di Bernarda Bryson (che nome evocativo!): 
 
 
Ecco spiegata l'origine della denominazione mondegreen, usata in linguistica per descrivere un particolare tipo di distorsione percettiva in cui una frase viene scambiata per un'altra omofona o quasi omofona. Sia la frase originale che quella male interpretata in genere appartengono alla stessa lingua, ma non necessariamente. In genere un mondegreen avviene ascoltando una canzone, una poesia o uno slogan. Si può descrivere il mondegreen come un fenomeno di pareidolia acustica. Le definizioni inglesi più comuni sono mishearing "malinteso, fraintendimento" e misinterpretation "errata interpretazione". I mondegreen sono particolarmente comuni nella lingua inglese, che è caratterizzata dall'estrema debolezza delle code delle parole. Quando una lingua è composta prevalentemente da monosillabi e da bisillabi, è facile capire male qualcosa: ogni distorsione anche minima avrà gravi ripercussioni. 

Il mondegreen: possibili origini psicologiche
 
Secondo Steven Connor, il mondegreen fa parte del meccanismo conosciuto come dissonanza cognitiva, descritto per la prima volta da Leon Festinger nel 1957. Si può descrivere il cervello umano come una macchina programmata per attribuire un senso a un universo insensato. Quando una persona sente delle parole il cui significato le sfugge, il suo cervello riduce il disagio e la sofferenza mettendosi in azione per cercare di colmare la lacuna conoscitiva, deformando le parole fino a renderle in qualche modo comprensibili. Connor ha definito i mondegreen come "distorsioni del nonsenso nel senso" ("wrenchings of nonsense into sense"). Ecco la citazione dalla sua opera Earslips: Of Mishearings and Mondegreens (2009): 
 
"Ma, sebbene i fraintendimenti possano apparire piacevoli o addirittura sovversivi nel sabotare il senso, in realtà sono essenzialmente neghentropici, vale a dire che spingono verso l'alto il pendio dal rumore casuale alla ridondanza della voce, spostandosi quindi dalla direzione del non senso al senso, dalla non direzione alla direzione. Sembrano rappresentare l'intolleranza dei puri fenomeni. In questo sono diversi dai difetti del linguaggio a cui sono spesso associati. Considerare i lapsus dell'udito semplicemente come il complemento uditivo dei lapsus del linguaggio ne confonde la natura e la funzione programmatica. I fraintendimenti sono i disordini del senso causati dal nonsenso; i fraintendimenti sono la distorsione del nonsenso nel senso." (testo originale: "But, though mishearings may appear pleasingly or even subversively to sabotage sense, they are in fact in essence negentropic, which is to say, they push up the slope from random noise to the redundancy of voice, moving therefore from the direction of nonsense to sense, of nondirection to direction. They seem to represent the intolerance of pure phenomena. In this they are different from the misspeakings with which they are often associated. Seeing slips of the ear as simply the auditory complement of slips of the tongue mistakes their programmatic nature and function. Misspeakings are the disorderings of sense by nonsense; mishearings are the wrenchings of nonsense into sense.").
 
L'iperottimista Steven Pinker, moderno Pangloss nonché massimo esperto mondiale nella difficile scienza della puffologia, si è occupato del fenomeno del mondegreen, cercando in tutti i modi di trovare una spiegazione pierangelista (ossia riduzionista, meccanicista, deterministica, dogmatica). Secondo quanto scritto da Pinker nella sua opera The Language instinct (1994), il mondegreen tende ad essere meno plausibile della frase originale non distorta e crea una sorta di blocco mentale nella persona che ha avuto la distorsione percettiva: una volta fraintesa una frase, scatterebbe un legame emotivo fortissimo con la propria interpretazione fuorviante. Così lo studioso cita l'esempio di uno studente che aveva frainteso una canzone delle Bananarama, Venus (1986), quella che faceva "I'm your Venus, I'm your fire, And your desire" (ossia "Sono la tua Venere, sono il tuo fuoco, e il tuo desiderio"), intrerpretando il ritornello come "I'm your penis, I'm your fire, And your desire" (ossia "Sono il tuo pene, sono il tuo fuoco, e il tuo desiderio"). Questo studente era attratto in modo morboso dai transessuali e fissato con i loro attributi in erezione, tanto che non sapeva pensare ad altro: si masturbava furiosamente fantasticando di penetrare quelle creature androgine mentre raggiungevano l'orgasmo ed eiaculavano. Anche quando è stato messo di fronte alla copertina del disco delle Bananarama, non ha voluto riconoscere il proprio errore. Anzi, in un impeto di ipocrisia si è detto persino sorpreso che una simile canzone fosse trasmessa alla radio. La distorsione percettiva era stata causata da una sola consonante: in inglese Venus suona /'vi:nəs/ e rima con penis, che suona /'pi:nəs/. Io stesso ho frainteso un verso di questa canzone per una consonante, udendo "Making every man mad" ("facendo impazzire ogni uomo") anziché "Making every man a man" ("facendo di ogni uomo un uomo"). 

James Gleick è invece dell'idea che il mondegreen sia una fenomeno abbastanza recente. Nella sua opera The Information: A History, a Theory, a Flood (2011), sostiene che senza l'informazione migliorata e la standardizzazione del linguaggio apportate dalla radio, non ci sarebbe stato modo di riconoscere e di discutere questa esperienza condivisa. Tuttavia l'autore riconosce che nelle canzoni popolari avvengono trasformazioni spontanee del testo quando qualche termine diventa oscuro in quanto non collegabile all'esperienza corrente. Cita come esempio la canzone popolare The Golden Vanity, dove il verso "As she sailed upon the lowland sea" ("Mentre lei navigava sul Mare del Nord") è stato mutato in "As she sailed upon the lonesome sea" ("Mentre lei navigava sul mare solitario") dagli immigrati britannici che si stanziarono in Appalachia. Non avendo più idea di cosa fosse il Mare del Nord, così ben conosciuto dai Vichinghi, lo trasformarono nel mare solitario. Non concordo con Gleick sull'origine non troppo antica del mondegreen, che senza dubbio esiste da quando la specie umana usa il linguaggio articolato. La lingua dei Sumeri aveva in comune con l'inglese moderno la debolezza della coda delle parole: possiamo essere sicuri che vi abbondassero i mondegreen. Alla fine il sumerico è divenuto una lingua puramente letteraria, usata soltanto dai sacerdoti e dagli scribi, forse perché come lingua parlata aveva subìto un'eccessiva degradazione fonetica e dava origine a troppi fraintendimenti. Sarebbe interessante studiare a fondo i documenti in lingua sumerica per trovare qualche possibile traccia di questo processo.
 
Alcuni mondegreen musicali 
 
La canzone Bad Moon Rising dei Credence Clearwater Revival (1969) ha un testo in cui ogni verso termina con le parole "There's a bad moon on the rise" ("C'è una luna cattiva in crescita"). Ebbene, moltissimi anglosassoni hanno inteso "There's a bathroom on the right" ("C'è un cesso sulla destra"). 
La canzone Purple Haze di Jimi Hendrix (1967) ha il verso "Scuse me while I kiss the sky" ("Scusami mentre bacio il cielo"), che è stato costantemente equivocato in "Scuse me while I kiss this guy" ("Scusami mentre bacio questo tipo"). 
Nemmeno i Beatles sono stati immuni al potere del mondegreen: nella canzone Lucy in the Sky with Diamond (1967), il verso "The girl with kaleidoscope eyes" ("La ragazza con gli occhi caleidoscopici") è stato equivocato in un esilarante "The girl with colitis goes by" ("Passa la ragazza con la colite"). La gentile creatura doveva avere occhi magici e bellissimi: è diventata una cagona! 
La missionaria americana Fanny Cosby (1820 - 1915), discendente dei Puritani, ha composto l'inno Keep Thou My Way, il cui verso "Gladly the cross I'll bear" ("Volentieri porterò la Croce") ha subìto una grottesca distorsione in "Gladly, the cross-eyed bear" ("Gladly, l'orso strabico"). A causare il mondegreen è stata la sintassi inconsueta del verso, caratterizzata da un ordine OSV (oggetto-soggetto-verbo), incomprensibile agli attuali anglosassoni.  
 
Alcuni mondegreen letterari 

Lo scrittore e attore irlandese-americano Malachy McCourt ha dato alle sue memorie un titolo singolare: A Monk Swimming (1998). Questo perché ha male interpretato la frase amongst women "tra (tutte) le donne", che compare nella Salutatio Angelica, come a monk swimming "un monaco che nuota". Evidentemente la parola amongst /ə'mʌŋst/ non è stata capita dall'autore perché rara e ricercata. Così ha subìto una profonda metanalisi e la sequenza /ə'mʌŋs(t) 'wɪmɪn/ è diventata /ə'mʌŋk 'swɪmɪn/
Lawrence A. Perkins ha scritto un racconto di fantascienza Come You Nigh: Kay Shuns, pubblicato sulla rivista americana Analog Science Fiction and Fact nel 1970. Il tema fondante di questa storia è la codifica delle comunicazioni interplantarie usando i mondegreen per renderle sicure e incomprensibili agli alieni: ad esempio la parola comunications "comunicazioni" è codificata in "come you nigh, Kay Shuns", ossia "vieni vicino, Kay Shuns".  

Esperienze personali
 
I primi esempi di mondegreen, di cui sono stato consapevole, provengono dalla mia giovinezza. Ricordo quando frequentavo le scuole medie, quel dannato calderone di stramaledetti bulli. Cominciavo a guardare cartoni animati giapponesi, le cui sigle, tradotte in italiano, erano particolarmente grottesche. La sigla della serie Jeeg robot d'acciaio diede luogo ad alcune difficoltà di comprensione a causa della voce del cantante, che impastava le parole. Così la frase "Jeeg va!", con l'accento sulla prima parola, era da me percepita come "Gippa!", con una bizzarra assimilazione consonantica (in tempi abbasstanza recenti, l'amico P. mi ha detto che anche lui sentiva "Gippa!"). Poi c'era la frase "vola fra lampi di blu", pronunciata in un modo che era umanamente impossibile comprendere: alle mie orecchie giungeva come "o la falappi di blu". Ho la chiara memoria di un fatto curioso: anche Beppe Grillo in una trasmissione aveva riportato lo stesso mondegreen, "o la falappi di blu", chiedendosi cosa potesse significare. All'epoca faceva ancora il comico. Il mio cervello, proprio come quello di Grillo, aveva cercato di decrittare la frase pronunciata male, rianalizzandola e creando il verbo falappare, a cui però sembra impossibile attribuire un valore semantico.   
Ricordo quando udii per la prima volta una famosa canzone di Edoardo Bennato, Il gatto e la volpe (1977). La frase "Lui è il gatto ed io la volpe" fu da me compresa come "Lui è il gatto e Dio la volpe". Allo stesso modo, il titolo dello sdolcinato film Il Re ed io (The King and I, diretto da Walter Lang, 1956) fu da me compreso come "Il Re e Dio". Anche il titolo originale può essere frainteso in modo simile come The King and Die!, anche se non è grammaticalmente sensato. In questi due casi, il problema è la congiunzione "e" nella sua forma eufonica, ossia "ed", la cui consonante finale si agglutina per necessità alla vocale iniziale della parola seguente. Questo può creare gravi equivoci in moltissimi casi: ogni volta che ricorre la sequenza "ed a", può essere frantesa come "e da". Così "ed ai monti" corre il rischio di diventare "e dai monti". Per questo motivo la stessa Accademia della Crusca è intervenuta con voce tonitruante, condannando l'abuso delle forme eufoniche e cercando di limitare l'uso di "ed" ai casi in cui la parola seguente inizia con la vocale e-. Analogamente l'uso di "od" dovrebbe essere limitato ai casi in cui la parola seguente inizia con la vocale o- e via discorrendo. 
Un altro mondegreen risale a tempi ben più recenti. Ricordo ancora quando il rossochiomato F. mi fece ascoltare una serie di canzonette allegre di una band denominata My Chemical Romance. In uno di questi brani c'era un insistente e nitidissimo ritornello che suonava così alle mie orecchie: "LECCA LA CALIPPA BLU!" Non sono riuscito a ottenere spiegazioni dal bellimbusto fulvo, che si è limitato a sorridere, segno che anche lui aveva inteso qualcosa di strano; neppure le mie insistenti ricerche in Google mi sono state fruttuose. Ho anche visionato diversi video dei My Chemical Romance presenti in YouTube, senza trovare quello che mi interessava. Non ho mai compreso la natura della distorsione percettiva che mi ha colpito. Verosimilmente ho interpretato una frase in un inglese degradato distorcendola in una frase in italiano. Ho poi cercato di razionalizzare la distorsione percettiva immaginando che la parola "calippa" indicasse la fica, anche se il riferimento al colore resterebbe comunque inesplicabile. Forse si parla di una fica livida? Oppure è la fica di una femmina aliena dalla pelle blu? Fatto sta che per me è diventato un tormentone: ancora a distanza di anni, ogni tanto la frase insensata erutta dalle profondità del mio encefalo, ossessionandomi per ore ed ore, simile a un mantra, al punto da farmi temere di morire pazzo come è successo a Cantor. 
Vediamo che certi mondegreen stravaganti (es. "o la falappi di blu", "LECCA LA CALIPPA BLU") sembrano contraddire le spiegazioni psicologiche date da Pinker e da Connor, proprio perché hanno prodotto frasi prive di senso e neppure assimilabili ad antroponimi. Non riducono l'inspiegabilità e l'assurdo: si limitano a dargli una labile apparenza di sintassi coerente.

Soramimi e traduzioni omofoniche

Un fenomeno non troppo dissimile dal mondegreen è il soramimi, (dal giapponese 空耳 "ascolto alterato", "pensare di aver sentito"), che però si distingue per il fatto non irrilevante di essere volontario. Alcuni lo reputano un caso particolare di mondegreen; questa ipotesi mi appare abbastanza discutibile. Tuttavia non si può escludere che all'origine di un soramimi possa esserci un mondegreen, una pareidolia involontaria poi usata a bella posta. Un caso particolare di soramimi è la traduzione omofonica o quasi omofonica, che consiste nell'adattamento di una frase o di un intero testo da una lingua ad un'altra, basandosi interamente sull'assonanza. La traduzione omofonica parte dal testo in una data lingua e ottiene un testo in una lingua diversa. Il soramimi include anche casi in cui si parte dal testo in una data lingua e si ottiene un altro testo nella stessa lingua. L'intento di simili costruzioni non è necessariamente di scherno o di satira.
Tutti ci siamo imbattuti in stramberie di questo genere nel corso della nostra esistenza. Ricordo il cantante biondiccio dei Gatti di Vicolo Miracolo, mentre si esibiva su Antenna 3 Lombardia assieme a Umberto Smaila, all'epoca affettuosamente soprannominato "Smaiala". La canzone intitolata Georgia on my mind (Ray Charles, 1979, da un precedente motivo) era tradotta come "Giorgia, non mangi mai", richiamando l'attenzione sul terribile problema dell'anoressia giovanile. In modo simile, le parole "feelings, nothing more than feelings" (Morris Albert, 1974) furono trasposte in italiano come "fili, fili di parole". Credo che questo adattamento fosse opera di Johnny Durelli, pardon, Dorelli.
La tipica pronuncia accademica inglese della lingua latina ha permesso il proliferare di soramimi goliardici, che rientrano nella casistica del cosiddetto Pig Latin ("latino dei maiali") o Dog Latin ("latino dei cani"), come ad esempio questa poesiola: 
 
Caesar had some jam for tea,
Brutus had a rat.
Ceasar sick in omnibus,
Brutus sick in 'at.
 

Questa è la spiegazione:
 
Caesar adsum iam forte "Cesare, sono già qui, come capita" è diventato Caesar had some jam for tea "Cesare ha preso della marmellata per il tè"; 
Brutus aderat "Bruto era presente" è diventato Brutus had a rat "Bruto aveva un ratto";
Caesar sic in omnibus "Cesare è così in tutte le cose" è diventato Ceaesar sick in omnibus "Cesare ha vomitato nell'autobus"; 
Brutus sic in at (frase di dubbia grammatica ma traducibile alla lettera come "Bruto è così nel ma") è diventato Brutus sick in 'at "Bruto ha vomitato nel (suo) cappello". 
 
L'autore a quanto pare è il giornalista e scrittore inglese Geoffrey Willans (1911 - 1958). Si può riportare anche un singolare caso di soramimi inverso. Jonathan Swift (1667 - 1745) voleva adorare una fanciulla bellissima che si chiamava Molly, così le scrisse questa poesiola in pseudo-latino:

Mollis abuti,
Has an acuti,
No lasso finis, 
Molli divinis. 
Omi de armis tres, 
Imi na dist res, 
Cantu disco ver 
Meas alo ver?

Ecco il testo in inglese, nascosto con cura sotto le apparenze latine:

Moll is a beauty 
Has an acute eye, 
No lass so fine is, 
Molly divine is. 
O my dear mistress, 
I'm in a distress, 
Can't you discover 
Me as a lover?

Il testo che sembra in latino non ha alcun senso, è stato costruito a partire da quello in inglese.

mercoledì 9 marzo 2016


LA GRANDE ATTUALITÀ
DELL'OPERA DI JONATHAN SWIFT

Si direbbe che l'unica opera di Jonathan Swift nota alle masse sia una versione abbreviata del suo capolavoro, che narra le peregrinazioni di Gulliver tra i minuscoli abitanti di Lilliput e tra i giganti di Brobdingnag. A quanto pare la versione completa dei Viaggi di Gulliver è molto meno conosciuta, tanto che ben pochi hanno sentito anche soltanto una menzione di Lagado e della sua Accademia. Un vero peccato, perché i passi che ne parlano sono profetici. Si direbbe quasi che il caustico e geniale pamphlettista abbia visto il presente mostruoso in cui siamo condannati a vivere e ne abbia tratto spunto per la sua satira corrosiva. A Lagado regna la follia. La realtà oggettiva delle cose e dei fatti non ha alcun valore in quel luogo: i suoi abitanti pensano di poterla adattare ai loro deliri. La stessa calamità colpisce questa umanità terminale, proprio in questi Ultimi Giorni. I chierici traditori sono sempre esistiti in ambito universitario: non mancano casi in cui la Scienza è corrotta dalla politica e dalla convenienza. Tuttavia è nella Rete che si è formata la vera Accademia di Lagado. Mezzi semplici come forum, blog e siti hanno permesso il pullulare della pseudoscienza, moltiplicando a dismisura le stronzate concepite da menti distorte e facendole percolare capillarmente nella società intera. L'Ignoranza diventa Legge. I pacchetti memetici sostituiscono il Pensiero. Ogni parvenza di Logica viene derisa e aggredita ogni giorno da deleterie conventicole di "ricercatori indipendenti" e dai loro entusiasti sostenitori, che nei casi peggiori arrivano a formare vere e proprie orde di bulli. 

Riporto in questa sede la vivida descrizione di Lagado e dei suoi falsi scienziati, fatta dal grande irlandese nel suo romanzo satirico: 

Quarant'anni prima, alcuni personaggi di Lagado erano andati a Laputa per affari o per divertimento; e dopo esservi rimasti cinque mesi ridiscesero con un'infarinatura di matematica e una gran dose di spiriti volatili incorporati in quell'area regione. Codesti messeri, dopo il loro ritorno, avevano cominciato a criticare tutto quanto si faceva nel paese, e avevano deciso di ricostruire su nuove basi tanto le arti quanto le scienze; a questo fine si fecero rilasciare un decreto per la creazione di un'accademia d'ingegneri a Lagado. Presto la mania delle accademie si diffuse talmente, che ogni cittadino del regno volle avere la sua.
In codesti collegi, gli scienziati avevano scoperto un gran numero di nuovi metodi per l'architettura e l'agricoltura, e nuovi strumenti e utensili per tutti i mestieri, per mezzo dei quali un uomo solo poteva innalzare un palazzo così solido da sfidare i secoli senza mai richiedere alcun restauro. I prodotti della terra dovevano, in virtù dei loro ritrovati, nascere in tutte le stagioni, cento volte più grossi dei soliti: insomma essi concepirono non so quanti meravigliosi disegni. Ci fu però un piccolo inconveniente: che neppur uno di codesti disegni era giunto, fino allora, alla necessaria perfezione, sicché in poco tempo tutta la campagna fu rovinata, le case caddero a pezzi e il popolo restò senza vesti e senza cibo. Ma lungi dello scoraggiarsi, codesti scienziati si ostinavano sempre più nelle loro ricerche, non si sapeva se spinti dalla speranza o dalla disperazione.
Ma il signor Munodi non era uno spirito intraprendente, sicché aveva cercato di tirare avanti coi vecchi sistemi, vivendo nelle case fabbricate dai suoi antenati e facendo ciò che si era sempre fatto senza nulla cambiare, e alcune altre persone di nobile condizione avevano fatto come lui. Essi però erano mal visti e disprezzati come nemici delle arti e delle scienze, e come cattivi cittadini più amanti del proprio comodo e del dolce far niente che del benessere del paese.

Visita dell'autore alla grande accademia di Lagado – Descrizione dell'accademia; arti e scienze in cui si esercitavano quei dotti.

L'accademia maggiore di Lagado occupava parecchi edifizi posti da ambo i lati d'una strada, che furono destinati a codesto scopo perché disabitati. Ogni stanza conteneva uno scientifico personaggio intento a qualche suo esperimento, e talora più d'uno; e l'accademia comprendeva circa cinquecento stanze. Tornai parecchi giorni consecutivi a visitarla, sempre accolto dal portiere con somma cortesia.
Il primo accademico che visitai aveva il volto magro e spaurito da far compassione, la barba e i capelli incolti, la pelle color tabacco, e gli abiti e la camicia del colore stesso della pelle.
Egli da otto anni si perdeva dietro un progetto consistente nell'estrarre i raggi del sole dalle zucche, affinché fosse possibile, dopo averli chiusi in boccette ermeticamente tappate, di servirsene per riscaldare l'aria nelle stagioni fredde e umide. Mi disse che sperava, entro i prossimi otto anni, di fornire ai giardini del governatore dei raggi solari a un prezzo conveniente.
Si lamentò però d'esser povero, e mi chiese qualche soldo a guisa d'incoraggiamento, tanto più che le zucche erano piuttosto care quell'anno. Per fortuna il signor Munodi, conoscendo gli usi di codesti scienziati, mi aveva dato qualche spicciolo; così potei contentare l'accademico, il quale, come i suoi colleghi, ripeteva la stessa richiesta a tutti i visitatori.
Entrando in un'altra sala, fui quasi tentato di uscirne per l'orribile puzzo che l'empiva. Ma la mia guida mi esortò a farmi avanti, pregandomi sottovoce di non offendere in alcun modo lo scienziato che ivi risiedeva; sicché non osai neppure tapparmi il naso. L'ingegnere che stava lì era il più vecchio dell'accademia; aveva la faccia e la barba giallastre, le mani e le vesti pieni di sudiciume. Quando gli venni presentato mi abbracciò con effusione, ma non gli fui punto grato di codesta cortesia. Costui, fino dal primo giorno del suo ingresso nell'accademia, indagava sul modo di ritrasformare gli escrementi umani nel primitivo aspetto dei cibi da cui risultavano, separandone le varie parti e depurandole dal fiele, che è appunto la causa del puzzo che mandano gli escrementi. Egli faceva svaporare il fiele e toglieva la schiuma derivante dalla saliva. Ogni settimana l'Accademia gli forniva, per le sue esperienze, un recipiente pieno di sostanze fecali grosso all'incirca come un barile di Bristol.
Un terzo che visitai stava arroventando il ghiaccio per estrarne, diceva lui, la migliore qualità di salnitro, con cui fabbricare la polvere da sparo. Mi mostrò anche un suo trattato sulla malleabilità del fuoco, che avrebbe pubblicato presto.
Un architetto di grande genialità, che conobbi dipoi, aveva inventato un nuovo sistema di costruire le case cominciando dal tetto per finire con le fondamenta; e giustificava la sua trovata con l'esempio di ciò che fanno l'ape e il ragno, due insetti di cui nessuno mette in dubbio l'intelligenza.
Un accademico, cieco dalla nascita, aveva sotto di sé parecchi apprendisti non meno ciechi di lui: essi si occupavano di fabbricare i colori per i pittori; e il maestro insegnava agli scolari a distinguere le tinte per mezzo del tatto e dell'olfatto. Disgraziatamente, nell'epoca in cui visitai l'accademia, gli apprendisti non erano ancora esperti nel loro mestiere, e lo stesso maestro s'ingannava generalmente nella scelta dei colori. Tuttavia codesto artista era molto stimato dai suoi colleghi.
In un'altra stanza feci la piacevole conoscenza d'un inventore, al quale si doveva un nuovo sistema per lavorare la terra senza strumenti, servendosi dei maiali. Così si risparmiava, evidentemente, la spesa dei cavalli e dei bovi, dell'aratro e del bifolco. Bastava nascondere sotto terra, a sei pollici di distanza l'uno dall'altro, diversi vegetali di cui i porci sono ghiottissimi, come ghiande, datteri o castagne; poi sparpagliare per ogni acro di superficie circa seicento di codesti animali. Questi in pochissimo tempo, non solo avrebbero smosso la terra col muso e con le zampe in modo da potervi seminare, ma l'avrebbero contemporaneamente concimata coi loro escrementi.
Fatta l'esperienza, il sistema era sembrato poco pratico e assai dispendioso; inoltre il campo non aveva prodotto quasi nulla. Ma tutti ritenevano quest'invenzione suscettibile di essere utilmente perfezionata.
Un'altra stanza era tutta tappezzata di tele di ragno, tanto che lo scienziato ivi racchiuso stentava a muoversi. Quando mi vide, gridò: «Attento a non disturbare i miei operai!» Costui andava deplorando l'accecamento degli uomini che per tanto tempo si erano serviti dei bachi da seta, quando esistevano tanti insetti domestici capaci non solo di filare, ma anche di tessere. Egli sperava di fare risparmiare anche la spesa per la tintura dei tessuti, dando da mangiare ai suoi ragni gran numero di mosche di diversa razza e di svariati e brillanti colori. Me ne fece vedere di tutte le sfumature, e disse che quanto prima avrebbe potuto contentare tutti i gusti: non gli mancava che di trovare i cibi più adatti per le sue mosche, cioé gli oli, le gomme, il glutine necessari perché i fili emessi del ragno avessero la dovuta solidità e resistenza.
Vidi, seguitando, un celebre astronomo che aveva cominciato l'impianto d'una meridiana sulla punta della più alta torre del palazzo municipale, e studiava ora il modo di regolare i movimenti della terra e del sole in tal guisa da farli andar d'accordo con gli spostamenti capricciosi della girandola.
Da qualche tempo mi sentivo un certo dolore di corpo; sicché con molta opportunità il mio cicerone mi fece entrare nella stanza d'un illustre medico, veramente benemerito per avere scoperto il segreto per guarire le coliche con un semplice meccanismo che agisce in senso contrario alla malattia. Egli si serviva d'un grande soffietto munito d'un lungo e sottile tubo d'avorio, che insinuava nell'ano per circa otto pollici di profondità. Per mezzo di codesta specie di clistere a vento, egli pretendeva di portar via, aspirando, tutte le flatulenze interne ripulendo le viscere e rendendole piatte come una vescica vuota.
Quando poi il male era molto grave, egli empiva il clistere d'aria, introduceva il tubo e scaricava tutto quel vento nel corpo dell'ammalato; poi ritirava il soffietto per riempirlo ancora badando a tenere tappato l'orifizio del paziente col dito pollice. Quando l'operazione era stata ripetuta tre o quattro volte, il vento introdotto e compresso prorompeva fuori con tal forza da portar via seco tutti i vapori nocivi, come l'acqua ripulisce i condotti d'una pompa; e il malato era bell'e guarito.
Vidi esperimentare ambedue queste operazioni sopra un cane; ma la prima non produsse alcun effetto sensibile. Dopo la seconda, invece, l'animale era gonfio da scoppiare: a un tratto fece un scarica così tremenda che tutti noi ne restammo quasi tramortiti. L'animale spirò sull'istante, e noi ce n'andammo lasciando il dottore occupato a resuscitarlo ripetendo l'operazione.
Non voglio annoiare il lettore col racconto delle curiosità da me vedute nelle altre stanze dell'accademia, essendomi proposta la massima brevità e concisione. Dirò solo che la parte dell'istituto da me visitata era riservata alle invenzioni meccaniche, ma v'era tutta un'altra parte assegnata agli studiosi delle scienze astratte; e di questa parlerò dopo aver fatto cenno del personaggio più illustre della prima categoria, soprannominato l'artista universale.
Costui ci disse d'aver passato trent'anni a riflettere sul modo di migliorare il vivere degli uomini, e ci mostrò due grandi sale piene di cose curiose, dove cinquanta operai lavoravano, sotto la sua direzione, gli uni a condensare l'aria fino a renderla solida, con l'estrarne il nitro e lasciarne svaporare le particelle fluide e liquide; gli altri a rammollire il marmo per farne guanciali e materassi; altri ancora a pietrificare gli zoccoli dei cavalli per rendere inutile la ferratura. Il grande scienziato poi, si occupava per suo conto di due grandi disegni. Il primo consisteva nel fecondare la terra con una speciale acqua seminale di effetto prodigioso, com'egli dimostrava con diverse esperienze troppo superiori al mio comprendonio; il secondo consisteva in un composto di gomme vegetali e minerali destinato a impedire lo sviluppo del pelo sul corpo degli agnelli. Quello scienziato sperava di potere, fra non molto tempo, propagare in tutto il paese la razza delle pecore senza lana.
Traversando un giardino ci trovammo nella seconda divisione dell'accademia, assegnata ai cultori delle discipline astratte. Nella prima grande sala trovai un professore circondato da quaranta scolari. Dopo esserci salutati, siccome egli si accorse ch'io guardavo con curiosità una certa macchina che occupava quasi tutta la sala, mi spiegò che il suo più ambizioso disegno consisteva nella scoperta del metodo di perfezionare le scienze mentali con mezzi meccanici. Egli andava orgoglioso di questo concetto, il più vasto e geniale che cervello umano avesse mai avuto, e sperava che tutti, quanto prima, ne riconoscessero l'utilità.
Mentre, infatti, i metodi comunemente adottati per arrivare alle diverse nozioni scientifiche e ideali sono faticosi e difficili, col suo nuovo sistema, invece, anche un ignorante poteva scrivere libri di filosofia o di poesia, trattati i politica e di matematica, senza bisogno di speciale vocazione né di studio: bastava una modesta spesa e un piccolo sforzo muscolare.
Nello spiegarmi ciò, egli mi fece vedere il meccanismo intorno a cui stavano i suoi scolari.
Era una specie di telaio di venti piedi quadrati, sul quale erano disposti moltissimi pezzetti di legno simili a dadi, di cui alcuni erano alquanto più grossi; e tutti erano legati insieme per mezzo di fili sottili. Ogni faccia di ciascun dado portava un pezzo di carta, su cui stava scritta una parola; sicché sul telaio si trovavano tutte le parole della loro lingua nei differenti modi, tempi e declinazioni, ma mescolate alla rinfusa.
Il professore mi avvertì che stava per mettere in moto la macchina: a un suo cenno, infatti, ciascun allievo prese in mano un manubrio di ferro (ve ne sono quaranta fissati lungo il telaio). Essi, facendolo girare, cambiarono totalmente la disposizione dei dadi, e perciò delle parole corrispondenti. Allora il professore ordinò a trentasei dei suoi scolari di leggere fra sé le frasi che ne risultavano, via via che le parole apparivano sul telaio; e quando trovassero tre o quattro parole che avessero l'apparenza d'una frase, di dettarle agli altri quattro giovinetti, che facevano da segretari. Questo esercizio fu ripetuto diverse volte, e col successivo capovolgersi dei cubi sempre nuove parole e frasi comparivano sulla macchina. Gli scolari si dedicavano a tale occupazione per sei ore del giorno.
Il professore mi fece vedere diversi volumi in folio pieni di frasi sconnesse ch'egli aveva raccolto e di cui pensava fare un estratto, ripromettendosi di cavar fuori da codesto materiale, il più ricco del mondo, una vera enciclopedia scientifica e artistica. Egli sperava che codesto suo lavoro, spinto con energia, avrebbe toccata la massima perfezione, a patto che la popolazione consentisse a fornire il denaro necessario per impiantare cinquecento consimili macchine in tutto il regno, e che i sovrintendenti dei vari istituti mettessero in comune le loro personali osservazioni.
Ringraziai umilmente codesto illustre inventore, assicurandolo che, se avessi avuto la fortuna di tornare in Inghilterra, gli avrei reso giustizia celebrandolo fra i miei concittadini come primo creatore d'una macchina sì meravigliosa; anzi mi feci dare il disegno di questa e la descrizione dei suoi vari movimenti, e sopra tavole apposite li unii alle mie memorie. Assicurai anche l'accademico che avrei saputo prendere le necessarie cautele perché l'onore della scoperta restasse tutto suo, data l'usanza vigente fra gli scienziati europei di rubarsi reciprocamente i loro ritrovati, tanto che non si sa quasi mai a chi attribuirli.
Passammo poi alla scuola delle lingue, dove tre professori discutevano insieme sul modo di perfezionare l'idioma del paese.
Il loro primo disegno era di rendere più conciso il discorso, riducendo tutti i polisillabi a monosillabi e sopprimendo i verbi e ogni altra parte del discorso, tranne i sostantivi: perché in realtà tutti gli oggetti di questo mondo si possono rappresentare con sostantivi.
Ma il sistema di riforma più radicale doveva consistere, secondo loro, nel fare a meno addirittura delle parole, con grande risparmio di tempo e beneficio per la salute; perché è chiaro che ogni parola da noi pronunziata corrode i nostri polmoni e li danneggia, accorciando così la nostra esistenza. Ora, siccome le parole sono in conclusione i nomi delle cose, costoro proponevano semplicemente che ognuno portasse seco tutti gli oggetti corrispondenti all'argomento delle varie discussioni. E la riforma sarebbe certamente stata adottata, con notevole vantaggio della salute e del comodo generale, se il popolaccio, e specialmente le donne, non avessero minacciato di fare addirittura la rivoluzione qualora fosse loro vietato di parlare nella solita lingua, come i loro antenati avevano fatto fin lì: tanto il volgo è costante e irreconciliabile nemico della scienza!
Tuttavia, il nuovo metodo era adoperato da alcuni dei più illuminati e dotti personaggi, i quali se ne trovavano benissimo. Il solo inconveniente s'affacciava quando costoro dovevano trattare di parecchi e complicati argomenti, perché in tal caso erano costretti a portare addosso dei pesi enormi; a meno che non potessero permettersi il lusso di mantenere un paio di robusti facchini per codesto ufficio. Più d'una volta ho osservato due di codesti scienziati, curvi sotto il peso del loro fardello, fermarsi in mezzo alla strada per conversare, posare in terra il sacco e slegarlo; poi, dopo un'ora di colloquio, aiutarsi reciprocamente a ripigliare il carico sulle spalle e riprendere il cammino.
S'intende che, mentre per i discorsi più comuni ciascuno portava indosso tutti gli oggetti necessari per farsi capire, in ogni casa v'era poi una provvista di molti altri oggetti; e nei locali dove si doveva tenere qualche adunanza di adepti della nuova lingua, si trovava ogni sorta di cose capaci di sopperire alla più complessa conversazione artificiale. E si noti che questo nuovo sistema aveva anche il sommo pregio d'essere universale, cioé di fornire un idioma comune a tutti i popoli civili, come sono loro comuni, press'a poco, tutti gli utensili e gli oggetti d'uso; né gli ambasciatori avrebbero avuto più bisogno, così, di studiare le lingue straniere per trattare coi principi e coi ministri degli altri paesi.
Visitai finalmente la scuola di matematica, in cui trovai un professore che adoperava, per l'istruzione dei suoi scolari, un metodo che in Europa nessuno sarebbe mai stato capace d'inventare.
Ogni dimostrazione, proposizione o teorema veniva scritto sopra una piccola ostia, con uno speciale inchiostro di succo cefalico. Lo studente inghiottiva l'ostia e stava digiuno tre giorni, nutrendosi solo d'un po' di pane e acqua. Durante la digestione dell'ostia, il succo cefalico saliva al cervello e vi recava l'esercizio o il teorema desiderato.
Questo sistema non aveva dato, a quanto sentii riferire, risultati molto brillanti; ma ciò era dovuto solo al fatto d'essersi ingannati nel quantum, cioé nella dose del succo cerebrale; oppure anche al contegno maligno e ribelle degli scolari, i quali trovando nauseante il sapore dell'ostia, invece d'inghiottirla la sputavano da una parte, o dopo averla inghiottita la rivomitavano prima che potesse compiere il suo effetto, oppure anche non avevano la costanza di mantenere per tre giorni il regime d'astinenza necessario.

sabato 3 gennaio 2015

GLI STRULDBRUG

Jonathan Swift, nel terzo libro dei Viaggi di Gulliver, narra che tra le genti di Luggnagg nascono alcuni individui, gli Struldbrug, con un segno sulla fronte, che li destina ad essere immortali. Quale sorte potrebbe essere più felice per uomini liberati dalla paura della morte, pieni di sapere, ricchi ed in grado di dedicarsi, senza affanni, a grandi scoperte o ad elevate considerazioni filosofiche? Eppure non è così, perchè gli Struldbrug "verso i trent’anni cominciano ad essere malinconici e sempre più lo diventano con il passare del tempo. Ad ottant’anni essi sono soggetti alle infermità ed alle debolezze degli altri vecchi, e a molte altre ancora, dovute alla prospettiva paurosa di non morire mai. Non solo sono testardi, fastidiosi, avidi, bisbetici, vanitosi, ciarlieri, ma anche incapaci di amicizia, e sordi ad ogni affetto naturale, che non supera mai i pronipoti. Sono divorati da due passioni: l’invidia ed i desideri impotenti. Ricordano soltanto ciò che hanno visto ed imparato nell’età matura, e questo pure in modo molto imperfetto. Quelli che rimbambiscono e perdono completamente la memoria sono i più fortunati, almeno circondati da pietà e da assistenza più degli altri, poiché non hanno gli stessi difetti. A ottanta anni vengono dichiarati civilmente morti; gli sposi (se sono entrambi immortali) si separano. A novanta perdono i denti e i capelli e non distinguono il sapore dei cibi. Quando parlano, non trovano più le parole e non possono nemmeno più leggere. Poiché la lingua si evolve, essi non la comprendono più. Conoscono pertanto l’afflizione di vivere da stranieri nel loro stesso paese."