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venerdì 2 giugno 2023

IOLO MORGANWG E LA DOTTRINA DEL BARDDAS

Iolo Morganwg, nato Edward Williams (Pennon, Llancarfan, Glamorgan, Galles meridionale, 1747 - Flemingston, 1826), fu un poeta ed antiquario gallese, che si proclamò bardo e druida, essendo intenzionato a far rivivere l'antica religione dei Celti. Era considerato un esperto collezionista di letteratura medievale gallese, ma dopo la sua morte si scoprì che aveva prodotto numerosi falsi, spesso mescolandoli a testi autentici. In altre parole, aveva inquinato le fonti, dato che la sua abilità era tale da rendere spesso molto difficile scorporare il falso dal vero. 


Descrizione fisica: 
Era un uomo fragile, rachitico e sofferente, con i capelli chiarissimi, quasi albini. Aveva la muscolatura facciale atrofica, segno di una possibile paresi. Era dipendente dal laudano, di cui faceva un uso pesante per lenire l'asma e combattere l'insonnia (la sostanza all'epoca era disponibile a un vasto pubblico e il suo uso era incoraggiato dai medici). 

Biografia:
Edward Williams, figlio di Edward Williams e Ann Matthews, crebbe nel villaggio di Flemingston (Flimston; gallese: Trefflemin). Seguì suo padre, che era un tagliapietre. Presto si destò in lui un grande interesse per i manoscritti e per la poesia gallese. Imparò a comporre in gallese da poeti come Lewis Hopkin, Rhys Morgan e Siôn Bradford, che erano i bardi locali. Assunse il nome bardico Iolo Morganwg. Nel 1773 andò a Londra, dove conobbe Owain Myfyr, che lo introdusse alla Society of Gwyneddigion, un'importante associazione di cultura gallese. Nel 1777 ritornò in Galles. Dopo qualche anno, nel 1781, sposò Margaret Roberts e tentò di fare l'allevatore, senza successo. Ebbe quattro figli, di cui soltanto due sopravvissuti fino all'età adulta: Margaret (nata nel 1782) e Taliesin (nato nel 1787). Fu a questo punto che cominciò a impegnarsi nella produzione di testi falsi: nel 1789 compose Barddoniaeth Dafydd ab Gwilym, una raccolta di poesie fittizie da lui attribuite al poeta Dafydd ap Gwilym, vissuto nel XIV secolo. È stata notata la sorprendente capacità del falsario di imitare lo stile dei testi autentici di Dafydd. Dal 1791 al 1795 fu ancora a Londra, dove officiò cerimonie bardiche, presiedendo l'Assemblea del Gorsedd a Primrose Hill. Di lì a poco, la sua produzione di falsi ebbe una prodigiosa accelerazione. Nel periodo tra il 1801 e il 1807 ebbe un ruolo rilevante in Myvyrian Archaiology, una delle prime raccolte a stampa di letteratura medievale gallese. Sfortunatamente, alcune delle opere pubblicate erano suoi falsi, tra cui un libro attribuito a San Cadoc, una storia fittizia della Britannia e un gran numero di Triadi gallesi. Agiva in due modi, inventando Triadi di sana pianta oppure alterandone di esistenti. Ebbe anche il controllo dell'effimera rivista Y Greal, durata dal 1805 al 1807, in cui incluse diversi suoi falsi. Nel 1812 pubblicò una serie di inni religiosi, col titolo Salmau yr Eglwys yn yr Anialwch ("Salmi della Chiesa nel deserto").
Le circostanze della morte di Iolo Morganwg non sono chiare. Nel Web si trovano con grande fatica versioni contrastanti. Alcuni qualificano la morte come "improvvisa", il che farebbe pensare a una crisi respiratoria dovuta a un'overdose di laudano. Secondo altri, l'autore sarebbe invece morto di polmonite dopo aver fatto capriole nudo in un bosco, sotto la pioggia battente. Le fonti sono estremamente dubbie. Riporto queste notizie, non verificabili e al limite del pettegolezzo, a titolo di pura e semplice curiosità.

Iolo Morganwg e il Cristianesimo 

Iolo Morganwg apparteneva alla Chiesa Unitariana Quacchera. Era uno strenuo oppositore della Chiesa d'Inghilterra. Evidentemente non percepiva alcuna contraddizione tra i contenuti neopagani druidici e la teologia della sua comunità, ma va detto che l'ambiente religioso in cui si muoveva era piuttosto aperto e tollerante. L'Unitarianismo è un movimento antitrinitario. Nega cioè la dottrina secondo cui sussistono in Dio tre persone uguali, distinte e coeterne. Ammette l'unicità di Dio come essere generatore, ponendo in dubbio la divinità di Cristo e dello Spirito Santo. Si potrebbe dire che tali dottrine abbiano qualche somiglianza con l'Arianesimo professato dai Goti.

Iolo Morganwg e la politica 

Iolo Morganwg era uno strenuo oppositore della Monarchia e fu un attivista pacifista, che mise in atto iniziative contro la guerra e contro la schiavitù. In particolare, si impegnò nella ricerca di alternative allo zucchero, che era considerato "insanguinato", in quanto prodotto del lavoro di schiavi. Va detto che le attività commerciali da lui iniziate a scopi politici fallirono tutte. Ebbe qualche riscontro in America. Fu amico di Tom Paine, con cui intratteneva una corrispondenza; George Washington ammirava la sua poesia. Le autorità britanniche per contro lo guardarono sempre con grande sospetto, arrivando a sottoporlo ad interrogatori e a interrompere le riunioni del Gorsedd.

L'emergere dei falsi

Il sospetto che Iolo Morganwg avesse falsificato un gran numero di opere "medievali" gallesi iniziò almeno a partire dal 1868, ben 42 anni dopo la sua morte. William F. Skene, nel suo Four Ancient Books of Wales, scrisse quanto segue:

"It is a peculiarity attaching to almost all of the documents which have emanated from the chair of Glamorgan, in other words, from Iolo Morganwg, that they are not to be found in any of the Welsh MSS. contained in other collections, and that they must be accepted on his authority alone. It is not unreasonable, therefore, to say that they must be viewed with some suspicion, and that very careful discrimination is required in the use of them."

Traduzione: 

"Una peculiarità che accomuna quasi tutti i documenti emanati dalla cattedra di Glamorgan, in altre parole da Iolo Morganwg, è che non si trovano in nessuno dei manoscritti gallesi contenuti in altre raccolte, e che devono essere accettati solo sulla base della sua autorità. Non è irragionevole, quindi, affermare che debbano essere considerati con un certo sospetto e che sia richiesta un'attenta valutazione nel loro utilizzo." 

Nel 1848 il figlio di Iolo Morganwg, Taliesin Williams, raccolse una parte degli scritti paterni e li fece pubblicare. Non era minimamente consapevole della brutta faccenda dei falsi. 

Il laudano e uno strano concetto di verità

Questa è l'opinione del recensore Ceri Shaw (2018):

"He was convinced that the culture in which he was raised by his mother and other exemplars and tutors was the heir to a great south Walian Bardic and Druidic tradition. The fact that this tradition lacked any foundation texts was a deficiency which he marshaled his considerable literary talents to correct."

Traduzione: 

"Egli era convinto che la cultura in cui era cresciuto, grazie alla madre e ad altri modelli e tutori, fosse l'erede di una grande tradizione bardica e druidica del Galles meridionale. Il fatto che questa tradizione fosse priva di testi fondanti era una lacuna che egli colmò con il suo considerevole talento letterario."

Un'ipotesi a mio avviso tutt'altro che peregrina è che l'uso prolungato del laudano, che è tintura alcolica di oppio, abbia favorito l'inclinazione di Iolo Morganwg a ritenere "vero" ciò che era in realtà il prodotto della sua immaginazione. Molti drogati sono convinti di poter accedere a informazioni inaccessibili in stato di lucidità: credono di poter sperimentare la conoscenza diretta dei segreti più intimi della Natura e dell'Universo. 

Romanticismo e falsi storici

Iolo Morganwg, che era un affiliato della Massoneria, era certamente animato da un intenso spirito di patriottismo. Nutriva l'incrollabile convinzione di essere, assieme a Eward Evans, un estremo depositario di una conoscenza arcana che avrebbe attraversato i secoli, risalendo fino ai tempi dei Druidi. Sapeva che tutto questo non era sufficiente. Lo pervadeva il terrore che la lingua e la cultura del Galles potessero decadere fino ad estinguersi, svanendo nell'oceano anglosassone. Riteneva quindi doveroso fare qualcosa, qualsiasi cosa, incluso inventare di sana pianta testi e tradizioni, mescolandoli al materiale veritiero. Il fine per lui giustificava i mezzi. Riporto un fatto che potrebbe apparire contraddittorio, pur non essendolo. Quando fu scoperto che i Canti di Ossian, pubblicati dal poeta scozzese James Macpherson, erano un clamoroso falso, Iolo Morganwg ebbe una reazione inconsulta e violenta: pieno di animosità, si scagliò contro l'autore ossianico arrivando ad auspicare la sua impiccagione. Come mai un falsario era tanto adirato con un altro falsario? Semplice. Aveva il terrore che la scoperta della natura fittizia dei Canti di Ossian potesse indurre le autorità accademiche a diffidare dei documenti di tutte le culture celtiche, passando ogni testo sotto la lente d'ingrandimento - col pericolo di svelare i numerosi falsi che stavano riplasmando l'intera letteratura gallese. 

Il caso del Barddas 

Il Barddas (in gallese significa "Bardismo", "Scienza bardica") è un libro di materiale raccolto e scritto dallo scrittore gallese Iolo Morganwg, presentato come un'autentica raccolta di antichi testi teologici e filosofici bardici e druidici gallesi. Fu pubblicato postumo in due volumi da John Williams per la Welsh Manuscripts Society, nel 1862 e nel 1874. 
Il primo volume si divide in tre sezioni: 
 1) Simboli: tratta di un alfabeto denominato Coelbren;
 2) Teologia: tratta della filosofia e della cosmologia;
 3) Saggezza: tratta di conoscenze esoteriche.
Il secondo volume, rimasto incompiuto a causa della morte dell'autore, è in larga misura una guida per i Bardi e per i Gorsedd

La parte del primo volume denominata Teologia è particolarmente importante, perché sintetizza la cosmologia di Iolo Morganwg. Comprende una parte in forma di catechismo, in cui l'iniziatore pone domande e l'iniziato dà le risposte. 


Sunto dottrinale del Barddas 

Semplificando molto, il Cosmo è costituito da tre cerchi concentrici. Il più interno di questi cerchi, denominato Abred, è il mondo materiale, dominato da uno stato di Male, Caos e disordine. Gli spiriti degli esseri umani sono generati nello stadio più basso dell'esistenza, Annwn, che è prossimo al Nulla, quindi migrano in Abred dove si reincarnano nello sforzo di ascendere al livello cosmico superiore: il cerchio denominato Gwynfyd. Questo stato d'essere indica lo stato di beatitudine, priva di peccato, goduta dagli spiriti dopo essersi liberati e riuniti con Dio. Oltre Gwynfyd c'è il cerchio dell'Infinito, Ceugant, simile nella sua struttura al cristallo che rappresenta Dio, l'Assoluto denominato OIW
I tre termini Abred, Gwynfyd e Ceugant sono fortemente influenzati sia dal Cristianesimo (Gwynfyd, nella misura in cui traduce Paradiso; Ceugant, nella misura in cui traduce Dio) che dal Buddhismo (Abred, nella misura in cui traduce Saṃsāra; Gwynfyd, nella misura in cui traduce Nirvāṇa). 

Secondo lo studioso irlandese Thomas William Hazen Rolleston (1857 - 1920), a un certo punto una dottrina simile a quella esposta nel Barddas dovette sicuramente esistere nell'ordine dei Bardi nel XVI secolo. Il problema è questo: i contenuti a cui Rolleston allude hanno come artefice il poeta Llywelyn Siôn (1540 - 1616), che può essere considerato in qualche modo un precursore di Iolo Morganwg: collezionista di antichi manoscritti, nazionalista gallese, bardo che ha presieduto i Gorsedd della sua epoca e via discorrendo. Quanto c'è di vero? Quanto c'è di inventato già nelle fonti del Barddas? L'attuale mondo accademico ha l'idea unanime che il Barddas sia un'opera pseudo-bardica e pseudo-druidica, come le sue fonti del XVI secolo. In altre parole, la complessa teologia che vi è contenuta non può essere proiettata all'indietro di oltre un millennio e attribuita tal quale ai Druidi dell'epoca precristiana. 

Il Barddas e lo Gnosticismo 

Rolleston era convinto che la dottrina del Barddas presentasse una grande somiglianza con lo Gnosticismo. L'idea è piuttosto controversa. Certamente Ceugant può sembrare a prima vista una buona traduzione di Pleroma (πλήρωμα, derivato di πληρόω "riempire"). Tuttavia manca del tutto il Mito della Caduta, così come vi è assente ogni traccia di anticosmismo. L'essere umano per lo Gnosticismo è decaduto dal suo stato di completezza e perfezione, precipitando nella materia. Invece per il Barddas l'essere umano, nato da una condizione di Nulla, sembra poter soltanto ascendere. Il Pleroma degli Gnostici emana. Ceugant non presenta in realtà somiglianza alcuna con questo concetto.

Note etimologiche

CYTHRAUL : L'Avversario, il Principio del Nulla 

Protoforma ricostruibile: Latino Contrārius "Oppositore", "Avversario" (epiteto di Satana) 
Derivazione: attraverso dissimilazione 
Note: 
In realtà potrebbe essere un derivato di cwthr "buco", "cavità", nel senso di "Nulla Primordiale", anche se in tal caso non si spiegherebbe la terminazione -aul. Non va nascosto che esiste un'irregolarità fonetica: se la derivazione fosse dal latino, ci aspetteremmo *Cythrawl

ANNWN : L'Ade, gli Inferi 
Varianti: ANNWFNANNWYN 
Pronuncia: /'anʊn/ 

Protoforma ricostruibile: *Andumnon "Ade" (Inferi)
Gallico: Antumnos "Ade", "Plutone" (divinità) 
Note: 
L'ipotesi più plausibile è che il significato originario fosse "Non Mondo", da *an- "non" (prefisso negativo) e *dumnon "mondo", "profondità". Questo però non spiega la presenza di un'occlusiva sorda nel gallico Antumnos, così si è ipotizzata la derivazione da una protoforma più antica *Andedumno-. Si suppone che il prefisso *ande- avesse il significato di "inferiore", "infero": l'etimologia indoeuropea sarebbe lineare. Tuttavia questa semantica non è attestata nelle lingue celtiche storiche, così si suppone che debba essere un fossile.

ABRED : Il Mondo del Divenire 
Pronuncia: /'abrεd/

Protoforma ricostruibile: *apritus < *ad-kwritus
Significato: trasmigrazione; cambiamento di forma 
Derivazione: dal prefisso *ad- e da *pritus "forma"; "tempo" (< *kwritus).
Note: 
La parola sembra essere di origine bretone, come si vede dalla vocale -e- (ci aspetteremmo *abryd). La semantica non sembra molto soddisfacente, dal momento che in bretone abred significa "prima", "presto"; si noti però che la radice d'origine significava sia "forma" che "tempo". Nel suo uso "druidico", la parola gallese è attestata per la prima volta nel 1793 (un anno prima che la utilizzasse Iolo Morganwg) dal lessicografo William Owen Pughe. Il verbo abredu "trasmigrare" si trova in Llywelyn Siôn, cosa che lo rende come minimo dubbio. Un'attestazione precedente di abred, piuttosto incerta, risale al XIV secolo, col significato di "liberazione", "rilascio" (glossa inglese: "deliverance, release"). 

GWYNFYD : La Beatitudine 
Pronuncia: /'gwɨnvɨd/

Protoforma ricostruibile: *Windobitus 
Significato: Mondo Bianco, Mondo Puro 
Derivazione: composto di *windos "bianco", "puro" e *bitus "mondo".
Note: 

CEUGANT : L'Infinito, Dio 
Pronuncia: /'kei̯gant/

Protoforma ricostruibile: *Kowokanton  
Significato: cosa certa; cosa sicura; cosa inevitabile
Slittamento semantico: => Assoluto
Derivazione: sostantivazione di *kowokantos "certo", "sicuro"; "inevitabile".
Note: 
L'aggettivo ceugant è documentato a partire dal XII secolo con questi significati. Iolo Moraganwg ha equivocato la sua formazione, credendolo un composto di cau "vacante", "vuoto" e di cant "cerchio", "circonferenza". Ne ha derivato così una parola col significato di "cerchio dell'Infinito", "Infinito", quindi "Dio". 

OIW : L'Eternità 

Protoforma ricostruibile: *Āius 
Significato: Eone, Eternità  
Note: 
L'autore non poteva essere a conoscenza della reale etimologia indoeuropea della parola. Egli cerca di spiegare in modo cervellotico questa sillaba come composta da tre lettere dell'alfabeto Coelbren. Il fatto che io abbia trovato una spiegazione di gran lunga migliore, parrebbe dimostrare che ci sia qualcosa di autentico. 
La radice *āiu-, con corrispondenze in indoiranico, è attestata nell'onomastica celtica antica incorporata in iscrizioni in latino (esempi: Aiu, Aius, Aiuca, Aiucius, Aiuccio, Aiulo, Aiunus, etc.). Cfr. Zeidler, 2013, che però postula una vocale iniziale breve. 

AWEN : L'ispirazione poetica 

Protoforma ricostruibile: *Awenā 
Significato: ispirazione  
Genere grammaticale: femminile 
Note: 
La parola deriva dalla stessa radice del gallese awel "vento, brezza", la cui protoforma ricostruibile è *awelā

COELBREN : L'alfabeto bardico 

Protoforma ricostruibile: *Kailoprennon  
Significato: legno della divinazione 
Derivazione: composto di *kailos "augurio, portento" e di *prennon "albero", "legno" (< *kwresnom).
Note: 
Cesare ci dice chiaramente che i Druidi ai suoi tempi avevano una forte proibizione nei confronti della scrittura, che impediva loro di trascrivere i testi che dovevano apprendere. La scrittura era riservata ai soli usi profani. Tuttavia è possibile che in Britannia e in Irlanda questi tabù nel corso dei secoli siano almeno in parte venuti meno, permettendo lo sviluppo di nuovi sistemi alfabetici. Conosciamo l'Ogham, originario dell'Irlanda, che era però utilizzato per brevi iscrizioni funebri. 

Annwn e Tolkien 

J.R.R. Tolkien usò la parola annún nella sua mitologia della Terra di Mezzo come termine della lingua elfica Sindarin (fonologicamente ispirato al gallese) che significa "ovest" o "tramonto" (derivata dalla radice del Quenya Andúnë), spesso riferendosi figurativamente al "Vero Ovest", ovvero la terra benedetta di Aman oltre il Mare, l'Isola Solitaria Tol Eressëa, o (nel successivo uso maschile) l'isola sommersa di Númenor. Questo è un esempio del metodo di Tolkien di costruire il mondo "spiegando il vero significato" di varie parole del mondo reale assegnando loro un'etimologia "elfica" alternativa.

Etimologia del nome Iolo 

Iolo è un ipocoristico del nome gallese Iôrwerth, il cui significato è "Signore Splendente". Il primo membro del composto, iôr "signore" (variante iôn), non ha etimologia indoeuropea credibile. La protoforma celtica ricostruibile, *jurā, compare come oronimo nelle Alpi, col plausibile significato di "Sommo", "Alto". Il secondo membro del composto, -werth, è la forma lenita di berth "splendente" (<  protoceltico *bertos < *berktos). L'antroponimo Iôrwerth è stato associato all'inglese Edward (antico inglese Ēadward), di diverso significato ("Guardia della Ricchezza"), ma di aspetto fonetico abbastanza simile. 

Etimologia di Morganwg 

Il nome bardico Iolo Morganwg alla lettera significa "Iolo di Glamorgan". Il toponimo Morganwg, la cui ortografia  corretta è Morgannwg, risale al nome di un sovrano medievale, Morgan Hen, ossia "Morgan il Vecchio", con l'aggiunta del suffisso aggettivale -wg. L'antroponimo Morgan, dall'antico gallese Morcant, è formato da môr "mare" e da cant "cerchio". Il significato è "Cerchio del Mare". La protoforma ricostruibile di Morcant è *Morikantos. La protoforma ricostruibile dell'appellativo Hen "Vecchio" è *Senos. La protoforma ricostruibile di Morgannwg è *Morikantukos. La forma usata in inglese, Glamorgan, deriva dal gallese Gwlad Morgan, ossia "Paese di Morgan", ed è del tutto equivalente a Morgannwg. La protoforma ricostruibile è *Wlatis Morikantī, con l'antroponimo al genitivo. 

Etimologia di Gorsedd 

La parola gallese gorsedd (plurale gorseddau) significa "trono". La protoforma ricostruibile è *wersedon, derivata da *wer- "sopra" e *sedon "seggio". Iolo Morganwg ha riesumato questo termine per designare l'Assemblea dei Bardi, ma non l'ha inventato di sana pianta; era tra le altre cose già stato usato da Llywelyn Siôn nella stessa accezione. 

Alcuni link utili 





sabato 3 aprile 2021

LA VITA E L'OPERA DI BRUNO SCHULZ, ADORATORE DEI PIEDI FEMMINILI

Bruno Schulz fu un artista polacco, che si distinse come disegnatore, scrittore, pittore, critico letterario e insegnante d'arte. Nacque nel 1892 a Drohobyč (Drohobycz), in Galizia, che all'epoca faceva parte dell'Impero Austroungarico, divenendo dopo il 1918 parte del Voivodato di Leopoli, divisione amministrativa della Polonia interbellica (attualmente appartiene all'Ucraina). La sua stirpe era ashkenazita. Tecnicamente è da considerarsi polacco, anche se ai nostri giorni le idee sono abbastanza confuse: quelle strane terre dell'Est hanno più volte cambiato denominazione e appartenenza nazionale, dando origine a migrazioni e rimescolamenti di popoli. Il padre di Bruno, Jakub Schulz, era un mercante di stoffe, mentre la madre si chiamava Henrietta Kuhmärker. Nonostante il suo cognome germanico, la sua lingua nativa era il polacco. Pur conoscendo molto bene il tedesco, si trovava abbastanza a disagio con lo yiddish, che a rigor di logica avrebbe dovuto essere la sua prima lingua. Disgraziatamente molte sue opere letterarie furono perdute nel corso dell'Olocausto: tra queste diversi racconti brevi e il romanzo incompiuto Il Messia (Mesjaz). Una raccolta di lettere dell'autore è stata pubblicata in polacco nel 1975, intitolata Il libro delle lettere (Księga listów), così come una serie di saggi critici scritti per vari giornali. 

 
Riporto nel seguito una succinta cronologia della tormentata esistenza di questo artista, purtroppo ancora poco conosciuto al grande pubblico.
 
1910: Bruno si iscrive al Politecnico di Leopoli (attuale Ucraina).  
1915: Muore il padre di Bruno, malato da anni (per motivi di salute aveva chiuso il negozio di stoffe dal 1910). Il lutto ha come conseguenza l'interruzione degli studi e il trasferimento a casa della sorella, Hanna Hoffman, vedova con due figli.      
1917: Bruno si trasferisce a Vienna. Riprende gli studi di architettura ma con scarso successo. Non riuscendo a conseguire la laurea, torna in Galizia. Svolge il ruolo di insegnante in un ginnasio della sua città di origine, dedicandosi al contempo al disegno e alla letteratura. 
1920-1922: Bruno compone il Libro Idolatrico (Księga Bałwochwalcza). È un'opera sensualissima che mostra lo stesso autore intento a tributare adorazione assoluta alla Femmina Dominatrice.
1931: Muore la madre di Bruno. Sono assolutamente certo che l'artista fosse legato a lei in modo morboso. Le tragedie non si fermano: dopo quattro anni muore anche suo fratello maggiore Izydor, che lascia tre figli.  
1933-1937: Gli amici di Bruno, tra cui la scrittrice Zofia Nałkowska, lo spingono a pubblicare racconti. Questi suoi scritti compaiono nelle seguenti raccolte: Le botteghe color cannella (Sklepy cynamomowe, 1933; titolo inglese The Street of Crocodiles) e Il sanatorio all'insegna della clessidra (Sanatorium pod Klepsydra, 1937), quest'ultimo con 42 illustrazioni di suo pugno. Le amiche sono in genere le peggiori torturatrici: se la Nałkowska si fosse concessa a lui, facendosi adorare, avrebbe evitato una tragedia della Natura. Invece no. Da sempre le donne uccidono gli spasimanti con frasi di questo tipo: "Ti vedo come un amico", "Possiamo essere soltanto amici", "Grazie della tua amicizia". Perché? Perché preferiscono fellare gli energumeni. Ecco perché. Per fare sesso bisogna essere bruti come i gorilla. Chi ha l'animo sensibile è dannato. 
1938: Bruno pubblica il racconto La cometa (Kometa). Porta avanti la scrittura del romanzo Il Messia (Mesjasz), iniziato nel 1934. In questo periodo le sue opere attirano importanti esponenti della cultura polacca più innovativa: Roman Ingarden, Stanisław Ignacy Witkiewicz e Witold Gombrowicz. Allaccia con loro rapporti di amicizia e inizia con loro carteggi, purtroppo perduti. Grazie a questa attività collabora con diverse riviste, pubblicando articoli e recensioni, raccolte dopo la sua morte. Nello stesso anno è insignito del prestigioso premio dell'Accademia Polacca di Letteratura (Polska Akademia Literatury, PAL). 
1939: Patto Molotov-Ribbentrop. La città natale di Bruno viene invasa dall'Unione Sovietica. Il dominio russo è effimero e presto si scatenano conflitti etnici tra polacchi e ucraini, con persecuzioni antisemite all'ordine del giorno. Bruno ha completato la traduzione in polacco de Il processo (Der Prozess) di Franz Kafka, in collaborazione con Józefina Szelińska. Questa era la sua fidanzata, che aveva con lui un "rapporto complicato" (in pratica si traduce così: "prendeva vagonate di uccelli ma non il suo"). 
1941: Operazione Barbarossa. La città natale di Bruno viene invasa dalla Germania Nazionalsocialista. I nazionalisti ucraini scatenano un pogrom che infuria per tre giorni, col sostegno della Wehrmacht. Bruno viene rinchiuso nel ghetto. Data la sua conoscenza della lingua tedesca, è utilizzato come interprete da Felix Landau, un ufficiale delle SS che ammirava le sue opere artistiche. 
1942 (19 novembre): Bruno termina il suo infelice cammino terreno, brutalmente ucciso per rappresaglia da Karl Günther, un ufficiale della Gestapo. Infatti Landau aveva ucciso un ebreo al servizio di Günther, un dentista di nome Löw. Günther non si era lasciato sfuggire l'occasione di vendicarsi, colpendo Bruno al cranio con una piccola pistola mentre camminava nel ghetto portando con sé una pagnotta. Il corpo dell'artista viene sotterrato in una fossa comune e non è mai stato trovato. 
 
Espulso dalla vita 
 
Questa fu la descrizione che Witold Gombrowicz fece del tormentato artista, nel 1961:  

"Gnomo, minuscolo, dalla testa enorme, quasi troppo spaurito per aver il coraggio di esistere, era un espulso dalla vita, uno che sguscia furtivo, sul margine. Bruno non riconosceva a se stesso alcun diritto all’esistenza e cercava il proprio annichilimento: non che sognasse il suicidio, soltanto tendeva al non essere con tutto il suo essere." 

A dispetto della grande diversità nel fisico, quanto mi riconosco in questa descrizione!

L'Abisso dei Sensi  

Le visioni oniriche di Bruno Schulz erano popolate da figure distorte e nanesche! Si notano individui bizzarri e deformi, macrocefali, senili, a volte quasi focomelici, sproporzonati in ogni membro del corpo, in qualche caso persino negroidi, intenti ad adorare i piedi di donne bellissime! Questi individui prendevano in bocca piedi dell'amata, coprendoli di baci e leccandoli avidamente. Non ci sono dubbi: mentre facevano queste cose, il loro cazzone diventava durissimo, tanto che alla fine il piacere provato diventava insopportabile ed emettevano fiotti di sperma incandescente. Altre volte prevalgono invece fantasie di castrazione e di annientamento. Il terrificante potere della Femmina si manifesta in tutto il suo fulgore, annichilisce il maschio, lo riduce a un lombrico. Tutta questa rappresentazione spasmodica aveva un suo significato profondo: il disegnatore stesso si vedeva come un nano distorto, anche se artisticamente era un gigante! Le sue passioni erano assolute, totalizzanti! Gli autoritratti di Schulz mostrano parallelismi con autori come lo psichedelico Marc Chagall e il tenebroso Alfred Kubin.    
 
Susanna e i vecchioni (Zuzanna i starcy)

Stalloni ed eunuchi (Ogiery i eunuchy)

L'Infanta e i suoi nani (Infantka i jej karły)

 Donna con frusta (Kobieta z biczem)

Senza titolo noto  
 
 Undula agli artisti (Undula u artystów)

 I pellegrini (Pielgrzymi)

La città incantata II (Zaczatowanie miasto II) 

Fiaba eterna (ideale) (Odwieczna baśń (ideał))

Illustrazione per Le botteghe color cannella  

Senza titolo noto
 
Nell'ultimo disegno riportato, di cui non sono riuscito a reperire il titolo e il contesto, si nota addirittura un uomo-verme, intento a supplicare la Domina per poterle leccare i piedi, che lei mette su una coppia di mandingo! L'uomo-verme è una creatura che sembra scaturita da un incubo delirante: la testa e il tronco sono di un essere umano di sesso maschile, mentre la parte inferiore del corpo sembra il grasso bruco di una tarma della farina! Tutto ciò è di una potenza allucinante! Non si era mai visto nulla di simile dai tempi della formazione della mitologia ellenica, in cui l'assunzione di funghi muscarinici aveva portato gli inebriati a concepire spaventose epifanie ibride e teriomorfe della Natura turbata, come i Centauri, il Minotauro e le Arpie!   

La controversia dei murales 

Nel febbraio 2001, Benjamin Geissler, un regista di documentari tedesco, ha scoperto i murales che Bruno Schulz aveva creato per Felix Landau. I lavoratori della conservazione polacchi, che avevano iniziato il meticoloso compito di restauro, hanno informato dei risultato lo Yad Vashem, autorità ufficiale israeliana per la memoria dell'Olocausto. Nel maggio dello stesso anno i rappresentanti israeliani si sono recati a Drohobyč per esaminare l'opera, asportandone cinque frammenti e trasportandoli a Gerusalemme. Ne è nata una controversia internazionale. Lo Yad Vashem ha affermato che le parti dei murales erano state acquistate legalmente, ma il proprietario della proprietà sosteneva che non era stato stipulato alcun accordo del genere. Lo Yad Vashem non avrebbe ottenuto il regolare permesso dal Ministero della Cultura Ucraino. Alcuni frammenti lasciati in loco dallo Yad Vashem sono stati da allora restaurati; dopo essere stati esposti nei musei polacchi, fanno ora parte della collezione del Museo Bruno Schulz di Drohobyč. Ciò ha suscitato indignazione pubblica sia in Polonia che in Ucraina, dove l'artista è molto amato. La questione ha raggiunto una soluzione nel 2008, quando Israele ha riconosciuto le opere come "proprietà e ricchezza culturale dell'Ucraina", e il Museo Drohobyčyna ha accettato di lasciare che lo Yad Vashem le tenesse come prestito a lungo termine. Nel febbraio 2009 lo Yad Vashem ha aperto al pubblico la sua esposizione dei murales.  
 
Adattamenti cinematografici 

L'opera di Bruno Schulz ha ispirato il film La clessidra (Sanatorium pod klepsydra, 1973) del regista polacco Wojciech Jerzy Has, che ha ricevuto il Premio della giuria al Festival di Cannes del 1973. 
Si segnala anche il cortometraggio in animazione stop motion Street of Crocodiles diretto dai fratelli Stephen e Timothy Quay e rilasciato nel 1986. È basato sulla raccolta Le botteghe color cannella
Conto di visionare queste pellicole e di pubblicarne una recensione appena mi sarà possibile. 
 
Adattamenti teatrali e musicali
 
Nel 1992 Simon McBurney ha ideato e diretto The Street of Crocodiles, uno spettacolo teatrale sperimentale basato su Le botteghe color cannella, prodotto dal Theatre de Complicite in collaborazione con il National Theatre di Londra. L'adattamento è dello stesso Simon McBurney e di Mark Wheatley. Ha influenzato un'intera generazione di produttori di teatro britannici. 
Sempre nei primi anni '90, i compositori russi Vladimir Martynov e Alfred Schnittke hanno attinto alle storie, alle lettere e alla biografia di Bruno Schulz dando vita a un intreccio ipercomplesso immagine, movimento, testo, marionette, manipolazione di oggetti, performance naturalistiche e stilizzate. Non riesce agevole reperire nel Web informazioni più dettagliate su queste produzioni musicali. 
Nel 2006, Skewed Visions ha creato la performance/installazione multimediale The Hidden Room, come parte di una serie "site-specific" in uno storico edificio per uffici di Minneapolis. Combinando aspetti della vita di Schulz con i suoi scritti e disegni, il pezzo ha rappresentato le complesse storie della sua vita attraverso il movimento, le immagini e la manipolazione altamente stilizzata di oggetti e pupazzi. 
Nel 2007 uno spettacolo intitolato Republic of Dreams, basato sulla vita e sulle opere di Bruno Schulz, è stato presentato in anteprima dalla compagnia teatrale Double Edge Theatre
Nel 2008 Frank Soehnle ha diretto un'opera teatrale basata su Le botteghe color cannella, rappresentata dal Puppet Theatre di Białystok al Jewish Culture Festival di Cracovia.
Tra il 2006 e il 2008, Hand2Mouth Theatre (Portland, Oregon) e Teatr Stacja Szamocin (Szamocin, Polonia) hanno creato una performance basata sugli scritti e sull'arte di Bruno Schulz, intitolata From A Dream to A Dream, in collaborazione da  sotto la direzione di Luba Zarembinska. La produzione è stata presentata per la prima volta a Portland nel 2008.
 
Metempsicosi letterarie 
 
Bruno Schulz ha vissuto una complessa vita postuma anche nella letteratura. 
Un romanzo della scrittrice americana Cynthia Ozick, Il messia di Stoccolma (The Messiah of Stockholm, 1987), narra la storia  di un uomo svedese che è convinto di essere il figlio di Bruno Schulz, entrando in possesso di quello che crede essere un manoscritto del progetto finale dell'artista, Il Messia
Bruno Schulz appare di nuovo come personaggio di un romanzo dello scrittore israeliano David Grossman, Vedi alla voce: amore (See Under: Love, 1989). In un capitolo intitolato "Bruno", il narratore immagina l'artista che si imbarca in un fantasmagorico viaggio per mare per non rischiare di essere ucciso a Drohobyč. L'intero romanzo è stato descritto da Grossman come un omaggio a Bruno Schulz. 
Nel romanzo breve dello scrittore cileno Roberto Bolaño, Stella distante (Estrella distante, 1996), il narratore legge in un bar un libro intitolato "Le opere complete di Bruno Schulz", mentre aspetta la conferma per identificare un nazista. Quando questa conferma giunge, "le parole delle storie di Schulz ... avevano assunto un carattere mostruoso che era quasi intollerabile".
Lo scrittore e critico polacco Jerzy Ficowski ha trascorso sessant'anni alla ricerca e alla scoperta degli scritti e dei disegni dell'artista. Il suo studio, Regions of the Great Heresy, è stato pubblicato in una traduzione inglese nel 2003. Contiene due capitoli aggiuntivi rispetto all'edizione polacca; uno al romanzo perduto, Il Messia, l'altro sulla riscoperta dei murales. 
Il romanzo di China Miéville La città e la città (The City & the City, 2009) inizia con un'epigrafe tratta da Le botteghe color cannella: "Nel profondo della città si aprono, per così dire, strade doppie, strade doppelgänger, strade mendaci e illusorie".  
Nel 2010 Jonathan Safran Foer ha ottenuto un cut-up tagliando le pagine di un'edizione inglese di The Street of Crocodiles, ottenendone un'opera allucinatoria intitolata Tree of Codes.
Anche il sulfureo Philip Roth ha dato il suo contributo. La sua opera Zuckerman scatenato (Zuckerman Bound, 1985) raccoglie narrazioni sul personaggio di Nathan Zuckerman pubblicate in precedenza, aggiungendovi un epilogo, L'Orgia di Praga (The Prague Orgy). È la storia del tentativo di recuperare i manoscritti di una vittima dell'Olocausto in Europa orientale, uno scrittore ceco di lingua yiddish, Sisovsky: si tratta di ben duecento storie inedite. Zuckerman viene convinto dal figlio dell'autore a tentare il recupero dei racconti perduti. Ebbene, Sisovsky era stato ucciso da un ufficiale delle SS in modo del tutto simile a quanto accaduto a Bruno Schulz. 
 
Estratti come schegge d'Infinito
 
Riporto in questa sede alcuni brani tratti dall'opera Le botteghe color cannella, che bene illustrano l'immensità della sua produzione artistica, dotata di una vera e propria capacità cosmogonica. 
 
A luglio mio padre partiva per la cura delle acque e mi lasciava con mia madre e mio fratello maggiore in pasto alle giornate estive arroventate e abbacinanti. Inebriati di luce, sfogliavamo il gran libro delle vacanze, le cui pagine avvampavano tutte di sole e avevano nel fondo la polpa, dolce fino alla nausea, delle pere dorate. 
 
Adela tornava nei mattini luminosi, come Pomona dalle fiamme del giorno infuocato, e versava dal canestro le bellezze variopinte del sole: lucide ciliegie, gonfie d’acqua sotto la buccia trasparente, visciole nere, misteriose, il cui profumo prometteva assai più di quel che il gusto manteneva; albicocche, che celavano nella polpa dorata il succo di lunghi pomeriggi; e accanto a quella schietta poesia della frutta, Adela scaricava ancora quarti di carne, turgidi di forza e di sostanza, con la tastiera delle cotolette di vitello, e verdure algiformi, simili a meduse o cefalopodi uccisi: materiale crudo del pranzo, dal sapore ancora indefinito e sterile, ingredienti vegetali e tellurici dal profumo selvatico e campestre.  
 
Ogni giorno la grande estate trapassava da parte a parte il buio appartamento al primo piano dell’edificio che dava sulla piazza del mercato: silenzio di sprazzi d’aria tremolanti, rettangoli di luce immersi in un loro sogno rovente sul pavimento; una melodia d’organo di Barberia strappata alla più profonda vena dorata del giorno; due, tre battute di un ritornello, suonato chissà dove su un pianoforte, sempre ripetute, svanenti nel sole sui marciapiedi bianchi, perdute nel fuoco delle profondità del giorno. Finite le pulizie, Adela faceva ombra nelle stanze abbassando le tende di tela. I colori calavano allora di un’ottava, la stanza si riempiva d’ombra, quasi fosse immersa nella luce di profondità marine, riflessa ancor più nebulosamente negli specchi verdi, e tutto l’ardore del giorno respirava sulle tende, appena ondeggianti nei sogni dell’ora meridiana.
 
Noi ci sedemmo al loro fianco, quasi al margine del loro destino, un po’ confusi della passività con cui si abbandonavano a noi senza ritegno, e bevemmo acqua e sciroppo di rose, bevanda meravigliosa, che mi parve racchiudere l’essenza profonda di quel torrido sabato.

Zia Agata si lagnava. Era quello il tono fondamentale della sua conversazione, la voce di quella carne bianca e feconda, che pareva straripare dal corpo stesso, a stento e sconnessamente raccolta dalla massa, nei gladi di una forma individuale, e in quella massa già moltiplicata, pronta a ingrossarsi, a ramificarsi, e a riprodursi in famiglia. Era, la sua, una fecondità quasi autogenica, una femminilità priva di freni e morbosamente rigogliosa.
 
Quando mio padre si immergeva nello studio di grossi manuali di ornitologia e ne sfogliava le pagine colorate, pareva che proprio da esse prendessero il volo quei fantasmi pennuti e riempissero la stanza di uno svolazzio colorato, di lembi di porpora e brincelli di zaffiro, verde rame e argento. Al momento dei pasti essi formavano sul pavimento una falda colorata e ondeggiante, un tappeto vivente che ad ogni incauta intrusione si dileguava, si dissolveva in fiori mobili, svolazzanti nell’aria e si andava infine a posare nelle regioni superiori della stanza. Mi è rimasto particolarmente impresso nella memoria un condor, un uccello immenso, dal collo nudo, dalla faccia rugosa e cosparsa di escrescenze. Era un asceta magro, uno di quei lama buddisti dall’atteggiamento pieno di imperturbabile dignità, che osservano il cerimoniale ferreo proprio della loro grande casta. Quando sedeva di fronte a mio padre, immobile nella posizione scultorea delle secolari divinità egizie, l’occhio coperto da un velo biancastro che spostava di lato fin sulla pupilla, per chiudersi completamente nella contemplazione della propria augusta solitudine, sembrava, col suo profilo di pietra, il fratello maggiore di mio padre. Uguale il tessuto del corpo, dei tendini e della pelle dura e rugosa, uguale il volto secco e ossuto, identiche le orbite profonde e corneiformi. Persino le mani, le lunghe, magre, nodose mani di mio padre, dalle unghie ricurve, rassomigliavano agli artigli del condor. Vedendolo così addormentato, non potevo sfuggire all’impressione di trovarmi di fronte a una mummia, alla mummia rinsecchita, e perciò rimpicciolita, di mio padre. Credo che questa straordinaria rassomiglianza non fosse sfuggita neppure a mia madre, benché non abbiamo mai sollevato questo argomento. È significativo che il condor e mio padre usassero in comune il vaso da notte.
 
Ero sconcertato. Ricordavo in realtà quell’invasione di scarafaggi, il flusso nero e brulicante che aveva riempito l’oscurità di un notturno andirivieni da ragno. Tutte le fessure erano piene di antenne tremolanti, ogni spiraglio poteva vomitare all’improvviso uno scarafaggio, da ogni spaccatura dell’impianto poteva sbucare una di quelle folgori nere, lanciata in un folle zig zag lungo il pavimento. Ah, quel selvaggio delirio di panico, tracciato con una linea nera guizzante sulle mattonelle! Ah, quelle grida terrorizzate di mio padre, che balzava di sedia in sedia con un giavellotto in mano! Senza toccare cibo né bevanda, il volto chiazzato per la febbre, una smorfia di disgusto impressa attorno alla bocca, mio padre era completamente inselvatichito. È evidente che nessun organismo può sopportare a lungo una simile carica di odio. Una spaventosa repulsione aveva trasformato la sua faccia in una pietrificata maschera tragica, in cui soltanto le pupille, nascoste sotto la palpebra inferiore, erano all’erta, tese come corde, in perenne sospetto. Con un urlo selvaggio balzava all’improvviso dal sedile, correva alla cieca in un angolo della stanza e già alzava il giavellotto con infilzato un enorme scarafaggio che agitava disperatamente il groviglio delle sue zampe. Adela giungeva allora in soccorso di mio padre, pallido per l’orrore, e prendeva in consegna la lancia insieme col suo trofeo per annegarlo nel secchio. E tuttavia, già allora non avrei saputo dire se queste immagini mi venivano istillate attraverso i racconti di Adela, o se io stesso ne ero stato testimone. Mio padre, a quel tempo, non possedeva più quella capacità di resistenza che protegge le persone sane dal fascino della repulsione. Invece di tenersi lontano dalla terribile forza d’attrazione di quel fascino, mio padre, ormai in preda alla follia, vi si assoggettava sempre più. Le tristi conseguenze non si fecero attendere. Ben presto i primi sintomi sospetti apparvero riempiendoci di paura e di tristezza. Il comportamento di mio padre cambiò. La sua pazzia, l’euforia del suo eccitamento svanirono. Nei gesti e nella mimica cominciarono a mostrarsi segni di cattiva coscienza. Prese ad evitarci. Si nascondeva per giornate intere negli angoli, negli armadi, sotto la trapunta. Lo vedevo talvolta mentre si osservava pensieroso le mani, si esaminava la consistenza della pelle, delle unghie, sulle quali cominciavano ad apparire macchie nere, simili a scaglie di scarafaggio. 
 
– Smerciare, Jakub! Vendere, Jakub! – gridavano tutti, e quelle grida ripetute in continuazione ritmavano in coro e si trasformavano lentamente nella melodia di un ritornello intonato da tutte le gole assieme. Allora mio padre si dette per vinto, saltò giù dall’alta cornice e con un grido si gettò sulle barricate di stoffa. Ingigantito dall’ira, il capo rigonfio in un pugno purpureo si lanciò come un profeta in lotta sulle scorte di tessuti e prese a scatenarsi contro di quelle. Faceva forza con tutto il peso del corpo sulle possenti balle di lana, sollevandole dal loro posto, si infilava sotto immense pezze di stoffa e le scaricava sul banco con sordo fracasso. Le balle volavano dispiegandosi con un frullo nell’aria a formare immensi stendardi, gli scaffali esplodevano da ogni parte in scoppi di drapperie, cascate di stoffe, come sotto i colpi della verga di Mosè.

Così si disperdevano le provviste degli armadi, violentemente espulse, rovesciandosi in ampie fiumane. Così scorreva via il contenuto variopinto degli scaffali, cresceva, si moltiplicava, inondando tutti i banchi ed i tavoli.

Le pareti del negozio sparirono sotto le potenti formazioni di quella cosmogonia di tessuti, sotto quelle catene montuose che si accatastavano in impotenti massicci. Ampie vallate si aprivano fra pendii scoscesi, mentre le linee dei continenti tuonavano nel vasto pathos delle vette. Lo spazio del negozio si ampliava nel panorama di un paesaggio autunnale, pieno di laghi e di lontananze: su quello sfondo mio padre si aggirava fra le pieghe e le valli di una fantastica terra di Canaan, vagava a grandi passi, le mani profeticamente levate al cielo, e plasmava il paesaggio a colpi di ispirazione. E in basso, ai piedi di quel Sinai sorto dalla collera di mio padre, il popolo gesticolava, imprecava, adorava Baal e contrattava. Affondavano le mani dentro le pieghe morbide, si drappeggiavano nelle stoffe colorate, si avvolgevano in dòmini e mantelli improvvisati, e parlavano confusamente e senza posa.

Mio padre sorgeva improvvisamente al di sopra di quei gruppi di acquirenti ingigantito dalla collera, e tuonava dall’alto contro gli idolatri col suo verbo possente. Quindi, trascinato dalla disperazione, si arrampicava ancora sulle alte gallerie degli armadi, correva all’impazzata lungo le tavole degli scaffali, lungo le assi rimbombanti delle impalcature nude, inseguito dalle immagini di spudorata lussuria che supponeva svolgersi alle sue spalle nelle profondità della casa. I commessi avevano proprio allora raggiunto il balcone di ferro all’altezza della finestra e, appesi alla balaustra, avevano afferrato Adela alla vita e la tiravano verso la finestra, mentre lei sbatteva gli occhi e si trascinava dietro le gambe snelle inguainate di seta. Mio padre, annichilito dall’odiosità del peccato, si integrava, mediante la collera dei gesti, nell’orrore del paesaggio; e intanto in basso lo sconsiderato popolo di Baal si abbandonava a un’allegria sfrenata. Una passione parodistica, un’epidemia di riso si era impadronita di quella marmaglia. Come si poteva esigere serietà da loro, da quel popolo di batacchi e di schiaccianoci? Come si poteva esigere comprensione per le gravi angosce di mio padre da quei macinini che macinavano incessantemente una colorata poltiglia di parole? Sordi ai fulmini di quella collera profetica, i mercanti in cappe di seta si accovacciavano a piccoli gruppi intorno alle montagne sinuose di tessuto, discutendo animatamente, in mezzo a scoppi di risa, sulla qualità della merce. Quella borsa nera polverizzava nelle sue lingue veloci la nobile sostanza del paesaggio, la triturava in un impasto di chiacchiere e quasi l’inghiottiva. 
 
Tutto ciò è sublime! Rimando a un articolo davvero eccellente, pubblicato sul sito letterario Nel territorio del diavolo.
 
 
Si dà poca importanza a un evidente refuso nel testo, che ha fatto nascere l'artista nel 1982 anziché nel 1892, creando uno straniante anacronismo in cui l'Impero Austroungarico era vivo e vegeto sul finire del XX secolo, mentre le bandiere con lo Hakenkreuz sono destinate ad incombere sul nostro presente.  

domenica 20 settembre 2020


CARL GROSSMANN,
UN SERIAL KILLER CANNIBALE


Carl Friedrich Wilhelm Grossmann (1863 - 1922) è stato un serial killer cannibale e predatore sessuale, soprannominato "Macellaio di Berlino". Spesso il suo nome di battesimo è scritto Karl anziché Carl. Nell'ortografia tradizionale il cognome è scritto Großmann. Nacque il 13 dicembre 1863 nella città di Neuruppin, nel Brandeburgo, in quello che all'epoca era il Regno di Prussia. Si conosce assai poco della sua infanzia. Il padre esercitava la professione di straccivendolo, così si può dedurre che fosse di bassa condizione sociale. Sappiamo che già da giovanissimo Carl manifestò forti pulsioni sadiche e perversioni sessuali, che lo portavano a infliggere ai coetanei di entrambi i sessi molestie e violenze. Torturava anche gli animali. La sua fu un esistenza oscura e miserabile. Visse a Berlino come mendicante tra il 1879 e il 1895. Nel 1899 fu arrestato per aver violentato una bambina di 4 anni (morta dopo il giudizio) e averne molestata una di 10 anni. Per questi crimini subì una condanna al carcere, tutto sommato abbastanza mite, che finì di scontare nel 1913. Abitò quindi a Friedrichshain, un quartiere malfamato di Berlino. In tale luogo sordido visse fino al termine della sua sanguinaria esistenza. Dopo abbondanti libagioni abbordava le prostitute in una piazza conosciuta come Andreasplatz e le conduceva nel suo piccolo appartamento. Dopo aver fatto sesso sfrenato le uccideva a colpi d'ascia e le decapitava. Procedeva subito alla macellazione dei corpi, selezionando le parti commestibili. Ciò che non poteva essere utile, come le ossa e il cuoio capelluto, lo faceva sparire in un canale, occultandolo per sempre alla vista degli umani. La carne che aveva messo da parte la cucinava. Ne mangiava secondo i propri bisogni, il resto lo usava per imbottire panini che vendeva al pubblico, in un chiosco che aveva vicino a una stazione ferroviaria non distante dalla propria casa. I resti delle prostitute venivano così ingurgitati da persone che li credevano ghiotta carne di porco: finivano digeriti nello stomaco, scendevano nell'intestino dove erano trasformati in merda, processo a cui seguiva l'espulsione nella cloaca. 
 
Un florido commercio 

Oggi molti credono a baggianate di ogni genere, spinti da ragioni ideologiche e morali. Ad esempio è opinione diffusa tra le masse che una persona malvagia debba necessariamente essere stupida. Già agli avversari politici viene attribuita dai buonisti l'etichetta di "persone non intelligenti". A maggior ragione molti pensano che un criminale, che non si vanti di leggere almeno tre libri al giorno, sia per sua stessa natura un idiota. Altra baggianata a cui il volgo presta gran fede è quella secondo cui la carne umana sarebbe "disgustosa". Invece è succulenta. Coloro che mangiavano i panini cannibalici di Grossmann, ne apprezzavano moltissimo il sapore, ignorandone la provenienza! Accadeva questo, che molti gli chiedessero dove si fosse procurato quella carne così deliziosa. Lui non era uno stolto e sapeva bene che non doveva inoltrarsi in discorsi pericolosi. Non rispondeva alle domande o si mostrava evasivo, citando fantomatici fornitori. Soltanto in pochi notarono qualcosa di inconsueto nel sapore della carne, ma i loro dubbi furono ignorati. La vendita di panini imbottiti di carne umana ebbe un tale successo da fornire al serial killer di che vivere con un certo agio. Siccome tale esercizio andava alimentato di continuo, era perenne la ricerca di nuove vittime da macellare. Tanto abbondante fu la carne che riusciva a ottenere con i suoi omicidi, che poteva vendere il surplus al mercato nero. Passò a uccidere e macellare anche bambini e adolescenti, quindi arrivò ad usare la carne di cani e di gatti per integrazioni. Il problema dell'eliminazione dei resti umani non processabili si faceva ogni giorno più pressante e difficile a gestirsi. Così capitò che il canale in cui gettava questi residui di macellazione divenne simile a un orrido ossario. Nessuno sembrava accorgersene, ma a un certo punto la polizia ricevette numerose segnalazioni e cominciò a indagare, anche se senza successo. 

 
Un uomo evitato da tutti 
 
Mentre torme di berlinesi facevano la coda per poter divorare i panini a base di carne umana venduti da Grossmann, diversa era l'opinione che di lui avevano i suoi vicini di casa. Lo consideravano un uomo inquietante e pericoloso, una specie di stregone o di necromante, così si tenevano alla larga da lui e non si immischiavano nei suoi affari. Ne avevano grande paura, la sua stessa presenza dava loro i brividi. Posso ben comprendere questo sgomento: basta guardare una fotografia dell'antropofago per accorgersi che i suoi occhi irradiavano una luce diabolica. Il quello sguarda c'era qualcosa di inumano, di estraneo, difficilmente descrivibile con le limitate parole di questa lingua imperfetta. Come sappiamo, l'orrore ha un effetto ipnotico. Per quanto avessero paura, le persone osservavano in modo morboso, senza mai distogliere l'attenzione. A un certo punto qualcuno notò che troppo spesso delle donne entravano nell'appartamento di quell'individuo sinistro, senza più uscirne. Si sentivano urla strazianti, seguite da rumori sospetti che si protraevano per tutta la notte: erano i rumori prodotti dalla macellazione dei cadaveri! L'estrema riservatezza di queste persone per molto tempo impedì loro di reagire rivolgendosi alle forze dell'ordine.  
 
La resa dei conti 
 
Nel 1918 il cannibale di Neuruppin stuprò un bambino che aveva trovato solo per strada, ma anziché ucciderlo lo lasciò andare, limitandosi a minacciarlo di morte nel caso avesse rivelato qualcosa sul loro incontro. Tuttavia la vittima riferì tutto ai genitori e la notizia giunse alla polizia, che fu in grado di elaborare un identikit del violatore. Grazie a questo episodio gli investigatori cominciarono a sospettare del venditore di panini imbottiti, giungendo a collegarlo con il continuo rinvenimento di ossa umane nel canale di Luisenstadt. Alcuni residui di macellazione erano finiti nel fiume Spree, dove erano stati avvistati a notevole distanza. Nel 1921 un gruppo di bambini si imbatté sotto un ponte nei corpi di due prostitute, decapitati e atrocemente dilaniati. Di lì a poco i resti di altre tre donne furono rinvenute in una pozza da un vagabondo. Mancavano tuttavia le prove concrete del coinvolgimento del tetro macellaio. Le indagini sembravano sul punto di arenarsi, anche perché ostacolate dall'omertà delle prostitute, quando un giorno accadde qualcosa di inaspettato. Era il 21 agosto. I vicini di Grossmann, pervasi dal terrore, si decisero a denunciarlo dopo aver udito urla insolitamente forti e raccapriccianti, cessate di colpo. Accadde così che la polizia fece irruzione nell'appartamento del sospettato, nel cuore della notte, trovando l'uomo a letto sul corpo di una prostituta appena macellata, in un lago di sangue. Immediatamente scattarono le manette. L'accusa fu omicidio di primo grado. Sul luogo del delitto furono scoperte macchie di sangue che permisero di provare altri tre omicidi. Il processo fu lungo ed estenuante. Il cannibale si rifiutò di confessare ed irritava gli inquirenti col suo atteggiamento altezzoso. Tutti sapevano che era responsabile di un numero di vittime molto maggiore, ma si poté procedere soltanto per quattro omicidi. Avvenne quindi un colpo di scena. L'imputato si suicidò il 5 luglio 1922, all'età di 58 anni, e questo è un dato di fatto. Secondo quanto riportato da Blazek (2009), Grossmann non poté essere condannato a morte, perché si impiccò in cella, prima che il processo potesse giungere al termine. Altri riportano invece che Grossmann fu effettivamente condannato a morte, impiccandosi prima della data fissata per l'esecuzione (es. Pacicco, 2008; Wikipedia in italiano, 2020). Le stesse fonti riportano anche il dettaglio della reazione del Macellaio di Berlino, che si sarebbe messo a ridere nell'udire il giudice pronunciare la sentenza. Riporto il link all'articolo di Pacicco: 
 
 
A chi prestar fede? Credo di aver risolto la questione. Dopo un'attenta ricerca ho reperito questo brevissimo articolo apparso sull'East Mississippi Times il 14 agosto 1922:  
 
 
German Bluebeard Takes Own Life
Berlin. Germany. -Germany's notorious bluebeard, Karl Grossmann, committed suicide by hanging, a half hour before he was to be taken to the criminal court where he was undergoing trial for murder. He had admitted his guilt, in the case of four women, but was suspected of murdering twenty, who either mysteriously disappeared or were found horribly mutilated.   

Questa testimonianza sembra dare ragione a Blazek e confermerebbe che la sentenza di morte non era ancora stata emessa quando Grossmann si suicidò. A distanza di tanto tempo non è facile ricostruire scientificamente ogni dettaglio dell'accaduto. In ogni caso il mito delle risate del Macellaio Pazzo nell'istante della propria condanna a morte è diventato un meme e si è alquanto diffuso nel Web: la sua origine andrebbe indagata a fondo. Il contagio memetico è responsabile anche di altre distorsioni, in apparenza più banali ma non meno significative. Solo per fare un esempio, c'è chi riporta il nominativo del serial killer come Georg Karl Grossmann anziché come Carl Friedrich Wilhelm Grossmann. Anche questo è un fenomeno meritevole di studio. 

In vino veritas 
 
Questo ebbe a dire il Macellaio di Berlino a un suo conoscente, durante una sessione di libagioni sfrenate a Friedrichshain, proprio nel 1921:
 
„Ich arbeite nicht, morde nur die Leute und nehme ihnen das Geld weg. Ich bin Schlächter von Beruf, schlachte aber kein Vieh, sondern nur Frauen. Ich schneide sie in Stücke und verbrenne die Stücke. Den Pferden steche ich die Augen, den Hunden schneide ich die Augen mit einem Messer aus, und die kleinen Kinder schlage ich mit einem Stein tot.“ 

Traduco per chi non conosce la lingua tedesca: 
 
"Non lavoro, uccido le persone e porto loro via i soldi. Sono un macellaio di mestiere, ma non macello bestiame, solo donne. Le taglio a pezzi e brucio i pezzi. Ho pugnalato gli occhi dei cavalli, ho tagliato gli occhi dei cani con un coltello e ho picchiato a morte i bambini piccoli con una pietra." 

Non è improbabile che questa dichiarazione del cannibale, resa in stato di ebbrezza, sia stata la vera causa della sua cattura. Dopo anni in cui aveva dato prova di grande astuzia, Grossmann era caduto in preda al delirio di onnipotenza, finendo così nella trappola dell'eccesso di sicurezza. Ho rinvenuto questo importante documento sul sito di Die Welt:   


La carne nera 

Pochi sono al corrente delle condizioni di vita in Germania nella prima metà del XX secolo. Solo per fare un esempio, la carne di cane era molto consumata dal Lumpenproletariat ed era chiamata schwarzes Fleisch, alla lettera "carne nera". È un interessante caso di tabù verbale. Esiste anche un vocabolo simile e tuttora in uso, Schwarzfleisch, che però designa la carne affumicata. Riporto l'abstract, da me tradotto, dell'articolo di P. Geppert dell'Università Ludwig Maximilian di Baviera (1992), Dog slaughtering in Germany in the 19th and 20th centuries with special consideration of the Munich area (Macellazione di cani in Germania nel XIX e nel XX secolo con speciale considerazione dell'area di Monaco): 
 

"Nel XIX secolo sorse la macellazione professionale di cani e anche la vendita pubblica di carne di cane. Queste macellazioni e vendite erano praticate principalmente dai macellai di cavalli. In Germania i cani erano stati per lo più macellati in Sassonia, Slesia, Anhalt e Baviera. Dal 1905 al 1940 è stata ispezionata la carne di 235.144 cani. Ma il vero numero di cani macellati era certamente maggiore. Eppure negli anni '50 i cani venivano macellati professionalmente. Dopo il 1960 il massacro cessò. Sporadicamente la carne di cane è stata utilizzata come cibo umano fino al 1985. Il numero annuo di cani macellati dipendeva da fattori economici come salari, prezzi della carne, disponibilità di carne e tasse canine. I cani erano anche macellati per produrre grasso come rimedio. La macellazione dei cani è stata già discussa nel XIX secolo. Dopo il 1930 fu chiamato per l'abolizione dell'ordine di ispezione per i cani o per il divieto di macellazione dei cani. Dopo quattro leggi degli anni 1954, 1963 e 1985 la macellazione dei cani per la produzione di cibo umano è stata finalmente vietata nel 1986."

L'autore omette di menzionare che questa pratica era già stata vietata da Hitler, anche se clandestinamente continuava, riprendendo con vigore dopo la caduta del Reich. 
 
Direi che è più difficile trovare qualche studioso tanto onesto da menzionare il cannibalismo in Germania, che coesisteva col consumo di carne canina. La carne umana non era affatto sconosciuta come cibo, con buona pace di chi ancora considera il cannibalismo "una cosa da negri". Nulla è più lontano dalla realtà di un simile luogo comune. L'antropofagia è un costume antichissimo dell'intero genere umano fin da epoca immemorabile. Combattuto da molte religioni già prima dell'avvento del moneteismo, nel corso dei millenni finì con l'essere quasi rimosso, ma mai del tutto. In Germania all'epoca della Grande Guerra, quando imperversava una tremenda carestia, molte persone scomparivano e le loro carni finivano vendute al mercato nero.   
 
La leggenda di Anastasia 
 
Carl Grossmann entrò a far parte della tradizione popolare della Slesia. Si racconta che una nobildonna russa scomparsa, Anastasia, fuggì dai Bolscevichi che volevano fucilarla. Giunse così in Polonia e da lì in Germania, dove esercitò il mestiere della prostituta, assumendo il nome di Franziska Schamzkowski. Si narra anche che Grossmann la portò nel suo appartamento il 13 agosto 1920, la uccise e la macellò, come era suo costume. Nel diario dell'assassino è registrata in quello stesso giorno una certa Sasnovski, il cui nome è un'evidente corruzione grafica di Schamzkowski. Per alcuni la Schamzkowski era soltanto una prostituta polacca nativa di Bytów e l'intera narrazione della fuga dell'aristocratica russa è soltanto una fabbricazione di fantasia.   

Ironia americana
 

Sul New York Times apparve questo titolo a caratteri cubitali: "BUTCHER HELD FOR KILLING TWENTY GIRLS AND SELLING FLESH" (sottotitolo: "SLAYER IS HELD TO BE DEMENTED"). Proprio sotto, sulla colonna sinistra, compare lo slogan pubblicitario "Talk About BACON" con l'immagine un uomo intento ad annusare voluttuosamente alcune fette di pancetta affumicata! 

Alcune riflessioni sul caso Grossmann
 
La personalità di Grossmann era assai bizzarra: univa pulsioni sessuali insaziabili alla sete di sangue e a una crudeltà infernale. Oltre al cannibalismo, molti sono gli aspetti a dir poco aberranti della sua indole: era un pedofilo, un infanticida, uno zooerasta, un seviziatore di animali e un necrofilo. Sorgono alcuni problemi non indifferenti. Cosa dovremmo farne di un uomo simile? Cosa dovrebbe farne la società di un uomo simile? Perché nasce un uomo simile? Ovviamente un mostro deve essere rimosso dalla società affinché non possa più nuocere. Per quanto riguarda l'origine dei mostri, è senza dubbio metafisica. Non risolve nulla la stupida tendenza contemporanea a classificare come "orientamento sessuale" ciò che è considerato lecito e a liquidare come "parafilia" ciò che è problematico. Si tratta soltanto di un tabù verbale che non sottende alcuna differenza di ontologia. La parafilia di oggi può essere, mutato il contesto, l'orientamento sessuale di domani. Quindi il mostro può benissimo fare irruzione e porre le basi di una società di mostri! Se vogliamo limitarci alla mera codifica genetica, possiamo elaborare una spiegazione abbastanza semplice dell'esistenza delle aberrazioni, basandoci sul concetto di selezione e di ereditarietà mendeliana. 
 
In una società tribale, l'efferatezza può essere un valore aggiunto. Un uomo come Grossmann, in un contesto di lotte perenni tra gruppi ostili, può acquisire grande fama di guerriero e diventare un capo potente. Se stupra, uccide, tortura, mutila, e cannibalizza persone di una tribù nemica, elimina minacce per la propria tribù. Giunto a una posizione di comando, il suo seme ha grandi possibilità di essere sparso in ventri fecondi e di generare una strirpe consistente - e tra questi rampolli ve ne saranno senza dubbio alcuni che erediteranno le truci inclinazioni paterne. Se questo capo rivolge invece il sadismo e la ferocia contro il proprio popolo, sarà ritenuto un tiranno. Non è tra l'altro detto che un popolo riesca a liberarsi facilmente di un tiranno. Tutto ciò spiega in ultima analisi come mai esistano tuttora serial killer di questo genere. Sono caratteri genetici oggigiorno indesiderabili e dannosi, che quando furono selezionati erano in qualche misura desiderabili e utili. Questa è la verità sulla specie umana.