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mercoledì 21 dicembre 2022

LIDINLAIB: UNA FRASE LONGOBARDA ATTESTATA

Dal testo dell'Editto di Rotari si può estrarre qualcosa di estremamente interessante, che intendo sottoporre all'attenzione degli eventuali lettori: una breve frase in longobardo. 

173. Si quis res suas alii thingauerit, et dixerit in ipso thinx lidinlaib, id est, quod in die obitus sui reliquerit: non dispergat res ipsas postea doloso animo, nisi fruatur eas cum ratione. Et si tales ei enuenerit necessitas, ut terra cum mancipia aut sine mancipia uindere aut locum pigneris ponere debeat, dicat prius illi, cui thingauit: "Ecce uedis, quia necessitate conpulsus res istas uado dare; si tibi uedetur, subueni mihi et res istas conseruo in tuam proprietatem." Tunc si noluerit subuenire, quod alii dederit, sit illi stabilem et firmum, qui acceperit. 

Alcune note etimologiche: 

Forma protogermanica: *līþ in laiβōn 
   (< *līþanan "andare", "passare"; *in "in";
    *laiβō "eredità", "resto", "ciò che rimane"

Classificazione grammaticale: frase 
Significato: "vada in eredità" 
  Esito longobardo: lidinlaib 
    Varianti attestate: lidelaib, lidinlayb 
    Varianti latinizzate: lidinlaibus, lidhilahibum 
    Varianti corrotte: lidin laid, lidemlaid 
Nota: 
Si ha il dileguo della desinenza dell'accusativo femminile, retto dalla preposizione in. La cosa, pur essendo abbastanza insolita, non deve stupire.    


Un noto antroponimo: 

Lapo 
Forma protogermanica: *Laiβaz 
  (< *laiβō "eredità", "resto", "ciò che rimane") 
Significato: "Eredità" 
Uso: Antroponimo maschile
La radice si trova come secondo elemento in alcuni nomi longobardi toscani: Teudelapus, Guidilapus. La riduzione del dittongo -ai- in -a- è frequente nel materiale antroponimico attestato in Toscana (Onesti, 2000). È possibile che proprio da composti di questo genere sia derivato come ipocoristico il nome Lapo.  
Nota: 
Sono convinto che si debbano considerare degne d'irrisione e di scherno le proposte etimologiche di chi vede in Lapo un ipocoristico di Iacopo o un'alterazione capricciosa di Lupo

Conclusioni: 

Si tenga presente che il mondo accademico è compatto nel negare l'esistenza di frasi in longobardo. Solo per fare un esempio, la pur validissima Nicoletta Francovich Onesti (Università di Siena), nel suo articolo La lingua dei Longobardi, caratteristiche e problemi (2014), afferma quanto segue: 

"Non ci sono testi estesi che documentino la lingua dei Longobardi; di questa conosciamo solo singoli termini, parole sparse, immerse separatamente nel contesto latino delle fonti scritte altomedievali; non abbiamo perciò neanche una frase intera, ma solo parole staccate e non di rado latinizzate nella fonetica e nella morfologia." 

Inoltre è ripetutamente affermata l'inconoscibilità di qualcosa che invece si evince in modo alquanto chiaro dall'analisi del materiale disponibile: 

"Non possiamo perciò sapere quasi niente della morfologia e della sintassi di questa lingua, ma possiamo ricavare informazioni solo sulla fonetica, il lessico e la formazione delle parole del longobardo."

Come se i Longobardi potessero parlare una lingua importata da Marte! Il carissimo e irriverente amico fiorentino R. sbotterebbe: "L'è roba 'a mmatti!" 

Alla luce dei fatti da me esposti, non si può dire che non esista nemmeno una frase attestata nella lingua dei Longobardi: lidinlaib è una frase a tutti gli effetti. Neppure si può dire che la morfologia sia sconosciuta e che nulla se ne possa dedurre. Non mi spingo oltre.  

lunedì 19 dicembre 2022

ALCUNE NOTE SU UN TARDO ESITO DEL LONGOBARDO MORGINCAP 'DONO NUZIALE'

Nell'opera di Romano Colizzi, Le Pergamene di Conversano Tracce longobarde, a pag. 90 si trova la testimonianza di un'interessante sopravvivenza di una parola giuridica longobarda nella toponomastica della Puglia. 

"Nella toponomastica salentina si trova un toponimo che secondo alcuni studiosi potrebbe derivare da morgincap: la Masseria Malciccappa (F.203, III, NO) tra Sava e Francavilla Fontana. Il Besta interpreta questo termine con l’espressione scherzosa ma minacciosa ‘morte a chi incappa’32. Però avvicinare Malciccappa a morgincap sembra molto problematico. In dialetto brindisino il toponimo appare come maru c’incappa ‘povero a chi ci capita’33. Dal termine dialettale - di cui Malciccappa sembra una ‘traduzione’ in italiano, forse 
per poterlo riportare nelle carte dell’I.G.M. - si potrebbe ipotizzare, una derivazione deformata - come suppone il Rohlfs - da morgincap. È da notare nel termine dialettale la presenza di c e p come morgincap, nelle leggi posteriori all’E.R. Ma, come sostiene il Sabatini, "è difficile pronunciarsi su tale toponimo".34" 

32 BESTA 1933, p. 154. 
33 VDS, I, p. 323.
34 SABATINI 1964, p. 198 

L'opera di Enrico Besta a cui l'autore allude è La famiglia nella storia del diritto italiano, Padova, Cedam, 1933.

Lo stesso testo sul toponimo Malciccappa, quasi identico, con soltanto lievi refusi relativi ad alcuni spazi tra parole, oltre a una diversa numerazione delle note, ricorre in un'altra opera di Colizzi, consultabile su Academia.edu: 


Inoltre si trova questo testo aggiuntivo, che riporto tal quale: 

"Il morgincap ,(in ted Morgengabe) è il ‘dono del mattino’ –se ne parla nell’Editto di Rotari e nelle leggi di Liutprando - che il marito consegnava alla donna con carta scritta, notificata da testimoni e davanti ad amici e parenti, Consisteva in una donazione di un quarto del patrimonio del marito.Poiché veniva consegnato, di solito, il giorno dopo gli sponsali25, si è creduto che fosse un praemium pudicitiae , ma non lo era. Era ,invece, “una elargizione [….] che l’uomo compiva per significare pubblicamente la sua intenzione di conferire piena e legale validità al vincolo matrimoniale”26. Il morgincap è presente in tanti documenti pugliesi dell’epoca longobarda e in quelle posteriori." 

25 In alcuni documenti veniva consegnato in die nuptiarum :CDB, VIII, a. 1167;CDB, XX, a. 901… 
26 M.SCOVAZZI,Scritti di storia del diritto germanico, II vol.,Milano 1975, p.45. 

Sono perfettamente d'accordo con Gerhard Rohlfs sulla derivazione del toponimo salentino in questione dal termine giuridico longobardo morgincap "dono del mattino". La prudenza di Colizzi e di Sabatini mi pare eccessiva e non porta da nessuna parte. 

Alcune note etimologiche:

Protogermanico: *morginageβō, *morginagǣβōn 
   (< *morginaz "mattino" + *geβō, *gǣβōn "dono")
Significato: "dono del mattino" 
Genere grammaticale: femminile 
 Esito longobardo: morgincap 
   Varianti documentate: morgingapmorgincaph,  
      morginkab, morginigab, morginicaph  
   Forme corrotte: morgincaput, morgit capud,
      morginicapud, mornicapud  
 Esito antico alto tedesco: morgangëba, morgangâba 
 Esito antico inglese: morgengyfe, morgengifu  
 Esito norreno: morgingjǫf 
Nota: 
La forma longobarda mostra il totale dileguo della terminazione femminile del secondo membro del composto. Si noti l'occasionale conservazione di una vocale finale nel primo membro del composto. 
Le varianti morgincaphmorginicaph mostrano una rotazione consonantica estrema (-b > -p-ph).
Le forme "corrotte" in -ut, -ud non sono chiare. Potrebbero presentare l'influenza fonetica del mediolatino caput "capo, testa", anche se la semantica sarebbe insensata. Non può tuttavia essere escluso che -ut / -ud sia un tentativo difettoso di trascrivere una forma obliqua della declinazione protogermanica femminile debole in *-ōn, nel qual caso sarebbe da restituire la lettura *morgin(i)capun. Del resto, in morgit capud è denasalizzata anche la consonante finale di morgin-. L'oscurità permane, in attesa di nuovi dati.

Forma tedesca moderna: Morgengabe 
   Genere grammaticale: femminile 
      (die Morgengabe)
Forma italiana (dal tedesco moderno): morgengabio 
Nota: 
La pronuncia del lemma è problematica, è verosimile che sia morghengàbio /morgen'gabjo/, non ortografica; va detto che non ne ho trovato indicazione da nessuna parte. Non posso escludere che qualcuno pronunci la parola, che è un tecnicismo, in modo ortografico come /mordʒen'gabjo/.
    Derivazione aggettivale: morganatico 
    Glossa mediolatina: donum matutinale 
    Glossa inglese: morning gift
    Glossa francese: douaire 




Questa è la trafila fonetica ricostruibile: 

/'mɔrginkap/ => /'mɔrkinkap/ => /'mɔrkjinkap/ => /maltʃik'kappa/ 

Causa della mutazione: palatalizzazione secondaria dell'occlusiva velare /g/ davanti a vocale anteriore; lo sviluppo deve essere stato tardo e influenzato dalla parlata romanza, ma presenta comunque alcune peculiarità. I problemi sono  a mio avviso minori di quanto ritenuto dal Colizzi. 

Falsa etimologia:
Sembra di cogliere una violenta satira contro il matrimonio, dato che il dono fatto dal marito alla moglie è venuto ad essere interpretato come "male ci incappa"

Conclusioni: 

La lingua dei Longobardi è un patrimonio di cui mi auspico il recupero. Il mio sogno è renderla nuovamente viva. Non mancano i mezzi. Manca la volontà! 

martedì 13 dicembre 2022

I TODESCHI DI ARENZANO: UNA MINORANZA GERMANOFONA NELLA LIGURIA MEDIEVALE

Tutti conoscono gli Altoatesini, eppure non sono gli unici parlanti di una lingua germanica in Italia. Anche se nel sistema scolastico italiano non viene insegnato, esistono ancora oggi sul territorio nazionale diverse minoranze linguistiche germaniche, che risalgono a migrazioni medievali di Bavari (Cimbri, Mocheni, Saurani, Sappadini, Timavesi, tedescofoni della Val Canale) e Alemanni (Walser, diffusi nel Piemonte alpino e in Valle d'Aosta). Anche se ormai sono in un grave stato di decadenza, se ne ha estesa documentazione. Già in epoca rinascimentale qualche studioso si interessò a queste comunità alloglotte, ipotizzando che potessero risalire alle cosiddette "Invasioni barbariche". Anche se tale idea si è rivelata errata, resta sempre una domanda: sono esistite isole linguistiche germaniche di origine più antica di quelle a noi conosciute, poi estinte? Certo che sì. Più si va indietro nel tempo, più si possono trovare tracce di comunità nate da migrazioni giunte da Oltralpe, quindi incastonate nel mondo romanzo e in seguito assimilate, disperse. Ne troviamo traccia anche in zone insospettabili, come la Liguria.

Fiorenzo Toso (Sassari) è l'autore dell'articolo Contributo allo studio della toponimia in Liguria: i nomi di luogo del comune di Arenzano (Genova) in prospettiva storica, pubblicato sulla Rivista Italiana di Onomastica (RION), volume XVII (2011), 2 (Società Editrice Romana).

Questo è quanto riportato a pagg. 531-532:   

"La tradizione insistente che parla di un ripopolamento della costa arenzanese a partire dalle valli dell’entroterra dopo la fine delle scorrerie saracene, verso il 1000, sembra dunque non priva di fondamento, e tale trasferimento potrebbe avere coinvolto i discendenti di un insediamento germanico la cui relativa persistenza culturale, se non linguistica, potrebbe risultare confermata (per quanto questo genere di considerazioni sia sempre arrischiato), da una discreta fedeltà a un’antroponimia germanica 37 protrattasi anche successiva mente (secondo quanto pare risultare, almeno, dall’abbondanza di cognomi tradizionali della stessa origine).38"

Questo è il testo della nota 37, sommamente interessante, di cui consiglio l'attenta lettura:

"Per quanto assai poco probante, considerando la diffusione ampia di antroponimi di deri
vazione germanica nella Liguria medievale, è significativa l’abbondanza di nomi di questa origine relativi a personaggi provenienti da Arenzano menzionati nella documentazione medievale. Senza voler offrire un panorama esaustivo, basto qui ricordare (da varie fonti citate da DE NEGRI 1953): Rotulfo de Airençano de Terralba (1190), Arnaldo Arpavegia, Anselmo Caito (1191), Anfuxius Caito, Ansaldo da Arenzano, Anselmo da Arenzano, Vivaldo da Arenzano (1198), Anselmo Maçanar, Blavasco da Arenzano (1205), Vivaldo Baili (1210), Retulfo di Arenzano (1233), Ansaldo di Arenzano (1258-68), Lanfranco Pelle, Vivaldo de Redulfo (1264), Loterengo di Arenzano (1274), Enrico da Arenzano, Guglielmo da ArenzanoCanuto da Arenzano, Gualtiero da Arenzano, Guglielmo Portino (1289-90, tutti trasferiti nella colonia genovese di Caffa), Gandolfo Airaldi, Enrico Meraldo (1300, a Famagosta), Percivale da Arenzano, Bartolino di Guasco (1300, alla Pera), Gio Garibaldo, Oberto Chiosonio (1343-46), e ancora (da VLSB : I .1, 96) Vivaldus Buga de Arenzano (1268), Ansaldo draperio de Arenzano (1268), Todiscus de Arenzano (1408), e così via. Suggestiva, anche se evidentemente non la si può collegare a una persistenza “etnica” remota, è anche la denominazione, nel 1191, di una spiaggia «in Arenzano, in ora que dicitur todesca» ( VLSB: I.1, 96)." 

Questo è il testo della nota 38

"Nell’onimia locale spicca ancor oggi per altissima frequenza il cognome Anselmo (e Anselmus è documentato a Genova nel 964, PETRACCO SICARDI 1985: 29, e ad Arenzano dal 1191), che come nel caso di altri gentilizi arenzanesi ha rivestito a lungo una funzione “territoriale”, coinvolgendo famiglie di una precisa area dell’entroterra, la cui originaria parentela non è affatto provata: come per altri cognomi della zona, così, è tuttora necessario un complesso sistema di numiaggi (soprannomi) per facilitare l’individuazione delle persone. Tra gli altri cognomi di origine germanica, vanno ricordati gli estinti Enrile e Bianco, l’ancor frequente Roba col derivato Robello, gli ormai rari Tixe (< TISO) e Isetta/Izetta (cfr. i nomi propri italiani Isa, Isabella, Isotta, ecc.), i vari Ghiglini/Ghigin, Ghigliotti/Ghigiòtti, Ghigliazza/Ghigiassa (da WILJAN ‘volontà’, cfr. il nome proprio Guglielmo, attraverso Guilia, Wilia attestato a Genova verso il 1150, cfr. DE FELICE 1978). 

Per quanto Toso si mostri fondamentalmente scettico, quasi per paura del dogma dei romanisti, dobbiamo riconoscere che qualcosa di importante lo ha scoperto. Affermo senza timore di smentita l'esistenza di un'isola alloglotta ad Arenzano, dove era parlata ancora in epoca tarda una forma di longobardo, che non era ancora estinta quando il borgo fu ripopolato con valligiani deportati dall'interno. 

Alcune etimologie antroponimiche: 

Molti antroponimi longobardi o di altra origine germanica erano diffusissimi in molte zone dell'Italia medievale. Tuttavia, in Arenzano si segnala una loro particolare concentrazione. Sono particolarmente interessanti.  

Airaldi 
Forma protogermanica: *χariwaldaz 
   (< *χarjaz "esercito" + *waldaz "che domina")
  Significato: "Principe dell'Esercito" 
Nota: 
La terminazione -i indica tipicamente un patronimico: Gandolfo Airaldi = Gandolfo figlio di Airaldo. Così sono nati moltissimi cognomi italiani.

Anfuxius 
Forma protogermanica: *Χandufunsaz 
   (< *χanduz "mano" + *funsaz "pronto")
 Significato: "Pronto di mano"

Ansaldo 
Forma protogermanica: *Ansuwaldaz 
   (< *ansuz "semidio" + *waldaz "che domina")
  Significato: "Principe dei Semidei"

Anselmo 
Forma protogermanica: *Ansuχilmaz 
   (< *ansuz "semidio" + *χilmaz "elmo, protezione")
  Significato: "Protezione dei Semidei"

Arnaldo 
Forma protogermanica: *Arnuwaldaz 
   (< *arnuz "aquila" + *waldaz "che domina") 
  Significato: "Principe delle Aquile" 

Blavasco 
Forma protogermanica: *Blǣwiskaz 
   (< *blǣwaz "blu", "azzurro")
  Significato: "Bluastro"
Nota: 
In longobardo esistono molte attestazioni di un suffisso derivato dal protogermanico -*askaz, usato accanto al ben noto suffisso -*iskaz (da cui tedesco -isch, inglese -ish). Non si è mai capita l'origine di questa forma alternativa. Alcuni la reputano ligure, ma la cosa non mi pare plausibile.

Caito 
Forma protogermanica: *Gaiðaz 
   (< *gaiðō "punta della lancia") 
  Significato: "Punta di lancia" 

Chiosonio 
Forma protogermanica: *Keusǣn, *Keusōnjaz  
   (< *keusanan "scegliere")
  Significato: "Colui che sceglie"
Nota: 
Il cognome Chiosoni è ancora diffuso nella stessa zona ligure. 

Gandolfo 
Forma protogermanica: *Gandawulfaz 
   (< *gandaz "demone" + *wulfaz "lupo") 
  Significato: "Lupo dei Demoni"

Garibaldo 
Forma protogermanica: *Gaizabalþaz 
   (< *gaizaz "lancia" + *balþaz "audace") 
  Significato: "Audace di lancia" 

Guglielmo 
Forma protogermanica: *Wiljaχilmaz 
   (< *wiljǣn "desiderio" + *χilmaz "elmo, protezione") 
  Significato: "Protezione del desiderio" 

Lanfranco 
Forma protogermanica: *Landafrankaz 
  (< *landan "terra, territorio" + *frankaz "giavellotto")
  Significato: "Giavellotto del territorio" 

Loterengo 
Forma protogermanica: *Χlūðaχaringaz
  Significato: "Discendente di Esercito Famoso" 
   (< *χlūðaz "famoso" + *χarjaz "esercito + -*ingaz,
    suffisso indicante discendenza)
Nota: 
Un nome della tradizione dei Franchi. Si è chiaramente formato in epoca tarda. 

Meraldo 
Forma protogermanica: *Marīwaldaz 
   (< *marīn "mare" + *waldaz "che domina") 
  Significato: "Principe del Mare" 
N.B.
Si noti l'Umlaut palatale (la vocale -a- che diventa -e- per influsso di una successiva vocale -i- poi scomparsa), indice della tarda epoca di sopravvivenza della lingua longobarda. 
Esiste anche il nome Maraldo, che però è dal protogermanico *Mǣriwaldaz "Principe Famoso" (< *mǣriz "famoso" + *waldaz "che domina"). 

Oberto 
Forma protogermanica: *Xuγuberχtaz 
   (< *χuγuz "intelletto, mente" + *berχtaz "splendente")
  Significato "Splendente d'Intelletto" 
N.B. 
L'intelletto era inteso come uno dei due corvi di Godan, proprio come Huginn nella tradizione norrena.

Redulfo, Retulfo 
Forma protogermanica: *Raiðawulfaz 
    (< *raiðaz "pronto, rapido" + *wulfaz "lupo") 
  Significato: "Lupo rapido" 

Rotulfo
Forma protogermanica: *Χrōþiwulfaz 
    (< *χrōþiz "fama" + *wulfaz "lupo") 
  Significato: "Lupo della fama" 

Todiscus 
Forma protogermanica: *Þeuðiskaz "della tribù",
    "del popolo" 
   (< *þeuðō "tribù", "popolo" + -*iskaz, suffisso aggettivale) 
Nota: 
Rimanda all'istante al toponimo ora todesca "spiaggia tedesca". Si consideri la sua datazione molto tarda dell'antroponimo (inizi XV secolo) come prova della persistenza della memoria di un'origine alloglotta. 

Vivaldus  
Forma protogermanica: *Wīγawaldaz 
    (< *wīγan "combattimento" + *waldaz "che domina")
  Significato: "Principe del combattimento" 

Sono convinto che ad eventuali lettori potrebbe piacere esplorare le ricostruzioni della lingua protogermanica. Riporto così la sezione del Wiktionary in inglese che contiene molti dati utili, anche se l'ortografia usata non è identica a quella che utilizzo. 

Conclusioni: 

Dobbiamo raccogliere informazioni e connetterle senza sosta, in modo tale da ricostruire un passato dimenticato, cercando di estrarlo dal Nulla in cui è stato fatto sprofondare da studiosi ideologizzati. 

mercoledì 4 agosto 2021

IL SALMO CANARIO O PADRE NOSTRO GUANCHE: UN FALSO STORICO

José Barrios García è l'autore dell'articolo Las seis vidas de una frase: el salmo canario o padrenuestro guanche, ossia "Le sei vite di una frase: il salmo canario o padrenostro guanche", pubblicato nel 2016 sulla rivista Tabona. Revista de prehistoria y de archeología (Universidad de la Laguna, vol. 21). Il lavoro, presente nel sito Academia.edu, è liberamente consultabile e scaricabile al seguente link: 
 
 
Nel 1934, Emilio Hardisson y Pizarroso presentò all'Instituto de Estudios Canarios una frase che avrebbe dovuto essere la traduzione del Salmo 113 nella lingua preispanica delle Canarie. Questa frase, riportata in un manoscritto datato 1803, era la seguente: ATISA CAGNREN CHA ONDIKHUESATE ANTICHIAHA ONANDA ERARI. La presunta traduzione in spagnolo sarebbe questa: "Desde el Oriente hasta el ocaso es loable el nombre del Señor", ossia "Dall'Oriente all'Occidente è lodevole il Nome del Signore". La traduzione CEI del testo biblico è la seguente: "Dal sorgere del sole al suo tramonto sia venerato il nome del Signore". Sorvoliamo sulla discrepanza tra le varie traduzioni. Tutto molto suggestivo. Peccato che si tratti di un colossale imbroglio, come Barrios García ha potuto dimostrare con argomenti solidissimi. All'epoca, Dominik Josef Wölfel e altri studiosi non sono riusciti a concludere nulla sull'affidabilità di questo documento e sul suo significato reale, giungendo a fatica alla conclusione che potesse trattarsi della prima frase del Padre Nostro: da ciò è derivata la denominazione tradizionale di Padre Nostro Guanche. Penso che sia importante parlarne per vari motivi. Innanzitutto, nessuno in Italia a quanto pare si occupa delle lingue degli antichi Canari. Inoltre questa è la cronistoria di un falso storico particolarmente nocivo e persistente, dal momento che è persino stato utilizzato come simbolo da movimenti religiosi che possiamo soltanto definire posticci. Già è di estrema difficoltà far luce sul passato del genere umano, con tutte le lacune che minacciano la Conoscenza ad ogni passo. Se poi ci si mettono coloro che diffondono informazioni fittizie, non si può riuscire a ottenere alcun risultato utile, si viene costantemente intralciati e si rischiano conclusioni fuorvianti - come questo caso dimostra al di là di ogni dubbio.
 
L'autore dell'articolo parte dall'origine dell'equivoco che ha dato vita al falso storico del Padre Nostro Guanche, seguendone passo per passo lo sviluppo attraverso i secoli. Credo che sia più efficace compiere il percorso a ritroso. 

Nel 2011, Ignacio Reyes García, autore del famoso Diccionario Ínsuloamaziq, è partito dalla frase trasmessa dalla "tradizione orale", riportata da Fernando Hernández González nel suo libro Taucho, la memoria de los antiguos (2010), soltanto di poco diversa da quella pubblicata da Hardisson y Pizarroso:

Atixa chaeren chaondi xuexate anti chaxana onanda erari. 

Così Reyes García l'ha "trascritta", trasponendola in berbero, nella miglior tradizione dei traduttori magici

A ətti ččaš šagren ša ondi, Wassksaḍ anti išačča-ana, onan-da er ăr-i.

Quindi ne ha dato una "traduzione letterale": 

"Desde que el incremento el brillo duradero hacia el término, Dios el origen nos sustenta, el propio nominativo hasta mi objeto más preciado."
 
In italiano suonerebbe così: 
 
"Poiché accresce lo splendore duraturo del termine, Dio l'origine ci sostiene, il nominativo stesso al mio oggetto più prezioso."
 
Ha fatto seguito una traduzione figurata: 
 
"Desde el naciente del Sol hasta el ocaso, Dios es la causa que nos sustenta, incluso el nombre mismo [es] mi ser más querido." 
 
In italiano suonerebbe così: 
 
"Dal sorgere del Sole al tramonto, Dio è la causa che ci sostiene, anche il nome stesso [è] il mio essere più caro."
 
Veniamo ora alla "tradizione orale" di partenza. La frase fece la sua misteriosa comparsa verso il 1970 nel contesto dei movimenti religiosi canari fondati sul recupero della spiritualità e dei rituali degli antichi Guanche. La fonte ultima a cui Reyes García ha potuto risalire sarebbe stata un documento degli inizi del XIX secolo, che fu evidentemente consultato da un antenato dell'informatore. Credo che a questo punto sia opportuno riportare le testimonianze contenute nell'articolo di Barrios García, per necessità di conoscenza.
 
"[La frase] figura en un documento fechado en 1803 que recopila esta fórmula en diversos idiomas, aunque la versión que da entrada a este asiento fue recogida por Fernando Hernández González de su abuelo Isidro Hernández, quien la pronunciaba durante la celebración del ritual del Achún Magec."  
 
Traduzione: 
 
"[La frase] appare in un documento del 1803 che riporta questa formula in varie lingue, anche se la versione che dà accesso a questa voce è stata raccolta da Fernando Hernández González presso suo nonno Isidro Hernández, che la pronunciò durante la celebrazione del rito dell'Achún Magec." 
 
E ancora (il grassetto è mio): 

"Según el periodista y escritor Fernando Hernández González, su abuelo, Isidro Hernández, natural de Lomo Mena, en la comarca de Agache (sur de Tenerife), acudía con un grupo de amigos a las Piedras de Ayesa (Arafo) en la madrugada de cada 21 de junio para celebrar un pequeño ritual que denominaba «Achún Magec» [...]. Durante esta ceremonia solsticial, pronunciaba su propia versión del salmo 112: «Atixa chaeren chaondi xuexate anti chaxana onanda erari»..."  
 
Traduzione: 
 
"Secondo il giornalista e scrittore Fernando Hernández González, suo nonno, Isidro Hernández, originario di Lomo Mena, nella regione di Agache (a sud di Tenerife), si recò con un gruppo di amici alle Piedras de Ayesa (Arafo) nei primi anni mattina di ogni 21 giugno per celebrare un piccolo rito che chiamò «Achún Magec» [...] Durante questa cerimonia solstiziale, pronunciò la propria versione del Salmo 112: «Atixa chaeren chaondi xuexate anti chaxana onanda erari»...)" 

Ecco altre informazioni utili sulla linea esoterica fittizia:
 
"Sin embargo, no consta tampoco la línea de transmisión a través de la cual recibió esta sentencia [el abuelo de F. Hernández], aunque una fecunda tradición oral parece haber sido conocida por algún otro antepasado de su familia paterna (en particular, su abuelo, Agustín Hernández Izquierdo, cabrero en la zona de Anocheza)."  
 
Traduzione: 
 
"Tuttavia, non si conosce la linea di trasmissione attraverso la quale [il nonno di F. Hernández] ricevette questa frase, anche se sembra che una fruttuosa tradizione orale sia stata conosciuta da qualche altro antenato della sua famiglia paterna (in particolare, suo nonno, Agustín Hernández Izquierdo, capraio della zona di Anocheza)."
 
Orbene, credo che a questo punto anche un orango capirebbe che il documento del 1803 contenente la supposta frase canaria è proprio quello citato da Emilio Hardisson y Pizarroso nel 1934. A quanto pare, lo studioso non ha mai visto quel libro con i propri occhi, ne ha soltanto sentito parlare (il grassetto è mio): 
 
"En ese documento [...] descubrí la siguiente frase en canario: «Atisa cagnren cha ondikhuesate antichiaha onanda erari», que quiere decir en castellano: «Desde el Oriente hasta el ocaso es loable el nombre del Señor»" 
 
Traduzione: 

"In quel documento [...] Ho scoperto in canario la seguente frase: «Atisa cagnren cha ondikhuesate antichiaha onanda erari", che in spagnolo significa: "Dall'Oriente all'occidente è lodevole il nome del signore"."
 
L'interesse accademico per la frase riportata da Hardisson y Pizarroso e discussa da Wölfel si è estinto presto, dopo alcune sterili polemiche, ma dura tuttora la sua sopravvivenza nel panorama delle bizzarre credenze legate al ricordo degli antichi indigeni. 
 
L'inghippo 
 
Ecco che i nodi vengono al pettine! Proprio nel 1803, Francisco M.a de Ardanaz y Ormaechea (1780 - 1825), giovane custode della Biblioteca Reale che con tempo sarebbe diventato uno dei calligrafi più famosi del Regno di Spagna, preparò con la massima cura una pergamena con testi scritti nelle lettere in uso nelle nazioni delle quattro parti del mondo conosciuto. La pergamena in questione è dedicata al bibliotecario reale, don Pedro de Silva y Meneses, a Madrid, il giorno 23 dicembre 1803. Ardanaz y Ormaechea ha riprodotto liberamente un'incisione del gesuita tedesco Athanasius Kircher (1602 - 1680), Horoscopium catholicum Societ. Iesu, includendovi le versioni del Salmo 113 in varie lingue. A questo punto è stato commesso un errore madornale: dove il testo di Kircher riporta come nome della lingua Canadicè, ossia "Canadese", il calligrafo spagnolo ha scritto con improvvido rotacismo Canaricè, ossia "Canario"
 
L'Horoscopium catholicum di Kircher, contenuto nella sua opera Ars magna lucis et umbrae, pubblicata a Roma nel 1646, mostra Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, ai piedi di un olivo le cui ramificazioni rappresentano la divisione provinciale del suo ordine. I quattro angoli dell'incisione sono ornati con 34 frasi in altrettante lingue. Almeno dieci di queste frasi sono traduzioni del terzo versetto del Salmo 113 (112 secondo un'altra nomenclatura): "Dall'Oriente all'occidente è venerato il nome del Signore". L'angolo superiore destro dell'incisione mostra il versetto tradotto nelle seguenti lingue: Lusitanicé (Portoghese), Sardicè (Sardo), Siam (Thailandese), Chilichè (Mapudungun, un tempo detto Araucano), Canadicè (Wyandot, ossia Urone) e Mexicè (Nahuatl o Azteco). La frase contrassegnata con Canadicè è così scritta: "Atisacagnren cha ondikhucȣatè atichiahà onandaeraƨi". La si riconosce subito.
 
Il Salmo Canario è nella lingua di Magua!   
 
Qualcuno si ricorda L'ultimo dei Mohicani, il romanzo di James Fenimor Cooper? Un tempo il suo successo è stato considerevole e quasi tutti l'avranno letto quando erano bambini. Il "cattivo" del romanzo è Magua, della tribù degli Uroni. Ecco, la frase "Atisa cagnren cha ondikhuesate atichiaha onanda erari" è formulata nella lingua di Magua, non in lingua Guanche! 
 
Il testo originale si trova nell'opera del gesuita francese Jean de Brébeuf (1508 - 1649), Relation de ce qui s'est passé dans le pays des Hurons en l'année 1636 (ossia "Relazione di ciò che accadde nel paese degli Uroni nell'anno 1636"), pubblicata a Parigi nel 1637. Nelle pagine 48-49 del volume in questione, è contenuta una lunga orazione nella lingua degli Uroni (il cui endoetnico è Wyandot), con traduzione interlineare in francese. 
 
Barrios García si è limitato a riportare la fotografia di un estratto del testo originale di Brébeuf del 1637, una scelta che a me sembra poco felice, in quanto non permette di apprezzare appieno l'enorme portata della scoperta. Riporto quindi il testo integrale dell'orazione nella lingua degli Uroni (Wyandot), con evidenziate in grassetto e in rosso le parole interessate, che sono poi state utilizzate per fabbricare il falso Padre Nostro Guanche. Il carattere ȣ indica un'approssimante velare /w/, non diversamente dal carattere w dell'inglese want
 
IO SAKHRIHOTE DE SONDECHICHIAI, DINDE ESA D'OISTAN ICHIATSI, DINDE DE HOEN ICHIATSI, DINDE DE ESKEN D'OATATOECTI ICHIATSI; IO SAKHRIHOTE, ONEKINDÉ OERON D'ICȣAKERHA, ATISACAGNREN CHA ONDIKHUCȣATÉ ATICHIAHÀ, ONNE ATISATAȣAN ÀȣETI; AERHON ONATINDECȣAESTI. CAATI ONNE ȣÀTO ESÀTAANCȣAS ECHA ÀȣETI, ÀȣETI ESÀTONKHIENS, ONDAYEE ECHA ȣENDERHAY CHA ȣENDIKHUCȣATÉ OTINDEKHIEN, ȣENDERHAY AȣANDIO AȣATON EȣA TICHIAHA. IO ICHIEN NONHȣA ETSAON HATSACARATAI, ATSATANONSTAT. ENONCHE ȣATINONHȣAKÉ, ENONCHÉ ȣATIRIHȣANDERÂKÉ, AONHȣENTSANNENHAN, SERREȣA EȣA D'OTECHIENTI, DIN DE ONGNRATARRIÉ ETSESONACHIEN, SERREȣA ITONDI ; DIN DE ONRENDICH ESONACHIEN, SERREȣA ITONDI; DIN DE ȣSKENRAETAC ESONACHIEN, SERREȣA ITONDI; DIN DE OKI ESONIATOATA ONDAYEE D'OKIASTI. CHIA DAONONCȣAIESSA D'OKI ASAOIO, SERREȣA ITONDI. OCȣETACȣI SERREȣA EȣE D'OTECHIENTI. IESUS ONANDAERARI DIEU HOEN ONDAYEE ACHIEHETSARON DE HIAISTAN, ONEKÉ TEHIAMONSTAS, CHIA DESA ȣARIE IESUS ONDȣE DE CHIKHONCȣAN, ONDAYEE ITONDI CHIHON, TO HAYAȣAN.  

Riporto anche la traduzione in francese, che nel testo compare in forma interlineare in caratteri più piccoli rispetto a quelli usati per il testo nella lingua degli Uroni. Mantengo l'ortografia originale, che presenta alcune differenze rispetto a quella attualmente in uso (il carattere ſ variante di s; u al posto di v intervocalica e v al posto di u iniziale, etc.).
 
"Sus eſcoutez vous qui auez fait la terre, & vous qui Pere vous appellez, & vous ſon fils qui vous appellez, & vous Eſprit Sainct qui vous appellez, ſus eſcoutez car ce n’eſt pas choſe de peu d’importance que nous faiſons, regardez ces aſſemblez enfans, deſia ce ſont tes creatures tous ; parce que on les a baptiſez. Mais voicy que vne autrefois nous te les preſentons eux tous, nous te les abandonnons tous, c’eſt ce que penſent ce que voila aſſemblées femmes, elles penſent maiſtre qu’il ſoit de tous les enfans. Sus donc maintenant prenez courage gardez-les, defendez-les. Qu’ils ne deuiennent point malades, qu’ils ne pechent iamais, deſtournez tout ce qui eſt mal ; que ſi la contagion nous attaque derechef, deſtourne-là auſſi ; que ſi la famine nous attaque deſtourne-la auſſi ; que ſi la guerre nous aſſault deſtourne la auſſi ; que ſi le demon nous prouoque, c’eſt à dire le mauuais demô, & les meſchans qui par poiſon font mourir, deſtourne les auſſi. Finalement deſtourne tout ce qui eſt de mauuais. Ieſus noſtre Seigneur de Dieu Fils, c’eſt ce à quoy tu exhorteras ton Pere, car il ne te refuſe point. Et vous auſſi Marie de Ieſus la Mere qui eſtes Vierge, cela auſſi dis. Ainſi ſoit-il."  
 
Traduzione, il più possibile letterale:  

"Ascolta, tu che hai fatto la terra, e tu che voi chiamate Padre, e tu che voi chiamate suo Figlio, e tu che voi chiamate Spirito Santo, ascolta, perché non è cosa da poco quello che facciamo, guarda questi bambini riuniti, che già sono tutti tue creature; perché li abbiamo battezzati. Ma ecco, un'altra volta te li presentiamo tutti, li abbandoniamo tutte a te, questo pensano le donne riunite, esse pensano che tu sia il padrone di tutti i figli. Allora adesso prendete coraggio, conservateli, difendeteli. Che non si ammalino, che non pecchino mai, che si allontanino da tutto ciò che è male; che se il contagio ci attacca ancora, allontana anche quello; che se la carestia ci attacca, allontana anche quella; che se la guerra ci attacca, allontana anche quella; che se ci provoca il demonio, cioè il malvagio demonio, e gli empi che con il veleno causano la morte, allontana anche loro. Alla fine allontana tutto ciò che è male. Gesù, nostro Signore di Dio Figlio, per questo esorterai tuo Padre, perché non ti rifiuterà. E anche tu, Maria di Gesù Madre che sei Vergine, hai detto anche questo. Così sia." 
 
Ecco i link al testo di Brébeuf:   


 
Come fa notare Barrios García e come si può desumere da questi documenti, la corretta traduzione della frase fatidica è "Signore, guarda questi bambini riuniti". Non è la prima frase del Padre Nostro e neppure il terzo versetto del Salmo 113. Non va quindi chiamata Padre Nostro GuancheSalmo Canario. Mi si perdoni la provocazione: sarebbe più sensato chiamarla Preghiera di Magua.   
 
Conclusioni 
 
Cosa possiamo dedurre da quanto esposto? Diverse cose, tutte mortificanti, addirittura annichilenti. 
 
Le culture identitarie e i nazionalismi si nutrono spesso di mitologie fabbricate, prive di qualunque rispondenza con la realtà storica. Solo per fare un esempio, a un indipendentista canario non sembra importare molto il concreto recupero dell'autentica lingua Guanche - anche ammesso che sia possibile realizzarlo. Si crea quindi una pseudo-identità, in cui la sola cosa che conta è la contrapposizione al governo della Spagna (che a sua volta agisce come persecutore per distruggere ogni possibile resto della cultura nativa). Una triade perversa in qualche modo accomuna oppressori e oppressi: 
i) un mito fondante, 
ii) una bandiera,
iii) un nemico. 

Conseguenza: una "tradizione orale" va sottoposta a indagini rigorose. Barrios García ci ha mostrato come una "tradizione orale" sicuramente falsa possa durare molto tempo. Ha importanza il fatto che possa trattarsi di un errore fatto in buona fede? Direi di no. Essendo perdute le lingue un tempo parlate nell'Arcipelago, sono sempre possibili fraintendimenti e distorsioni. I Canari leggono libri sulla cultura e sulla storia dei Guanche, quindi accedono allo scibile anche nel campo linguistico (parole riportate, frasi documentate, tentativi di analisi). Ciascun lettore, spesso privo di basi, può dare autonomamente vita a una "tradizione orale". 
 
Come possiamo ben comprendere, non ha il benché minimo senso che una frase nella lingua di un popolo indiano d'America venga usata in cerimonie e rituali "Guanche" a Tenerife. Se questo è accaduto, e ci sono prove schiaccianti che sia così, significa che i metodi usati finora dagli studiosi sono inefficaci. Se un "traduttore magico" come Reyes García si impegnasse su un testo pornografico in giapponese, opportunamente traslitterato in caratteri rōmaji, potrebbe analizzarlo come berbero continentale, ottenendone frasi religiose ed esoteriche!

domenica 1 agosto 2021

LE MISTERIOSE ISCRIZIONI SULLA STATUA DELLA VERGINE DELLA CANDELARIA

Già parlammo della singolare mitologia connessa con la Vergine della Candelaria e con il suo culto, popolarissimo nell'arcipelago canario e in molti altri luoghi. Secondo la leggenda, una statua della Vergine Maria col Bambinello in braccio e una candela in mano fu rinvenuta da due pastori Guanche sulla spiaggia di Chimisay a Güímar, nell'isola di Tenerife, quasi un secolo prima della conquista di quella terra ad opera degli Spagnoli. L'anno del rinvenimento secondo alcuni è il 1392. Dopo varie vicissitudini, il simulacro fu riconosciuto come un oggetto divino e venerato dalla popolazione indigena. La figura femminile fu dapprima identificata con la Madre degli Dei, Chaxiraxi, e il bambino con suo figlio Chijoraji. Questo finché un nativo dell'isola, che era stato rapito in gioventù ed era cresciuto in Spagna, riconobbe l'immagine della Vergine e convinse il sovrano a trasferirla in una grotta non condivisa con idoli di divinità pagane. Quest'uomo, noto come Antón Guanche, in seguito fece da traduttore per i missionari che catechizzarono le genti di Tenerife. Tracce dell'antico sincretismo persistono tuttavia fino ai nostri giorni.
 

Riporto la descrizione dell'originale simulacro mariano, fatta da un religioso dell'Ordine Domenicano
, Frate Alonso de Espinosa (1543 - 1616), poi ripresa da un personaggio conosciuto con lo pseudonimo di Frate Juan Abréu Galindo (1535 - ?), dell'Ordine dei Frati Minori. Questo è il testo in spagnolo: 
 
La imagen es de más o menos 5 palmos de altura (aproximadamente 1 metro), contando con la peana en que apoyaba los pies. Su posición era de pie, con la cabeza recta y mirando al frente, teniendo en el brazo derecho al Niño Dios, desnudo, las piernecitas dobladas y los brazos también. Aprisionaba por las alas un dorado pajarito de moñita o peineta, y por último, la Imagen del Niño tenía la cabeza ladeada a la derecha y miraba a algo que estaba a los pies de la Madre. El brazo izquierdo de la Virgen, en posición inverosímil, sostenía al Niño, y en la mano izquierda, que se presentaba en posición cerrada y muy natural, tenía un trozo de vela como un jeme de color verde, que daba a entender podía aumentarse con otro, a voluntad, y por último apoyaba las plantas de los pies sobre una tabla redonda o peana, como de cuatro centímetros de alto, pintada de color encarnado, descubriendose la parte externa del pie izquierdo que salía un poco del diámetro de la peana. La indumentaria constituíala una túnica dorada, imitando el color amarillo, desde el cuello hasta los pies, haciendo el talle un cinturón cerrado, azul, como de dos centímetros de altura. El manto, también azul obscuro, salpicado de flores de color de oro, calíale desde los hombros por uno y otro lado del cuerpo, sujetándolo sobre el pecho una traba cuerda encarnada. La parte del pie que se dejaba ver por los bajos de la túnica, presentaba calzado un chaplín cerrado, de color encarnado. La cabeza de la Santa Imagen adornába la hermosa cabellera partida a la mitad, cayendo sobre los hombros en seis ramales tendidos por la espalda. El rostro muy proporcionado a la estatura, era ligeramenmte ovalado, adornado por rasgados ojos, boca pequeña y bien plegada y con unas hermosas rosas en las mejillas. La Imagen esta adornada en el cuello del vestido, cinturón en los extremos de las mangas y al pie de la túnica con unas letras, que aún en la actualidad, no ha podido entenderse su significado. 
 
Traduzione in italiano: 
 
"L'immagine è alta più o meno 5 spanne (circa 1 metro), compresa la base su cui poggiava i piedi. La sua posizione era in piedi, con la testa dritta e lo sguardo davanti a sé, tenendo il Dio Bambino, nudo, sul braccio destro, le gambette piegate e anche le braccia. Imprigionava per le sue ali un uccellino d'oro con arco o pettine, e infine l'Immagine del Bambino aveva la testa inclinata a destra e guardava qualcosa che stava ai piedi della Madre. Il braccio sinistro della Vergine, in una posizione inverosimile, reggeva il Bambino, e nella mano sinistra, che si presentava in una posizione chiusa e molto naturale, aveva un pezzo di candela di circa una spanna, di colore verde, che lasciava intendere potesse essere aumentata con un altro, a piacere, ed infine poggiava la pianta dei piedi su una tavola o base rotonda, alta circa quattro centimetri, dipinta di rosso, lasciando intravedere la parte esterna del piede sinistro che fuoriusciva un po' dal diametro della base. L'abbigliamento costituiva una tunica dorata, imitante il colore giallo, dal collo ai piedi, formante una cintura azzurra chiusa intorno alla vita, alta circa due centimetri. Il mantello, anch'esso blu scuro, punteggiato di fiori color oro, scendeva dalle spalle ai lati del corpo, tenendolo sul petto con un cordone cremisi. La parte del piede che era visibile attraverso l'orlo della tunica, aveva una scarpetta chiusa, di colore rosso. La testa della Sacra Immagine ornava i bei capelli divisi nel mezzo, che ricadevano sulle spalle in sei ciocche tese lungo la schiena. Il viso era molto proporzionato all'altezza, era leggermente ovale, ornato da occhi a mandorla, bocca piccola e ben piegata e belle rose sulle guance. L'Immagine è ornata sul collo della veste, sulla cintura all'estremità delle maniche e ai piedi della tunica con alcune lettere, il cui significato non è stato ancora compreso."

Vergine della Candelaria, forse opera di Nicolás de Medina Villavencio
(XVIII sec.). Si notano in rosso le lettere misteriose.

 
Nel 1826 la statua scomparve in una tempesta. L'anno seguente fu realizzata allo scultore neoclassico Fernando Estévez una sua copia, che è quella che ancor oggi si può vedere nella grotta dietro la Basilica della Candelaria. La cosa che ha subito destato il mio interesse sono senza dubbio le lettere sulla tunica del manufatto originale, trascritte dallo stesso Frate Alonso de Espinosa e da altri autori. Non mi risulta che siano visibili sul manufatto attuale. 

Queste sono le enigmatiche iscrizioni: 
 
1) Sul bavero:

(E)TIEPESEPMERI
 
2) Sulla manica sinistra:

LPVRINENIPEPNEIFANT

3) In fondo alla veste:

EAFM IPNINI FMEAREI

4) Sulla cintura:

NARMPRLMOTARE

5) Sul mantello, sul braccio destro:

OLM INRANFR TAEBNPEM REVEN NVINAPIMLIFINIPI NIPIAN 

6) Sul bordo della mano sinistra: 
 
EVPMIRNA ENVPMTI EPNMPIR VRVIVINRN APVI MERI PIVNIAN NTRHN
 
7) Sul retro della tunica:

NBIMEI ANNEIPERFMIVIFVE 
 
Esiste qualche incertezza nella trascrizione di queste sequenze di lettere. Ad esempio, alcuni riportano ETIEPESEPMERI, con E- iniziale, molti altri invece hanno TIEPESEPMERI o TIEPFSEPMERI. Allo stesso modo c'è chi legge EVPMIRNA e chi legge FVPMIRNA. La perdita del manufatto originale rende molto difficile appurare quali siano le forme corrette.  
 
Dipinto del XVIII sec. che mostra l'apparizione della Vergine ai Guanche.
Anche qui si notano le lettere misteriose in rosso.

Non appena sono venuto a conoscenza di questo materiale, subito mi sono posto alcune domande. Che lingua è mai questa? Possibile che nessuno abbia mai studiato la questione? 
 
Tentativi infruttuosi 
 
In realtà le iscrizioni della Candelaria sono state studiate da diversi autori. Prima che qualcuno arrivasse a identificare la lingua misteriosa con una forma di Guanche, sono stati fatti numerosi tentativi di decrittazione a partire dal latino e da altre lingue estranee ai primi abitatori dell'Arcipelago. Tutti questi tentativi sono insipienti e noiosissimi. Sono stati elencati e descritti da Vicente Jara Vera e Carmen Sánchez Ávila (2016, 2017, 2020). Li riporto, li riassumo e li commento brevemente in questa sede. 
 
1) Gonzalo Argote de Molina (1548–1596) interpretava le iscrizioni come acronimi di formule devozionali mariane in latino. Solo per fare un paio di esempi, forniva questa spiegazione allucinatoria della scritta TIEPFSEPMERI, risolvendola in "Illustrata Es Patri Filio Spíritu-santo Et Pia Mater Eiusdem Redemptoris Iesu", mentre NARMPRLMOTARE era interpretato addirittura come "Nostrum Altissimum Regem Maria Peperit Reddidit Libertatem Maria Omnibus Tortis A Rege Erebia". Fantasie a dir poco malate. Tra l'altro, il codice non si adatta bene: non è spiegata ad esempio l'iniziale T- della prima formula. (Abréu Galindo, 1676)

2) Athanasius Kircher (1602 - 1680), il famoso gesuita egittologo, se ne è uscito con altre inconsistenze criptiche dello stesso tenore: spiegava TIEPESEPMERI come "Insignes Matris / Tipus Matris", mentre NARMPRLOTARE è stato ridotto a viva forza a un grottesco "Pro nobis ora, vel advocatio / Pro novis ora, vel advocate" - mutilando un certo numero di lettere. (de Andrade 1664; de Béthencourt Massieu 2004; Núñez de la Peña 1676; Vera, 2016)

3) Bartolomé García Ximénez (1622 - 1690) insisteva con queste assurde chiavi di lettura: spiegava ETIEPESEPMERI come "Eccleciae Triumfantis In Excelsis {Preposita/Praeposita} Electa Sanctorum Et Patrona Militantis Ecclesiae Romanae {Infal<l>ibilis / Indefectibilis}", mentre NARMPRLMOTARE è stato ridotto a viva forza a un grottesco "Non Ambio Regnorum Magna Palatia Requiro Litora Maris Oceani {Thenerifensis / Thenerifensia} Ad Rusticos Edocendos". (Moure, 1991; Vera, 2016)

4) John Campbell (1840 - 1904) ha applicato alle iscrizioni la metodologia dei cosiddetti traduttori magici, utilizzando come chiave di lettura una lingua che gli era praticamente ignota: il basco. TIEPFSEPMERI è stato ridotto a un implausibile "ko i en tu po no en tu me ne ra au", ossia "Koi entu pono entu Menera au", tradotto come "Fa sì che la (dea) Menera ascolti la preghiera, ascolti il dolore". NARMPRLMOTARE è stato ridotto a un implausibile "mi ra er mi to ri se me ma gu re er en", ossia "mira erimi etorri seme etna gure erren", tradotto come "Venendo a far allestire uno spettacolo, per dare al figlio la nostra compassione". (Campbell, 1901; Vera, 2016)

5) Antonio María Manrique (1837 - 1907) è partito dal presupposto che le iscrizioni nascondessero una non meglio specificata lingua semitica. I contenuti sarebbero passaggi biblici devozionali. In quest'ottica, TIEPFSEPMERI è stato interpretato come "Maria, piena di grazia", mentre NARMPRLMOTARE è stato interpretato come "Dio Unico e Padre per tutti". Di certo sono "traduzioni" più sobrie di quelle di Campbell, il che non basta a garantirne la plausibilità. (Manrique, 1898; Vera, 2016)

6) Alonso Ascanio y Negrín (1855–1936) ha proposto una combinazione sincretica di spagnolo, portoghese e italiano. Così (E)TIEPFSEPMERI è stato chissà come ridotto a ME SOBRA O GAJE, mentre NARMPRLMOTARE è stato manipolato fino a diventare EVIIOJ DE NOVIA. Addirittura ci sarebbe la datazione dell'opera: NBIMEI ANNEIPERFMIVIFVE ha dato per misteriosa distorsione LA FIXE SINESIVJ ZEA MCCXLIX. Mi domando come qualcuno abbia potuto sprecare del tempo a leggere simile spazzatura concettuale. (Negrín, 1899; Vera, 2016)

7) Fidel Fita Colomé (1845–1918) ipotizza una trasposizione di caratteri di un latino molto modificato in senso biblico. Va detto che egli ha proposto una spiegazione soltanto per la prima stringa ETIEPFSEPMERI, considerata un anagramma di SEPI ET ERIPE ME ("proteggimi e liberami"). Fornisce alcuni riferimenti biblici, scelti perché si parla di una torre, da lui identificata con la protezione soprannaturale: Cantico dei Cantici, 4, 4 e Isaia, 5, 2. Quindi connette questa simbologia della torre con l'epiteto Turris eburnea, ossia Torre d'Avorio, attribuito alla Vergine nelle Litanie Lauretane. Tutto ciò è molto labile. (Moure, 1991; Tveedale, 2005)

8) José Hernández Morán (1922 - vivente) continua imperterrito la tradizione degli pseudo-acronimi multipli ottenuti in modo ingegnoso quanto vano da frasi latine e spagnole. Prende spunto dal gesuita Kircher (Morán, 1957; Vera, 2016), giungendo ad interpretare TIEPFSEPMERI in due modi diversi quanto incompatibili: il primo, TI-E-PE-SEP-MERI "Tú eres por siempre María" (ossia "Tu sei per sempre Maria"), il secondo TI-ERES-EP-MERI "Tú eres espejo de madre" (ossia "Tu sei specchio di madre"). Non so dare indicazioni su quanta bamba abbia inalato per concepire assurdità sesquipedali come queste, ma sembra verosimile che abbia rielaborato le interpretazioni di Kircher.  

Mi sono imbattuto, navigando nel Web, in un ulteriore tentativo di spiegare le iscrizioni misteriose, questa volta ricorrendo al catalano parlato nelle Baleari. Non sono più riuscito a ritrovare il documento e non ricordo il nome dell'autore. Il suo argomento portante era di questo tenore: siccome l'originale statua della Vergine della Candelaria somigliava a quella della Vergine di Montserrat, la sua provenienza doveva essere balearica e le iscrizioni dovevano essere derivate da una serie di abbreviazioni di parole catalane (es.: dove ricorreva l'arduo gruppo consonantico FM, leggeva femella "donna", o qualcosa del genere). Forse spinto dalla vergogna, questo autore ha in seguito fatto scomparire ogni traccia della sua opera dilettantesca. Non c'è alcuna logica in queste illazioni. Se un uomo delle Baleari avesse voluto scrivere qualcosa, non avrebbe fatto ricorso a una forma di scrittura così smozzicata, soltanto per risultare incomprensibile a tutti! 
 
La crittografia non funziona    
 
La dimostrazione dell'assurdità delle interpretazioni criptiche è abbastanza lineare. 
i) Se fosse esistita una tradizione criptica nella Chiesa Cattolica, in grado di formare complessi codici a partire da frasi devozionali in latino, ne saremmo al corrente: ce ne sarebbero moltissime testimonianze in tutto il mondo. Invece è riconosciuto che le iscrizioni della Candelaria sono uniche
ii) Gli ecclesiastici stessi dicono chiaramente che le lettere sulla tunica mariana sono sconosciute nel loro significato e avanzano soltanto ipotesi tenui a questo proposito. 
iii) Nessuno avrebbe usato un linguaggio criptico, che non sarebbe stato compreso neppure dai religiosi. A chi sarebbe stato rivolto? A pochi iniziati? Conosciamo bene l'avversione mostrata dalla Chiesa Romana per ogni forma di conoscenza esoterica, fin dal suo inizio. 
 
Si nota la volontà di annientare la cultura nativa dei Guanche negando alla radice la stessa esistenza della loro lingua. In altre parole, l'idea di interpretare in modo criptico le iscrizioni sarebbe in tutto e per tutto un atto politico, volto a far cadere nell'oblio persino il vago ricordo dell'esistenza di qualunque cosa non fosse ispanica. 
 
Il lavoro di Reyes García 

Il primo ad effettuare una comparazione tra le iscrizioni della Candelaria, le lingue Guanche e le lingue berbere continentali è stato Ignacio Reyes García (2010. La Madre del Cielo: Estudio de Filología Ínsuloamazighe; 2011. Diccionario Ínsuloamaziq. Islas Canarias: Fondo de Cultura Ínsuloamaziq).
 
 
Ecco in breve i risultati ottenuti dallo studioso:  

TIEPFSEPMERI
<Ti yebb f sab Meri> 
"Il Padre sotto la protezione della Vergine Maria."
 
NARMPRLMOTARE
<Narəm əbər ghər muttar>
"Condividere (il cibo) è un dovere verso i poveri."

LPVRINENIPEPNEIFANT
<Lbu rinni bab nə afa ənt> 
"Sii misericordioso nella vittoria, Signore della Luce Eterna."  

OLM INRANFR IAEBNPFM RFVEN NVINAPIMLIFINVIPI NIPIAN 
<Ul-m yən ǎr anfər Iaeb ənubi f-m ǎr fwen. Nwi-ina bib am əliffi n wibbib. Ni bi-an> 
"Il tuo cuore ospita i più importanti tesori, il Bambino Yahveh su di te, tesoro splendente. Un peso sulla nostra coscienza è come una catasta sulle nostre spalle. Controlla quel peso."  

FVPMIRNA ENVPMTI EPNMPIR VRVIVINRN APVIMFRI PIVNIAN NTRHN 
<Ffu b-mirna. Nubi am ti ewen am bir ur wiwi-n rn, abu i mǝfri. Bib-wǝn ǝyyan nut ǝrγ un>
"Albeggia, grande potere. Il figlio, come il padre e la via della perfezione, evitano la malattia, sono un balsamo per la persona che soffre. Il tuo unico peso deve essere una candela luminosa."

EAFM IRENINI FMEAREI 
<Ê af-m irenni f-əme arey>
"Oh, la tua scoperta aumenta la protezione contro la superstizione"
 
NBIMEI ANNEIPERFMIVIFVE 
<Nəbbi y əməyyi. An-năy əberref mi əwif Uf>
"Diamo rifugio a colui che ignora. Perdoneremo l'offesa quando è causata dalla paura di Dio"

Da queste elucubrazioni è possibile comporre un esiguo glossario, che purtroppo sembra altamente ipotetico. Eccolo:  
 
ENVP "figlio" 
MERI "Maria"
MOTARE "poveri" 
NARM "condividere" 
OLM "il tuo cuore" (f.)
SEP "vergine"
TI "padre" 
 
Si segnala l'enorme divergenza nella fonologia tra la lingua di queste iscrizioni e le lingue dei Guanche documentate.  
 
Il lavoro di Jara Vera e Sánchez Ávila
 
Un altro tentativo di decrittazione basato sulle lingue berbere continentali è quello di Vicente Jara Vera e Carmen Sánchez Ávila dell'Università Politecnica di Madrid. Il loro articolo Linguistic Decipherment of the Lettering on the (Original) Carving of the Virgin of Candelaria from Tenerife (Canary Islands) (2017), è consultabile al seguente link: 


Ecco in breve i risultati ottenuti:
 
TIEPFSEPMERI
[T·Y]-[F·G]-[S·P]-[M·R]
/ti-effeg-ăsap-amər-i/
=> /ti-epef-sep-meri/
"Dio Padre ha trovato in me, la Vergine, la grazia"

NARMPRLMOTARE
[M]-[R]-[M]-[F·R]-[M·Ṭ]-[R]
/m-er-m-ffer-el-məṭṭuti-ar-e/
"Sei stata benedetta con unicità tra l'intero genere delle donne"

LPVRINENIPEPNEIFANT  
[L·F]-[R]-[N]-[N·F·(Y)]-[N·T]
/əlpu-ăr-in-inifif-ən-ăy-if-ent/

"Coloro che riempiono il cuore e la vita d'amore, sono in Me"

OLM
[H·L]-[M] 
/all-m/ 
"Ti preghiamo"

INRANFR
[M·R]-[F·R]
/imran-ffer/
 
     => /inranfr/
"Proteggi il territorio" 

IAEBNPFM 
[Y]-[B·B]-[N·B·Γ]-[G·M]
/i-ebb-ənbəγ-ğəm/
     => /i-eb-npγ-ğəm/ 
"Egli è l'Autore e il Signore che fa germogliare e crescere"
 
RFVEN 
[R]-[F]-[W·N]
/ere-af-wen/ 
    => /rfuen/
"Fortunato è chi la trova" 
 
NVINAPIMLIFINVIPI 
[N]-[NḌ]-[ML]-[FNWT]
/ănnu-inaḍ-imli-fənəwwət-i/ 
"Si propone di concedere autorità ai buoni piuttosto che essere eccessivamente orgogliosi"
 
NIPIAN 
[M]-[F]-[YN]
/mi-if-əyyăn/ 
"Chi è come il Signore?"
 
FVPMIRNA 
[F]-[W·F]-[R·N]
/f-ewef-mərna/ 
"Trionfo sul terrore e sulla paura"
 
ENVPMTI 
[N·B·(W)]-[N·T]-[T·Y]
/ənubi-ent-ti/ 
"Il Figlio è lo stesso del Padre"
 
EPNPMIR 
[B·D]-[N·N]-[T·Y]-[R]
/əbdəd-ənnun-tteyr/ 
"Egli esalta l'umile e abbassa il malvagio"
 
VRVIVINRN 
[R·W]-[Y]-[W·Y]-[N]-[RN]
/uru-i-iwi-n-renni/ 
"Questa ha generato Colui che ci guida verso la vittoria (i.e. verso la Salvezza)"
 
APVIMFRI 
[A]-[F]-[N·F·R]
/a-effu-anfər-i/ 
"Questa è colei che mi illumina completamente"
 
PIVNIAN 
[F·Y]-[W]-[N·Y]-[N]
/fi-iw-ənəy-ăn/ 
"Questo qui è il Figlio nato dall'Onnipotente"
 
NTRHN 
[N·T]-[R·H]-[H·N]
/ent-arəh-ehən/
"Casa fondata sulla roccia"
 
EAFM 
[H]-[F]-[M]
/əh-af-əm/ 
"Venga il tuo Regno"
 
IRENINI 
[Y·R]-[M·N·Y]
/ayur-emnəymənəy/ 
"Tu sei come la Luna splendente"
 
FMEAREI 
[F·N]-[R·Y]
/afna-arey/ 
"Liberaci dal Male"
 
NBIMEI 
[N·D]-[N·Y]
/əndu-ənəy/ 
"La tua saggezza è perfetta"
 
ANNEIPERFMIVIFVF  
[M]-[Y]-[FRG]-[F]-[GW]-[WF]
/anna-i-ferg-f-iməggiwa-əwəf/
"Tu sei la Madre che protegge dal fallimento e dalla paura"
 
Da queste elucubrazioni possiamo comporre un breve glossario di voci selezionate a colpo d'occhio. Questo glossario purtroppo sembra altamente ipotetico - e spesso in netto contrasto con quello ottenuto da Reyes García. 

AFM "il tuo regno" (f.)
ENINI "splendente" 
ENVP "figlio"
INRAN "territorio" 
IR "luna"
LPV "accumulare"
MERI "grazia"
MOT "donne"
OLM "ti chiediamo" 
SEP "vergine" 
TI "padre" 
 
Devo essere franco. Non possiamo farcene molto. 

Problemi e criticità 
 
A molti potrebbe anche sembrare che la difficile questione sia stata risolta. Non possiamo tuttavia fare a meno di esprimere alcune importanti considerazioni. 
 
1) Le lingue Guanche avevano un vocalismo pieno, con cinque vocali /a/, /e/, /i/, /o/, /u/. Le lingue berbere continentali hanno un vocalismo ridotto, quasi rudimentale. 
2) Le lingue Guanche avevano un sistema consonantico simile a quello delle lingue romanze, non particolarmente ricco. I viaggiatori e i cronisti concordavano col dire che il loro suono era melodioso. Le lingue berbere continentali hanno un consonantismo ricchissimo. Chi le ha udite concorda col dire che il loro suono è aspro
3) Le lingue berbere continentali sono il prodotto di un "collo di bottiglia": la protolingua ricostruita dovrebbe corrispondere a una lingua parlata all'epoca dell'Impero Romano. Questo protoberbero ha fatto scomparire una grande varietà di lingue preesistenti (Blench, 2018). Le lingue Guanche appartengono a questa varietà di lingue più antiche; si sono separate prima della formazione del protoberbero di cui sopra.  
4) Nel database compilato da Alexander Militarev e contenuto nel sito The Tower of Babel sono riportate 515 protoforme berbere ricostruite a partire da vocaboli documentati delle lingue documentate - tra cui prevalgono in modo netto quelle attualmente parlate. Ci sono soltanto 19 etimologie canarie (circa il 3,7% del totale) e 3 etimologie di parole dell'antico libico (circa lo 0,6% del totale). Peggio ancora, poche tra le 19 etimologie canarie hanno corrispondenze in altre lingue trattate nel database delle etimologie berbere. Alcune poi sono scarsamente consistenti. 
 
 
5) Esistono contraddizioni tra le ricostruzioni di García e di Vera-Sánchez Ávila e le parole realmente attestate nelle isole. Ho identificato subito un esempio. Nel lavoro di Jara Vera-Sánchez Ávila MOT significa "donne", ma nel Guanche di Tenerife la parola per dire "donna" era CHAMATO. Chiaramente la radice è la stessa, ma è assai improbabile che si tratti di testimonianze di un'unica lingua. Un altro esempio: il termine IR dovrebbe significare "luna" e corrispondere al berbero continentale ayur "luna". Tale parola non è tuttavia documentata nelle Canarie. A Tenerife la luna era chiamata cel, da tutt'altra radice.
6) Potrebbe essere un gravissimo errore ritenere le lingue berbere moderne come un punto fisso di riferimento in base a cui decrittare qualsiasi attestazione delle lingue Guanche. In altre parole, sia Reyes García che Jara Vera e Sánchez Ávila potrebbero essere caduti nel tranello delle traduzioni magiche.  

Una credenza ideologica 

Alla base degli errori alla base dei lavori sopra riportati sta un presupposto dettato da ragioni essenzialmente politiche: l'idea folle secondo cui lo strano aspetto fonetico delle parole e dei nomi Guanche di cui abbiamo documentazione sia dovuto all'incapacità dei conquistatori (Spagnoli, Genovesi, Normanni, etc.) di trascrivere i suoni della lingua nativa, che di per sé sarebbero stati identici a quelli delle lingue della Barberia. Finché non si farà piazza pulita di questo terribile malinteso, non si arriverà da nessuna parte.

Conclusioni 

La mia paura è che gli studi di Reyes García e di Jara Vera-Sánchez Ávila siano da buttar via. Credo che ci vorranno ancora molti anni di indagini per arrivare a qualcosa di sicuro, possibilmente con l'aiuto della scoperta di nuovo materiale. Non si potrà purtroppo fare molto finché durerà il funesto influsso della politica, che è interessata a far sì che le lingue canarie siano perdute per sempre. Che soluzione dare al mistero? La statua si è spiaggiata recando già le iscrizioni in caratteri rossi? E in questo caso, da dove proveniva? Oppure qualcuno ha eseguito le iscrizioni in seguito? Chi era costui? Qualche missionario animato dal nobile intento di insegnare ai Guanche di Tenerife a leggere e a scrivere nella loro lingua? Sono domande al momento destinate a rimanere senza risposta.