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mercoledì 29 marzo 2023

 
LA BOMBA INFORMATICA

Titolo originale: Le bombe informatique 
Autore: Paul Virilio 
Paese: Francia 
Anno: 1999 
Lingua originale: Francese 
Tipologia: Saggio 
Argomenti: Filosofia, bioetica, media, nuove tecnologie,
  s
cienza, divulgazione scientifica, informatica, cambiamento 
  sociale, antiamericanismo, americanofobia  
Stile: Febbrile, convulsionario 
1a ed. italiana: Gennaio 2000
Editore: Raffaello Cortina Editore 
Collana: Scienza e idee, n. 59 
Direttore della collana: Giulio Giorello
Formato: Libro, copertina flessibile  
Pagine: 160 pagg. 
Traduttore: Gabriele Piana* 
Codice ISBN (10 cifre): 88-7078-611-0 
Codice ISBN (13 cifre): 9788870786118 

*Alcune fonti riportano erroneamente Giovanni Piana, il filosofo teoretico. 

L'autore:
Paul Virilio (Parigi, 1932 - Rueil-Malmaison, 2018) è considerato uno tra i più originali filosofi nel panorama internazionale del secondo '900. Scrittore, urbanista, teorico culturale, esperto di nuove tecnologie, ha insegnato al Collège International de Philosophie di Parigi. Le sue principali idee fisse erano l'architettura obliqua e la combinazione della tecnologia con la velocità in una dromosfera. Poco importa se tutto ciò è fumoso e vago. In Francia le cose funzionano così. Altre opere pubblicate da Raffaello Cortina Editore: L'incidente del futuro (2002), Città Panico (2004), L'Arte dell'accecamento (2007), L'Università del disastro (2008). 

Ascendenza dell'autore: 
Il padre di Paul Virilio era un comunista italiano. La madre era una cattolica conservatrice bretone, vandeana nello spirito.

Sinossi (da Ibs.it): 
"L'autore svolge una spietata critica degli eccessi della scienza contemporanea. Quest'ultima non tenderebbe più alla scoperta di una verità utile all'umanità, ma si evolverebbe unicamente alla ricerca di performance limite estremamente pericolose (clonazione, eutanasia tramite computer, alimenti transgenici, mucca pazza, ecc.). Ciò che stupisce nel testo di Virilio è soprattutto la straordinaria ricchezza di riferimenti all'attualità: politica, economia, cinema, arte, moda, pubblicità, non vi è argomento su cui non si eserciti l'ironia feroce del filosofo francese." 
 
Risvolto: 
"Basta sfiorare una tastiera per avere la morte al proprio servizio. Nel mondo plasmato dalle tecno-scienze - tra mucche pazze e pecore clonate, cibi transgenici ed eutanasia ordinata al computer, piogge tossiche e funghetti alla Cernobyl - il pericolo maggiore, stando a Virilio, viene dalla bomba informatica, ben peggiore di quella al neutrone, poiché, prima della carne, essa devasta l'anima. In una società che si compiace di non riconoscere più alcuna frontiera (dunque nemmeno alcun limite) e che produce la fusione/confusione dell'arte con la pornografia, del misticismo con la moda, della pubblicità con la ricerca, gli adulti "restano sempre fanciulli" (come diceva l'egiziano a Socrate, nel Timeo), ma senza l'innocenza di Peter Pan. Il tragico è tutto qui: man mano che calcolatore, rete, realtà virtuale, ecc., si impadroniscono di quella che un tempo era detta "l'invisibile verità dei corpi" rendendola trasparente, scopriamo che non c'è più veritàcorpo."     

Citazione iniziale: 

Nessuno saprà cosa sarà "reale" per gli uomini 
al termine delle guerre che cominciano ora. 
WERNER HEISENBERG

Recensione: 
Ho letto La bomba informatica nel lontano 2006. La persona da cui sentii nominare Virilio per la prima volta, lo definiva "catastrofico". Dando un'occhiata al risvolto, mi era sembrato un testo interessante. Come mi sono immerso nella lettura, ho subito pensato che fosse difficile, pastoso, convulso, contraddittorio, con frammenti ispirati che affiorano da un mare di insensatezza. Teorico delle nuove tecnologie, Virilio non era certo immune da disonestà intellettuale. Ha anche ricevuto diverse accuse di uso abusivo di termini tecnici e tecnologici (Sokal, Bricmont, 1997). Inoltre apparteneva alla variegata, bizzarra e talvolta livida categoria dei cattolici francesi, molto diversi da quelli che vediamo nel Bel Paese, ma pur sempre servi attivi e operanti della più pericolosa tra le micronazioni: il Papato. Bisogna scorporare la religione dalla resistenza al postmodernismo per ottenere dal testo frammenti degni di nota e addirittura profetici - anche se si percepisce sempre qualcosa di storto. 

Callido come il protagonista
del
Roman de Renart  

Con un'astuzia da volpe, l'autore ha fatto leva sulla tecnofobia degli anziani: si tenga conto che quando il libro uscì non esisteva ancora la massa dei nativi digitali. Più in generale, ha cercato di diffondere una neofobia di origine religiosa e moralistica, utilizzando il ben collaudato sistema dello spauracchio, che per secoli i preti hanno usato come un randello. Volete che vi parli di un paio di vetusti neofobi che ho avuto la (s)ventura di conoscere negli anni '80 e '90 dello scorso secolo? Eccovi serviti. 
 
1) Ricordo l'attempato R., che conobbi nell'infelice comune di Valmadrera e che ormai sarà senza dubbio tra le ombre dell'Ade, dato l'inesorabile scorrere del tempo. Era un individuo calvo, poco istruito, che si esprimeva rozzamente, esponendo idee alquanto bislacche. Secondo la sua argomentazione strampalata, la tecnologia moderna sarebbe un pericolo gravissimo per il genere umano, perché (udite, udite) a forza di comprimere l'informazione, prima o poi questa finirebbe con l'esplodere! Secondo R., ogni computer conterrebbe dei chip miniaturizzati tramite pompe ad aria in grado di comprimerli sempre di più, fisicamente, istante dopo istante, fino ad arrivare all'ineluttabile scoppio del terminale. R. aveva un timore folle dello stesso computer che si trovava sulla sua scrivania. Biascicava rosari come antidoto alla sua paura superstiziosa, pregava a ciclo continuo perché la macchina non esplodesse proprio mentre lui si trovava in ufficio al lavoro. 
 
2) Una vecchiarda di Albiate, nella profonda Brianza, aveva il folle terrore dell'energia atomica. Quando ci fu l'improvvido referendum sul nucleare (le cui conseguenze ancora stiamo pagando), questa invereconda megera strepitava come se avesse le convulsioni. Cercava di convincere tutti a votare contro il nucleare. Quando un amico le chiese il perché di una tale paura irrazionale, lei rispose con questa scomposta esclamazione di sgomento, formulata nel locale dialetto galloitalico: "Se s'ciopa ul nücleu!!!" La traduzione è "Se scoppia il nucleo!!!" Secondo lei sarebbe esistita un'entità maligna chiamata "nücleu", simile a una palla gigantesca penzolante dal cielo e invisibile, che avrebbe corso il concreto pericolo di esplodere da un momento all'altro, annientando l'intero genere umano. Al solo pensiero si smerdava nelle mutande. Come nel caso del valmadrerasco R., questa figura grottesca sgranava rosari senza sosta. Le preghiere e le formule ecclesiastiche, storpiate dalla sua ignoranza assoluta del latino, si riducevano a mantra ridicoli, come "titìbi titàbi" (contrazione del Prologo di Giovanni: "Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis"). 

Oggi nessuno crederebbe che personaggi simili possano esistere. Sono finiti nella tomba. Se c'è ancora qualche superstite, raggiungerà presto i suoi simili. Le trasformazioni sociali sono irreversibili e la paura non inverte la freccia temporale. 

Virilio, Berlusconi e il Berlusconismo 

A quanto ci dice Carlo Formenti nella postfazione al saggio, Virilio fu addirittura traumatizzato da Berlusconi e dal suo successo elettorale (pagg. 145-146). Nel corso della sua opera, il filosofo francese cita il magnate di Arcore una sola volta, pur riportandone alcune parole rivelatrici, che confermano l'idea portante secondo cui l'Italia è in qualche modo un laboratorio politico americano, uno strumento di colonizzazione, di americanizzazione capillare della società. Ecco il brano in questione (pag. 25):

""Quelli che non amano la televisione non amano l'America!", pretendeva Berlusconi, nel corso di una memorabile campagna elettorale all'italiana. In passato, si sarebbe già potuto dire altrettanto di quelli che non amavano il cinema, e oggi lo si potrebbe dire di quelli che non amano Internet o le future autostrade dell'informazione, quelli che non ritengono opportuno aderire ciecamente ai deliri dei metafisici della tecnocultura." 

Non dobbiamo dimenticarci che Berlusconi è stato l'Alfiere dell'Americanismo, colui che ha disinnescato gli anni di piombo diffondendo in Italia il Paninarismo, ottenendo il potere tramite l'astuta manipolazione della stupidità del 90% della popolazione, sfruttando la leva della religione calcistica. Nessun inquirente fu mai capace di accertare la natura della sua prodigiosa capacità di moltiplicare il denaro. Se dicessi che lo faceva grazie a una macchinetta datagli in comodato da Mefistofele, sarei considerato un pazzo complottista! Fatto sta che è riuscito in quasi tutti i suoi intenti. Virilio nel lontano 1999 ha capito che qualcosa di inquietante e pericoloso si stava sviluppando nel Bel Paese. 

Virilio e Dick 

Sempre nella postafazione, Formenti afferma di non ricordare se l'autore avesse o meno menzionato il grande Philip K. Dick. Fa quindi un lungo e interessante commento (pag. 142):  

"Ebbene, il mito che la controcultura americana degli anni Sessanta ha costruito attorno alla figura di Dick deve non poco a un romanzo, La svastica sul sole nel quale lo scrittore immagina un mondo parallelo in cui gli Stati Uniti hanno perso la guerra e sono divenuti una colonia del Terzo Reich. Uno studioso italiano di letteratura angloamericana ha brillantemente decostruito la metafora del romanzo, mettendo a nudo l'ossessione ideologica della generazione che ha vissuto la tragedia della "sporca guerra" del Vietnam, e il modo in cui l'immaginario dello scrittore ha saputo darle voce. La "tesi" di Dick era che la Seconda guerra mondiale non fosse mai finita: apparentemente gli Stati Uniti l'avevano vinta, ma al prezzo di consegnare il paese nelle mani del sistema militare-industriale, il che aveva finito per uccidere la democrazia americana, cancellandone le differenze rispetto alla cultura totalitaria degli sconfitti."

Noto che il linguaggio usato da Formenti è virtualmente indistinguibile da quello di Virilio - che in realtà non ha menzionato in modo esplicito Dick nell'opera in analisi. Si tratta in ogni caso di un'analisi oltremodo interessante.  

Virilio e il Transumanismo 

Terrorizzato dalla clonazione, il filosofo francese si smerdava addosso alla sola idea che questa tecnica dell'ingegneria genetica potesse dimostrare l'inesistenza del suo Dio. Eccolo animato dal furore, agitare la mannaia del "secondo Natura", astenendosi forse per buon gusto dal menzionare la distruzione di Sodoma e Gomorra (pag. 32):

"Con questo nuovo superconservatorismo della materia vivente, al di fuori delle "vie naturali", che si è insidiosamente sviluppato nelle culture, nelle mentalità durante questo periodo inaudito, questo mezzo secolo di dissuasione nucleare in cui siamo effettivamente diventati degli ostaggi, temporaneamente risparmiati, dei popoli di morti-viventi."

E ancora, subito dopo (pagg. 32-33): 

"Sopravvivenza virtuale del criogenismo, voga del cocooning, movimento NDE (Near Death Experience) del dottor Moody, moltiplicazione delle sette escatologiche o pseudoscientifiche e tecnologiche... Prodezze degli innesti virtuali e delle nanomacchine, bioculture in vitro e in vivo, che già applicano all'organismo umano lo scambio standard dei pezzi di ricambio della meccanica; intercambiabilità di nuovi esseri transumani, e infine repressione definitiva del mal di vivere, poiché tramite una  possibile sostituzione dei corpi donati gli uomini potrebbero ancora nutrire la speranza di sopravvivere a se stessi pur avendo cessato di esistere..." 

Quando ha scritto queste parole, Virilio era in preda a un fortissimo senso di contaminazione e a un'angoscia totalizzante. Cercava di tenere fuori l'Orrore dal perimetro della sua stanza. 

Ancora il Fantasma di Braunau,
usato come un randello
 

Virilio lo dice esplicitamente: tutto ciò che non gli piace, porta direttamente ad Adolf Hitler e alla sua opera di annientamento del genere umano. Ecco un significativo sunto delle sue idee (pagg. 47-48):

"Già nel corso degli anni Venti del Novecento, quando aveva avuto occasione di vedere, a Berlino, le opere degli espressionisti tedeschi, il grande mercante di quadri René Gimpel aveva provato paura, ritenendo che esse non facessero presagire niente di buono. Egli non avrebbe tardato a verificare, nel campo di concentramento di Neuengamme (dove doveva morire il primo gennaio 1945), ciò "che, a partire da un'idea quasi ingenua chiamata amore, l'immaginazione umana poteva concepire d'orribile, fino alla macabra danza dipinta sul muro dei carnai". Come si sarà dunque notato, fino a quel momento i nuovi artisti si accontentavano di utilizzare cadaveri di animali conservati nella formalina, limitandosi per l'uomo a semplici calchi anatomici." 

Si giunge così alla pretesa di affermare un'assurda catena di causazione che non si limita a collegare tra loro l'Espressionismo ad Auschwitz: il movimento artistico è ritenuto il portento funesto che ha annunciato i campi di sterminio e che ha reso possibile la loro esistenza. 

Le opinioni di Virilio sull'eutanasia

Ha avuto la sua influenza sull'autore il fatto di essere stato educato da una madre sostenitrice dei Re Taumaturghi, una nuova Giovanna d'Arco sempre pronta a sguainare la spada per difendere la Fede. Non stupisce che le idee in campo etico da lui propugnate siano piuttosto rancide, un po' come quelle di Houellebecq. Riporto un estratto particolarmente significativo (pag. 4):

"Esaminiamo, per esempio, il caso Bob Dent-Philip Nitschke. TI giovedì 26 settembre 1996 Bob Dent, un sessantenne colpito da un cancro, fu il primo al mondo a mettere in prat ica una legge australiana in vi gore a partire dal primo luglio dello stesso anno: il TERMINAL ACT.
Collegato a un computer che gestiva il suo sistema di perfusione sanguigna, Dent ha detto sì una prima volta alla macchina messa a punto dal suo medico curante, il dottor Nitschke.
Al termine di una proroga legale di nove giorni, ha cliccato sì una seconda volta. La domanda era allora: "Se battete SÌ, vi sarà somministrata un'iniezione mortale tra trenta secondi e morirete"
A partire dall'insieme di questi fatti - nove mesi per nascere senza scegliere, nove giorni per morire volontariamente e trenta secondi per cambiare parere - si pone la questione del limite della scienza, di una scienza che si apparenta con la sparizione terapeutica. Scienza del la sparizione programmata o suicidio assistito tramite computer?"   

Quello che Virilio si rifiuta di considerare è il pericolo estremo di una dittatura della "sacralità della vita", che impedisce ai viventi di liberarsi da una condizione divenuta insostenibile, li espropria del loro corpo e della loro capacità decisionale, li costringe ad agonizzare come larve su una lettiera di escrementi e di vomito! Contro tutto ciò insorgo ed insorgerò finché mi resterà anche una sola fibra di volontà, anche un debolissimo anelito! Sia sempre lode al Dottor Jacob "Jack" Kevorkian! 

Profezie e peduncoli rosa 

L'autore nel frattempo è uscito dal Mondo dei Vivi e non può vedere gli ulteriori sviluppi di un'umanità ben più deprimente e allucinata di quella che aveva previsto. Non può vedere i giovani su Chaturbate, che si guadagnano da vivere masturbandosi per ore davanti a una telecamera. Ragazzi e ragazze hanno un peduncolo rosa infilato nell'ano e continuano fino allo sfinimento a manipolarsi i genitali. Non hanno più una seppur vaga parvenza di vita: sono murati vivi nei loro loculi. Non escono nemmeno per fare la spesa. Ordinano tramite computer tutto ciò di cui hanno bisogno, pagando con la carta di credito. Poco dopo il loro ordine, le merci richieste vengono loro recapitate da un fattorino. Aprono la porta soltanto quanto basta per introdurre in casa il cibo, le bevande e quant'altro, poi tornano all'ossessiva manustuprazione. Ecco, se potesse assistere a tutti questi sviluppi, forse il francese direbbe che sono nati dalla Rivoluzione Informatica, a sua volta resa possibile dall'abbandono della morale cattolica. Oppure direbbe centomila altre cose, afferrando un numero infinito di citazioni, frammenti di memoria sparsi come schegge in una città esplosa.  

Un finale farneticante 

A un certo punto Virilio parte per la tangente. Si mette a delirare, a sciorinare proposizioni folli, manicomiali, incredibilmente molteplici e raffazzonate, accavallate l'una sull'altra. Farfuglia in preda a spaventose febbri ideologiche, le sue parole accelerano, diventano quasi indistinguibili, si compenetrano a vicenda, si ibridizzano. Unico filo conduttore: la pazzia furiosa!  

Soluzioni viriliane? 

Appurato che il Web è un immane mostro che ci vuole assimilare e annientare, cosa possiamo fare? Che soluzione indica in concreto Virilio? Tornare all'Ancien Régime? Consacrare come Re nella cattedrale di Reims un improbabile erede dei Merovingi? In concreto, non mi sembra che nel testo sia fatta anche soltanto una vaga menzione di un plausibile rimedio al virus che ha fatto irruzione nelle nostre vite, trasformando la realtà col suo contagio. Bisogna restare nel Web e presidiare la trincea. Che altro si può fare? 

giovedì 9 marzo 2023


IL DIO RICICLATO

Titolo originale: Il dio riciclato 
Autore: Uberto Paolo Quintavalle 
Lingua: Italiano 
Paese: Italia 
Anno edizione: 1989 
Luogo di pubblicazione: Milano 
Editore: Rizzoli 
Tipologia narrativa: Romanzo 
Genere: Autobiografico, surreale, spiritico 
Pagine: 157 pagg.
Dimensioni: 23 cm 
Copertina: Rigida
Codice EAN: 2570030296707 
Codice ISBN: 
88-17-66610-6 
Note: Impossibile trovarlo nuovo
Copia in formato pdf: Irreperibile  

Trama: 
Un regista, noto in arte come Arlo Arli, è nato in realtà con un nominativo alquanto buffo: Arlecchino Pancotto. Dopo una lunga tirata contro i padri che per un sadismo inspiegabile infieriscono sui figli dando loro nomi improponibili, il cineasta cerca di comprendere i motivi del blocco creativo che lo affligge. Dopo aver diretto un film di grande successo, Animula, l'intero mondo del celluloide lo pressa perché realizzi qualcosa di altrettanto geniale; tuttavia non gli è più venuta nemmeno un'idea degna di questo nome, così è rimasto improduttivo per circa tre anni. Solo con grande fatica è riuscito a buttar giù una sceneggiatura sconclusionata a cui ha dato come titolo Il dio riciclato. A complicare le cose sono i rapporti burrascosi con la sua attrice preferita, la bellissima Marilù Murria, che è anche la sua amante. Oltre ad avere un carattere bizzoso e collerico, la Murria ha due poppe gigantesche e lui rischia di perderla per sempre! Preso dallo sdegno e dalla disperazione, il regista fugge da Venezia in macchina, addentrandosi in una valle sconosciuta in cui finisce per perdersi. Raggiunge così il paesino di Torbolo, dove si ferma in un ristorante per mangiare un piatto di frittura di pesce. Il gerente del locale è il simpatico Santin, che gli fornisce non poche informazioni interessanti. Così Arlo scopre che poco distante dal locale in cui ha pranzato si trova il castello dei Conti da Torbolo. All'epoca degli studi universitari aveva conosciuto una ragazza biondiccia appartenente proprio a questa stirpe nobiliare. Aveva intrattenuto con la Contessina un rapporto ambiguo e morboso, che tuttavia non era mai riuscito a realizzarsi nel contatto carnale. Questa incapacità di cogliere un'occasione tanto importante, costituiva un'ossessione per il regista, un tarlo che continuava a lavorare nel suo cervello come un fiume carsico. Ora viene a sapere che la ragazza è morta. 
Su insistenza di Santin, Arlo si decide a fare visita alla Contessa per condividere con lei le memorie della figlia defunta. Così fa e subito si immerge in un'atmosfera malsana. Non essendosi rassegnata alla perdita, la nobildonna passa tutto il suo tempo in estenuanti sedute spiritiche, condotte dalla sua arcigna e rancida serva, Edvige, nel tentativo di ottenere un contatto medianico. Questo la fa sprofondare sempre più nell'irrealtà. Tutto nella villa è grottesco e deforme, a cominciare dal domestico Fulgenzio e da suo figlio, il rachitico Ettorino, cui cranio ricorda nella forma un periscopio. A un certo punto il senno dello stesso Arlo sembra cedere, quando gli pare di sentire un profumo nel corso di una seduta spiritica. Corso fuori in giardino per prendere aria, ha un'allucinazione, in cui crede di percepire la presenza dell'amata scomparsa. Un ricordo gli affiora dai banchi di memoria stagnante: è stata proprio la Contessina a rivelarle un aneddoto della propria vita, da cui lui ha poi tratto la sceneggiatura del film Animula. Dopo aver dimorato per molti giorni come ospite nella lugubre villa, Arlo viene raggiunto dalla prosperosa Murria, che finalmente è riuscita a rintracciarlo, avendolo a lungo cercato, preoccupata per la sua scomparsa. Avviene qualcosa di inatteso: alla Contessa piace a tal punto l'attrice che la invita a trattenersi e addirittura la fa accomodare nella camera della figlia, in cui non permetteva a nessuno di entrare. La nobildonna si convince che l'anima della figlia si sia in qualche modo reincarnata proprio nella Murria. Quando Arlo cerca di toccare le curve morbidissime dell'attrice, lei si nega. In realtà è chiaro che la Murria ha finto tutto per plagiare la Contessa. Il regista e l'attrice si congedano dalla loro ospite e sulla via del ritorno litigano furiosamente. La loro relazione ha così termine. 
La vita di Arlo precipita nel disastro. Riesce a finire le riprese del film Il dio riciclato esercitando molte pressioni sulla Murria, demotivata e stizzosa, ma il risultato è deludente. La scena finale, su cui aveva riposto tante aspettative, si riduce a un banale battibecco. Il pubblico è mortalmente deluso: il tema trattato precorre i tempi e non suscita interesse alcuno. Si spegne quindi l'astro di Arlo nel cielo della Settima Arte. Negli anni che seguono, si abbandona alla droga, come il protagonista del suo film fallimentare. Riesce a sposare la figlia di un importante editore, Ruscelli. Tuttavia presto perde il posto e si separa dalla moglie, che lo accusa di essere "insignificante". Un giorno la Murria lo raggiunge e lo porta nella sua villa, degna degli sfarzi di Cleopatra. La sua megalomania non conosce limiti: si è fatta fare una statua gigantesca che la ritrae come Afrodite Anadiomene che sorge dalla spuma del mare. Accade così che l'attrice offre ad Arlo l'incarico di scriverle un'autobiografia. Lui rifiuta e si allontana, perché crede che non ci sia altro da fare che tornare a Torbolo, il luogo in cui tutto ha cominciato ad andargli storto. Il tentativo si dimostrerà ovviamente l'ennesimo fallimento e si risolverà in una catastrofe esistenziale. 

Due pseudofilm

ANIMULA 

Il film è visto dalla prospettiva di un moccioso, che osserva attentamente ciò che accade intorno a sé. La sua è una famiglia della media borghesia romana, molto benestante. La madre è gravida e il padre è un pinzochero, un bacchettone ultracattolico che le rende l'esistenza insopportabile. Il bambino vive male questo clima di attesa del nascituro, finché un giorno accade qualcosa di impensabile: lo stato della donna si rivela essere una gravidanza isterica (non so che denominazione sia stata imposta dal politically correct di questi tempi). Il problema è che il piccolo non lo può capire e interiorizza male l'accaduto, ritenendo di aver ucciso il fratellino tramite un'azione di magia nera! Tutto precipita. Il padre bigotto (anzi, trigotto!) non vuole più avere rapporti sessuali con la moglie, accusata di essere portatrice di quella che considera una maledizione terribile, ossia la sterilità. La domenica, a messa, il prete fa un discorso su Caino e Abele, quindi accusa retoricamente i fedeli, puntando verso di loro l'indice. E' un'oscena trovata da teatrante, tuttavia il bambino si sente accusato in prima persona, ha la certezza assoluta di avere la responsabilità di Caino, di essere l'omicida del fratellino! 

ELVIS E MILLI
(Il dio riciclato) 

Il cantante Elvis è un trascinatore di masse, tiene concerti di grande successo. Chiaro è il riferimento a Elvis Presley, di cui sembra uno degli infiniti impersonatori, quasi un Doppelgänger. Per anni tutto va a gonfie vele. Poi a un certo punto conosce Milli, una intellettuale che fella e lo inizia alle droghe allucinogene. Così Elvis ha visioni fantasmagoriche sempre più coinvolgenti. In una di queste, molte mani fluorescenti sorgono dal nulla e gli collocano sul capo una corona scintillante, proclamandolo artefice di una somma creazione artistica: il Tristano. Il punto è che quando l'effetto della droga cessa, delle sue esperienze sinestetiche non resta nulla di concreto. Ecco che giorno dopo giorno Elvis si isterilisce, si svuota. Trascura sempre più il pubblico, poco alla volta perde i fan, si chiude in se stesso fino ad arrivare al solipsismo. Poi passa all'eroina e dopo sofferenze inenarrabili arriva al collasso. Muore di overdose in un cesso pubblico, in mezzo a sozzure innominabili. Ecco che a questo punto si verifica una portentosa epifania: appare il padre di Elvis, che gli somiglia moltissimo e in qualche modo ne è una specie di reincarnazione. Sembra proprio lui, con soltanto i capelli ingrigiti. Accusa Milli di avergli isterilito il figlio e di averlo svuotato, portatolo al suicidio. Quindi la massacra di sganassoni e la sottopone a trattamenti degradanti, descritti dall'autore come "depravazioni", ogni volta proclamando che così avrebbe dovuto trattarla il figlio. Mi vedo le scene come se le avessi davanti agli occhi, anche se l'autore non entra nei dettagli. L'Elvis redivivo costringe Milli a leccargli il buco del culo, le defeca e le orina addosso, la riduce a una sputacchiera, quindi si masturba e la inonda di sperma, si scarica nella sua bocca. Alla fine la maliarda, sconvolta dal rimorso e dalla brutalità del suo seviziatore, ha un arresto cardiaco e muore all'improvviso. 

L'autore: 
Figlio di Bruno Antonio, Conte di Monasterolo d'Adda, discendente di una nobilissima e industriosa stirpe, Uberto Paolo Quintavalle (Milano, 1926 - New York, 1997) è noto soprattutto per aver interpretato la parte di un libertino sadiano nel celeberrimo film di Pier Paolo Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Purtroppo la sua carriera cinematografica non è proseguita. La sua produzione letteraria, pur ricca e bizzarra, permane sostanzialmente sconosciuta al pubblico. Il problema è che nell'Italia di quei tempi bui, quando si interpretava un film in cui si ispezionavano e si leccavano gli sfinteri anali, si era cancellati dal consorzio umano. Per decreto di Belzebù, suppongo. Le conseguenze del bando perdurano tuttora. 

Recensione: 
Anche se l'ho trovato oltremodo interessante, questo romanzo è una delle opere più neglette e dimenticate dell'intera letteratura in italiano. È irreperibile nel Web (l'ho trovato con molta fatica nella rete bibliotecaria della Brianza). Anche cercando in lungo e in largo, a quanto mi risulta non si trova nemmeno una minuscola recensione: la presente sarebbe la prima! Abbondano invece le pagine in cui viene proposta la vendita di copie usate, sempre con note del tipo "lieve fioritura di muffa, pagine ingiallite". Non un riassunto, una sinossi, un commento. Nemmeno un internauta che sia intervenuto con un commento deprimente, anche soltanto scrivendo che la lettura gli aveva fatto schifo! Non ho trovato un solo feedback nemmeno su Anobii.com, un sito vastissimo dove è menzionato e commentato quasi tutto ciò che è stato scritto. 
Provo particolare simpatia per questo autore e per le sue opere ricche d'ironia e di sarcasmo, proprio perché rappresenta l'antitesi dello scrittore italiano di successo. La sua carriera letteraria appare votata al disastro e all'oblio. Un destino amaro di annichilimento. Questo è un vero peccato. Sono le cose che accadono in un'Italia piena zeppa di velleitari scrittori dall'ego ipertrofico, che sfornano a ciclo continuo opere degne del macero, in cui concorsi autoreferenziali e futili premi sembrano trasformare in divinità qualsiasi guitto strepiti e si pavoneggi. Mi mette un'immensa tristezza l'affondamento di personalità come Quintavalle nelle sabbie mobili dell'entropia cognitiva. Faccio ciò che è in mio potere per contrastare questo processo disgregativo, pubblicando su questo mio portale, che è un avamposto sperduto nell'Abisso. 
P.S. 
L'estrema beffa: facendo ricerche nel Web, Google mi ha mostrato un mio post, indicizzato con il tag "COPROFAGIA"

L'Aldilà
 
Il tema fondamentale della narrazione è quello dello spiritismo, che viene esplorato da diversi punti di vista. Ogni personaggio del romanzo fa i conti a modo proprio con il problema dell'Esistenza e della Morte. I fatui possono vivere senza domandarsi niente, eppure anche loro dovranno un giorno ricevere la visita del Tristo Mietitore. Gli spiritisti hanno una caratteristica peculiare, quella di credere possibile l'apertura di un canale di comunicazione con l'Aldilà, in grado di permettere loro di ricevere e di trasmettere informazioni. Sono altresì convinti di poter indurre cambiamenti nella percezione della realtà fisica, grazie all'intervento delle entità con cui sono in contatto. Agli occhi di un uomo come Arlo, non c'è nulla di vero e di plausibile in tutto questo, anche se qualcosa continua ad incuriosirlo. Così nasconde ciò che pensa. Nonostante tutte le difficoltà del caso, gli spiritisti non demordono. Procedono a dispetto di ogni ostacolo. Sono indotti a credere che la vicinanza di uno scettico possa allontanare le entità, rendendo difficile o impedendo del tutto la comunicazione con l'Oltretomba. Questa impalcatura concettuale, fondata su una fede cieca, rende facilissimi imbrogli e raggiri di ogni sorta. Spesso è però difficile capire se un medium sia un soggetto puramente manipolatore o se sia a sua volta manipolato da queste credenze.    
 
Scienza e Oltretomba  

Geoffrey e Jenny Hubble sono due scienziati inglesi, marito e moglie, che indagano sul fumoso e inquietante mondo del paranormale. Cercano di scandagliare l'Ignoto usando i mezzi ormai logori della razionalità cartesiana, facendo riferimento a una rigorosa società scientifica che si occupa di chiarire ogni singolo caso, di rintuzzare ogni pretesa irruzione del soprannaturale nell'Universo fisico. Si ha quasi la sensazione che i coniugi Hubble siano in realtà scaltri, che si approfittino della Contessa per fare lunghe vacanze in una località amena. I loro strumenti d'indagine sono inefficaci come una lama priva di punta e di filo, così i loro discorsi con Arlo procedono senza approdare a nulla di concreto. Nonostante i continui processi della neurobiologia, nessuno è mai riuscito a risolvere il problema della quidditas. Perché io sono io e nessuno degli altri miliardi di esseri viventi o vissuti nel corso di milioni di anni su questo pianeta, nella galassia, nell'intero Universo? Perché proprio a me è toccata questa visuale sull'Esistenza? Perché non sono un leone in Africa? Nessuna religione, nessuna filosofia è in grado di rispondere in modo convincente. Né Cristo, né Maometto, né Buddha, né Zoroastro, né Confucio né altri sono stati in grado di spiegare in termini razionali qualcosa che possa dare una risposta il mio interrogativo. Nessuno può farlo. Non ci sono sistemi religiosi o filosofici utili a questo scopo. Non potendosi risolvere il problema della quidditas, non è neppure possibile dire cosa ne sarà di questa proprietà insondabile non appena cesseranno le funzioni biologiche. Finisce nel Nulla? Si ritrova in una regione paradisiaca, neutra o infernale? Trasmigra in un altro corpo fisico in questo stesso mondo oppure in un altro? Galileo diede un comandamento scientifico, raccomandando di misurare ogni cosa e di rendere misurabile ciò che non è misurabile. Pirandello disse che i lumi sulla vita ci devono venire da là fuori, dalla Morte. Eppure resta il fatto che non possiamo spedire sonde in quelle non-regioni, che stanno al di là della nostra presente quidditas, né possiamo recepire nulla che provenga da quel reame oltre ogni definizione. 

Le tarme metafisiche

Quando Arlo apre l'armadio nella stanza della Contessina biondiccia, che era rimasto inviolato da molti anni, è sopraffatto da una percezione fantasmatica: gli si riversa addosso uno sciame di creature immaginarie nate dallo sfacelo dei vecchi abiti appesi. Sono come insetti svolazzanti, che egli definisce "tarme metafisiche". L'autore fa una lunga e serrata descrizione di questa macabra apparizione e dei sentimenti che desta nel protagonista. Mi spiace di non averla trascritta per poterla poi riproporre nella recensione. Spero che ciò invoglierà qualche lettore a recuperare il romanzo di Quintavalle e a diffonderne la conoscenza. Il mio augurio è che si possa trovare un regista disposto a dirigere un adattamento cinematografico!   

Il triste declino di una nobildonna

A un certo punto accade qualcosa di brutto nella vecchiaia, un cedimento dello sfintere anale, accompagnato da una perdita parziale o totale del senso di ripugnanza verso le feci. Quando questi sintomi si manifestano, ha fine l'autosufficienza. Quindi interviene a viva forza una persona con l'ingrato compito di svolgere il ruolo di tutore, perché non è umanamente possibile lasciare qualcuno nella merda. Così accade che la nobildonna vetusta viene gestita dall'odiosa nipote. Questa, essendo cattolica, vede con sommo raccapriccio e terrore gli esperimenti spiritici dell'augusta parente, vietandoli con una scusa speciosa. Ormai defunta da tempo la medium Edvige, privata di ogni accesso al "flusso" e tediata dalla nipote, alla Contessa non resta altro che sprofondare nelle nebbie oniriche di un universo confuso, in cui i ricordi sono in sfaldamento rapido. Sindrome di Korsakoff: il cervello non è più in grado di fissare nulla nella memoria. 

Una curiosità onomastica 

A un certo punto della narrazione si menziona l'editore Ruscelli, la cui figlia Marta sposa Arlo Arli, finendo però col divorziare a causa del disgusto. Si nota che il cognome Ruscelli è stato prodotto da Quintavalle a partire dal ben noto Rusconi, cambiando il suffisso di aspetto accrescitivo con un diminutivo, senza tenere in alcun conto l'etimologia. Una procedura molto interessante e inusuale. 

Irreversibilità

L'errore irreparabile commesso da Arlo è quello di credere possibile riavvolgere il nastro della propria vita, tornando a Torbolo. Egli ha ragionato in questo modo: "Siccome tutto mi è andato in merda per colpa della mia visita in quel paesino del Veneto, tornandovi mi si presenterà di nuovo lo stesso bivio che anni fa mi sono trovato di fronte, così potrò imboccare la via giusta e rimediare alla stronzata che ho fatto, ricominciando daccapo." Il problema è che le cose non vanno in questo modo nel nostro spaziotempo. Esiste la natura irreversibile degli eventi. Tornando nella valle di Torbolo, Arlo non ritrova il regno delle possibilità: il bivio è qualcosa che appartiene a qualche recesso del passato. Semplicemente non esiste più nel presente di chi lo ha vissuto, come se fosse stato suturato. La linea di esistenza del protagonista è andata ben oltre. Quello che c'era, ora non c'è più o è mutato. 
Santin, il ristoratore simpatico e pettegolo, è morto da tempo. Anche il suo ristorante non esiste più, nel paese è cambiato tutto. L'ex regista fa qualche considerazione amarissima, notando che l'ulcera non gli permette più di mangiare fritti e di bere alcolici. Il bivio che cercava è presente soltanto nelle profondità della sua memoria deteriorabile; non è accessibile fisicamente, è puro e semplice Nulla.

Epilogo 

Il ritorno al castello della Contessa mette Arlo di fronte a un simulacro spettrale di ciò che è stato, come se un mondo di ombre stesse reclamando la sua essenza. Il domestico Fulgenzio sembra un cadavere deambulante, uno zombie. Oltre alla medium Edvige, è sparito anche Ettorino, il salace e perverso ragazzino con il cranio a periscopio. Forse è morto di polmonite o di difterite. Un dettaglio solo in apparenza banale e insignificante, che è come un urlo silenzioso che pervade uno spazio infinito di spaventosi simboli onirici. All'epoca della prima visita del protagonista, c'erano due vecchi immobili seduti sulle panchine vicino all'ingresso della dimora nobiliare. Adesso ne manca manca uno. 

venerdì 10 febbraio 2023


ESVS 

Titolo originale: Esvs (Esus) 
Gruppo: Eluveite 
Album: Evocation II - Pantheon 
Anno: 2017 
Genere: Heavy metal, musica celtica 
Sottogenere: Folk metal, Celtic metal 
Paese: Svizzera 
Lingua: Gallico 
Etichetta: Nuclear Blast 
Formato: CD 
Formazione Eluveitie (2017):
    Fabienne Erni – voce, arpa celtica, mandola
    Chrigel Glanzmann – voce, mandolino, flauto traverso, 
        fischio,  cornamusa, gaita, chitarra acustica, bodhràn
    Rafael Salzmann – chitarra
    Jonas Wolf – chitarra
    Kay Brem – basso
    Alain Ackermann – batteria
    Matteo Sisti – cornamusa, flauto, fischio
    Nicole Ansperger – violino
    Michalina Malisz – ghironda 
Etimologia del nome del gruppo: dall'antroponimo etrusco Eluveitie, adattamento del nome celtico degli Elvezi.
Link: 


Testo in gallico: 

ESVS 

Cauaros
Cauaros
Iccatis tausiias
Iccatis tausiias
Cauaros saitlon
Ateslaððes
Etic atediueððes
Iccatis tausiias
Iccatis tausiias
Cauaros saitlon
Iccatis tausiias
Cauaros saitlon
Iccatis tausiias
Ateslaððes
Etic atediueððes
Ateslaððes
Etic atediueððes
Pos buet atebrita
Pos ategabat rotos bitous
Pos buet atebrita
Pos ategabat rotos bitous
Ateslaððes
Etic atediueððes
Ateslaððes
Etic atediueððes
Cauaros saitlon
Iccatis tausiias
Cauaros saitlon
Iccatis tausiias
Ateslaððes
Etic atediueððes
Ateslaððes
Etic atediueððes
Pos buet atebrita
Pos ategabat rotos bitous 

Testo in inglese: 

Cauaros
Cauaros
Healing silencer
Healing silencer
Cauaros
Eternal fighter
Cauaros
You will fall again
And you will end again
Healing silencer
Healing silencer
Eternal fighter
Healing silencer
Eternal fighter
Healing silencer
You will fall again
And you will end again
You will fall again
And you will end again
So there can be resurrection again
So the sempiternal cycle can begin again
So there can be resurrection again
So the sempiternal cycle can begin again
You will fall again
And you will end again
You will fall again
And you will end again
Eternal fighter
Healing silencer
Eternal fighter
Healing silencer
You will fall again
And you will end again
You will fall again
And you will end again
So there can be resurrection again
So the sempiternal cycle can begin again 

Testo in italiano (tradotto dal gallico): 

Eroe 
Eroe 
Guaritore del silenzio
Guaritore del silenzio 
Eroe dei secoli  
Tu cadrai di nuovo 
E giungerai di nuovo alla fine
Guaritore del silenzio
Guaritore del silenzio 
Eroe dei secoli 
Guaritore del silenzio 
Eroe dei secoli 
Guaritore del silenzio 
Tu cadrai di nuovo 
E giungerai di nuovo alla fine
Tu cadrai di nuovo 
E giungerai di nuovo alla fine 
Così ci sarà la resurrezione 
Così ricominci il ciclo dell'eternità 
Così ci sarà la resurrezione 
Così ricominci il ciclo dell'eternità 
Tu cadrai di nuovo 
E giungerai di nuovo alla fine 
Tu cadrai di nuovo 
E giungerai di nuovo alla fine 
Eroe dei secoli 
Guaritore del silenzio 
Eroe dei secoli 
Guaritore del silenzio 
Tu cadrai di nuovo 
E giungerai di nuovo alla fine 
Tu cadrai di nuovo 
E giungerai di nuovo alla fine 
Così ci sarà la resurrezione 
Così ricominci il ciclo dell'eternità 

Recensione: 
Questo è un testo splendido e prezioso, che potremmo definire druidico. Immagino che fossero così i versi che gli apprendisti dovevano mandare a memoria in grandissimo numero, senza poter fallire nella loro declamazione. È come se la perduta Scienza dei Druidi, ricostruita tramite attestazioni sparse e un potente lavoro filologico, potesse tornare a rifulgere in quest'epoca di assoluta desolazione! Avrò sempre grandissime parole di lode per gli Eluveitie e per gli studiosi che hanno reso possibile il loro progetto! 

Glossario gallico: 

atebrita "resurrezione" 
ategabat "ricominci" (congiuntivo) 
ateslaððes "cadrai di nuovo" 
  ate- "di nuovo" 
  slaððes "tu cadrai" 
atediueððes "giungerai di nuovo alla fine" 
  diueððes "tu giungerai alla fine" 
buet "sarà" 
cauaros "eroe" 
   cauaros saitlon "eroe dei secoli" 
   saitlon "dei secoli" (genitivo plurale di saitlon "secolo")
   Nota:  
   La parola "secolo" indicava la durata della vita umana.  
etic "e" (congiunzione) 
iccatis "guaritore" 
pos "così" 
rotos bitous "il ciclo dell'eternità", "il ciclo del mondo" 
  rotos "ruota", "ciclo"  
  bitous "dell'eternita", "del mondo" (genitivo di bitus "eternità",
     "mondo" 
tausiias "del silenzio" (genitivo di tausiia "silenzio",
     da tausos "silenzioso") 

Iconografia di Esus 

Divinità guerriera, che in epoca preromana richiedeva sacrifici umani tramite impiccagione, Esus è spesso rappresentato in epoca gallo-romana come un giovane uomo nell'atto di abbattere un albero. Spesso lo si vede assieme a un gigantesco toro che ha su di sé tre uccelli: questo bovino mitologico è TARVOS TRIGARANUS, ossia il "Toro con Tre Gru" (gallico tarvos "toro", tri- "tre", garanus "gru"). Finora possiamo dire poco sul significato di queste immagini, ma sono convinto che con un attento e approfondito studio si sarà in grado di chiarire ogni dettaglio, anche il più minuscolo. 

Interpretatio Romana. Esus è principalmente identificato con Marte; in epoca imperale è identificato anche con Mercurio e con Mithra. 

Etimologia di Esus 

Varianti documentate dagli autori latini: Hesus, Aesus, Aisus, Haesus. La consonante h- non è etimologica. Un caso simile si ha in Helvetii

Declinazione latina:
nominativo: Hesus, Aesus, Aisus, Haesus, Esus   
genitivo: Hesi, AesiAisi, Haesi, Esi  
dativo/ablativo: Heso, Aeso, Aiso, Haeso, Eso  
accusativo: Hesum, Aesum, Aisum, Haesum, Esum  
vocativo: Hese, Aese, Aise, Haese, Ese  

Declinazione gallica: 
Il gallico invece il tema è in -u- (equivale alla IV declinazione latina, non alla II).  
nominativo: Esus, Aisus 
genitivo: Esous, Aisous 
dativo: Esou, Aisou 
accusativo: Esun, Aisun 
vocativo: Esu, Aisu 

L'etimologia più accreditata dal mondo accademico è che Esus derivi dalla radice verbale protoindoeuropea h1eis-, che significa "essere riverente, adorare".  A parer mio, la derivazione del teonimo potrebbe essere di per sé ancora più semplice e diretta: come il proto-italico *aisos "dio", è un antico prestito dall'etrusco ais "dio". Non si capisce bene perché l'etimologia sia considerata incerta. Al massimo si può dire che è come un gatto che si morde la coda: è la radice etrusca ad essere un prestito dall'indoeuropeo o è il contrario? In ogni caso mi pare illogico escludere una connessione in nome della "natura non indoeuropea della lingua etrusca".  

Joseph Vendryes ha proposto che Esus derivi dalla parola protoindoeuropea *esu- "buono" (con la vocale e- breve). Tuttavia, Jan de Vries ritiene che questa ipotesi sia improbabile perché non si adatta alla descrizione di Esus come dio temibile. Per contro, Wolfgang Meid ha ipotizzato che Esus possa essere un eufemismo o un epiteto per il dio. Lo ha paragonato al nome divino irlandese Dagda, che significa "Dio Buono" (< *Dagodēuos). Diciamo che basterebbe osservare che Esus ha un antico dittongo ai- per escludere all'istante l'etimologia di Vendryes e la proposta di Meid! 

Antroponimi derivati dal teonimo Esus 

Riportiamo un po' di materiale onomastico trovato in iscrizioni gallo-romane, a mio avviso è interessantissimo, senza la pretesa di essere esaustivi. 

Antroponimi maschili: 

Esugenus < *Aisugenos "Generato da Esus" 
Esumagius < *Aisumagiios "Potente tramite Esus"
Esumopas < *Aisumopað "Schiavo di Esus" 
Esunertus < *Aisunertos "Che ha la Forza di Esus" 
Aesugesli (genitivo) : *Aisugēstlos "Ostaggio di Esus" 

Antroponimi femminili:  

Aesia "Di Esus" < *Aisiā 
Aesicunia "Del Cane di Esus" < *Aisicuniiā 
     (rimanda al mito irlandese di Cú Chulainn!) 

Abbiamo infine un etnonimo: 

Esuvii "Figli di Esus" 

Una buffa controversia 

Nel corso delle mie ricerche nel vasto Web mi sono reso conto dell'abisso dell'ignoranza umana. Un ignoranza che non è assenza di conoscenza, bensì qualcosa di aggressivo, che possiamo paragonare a un patogeno. Sembra che molti, soprattutto in America, credano che Esus sia il nome celtico di Cristo (sic!). Si basano sull'assonanza fortuita con Iesus, privo di qualsiasi connessione etimologica. Tutto ciò dà la misura della follia imperversante, che è stata resa possibile dai social! 

mercoledì 7 dicembre 2022

ETIMOLOGIA LONGOBARDA DEL TOPONIMO AFFORI

Tra i molti quartieri di Milano, uno ha un nome particolarmente bizzarro e degno di nota: Affori. Si trova nella periferia settentrionale della città. "Vi si trovano cascine, palazzi d'epoca dei primi novecento, ville e case borghesi, edilizia popolare del boom anni sessanta e bei condomini recenti" (Fonte: Tripadvisor). Un tempo il toponimo in questione era famoso e dava nome a una locuzione di uso corrente: la Banda d'Affori. Esisteva anche una canzone popolare milanese intitolata Il tamburo della Banda d'Affori (1942), testo di Mario Panzeri e Nino Rastelli, interpretata da Aldo Donà e in seguito dal mitico Nanni Svampa. Faceva così: "L'è 'l tamburo principal della Banda d'Affori, ch'el comanda cinquecentocinquanta pifferi". Tale banda musicale è stata fondata nel 1853 da un piccolo gruppo di appassionati di musica, divenendo poi un corpo bandistico importante. Risulta attiva ancora oggi. 

Toponimo: Affori 
Forme milanesi: Affor, Affer
Pronuncia: /'afur/, /'afer/ 
(accento sulla prima sillaba)

Attestazione antica: 
Affoni 
Pronuncia: /'affoni/ 
(accento sulla prima sillaba) 
Varianti: Afoni, Afori, Avori 
Epoca della prima attesazione nota: Anno 915. 
Documento: Codice Diplomatico Longobardo. 
Riferimento: Colonna 796/d 
Testo: Signum manus Ambrosii de loco Affoni. 
Altre datazioni: Afoni (anno 1006), Afori (anno 1009; anno 1214), Avori (anno 1019).
Nota: 
Le circostanze in cui si è prodotto il rotacismo della nasale -n- sono oscure. Secondo i romanisti, l'alternanza -r / -n rilevata nelle trascrizioni Afori / Afoni sarebbe analoga a quella riscontra negli antroponimi Cristoffer / Cristoffen "Cristoforo" o Melchiorre / Marchionn. Tuttavia, in questi casi la forma con -r- è quella originale, mentre risulta chiaro che nel caso di Affori la forma più antica è quella in -n-.  

False etimologie latine 
 
1) Latino Ad fontem "Alla fonte"; 
2) Latino Ad forum "Al mercato";  
3) Latino A foris "Da fuori", "Fuori (Milano)", da Sancta Iustina a foris, supposto nome della chiesa del paese, per distinguerla da un'altra chiesa di Santa Giustina, collocata in Milano presso Porta Romana. 
4) Latino Ad forem "Alla porta", "All'entrata", riferito al borgo intorno alla chiesa di cui sopra, intesa come "chiesa foranea". 
Note: 
Questi rozzissimi tentativi di spiegazione, frutto di latinisti rudimentali di qualche parrocchia sprofondata nel coma storico, sono a dir poco insensati. Non è possibile che l'accento sia passato sulla preposizione, che è per sua natura atona.  Parole come fontem, forum e simili non possono essere tagliuzzate o ridotte a mere terminazioni atone seguendo le bizze dell'arbitrio. Anche ammettendo tali stupide pseudoetimologie, gli esiti in milanese sarebbero stati questi, tutti con l'accento sull'ultima sillaba: 
1) *Affont /*a'funt/ 
2) *Affœur /*a'för/
3) *Affœur /*a'för/ 
4) *Affœur /*a'för/ 
Tutto ciò è in contrasto con la realtà dei fatti. Contra factum non fit argumentum

Ulteriori false etimologie 

i) Il toponimo Affori deriverebbe dall'antroponimo latino Afer alla lettera "Africano", attestato in un'iscrizione su lapide (CIL V, 5864). Se così fosse, troveremmo nei documenti il genitivo Afri, cosa che non avviene. Questo tentativo etimologico contraddice le attestazioni.
ii) Secondo un'ipotesi trovata nel magma informe del Web, il toponimo Affori sarebbe da accostarsi al seguente antroponimo:  
 
Antico inglese: Offa, nome di un Re degli Angli 
Varianti: Wuffa, Uffa 
Etimologia: 
L'antroponimo si spiega come un ipocoristico dell'antico inglese wulf "lupo". 
Un simile antroponimo longobardo attestato: Hoffo
(la consonante h- non è etimologica ed era muta; vedi Colizzi, 2022). 
Nota: 
Come si può ben vedere, questo tentativo etimologico non può spiegare le attestazioni storiche. Il vocalismo è incompatibile con quello di Affoni, etc.

L'etimologia più plausibile 

Protogermanico: *apǣn 
Ricostruzioni alternative: *apô 
Genere: maschile 
Significato: "scimmia"; "persona stupida" 
    Esito antico alto tedesco: affo "scimmia" 
         Esito medio alto tedesco: affe "scimmia"
         Esito tedesco moderno: Affe "scimmia"
    Esito longobardo: *apho, *affo "scimmia" 
    Esito antico sassone: apo "scimmia"
    Esito antico inglese: apa "scimmia"
        Esito medio inglese: ape, aape, eape "scimmia"
        Esito inglese moderno: ape "scimmia"
    Esito norreno: api "scimmia"; "persona stupida" 
    Esito gotico: *apa "scimmia" 

Questa è la declinazione protogermanica ricostruibile: 

Singolare:
nominativo: *apǣn
vocativo: *apǣn
accusativo: *apanun
genitivo: *apiniz 
dativo: *apini  
strumentale: *apinǣ 

Plurale: 
nominativo: *apaniz
vocativo: *apaniz
accusativo: *apaniz
genitivo: *apanôn
dativo: *apammaz
strumentale: *apammiz 


Questa è la declinazione dell'esito antico alto tedesco:

Singolare: 
nominativo: affo 
accusativo: affon, affun 
genitivo: affen, affin 
dativo: affen, affin 

Plurale: 
nominativo: affon, affun
accusativo: affon, affun 
genitivo: affôno 
dativo: affôm, affôn 

Questa è la declinazione dell'esito longobardo ricostruibile: 

Singolare: 
nominativo: *apho, *affo 
accusativo: *aphon, *affon 
genitivo: *aphon, *affon 
dativo: *aphon, *affon 

Plurale: 
nominativo: *aphon, *affon 
accusativo: *aphon, *affon 
genitivo: *aphono, *affono 
dativo: *aphon, *affon 

Forme latinizzate alla base del toponimo: 
genitivo singolare: Affoni 
nominativo plurale: Affoni 

Semantica 

La possibilità sono due: 

a) L'abitato ha tratto il nome dal suo fondatore, che si sarebbe chiamato Affo "Scimmia"; 
b) L'abitato ha tratto il nome dalla sua popolazione, che avrebbe avuto una fama di scarsa intelligenza e di stupidità. Il senso di "persona stupida" è ben attestato in norreno e dovette essere comune. Esempio: norreno margr verðr af aurum api "i soldi rendono la gente (come) una scimmia". 

Dal momento che le attestazioni di Affoni e varianti sembrano essere genitivi singolari (es. de loco Affonivico Afori, locus Afori, loco et fundus Avoni, etc.), l'interpretazione favorita è la prima: Affoni = di Affo. Se valesse la seconda, dovremmo assumere che Affoni è una forma indeclinabile, il che porrebbe qualche problema morfologico.  

Conclusioni 

Colgo l'ennesima occasione per stigmatizzare Google, che smuove la polvere e diffonde i deliri di dilettanti ormai ricomposti negli ossari, dando loro un'immeritata autorevolezza - complici le perversioni immonde del sistema scolastico.