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sabato 30 aprile 2016

GIULIO CESARE A CENA DA VALERIO LEONE: MEMI E SINGOLARI CONTRADDIZIONI

Leggendo la Storia di Milano di Pietro Verri, mi sono imbattuto in un brano in cui è ricordato un episodio bizzarro occorso a Caio Giulio Cesare mentre si trovava a Milano. Questo è quanto riporta l'illuminista meneghino: 

Pompeo, Crasso, Cesare furono in Milano. Cenando quest'ultimo in Milano da Valerio Leone, osservò che gli eleganti Romani erano offesi in vista d'una mensa rustica e senza atticismo, e già cominciavano a deridere l'albergatore, il quale ne provava confusione; ma Cesare giocondamente prese a mangiare quelle rozze vivande, e seriamente rivolto a' Romani fece loro la questione, se fosse più rozzo e barbaro chi ospitalmente presentava i cibi alla foggia del suo paese, ovvero chi insultava l'albergatore.  

Plutarco, nelle Vite Parallele, ci riporta questo:

A dimostrare quanto poco esigente fosse in tema di cibo, si cita di solito questo episodio: un suo ospite, presso cui mangiava a Milano, Valerio Leone, mise in tavola degli asparagi conditi con mirra, anziché con olio. Cesare li mangiò tranquillamente e rimbrottò i suoi amici che si sentivano offesi. “Bastava, disse, che coloro a cui non piacevano non se ne servissero. Chi si lamenta di una zoticaggine come questa, è uno zotico anche lui”.

Questo è il testo greco originale: 

τῆς δὲ περὶ τὴν δίαιταν εὐκολίας κκεῖνο ποιοῦνται σημεῖον, ὅτι τoῦ δειπνίζοντος αὐτὸν ἐν Μεδιολάνῳ ξένου Οὐαλερίου Λέοντος παραθέντος σπάραγον, κα μύρον ντ'λαίου καταχέανtος, ατς μν φελῶς ἔφαγε, τος δ φίλοις δυσχεραίνουσιν πέπληξεν· «ἤρκει γὰρ" φη "τ μ χρῆσθαι τος παρέσκουσιν· ὁ δ τν τοιαύτην γροικίαν ἐξελέγχων ατς ἐστιν ἄγροικος».

Questa è la traduzione latina ad opera di Isaac Casaubon, citata in calce nella stessa opera di Verri (l'introduzione è omessa): 

invitatus Mediolani ad coenam, hospite Valerio Leone, qui asparagum apposuerat, atque olei loco infuderat unguentum, ipse simpliciter comedit, et indignantes increpavit amicos. Satis enim, inquit, abstinere iis a quibus abhorrebatis: nunc eam rusticitatem qui deprehendit, ipse est rusticus.

Non ho trovato menzione dell'episodio nell'opera di Svetonio.

De gustibus non disputandum est

Secondo Wikipedia, sarebbe stato Plutarco (che scrisse in greco!) ad attribuire a Cesare il detto "de gustibus non disputandum est" in occasione della portata con i fatidici asparagi. Tuttavia, in Plutarco non si trova menzione nemmeno di un'equivalente frase in lingua ellenica.

"Secondo Plutarco la frase de gustibus non disputandum est fu pronunciata da Giulio Cesare davanti a un piatto di asparagi al burro serviti nella casa Milanese di Valerio Leone. Ai generali Romani la pietanza non piacque affatto; i Romani infatti erano abituati all'olio e il burro era considerato un alimento "barbaro". Allora Cesare, di fronte all'imbarazzante situazione, placò gli animi con la soprascritta frase."

Ma proprio sopra si dice:

De gustibus non est disputandum[1][2] – talvolta reso anche con De gustibus non disputandum est oppure De gustibus et coloribus non est disputandum, o anche nella forma abbreviata De gustibus non disputandum – è una locuzione latina molto diffusa di origine non classica.

[1][2] Le due note che compaiono nel testo di Wikipedia rimandano al sito www.taccuinistorici.it, che non cita le fonti del detto attribuito abusivamente a Cesare. A quanto pare è un sito con attendibilità prossima a quella dei fumetti di Paperinik.

Le due cose non combinano! O la frase è di Cesare - e in tal caso è classica - oppure è apocrifa - e in tal caso è non classica. Non può essere entrambe le cose. I wikipediani che hanno composto la pagina devono aver avuto le idee confuse.

Il punto è che la frase non è classica e non fu detta da Cesare. Inoltre, a pensarci bene, non avrebbe avuto alcun potere calmante e risolutore in occasione di un banchetto compromesso dalla mancanza di educazione degli ospiti. Sarebbe come se qualcuno dicesse all'albergatore: "Quello che ci hai servito è oggettivamente merda, ma sui gusti non si discute"

Burro e mirra

Plutarco parla di mirra o comunque di un olio profumato, non di burro. In lingua greca, la parola che il Casaubon traduce con unguentum e che il Verri interpreta con "burro" è μύρον. La traduzione dello studioso calvinista è senza dubbio ineccepibile: μύρον significa, oltre che "mirra", anche "olio profumato" o "unguento". Non indica però mai il burro, che in greco è chiamato βούτυρον. Plutarco non avrebbe mai confuso i due concetti. Il fatto che a Roma il burro fosse usato come unguento e cosmetico non implica che unguentum debba necessariamente indicare il burro.

Proliferazione memetica

La prima volta che mi sono imbattuto nella storia di Cesare e di Valerio Leone è stato quando ero un giovincello. Leggendo la Settimana Enigmistica, sono rimasto colpito da un breve aneddoto (credo che fosse nella sezione "Forse non tutti sanno che"), che però parlava di uova al burro anziché all'olio. Cesare avrebbe fatto onore a una portata di uova fritte col burro, che avevano fatto storcere il naso ai suoi commilitoni. Degli asparagi non si faceva menzione. Dai fatti asciutti e stringati esposti da Plutarco sono pullulate innumerevoli varianti ed estensioni. In un forum la cena da Valerio Leone (ribattezzato Leonte o Leonzio perché fa più figo) si trasforma addirittura in uno sketch comico, in cui Giulio Cesare e il suo ospite sono ridotti a macchiette. Il condottiero romano, ridotto a guitto, prende in disparte il suo ospite chiedendogli informazioni sulla natura di quel "maleodorante unguento", sentendosi rispondere che è prodotto col latte delle floride vacche cisalpine.

La Storia si usura e si arrugginisce

Ogni cosa sembra perdere i suoi contorni e scolorare nell'irrealtà, a causa del flagello del contagio memetico. Come prioni della mente, i memi inquinano ogni cosa, fanno sì che la Storia perda di sostanza fino a ridursi a qualcosa di sfocato, di estemamente confuso. Alla fine diventa davvero difficile stabilire cosa davvero è accaduto. Tuttavia, per quanto sia arduo districarsi in mezzo a queste rovine in disgregazione, grazie alla Logica e al duro impegno è ancora possibile impedire che tutto si perda nel rumore di fondo.  

La necessità del Connettivismo

Di fronte a questa incertezza intrinseca delle informazioni - e non soltanto di quelle reperibili nel Web - reputo necessaria l'istituzione di una nuova figura nel mondo scientifico, quella del Connettivista. Proprio come il joat di cui parlava Philip José Farmer nel suo romanzo di fantascienza Gli Amanti di Siddo, il Connettivista deve assumersi il compito di far parlare tra loro mondi che hanno perso la capacità di comunicare. Confrontando le informazioni e sottoponendole a un attento vaglio, farà emergere criticità e confuterà errori anche inveterati. Combattere fraintendimenti e falsità tramite il flusso di informazioni è un dovere. Solo in questo modo si potrà impedire il tracollo della Scienza, visto che l'Accademia è sempre più minacciata dalla cecità e si divide ormai in tronconi autoreferenziali.

lunedì 21 marzo 2016


GLI AMANTI DI SIDDO

Autore: Philip José Farmer
AKA: Un amore a Siddo; Gli amanti
Titolo originale: The Lovers
Prima pubblicazione: 1961
Edizioni italiane:      
      1)
La Tribuna SFBC, 2 III serie [26],
          Aprile 1966     
      2) La Tribuna SFBC, n. 53, Gennaio 1978
      3) Cosmo - Classici della Fantascienza,
      volume n. 119 - Settembre 1991
      4) Urania Collezione, n. 63, Aprile 2008
Editori: La Tribuna; Editrice Nord; Mondadori
Codice (Editrice Nord): 12 119 CO
ISBN: 9788842904168
Traduttori: Ganni Fabrizi; Riccardo Valla

Sinossi (da Goodreads.com):
Per sfuggire all'opprimente tirannia religiosa della Terra del 31° secolo, dedita al culto del Precursore, il linguista Hal Yarrow accetta volentieri una missione sul lontano pianeta Ozagen, ma il peggio della civiltà terrestre lo ha seguito: è Pornsen, il suo Angelo Custode, che vigila su ogni pensiero deviante o peccaminoso... Finché sul pianeta, fra le antiche rovine di una civiltà scomparsa, Yarrow scopre Jeannette, una splendida creatura non propriamente umana. Se nel tirannico regime del Precursore il condizionamento in materia sessuale è rigidissimo, l'amore per un essere alieno è addirittura impensabile. Eppure la lalitha Jeanette è paradossalmente la creatura più umana fra tutte quelle conosciute da Yarrow, il quale però sa fin troppo bene che l'amore per lei equivale alla più terribile delle trasgressioni e verrà considerato un inammissibile atto di ribellione...
Un'opera fra le più acclamate e discusse che ha saputo allargare coraggiosamente gli orizzonti della fantascienza americana.

Recensioni:

Un grande romanzo, che potrebbe ben essere ascritto al genere ucronico, se si potesse dimostrare che il punto di divergenza si trova anche soltanto all'epoca in cui l'autore scriveva. Mentre gli autori appassionati dell'ucronia si fossilizzano sul passato e cercano di capire come sarebbe stata la Storia cambiando qualcosa - e falliscono miseramente - Farmer proietta le sue speculazioni nel futuro. Il suo genio ci regala così un mondo in cui una spaventosa guerra batteriologica ha cambiato completamente la definizione delle nazioni e la distribuzione dei popoli. Il nuovo corso storico mostra un'Europa in cui la lingua più diffusa è l'islandese, seguita dal georgiano. Ovviamente, nell'istante stesso in cui intervengono mondi alieni, si capisce che l'eventuale ucronia si rivela come al solito onirostoria.

PHILIP J. FARMER E IL CONNETTIVISMO

Nel benemerito romanzo di Philip José Farmer esiste una chiara menzione di qualcosa di molto simile al Connettivismo descritto da Alfred Van Vogt in Crociera nell'Infinito. In un mondo atroce e decadente, dominato dall'unione tra Stato e Chiesa (la Schiesa in neolingua), la Scienza è ormai fortemente specializzata e nessuno ha più una preparazione generica. Si rende così necessario l'operato di persone in grado di fornire ai singoli scienziati le informazioni di discipline diverse dalla loro, in modo da permettere la continuazione dei lavori. Sono i Connettivisti. Questi collegatori di scienze sono chiamati Joat, e traggono il loro nome dalla locuzione Jack-of-All-Trades (alla lettera "Giovannino Tutti i Mestieri"). Ancor meglio del Grosvenor di Crociera nell'Infinito, il protagonista si destreggia tra le discipline più disparate. Una cosa notevole, se si considera che opera in condizioni spaventose e precarie. 

PHILIP J. FARMER E LA RELIGIONE

La teocrazia della Schiesa si fonda sulla religione del Precursore, nella cui figura non è difficile scorgere quella di Ron Hubbard. Persino i tratti fisici delineati dall'autore nella descrizione di un ritratto del Precursore richiamano alla mente quelli del capo religioso americano. Farmer costruisce un possibile corso storico ucronico in cui è prevalsa un'organizzazione che rispecchia in tutto e per tutto la Chiesa di Scientology. Certo, della compagine fantascientifica su cui Hubbard ha fondato la sua setta non c'è traccia. Non si fa menzione del demiurgo Xenu e dell'infernale pianeta Helatrobus: la religione del Precursore ha radici fondamentalmente bibliche e non concede molto alla fantascienza. Sono tuttavia descritti altri aspetti particolarmente significiativi del culto di Ron Hubbard. Per conoscere gli effetti pratici degli insegnamenti di tale congregazione e per capire come sarebbe la società se essa riuscisse ad imporsi, basti leggere con attenzione Gli amanti di Siddo

PHILIP J. FARMER E IL SESSO

The Lovers è ritenuto il primo libro di fantascienza ad affrontare lo scabroso tema del sesso tra umani e alieni. Così è giustamente presentato da Editrice Nord: "Il classico che ha segnato una svolta nella storia della fantascienza". Riconosco senza dubbio la portata rivoluzionaria di questo complesso capolavoro. Va comunque notato che l'argomento dei connubi carnali con gli extraterrestri aveva già fatto capolino nel genere fin dai tempi della protofantascienza. Ad esempio in Shambleau di Catherine Lucille Moore, raccolta di racconti scritti negli anni '30 dello scorso secolo, in cui un pistolero cosmico provava un piacere incredibile tra le braccia di una giovane aliena, perdendosi in un insidioso cupio dissolvi. Nel racconto anonimo The Great Romance, del lontano 1881, sono descritti abitanti del pianeta Venere interessati ad avere rapporti sessuali con esseri umani. 

PHILIP J. FARMER E L'ESOBIOLOGIA

L'autore si sbizzarrisce nella descrizione della fauna di Ozagen e delle sue specie senzienti, e lo fa usando parole tanto vivide che sembra quasi di vivere con i propri occhi le creature più incredibili. In un mondo dominato da insetti, insetti polmonati, pseudo-artropodi endoscheletrati e altre amenità, nel continente di Siddo l'evoluzione aveva favorito i mammiferi, dando luogo addirittura a una specie umanoide, denominata dagli scienziati terrestri Homo Ozagen. Questi umanoidi avevano dato origine a una civiltà del livello di quella babilonese, ma poi erano stati spazzati via da una spaventosa catastrofe, salvo gruppuscoli di superstiti inselvatichiti. Dopo secoli era giunto a Siddo un Cristoforo Colombo degli Insetti. La specie dominante conviveva con una serie di altre specie bizzarre: vengono descritti persino insetti la cui sola funzione è quella di ingurgitare ingenti quantitativi di zuccheri per produrre col loro corpo una bevanda alcolica. E ci sono anche insettoidi mimetici il cui aspetto non è quello degli artropodi...    

PHILIP J. FARMER E L'ESOLINGUISTICA

Ozagen, gioco di parole su "Oz Again", è il nome del pianeta alieno dominato da specie insettoidi. Come l'autore ci spiega, proviene dall'adattamento di un vocabolo di una delle lingue locali, descritta come dotata di una struttura formidabile e talmente complessa da renderne quasi impossibile l'apprendimento. Riporto alcuni passi del romanzo, che descrivono bene la natura della lingua di Siddo: 

"Un altro ostacolo era rappresentato dalla costruzione grammaticale del Siddo. Bastava considerare le coniugazioni dei verbi. Invece di coniugare un verbo o di usare una particella separata per indicare il passato o il futuro, il Siddo usava una parola completamente diversa. Per esempio, l'infinito animato maschile dabhumaksnigalu'ahai, che significava vivere, diventava, all'imperfetto, ksu'u'peli'afo e, al futuro, mai'teipa. Lo stesso uso di una parola completamente diversa vigeva per tutti gli altri tempi. Inoltre, il Siddo non aveva soltanto i tre normali generi (terrestri) maschile, femminile e neutro: aveva anche il genere inanimato e quello spirituale. Per fortuna, i generi si declinavano, benché questo fosse piuttosto difficile per chiunque non fosse nato a Siddo. Il sistema per indicare il genere, però, cambiava secondo i tempi dei verbi.
Tutte le altre parti del discorso, nomi, pronomi, aggettivi, avverbi e congiunzioni, funzionavano secondo lo stesso sistema dei verbi. Per rendere ancora più confuso l'uso della lingua, frequentemente le diverse classi sociali usavano parole diverse per esprimere lo stesso significato." (pag. 60, edizione del 1991)  

LA LINGUA NEOINGLESE-HAWAIIANA 

Una lingua discendente dall'inglese sopravvive in forma degradata e frammista all'hawaiiano, perché il Nordamerica è stato colonizzato dopo la Guerra Apocalittica da discendenti di Americani della Hawaii. Così sono moltissime le parole di origine hawaiiana in essa presenti. Il saluto tipico è aloha, i grattaceli sono chiamati pali "montagne", mentre strutture abitative sotterranee sono chiamate puka "pozzi". A queste si mescolano parole ebraiche provenienti dall'ambito della religione. Così ecco il saluto shalom, più formale di aloha, il termine di rispetto abba usato per rivolgersi a superiori, e alcune parole gergali che affondano le loro radici nella Bibbia. Per dire "buono, accettabile" si usa shib, che è da shibboleth (in origine "spiga"). La sua negazione è in-shib "cattivo, inaccettabile".

LA LINGUA NEOFRANCESE DELLA BAIA
DI HUDSON
 

All'epoca in cui si svolgono i fatti, sopravvivevano su tutto il globo terracqueo soltanto venti parlanti una lingua discendente dal francese dei Franco-Canadesi, tutti abitanti nella Riserva della Baia di Hudson. Tuttavia nel libro non è riportata una descrizione del loro idioma. 

LA LINGUA NEOFRANCESE DI OZAGEN

Farmer si dimostra anche un ottimo conlanger, descrivendo per sommi capi - ma in modo assai vivido - la lingua neofrancese parlata dall'aliena umanoide (lalitha) Jeannette sul pianeta Ozagen. Figlia di una antropoide locale e di un esule giunto su Ozagen da un pianeta colonizzato da Francesi, l'affascinante creatura porta il cognome paterno Rastignac. Consapevole dell'evoluzione graduale delle lingue, l'autore ha compilato una lista di mutamenti fonetici regolari. 

bwa sfa < bon soir
e'uteh < écoutez
fi < oui
fo tami < votre ami
kfe < quoi
maw sheh < mon cher
nespfa < n'est-ce pas
pukfe < pourquoi
sah mfa < c'est moi

su < monsieur
Wuhbopfei
< Le Beau Pays

wuhfvayfvu < levez-vous

Chiaramente il termine lalitha, usato per descrivere le creature della specie di Jeannette, è concepito come una parola aliena delle genti di Siddo, ma l'ispirazione potrebbe essere venuta a Farmer direttamente dal nome Lolita

sabato 20 settembre 2014


CROCIERA NELL'INFINITO

Autore: Alfred Elton Van Vogt
Titolo originale: The Voyage of the Space Beagle
Anno: 1950

Il libro si compone di quattro parti:

1) Coeurl
2) Riim
3) Ixtl
4) Anabis

Genesi dell'opera: Nata dalla fusione di quattro racconti scritti dal 1939 al 1950:

Black Destroyer
War of Nerves 
Discord in Scarlet 
M33 in Andromeda 

Pubblicazioni italiane:
Urania 27 (novembre 1953)
Urania 312 bis (luglio 1963)
Futuro. Biblioteca di Fantascienza 1, Fanucci Editore (1974)
Urania Classici 22 (gennaio 1979)
Il Fantastico Economico Classico 3, Compagnia del Fantastico. Gruppo Newton (1994)
Urania collezione 82 (novembre 2009)

Traduzioni: Sergio Sué, Sebastiano Fusco

Trama sintetica (da Mondourania):

Come Isaac Asimov modellò la sua "trilogia galattica" sulla Decadenza e caduta dell'Impero romano di Gibbon, così A.E. Van Vogt si è ispirato per questa sua crociera classica nell'infinito a un altro illustre precedente, la famosa relazione che Charles Darwin pubblicò al ritorno della nave Beagle dal viaggio intorno al mondo. Come il veliero del grande naturalista, l'astronave Argus è infatti incaricata di esplorare pianeti e galassie lontanissime ed ha a bordo un nutrito e litigioso gruppo di scienziati. Gli enigmi, le sorprese, i pericoli che essi incontrano sulle rotte cosmiche e le strabilianti osservazioni e dati che via via raccolgono sulla vita extraterrestre danno vita a una narrazione di lucido rigore scientifico unito a un avvincente senso s'avventura e di meraviglia.

Sapendo che il nome del Connettivismo è stato ispirato da questo libro di Van Vogt, quando me lo sono procurato ero al settimo cielo. A quei tempi per me Van Vogt era soltanto un nome: non avevo mai letto nessuna delle sue opere. Ero felice di potermi immergere nella fonte d'ispirazione che or della fine aveva dato il suo contributo alla nascita del Movimento. Tuttavia sono rimasto profondamente deluso dal volume. Ho addirittura percepito un viscerale quanto inesplicabile senso di tradimento, che procedendo nella lettura si trasformava in una profonda irritazione e in aperta insofferenza. Ho letto Coeurl, Riim e Ixtl, abbandonando poi la lettura, che procedeva sempre più a rilento causa mancanza di entusiasmo. Ho classificato il romanzo come "libercolo scadente", ripromettendomi comunque di rileggerlo e di approfondirlo. Queste sono le parole che ho concepito a quell'epoca:

"Ripetitivo, banale, spesso travalica i confini del ridicolo. Al massimo conterrà venticinque righe di un qualche valore letterario. Il brano in cui l'alieno Ixtl interpreta il disegno schematico di un atomo è di una tale delirante assurdità che sfigurerebbe persino su Topolino."

E ancora:

"Stupisce davvero che qualcuno ne voglia fare la bibbia di un modo talebano-scientista di intendere la fantascienza: c'è più scienza in un film di Lando Buzzanca."

Certo, non ho tenuto conto del tempo in cui il romanzo è stato scritto. Forse sono stato troppo caustico nel linguaggio, anche se le mie opinioni rimangono nella sostanza negative. Credo del resto che sia impossibile costringere qualcuno ad amare una cosa che non gli ispira attrazione e che non gli piace affatto. 

Non posso comunque liquidare con poche parole quest'opera, per un motivo molto semplice. Il protagonista, Grosvenor, è un connettivista. Sul complesso argomento del rapporto tra Connettivismo e Van Vogt e sull'origine stessa della parola non si dirà mai abbastanza. Non nascondo che ho provato una fitta dolorosa quando sono venuto a sapere che Ron Hubbard e la sua Chiesa di Scientology sono all'origine del concetto stesso di Connettivismo (inglese Nexialism), inteso come "una nuova scienza capace di ristabilire le connessioni tra le competenze e le conoscenze di una disciplina e l'altra". Non a caso qualcosa di sostanzialmente identico a un connettivista compare nel romanzo Gli amanti di Siddo, di Philip José Farmer, che considero un capolavoro. Tale opera è tutta incentrata sulla figura del Precursore, profeta di un'orribile religione e autore del Talmud Occidentale. Orbene, il Precursore presenta non pochi tratti in comune con Ron Hubbard, al punto che la sua Chiesa appare chiaramente una trasposizione letteraria di Scientology - così come mostra inquietanti somiglianze con la figura di Thulsa Doom del film Conan il barbaro di John Milius (1982). Si tratta di coincidenze? No di certo. Alfred Van Vogt era un attivo seguace di Hubbard, come sua moglie. Mentre Farmer mostra un mondo devastato da una tirannia spaventosa e descrive la Chiesa del Precursore nella luce più realistica e sinistra, Van Vogt è in tutto e per tutto un positivista che ha come punto fisso una fede assoluta, cieca e incrollabile in un futuro di espansione indefinita del genere umano. Forse proprio questo è all'origine della mia avversione per tale scrittore, più di qualsiasi considerazione sul suo uso improprio della Scienza e sul suo stile letterario scadente. 

Esiste tutta un'elaborata mitologia a proposito di Van Vogt, costruita ad arte dalla setta dei fantascientisti. Incensato come Maestro e presentato come un semidio, l'autore è descritto come il vero ispiratore di Alien. Ovviamente gli adoratori che blaterano sull'argomento dell'ispirazione di Alien ignorano l'esistenza in Natura di un gran numero di insetti parassitogeni come gli Icneumonidi, eleganti vespe che iniettano le loro uova nei bruchi vivi. Tra l'altro questa conoscenza era ben presente allo stesso Darwin, che studiò in modo approfondito questi animali, descrivendone i ributtanti dettagli riproduttivi. La comune ispirazione di Van Vogt e dell'artista svizzero H.R. Giger ha per l'appunto le sue radici nel mondo degli insetti. Non è un caso che l'idea portante di Crociera nell'Infinito sia stata tratta da Darwin e dai suoi viaggi: non è impossibile che l'autore di fantascienza si sia imbattuto in una descrizione degli icneumonidi mentre leggeva le opere del naturalista inglese.  
Si noti tuttavia che Alien e Ixtl hanno sì qualcosa in comune (l'essere parassiti incredibilmente evoluti), ma che i dettagli biologici non combaciano affatto nei dettagli: mentre Ixtl innesta le sue uova nel petto delle vittime, somigliando in questo agli icneumonidi, Alien ha un ciclo più complesso e una natura sociale simile a quella delle termiti. Non è l'adulto a iniettare le uova, ma sono le uova deposte dalla regina ad eiettare il ben noto simbionte facciale, intermediario del processo riproduttivo.
È ben possibile che molti fantascientisti ignorino anche il fatto che H.R. Giger è il vero artefice di Alien e che la progettazione di quella letale forma biologica non si deve a Ridley Scott. Qualcuno cita un contenzioso tra Van Vogt e lo stesso Scott, che non arrivò mai in tribunale a causa di un accordo economico raggiunto tra le due parti. Di certo una corte composta da biologi avrebbe rigettato le richieste di Van Vogt. Seducente e decisamente originale è invece l'idea di Ixtl come residuo di un precedente ciclo cosmogonico. 

Riporto infine una serie di recensioni non proprio eulogistiche che ho trovato in Anobii, alcune delle quali mi sembrano davvero meritorie:

Scritto da Mr. Nero: 

«Il mostro è qui, lo sto tenendo a bada col mio vibratore. Ma fate presto, perché non sembra preoccuparsene troppo... »
Il libro in sé è troppo antiquato e ingenuo per risultare godibile oggi, specie se non si ha troppa affinità con la sci-fi avventurosa à la Star Trek, che personalmente non mi è mai piaciuta, se non nella formula ignorante e tamarra di John Carter di Marte. Ho trovato interessanti alcune creature, in particolare quello Ixtl che, pare, avrebbe ispirato Alien (se non altro per l’idea di usare i membri dell’equipaggio come incubatrici dove impiantare le proprie uova), ma per il resto la prosa prolissa e i farfugliamenti pseudoscientifici e privi di consistenza rendono difficile proseguire nella lettura. Il motivo principale per cui vale la pena leggere questo classico oggi è costituito dalle risate involontarie che regala a chi conserva un cuore da ragazzino della terza media, come me. Sapete, vedere seriosissimi militari e scienziati (tutti maschi e castrati chimicamente con farmaci disciolti nel cibo, non sia mai che gli salti in testa qualche strana idea –giuro!) che si aggirano per la nave terrorizzati da orribili minacce dalle profondità dello spazio, brandendo dei vibratori, beh son cose che allietano il mio animo fanciullesco.
Trascrivo il mio brano preferito:

«Da tutte le parti si vedevano vibratori che fumavano e lampeggiavano. Grosvenor si sporse cautamente dall'ascensore, cercando di farsi un'idea chiara della situazione.»

Il povero Grosvenor, tenendo le chiappe ben attaccate al muro, si trova davanti questa scena:

«Entrambi gli ingressi al ponte di comando erano bloccati da dozzine di carrelli rovesciati, dietro i quali si riparavano uomini in uniforme militare. […] Evidentemente, le immagini ipnotiche avevano fatto esplodere l'ostilità repressa. Gli scienziati stavano combattendo i militari, che inconsciamente avevano sempre odiato. I militari, dal canto loro, erano infine liberi di sfogare disprezzo e furia sugli scienziati, per i quali non avevano mai nutrito alcuna stima.»

In pratica, una guerra intestina. Combattuta con dei vibratori.
Credo che ci sia qualche problema coi farmaci sciolti nel cibo, Alfred.

Scritto da Flavio:

"Il libro è in realtà una raccolta di lunghi racconti e la prosa ostica di Van Voght non aiuta ad amalgamarli."

Scritto da Mattjr:

Piuttosto deluso da quello che sapevo essere una pietra miliare della fantascienza
Alcune pagine sono davvero notevoli, ma la maggior parte del racconto è piuttosto tedioso...
 Nello spazio profonda alla ricerca di forme di vita sensazionali eppure il 70% del racconto è incentrato sulle beghe dei vari scienziati e del capo dipartimento del connettivismo (una scienza che l'autore non riesce a descrivere senza termini e teorie che sanno di fuffa cosmica)

Scritto da Lorentz:

Il libro racconta le avventure di una astronave in viaggio verso nuove galassie per fare ricerca scientifica su nuovi mondi e specie sconosciute.
 L'idea di per sé potrebbe essere buona se sviluppata meglio. Nel viaggio trovano quattro diverse specie aliene, tutte più o meno ostili. Il libro è quindi divisibile in quattro sezioni tutte dalla forma "incontro - minaccia - analisi scientifica - la nuova scienza connettivista ci fa sopravvivere". Questa nuova disciplina scientifica è più un metodo, dove il protagonista è l'unico esperto, che abbracciando tutte le discipline permette di avere un quadro completo del problema da affrontare.
 Altro punto deludente del libro consiste nella narrazione che, seppure talvolta fatta dal punto di vista dell'alieno, non approfondisce gli aspetti psicologici né la volontà dei personaggi; inoltre sono presenti piccole incongruenze, quali l'alieno che al primo approccio chiama gli abitanti dell'astronave "bipedi" per poi iniziare a chiamarli "umani" pur senza che abbia avuto modo di comunicare con loro o di imparare il termine.

Scritto da Maxx:

Non lasciatevi ingannare dal richiamo ad Alien. La creatura più affascinante della fantascienza filmica è opera dello svizzero Giger, ma nelle pagine di van Vogt non c’è traccia, se non forse in un “embrione” di quello che avrebbe dato spunto alla saga Aliena, ma i paragoni finiscono qui. La space Beagle di van Vogt è piena, soprattutto, delle menti più brillanti del pianeta Terra alla ricerca di informazioni e conoscenza. Biologi, chimici, fisici, matematici, storici, geologi, psicologi, tutti insieme a cercare di “ampliare” la conoscenza dello spazio. Ma come fare quando il quesito da risolvere è “grande”? van Vogt imbarca nell’equipaggio anche un “connettivista”, un teorico di una nuova scienza che è in grado di combinare e congiungere tutte le altre per la soluzione del problema. La ricerca sembra allora rivolgersi, più che ai misteri del cosmo, alla capacità della mente umana di superare ostacoli più o meno pericolosi.
P
ersonalmente il connettivista, dopo un po’, inizia a diventare antipatico, ma la morale di van Vogt rimane, l’uomo, messe da parte le rivalità e le gelosie comuni, può affacciarsi senza paura alla ricerca del nuovo, qualsiasi esso sia.