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lunedì 4 ottobre 2021

UN RELITTO PALEOSARDO IN SARDO CAMPIDANESE: NEA 'AURORA'

Tra le più strane e interessanti parole sarde che mi sia capitato di incontrare, posso annoverare sicuramente il campidanese nea "aurora, alba". Come c'era da aspettarsi, il tentativo di spiegare questo vocabolo erratico ha fatto impazzire gli studiosi. 
 
Così il Salvioni: 
 
 
CAMPID. néa AURORA   
 
Non vedo altra via per dichiarar la voce, che di invocare ēōs, riconoscendo nel n un resto della preposizione in concresciuta, e nell' -a, un facile metaplasma.  
 
Una simile invocazione è più stupida degli escrementi di una mosca su uno specchio di un postribolo d'infimo ordine. 
 
Salvioni invoca addirittura il greco epico ἠώς (ēṓs) "aurora", nemmeno il greco attico ἕως (héōs). E come diavolo avrebbe fatto una forma antiquata e dotta come quella ad arrivare tra i pastori del Campidano? 
Questo è l'elenco degli esiti del proto-indoeuropeo *h₂éwsōs "aurora" negli antichi dialetti della lingua dell'Ellade.
 
Epico: ἠώς (ēṓs) 
    trascrizione IPA: /e:'o:s/
Attico: ἕως (héōs)
    trascrizione IPA: /'heo:s/
Eolico: αὔως (áuōs), ᾱ̓́ϝως ´wōs)
    trascrizione IPA: /'auo:s/, /'a:wo:s/
Dorico: ᾱ̓ώς (āṓs)
    trascrizione IPA: /a:'o:s/
Beotico: ᾱ̓́ας
´as)
    trascrizione IPA: /'a:as/
Laconico: ᾱ̓ϝώρ (āwṓr), αβώρ (abṓr)
    trascrizione IPA: /a:'wo:r/, /a:'bo:r/
 
Possiamo essere sicuri che nessuna di queste varianti avrebbe trovato la sua via nell'impervia Sardegna. I romanisti, quando si trovano davanti una voce che non deriva da una trafila di una protoforma latina, vanno in marasma, perché gli schemi che hanno appreso non riescono a sorreggerli. In queste condizioni critiche, troppo spesso proferiscono scemenze! 
 
Tra l'altro, all'epoca in cui le genti di Bisanzio avevano contatti con la Sardegna, l'antico nome dell'aurora era stato sostituito da un'altra parola, αὐγή (augḗ). 
 
αὐγή (augḗ) f. (genitivo αὐγῆς); prima declinazione 

 1. luce del sole
 2. raggi del sole (plurale)
 3. aurora, alba  
 4. luce splendente (come quella del fuoco)
 5. riflesso sulla superficie di oggetti splendenti 
 
In greco antico la pronuncia era /au'ge:/, mentre in greco bizantino si era già evoluta in /avˈʝi/
 
I Neogrammatici sostengono che questo nome dell'aurora derivi dalla ben nota e produttiva radice indoeuropea *h₂ewg- "crescere, accrescere", da cui sono discese anche le parole latine augēre "crescere" (augeō "io cresco", augēs "tu cresci", auxī "io crebbi", auctum "essendo cresciuto"), augmen "aumento, crescita" e augustus "maestoso, venerabile". 
Non sono convinto dell'esattezza di questa ipotesi, nata da una grossolana applicazione del Rasoio di Occam. A parer mio ci sono le basi per postulare una radice indoeuropea omofona di *h₂ewg- "crescere, accrescere", ma indipendente: *h₂ewg- "raggio di sole", "splendore", con paralleli anche extra-indoeuropei (vedi nel seguito). 
 
Altri esiti indoeuropei di *h₂ewg- "raggio di sole": 
Albanese: ag "aurora" 
     < proto-albanese *(h)aug-
  agòj "albeggiare, fare giorno"  
Proto-slavo: *ju:gu "sud", "vento del sud"
     Slavo ecclesiastico: *jugŭ "meridione, sud",
          "vento del sud"  
     Russo: юг (jug) "sud" 
     Ucraino: юга (juhá) "vento caldo del sud"  
     Serbo: ју̏г (jȕg) "sud" 
     Croato: jȕg "sud" 
     Sloveno: jȕg "sud" 
     Polacco: jug "disgelo" (dialettale)
     Ceco: jih "sud" 
     Slovacco: juh "sud" 

Nemmeno il greco αὐγή può essere l'origine della parola campidanese.

Le opinioni di Pittau

Pittau sosteneva che il sardo campidanese nea "aurora" fosse un grecismo, ma non lo identificava con l'antico nome della Dea Eos: lo confrontava invece con il greco νέα ἡμέρα (néa hēméra) "nuovo giorno". La pronuncia in greco moderno è /'nea i'mera/
 
Ben noto è il quotidiano Νέα Ημέρα Τεργέστης (Néa Iméra Tergestis), ossia "Nuovo Giorno di Trieste" (fine XIX secolo - inizi XX secolo).  

Ancora una volta, riesce difficile comprendere tutti i passaggi. Ci saremmo aspettati che dalla locuzione greca derivasse in campidanese *neamera, *neimera o *nemera anziché semplicemente nea

Un possibile prestito dal ligure 

La soluzione più ovvia e razionale, quella di un termine proveniente dal sostrato pre-romano, a quanto pare non è stata mai nemmeno considerata. Lo reputo un grave errore, nato dal pregiudizio che offusca la visione e impedisce di conoscere. Procediamo per gradi.   
 
Il greco νέος (néos) "nuovo" e il latino novus "nuovo" hanno la stessa origine, come anche il gallico novio- "nuovo" (attestato ad esempio in Noviomagus "Campo Nuovo", etc.). Queste parole risalgono tutte alla stessa radice: 
 
Proto-indoeuropeo: *newos, *newyos "nuovo" 

La lingua degli antichi Liguri era indoeuropea, anche se con un sostrato lessicale più antico. Il concetto di "nuovo" era espresso dall'aggettivo *nevios, come provato da importanti documenti. 
L'idronimo ligure Neviasca è attestato nella Tavola bronzea di Polcevera, scritta in latino arcaico e risalente al 117 avanti Cristo, che ci conserva toponimi notevolissimi. Riporto in questa sede il brano che ci interessa (i grassetti sono miei): 

Langatium fineis agri privati: ab rivo infimo, qui oritur ab fontei in Mannicelo ad flovium / Edem: ibi terminus stat; inde flovio suso vorsum in flovium Lemurim; inde flovio Lemuri susum usque ad rivom Comberane(am); / inde rivo Comberanea susum usque ad comvalem Caeptiemam: ibi termina duo stant circum viam Postumiam; ex eis terminis recta / regione in rivo Vendupale; ex rivo Vindupale in flovium Neviascam; inde dorsum flovio Neviasca in flovium Procoberam; inde / flovio Procoberam deorsum usque ad rivom Vinelascam infumum: ibei terminus stat; inde sursum rivo recto Vinelesca: / ibei terminus stat propter viam Postumiam, inde alter trans viam Postumiam terminus stat; ex eo termino, quei stat / trans viam Postumiam, recta regione in fontem in Manicelum; inde deorsum rivo, quei oritur ab fonte en Manicelo, / ad terminum, quei stat ad flovium Edem.

Traduzione (di Agostino Giustiniani): 
 
"I confini dell'agro privato dei Langati: presso il fiume Ede, dove finisce il rivo che nasce dalla fonte in Manicelo, qui sta un termine. Quindi si va su per il fiume Lemuri fino al rivo Comberanea. Di qui su per il rivo Comberanea fino alla Convalle Ceptiema. Qui sono eretti due termini presso la via Postumia. Da questi termini, in direzione retta, al rivo Vindupale. Dal rivo Vindupale al fiume Neviasca. Poi di qui già per il fiume Neviasca fino al fiume Procobera. Quindi già per il Procobera fino al punto ove finisce il rivo Vinelasca; qui vi è un termine. Di qui direttamente su per il rivo Vinelasca; qui è un termine presso la via Postumia e poi un altro termine esiste al di là della via. Dal termine che sta al di là della via Postumia, in linea retta alla fonte in Manicelo. Quindi già per il rivo che nasce dalla fonte in Manicelo sino al termine che sta presso il fiume Ede."

L'idronimo Neviasca significa qualcosa come "quella del (luogo) nuovo".

La radice ligure in questione, ha formato almeno un toponimo oltre al nome di fiume sopra considerato. Nell'entroterra genovese, in Val Graveglia, si trova il piccolo borgo di Ne (pronuncia /nɛ/, con la vocale aperta). I romanisti hanno tentato di ricondurlo all'antroponimo Nevius, da loro considerato "romano" - e confuso col gentilizio Naevius. Molto peggio dei romanisti hanno fatto i latinisti d'accatto pullulanti nelle parrocchie ottocentesce e novecentesche. Alcuni di loro hanno preso il latino nāvis "nave" e lo hanno fatto diventare Ne, incuranti del fatto che in genovese ha dato nae. Altri hanno preso il latino nemus "bosco sacro" e lo hanno fatto diventare Ne, incuranti del fatto che la consonante -m- intervocalica non può dileguarsi nel latino volgare che ha dato il genovese. Questi escrementi concettuali, che dovrebbero stare sepolti in una fossa settica, sono stati esumati da Google e messi sotto il naso degli utenti. 
 
Ne deriva direttamente dal ligure *Neviom "(Luogo) Nuovo" (pronuncia /'newiom/). 
Propongo così la ricostruzione *nevia /'newia:/ "cosa nuova", che tra i vari significati doveva avere anche "inizio del giorno". 
Sappiamo che alcuni elementi indoeuropei di provenienza ligure si sono insinuati nel paleosardo (Blasco Ferrer, 2011). Ad esempio il sardo tevele "debbio", elemento di sostrato, è derivato in ultima analisi dal ligure *debelo- (Debelus fundus) < protoindoeuropeo *dheghw- "bruciare". Così è plausibile che si sia verificata questa trafila: 
 
ligure /'newia:/ > paleosardo /'neia/ > /'nea/.  

Decisamente meglio delle storture dei romanisti!
 
Altra proposta etimologica per nea "aurora"
 
Quando sono venuto a conoscenza della parola campidanese nea "aurora", la mente mi è andata subito al basco egun "giorno", derivato dal verbo proto-basco *e-gun-i "splendere" (detto del sole). La protoforma ricostruibile sarebbe dunque n-egu-a. Tuttavia mi è sembrata troppo contorta e insoddisfacente la derivazione, carente soprattutto dal punto di vista morfologico: trovavo difficoltà a spiegare l'iniziale n- e la terminazione -a (considerato che questa non può essere l'articolo basco -a, il cui antenato suonava diversamente). Così ho abbandonato questa etimologia.
 
Conclusioni 
 
Un annoso problema è stato finalmente risolto. Peccato che al mondo accademico non importerà mai nulla di tutto questo: basta che una cosa sia scritta su un blog e la considerano automaticamente immondizia, senza nemmeno leggerla.   

martedì 14 aprile 2020

IL CULTO DI GIOVE PENNINO E SUOI POSSIBILI LASCITI

Tempo fa mi capitò di reperire un'informazione di un estremo interesse. Negli ultimi anni del X secolo o nei primi del XI (non ricordo l'anno esatto), il Vescovo di Aosta, Anselmo, durante un viaggio nella sua diocesi si imbatté in un simulacro di Giove Pennino, che era ancora adorato dagli abitanti di una valle impervia. La lettura mi era rimasta impressa per via dell'epoca molto tarda del ritrovamento. L'Anno del Signore poteva essere il 999 o il 1001, la mia memoria non riesce a decidere quale delle due date sia quella esatta; Anselmo, che morì ad Aosta nel 1026, non deve essere confuso col famoso omonimo che formulò la prova ontologica dell'esistenza di Dio. Ero convintissimo di aver letto di questi fatti mirabili nel libro di Riccardo Taraglio, Il Vischio e la Quercia. Spiritualità celtica nell'Europa Druidica (1a ed. 1997). Eppure quando ho ripreso in mano il volume, ad anni di distanza, purtroppo non sono stato in grado di ritrovare la preziosa menzione. Le pagine erano molto ingiallite per il tempo trascorso. Non mi è andata meglio con la versione online dell'opera, nonostante le ripetute ricerche; riporto il link, nel caso qualcuno volesse cimentarsi. Forse giungerà un internauta più fortunato di me.
 

Se poi un giorno il link si romperà, amen. Non posso perdere altro tempo. Google non mi è stato di alcun aiuto nel mio studio su Giove Pennino, anzi, mi ha seriamente ostacolato. Se anche questa scoperta del Vescovo Anselmo si trovasse in qualche sito, è di certo nascosta da migliaia di siti insostanziali con un migliore posizionamento nel Web. Sono convinto che un giorno ritroverò la documentazione, peraltro abbastanza stringata. Intanto pubblico queste note. Quello che mi aveva colpito è che in un'epoca così tarda fosse stata trovata una reliquia pagana così ben conservata. Mi sono domandato se per caso non fosse sopravvissuta, magari in forma residuale, anche una lingua celtica poi estinta, sommersa dal mondo romanzo circostante. La cosa non è poi così improbabile. Già Johann Ulrich Hubschmied aveva supposto che fossero sopravvissute in Elvezia isole alloglotte celtiche in epoca molto tarda, traendo evidenze della sua tesi dalla toponomastica.
 
Una divinità preromana adorata dai Salassi e da altre genti alpine è stata assimilata nel Pantheon di Roma come Iupiter Penninus. Il teonimo Penninus /pen'ni:nus/ è di chiarissima origine celtica: in gallico abbiamo PENNO- "testa; sommità, vetta", ben documentato nel materiale onomastico e toponomastico. Si tratta di un sostantivo neutro, che nelle Gallie doveva suonare *pennom, *pennon, e in epoca più tarda *penno. La sua derivazione è da un protoceltico *QUENNO-, la cui origine ultima permane sconosciuta: c'è chi ha ipotizzato un artificioso protoindoeuropeo *KP-ENNO-, postulando la stessa radice del latino caput "testa", ma la costruzione è alquanto artificiosa, con apofonia aberrante, suffisso sconosciuto e via discorrendo. In antico irlandese la protoforma celtica *QUENNO- ha dato cenn "testa" (irlandese moderno ceann "testa"): proprio da questa radice ha avuto origine il cognome Kennedy. In gallese la forma protoceltica ha dato pen "testa", con consonante labiale come in gallico. In buona sostanza, Iupiter Penninus significa "Giove della Vetta". Accanto alla pronuncia /pen'ni:nus/ ne esisteva un'altra più volgare, /pe:'ni:nus/ (vocale breve più consonante doppia => vocale lunga più consonante semplice). Si trova chiara traccia di ciò nella variante ortografica Iupiter Peninus. Si è generata quindi una grafia ipercorretta Iupiter Poeninus, giustificata anche da una falsa etimologia, già stigmatizzata da Tito Livio, che associava la divinità ai Cartaginesi e all'impresa di Annibale: il ben noto etnonimo Poeni /'poeni:/ "Fenici", pronunciato dal volgo /'pe:ni:/, è proprio la causa dell'equivoco. 
 
Nel paese degli Umbri, sulle falde del monte Catria, esisteva un importante santuario dedicato a Iupiter Apenninus. Situato nei pressi della Via Flaminia, il luogo di culto distava 135 km dall'Urbe. Il territorio in cui sorgeva apparteneva alle città Iguvium (attuale Gubbio) e Luceoli. Ebbene, questo Iupiter Apenninus è ora della fine la stessa identica divinità di quella vista nelle valli dei Salassi. Il vocabolo apenninus /apen'ni:nus/, da cui deriva l'italiano appennino, Appennini, è di origine ligure e ha la stessa identica radice vista sopra per il celtico PENNO-. Evidentemente si tratta di una formazione indoeuropea con un antico prefisso AD-, ben noto anche al latino e al celtico, anche se la radice *PENN- non ha paralleli esterni credibili. In ogni caso *AD-PENN- ha formato APENNINUS. A quanto mi consta, nessuna forma derivata mostra una lenizione; nell'italiano appennino si deve vedere l'esito dello scontro tra la consonante finale del prefisso AD- e la consonante iniziale della radice *PENN-, anche se in latino si trova soltanto una -p- semplice.

Taraglio menziona nel suo libro le battaglie condotte da San Bernardo contro il paganesimo popolare, drammatizzate dagli agiografi come scontri diretti contro Giove e altre divinità dell'antica religione romana, o meglio celtica romanizzata. San Bernardo, che ha dato il nome al Gran San Bernardo, dove esisteva proprio un santuario dedicato a Giove Pennino, secondo una diffusa tradizione sarebbe stato di nobile famiglia e nativo di Mentone (attuale Menthon-Saint-Bernard, vicino ad Annecy, da non confondersi con Mentone in Costa Azzurra). In realtà è molto probabile che il suo luogo d'origine fosse proprio Aosta. In precedenza il Gran San Bernardo era chiamato Mons Iovis, da cui deriva l'attuale denominazione dell'ospizio fondato dal santo, Mont-Joux, situato sul versante svizzero della montagna. 
 
 
In realtà anch'io ho visto l'idolo di Giove Pennino, proprio come era successo al Vescovo di Aosta mille anni prima. Naturalmente non si tratta dello stesso manufatto, visto che le genti del luogo hanno sempre provveduto a costruirne di nuovi, per quanti ne fossero abbattuti dalla foga degli zelanti predicatori o dall'inclemenza degli elementi. Nel settembre del 2013 ho pubblicato queste mie memorie, in cui è menzionata la scoperta: 

Storia del declino e della caduta dell'Impero Americano 

In un rifugio, tra le montagne che furono di Salassi e Graioceli, mi sono imbattuto in alcune ragazze americane dai modi incredibilmente volgari. Le loro parole avevano il suono dello starnazzare di papere e oche, una vera e propria cacofonia assordante. Il significato dei discorsi che mio malgrado sono stato costretto ad ascoltare era a dir poco nauseante. Una di queste americane ha detto di aver avuto moltissimi amanti francesi, tedeschi e della Sierra Leone, e di essere stata una volta persino con un cinese a cui non lo ha succhiato perché gli puzzava di formaggio. Si è quindi esibita in una serie di lazzi in cui derideva questo suo amante etichettandolo come "Chinese Cheese", sghignazzando di continuo. Poi ha aggiunto di ritenere quelli della Sierra Leone "i migliori per scopare". Ovviamente non ha considerato il fatto che in tale orrido Feudo di Satana germoglia l'AIDS. La sua amica ha detto di amare i falli giganteschi, ma se si imbatteva in un esiguo falletto scoppiava a ridere e non le riusciva di combinare niente perché in genere l'uomo si offendeva o si imbarazzava. Dopo alcuni giorni ho marciato fino al confine con la Francia, giungendo in un luogo dove qualcuno aveva eretto un idolo fatto di pietre ammucchiate, avente sembianze di un omino rudimentale. Un'americana si è allora staccata dalla sua comitiva e starnazzando ha chiesto a gran voce come mai l'omino ce l'avesse così piccolo. Si è quindi fatta fotografare a braccetto del simulacro, urlando qualcosa che si può traslitterare così: "This is my small dick boyfriend". Dovunque vadano, le americane si esibiscono in oscenità di ogni genere, tanto che i loro discorsi sono pieni zeppi di parole come "suck", "suck it up", "sucking", "fuck", e via discorrendo. Pensano soltanto a fellare e a copulare, ed è una cosa impressionante: solo se hanno con sé figli piccoli si astengono dall'usare un linguaggio pornografico. Di fronte a tutto questo, comprendo i sentimenti di Nerone nell'atto di suonare la lira mentre Roma ardeva: se avessi davanti a me un pulsante per mandare in combustione l'intero pianeta, non esiterei un solo istante a premerlo, l'importante è che tutto bruci senza la minima possibilità che qualcosa sopravviva tra le ceneri. Sarebbe deprimente pensare che questo porcaio possa durare ancora a lungo, tanto da permettere a un futuribile emulo di Edward Gibbon di scrivere un'opera in più tomi intitolata "Storia del declino e della caduta dell'Impero Americano".
 
Il luogo dove ho trovato Giove Pennino è il valico conosciuto come Col de la Seigne, proprio dove c'è il confine tra l'Italia e la Francia. Tornato in quello stesso sito due anni dopo i fatti appena descritti, nel 2015, vi ho trovato ancora un simulacro, anche se più piccolo e rudimentale di quello che vi avevo visto in precedenza. C'era una compagnia di israeliani molto allegri che vociavano di fronte al singolare manufatto, domandandosi cosa fosse e a cosa servisse. Invano ho cercato di spiegare loro che si trattava di un idolo, usando qualche parola in ebraico e poi continuando in inglese. Mi sorprendeva che considerassero con tanta futilità un oggetto che la loro religione avrebbe dovuto considerare offensivo. Non c'è stato verso che capissero il senso del mio discorso: quando ho fatto notare loro che a rigor di logica non avrebbero dovuto considerare divertente un'immagine di Baal, un vecchio mi ha guardato come se fossi un clown. "Why?", mi ha chiesto a un certo punto. Sono rimasto interdetto, ma poi ho pensato che fosse un ebreo laico (un "ammonita", come dicono in gergo) e che la cosa non doveva essere così strana. A questo punto mi sono accomiatato e ho cominciato a scendere a valle. Prima di volgere le spalle all'allegra comitiva, ho fatto in tempo a vedere un giovane israeliano, robusto e biondiccio, che poneva un piccolo sasso sulla sommità di Giove Pennino. Due valligiani con cui aveva parlato fino a poco prima, non appena si è allontanato, hanno rimosso la pietruzza appena collocata e l'hanno gettata a terra con disprezzo. Sentivo alcuni loro commenti in lontananza: "Ha detto di essere del Neghev", ha commentato uno. "Quanti palestinesi avrà ammazzato?", ha chiesto l'altro con voce sarcastica. 
 
Mi è stato riferito dall'amico A., nativo del paese dei Salassi, che gli omini delle montagne sono manufatti di antichissima tradizione, presenti sui valichi montani e sulle vette da tempo immemorabile. Non mi stupirei se l'usanza risalisse al Neololitico, forse addirittura al Paleolitico. Esiste l'inveterata a tradizione di accrescerli con pietre e di ricostruirli quando sono crollati: ogni passante pone un sasso, possibilmente piatto, sulla struttura, quasi seguendo un rituale istintivo, suggerito dal genius loci. Si dice che la funzione di questi strani cumuli di pietre consista nel segnare un sentiero poco definito, affinché il viandante non si smarrisca. Ho potuto constatare una specie di omertà diffusa tra la popolazione locale, che non ama affatto parlare di questo argomento coi forestieri. Sembra quasi che temano ancora oggi l'arrivo di un furioso Bernardo di Mentone abbattitore di idoli o addirittura di qualche inquisitore dei tempi della Caccia alle Streghe: non penso di poter essere ritenuto un folle se affermo che molti secoli di oppressione ecclesiastica devono essersi stratificati a livello di memoria epigenetica. 

martedì 12 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI BOUTKAN-KOSSMANN

Dirk F. H. Boutkan e Maarten G. Kossmann (entrambi dell'Università di Leida) sono gli autori del lavoro Some Berber parallels of European Substratum Words, ossia Alcuni paralleli berberi delle parole di sostreato europee.

Il file in passato era consultabile sul sito dell'Università di Leida al seguente indirizzo: 


Attualmente compare un'inquietante dicitura, under embargo. Il file pdf è sclerotizzato: non è possibile aprirlo né tantomeno scaricarlo. Le mie ricerche nel Web sono state vane, non sono riuscito a trovare l'articolo in questione in altri siti. La speranza è che l'embargo finisca e che il pdf dell'Università di Leida ritorni accessibile. In ogni caso questi fastidiosi inconvenienti, dovuti alle leviataniche pretese di chi vuole monetizzare ciò che non è fatto di materia, non mi dissuadono dal pubblicare la mia recensione dell'opera di Boutkan-Kossmann. 

Questa è l'introduzione, da me tradotta:

"Negli anni recenti, le lingue di sostrato soggiacenti alle lingue indoeuropee dell'Europa hanno ricevuto nuova attenzione da parte di numerosi accademici. Molte parole di sostrato sono state identificate e numerose caratteristiche morfologiche delle parole di sostrato sono state definite (es. Polomé 1989, 1990, Kuiper 1995, Vennemann 1995, Beekes 1996, Boutkan 1998, Boutkan e Kossmann, 1998). Anche l'identificazione delle lingue di sostrato ha ricevuto attenzione. Specialmente il basco e il semitico sono i candidati favoriti (cfr. Vennemann 1995, Kortlandt 1997)."

La ricostruzione del protoberbero si trova ancora a uno stadio molto preliminare. Quindi le proposte per ogni ricostruzione devono essere allo stesso modo considerate preliminari. Valutando la versione proposta del proto-berbero, bisognerà notare i seguenti punti di partenza: 

1) Berbero /f/ e /γ/ sono ricostruiti come *p e *q (occlusiva uvulare sorda) rispettivamente. 
2) Tuareg /h/ (= Ghadames β) è ricostruita come . Siccome il proto-berbero *b è raro in molti contesti, si deve assumere che risalga a **b in uno stadio antecedente della protolingua. 
3) Le vocali brevi sono ricostruite sulla base delle forme del Tuareg meridionale e del Ghadames. Assumiamo che [ă] risalga ad *a breve e che e (ossia lo schwa ə) risalga a *i e *u brevi. 
4) Siccome le vocali lunghe del Tuareg-Ghadames, é e o, sono spesso, anche se non sempre, il risultato di sviluppi secondari, saranno ricostruite come e rispettivamente. 
5) Le vocali che non possono essere ricostruite, ossia la cui qualità è indeterminabile, o che variano secondo schemi di alternanza regolari, sono scritte come [V]

Elenco in questa sede i lemmi trattati dagli autori, riassumendo i dati e fornendo qualche commento a caldo.
Note: 
  i) Nel seguito ho sostituito le forme protogermaniche usate nell'articolo con ricostruzioni a parer mio più affidabili, usando una trascrizione diversa di alcuni fonemi ed esplicitando la desinenza del nominativo singolare.
  ii) Le parole delle lingue dei Guanche delle Canarie sono state aggiunte e commentate dal sottoscritto.
  iii) I confronti con parole etrusche, iberiche e liguri sono stati aggiunti e commentati dal sottoscritto.


1) Latino bāca (italiano bacca)
    Celtico: gallese bagad "grappolo" < *bakatu-  
Protoberbero ricostruito:
     *bqā "mirtillo; mora"
Forme attestate:
Berber del Sous (premoderno) ta-bγa, ta-fγa "mora", Medio Atlante ta-bγa "more di rovo", Rif ta-bγa "tipo d'erba", Chenoua ha-bγa "mora".
Commenti:
Si tratta di forme derivate senza dubbio da un'unica fonte, ma questa non è individuabile. Le forme berbere non sembrano prestiti dal latino, che aveva una vocale tonica lunga /a:/. Anche la la parola gallese presenta problemi simili: gli autori citano l'opinione di Schrijver, che considera dubbia la sua connessione con la parola latina.   


2) Protogermanico (occidentale) *ǣβandaz "sera": 
       antico alto tedesco âband, etc. 
   Protogermanico (nordico) *aftanaz "sera":   
        norreno aptann,
Protoberbero ricostruito:
      *βad "notte"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) éhoḍ, Tuareg (Iwellemmeden) éhăḍ, Ghadames ĕβăḍ, Cabilo, Sous, Medio Atlante, Mzab, Ouargla, Figuig iḍ.
Commenti:
Nelle lingue dei Guanche si trova un'altra radice: enac "notte; sera" (Lanzarote), enaguapa acha abezan "per illuminare la notte" (Tenerife, Tradizione di Güimar).
Potrebbe essere un prestito da una lingua indoeuropea sconosciuta, vista la somiglianza con la protoforma *nekw(t)- / *nokwt-. Prende sempre più corpo la mia ipotesi, a prima vista fantastica, di una spedizione marittima compiuta da Celtiberi e da Germani di Oretania in epoca imperiale, giunta fino a Tenerife.  

3) Latino haedus, sabino faedus < *ghaid- "capretto" 
    Protogermanico *gaitiz "capra":
       gotico gaits "capra", norreno geit, antico alto tedesco geiz, etc.
Protoberbero
ricostruito:
       *āqāḍ "capra femmina";
       *qayd "capretto"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) iγeyd "capretto", Tuareg (Iwellemmeden) éγăyd "capretto", Ghadames têʿaṭ "capra", aʿîḍ "capretto", Cabilo taγaṭ "capra", etc.
Commenti:
Le due radici protoberbere, per quanto foneticamente e semanticamente simili, sono da considerarsi formalmente distinte. Concordo senz'altro con questa opinione degli autori.


4) Protogermanico (occidentale) *krumbaz "curvo, piegato"
    Celtico: antico irlandese cromb, cromm; gallese crwm
       < *krumbos 

Protoberbero
ricostruito:
      *kurVnb- / *kirVnb- "essere curvo, piegato" 

Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) kerembi "essere curvo"; Tuareg (Iwellemmeden) kerenbew "essere curvo"; Rif krumbeš "essere ingarbugliato". 

Commenti:
Boutkan ipotizza che la forma protoceltica sia un prestito dal germanico; a me pare che sia piuttosto il contrario. Sono dell'avviso che la forma Rif krumbeš sia un prestito dal gallico *crumbos, con conservazione della sibilante finale del nominativo singolare. È dimostrato dall'onomastica di epoca imperiale che esisteva una folta comunità di lingua gallica in Africa - come avremo modo di mostrare in altra sede. 


5) Greco púrgos "fortificazione" (var. phúrkos)
    Protogermanico *burgz "città; castello":
        gotico baurgs, norreno borg, etc. 
    Urartaico: burgana "torre"
Protoberbero
ricostruito:
      *farāg "recinto"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) ăfarag' "barriera, recinzione", Tuareg (Iwellemmeden) afărag "barriera, recinzione; giardino", Cabilo afrag "barriera, recinzione", Rif afray "barriera, recinzione" (< *afrag), etc.
Commenti:
A complicare le cose sta l'interazione con la radice innegabilmente indoeuropea *bhṛg'h- "montagna". La parola urartaica è passata come prestito in aramaico (burgôn "torre") e in arabo (burj "torre"). Tutto molto complicato, difficile riuscire a districare la matassa. 

6) Protogermanico (occidentale) *krukjō "stampella": 
       antico inglese cryce "stampella", antico sassone krukka, antico
          alto tedesco krucka, etc.
    Protogermanico (settentrionale) *krōkaz "gancio", *krakǣn
           "bastone uncinato", *krǣkilaz "uncino": 
       norreno krókr "gancio", kraki "bastone uncinato", krækill
           "uncino" 
Protoberbero ricostruito:
      *qaru / *qariy "bastone"
Forme attestate:
Ghadames taγărit "bastone", Cabilo iγṛi "bastone" (arcaico), Medio Atlante taγriyt "bastone", etc.
Commenti: Le alternanze vocaliche decisamente anomale nelle forme germaniche sono un forte indizio di origine non indoeuropea. 

7) Protogermanico *χauβiðan, *χa(u)βuðan "testa, capo" : 
        gotico haubiþ "testa", norreno hǫfuð, antico inglese hēafod,
            antico alto tedesco haubit, etc. 
    Latino caput "testa" 
Protoberbero
ricostruito:
      *qap "testa, sommità"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) éγef "testa", Tuareg (Iwellemmeden) éγăf "testa, sommità", Ghadames éγăf "testa, estremità, sommità", Cabilo ixef "testa, sommità", Medio Atlante ixf "testa", Ouargla, Mzab ixf, iγef "testa", etc.
Guanche: -ife "picco, punta rocciosa"
Commenti:
Si noti che la forma canaria, presente ad esempio nel toponimo Arrecife, è senza dubbio simile alle forme Ouargla e Mzab, ma presenta una maggior evoluzione fonetica e una semantica peculiare.
Nota
:
Segnalo un'imprecisione nell'articolo di Boutkan-Kossmann, relativamente al norreno: è riportata la forma haufuþ, che è soltanto un'antica variante ortografica del corretto hǫfuð (non c'è dittongo).

8) Latino plumbum "piombo"
    Miceneo MO-RI-WO-DO (moliwdos) "piombo" 
    Greco molubdos, molibos, bolimos "piombo" (e varianti)
    Celtico: antico irlandese lúaiḋe "piombo" < *loudijon <
        *plobdjom
 
    Basco: berun "piombo" < pre-basco *belun (-uN)
    Iberico (ricostruito): *beltun "piombo"
    Ligure (ricostruito): *peltrom "lega di piombo e stagno"
Protoberbero
ricostruito:
      *βaldūn / *βāldūn / *būldūn / *βaldūm "piombo"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) ăhâllun "piombo; stagno", Tuareg (Iwellemmeden) aldom "stagno", Tuareg (Ghat) ahellum "piombo", Cabilo, Sous, Medio Atlante aldun "piombo", Mzab, Ouargla buldun "piombo".
Commenti:
Ritengo che la parola berbera sia un prestito diretto dall'iberico. I dati berberi permettono di ricostruire un gruppo consonantico mediano -lt-, che in iberico veniva scritto per ragioni storiche, finendo però per pronunciarsi come semplice -l- prima del passaggio della parola al pre-basco. Proprio come è accaduto all'iberico iltiŕ "città", passato in pre-basco come *(h)ili, da cui il basco attuale hiri, uri "città". Sulle legende monterarie in caratteri iberici si legge iltiŕta, nome della città in cui è avvenuto il conio, che corrisponde alla trascrizione latina ILERDA
Nota:
Ho provveduto a ricostruire la protoforma ligure *peltrom "lega di piombo e stagno" a partire da dati romanzi come l'italiano peltro, lo spagnolo peltre e il francese antico peautre, espeautre. Si comprende abbastanza facilmente che si tratta di un antico prestito dall'iberico, con ogni probabilità con mediazione etrusca.

9) Protogermanico (occidentale) *kraβitaz "granchio; aragosta":
      antico sassone krevit, antico alto tedesco krebiz, etc. 
   Protogermanico (nordico) *krabbǣn "granchio"
      norreno krabbi "granchio" (da cui l'inglese crab, che è un
         prestito) 
   Greco karābos "granchio" (con diverse varianti, tra cui
         grapsaîos)
   Latino cārabus "granchio" (prestito dal greco)
   Latino scarabaeus "scarabeo"
   Italico: osco *skarafaiis, da cui italiano scarafaggio, napoletano
        scarrafone
.  
Protoberbero ricostruito:
       *qirb / *qurb / *qirbī / *qurbī "scudo"
Forme attestate:
   Tuareg (Ahaggar, Iwellemmeden) aγer "scudo", Tuareg (Taneslemt) aγerh "scudo"; si trova una forma medievale isolata, attestata nel berbero del Marocco meridionale: aγri "scudo" (sembra il solo motivo per la ricostruzione di protoforme con ).  
Commenti:
Il confronto potrebbe essere valido, anche se a me pare un po' tirato per i capelli, sia sotto l'aspetto fonetico che sotto quello semantico. Gli autori citano un verbo berbero, la forma isolata Iwellemmeden γărăt "nascondersi dietro", chiedendosi se il termine per "scudo" ne sia una derivazione o se valga l'inverso. Potrebbe tuttavia non esistere alcun nesso.

10) Protogermanico (occidentale) *falisaz (, n) "pietra, roccia":
          antico alto tedesco felis(a), feliso, antico sassone felis, filis
      Protogermanico (nordico) *felzan "montagna":
          norreno fell, fjall "montagna"
     Celtico: antico irlandese all "roccia" (< *allos < *pḷsos); ail
           "roccia" (< *alek); toponimo gallico Alesia 
     Ligure (ricostruito) *palā "pietra, lapide" (preso a prestito dal
           leponzio, palā "lapide")
     Ligure (toponomastico) -pale (fiume Vindupale "Pietra Bianca",
           oggi Prealba)
     Macedone pélla "scoglio" 
     Greco: phelleús "terreno pietroso"
    Etrusco: falas "torre, colonna" (passato in latino come fala "torre di legno"), *falaθu "cielo" (trascritto in caratteri latini come falado "cielo" < "altezza; volta, soffitto di pietra"; il latino palātum "palato; volta del cielo" è esso stesso un prestito più antico dalla stessa fonte)
Protoberbero ricostruito:
      *pallā "altezza"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) afella "alto (superficie superiore, in alto)", Tuareg (Iwellemmeden) afălla "alto, parte superiore", Cabilo -fella "in cima, in alto", Sous aflla "sopra", Medio Atlante afella "ciò che è in alto, ciò che è sopra", Ouargla f-, fell- "su" (ridotto a preposizione).
Commenti:
Senza dubbio è sconcertante la consonanza tra l'etrusco e il protoberbero ricostruito. Purtroppo gli autori dello studio in analisi non hanno considerato raffronti con la lingua dei Rasna. 

11) Protogermanico *silχaz "foca": 
           norreno selr "foca", antico inglese seolh, etc.  
      Voci non indoeuropee attestate in latino: salmō (gen. salmōnis)
           "salmone"; salar "trota" (gen. salaris
      Greco: sélakhos "squalo" (prestito da una lingua pre-greca);
           salpa "tipo di pesce marino" (di origine non IE)        
Protoberbero ricostruito:
     *sūlmay / *slVm "pesce" 
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) asûlmey "pesce", Cabilo, Medio Atlante, Figuig aslem "pesce", Rif asřem "pesce" (< *aslem); Sous aslm "pesce", Ghadames olisma "scinco", ossia "pesce (della sabbia)". 
Guanche: salema "salpa" (Tenerife)
Commenti:
Gli autori citano alcuni prestiti dal latino al germanico (antico alto tedesco salmo "salmone", etc.), parlando della loro concorrenza col termine nativo *laχsaz "salmone", ancor oggi ben vivo in vaste regioni. Non citano però alcuni dei raffronti qui riportati. Evidentemente la radice neolitica da cui sono derivate queste parole doveva suonare *sVl-, essendo gli altri elementi puri e semplici suffissi a noi ormai oscuri.

12) Protogermanico *skuldrō "spalla":
      antico alto tedesco skultarra, skultirra (moderno Schulter),
      antico inglese sculdor (moderno shoulder), etc.
Protoberbero ricostruito:
      *qrūḍ "spalla, scapola"
Forme attestate:
Tuareg (Iwellemmeden) iγerdén "parte del corpo situata sotto il collo e tra le scapole", Ghadames taγureṭ "spalla", Cabilo taγṛuṭ "scapola, spalla", etc.
Commenti:
Sembrano del tutto vani i tentativi di connettere le forme germaniche con la radice indoeuropea *(s)kel- "dividere". Forse un giorno si capirà che gli Antichi non cavillavano masturbando i verbi per dare il nome a cose elementari. Se qualcosa non ha un'agevole e facile spiegazione all'interno di un sistema linguistico, significa molto probabilmente che proviene da qualche altra parte. L'idea fissa di spiegare Omero con Omero, tanto popolare nel XIX secolo, ci priva della possibilità di indagare a fondo il passato.

13) Latino lēns "lenticchia" (gen. lentis)
     Germanico: antico alto tedesco linsī "lenticchia"; l'olandese linze
          può essere un prestito abbastanza recente dal tedesco
     Slavo e baltico: slavo ecclesiastico lęšta "lenticchia"; lituano
          lę̃šis (sono entrambi prestiti dal germanico)
    Basco: dilista "lenticchia"
Protoberbero ricostruito:
      *lintī "lenticchia"
Forme attestate:
Questa parola si trova, per quanto se ne sa, soltanto in Sous: tilintit, tiniltit "lenticchia".
Commenti:
Con ogni probabilità si è avuto un prestito dal latino volgare o dal protoromanzo al berbero. Non è affatto chiaro il rapporto tra la parola latina, che sembra ben radicata e di ottima tradizione, e il termine antico alto tedesco. Forse si tratta semplicemente di un prestito, cosicché questi raffronti parrebbero privi di forza argomentativa. Va però fatto notare che la forma basca ha un prefisso fossilizzato che è chiaramente lo stesso del berbero, oltre a una sibilante nel corpo della parola, il che crea non pochi problemi. Non si riesce a districare questo ginepraio.

14) Protogermanico *χriflingaz "scarpa":
          norreno hriflingr "scarpa", antico inglese hrifeling "scarpa"
     Greco: karbátinos "fatto di cuoio" 
     Celtico: antico irlandese cairem "calzolaio", antico gallese crydd
         "calzolaio" (< *kṛp-)
     Latino: carpisculum "tipo di scarpa" 
     Slavo: antico bulgaro kŭrpa "tessitura; straccio"
    Baltico: lituano kùrpė "scarpa" (è riportato che nel tedesco di
         Prussia si usava Kurp per dire "scarpa" anziché Schuh)
Protoberbero ricostruito:
    *VqrVp "coprire qualcosa con cuoio"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar, Iwellemmeden) eγref "tendere una pelle", Medio Atlante γref "coprire con cuoio", etc.
Commenti:
Alcuni sostengono che l'italiano scarpa sia stato retroformato da scarpettina, e che questo falso diminutivo altro non sia che il greco karpatinē "calzatura di cuoio", variante di karbatinē, femminile dell'aggettivo karbátinos (vedi sopra). Altri - e sono tutti romanisti - fantasticano su un germanico *skarpa "tasca di cuoio", che a quanto mi consta non si è mai visto da nessuna parte. 

15) Protogermanico (occidentale) *gristilaz / *krustilō (-az) /
     *krustulō
(*g-) "cartilagine":
           antico inglese gristel, gristl 
           antico alto tedesco krustula, krustila, krostila, grustila,
                krustil, krustilīn  
      Protogermanico (occidentale) *kruspilaz "cartilagine":
           antico alto tedesco kruspil
      Protogermanico (occidentale) *grosVlō "cartilagine":
           antico alto tedesco krosila, krosla
           antico sassone krosla (glossa)
      Protogermanico (occidentale) *grostaz "cartilagine"
          antico inglese grost
Protoberbero ricostruito:
       *gVrgVr- "cartilagine
Forme attestate:
Tuareg (Iwellemmeden) égärgäwés "cartilagine", Cabilo igergir "cartilagine".
Commenti:
Il gran numero di varianti in germanico occidentale e le irregolarità che presentano, sono indizi chiari del fatto che si tratta di prestiti, forse nemmeno troppo remoti, da una lingua sconosciuta.
Si noti che le attestazioni riguardano quasi soltanto l'antico alto tedesco e l'antico inglese. 

16) Protogermanico *siluβran "argento":
      gotico silubr "argento", norreno silfr, antico inglese seolufr,
           siolufr
, silofr, antico alto tedesco silibar, silabar, antico
           sassone siluƀar, silƀar 
      Slavo: slavo ecclesiastico sĭrebro, sŭrebro "argento", russo
          serebro, etc.
      Baltico: lituano sidãbras "argento", lettone sidrabs 
      Celtico: celtiberico SILABUR (Iscrizione di Botorrita,
          trascritto anche
śilaPuŕ) < iberico *śilabuŕ
      Basco: zilhar "argento" (varianti dialettali: zilar, zidar, zildar)

Protoberbero ricostruito:
      *-zrĭp(i), *-zrŭp(i) "argento"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar, Iwellemmeden), Sous (medievale), Chenoua aẓref "argento", Zenaga (Mauritania) aḍerfi
(trascritto anche azerfi, azerfu).
Commenti:
La forma celtiberica è evidentemente un prestito dall'iberico. La stessa parola ha dato origine alche al basco zilhar < *ziL(h)aR < *ziLabR-. L'origine ultima di questa parola migrante dovrebbe essere semitica, come già ipotizzato da Trombetti. Infatti in molte lingue semitice compare una radice verbale ṣrp col significato di "raffinare il metallo", usata specialmente con riferimento all'argento. In alcune di esse esistono testimonianze dell'uso di tale radice con il significato di "argento" (es. sabeo ṣrp "argento", arabo poetico ṣarīf "argento"). Boutkan è scettico su questa etimologia: egli afferma che non esiste alcuna parola dalla radice verbale ṣrp col significato di "argento" proprio nelle lingue parlate in epoca antica sulle rive del mediterraneo (es. punico, ebraico). L'obiezione non mi sembra comunque valida: potrebbero essere esistite lingue afroasiatiche che sono scomparse senza lasciare tracce.
Nota:
Questa radice non è inclusa nell'articolo di Boutkan-Kossmann; tuttavia gli autori hanno pubblicato un altro articolo con analisi approfondite, reperibile su Academia.edu:


Conclusioni
L'interpretazione più probabile delle evidenze mostrate dal materiale discusso è che sia esistita almeno una lingua neolitica, estinta senza lasciare altre tracce, donatrice di prestiti sia a un gran numero di lingue indoeuropee che al proto-berbero. Tutto ciò è meritevole di ulteriori indagini.

venerdì 4 ottobre 2019

LA RÜGA, IL MISTERIOSO GERGO DELLA VAL SOANA

Il ricordo di A. resta vivo in me. Era uno degli ultimi parlanti della Rüga, un bizzarro linguaggio criptico della Val Soana che gli studiosi considerano un gergo. Dalla viva voce di A., in un pub a Torino, ho appreso un certo numero di parole e ho avuto conferma di altre che già conoscevo, avendole viste attestate nell'opera del Biondelli (Studi sui dialetti gallo-italici, Milano, 1857) - ben datato ma pieno di dati interessantissimi. Purtroppo, date le circostanze della serata in cui ho conosciuto A. (ricordo ancora le pinte di ottimo sidro da me ingurgitate avidamente), non ho avuto occasione di ottenere maggiori informazioni. Mi sembrava di infastidirlo ed ero molto soddisfatto di quanto avevo raccolto, così ho mollato la presa. Dopo qualche mese ho saputo, con grande dolore e tristezza, che A. era stato sedotto da una laidissima carampana, una cougar ben più matura di lui. Posso cercare di ricostruire in qualche modo la dinamica degli eventi. Questa donna libidinosa deve averlo fellato, ingurgitandogli il materiale genetico e conducendolo poi alla follia. Questo mi è stato riferito da comuni amici: una volta abbandonato dall'avida Messalina, A. aveva potuto trovare conforto soltanto in Dioniso, finendo in condizioni molto preoccupanti. A quel punto le notizie si sono interrotte. A tutt'oggi non so nulla di cosa ne sia stato di lui, se sia tuttora in vita o se si trovi nel paese che i Sumeri chiamavano Urugal. Se fosse stato ghermito dal Tristo Mietitore, esiste la fondata possibilità che la Rüga sia morta con lui.

Queste sono alcune delle glosse di A.: 

ÀIMA "fuoco"
BÓMBA "cane"
DAÙR "camoscio"

DÜRBI "padre"; "anziano" 
FÀIMA "gatto"
GÒRI "uomo"
LÜFA "acqua"
SANSÌGAR "testardo"
TÒUFA "stambecco"
TRI "figlio"; "piccolo"
TRILA "ferro" 

ÀIMA "fuoco" sembra puntare a una protoforma *aid-ma(n), che ha la stessa radice del nome degli Edui (Aedui), dal protoceltico *aidu- "fuoco", a sua volta dall'indoeuropeo *aidh- "ardere". Il dittongo /ai/ è conservato. Senza dubbio questo è a un relitto di un sostrato preromano (ligure o celto-ligure). 

DAÙR "camoscio" richiama subito alla mente l'inglese doe "cerva", dall'anglosassone "cerva", termine oscuro preso da un idioma di sostrato, con ogni probabilità celtico. In antico irlandese si trova daṁ "bue" (< *damos), mentre in gallese abbiamo dafad "pecora" (< *damatā). Si può ricostruire una base *dam- che doveva significare "animale (domestico)". Il latino ha preso dāma (variante damma) "daino" da una lingua di adstrato, con ogni probabilità il ligure, anche se c'è chi ritiene questa voce di origine berbera. Si tratterà in altra sede il problema. La -m- intervocalica deve aver subìto una lenizione come nelle lingue celtiche per dare DAÙR, il cui suffisso è alquanto oscuro.  

LÜFA "acqua" rimanda subito al latino lympha "acqua; liquido puro; fonte limpida"; "ninfa delle acque". La parola deve essere entrata nella lingua dotta dell'Urbe dall'etrusco: nella lingua dei Rasna dovette esistere *lumφa "acqua, liquido puro", adattamento del greco νύμφη (nymphe) "ragazza, giovane sposa", ma anche "ninfa delle acque", il cui uso poetico come "acqua" è ben documentato. Probabilmente i due significati di "ragazza" e di "acqua" puntano a parole distinte e omofone, poi associate per etimologia popolare. Il professor Guido Borghi, come gli ho trasmesso anni fa questa mia ipotesi sull'origine di LÜFA "acqua", mi ha scritto che effettivamente la derivazione della voce valsoanina è verosimile.

TÒUFA "stambecco" sembra puntare a una protoforma *tolfa, che ha singolari riscontri nella toponomastica dell'Italia centrale: nel panorama del centro abitato di Tolfa (anticamente Tulphae) si vede un grande sperone roccioso.  Il toponimo deve aver avuto origine da una radice *tul- / *tol- "sporgenza, corno", che nel linguaggio alpino è passato a indicare l'animale cornuto per eccellenza.

A. mi ha fatto notare, mentre stavo abbeverandomi al grosso bicchiere di sidro, che SANSÌGAR "testardo" è un vocabolo comune a un gergo della Bergamasca. Tale gergo è stato poi da me identificato nel Gaì, una parlata criptica dei pastori delle valli bergamasche. Il professor Guido Borghi mi aveva a suo tempo inviato del materiale sul Gaì, che purtroppo è andato smarrito.  Ipotizzo che il significato d'origine fosse "testa dura come la pietra", con -GAR che rimanda al ligure carris, glossato con "nomen saxi", ben documentato nella toponomastica e presente anche in basco come harri "pietra".

Oltre alle parole da me selezionate come antiche, ve ne sono anche alcune di ben diverso tipo. Di notevole interesse antropologico sono ad esempio i vocaboli LUMBARDA "mattina" e BURGÒGNA "sera", di chiara origine furbesca: come A. mi ha spiegato, per le genti della Val Soana è in Lombardia che nasce il sole ed è in Borgogna che tramonta. Chiaramente queste forme sono molto più recenti rispetto a quelle attribuibili a un sostrato preromano. 

Scarne le note grammaticali fornite da A., anche se appare chiara la natura romanza della morfologia. L'articolo è LU, che non conosce variazioni di genere per il lessico nativo, non romanzo: LU BÓMBA "il cane", LU FÀIMA "il gatto", etc. La cosa è interessante: a quanto pare tutti i sostantivi in -A di questo genere sono considerati maschili, non si ha traccia di una loro assimilazione al genere femminile. Questa caratteristica mi è stata fatta notare espressamente da A.; i vocaboli di questo tipo sono invariabili al plurale: BÓMBA traduce sia "cane" che "cani", etc. Un fatto a cui finora non è stato dato il giusto rilievo dagli studiosi.  Il lessico di origine furbesca o romanza funziona diversamente: LA LUMBARDA "la mattina", LA BURGÒGNA "la sera". A. non mi ha fornito alcun esempio di verbo coniugato. Non sono riuscito ad avere da lui saggi di frasi complete, per quanto elementari. Ero sicuro che avrei rivisto A. in altre occasioni e che avrei avuto tempo di approfondire ogni questione. Beh, mi sbagliavo. 

Queste sono alcune interessanti glosse raccolte dal materiale di Bernardino Biondelli, sia dal già menzionato volume sui dialetti galloitalici che da Studi sulle lingue furbesche (Milano, 1846): 

BASORDA "fame"
BERO "anno"
CAMU "amico; compagno"
CHEZA "porci, maiali" (z = /ts/
COSPA, COSBA "casa"
CRÜINA "scrofa"
CUCÀR "mangare"
DÜRBI "padre"
FAMÀUT "servitore"
GHÈISI "fame"
GORI
"uomo"
GÒRIA "scrofa; prostituta"
LOMBARD "sole"
MURCÀR "mangiare"
PIERLO "Dio" 
TABURNA "villa" (dimora di campagna)


Si noterà che il Biondelli fallisce nell'intento di dare una precisa definizione della Rüga, che a dire il vero non menziona nemmeno con questo nome. Non sembra che la considerasse un linguaggio criptico distinto dal locale dialetto, da lui definito piemontese canavesano - anche se in altre fonti è invece considerato franco-provenzale come l'arpitano. Le parole prive di corrispondenza romanza, presenti nel lessico di base, le evidenzia come bizzarrie, comprendendone però soltanto in parte l'estrema importanza. Nel suo volume si trova anche una versione in valsoanino della Parabola del Figliol Prodigo, in cui compaiono alcuni dei vocaboli sopra riportati. La lingua in cui è redatta è a tutti gli effetti piemontese, ha soltanto alcune caratteristiche morfologiche franco-provenzali, come le uscite -t  della III persona singolare e -unt della III persona plurale dei verbi (es. ho hat avü "ha avuto", l'est fuièit "è fuggito", j'avansunt "gli avanzano"). 

BASORDA "fame" doveva in origine significare "carestia; morte per fame". Ho subito riconosciuto in questa voce un'etimologia celtica, comparandola all'antico irlandese bás "morte", dal protoceltico *bāθθon, a sua volta da un precedente *bāstom. La terminazione è confrontabile con il suffisso -red che si trova in gallese, derivato da -*reton. Così da *bāθθo-retā (con l'accento su -o-), con una variante femminile del suffisso, abbiamo direttamente BASORDA. Nel gergo dei minatori di Usseglio si trova bazir "morire", formato dalla stessa radice celtica, diffusa anche negli argot francesi.

BERO "anno" è una forma molto criptica, ma alla fine sono riuscito a carpirne il mistero. Tra i ladri si usavano forme gergali come longo, longano "anno" (in Lombardia longon, lungagnen), la cui spiegazione è ovvia: un anno in carcere non passa mai. Siccome tali codici tendevano a filtrare tra i profani, per via della loquacità femminile, nelle conventicole furbesche si cominciò a dire serpente "anno": il serpente è lungo come l'anno, inoltre l'Ouroboros, che si morde la coda, allude al tempo ciclico. Orbene, BERO significava in origine "serpente". Siamo abituati a questa parola. Chi non conosce la Vipera berus? Si tratta di una parola celtica che indicava la vipera e la lancia. L'origine indoeuropea è la stessa del latino veru "spiedo; giavellotto" < *gweru- "spiedo".

CAMU "amico; compagno" presenta qualche problema già a livello di pronuncia. Non è infatti segnato alcun accento. Suppongo che la pronuncia corretta sia CAMÙ, con l'accento sull'ultima sillaba: una vocale /-u/ atona e finale di parola è scritta costantemente -O dagli autori. Viene la tentazione di ritenere questa parola di origine gitana: in Romaní abbiamo kamel "amare", dalla stessa radice del sanscrito kāma- "desiderio", che ha dato origine al famosissimo Kāmasūtra. Il punto è che il verbo in questione indica l'amore tra uomo e donna, la concupiscenza sessuale e il corteggiamento, non l'amicizia tra uomini. Il terminie Romaní per dire "amico" è invece prieten (sanscrito pri- "amare", in senso platonico). Nonostante i parlanti della Rüga fossero calderai come molti Rom, non notiamo alcuna traccia di commistioni lessicali. Il problema rimane dunque aperto, ma credo che la parola sia antica e non gitana: mi è subito venuto in mente il nome dei Camuni. La questione, molto complessa, andrà approfondita in altra sede.

COSPA, COSBA "casa". Una parola antica e di vasta diffusione nel furbesco, con diverse varianti. Già nel toscanissimo Cecco Angiolieri troviamo cosco "casa". Nel mafiese si ha il tristemente noto cosca. La parola potrebbe essere imparentata con il latino casa "capanna", di origine preindoeuropea e con ogni probabilità etrusca, oltre che con le forme germaniche: inglese house "casa", tedesco Haus "casa", dal protogermanico *χūsan - senza credibili paralleli indoeuropei. 

CRÜINA "scrofa" somiglia a crin "maiale", un vocabolo preromano assai diffuso in Piemonte (a Finestrelle curìn e a Giaglione carrìn). In basco si ha kurrinka "grugnito".    

FAMÀUT "servitore" è chiaramente derivato dal latino famulus. La cosa è abbastanza sorprendente, visto che non mi sembra che abbondino gli esiti romanzi della parola latina (a parte qualche forma dotta rammento soltanto l'italiano famiglio). 

GHÈISI "fame" sembra connesso con una gran varietà di forme diffuse in Piemonte (sgösia), in Lombardia e persino in Emilia (sghessa). Non è tuttavia facile risalire a una protoforma solida. Si nota però la sorprendente somiglianza con il basco gose "fame". 

LOMBARD "sole" corrisponde chiaramente alla sopracitata glossa di A., LUMBARDA "mattina". Il sole era chiamato così perché si pensava che nascesse in Lombardia. 

PIERLO "Dio" è sempre citato con l'aggettivo preposizionale BON "buono": nel lavoro sui furbeschi si ha EL BON PIERLO "Il buon Dio". L'articolo usato pare in contrasto con quanto comunicatomi a suo tempo da A., che aveva LU, non EL. Si noti però che nella versione valsoanina della parabola del Figliol Prodigo si ha LO BON PIERLO "il buon Dio" e LO BON DÜRBI "il buon padre".

TABURNA "villa" somiglia molto al latino taberna "osteria, locanda", ma anche "capanna" - a sua volta prestito da una lingua non indoeuropea, con ogni probabilità dall'etrusco. Il diverso significato e il suffisso -URNA mi spingono a ritenera la voce valsoanina imparentata col latino taberna, ma non un prestito. 

Diverse parole fornite da A. non si trovano nelle opere di Biondelli (es. DAÙR "camoscio", TÒUFA "stambecco", TRILA "ferro"). 

Costantino Nigra (1828 - 1907), che fu definito l'Ultimo Vate, scrisse diffusamente su questo linguaggio singolare, compilandone anche un dizionario. Sono venuto a conoscenza di questo autore durante un convegno a Torino. Ricordo ancora la buffa excusatio non petita di R., che presentò la sessione: "Certo, Costantino Nigra era un massone, ma chi non lo era a quei tempi?" Siccome la presentazione precedente era stata su Don Bosco e sul cattolicesimo sociale piemontese, R. provava un certo imbarazzo, forse temeva che qualche vandeano si levasse dal pubblico e gli rimproverasse l'improvvida commistione. 

Riporto alcune interessanti glosse tratte dal dizionario di Nigra, pubblicato in Archivio glottologico italiano, vol. III, Roma, 1878, pagg. 53-60. L'ortografia, razionalizzata da Albert Dauzat, si basa su quella italiana, ma con alcune peculiarità (J = I semivocalica); noto che dove Biondelli ha Z, Nigra usa in modo sistematico TH per esprimere un suono interdentale. 

BÁLJO "soldato"
BÉJRO
"anno"
BIMA
"sale"
BÓMBA "cane", "cagna"
BÓNGA "bottiglia"
BÓRNA "forno"
CHÉTHA "maiale"
CRÜ'JNA "porco"
DÁLJO "sciabola"
EMME "miglio" (misura di lunghezza)
FÁJMA "gatto"
FÁPER "bastone"
FÍRFA "porco"
GÁJNA "gatto"
GHISÓRBA "lupo"
GÓRLA "vacca"
IPORÍGE "Ivrea"
LAP "latte"
L
ÓPA "orecchio" 
L
Ü'FA "pioggia" 
LÜ'RNA "re"
MANDÓCA "vacca"
MARGÓJNA "pastore"
MORÉJNA "lardo"
M
ÓSSA "vino"
NICO "naso"
PÉLJO "pietra"
PIC "argento"
RÜF "fuoco"
RÜLL "mela"
TÁMPA "porta" 


Diverse parole fornite da A. non si trovano nell'opera di Nigra (es. DAÙR "camoscio", TÒUFA "stambecco", TRILA "ferro").  

BÁLJO "soldato" rimanda all'istante al nome dei Balari, antica popolazione della Sardegna, il cui significato è "esiliati, fuggiaschi, predoni, banditi". Anche le isole Baleari devono il loro nome agli antichi abitanti, che avevano grandissima fama di pirati.

BÓRNA "forno" è sorprendente e di certo antico: è un corrispondente ligure del latino furnus, con /b-/ dall'indoeuropeo *gwher- "caldo; ardere". Il latino furnus è corradicale di formus "caldo" e in celto-ligure abbiamo una radice molto simile proprio con /b-/ iniziale, che sopravvive nella toponomastica: basti pensare al fiume BORMIDA "Caldo", ossia "Ribollente", oltre che a BORMIO "(Luogo) delle Acque Calde". 

DÁLJO "sciabola" deriva da un'antica parola ligure, *daklom, il cui significato è "falcetto". Il latino ha preso daculum "falcetto" proprio dal ligure.

EMME "miglio" (unità di lunghezza) parrebbe una forma abbastanza banale, se così si può dire: è infatti la pronuncia del nome della lettera M, che caratterizzava le pietre miliari. 

IPORÍGE "Ivrea" è una diretta evoluzione della forma celtica Eporēdiā "(Luogo) della Cavalleria" (cfr. gallese ebrwydd "rapido", da *epo-rēdos; antico irlandese echraḋ "cavalli (coll.); cavalleria; cavallo da corsa", da *ekwo-rēdos), avvenuta di certo in modo indipendente dal piemontese Ivrèja. Queste forme toponomastiche devono essere il risultato di tardi esiti del gallico parlato, piuttosto che di forme assimilate dal latino volgare: l'usura fonetica è più "corrosiva" di quella del lessico latino avvenuta nel romanzo e presenza mutamenti anomali - ovviamente trascurati dai romanisti. 

LÜ'FA "pioggia": A. traduce questa parola con "acqua". Chiaramente il significato di "pioggia" è secondario e si è sviluppato da quello più generale. Nigra cita anche la forma verbale LÜ'FET "piove".

MANDÓCA "vacca". La radice preindoeuropea di questa parola si trova nel basco mando "mulo" e nel paleosardo, ma anche nel celtico mandu- "cavallino" (passato in latino come mannus "cavallino", da un dialetto che aveva -nd- mutato in -nn-, forse il leponzio). Con ogni probabilità nella lingua neolitica di origine significava "animale domestico (bovino o equino)".

MORÉJNA "lardo" ha vasti paralelli in moltissime lingue nostratiche ed afroasiatiche. Tra questi derivati si annovera la radice indoeuropea *smeru- "grasso, unto", tipica del germanico e del celtico, che però non sembra essere la diretta origine della forma valsoanina.   

MÓSSA "vino" lo associo al basco ozpin "aceto", dal protobasco *boz-bin "idromele acido": la radice d'origine, *boz-, da un precedente *moz- (-z- trascrive una sibilante sorda laminale), doveva essere lontanamente imparentata con l'indoeuropeo *medhu- "idromele; miele". Parole simili si trovano anche in altri argot e devone essere residui di lingue antiche.

PÉLJO "pietra" è da una radice di sostrato *pel(l)-, tuttora ben viva in diverse parlate dell'arco alpino. In Trentino (Agordo, Livinallongo) si ha pelf "roccia durissima". In Savoia si ha peilevo "roccia", dalla stessa radice. Persino in greco antico si ha un relitto preindoeuropeo πέλλα (pella) "roccia", tramandatoci da Esichio. Abbiamo poi la variante apofonica *pal-, che è ben documentata nell'idronimo ligure Vindupale "Pietra Bianca" (che attualmente porta il nome romanzo di Prealba, dalla traduzione latina Petra Alba), oltre che nel leponzio epigrafico pala "lapide".

Mi sono accorto che Nigra non riporta nulla di simile a BURGÒGNA "sera", ma oltre a LOMBART "sole" ha anche LOMBARDA "luna". Una singolare contraddizione con le glosse di A., spiegabile supponendo che la Rüga non sia mai stata un linguaggio monolitico e che avesse numerose varietà locali, spesso con divergenze lessicali anche notevoli.   

Molte simili parole, attribuite all'argot di Locana in Val Soana, sono riportate nell'opera di Arturo Aly-Belfadei, Archivio di psichiatria, scienze sociali e antropologia criminale (Torino, 1900). L'autore, rappresentante moralista delle mostruosità dello Stato-Moloch e del suo insopportabile paternalismo, riteneva ogni argot come una manifestazione criminale da sopprimere - previa schedatura per finalità poliziesche. L'ortografia usata per trascrivere i vocaboli è molto simile a quella già adottata dal Dauzat nel riportare i dati del Nigra.  

BASÔRDA "fame"
BRÍA
"guerra"
CRÒJNA "scrofa"
DÖRBI "padre"
DÖRBJA "madre"
GÀUNA "gatto"
GRÍA "carne"
GÖRBA "paese natio"
LIMA "camicia"
LÖRNA "re"
MÖRCH "ricco"
MOSA "vino"
RÜGA "calderaio"
TAMPA "finestra"


Si noterà che Aly-Belfadei glossa PIÉRLO con "monsieur, seigneur": ËL BÔN PIÉRLO è glossato con "Dieu" (alla lettera "Il Buon Signore"). Nigra ha invece LO BON PJÉRLO "Dio" e cita una forma femminile PJERLÜ'A "signora". Secondo Dauzat, che riporta i dati di Nigra, il significato originario del termine sarebbe "padre" nel dialetto locale e avrebbe una variante PIRLO

RÜGA "calderaio" spiega il nome stesso del gergo di cui ci stiamo occupando. Con ogni probabilità è un derivato di RÜF "fuoco". 

Infine faccio notare una cosa singolare che mi ha molto stupito. Oltre a parole molto peculiari e dall'aspetto antico, sia nel lavoro di Nigra che in quello di Aly-Belfadei ne troviamo moltissime deludenti. Si tratta di parole romanze dotate di suffissi. Questi sono alcuni esempi: 

AGNELÁRRO "agnello"
AUTRÉNC
"altro"
AVILJÓCA "ape"
BINÉNC "bene"
CAVAGNÓCA "cavagna"
DOVANTÉNC "davanti"
FJATÁRRO "soffio"
FJEURÓCA "fiore"
GABJÓCA "gabbia"
GIOANÁRRO "giovane"
GIOVENÓCA "giovane"
MELÜ' "miele"
MESÁRRO "mese"
NOVÁRRO "nuovo"
ORSÁCO "orso"
ORSÜ' "orso"
OSSÁCO "osso"
PONTÁRRO "ponte"
SANGÁRRO "sangue" 


La Rüga ha un lessico che comprende sia forme antichissime, sopravvivenze di sostrati preromani, che forme più recenti (in taluni casi addirittura banali, es. BEC "capra", cfr. italiano becco; BROC "cavallo", cfr. italiano brocco; MÜCA "vacca", cfr. italiano mucca). Sembra di ravvisare una strana tendenza a sostituire forme criptiche antiche con forme moderne più trasparenti, prossime all'italiano o al piemontese, o addirittura ottenute da parole italiane aggiungendo suffissi - cosa che appare un controsenso, essendo la finalità di un gergo quella di risultare incomprensibile agli estranei. In molti casi due o più forme convivono (TARGA "bene" rispetto a BINÉNC; MANDÓCA "vacca" rispetto a MÜCA, etc.), come se fosse avvenuto un imponente processo di rilessificazione. Le forme celto-liguri o di origine ignota sembrano essere sfavorite nella competizione.