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venerdì 16 luglio 2021

ORIGINI LONGOBARDE DELLA GORGIA TOSCANA

Nel mio incessante peregrinare per gli antri del labirintico Web, mi sono imbattuto in un post sulla gorgia toscana, pubblicato sul sito Toscana Stato, aka Centro Studi Indipendentisti Toscani (motto: La Toscana non è Italia). Questo è il link:
 
 
Riporto le conclusioni del post, senza mutare nulla, nemmeno l'orrido uso della punteggiatura:

"Capire quale sia l’origine esatta della gorgia è compito estremamente arduo anche per i filologi più esperti . Possiamo dire però con buon grado di certezza che sicuramente non è un fenomeno di origine etrusca , anche se rimane una ipotesi altamente attrattiva ed affascinante per chiunque."

"E’ assai più logico , anche se purtroppo più prosaico , ipotizzare che la gorgia sia un fenomeno autoctono fiorentino , probabilmente nato in “reazione” alla sonorizzazione settentrionale, e che si è successivamente diffuso al resto della Toscana in seguito alla dominanza e al prestigio della città ." 
 
"L’ipotesi dell’origine germanica della gorgia rimane ancora poco suffragata di prove e rimane debole al pari dell’ipotesi “etrusca” , anche se ulteriori studi sarebbero auspicabili."
 
Questo è il commento che ho aggiunto al post: 

Buongiorno. Sono impegnato nella ricostruzione della lingua longobarda e in un tentativo di rivitalizzazione. Ho le prove dell'origine longobarda della gorgia toscana, che esporrò in dettaglio nel mio blog, http://perpendiculum.iobloggo.com. Il punto è questo: in qualche luogo abbastanza isolato una minoranza longobarda mantenne a lungo la sua lingua germanica con una rotazione consonantica estrema e perse del tutto le sonore /b/, /d/, /g/, desonorizzandole e spesso aspirandole. Poi adottò il romanzo locale, che possedeva /b/, /d/, /g/, oltre ad altri suoni. Si creò quindi una parlata nuova e dotata di gorgia. Poi questa si espanse nel corso dei secoli. Forse Dante poté morire senza saperne nulla. Quando la pronuncia di origine longobarda si diffuse, fu ritenuta un malcostume e fu tentata la sua eradicazione.
Si noterà che in etrusco le occlusive sorde erano fonemi diversi dalle aspirate, mantenendo capacità di contrasto in molti contesti fonetici, con buona pace di Pallottino. Data la singolare fonotattica della lingua, l'eliminazione di questa opposizione avrebbe prodotto gravi fraintendimenti.
Un saluto
Marco 

All'epoca il mio blog era ancora ospitato sulla fatiscente piattaforma Iobloggo, che nel frattempo si è estinta. Purtroppo il commento da me apposto sul sito del Centro Studi Indipententisti Toscani non è stato minimamente considerato. Non ha ricevuto alcun feedback, anche se a mio avviso il problema sollevato potrebbe essere degno di nota. In quanto a proclami, sono tutti bravi. Poi, se si tratta di indagare una questione importante, nessuno si impegna. Tante supposizioni, tutte superficiali. 
 
Mia intenzione è quella di fornire con questo mio minuscolo trattatello un tentativo di ricostruzione delle fasi di formazione della gorgia toscana. Credo che oltre alle tante chiacchiere fatte sull'origine etrusca o germanica di questo interessantissimo fenomeno, non sia mai stato tentato nulla di simile. C'è chi crede che la fonetica degli antroponimi longobardi toscani fosse dovuta alla gorgia della lingua romanza, cosa assurda anche solo a pensarsi. In realtà è tutto l'opposto: è la gorgia della lingua romanza che ha tutta l'aria di essere nata in qualche modo dalla fonetica della lingua dei Longobardi.
 
Fase I 
Livellamento tra antiche occlusive sonore e occlusive sorde in tardo longobardo toscano 

Si è completato un processo già in atto durante il Regno Longobardo e continuato anche in seguito, come documentato da numerosi antroponimi. Noi assumiamo che questo sia avvenuto in modo pervasivo in qualche comunità abitante in una zona sufficientemente impervia, in cui la lingua ha continuato ad essere in uso ancora in epoca molto bassa, successiva alla caduta del Regno, forse collocabile nel X-XI secolo. 
 
Questo è il prospetto dei mutamenti: 

/b/, /p/ > /pʰ/
/d/, /t/ > /tʰ/ (in sillaba finale anche /ts/, /s/)
/g/, /k/ > /kʰ/ 
 
/sp/ rimane /sp/
/st/ rimane /st/
/sk/ rimane /sk/  
 
Questi sono alcuni esempi, deducibili dal ricchissimo materiale antroponimico e da altre testimonianze (termini legali, etc.):  

GAIDA "punta di lancia" > CATA /'kʰa:tʰa/ 
GAIR "giavellotto" > CAR /kʰa:r/ 
GAND "demone" > CANT /kʰantʰ/ 
GAST "ospite" > CAST /kʰast/ 
GODES "di Dio" > COTES /'kʰɔtʰes/  
GUND "battaglia" > CUNT /kʰuntʰ/ 
LAIB "eredità", "erede" > LAP /la:pʰ/
LEUB "caro" > LEOP /leopʰ/ 
LIUT "popolo" > LIT /li:tʰ/, LIS /li:s
PLOD "sangue" > PLOT /pʰlo:tʰ/, PLOTZ /pʰlo:ts/ 
ROD "fama" > ROT /ro:tʰ/ 
THEUDA /'θeuda/ "popolo" > TEUS /tʰeus/
 
Persino il fonema /gw/ sviluppato dall'antico /w/ si è evoluto in /kw/, come documentato in alcuni antroponimi tardi, in attestazioni che sono spesso successive alla caduta del Regno dei Longobardi. Ecco alcuni esempi, tratti da Bruckner (1895): 
 
QUALDIPERTUS (anno 850) : WALDIPERTUS (anno 848), 
        GUALDIPERTUS (anno 765)
QUARNIPERTUS (anno 824) : UUARNEPERTUS (anno 885), 
        WARNIPERTUS (anno 823)
QUASCO (anno 848) : GUASCO, WASCO   
QUASPERT (anno 764) : GUASPERTUS (anno 812) 
QUESTO (anno 873) "Occidentale"  

Poniamo così che l'approssimante /w/, evoluta in /gw/ e in /kw/ in longobardo, sia poi divenuta /kʰw/ in tardo longobardo toscano:  

GUALD "bosco" > QUALT /kʰwaltʰ/ 
GUALDEMAN "intendente forestale" > QUALTEMAN 
     /kʰwaltʰeman/ 
GUARN "cauto" > QUARN /kʰwarn/ 
GUASCO "Basco" > QUASCO /kʰwasko/ 
GUEST "Occidente" > QUEST /kʰwɛst/ 

Completati questi mutamenti, non rimane nel tardo longobardo toscano alcuna traccia di consonanti occlusive sonore /b/, /d/ e /g/.  

Fase II 
Adozione della lingua romanza 
 
Si instaura il bilinguismo. Supponiamo che la lingua romanza adottata avesse già i caratteri dell'antico toscano. Per un certo periodo, il longobardo deve essere stato usato come memoria storica. La legge fonetica che ha reso sorde le occlusive sonore longobarde si è esaurita da tempo e non intacca le parole romanze. Non trasforma cioè il gallo in un callo
Prima conseguenza: le consonanti occlusive sorde /p/, /t/, /k/ del romanzo vengono adottate dai parlanti del tardo longobardo toscano come occlusive aspirate [pʰ], [tʰ], [kʰ].

pera /'pera/ > ['pʰera]
talpa /'talpa/ > ['tʰalpʰa]
toro /'toro/ > ['tʰɔro]
callo /'kallo/ > ['khallo] 
cane /'kane/ > ['khane] 
casa /'kasa/ > ['kʰasa]
corno /'korno/ > ['kʰɔrno]

Seconda conseguenza: le consonanti occlusive sonore /b/, /d/, /g/, che sono suoni nuovi (assenti nella lingua avita), vengono adottati tali e quali dai parlanti del tardo longobardo toscano.
 
bene /'bɛne/ > ['bɛne]
botte /'botte/ > ['bottʰe]
dente /'dɛnte/ > ['dɛntʰe] 
duro /'duro/ > ['duro]
gallo /'gallo/ > ['gallo]
grande /'grande/ > ['grande]
 
Anche la consonante fricativa interlabiale /v/ è un suono nuovo (assente nella lingua avita) e viene adottata tale e quale dai parlanti del tardo longobardo toscano.

vento /'vɛnto/ > ['vɛntʰo]
vero /'vero/ > ['vero]
vino /'vino/ > ['vino]

Fase III 
Decadenza e scomparsa del tardo longobardo toscano 
 
La lingua romanza viene a prevalere e la lingua avita di questa cominità si estingue fino ad essere completamente dimenticata. Resta una lingua romanza toscana che presenta consonanti occlusive aspirate [pʰ], [tʰ], [kʰ]
 
una casa [una 'kʰasa]
un cane [un 'kʰane] 
a ccasa [a k'kʰasa]
du' cani [du 'kʰani]
tre ccani [tre k'kʰani]
 
Fase IV  
Diffusione di questa parlata aspirata in territori sempre più estesi della Toscana 
 
Possiamo supporre che la diffusione della pronuncia aspirata delle consonanti sorde sia cominciata in un'epoca verosimilmente successiva a quella in cui visse Dante Alighieri (che non notò il fenomeno pur avendo competenze linguistiche notevoli per i suoi tempi). In ogni caso, non esistendo un'opposizione fonemica tra consonanti occlusive sorde aspirate e consonanti occlusive sorde non aspirate, è anche possibile che questo modo peculiare di articolare il toscano sia passato inosservato per lungo tempo. 

Fase V  
Evoluzione delle consonanti occlusive aspirate in fricative in posizione intervocalica anche sintattica 
 
Primo passaggio: le consonanti occlusive aspirate, quando si trovano in posizione intervocalica anche sintattica, evolvono in affricate. Così /pʰ/ diventa /pφ/; /tʰ/ diventa /tθ/; /kʰ/ diventa /kχ/.  
 
una casa [una 'kχasa]
un cane [un 'kʰane] 
a ccasa [a k'kʰasa]
du' cani [du 'kχani]
tre ccani [tre k'kʰani]
 
Secondo passaggio: le consonanti affricate evolvono in fricative. Così /pφ/ diventa /φ/; /tθ/ diventa /θ/; /kχ/ diventa prima /χ/ e quindi si affievolisce in /h/
Credo che sia molto importante notare che questa evoluzione non si applica in caso di raddoppiamento sintattico. 
 
 
una casa [una 'χasa]
un cane [un 'kʰane] 
a ccasa [a k'kʰasa]
du' cani [du 'χani]
tre ccani [tre k'kʰani] 

Ecco infine le forme moderne, proprio quelle che ci eravamo proposti di spiegare nel dettaglio:
 
una casa [una 'hasa] (gorgia)
un cane [un 'kʰane] (aspirazione)
a casa [a k'kʰasa] (aspirazione)
du' ccani [du 'hani] (gorgia)
tre ccani [tre k'kʰani] (aspirazione) 

Un processo simile ha colpito a questo punto anche le consonanti occlusive sonore /b/, /d/, /g/ intervocaliche, dando origine a fricative [β], [ð], [γ]. Inoltre le consonanti postalveolari /tʃ/ e /dʒ/ (assenti in longobardo) si sono rilassate in [s] e [ʒ]
 
libero ['liβero]
lago ['laγo] 
lodare [lo'ðare]
dice ['diʃe] 
facile ['faʃile]
fragile ['fraʒile] 
 
Si tratta di sviluppi interamente pertinenti alla lingua romanza, che si sono realizzati molto tempo dopo l'estinzione del tardo longobardo toscano. Questa ricostruzione sembrerebbe ineccepibile, dato che rende conto della situazione attuale. Tuttavia, tirando le somme dopo anni, non mi soddisfa del tutto. 
 
Problemi insoluti:  
 
1) Nei vernacoli toscani in cui è presente la gorgia, non si ha alcuna traccia di aspirazione quando la parola si trova all'inizio assoluto di una frase. Dobbiamo così supporre che in questa posizione si sia avuta una deaspirazione di [pʰ], [tʰ], [kʰ] in [p], [t], [k] dopo la scomparsa del tardo longobardo toscano. A questo punto potrebbe essere obiettato che la mia ricostruzione è troppo complessa per essere verosimile. 
2) Permane un immenso baratro cronologico tra le prime manifestazioni documentate della gorgia e qualsiasi possibile azione di sostrati, superstrati o adstrati. Non si riesce a trovare gli elementi necessari per localizzare quanto è avvenuto. Dove è iniziata questa bizzarria? Tramite quali percorsi si è propagata tra le genti? Al momento non si riesce a trovare una risposta precisa.  

Alcuni aneddoti ridicoli sulla gorgia toscana 

Ho un televisore inattivo. Non lo accendo da molto tempo. Non ho acquistato alcun decoder, così non posso ricevere alcuna trasmissione. Molti anni fa, quando quella macchinetta abominevole ancora funzionava, mi capitò di scanalare e di imbattermi in un programma abietto condotto da Amadeus. Questo showman cercava di imitare la gorgia toscana e procedeva come segue: sostituiva una consonante a cazzo nelle parole delle futili frasi che sciorinava senza sosta. Così a un certo punto la parola "andiamo" fu sostituita da un fantomatico e abnorme *andiaho!
In un filmucolo escrementizio diretto da Castellano e Pipolo, che si intitolava Il Burbero (1986), Adriano Celentano veniva a trovarsi a Siena nel bel mezzo del Palio. Così accadeva che un energumeno paccianesco gli si avvicinava e gli chiedeva con fare autoritario: "Sei dell'Oha?" (alludendo alla celebre Contrada dell'Oca). Così gli rispondeva Celentano, che si improvvisava contradaiolo bullesco: "Hazzo!", con tanto di gorgia in iniziale assoluta. 
In realtà la gorgia toscana non è ben compresa dai mass media, che l'hanno sempre interpretata in modo buffonesco, insensato, tanto per far ridere la gente. Trovo molto utili gli esempi riportati da Vieri Tommasi Candidi nel suo sito web, che invito a consultare per avere maggior chiarezza sulla questione. 
 

martedì 13 luglio 2021

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL RADDOPPIAMENTO SINTATTICO

Su Quora, social network deprecabile quanto deleterio, è comparsa tempo fa questa domanda: 
 
 
"Ho fatto" si pronuncia con un raddoppiamento fonosintattico (ho ffatto)? 

Questa è la risposta del conlanger Alessandro: 

Sì.

Ora so che tutti ti diranno il contrario. Il raddoppiamento fonosintattico non viene notato nemmeno da chi lo usa. Non esiste in molte regioni italiane. Non viene scritto e quindi quando viene notato è subito bollato come errato, anche perché come regola non è intuitiva.

Innanzitutto: il raddoppiamento fonosintattico è la regola per cui le parole tronche (e altre) fanno raddoppiare la consonante iniziale della parola successiva.

Si utilizza anche in italiano standard. Non è un difetto regionale.

E dato che “ho” è monosillabico e tonico, conta come parola tronca. Dunque la parola successiva raddoppia la propria consonante iniziale: quindi, “ho ffatto”.

 
Così ho replicato, usando il mio vero nome, Marco Moretti: 
 
Qui in Lombardia il raddoppiamento fonosintattico non si usa. Non solo: viene percepito come un difetto regionale. Rimane allo stato fossile soltanto in parole come “ovvero”, “eccome” e via discorrendo. L’italiano lombardo si è ormai separato dal toscano e nella competizione linguistica ha acquisito un maggior prestigio (es. anche Pippo Baudo lo usa e non ha mai detto “avvolte hoffatto”). Le lingue cambiano. Nuove varietà si evolvono e lottano tra loro. Alcune prevalgono, altre avvizziscono e infine muoiono. Le accademie, che venerano la lettera scritta e trascurano la lingua viva, non sono in grado di normare la fonetica, limitandosi all’ortografia, alla grammatica e al lessico. Non comprendono che le lingue si trasformano in continuazione. Quando si accorgono di qualcosa, è già troppo tardi. 
 
L'utente ha risposto così al mio intervento: 

Secondo me dovresti ascoltarti meglio: se non senti il raddoppio fonosintattico stai certamente staccando le parole [ˈɔ: ˈfatto]; a Milano [ɔˈffatto] non suona affatto innaturale, purché il raddoppio della f sia debole tanto quello della t. 

Pensava di avere a che fare con un parlante inconsapevole, incapace persino di distinguere i suoni. Così ho ribattuto: 

Negativo. So benissimo come pronuncio le parole: [ɔˈfatto] con [f] come in bifolco e non con [ff] come in affetto, e senza staccare le parole. Così se dico “porta la ciotola a Fido”, il nome Fido ha [f] come bifolco e non si confonde con affido. Come me fanno milioni di Lombardi. Chi usa il raddoppiamento fonosintattico viene riconosciuto subito ed è percepito come bizzarro. Un mio collega, ad esempio, lo usa, e si sente. Dice “porta la ciotola affido”, “avvolte hoffatto”, etc. Tutto ciò può piacere o non piacere, me ne rendo conto, ma i dati di fatto non cambiano. 
 
Aggiungo anche che il "raddoppio della t" di ho fatto non è "debole". Il raddoppio in questione è in piena regola. 
 
Questi sono alcuni altri esempi di contrasti o coppie minime nell'italiano settentrionale: 
 
ha colto è diverso da accolto
ha detto è diverso da addetto 
ha fatto è diverso da affatto 
ha posto è diverso da apposto 
a posto è diverso da apposto 
a Dio è diverso da addio  
a letto è diverso da alletto 
a mettere è diverso da ammettere 
o fendere è diverso da offendere 
 
Esiste anche un interressante doppione: 
 
O Dio! è sentito come diverso da oddio!, pur avendo lo stesso significato
 
Eppure capita che i fautori fanatici del raddoppiamento sintattico, che lo vorrebbero imporre come normativo, ignorino tutte queste evidenze tratte dalla lingua viva usata in Lombardia e altrove. Poi si manifestano navigatori che non comprendono la questione e attribuiscono il problema a una pretesa difficoltà nella pronuncia delle consonanti doppie. In genuino toscano si direbbe che sono bischeri. Bisogna però capire la pervasività del condizionamento scolastico e della tradizione popolare. Quello che voglio far presente è che non siamo di fronte a una difficoltà di pronuncia delle consonanti doppie. Come ho esposto sopra, in "ho fatto" e in "ha fatto", la consonante -tt- è regolarmente doppia anche nell'italiano lombardo, proprio come in quello toscano. Nessuno pronuncia un fantomatico *fato anziché fatto: è assurdo quanto grottesco anche solo pensare una cosa del genere. 
 
Come già ho accennato sopra in un  io intervento, in Lombardia si pronunciano correttamente con la consonante doppia moltissime parole derivate dal raddoppiamento sintattico e fossilizzate. Ne riporto pochissime a titolo di esempio: 
 
ovvero
davvero
nevvero 
neppure  
oppure 
ossia 
chicchessia
dapprima 
siccome 
siffatto 
suvvia 
evviva 
cosiddetto  
 
Interessante è la testimonianza del pugliese Antonio Natile, che riporta un fatto di grande importanza: 

Non so perché ma nel mio dialetto pugliese diciamo “ efatt, afatt, ofatt" per dire “ho fatto, hai fatto, ha fatto”, però quando parliamo italiano tutti dicono “offatto, affatto". Nel dialetto raddoppiamo solo dopo alcuni monosillabi, cioè “è, e, a, più e il che complemento oggetto” e dopo “qualche” e “ogni”; non raddoppiamo neanche dopo le parole che finiscono con la vocale accentata, tipo: perchè, libertà ecc… Eppure quando parliamo italiano imitiamo grossomodo i raddoppiamenti standard, aggiungendo però i nostri, come le b e le g ad inizio parola, oppure raddoppiando la prima consonante di parole come “merda, robe, qua, , più”. 
 
Come si vede, la situazione non è così uniforme come molti vorrebbero. Questi dettaglio sono poco studiati o non lo sono affatto. Eppure meriterebbero maggiore approfondimento. 
 
L'origine del raddoppiamento sintattico 
 
Qual è la vera origine del raddoppiamento sintattico? Un'opinione comune è che risalga al latino. Alcune parole monosillabiche (preposizioni, pronomi, numerali) che finivano in consonante, avrebbero mantenuto causato il raddoppiamento della consonante iniziale della parola seguente. L'utente Josef G. Mitterer, che ha notevoli competenze linguistiche, spiega in dettaglio questa evoluzione fonetica. A pubblica edificazione riporto in questa sede l'intervento:  
 
 
Il raddoppiamento fonosintattico (o geminazione fonosintattica) è, per così dire, "l'eco" delle consonanti finali latine che nello sviluppo verso l'italiano sono scomparse. È il caso, ad esempio, nelle parole

    AD > a
    AUT > o
    ET > e
    PLUS > più
    (EC)CU HOC > ciò
    TRES > tre
    ecc.

La scomparsa di queste consonanti finali ha causato l'allungamento della consonante successiva: AD CASA >
a [kk]asa, AUT MELIU > o [mm]eglio, TRES LIBRI > tre [ll]ibri ecc. Si tratta, dunque di un allungamento compensativo che restituisce la quantità dei suoni in questione. Che dalla scomparsa di un suono risulti l'allungamento di un suono adiacente non è certo un processo particolarmente raro, anche se, almeno nelle lingue indoeuropee, è più frequente l'allungamento compensativo delle vocali, cf., ad esempio dĭsmittere > dīmittere in latino o la cosiddetta 'i lunga' (langes i) tedesca nella cui grafia ⟨ie⟩ si rispecchia ancora il vecchio dittongo /iɛ̯/ che è passato alla vocale scempia, ma, appunto, lunga /iː/. 

La geminazione fonosintattica è simile all'assimilazione totale, il cui risultato è la sostituzione di due consonanti brevi con una consonante lunga: FACTU > fatto, DIXI (= DICSI) > dissi o anche, già in latino, *ad-capere > accipere, *sterla > stella ecc.

In italiano la geminazione fonosintattica non è solitamente rappresentata nella grafia. Se, tuttavia, una delle parole che la causano si è fusa con un'altra parola iniziante per vocale, il fenomeno è afferrabile pure nella scrittura: AUT PURE >
oppure, PLUS TOSTU > piuttosto, (IL)LAC DE UBI > laddove ecc.

È del resto interessante che la geminazione fonosintattica è tuttora
distintiva. In italiano, l'unico esempio che mi viene in mente è la coppia minima a Roma /arroma/ vs. aroma /aroma/. Sono molto più rilevanti gli esempi in napoletano, specie nel "neutro di materia" la cui geminazione risale alla /-d/ finale nel dimostrativo neutro latino ILLUD > o, opposto a ILLU > o: ILLUD FERRU > o ffierro 'ferro (in contesto generico), ILLU FERRU > o ferro 'il ferro (concreto, presente)'.
 
I romanisti non si sono realmente occupati dei dettagli dell'evoluzione delle forme verbali dal latino volgare alle lingue romanze. Faccio un esperimento e provo a ricostruire alcuni di questi passaggi, perduti quanto negletti dagli studiosi.  
 
habes "tu hai" > *habs (1) > hai
habet "egli ha" > *hapt > ha
facis "tu fai" > *fax > fai 
facit "egli fa" > *fact > fa
potes "tu puoi" > *pos > puoi
potest "egli può" > *post (2) > può
sapis "tu sai" > *saps > sai
sapit "egli sa" > *sapt > sa 
vadis "tu vai" > *vas > vai
vadit "egli va" > *vat > va
*vols "tu vuoi" (sostituisce il classico vis) > vuoi   
*volt "egli vuole" (sostituisce il classico vult) > vuole  
 
(1) La h- del verbo habere è puramente grafica. La indichiamo soltanto per motivi storici. 
(2) La forma italiana antica puote è invece regolarmente da potest
 
Sono incline a cercare di ricostruire forme dirette e plausibili per le parole concretamente usate nella lingua italiana. Mi rendo conto di pooter essere scambiato per un costruttore di arzigogoli.   

*habnunt "hanno" > hanno 
facere "fare" > *facre > fare 
*facnunt > fanno
dicere "dire" > *dicre > dire  

Queste sono alcune brevi frasi ricostruite: 
 
*hapt dictu > ha ddetto 
*hapt factu > ha ffatto 
quid dicit? > che ddice? 
*quid fax? > che ffai? 
*quid fact? > che ffa? 
 
In alcune varietà di toscano e in napoletano avviene questo sviluppo: 
 
quid est? > chedè? 
 
Nel Web c'è gente che prova un sincero orrore per questa locuzione vernacolare, che a voler ben vedere è più autentica dell'italiano "cos'è?", risalendo in modo diretto al latino volgare - anche se in italiano standard non la si può usare altrimenti la Crusca si arrabbia. 
 
Dante Alighieri ci riporta nel De vulgari eloquentia il caso di una frase comune della parlata romana della sua epoca: 
 
Messure, quinto dici? "signore, cosa dici?" 
 
quid tu dicis? > *quittu dici? > quinto dici?   

Si tratta di una dissimilazione, in cui la consonante raddoppiata -tt-, venutasi a creare per motivi sintattici, viene mutata in -nt-. Mi pare che questo caso sia una reazione al raddoppiamento sintattico e che non sia stato studiato praticamente da nessuno.  
 
Il raddoppiamento sintattico che occorre dopo ogni potrebbe spiegarsi facilmente: 
 
Omnes Sancti > Ognissanti  

A questo punto tutto sembrerebbe filare liscio. 
 
Alcuni problemi di non poco conto
 
Esistono numerosi casi in cui il raddoppiamento sintattico non può essere giustificato dall'assimilazione di un'antica consonante finale di parola alla consonante iniziale della parola seguente. 
 
1) Forme verbali monosillabiche di prima persona singolare 
Consideriamo questi semplici casi: 
 
*habeo "io ho" > *habjo > *hajo > *hao, ao > ho
*sapio "io so" > *sabjo > *sajo > sao > so
 
La forma sao è realmente attestata in uno dei primi documenti in una lingua romanza, i Placiti Cassinesi, in cui ricorre tre volte, in due testimonianzze registrate nel marzo del 960 e in una testimonianza registrata nell'ottobre del 963. Eccole:  
 
1) Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.
(Capua, marzo 960)

2) Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette.
(Sessa, marzo 960)

3) Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie.
(Teano, ottobre 963)

Si nota subito il raddoppiamento sintattico: sao cco "so che". Eppure non ci dovrebbe essere. Si possono avere nel mondo romanzo anche esiti diversi di habeo e di sapio, in cui la consonante labiale seguita da approssimante palatale si è evoluta in un'affricata: in napoletano abbiamo aggio "io ho" e saccio "io so". Non si ha alcuna consonante finale in nessuno di questi casi di prime persone singolari monosillabiche del presente indicativo. Eppure esse producono il raddoppiamento sintattico. Come mai? I romanisti pensano che si tratti di esiti dovuti all'analogia con la terza persona singolare. 
 
2) Il pronome  di seconda persona singolare 
Il pronome tu dà luogo a raddoppiamento sintattico, eppure non ha mai avuto una consonante finale. Per rendere conto della spiegazione dei romanisti, dovremmo ammettere che esistono due possibilità: 
i) L'analogia con altri monosillabi;
ii) Il fatto che tu nell'italiano potrebbe derivare da forme più complesse, come tumet o tupte "tu stesso": 
 
tumet > *tumt > tu
tupte > *tupt > tu
tupte facis > *tupt fax > tu ffai 
tupte sapis > *tupt saps > tu ssai  
 
Queste protoforme romanze sono talmente contorte che difficilmente le si potrà ritenere sensate.  
 
3) I prefissi intra-, contra-, sovra- / sopra- 
Esistono in italiano numerose formazioni in cui non esiste alcuna consonante latente che possa giustificare il raddoppiamento. 
 
intrattenere 
intrattenitrice 
contraddire 
contraddetto 
contraddittorio 
contrapporre 
contrapposto
contrapposizione 
contravveleno 
contravvenire 
contravvenzione 
sopraggiungere 
soprattutto
sovrannaturale / soprannaturale 
sovrapporre 
sovrapposto 
sovrapposizione  
 
4) Alcuni prestiti esotici 
La parola caffè genera raddoppiamento sintattico nel composto caffellatte. Si è arrivati al punto che in Lombardia bisogna scrivere caffellatte altrimenti la Crusca si arrabbia, anche se si pronuncia a tutti gli effetti caffelatte. Ebbene, caffè deriva dall'arabo qahwa, che non ha alcuna consonante finale. In un racconto fantasy di Fritz Leiber, La maledizione delle piccole cose e delle stelle (The Curse of the Smalls and the Stars, 1988), il caffè è chiamato kahved. Notevole la consonante finale, che però non ha alcun fondamento etimologico. In italiano si è formato un diminutivo cafferino, segno che è diffusa la credenza popolare in una derivazione di caffè da una fantomatica protoforma *caffèr. Anche il derivato caffettiera sembra essere dovuto alla credenza popolare in una derivazione di caffè da una fantomatica protoforma *caffèt. Probabilmente esistono anche altre parole entrate in italiano in epoca non troppo remota, che generano un raddoppiamento sintattico senza una valida giustificazione. 
 
Una soluzione alternativa 
 
Sono dell'idea che la teoria delle consonanti latine latenti potrebbe non essere una spiegazione completa e definitiva del raddoppiamento sintattico. Forse sarebbe più semplice una spiegazione fonologica, che riduce tutto a un fenomeno compensativo: 
 
sillaba tonica + consonante semplice seguente => 
sillaba atona + consonante raddoppiata 
 
Del resto, se i romanisti attribuiscono all'azione dell'analogia qualsiasi cosa che depone contro la loro teoria, non si può dire molto di sensato. Proviamo ad applicare il Rasoio di Occam, tanto caro ai fautori del riduzionismo! Sarebbe cancellata ogni macchinazione romanistica. All'istante. Il filosofo Karl Popper direbbe che le teorie dei romanisti non sono falsificabili, quindi nessuno ne potrebbe mai dimostrare la veridicità. Va anche detto questo: se si nomina Popper, tutti dicono che è una specie di liquido volatile venduto dai pusher, che è annusato soprattutto dai sodomiti passivi! Detto questo, parlerò sempre in italiano lombardo, come mi hanno insegnato i miei genitori (RIP), respingendo con sdegno e orgoglio il raddoppiamento sintattico! Gli accademici fautori della lingua normativa possono anche tenersi un sacchetto di merda.

sabato 30 maggio 2020

UN SOGNO PORTENTOSO E ORRENDO

Prima mi sono trovato a viaggiare in treno assieme a Battiato e a parlare con lui di argomenti filosofici. Era giovane e vestito da becchino. Poi il cantante ha proseguito per Napoli, mentre io sono sceso dal treno e sono rimasto bloccato in un paese del Piemonte perso in mezzo al niente. Non c'era un solo treno per Milano: le indicazioni che avero ricevuto erano errate. Ero costretto a stare lì, in quel luogo nefasto chiamato GRAMAODE. Quando è giunto il tramonto, mi sono accorto che regnava il coprifuoco. Non c'era un solo lume acceso, la tenebra saliva come dal suolo, densissima e aggressiva. Non una sola finestra illuminata. Non un treno, non una pensione, non un bed and breakfast o un locale aperto. I miei tentativi di chiedere informazioni sono naufragati: c’era un bigliettaio, vecchio e aggressivo, con cui non si poteva comunicare. Gli ultimi barlumi di luce morivano in una foschia inferale. Anche le poche luci della stazione si spegnevano, si disattivavano persino i pannelli con gli arrivi e le partenze, i cui caratteri erano peraltro illeggibili. Così sono corso verso l'ultima luce, un gabbiotto di vetro con alcuni macchinari in mostra, dove due giovani spenti stavano mangiando panini. Ero disperato, ho chiesto loro se potevano darmi un passaggio. Mi hanno detto che sarebbero andati a Milano, nel quartiere Isola, proprio dove lavoro. Così siamo saliti in macchina, addentrandoci nell'oscurità dell'Ade. Un tragitto folle a fari spenti nei campi, come se il pilota avesse la vista agli infrarossi. A un certo punto ho visto che proveniva una fioca luce da una stazione ferroviaria di un paese chiamato IOSUS. Mi dicevano che un tempo lì c'erano gli Etruschi. Ci siamo allontanati, di nuovo immersi nel buio simile a petrolio opprimente e mi sono svegliato in preda al terrore. 
 
Marco "Antares666" Moretti, maggio 2020

PROSTITUZIONE IN SECOND LIFE

Camminavo lungo la via in un paese glaciale. A un certo punto ho visto qualcosa che ha attratto la mia attenzione. La prostituta era una ragazza dark, il cui avatar era definito con il massimo dettaglio: si poteva distinguere il rossetto nero sulle labbra, gli occhi erano truccati col mascara, le unghie delle mani e dei piedi avevano uno smalto nero lucido. Stava immobile vicino a un lampione, esibendo le gambe. Le chiome erano lunghe e corvine, la pelle era di un pallore cadaverico. Gli abiti neri erano davvero succinti. Poco oltre c'era il pappa, un afroamericano in doppiopetto, anche lui sembrava una statua. Quello che mi ha stupito, è che sulla testa delle due figure non compariva l’etichetta con nome e cognome. Ho cliccato sulla prostituta con l’apposito tasto per ottenere informazioni, e ho potuto constatare che era sprovvista di nominativo: era una proprietà di un bordello chiamato "Liberty or Tyranny", o qualcosa del genere. Probabilmente era un "bot", ossia un avatar fittizio. Pieno di stupore ho ripreso il mio cammino, allontanandomi da quel luogo. 
 
Marco "Antares666" Moretti, gennaio 2016

giovedì 28 maggio 2020

UN CASO DI PRECOGNIZIONE

Stavo camminando al parco, quando ho visto davanto a me un bambino intento a mangiare una brioche. La madre seguiva a pochi metri di distanza. All'improvviso ho saputo per certo cosa sarebbe accaduto di lì a poco: non solo mi sono visto la scena con gli occhi della mente, ma ho anche udito i suoni delle parole rimbombare nel mio cranio. Al bambino la brioche sarebbe caduta, e si sarebbe chinato per raccoglierla. La madre sarebbe intervenuta subito, prendendo il resto del dolciume e buttandolo nel vicino cestino dell'immondizia, dicendo: "Lascia stare, te ne do un'altra". Di lì a pochi secondi, la sequenza si è verificata esattamente, come se avessi visto in anticipo una sequenza del film della vita, con un semplice sfasamento. 
 
Marco "Antares666" Moretti, giugno 2014

ATTIVITÀ ONIRICA ANOMALA

Un sogno demente, violento, esploso, al confine dell'epilessia. Uscivo dal Duomo di Milano con in mano una grossa pietra, davanti alle guardie incredule la mettevo in un sacchetto di carta e quella si trasformava in pane. Poi una corsa col cuore in gola per arrivare alla fermata di una metropolitana di superficie dove avevo visto una donna che era mia sorella, ma appena l'ho raggiunta si è messa a cambiare forma davanti ai miei occhi fino a trasformarsi in una serie di brani di carne, all'interno di uno potevo distinguere un globo oculare ricoperto da una membrana. Dentro il cranio una pulsazione feroce e una frase martellante quanto criptica: "È NEL CIRCUITO DI PAUTSITÒR". Il risveglio traumatico con una forte emicrania, alle ore 7:01, la luce del giorno che mi feriva i nervi ottici. 
 
Marco "Antares666" Moretti, marzo 2015

IL CIELO COME UN MURO DI CEMENTO

Mi ero addormentato in treno, e quando mi sono destato all'improvviso sono rimasto sconvolto. Al posto del cielo c'era un immenso muro di cemento. Per qualche istante sono stato assolutamente certo della natura reale di quel muro, di cui avvertivo così bene la superficie che pareva estendersi all'infinito. Poi ad un certo punto quella certezza si è dissolta e ho capito di essere stato vittima di un'illusione. Il cielo plumbeo e uniforme, foriero di neve, era da me stato interpretato come una struttura in muratura, è evidente. Eppure, niente riesce a togliermi l'idea di aver visto in quel brevissimo lasso di tempo la vera realtà delle cose, il cemento che delimita questo campo di sterminio. 
 
Marco "Antares666" Moretti, febbraio 2015

giovedì 26 marzo 2020

UN THREAD SUL TENTATIVO DI IDENTIFICARE UNA LINGUA IGNOTA DA ME UDITA IN SEREGNO  
 
Riporto nel seguito l'interessante conversazione avvenuta su Facebook, dopo che mi sono imbattuto in una donna parlante una lingua senza rispondenza alcuna con quanto da me conosciuto.  


Giovanni Agnoloni:
estone?

Marco Moretti:
Poteva sembrare una soluzione allettante, ma temo che sia molto implausibile. Per scrupolo ho ascoltato diversi video. Una prosodia completamente dissimile, una diversa fonotattica. Quello che poi colpisce dell'estone è l'alta frequenza delle sibilanti, molto rare invece nella lingua sconosciuta che ho udito.

Marco Moretti:
Ho provato di tutto, inutilmente. Sono giunto alla conclusione che l'esistenza stessa di quella lingua è qualcosa di incongruo, che su questo pianeta non dovrebbe sussistere. Si tenga conto che non ci sono infinite possibilità compatibili con il somatismo della locutrice. Detto ciò, non sono riuscito a trovare una soluzione al problema, che mi assilla, anche perché non è affatto il primo caso di questo genere che mi capita. Da dove vengono queste persone? Chi le ha messe qui? 

Giovanni Agnoloni:
Sarà un dialetto

Fabiana Cilotti:
ho pensato al finlandese o a qualche lingua ugrofinnica, quindi anche ungherese e l'estone, ma certamente tu sei molto più esperto di me. Ma ciò che ti ha colpito è stata solo la lingua, o l'incongruenza tra la lingua e la fisionomia?

Marco Moretti:
Entrambe le cose. Forse se avessi visto un unicorno mi sarei stupito meno.

Marco Moretti:
Ho provato persino a visionare un video nella lingua degli Udmurti, di ceppo ugrofinnico. Si tratta di un popolo che vive in una remota zona della Russia e che è ancora pagano. Non c'è corrispondenza alcuna nella struttura delle parole. Direi proprio che il ceppo uralico nel suo complesso non c'entra nulla.

Fabiana Cilotti:
Lappone-sami?

Marco Moretti:
Mi sento di escluderlo. Ho condotto alcuni studi su parole di sostrato presenti in quella lingua, che è dello stesso ceppo del finlandese, anche se è molto diversa e ha una fonetica particolare.

Marco Moretti:

Fabiana Cilotti:
forse Papi non era il nome del figlio ma significava "vieni qui"

Marco Moretti: 
E' possibile. Del resto, in assenza di qualsiasi parola identificabile, si può dire ben poco. Non c'era nemmeno un prestito da una lingua nota. A volte, quando si sente qualcuno parlare in arabo o in una lingua slava, si notano parole italiane incorporate nel discorso. Una volta, sul treno, ho udito una donna parlare al telefono in una lingua sconosciuta, con una rotica molto vibrante, ma sono riuscito a riconoscere diverse parole prese a prestito dal russo.

Fabiana Cilotti: 
il problema sono i dialetti, che a volte sono difficilmente riconducibili alla lingua originaria, specialmente in una conversazione captata a frammenti, pensa al bergamasco con l'italiano!
E poi ci sono parole o frammenti di esse che sono comuni in molte lingue anche se hanno significato diverso, tipo "mir", in russo mondo, in albanese "bene", e miliardi di altre.
Da come la descrivi sembrerebbe più una lingua uralo altaica ma credo sia difficile riuscire a risolvere questo enigma... dovevi chiederglielo :)

Marco Moretti:
Innanzitutto bisogna definire cos'è un dialetto. Chiamo "dialetti" le varietà galloitaliche come quelle lombarde perché manca una lingua codificata: molti insorgerebbero se si volesse rendere il milanese del Porta la lingua di tutta la Lombardia. Detto questo, il caso del bergamasco aspirato è decisamente anomalo. Non ci sono infinite possibilità, dopotutto. Per quanto riguarda i "falsi amici", va detto che "mir" in russo significa "pace", non "mondo". Credo che sia molto difficile che parole come "svaboda" e "narodny" possano essere "falsi amici" o frutto di inganno. Se ho udito una lingua uralica, allora possiamo dire che un idioma bantu fa parte dei vernacoli toscani.

Fabiana Cilotti:
tu solo sai quanto hai ascoltato di quel discorso e quante parole se pur incomprensibili ti sono arrivate e quante ne hai perse, cioè, in pratica quanto ciò che hai percepito fosse frammentario o meno. Mi pare che la tua osservazione si basi prevalentemente sul suono e sulla fonotassi, ma fortemente condizionata dall'aspetto della donna. Forse se tu l'avessi sentita registrata e non avessi visto chi parlava ti saresti orientato altrove, su altri gruppi linguistici che, in bocca ad una bionda pallida, magari appaiono assurdi

Marco Moretti:
Se avessi sentito una registrazione senza vedere la persona, non avrei avuto la benché minima idea del gruppo linguistico su cui orientarmi. Blackout totale.

Giovanni Agnoloni:
Basco?

Marco Moretti:
Impossibile. Ho studiato quella lingua in numerose sue varianti e la riconosco all'istante. Si tratta di un superstite non indoeuropeo, che proprio per questo è di estremo interesse. Per anni ho analizzato numerosissimi vocaboli, classificandoli a seconda della loro natura. Sono a conoscenza dei lavori di molti accademici. Infatti, essendo il basco una lingua isolata, ci sono stati innumerevoli tentativi di trovare una parentela. Anni fa il professor Bengtson ha mandato un suo servo per cercare di carpire alcuni miei lavori, che tra l'altro erano consultabili in un gruppo di Yahoo, dai cui iscritti cercavo suggerimenti e critiche. Poi ho constatato che lo stesso Bengtson si è avvalso di qualche mia etimologia, senza nominarmi, come è tradizione nel mondo accademico.

Marco Moretti:
C'è una sola cosa in comune tra il basco e la lingua sconosciuta da me udita: entrambe hanno una distribuzione molto squilibrata dei suoni (anche se in modo del tutto diverso).

Francesco Grieco:
ma scusa Marco, i tratti somatici della donna riconducevano ad etnie slave?

Giovanni Agnoloni:
Macedone?

Marco Moretti:
Non era una lingua slava, o avrei riconosciuto molte parole. Il fatto che, come rilevato, mancavano del tutto suoni palatali è molto significativo. No, i tratti somatici non erano simili a quelli di una slava.

Marco Moretti:
Marco Moretti Se dovessi rivederla, a questo punto la fermerei di certo.

Lukha B. Kremo:
Una lingua romani?

Marco Moretti: 
In tal caso sarebbe stata un'albina. Resto comunque abbastanza scettico. Ho udito diverse varietà di romani in svariate occasioni: non di rado mi imbatto in persone di tribù ferroviarie. La sonorità è spesso abbastanza sfuggente e la fonetica è singolare. Una volta c'era sul treno una comitiva di rom valacchi e sono riuscito a distinguere alcune di parole nei loro discorsi. Avevo isolato la parola "manushka" nel discorso di una donna, facendo un'analisi di tale voce, formata da "manush", che significa "uomo" e da un suffisso "-ka" che funge da relativo.

Marco Moretti:
Forse la soluzione è particolarmente contorta e legata a casi sommamente improbabili.