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venerdì 20 agosto 2021

IL MISTERO DEL VINO DI SICOMORO

Il sicomoro (Ficus sycomorus) era molto considerato nell'antico Egitto, essendo l'albero sacro alla Dea Hathor, patrona della fecondità. Era anche chiamato "albero dell'Eternità" e "albero dei Faraoni": col suo legno venivano fabbricati i sarcofagi. I frutti del sicomoro, simili a fichi di colore chiaro e rossiccio, erano un cibo molto apprezzato. Provenendo da un albero sacro, erano associati all'immortalità e spesso venivano posti nelle tombe come offerta per i defunti. Oltre a questo, con tali fichi veniva prodotta una bevanda inebriante, che è da tempo scomparsa. A quanto pare era forte, al punto che bruciava la gola ed era paragonato alla fiamma (vedi The Fig in Ancient Egypt su Reddit). Diversi anni fa mi sono imbattuto in contributi di navigatori che si chiedevano perché il vino di sicomoro non fosse più stato prodotto. Non ho più trovato tracce dei loro interventi, ma cercherò di dare una risposta a questo importante interrogativo. 
 

Non mi stupisce troppo l'incapacità di trovare qualsiasi traccia di uno specifico termine egiziano per indicare una bevanda prodotta dai fichi del sicomoro. Col passaggio al Cristianesimo, caddero in disuso e furono obliate molte parole che appartenevano alla sfera semantica degli antichi culti. Altre furono invece conservate in copto, perché non suscettibili di ricevere un'interpretazione positiva in senso cristiano. A scomparire furono proprio quelle parole che non poterono subire l'esaugurazione, perché i concetti che esprimevano erano incompatibili con la nuova religione, che non fu esente da manifestazioni di fanatismo e di furore iconoclastico. Qualcosa di simile come accadde anche in latino, dove parole come templum e altāre si conservarono, mentre i sinonimi fānum e āra furono colpite da interdetto e scomparvero dalla lingua popolare. 
 
Si potrebbe dedurre che il vino di sicomoro era bevuto unicamente in occasione di rituali funebri, motivo per cui finì con l'essere abolito. La sua memoria si sarebbe quindi persa rapidamente. Non sono però chiari i dettagli di questo processo di scomparsa di un'antica eredità. 
Sbagliano coloro che hanno ipotizzato che la causa della scomparsa di questa bevanda sia stato l'Islam. Evidentemente non era già più conosciuta quando gli Arabi hanno conquistato l'Egitto. Per quanto la Shari'a proibisca l'alcol, non è sempre stata applicata con lo stesso rigore e non si può pensare che abbia causato la completa scomparsa di ciò che considera haram. Fautori dell'uso smodato del vino non sono mancati dalla Turchia alla Spagna moresca, così come i pederasti! Dovremmo pensare che il fanatismo cristiano in Egitto sia stato molto più efficace, eliminando tutto ciò che era intrinsecamente connesso con i riti pagani. Il problema non era il potere ubriacante della bevanda, bensì il fatto che fosse offerta alle divinità antiche e che non avesse alcun uso profano.  
Forse un simile tabù era già da tempo presente presso gli Ebrei. Sarebbe assurdo poter disporre di una risorsa abbondante come i frutti di sicomoro e non sfruttarla per la produzione di bevande alcoliche, quando basterebbe poco per farlo. Esisteva persino la professione di raccoglitore di fichi di sicomoro. La raccolta non veniva eseguita manualmente, bensì servendosi di strumenti affini a rastrelli, dato che i frutti crescono anche sul tronco degli alberi. Non sappiamo se questi fichi entrassero a far parte della produzione della sicera, assieme ad altri ingredienti, anche se non come unica componente. Non dispendo di sufficienti dati per definire la questione, ho pensato che fosse interessante chiedere a un rabbino molto esperto un'opinione per chiarire meglio questi dubbi, se nelle consuetudini israelitiche esista qualche interdizione a questo proposito. Ho quindi trovato un'inattesa pista sul Web, che mi ha permesso di giungere a una conclusione ragionevole.  

La soluzione del mistero 

Una neopagana che si fa chiamare Hearth Moon Rising riporta nel suo sito un'importante informazione. La pagina è la seguente:  


Questo è il testo tradotto: 
 
"Non sono stata capace di scoprire tramite i miei libri o una ricerca in Internet se il fico del sicomoro sia mai stato fermentato per i riti di Hathor. Ho scoperto che questo fico è talvolta davvero fermentato in vino, ma che ha un gusto di aceto che lo rende più adatto come medicina che come divertimento."
 
Il vino di sicomoro conteneva alcol acetico, ossia etanolo con tendenza a generare acido aceto, che conferiva un tipico sapore acido e irritante. Ecco perché si diceva che "bruciava la gola". Era bevuto soltanto per finalità religiose perché non era buono. Ho avuto esperienza di vino e di idromele in incipiente stato di inacetimento. Nel primo caso era un vino vecchio e imbottigliato male. Nel secondo caso era un idromele prodotto da amici a partire da una decozione conservata in condizioni non ottimali. La sensazione di entrambe le bevande era la stessa. Erano ancora commestibili, ma berle dava un certo fastidio e infiammavano le vie urinarie. La bevanda sacra alla Dea Hathor doveva essere simile. Una divinità egizia poteva imporre ai suoi devoti le cose più stravaganti, anche baciare il culo dei babbuini! Figuriamoci se era un problema bere una pozione un po' acida. Il punto è che quando la gente è diventata cristiana, nessuno glielo faceva più fare di ingurgitare qualcosa di poco gradevole. Allo stesso modo, il popolo di Israele non aveva motivo alcuno di usare quei fichi asprigni per la produzione di alcolici, quando disponeva di buona uva, frutta adatta, cereali e miele. Con questo, il mistero è risolto. 
 
Note etimologiche

Questa è l'evoluzione del nome del sicomoro nella lingua degli Egizi dalle origini al suo periodo finale: 

 
Egiziano (Antico Regno)
nht "sicomoro" (pronuncia /'na:hat/
 
Egiziano (Medio Regno)
nht "sicomoro" (pronuncia /'na:ha/
 
Egiziano (Nuovo Regno) 
nht "sicomoro" (pronuncia /'nɔ:hə/, /'no:hə/)
 
Copto
ⲛⲟⲩϩⲉ (pronuncia /'nu:hə/
 
Da questo fitonimo deriva il nome di persona maschile Sinuhe, che significa "Figlio del Sicomoro". Nell'Egiziano del Medio Regno doveva pronunciarsi /siˀ'na:ha/. Si deve notare che il nome, di genere maschile, contiene un elemento che è morfologicamente femminile.
 
Questo è il nome del sicomoro in alcune importanti lingue semitiche:  

Ebraico 
שִׁקְמָה  šiqmā "sicomoro" (pronuncia biblica /ʃiq'ma:/
        altre trascrizioni: shikma, shikmah
     singolare costrutto: שִׁקְמַת־  šiqmat "sicomoro di"
     plurale: שִׁקְמִים  šiqmīm "sicomori" 
     plurale costrutto: שִׁקְמֵי־‎‎  šiqmē "sicomori di"
Note: 
Il singolare è di genere femminile, il plurale è invece di genere maschile. Indica l'albero e il suo frutto. 

Aramaico 
šeqmā "sicomoro" (albero e frutto) 
      (prestito dall'ebraico) 
   altri significati: "fico selvatico", "fico acerbo" 
   variante: šqem, šiqmā, šaqmā "sicomoro" 
   plurale: šiqmīn "fichi di sicomoro"
   plurali alternativi: šeqmātā, šeqmē 
tittā "sicomoro" (frutto) 
   varianti ortografiche: titā, tettā 
Note: 
Il vocabolo tittā, attestato come designazione del fico del sicomoro, è affine all'accadico tittu, tētu "fico" e all'ebraico תְּאֵנָה  te'ēnā "fico". In aramaico esiste anche tā "mora di gelso; emorroide", affine all'accadico tuttu "mora di gelso" e all'ebraico תוּת t "mora di gelso".

Accadico 
messikanu "sicomoro" (varianti: musukanu, musukannu,
    mesukannu, etc.);
sukannu "sicomoro" 
Note: 
Si tratta di prestiti dal sumerico (vedi sotto). Alcuni ritengono che in ebraico si trovi parola isolata mesukkān "sicomoro" in Isaia 40, 20, ma non sono sicuro che sia vero: sembra invece che sia un fraintendimento di הַֽמְסֻכָּ֣ן hamsukkān "impoverito, danneggiato". La questione sembra non essere risolta a tutt'oggi, ci sono studiosi che insistono col dire che mesukkān è un albero, anche se la traduzione "sicomoro" non è accettata da tutti. Secondo Haupt (1917), l'albero sarebbe invece da identificarsi con l'Acacia nilotica. Se questo vocabolo esistesse, sarebbe evidentemente un prestito dal sumerico tramite l'accadico.  
 
Arabo  
جُمَّيْز  jummayz "sicomoro" 
سَوْقَم  sawqam "sicomoro" (Yemen, obsoleto)
سَقُوم  saqūm "sicomoro" (Algeria) 
Note: 
Il primo di questi nomi del sicomoro, jummayz, ha una corrispondenza nell'ebraico mishnaico: גמזיות "sicomori", con ogni probabilità da vocalizzarsi come gummazyōt. I due nomi sawqam e saqūm sono chiari prestiti dall'aramaico.

Questo è il nome del sicomoro nella lingua di Sumer: 

Sumerico 
1) šam "sicomoro" (glosse accadiche: "sukannu",
    "musukanu", fonte: Uruanna, II.509); 
2) giš mes maganna "sicomoro", alla lettera "albero
     di Magan" (giš è un determinativo e non si pronuncia). 
Note: 
Magan era un paese mitico la cui identificazione finora non è stata determinata con sicurezza. Alla luce di questa evidenza, finora negletta, può essere identificato con l'Oman: l'unica delle terre proposte ove cresce il sicomoro. Resta però il fatto che questo vocabolo avrebbe potuto indicare anche alberi diversi. Sarebbero necessari studi più approfonditi.  
Chiaramente l'accadico messikanu (e varianti) è derivato proprio da giš mes maganna.

Sicomoro e sicamino 

In greco σῡκόμορος (sykómoros) è etimologizzato come "fico-gelso", da σῦκον (sŷkon) "fico", μόρον (móron) "mora di gelso". Si tratta di un'etimologia popolare. In realtà la parola sembra un adattamento dell'ebraico šiqmā (vedi sopra). Si tratta però di un ragionamento circolare, in quanto il nome ebraico del sicomoro è a sua volta derivato dalla stessa radice mediterranea da cui hanno avuto origine anche il greco σῦκον e il latino fīcus (verosimile prestito dall'etrusco). Esiste poi in greco un altro fitonimo collegato a questo: συκάμινος, variante συκάμνος "gelso bianco", "gelso nero", che nel greco d'Egitto è usato anche col significato di "sicomoro". Questa parola è derivata direttamente dal plurale aramaico šiqmīn "fichi di sicomoro" ed è passata in latino come sȳcamīnus
 
Ancora su un equivoco
 
Il vino di sicomoro è menzionato nell'opera di Paolo Mantegazza, Quadri della natura umana. Feste ed ebbrezze (1871). Il fisiologo monzese ha riportato in un elenco un gran numero di bevande fermentate, con una breve nota sulla sua produzione e spesso anche sul paese in cui sono usate. Molte informazioni sono preziose, altre sono invece abbastanza discutibili. Così egli scrive:
 
Vino di sicomoro, succo dell'albero. Inghilterra 
 
A questo punto mi viene un sospetto. Mantegazza deve aver commesso lo stesso errore in cui è incappato Michel Houellebecq, definendo "sicomoro" l'acero montano. La causa è senza dubbio derivata dall'uso volgare di chiamare "sicomoro" svariate specie di aceri e persino il platano (sycomore o sycamore in inglese, sycomore in francese). Questa abitudine deprecabile è contraria all'etimologia della parola e di certo è derivata dall'ignoranza di qualche autore moderno: ancora nel XIV secolo il francese sicamour indicava correttamente la pianta africana e mediorientale di biblica memoria.    

martedì 3 novembre 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI NYARLATHOTEP

Nyarlathotep appartiene al pantheon alieno degli Dei Esterni, descritto da H. P. Lovecraft e ripreso da altri autori che ne hanno emulato e proseguito l'opera, come August Derleth. I più noti epiteti di questa demoniaca entità cosmica sono questi: Caos Strisciante, Faraone Nero. È figlio di Azathoth, posto che i termini umani indicanti la parentela abbiano il benché minimo senso per entità di questo genere. Mentre gli altri Dei Esterni sono sostanzialmente indifferenti alla vita biologica presente nel Cosmo, Nyarlathotep interagisce con essa, contribuendo attivamente a seminare la pazzia, la distruzione e la morte. Si manifesta sulla Terra nella figura di un uomo alto e magro, in grado di parlare alla perfezione qualsiasi lingua. Le sue opere sono portentose e terribili.            
 
Così ha scritto il Solitario di Providence:  

"I had never heard the name NYARLATHOTEP before, but seemed to understand the allusion. Nyarlathotep was a kind of itinerant showman or lecturer who held forth in public halls and aroused widespread fear and discussion with his exhibitions. These exhibitions consisted of two parts—first, a horrible—possibly prophetic—cinema reel; and later some extraordinary experiments with scientific and electrical apparatus. As I received the letter, I seemed to recall that Nyarlathotep was already in Providence.... I seemed to remember that persons had whispered to me in awe of his horrors, and warned me not to go near him. But Loveman's dream letter decided me.... As I left the house I saw throngs of men plodding through the night, all whispering affrightedly and bound in one direction. I fell in with them, afraid yet eager to see and hear the great, the obscure, the unutterable Nyarlathotep." 
(Lettera a Reinhardt Kleiner, 21 dicembre 1921) 

Traduzione per gli anglofobi non anglofoni: 
 
"Non avevo mai sentito prima il nome NYARLATHOTEP, ma mi sembrò di capire l'allusione. Nyarlathotep era una specie di uomo di spettacolo o di conferenziere itinerante che si esibiva nelle sale pubbliche e suscitava paura diffusa e discussione con le sue esibizioni. Questi spettacoli consistevano di due parti: la prima, un'orribile, forse profetica, bobina cinematografica; e in seguito alcuni straordinari esperimenti con apparati scientifici ed elettrici. Quando ho ricevuto la lettera, mi è sembrato di ricordare che Nyarlathotep era già a Providence... Mi è sembrato di ricordare che le persone mi avevano sussurrato in soggezione dei suoi orrori, e mi avevano avvertito di non avvicinarmi a lui. Ma la lettera del sogno di Loveman mi ha fatto decidere... Quando ho lasciato la casa ho visto una moltitudine di uomini arrancare nella notte, tutti sussurrando spaventati e legati in una direzione. Mi sono imbattuto in loro, impaurito ma desideroso di vedere e ascoltare il grande, l'oscuro, l'indicibile Nyarlathotep." 
 
La prima comparsa di Nyarlathotep nell'opera lovecraftiana si ha con l'omonimo racconto breve: Nyarlathotep, scritto nel 1920 e pubblicato per la prima volta nello stesso anno su The United Amateur. Il figlio di Azathoth compare in Egitto nella sua forma di Faraone Nero. Viaggia per il mondo mostrando al pubblico meravigliose macchine elettriche che fanno irrompere nel mondo un'epidemia di incubi atroci. Il genere umano finisce col perdere la propria definizione, sprofondando nell'Abisso e disperdendosi. Questa è la sintetica descrizione della trama su Wikipedia in italiano: "In un mondo oppresso "da un mostruoso senso di colpa" l'avvento di Nyarlathotep, oscuro profeta venuto dal passato, sparge visioni d'incubo alle quali neppure i più scettici possono rimanere indifferenti."
 
Pochi fanno riferimento alla menzione di Nyarlathotep nel racconto I ratti nei muri (The Rats in the Walls), scritto nel 1923. Nel romanzo La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath (The Dream-Quest of Unknown Kadath), scritto tra il 1926 e il 1927, Nyarlathotep compare con l'aspetto di un Faraone dell'Egitto ed è un implacabile avversario del protagonista Randolph Carter, cercando con ogni mezzo di intralciare il suo cammino. Nel racconto horror La casa delle streghe (The Dreams in the Witch House, 1932), Nyarlathotep appare a Walter Gilman e alla strega Keziah Mason nella forma dell'Uomo Nero, un avatar del Diavolo ben noto ai cacciatori di streghe. Viene scambiato per un colossale Mandingo, pur avendo tratti somatici descritti come caucasici. Nel racconto horror L'abitatore del buio (The Haunter of the Dark, 1935) Nyarlathotep assume un aspetto inconsueto, manifestandosi come un mostro tentacolato dotato di ali di pipistrello, che abita nel campanile di una chiesa di proprietà di una singolare setta, detta della "Saggezza Stellare" (Starry Wisdom). In questa forma, il Caos Strisciante è incapace di tollerare la luce del sole. Nyarlathotep compare anche in altre opere dell'Autore, anche come semplice citazione. Nel racconto horror Colui che sussurrava nelle tenebre (The Whisperer in Darkness, 1930), il nome della maligna entità cosmica ricorre in rituali di adorazione celebrati dai Funghi di Yuggoth. 
 
Secondo Fritz Leiber, che apparteneva alla Chiesa di Satana di LaVey, Nyarlathotep rappresenterebbe tre cose: 
1) Lo scherno che l'Universo oppone a ogni tentativo umano di comprenderlo;
2) Una visione negativa del mondo commerciale e dell'autopromozione su cui si fonda;
3) La razionalità autodistruttiva del genere umano, una sorta di intelligenza maligna opposta all'incoscienza di Azathoth.      

Etimologia interna 
 
Il teonimo è chiaramente formato a partire da NYARLATH, il cui significato nella lingua di R'lyeh è chiaramente ricostruibile: "Entropia". Indica il Caos Dilagante, ben diverso dal Caos Primordiale rappresentato da Azathoth. Le conseguenze ontologiche sono chiare e profonde. L'Entropia è figlia della Creazione, che a sua volta procede dal Tohu va-Bohu: così Nyarlathotep procede da Azathoth, ne è un'ineluttabile conseguenza. L'etimologia R'lyehian potrebbe riflettere queste basi filosofiche. La terminazione -OTEP si traduce con "Futuro" ed è formata a partire da OT "di" e da EP "poi, dopo". Quindi Nyarlathotep rappresenta l'Entropia che è il Futuro. La Frecchia del Tempo è l'amaro frutto della Creazione. Mi rendo conto che è un'interpretazione un po' ardita, ma in fondo non vi trovo grandi difetti. L'elemento OT "di" deve essere validato e non dispongo di una casistica sul suo uso. Certamente è difficile pensare che Lovecraft abbia fatto ragionamenti simili per costruire il nome di Nyarlathotep. Chiara è invece la connessione con l'Antico Egitto e con la sua lingua venerabile, che ora esporremo nel dettaglio. 

Etimologie esterne 

La radice verbale egiziana ḥtp /'ħa:tap/ significa "essere soddisfatto; essere quieto". Da questo verbo deriva il sostantivo ḥtp /'ħa:tip/ "pace". A causa della debolezza delle vocali atone, le due forme si sono presto confuse nella pronuncia.  I derivati di questa radice nella lingua copta sono il verbo ϩⲱⲧⲡ /ho:təp/ "essere riconciliato; essere contento" e il sostantivo ϩⲱⲧⲡ /ho:təp/ (m.) "pace, riconciliazione". La forma verbale maschile ḥtp.w /'ħatpu/ significa "egli è soddisfatto". Come sostantivo significa "pace". La sua pronuncia si è evoluta nel Medio Regno in /'ħatpə/ per diventare poi /'ħɔtpə/ nel Nuovo Regno. In copto il risultato è ϩⲟⲧⲡ /hɔtəp/, forma qualitativa del verbo ϩⲱⲧⲡ e aggettivo col significato di "calmo, soddisfatto". In greco l'adattamento di questa forma verbale egiziana /'hɔtpə/ nei nomi propri maschili è -ῶϕις (-ôphis). La consonante aspirata /ph/ (poi diventata una fricativa bilabiale /φ/) rende in qualche modo il gruppo consonantico /tp/, ma si hanno anche altri esiti. Prendiamo come esempio l'evoluzione dell'antroponimo Jmn.w-htp.w /ʼa'ma:nu 'ħatpu/ "Ammone è soddisfatto", divenuto /ʼa'ma:nə 'ħatpə/, quindi /ʼa'mo:nə 'ħɔtpə/ e /ʼamən'ħɔtpə/, trascritto in greco come 'Αμενῶϕις (Amenôphis), con le varianti 'Αμενῶϕϑις (Amenôphthis) e 'Αμενῶϑης (Amenôthēs). I nomi maschili di questo genere, che sono numerosissimi, sono resi nella pronuncia egittologica con -hetep o con -hotep. Questa seconda variante doveva essere molto popolare. Probabilmente incuriosì Lovecraft, che la utilizzò per dar vita a Nyarlathotep. Se questo fosse vero, si potrebbe pensare che il nome originale del demone cosmico fosse *NYARLATHOTH "Abitante dell'Entropia", diventato poi NYARLATHOTEP in una sorta di ibrido R'lyehian-egiziano antico. Gioverà far notare che la prima parte del nome è incompatibile con la fonologia della Lingua dei Faraoni. Secondo alcuni buontemponi, Nyarlathotep sarebbe derivato dall'alterazione di un fantomatico Near-Hotep, un insulso ibrido inglese-egiziano antico, il cui significato sarebbe qualcosa come "Vicino alla Pace", "Quasi-Pace". Ciò non ha il benché minimo senso, visto che il Faraone Nero è un portatore di marasma, non certo di pace. A quanto posso saperne con le mie pur limitate conoscenze, non è dimostrabile che Lovecraft avesse la conoscenza necessaria per comprendere il significato dell'elemento hotep
 
Con mio grande stupore, ho scoperto che ci sono stati molteplici tentativi cervellotici di interpretare Nyarlathotep come un nome puramente egizio, arrivando a *n(y)-'rrwt-ḥtp "Colui che appartiene alla porta è soddisfatto" e facendo notare che Yog-Sothoth è la Porta. Tuttavia Nyarlathotep è figlio di Azathoth, non di Yog-Sothoth. Bisognerà poi stabilire il vocalismo di questo nome ricostruito e controllare la sua correttezza grammaticale. Sono piuttosto scettico. Per chi avesse il tempo e la pazienza di leggere, riporto il link al bizzarro documento, presente sulla piattaforma Blogspot: 
 
 
La possibile origine dunsaniana 
 
Nell'opera di Lord Dunsany si trovano due teonimi dall'aspetto egiziano, che potrebbero aver fornito ispirazione a Lovecraft. Non dobbiamo dimenticare che il Solitario di Providence era un appassionato lettore dello scrittore irlandese. Nell'antologia di racconti Gli Dèi di Pegana (The Gods of Pegāna) compare un falso profeta chiamato Alhireth-Hotep. In un'altra antologia, Degli dèi di Averon (The Sorrow of Search) compare una divinità maligna chiamata Mynarthitep. Il teologo Robert M. Price ha notato queste somiglianze e pensa a una connessione diretta. Anche Will Murray e Sunand T. Joshi sono di questa idea. A parer mio, in qualche modo si sarebbe avuta questa sintesi: Mynarthitep + Alhireth-Hotep = Nyarlathotep. L'elemento Mynar- si sarebbe agglutinato con l'elemento Alhireth- dando Mynarlhath-, abbreviandosi e divenendo infine l'enigmatico Nyarlath-. Sarebbe prevalso il suffisso -Hotep, forte di assonanze egiziane, sul meno consueto suffisso -hitep, che pure ne deve essere un'alterazione. Forse all'origine di questo fenomeno sta una distorsione percettiva. Il Maestro dell'Orrore Cosmico dovette sentire qualcuno parlare di Lord Dunsany, pronunciando Nynarthitep e Alhireth-Hotep in rapida successione, in un discorso sincopato. I suoi nervi acustici gravati dal sovraccarico cognitivo devono aver trasmesso al cervello un nome contratto! In fondo lo sanno tutti: gli anglosassoni mangiano le parole!   
 
Un'inattesa fonte di ispirazione 
 
Secondo Will Murray (1991) ad ispirare la figura di Nyarlathotep è stato con ogni probabilità l'inventore Nikola Tesla, personaggio spettrale e inquietante che durante le sue conferenze utilizzava spesso misteriose apparecchiature elettriche. Nonostante non avesse la carnagione scura attribuita da Lovecraft al Caos Strisciante, le somiglianze sono in effetti notevoli! In pratica, Nyarlathotep sarebbe... un Nikola Tesla abbronzato!   

domenica 1 novembre 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI AZATHOTH

Azathoth è il più potente degli Dei Esterni. I suoi epiteti sono questi: Caos Primigenio, Caos Nucleare, Demone Sultano, Signore di Tutte le Cose, Tenebra Profonda, Dio Cieco e Idiota. Si dice che bestemmia e gorgoglia senza sosta nel centro dell'Universo. Il suo intelletto un tempo doveva essere smisurato come il suo potere, ma qualche ignoto evento perturbatore lo ha lesionato. Così l'entità abissale si è trasformata in un demente. In luogo in cui brancica è conosciuto come Corte di Azathoth. Si dice che gli altri Dei Esterni lo intrattengano danzando e suonando il flauto, con ogni probabilità per impedirne il risveglio - fatto che distruggerebbe l'intero Cosmo. Per alcuni Azathoth è il Creatore dell'Universo, per altri l'Universo stesso altro non è che un suo sogno. 
 
Il Solitario di Providence ha menzionato Azathoth per la prima volta in un suo promemoria risalente al 1919. Si tratta di una brevissima nota che riporta il teonimo con due parole di spiegazione: "AZATHOTH - hideous name" (ossia "nome orribile"). La prima menzione del Demone Sultano in un'opera compiuta di Lovecraft è nel romanzo La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath (The Dream-Quest of Unknown Kadath), scritto tra il 1926 e il 1927, e pubblicato postumo soltanto nel 1943. Questo è un estratto particolarmente significativo: 
 
"There were, in such voyages, incalculable local dangers; as well as that shocking final peril which gibbers unmentionably outside the ordered universe, where no dreams reach; that last amorphous blight of nethermost confusion which blasphemes and bubbles at the centre of all infinity—the boundless daemon-sultan Azathoth, whose name no lips dare speak aloud, and who gnaws hungrily in inconceivable, unlighted chambers beyond time amidst the muffled, maddening beating of vile drums and the thin, monotonous whine of accursed flutes; to which detestable pounding and piping dance slowly, awkwardly, and absurdly the gigantic ultimate gods, the blind, voiceless, tenebrous, mindless Other Gods whose soul and messenger is the crawling chaos Nyarlathotep."
 
Questa è la traduzione di Gianni Pilo: 
 
"In viaggi simili, c’erano dei pericoli incalcolabili, per non parlare poi dell’ultimo, sconvolgente pericolo, che sussurrava cose indicibili, una volta usciti dal normale universo, e che nessun sogno poteva raggiungere: l’ultima nebbia incorporea del Caos totale che bestemmia e gorgoglia al centro di tutto l’infinito, l’incontenibile demonio, il sultano Azathoth, il cui nome nessuna bocca osa proferire, che digrigna affamato i denti in spazi bui e inconcepibili che si trovano al di là del tempo, tra i colpi soffocati di tamburi che levano la ragione, e la monotona nenia di flauti maledetti. Al ritmo di quegli odiosi suoni lancinanti e rullanti ballano lentamente, mostruosamente e assurdamente i ciclopici Ultimi Dèi, ciechi, atoni, tenebrosi, irrazionali. Gli Altri Dei il cui messaggero è Nyarlathotep, il Caos Strisciante. " 
 
Azathoth avrebbe dovuto essere il titolo di un romanzo iniziato nel 1922 e mai compiuto: ne resta soltanto un frammento, pubblicato postumo nel 1938. Il testo originale può essere letto seguendo questo link: 
 
 
L'ultimo riferimento si ha nel racconto L'abitatore del buio (The Haunter of the Dark), scritto nel 1935 e pubblicato l'anno successivo su Weird Tales (vol. 28, n° 5, pagg. 538-553), nel dicembre del 1936 - pochi mesi prima della morte dell'Autore. Questo è un estratto particolarmente significativo: 

"He thought of the ancient legends of Ultimate Chaos, at whose centre sprawls the blind idiot god Azathoth, Lord of All Things, encircled by his flopping horde of mindless and amorphous dancers, and lulled by the thin monotonous piping of a daemoniac flute held in nameless paws."
 
Questa è la traduzione di Giuseppe Lippi (RIP): 
 
"Pensò alle antiche leggende del Caos Primigenio, al cui centro brancica goffamente, cieco e idiota, il dio Azathoth, Signore di Tutte le Cose, circondato dalla sua inetta schiera di danzatori ottusi e amorfi e cullato dal sottile, monotono lamento d'un flauto demoniaco stretto da mani mostruose."  
 
Etimologia interna 
 
Nella lingua di R'lyeh AZATH significa "Caos", o meglio "Regno del Caos". Indica il Caos Primordiale, la condizione che in ebraico è conosciuta come תֹהוּ וָבֹהוּ Tōhū wā-Bōhū. Secondo la narrazione di Genesi, prima della creazione della Luce, la Terra era desolata, vuota, non formata. Il suffisso R'lyehian -OTH è molto comune e significa "nativo di; abitante". Così AZATHOTH significa "Abitante del Regno del Caos". Un Cultista pensa ovviamente che Lovecraft abbia evocato la lingua di R'lyeh, che non l'abbia semplicemente inventata. Se l'etimologia R'lyehian del nome del Caos Primigenio non pone particolari problemi ai Cultisti, diverso è il discorso per gli scettici che ricercano nel nostro mondo le fonti di ispirazione dell'opera del Solitario di Providence. Passiamo quindi in rassegna le principali ipotesi che sono state enunciate.     
 
Etimologie esterne 
 
Queste sono le possibili fonti di ispirazione: 
 
1) Il demone Azazel 
In ebraico il misterioso nome עֲזָאזֵלʻAzāzēl è connesso al capro espiatorio. In origine indicava il luogo desolato dove era mandato a morire il capro che portava su di sé i peccati del Popolo di Israele, durante il giorno dello Yom Kippur. In seguito, sul finire del Periodo del Secondo Tempio, il nome ʻAzāzēl venne ad essere associato con l'Angelo Caduto. Da toponimo è passato ad essere il nome di un demone. Quasi inutile a dirsi, l'etimologia è sconosciuta. Come spesso accade, sono state fabbricate numerose etimologie popolari, tutte da rigettarsi (es. "la capra è consumata"; "Contro Dio"; "Più forte di Dio", etc).
Si trova anche in arabo come عزازيل ʻAzāzīl (sicuramente un prestito dall'ebraico). 
Il Solitario di Providence, secondo Robert M. Price, avrebbe preso da ʻAzāzēl la prima parte del nome di Azathoth

2) La città biblica di Anathoth
Nelle Scritture עֲנָתוֹת ‘Anāthōth è il nome di una città levitica data ai Figli di Aronne nella tribù di Beniamino (Giosuè, 21:13-18; 1 Cronache, 6:54-60). È riportato che vi nacque Geremia. Il toponimo deriva dal nome della divinità femminile cananea ‘Anat (ebraico עֲנָת ‘Anāth, cananeo
‘nt /‘a'no:t/, ugaritico ‘nt /‘a'na:tu/; trascrizione greca Ἀνάθ). La sua trascrizione greca è Ἀναθώθ. La forma derivata è scritta in ebraico עַנְּתֹתִי ‘annethōthī o עַנתֹתִי ‘anthōthī "abitante di Anathoth"; l'adattamento greco è Ἀνθωθίτης o Ἀναθωθίτης.
Troviamo anche due menzioni di ‘Anāthōth come nome di persona maschile (1 Cronache, 7:8 e Neemia 10:19). 
Le etimologie popolari fabbricate per questo nome (es. dal verbo ענה "corrispondere; essere occupato") sono da rigettarsi.   
Il Solitario di Providence, secondo Robert M. Price, avrebbe preso da ‘Anāthōth la seconda parte del nome di Azathoth. Secondo questa ipotesi, il nome del Demone Sultano sarebbe una parola macedonia: Azazel + Anathoth = Azathoth
 
3) Il termine alchemico Azoth 
Nel latino medievale degli Alchimisti era usata la parola azoth (varianti: azoc, azoch), che indicava il principio primo dei metalli, ossia il mercurio. Questo era creduto presente in tutti i metalli e all'origine delle loro peculiari proprietà, quindi da loro estraibile. Era anche definito come un solvente universale simile all'etere e all'alchaest. Si credeva che fosse possibile ottenerlo sciogliendo spirito vitale nella materia grossolana e ottenendo per successiva cristallizzazione la pietra filosofale. Nell'opera di Paracelso il termine azoth, spiegato come "mercurio corporeo", indica la Panacea, la Medicina Universale o Elisir di Vita, cura di tutti i mali. Il suo simbolo era il Caduceo. L'etimologia non è difficile come potrebbe sembrare a prima vista: azoth deriva dall'arabo الزَاؤُوق az-zā'ūq (al-zā'ūq, al-zā'būq) "mercurio". Esistono anche altre proposte etimologiche, non altrettanto convincenti. Nel gergo dei Sufi, el-dhat è riportato col significato di "essenza, quiddità" (variante ezzat), e sarebbe derivato dal persiano az-zauth. Tuttavia non sono stato in grado di trovare ulteriori spiegazioni: a quanto pare queste parole si trovano citate soltanto in libri sull'Alchimia. È stato persino pensato che azoth fosse la trasposizione di Ain Soph nella lingua degli uccelli! Aleister Crowley cercò assurdamente di spiegare l'enigmatico vocabolo con un acronimo cabalistico. In lingua italiana azoth è stato assimilato come azoto (da non confondersi col nome dell'omonimo elemento chimico, che deriva invece dal greco e significa "privo di vita": ἀ- "non" + ζωή "vita"). In spagnolo il mercurio è chiamato azogue, prestito dall'arabo andaluso. 
L'origine ultima della parola araba al-zā'ūq è ricostruibile: deriva dal siriano zīwag, a sua volta è un prestito da una lingua iranica (medio persiano *zhīwak, antico persiano *jīvaka-, estensione di jīva- "vivo"). La radice protoindoeuropea è gwei- "vivo", ben nota a tutti. Così si può dimostrare che questa parola è parente della prima parte del composto inglese quicksilver "mercurio", alla lettera "argento vivo". 
I Solitario di Providence, sempre secondo Robert M. Price, potrebbe aver alterato Azoth aggiungendovi un tipico suffisso -oth: Azoth + -oth = Azathoth.
 
4) Thoth, il dio egiziano della saggezza e delle arti 
Il teonimo Thoth deriva dall'antico egiziano ḏḥwtj, pronunciato /tˀə'ħawtə/ nel Medio Regno. Non perdo tempo a deprecare la fallace pronuncia egittologica convenzionale. Il significato di ḏḥwtj è "(Egli) è come un Ibis". Infatti la divinità è comunemente raffigurata come un uomo con la testa di ibis. Gli esiti della forma egiziana in copto sono i seguenti: 

ⲑⲱⲟⲩⲧ (Thōout) in bohairico
ⲑⲱⲧⲑ (Thōtth) in bohairico e in sahidico
ⲑⲟⲟⲩⲧ (Thoout) in sahidico
ⲑⲱⲑ (Thōth) in bohairico e in sahidico 

Questo nome divino è passato in greco come Θώθ (Thoth), con la variante Θεύθ (Theuth). 
Il solitario di Providence, secondo Phileus P. Sadowsky, avrebbe preso da Thoth la seconda parte del nome di Azathoth. La ricostruzione tentata dallo stesso Sadowsky è Izzu Tahuti, che significherebbe "Forza di Thoth". Questo nonostante Azathoth sia descritto come "divinità cieca e idiota", in totale opposizione a Thoth, a cui le genti dell'Egitto attribuivano tra le altre cose l'invenzione della scrittura. 

sabato 8 agosto 2020

L'ETNONIMO SHARDANA E UNA SUA SOPRAVVIVENZA IN BASCO

Si è molto parlato dei valorosi Shardana, i guerrieri che invasero l'Egitto, divenendo le guardie del corpo del Faraone Ramses II il Grande, il Ramesse di cui narrano le Scritture. Pur essendo di per sé evidente l'identità tra questi Shardana e i Nuragici della Sardegna, come ci mostra anche l'iconografia, ci sono sempre accademici che cercano di negarla con ogni mezzo. I motivi di un simile atteggiamento non sono chiari, anche se il sospetto è che in qualche modo abbiano la loro origine nella politica. 
 

 
In egiziano l'etnonimo era trascritto usando come di  costume le consonanti, ma aggiungendovi alcuni segni che possono essere considerati matres lectionis e fornire una rudimentale indicazione della pronuncia delle vocali. La traslitterazione comune è Šrdn o Šrdn.w (essendo w il suffisso che forma il plurale dei sostantivi maschili, spesso omesso). Più corrette sono le varianti Š³rd³n³ e Š³rdyn³, che presuppongono una pronuncia /ʃar'da:na/ o /ʃar'danna/. Il suono /d/ non si trovava in parole egiziane native e veniva trascritto usando lo stesso carattere geroglifico che trascriveva la dentale sorda enfatica /ṭ/ (quello che sembra una mano rattrappita). Con buona pace di alcuni studiosi wikipediani, in egiziano non avevano valore distintivo le vocali atone nella sillaba precedente quella accentata - anzi, già nel Medio Regno dovevano suonare indistinte, come /ə/. L'uso della mater lectionis ³ (il geroglifico che rappresenta un rapace) doveva servire a suggerire ai parlanti egiziani il valore di una vocale piena e distinta, /a/
     

 
Abbiamo anche trascrizioni dell'etnonimo in lingue semitiche del Medio Oriente.
Ugaritico: Šrdnn(m), Trtn(m)
Accadico: Še-er-ta-an-nu 

Queste forme mi fanno propendere per la pronuncia /ʃar'danna/, con una nasale forte. Una variante /ʃer'danna/ è certo possibile, anche se credo che non ci fosse una gran differenza: la vocale /e/ presupposta dalla trascrizione accadica era dovuta all'influenza del suono palatale iniziale. È anche possibile che fosse una vocale /æ/ molto aperta, in pratica una via di mezzo tra /a/ e /e/. Trovo incredibile e meritevole di scherno l'idea di Bartoloni (2004), riportata dai genialoidi wikipediani, secondo cui "una sostituzione di vocale avrebbe mutato completamente il significato della parola". Questo significa ignorare completamente ogni elementare principio di fonotattica dell'antico egiziano e delle lingue semitiche. Una parola come Šrdn era riconoscibile all'istante come straniera, proprio come noi tutti comprendiamo all'istante che non sono germogliate nella Firenze di Dante parole come gangster, gangbang, blowjob, snuff movie, etc. Non sarebbe ora che gli archeologi la smettessero di pretendere di occuparsi di linguistica? 
 

 
Il fatto è a quanto pare ignorato dai vasconisti, che non lo commentano nemmeno, ma esiste in basco la parola sardana, che ha un duplice significato. Come aggettivo significa "audace, coraggioso" (glossa spagnola "osado, atrevido"), mentre come sostantivo indica una particolare danza circolate tipica della Catalogna, che si crede importata dalla Sardegna. Ebbene, all'origine del vocabolo basco sardana "audace, coraggioso" sta chiaramente l'etnonimo Shardana. Ne consegue che tale etnonimo è ben fondato e ben pronunciato. In basco la consonante s trascrive un suono apicale, che sembra quasi una via di mezzo tra /s/ e la palatale /ʃ/.
 
La forma protobasca ricostruibile è *sardaNa "audace, coraggioso" (< "sardo") con una consonante nasale forte (per facilità si potrebbe scrivere *sardanna) e una sibilante apicale.
 
Stando ai suoi residui toponomastici, in paleosardo questo vocabolo doveva essere pronunciato *SÀRDANA e avere un plurale *SÀRDARA, che è effettivamente attestato come nome di paese: Sardara (in sardo Sàrdara), nella provincia del Sud Sardegna, ex Medio Campidano. 

Incredibile quanto queste parole siano trascurate dal mondo accademico. Larry Trask nel suo Etymological Dictionary of Basque (University of Sussex, 2008) non menziona neppure il vocabolo in questione, come se fosse fatto di aria sottile (made of thin air). Secondo lo studioso inglese, ormai deceduto, l'isolamento del basco sarebbe stato assoluto e tutto ciò che non rientrava in questi schemi era etichettato come "made of thin air". Ho trovato un post nel vasto Web in cui si parla dell'etimologia di sardana, ma soltanto nella sua accezione di "ballo circolare catalano" e per giunta usando un approccio che a mio avviso non è affatto scientifico.
  
 
Senza dubbio è una falsa etimologia: la formazione è incompatibile con la fonologia del protobasco e con la sua morfologia. 
Questa è la proposta etimologica dell'autore del testo, Antonio Arnaiz Villena:

SARTU (vasco)= agarrados, ensartados (castellano)
ANA (o ANAI, vasco)=hermandad (castellano)

1) sartu significa "entrare, inserire": è un infinito, non è un participio passivo col significato di "afferrati; tesi" e la semantica non quadra affatto;    
2) anai significa "fratello" e non fratellanza; la sua protoforma è complessa (Trask ricostruisce *aNanea); 
3) non si ha alcun caso di sartu come primo elemento di parole composte, ridotto a sard-: si ignora la fonotattica basca; la formazione è grammaticalmente erronea;
4) una simile paretimologia, sommamente improbabile, non spiega il nome degli Shardana, mentre al contrario il nome degli Shardana spiega il nome della danza. 

giovedì 9 luglio 2020

LA MISTERIOSA LINGUA SETHIANA

Riporto e analizzo in questa sede i testi di due defissioni su lamine di piombo, rinvenute a Cartagine. La defissione (latino defixio, greco κατάδεσμος) era una forma di magia nera molto diffusa all'epoca dell'Impero: chi la usava intendeva con essa nuocere ai propri avversari nell'arena, ma anche in amore, nella politica, praticamente in ogni aspetto della vita privata e pubblica. I testi delle tremende maledizioni sono scritti latino (in caratteri latini, ma anche in caratteri greci), in greco (in caratteri greci) e in una lingua sconosciuta (in caratteri greci). Questa lingua arcana, le cui parole sono evidenziate in grassetto nei testi da me riportati, appare strettamente connessa con lo Gnosticismo. Per questo motivo la chiamo convenzionalmente Lingua Sethiana. Come avrò modo di spiegare, questa denominazione è di per sé ambigua, eppure la trovo suggestiva e la propongo senz'altro. Secondo quanto si può dedurre, i testi sono almeno in parte composti da nomi di demoni, spiriti di morti e altre entità soprannaturali, evocate per produrre il massimo danno ai soggetti designati. Gli studiosi che si sono occupati di questo materiale classificano le parole sethiane come voces magicae. In altri termini, sarebbero invocazioni di cui non conta conoscere il significato, ma soltanto pronunciare ogni suono alla perfezione per ottenere l'effetto desiderato: una pronuncia difettosa comprometterebbe l'operazione magica e farebbe perdere alle formule quasiasi efficacia. Nonostante la bizzarria estrema della fonologia di queste parole, non è possibile credere che fossero davvero prive di senso e inventate ex nihilo. Infatti tramite un attento studio è possibile dedurre qualcosa, anche se siamo ben lungo dal comprendere ogni dettaglio. Si trovano alcuni elementi punici, altri sono egiziani, ma non va nascosto che in molti casi siamo di fronte a parole la cui fonotassi è impervia e la cui analisi è estremamente difficile. L'uso della Lingua Sethiana per le maledizioni era assai diffuso nell'Impero, tanto che se ne trovano esempi persino in Grecia. Si potrebbe parlare addirittura di una globalizzazione esoterica. Una grande mole di materiale si trova nei Papiri Magici Greci (Papyri Graecae Magicae, PGM), documenti dell'Egitto greco e romano che attestano parole, formule, inni e rituali.    
 
Rimando all'interessantissima tesi di Andrea Bosisio (Università degli Studi di Milano), Defixiones Agonistiche Greche dall'Africa e dal Medio Oriente
 
 
Questi sono i due testi che ho scelto: 
 
1) Audollent, Defixionum Tabellae, Nr. 252
Luogo di rinvenimento: Cartagine 
 
ερεκισιφθη αραρα[χ]αραρα εφθισικεκε ευλαμω ιωερβηθ ιωπακερβηθ ιωβ[ο]λχωσηθ βολκοδηφ βασουμπαντα θνυχθεθωνι ρινγχοσεσρω απομψπακερβωθ [π]ακαρσαρα ρακουβ̣α ααακαχοχ ραβκαβ καὶ σὺ θεοξηρ ἄν[α]ξ κατασχὼν τὸν καρπὸν των ἀποδομων καὶ τὸ ὁμοιων κατάσχες τοῦ Σαπαυτούλου ὃν ἔτεκεν Πονπονία, δῆσον αὐτὸν καὶ ρ̣ε[..]ε τὴν δύναμιν τὴν καρδίαν τὸ ἧπαρ τὸν νοῦν τὰς φρήνας ἐξορκίζω ὑμᾶς αλκ[.]ον αμηνηγεισειχεεε βασίλιον ὑμῶν ἵνα βλεπ[..] εινπλικατε λακινια Σαπαυτούλο ιν καβια κορονα αμπιθεατρι [..] χυχβαχ ευλαμω ιωερβηθ αω[..]αι[.]α[...]ρ̣ υλαμωε ιωπακερβηθ πωκ[....] βακαχυχ λαμωευ ιωβολχωσηθ ιωκαδιανω αμωευλ ιωαπο[...] βακαξιχυχ μωευλα ιωπακαρθαρ βαζαβαχυχ ωευλαμ ιωπασναξ μανεβαχυχ αβεζεβεβιρω ιωτοντου[..]σι βαδετοφωθ ιω ιαω αυβλυουλ βλιχχαιωχ θευζυε ευλαμω βρακ ισισισρω σισιφερμοχ χνοωρ αβρασαξ σοροορμερ φεργαρβαρμαρ οφριουρινχ ἐπικαλοῦμέ σε ὁ μέγας καὶ ἰσχυ[ρ]ὸς [....]υ[..] τος κρατῶν καὶ δωμεύων καὶ κατόχων δεσμοῖς ἀλύτοις αἰωνίοις ἰσχυροῖς ἀδαμαντίνοις καὶ πόσον ψυχὴν κράτησον καὶ κατασλ δ κατάδησον ὑπόταξον προσκλίσον τὸν Σ[α]παυ[τού]λ[ον] κατάδησον αὐτὸν σμαύρησον ιν πα[... ...] ἵνα ἐξέλθες τόνδε τὸν τόπον μεδὲ τὴν πύλη[ν] ἐξέλθε μ̣έτε τὴν τυμηθη[.] ἀπέλθινι[.] τὸν τόπον ἀλλὰ μίνη[.] κατὰ σοῖς δεσμοῖς ἰσχυροῖς αἰωνίοι<ς> ἀδαμαντίνοις τὴν ψυ[χ]ὴν τοῦ Σαπαυτούλου ενεκε τὸν Πονπωνία ε[..]υριανι ποτιατουρ λακινια ιλλι ινπλικητουρ οβλιγητουρ ουρσελλου νον ρεσπικιαντ νον λιγετ νημινεμ πουγνι ιλλι σολβαντουρ νον σιτ ποτεστατις qυα βουλνερητουρ σανγουινητουρ Σαπαυτούλους κουρρερε νον ποσσιτ οβλιγηντουρ ιλλι πεδες νερβια ιλα κοντρα γῆς κοντα[..] εντε σοῦ φακιτε Σαπαυτούλου ομν[..] φαζελο[υ]νε συι ιανουαριας ιν ομνι μομεντο ἤδ[η τα]χύ ευλαμω [ερ εκισι]φθη αραραχ[αραρα ηφθισικερε] 
 
Traduzione (i passi in sethiano sono traslitterati ed evidenziati in grassetto maiuscolo): 
 
EREKISIPHTHĒ ARARACHARARA EPHTHISIKEKE EULAMŌ IŌERBĒTH IŌPAKERBĒTH IŌBOLCHŌSĒTH BOLKODĒPH BASOUMPANTA THNYCHTHETHŌNI RINGCHOSESRŌ APOMPSPAKERBŌTH  PAKARSARA RAKOUBA AAAKACHOCH RABKAB e tu THEOXĒR, signore, colui che fa seccare e che trattiene il frutto generato, così ugualmente trattieni Sapautulo, che Pomponia generò, bloccalo e [...] il potere, il cuore, il fegato, la mente, l'intelletto; vi prego, ALK[.]ON AMĒNĒGEISEICHEEE  il vostro regale [...] affinché non veda ... Attorcigliate la veste a Sapautulo nella cavea dell'anfiteatro [..] CHYCHBACH EULAMŌ IŌERBĒTH AŌ[..]AI[.]A[...]R YLAMŌE IŌPAKERBĒTH POK[....] BAKACHYCH LAMŌEU IŌBOLCHŌSĒTH IŌKADIANŌ AMŌEUL IŌAPO[...] BAKAXICHYCH MŌEULA IŌPAKARTHAR BAZABACHYCH ŌEULAM IŌPASNAX MANEBACHYCH ABEZEBEBIRŌ IŌTONTOU[..]SI BADETOPHŌTH IŌ IAŌ AUBLYOUL BLICHCHAIŌCH THEUZYE EULAMŌ BRAK ISISISRŌ SISIPHERMOCH CHNOŌR ABRASAX SOROORMER PHERGARBARMAR OPHRIOURINCH io ti invoco, grande e potente ... essendo potente e ... e legando con lacci indissolubili, eterni, resistenti, saldi, e obnubilagli l'anima, controllali, e ... blocca, sottometti, piega Sapautulo, bloccalo, indeboliscilo ... affinché non esca da questo luogo, né dalla porta né dalla .... Non abbandoni il luogo, ma resti. Con i tuoi lacci eterni, resistenti, saldi, (blocca) l'anima di Sapautulo che Pomponia generò e ... sia dominato, a lui la veste sia legata e bloccata, non vedano l'orsetto, non blocchi nessuno, gli si fiacchino i pugni, non sia in (suo) potere, dal quale sia ferito e sia fatto sanguinare Sapautulo, non possa correre, abbia i piedi bloccati, i nervi, i fianchi contro la terra ... di te ... fate di Sapautulo ogni ... fa' (nel) giorno della Luna a sé, di Gennaio in ogni momento, presto, velocemente EULAMŌ [ER EKISI]PHTHĒ ARARACH[ARARA ĒPHTHISIKERE] 
 
Traslitterazione delle frasi in latino scritte in caratteri greci: 
εινπλικατε λακινια = implicate lacinia(m) 
ιν καβια κορονα αμπιθεατρι = in cavea corona amphitheatri 
ποτιατουρ λακινια ιλλι ινπλικητουρ = potiatur lacinia illi
     implicetur 
οβλιγητουρ ουρσελλου νον ρεσπικιαντ = obligetur ursellu(m) non
     respiciant 
νον λιγετ νημινεμ πουγνι ιλλι σολβαντουρ = non liget neminem
     pugni illi solvantur 
νον σιτ ποτεστατις qυα βουλνερητουρ = non sit potestatis qua
     vulneretur 
σανγουινητουρ = sanguinetur 
κουρρερε νον ποσσιτ = currere non possit 
οβλιγηντουρ ιλλι πεδες νερβια = obligetur illi pedes nervia 
ιλα κοντρα = il(i)a contra 
κοντα . εντε = contrahente 
φακιτε = facite 
φαζελο[υ]νε = fac die Lunae  
συι ιανουαριας ιν ομνι μομεντο = sui Ianuarias in omni momento 
 
2) Audollent, Defixionum Tabellae, Nr. 253
Luogo di rinvenimento: Anfiteatro di Cartagine
 
β ρ α ερεκισιφθη αραραχαραρα ηφθισικηρε ευλαμω ιωερβηθ ιωπακερβηθ ιωβολχοσηθ βολχοδηφ βασουμπαντα θναξχθεθωνι ρινγχοσεσρ[ω] ... απομψπακερβωθ πακαρθαρα ιακ[ο]υβια ααψκακοχ[...] μωτοντουλιψ οβριουλημ κυμ[.. ἄ]ναξ βρακκοβ̣αρ̣[..] ρσυραβκαβ καί συ θεοξηρ ἄναξ κα[τάσ]χων τὸν καρπὸν των ασοδομων καὶ τὸ ομορων καδ[...] Vincentζus Tζaritζo in ampitζatru Carta<n>g[in]is in ζie Merc<c>uri in duobus cinque in tribus nove [Vi]ncentζo Tζaritζoni quen peperit Concordia ut urs<s>os ligare non possit in omni ora in omn<n>i momento in ζie Merc<c>uri καὶ τὴν ἰσχὺν τὴν δύναμιν τὴν καρδίαν απὸ ἧπαρ τὸν νοῦν τὰς φρήνας· ἐξορκίζω ὑμᾶς αννηναμηγισεχει τὸ βασίλιον ὑμῶν in Vincentζo Tζaritζoni quen peperit Con[cor]dia in ampitζatru Carthaginis in ζie Merc<c>uri obligate in[p]licate lac[i]nia Vincentζo Tζaritζoni ut urs<s>os ligare non possit omni urs<s>u perdat omn<n>i urs<s>u Vincentζus non occidere possit in ζie Merc<c>uri in omni ora iam iam cito cito facite χυχβαχ ευλαμω ιωερβηθ βακαχυχ υλαμωε ιωπακερβηθ βακαξιχυχ λαμωευ [ι]ωβολχοσηθ βαζαβαχυχ αμωευλ ιωαπομψ μωευλα μανεβαχυχ ωευλαμ ιωπακαρθαρα ιωπαθναξ βαδετοφωθ ιαβεζεβεβιω ιωτοντουλιψ βαινχωωχ ιω ιαω ουβριουλημ βευζυθιε ευλαμω βρ̣[...] εισισρω σισιφερμοχ χνω[... α]βρασαξ σοροορμερ φεργαρβαρμαρ [οφριουρινχ] ἐπικαλοῦμέ σε ὁ μέγας καὶ [ἰσχυρὸς ..]ην[-]εο τος κρατῶν καὶ δεσμεύων κ[αὶ κατόχων δ]εσμοῖς ἀλύτοις αἰωνίοις ἰσχυρο[ῖς ἀδαμαντίνο]ις καὶ πᾶσον ψυχὴν κρ̣ατ[..] κατάσε[ισον(?) ......... κατά]δησον ὑπόταξον πρόσ[κλισον Vincentζu Tζaritζoni] qu[e]n peperit Concor[dia - - - - - - oblig]ate Vincentζo Tζari[tζoni - - - - - -]in ampitζatru in ζie [Merc{c}uri] - - - - exterminate Tζaritζo[ni] - - - - - -  ἐξέλθ μήτε τὲν ἐξέλθῃ ἰς τόνδε τὸν τ[όπον μηδὲ τὴν πύλην] ἐξέλθῃ μήτε τὲν τυμηθ[ην ἀπέλθειν] τὸν τώπων ἀλλὰ μίνῃ κ[ατὰ σοῖς δεσμοῖς ἀλύ]τοις, ἰσχυροῖς, αἰωνίοις, ἀ[δαμαντίνοις τὴν] ψυχὴν τοῦ Vincentζus Tζa[ritζoni quen peperit Concor]dia obligate inplicate Vinc[entζu Tζaritζoni - - - in] duobus cinque urs<s>os in trib[us nove] - - - - - vinc<c>atur, vulneretur, dep[annetur(?) .... non curre]re possit Vincentζus Tζa[ritζoni - - - - -] facite Vinc<c>entζ[u Tζaritζoni - - - - Vin]centζu Tζ[aritζoni - - - - - - in ampi]tζatru Cart[haginis - - - - - - -]ta per- - - - - - [Vincentζu Tζaritζo]ni, obligate in[plicate lacinia in duobus cinque in] tribus no[ve] - - - - - - - non possit - - - - - - - - possit - - - - - - - [in] ζie Merc<c>uri - - - - - - - ne anima e - - - - - - - [in proeli]o vinc<c>atur deficiat - - - - - [in omni] ora per ispirital<l>es tra[ctus(?)] - - - - ω ηρεχισιφη [αραρ]αχα[ραρα ηφθισικηρε] ευλα[μω]
 
Traduzione (i passi in sethiano sono traslitterati ed evidenziati in grassetto maiuscolo): 

B R A EREKISIPHTHĒ ARARACHARARA ĒPHTHISIKERE EULAMŌ IŌERBĒTH IŌPAKERBĒTH IŌBOLCHOSĒTH BOLCHODĒPH BASOUMPANTA THNAXCHTHETHŌNI RINGCHOSESR[Ō ... ...] APOMPSPAKERBŌTH PAKARTHARA IAK[O]UBIA AAPSKAKOCH[... ...] MŌTONTOULIPS OBRIOULĒM KYM[...] signore BRAKKOBAR[...] RSYRABKAB e tu THEOXĒR, signore, colui che fa seccare e che trattiene il frutto generato, (così ugualmente trattieni) Vincenzo Zarizone nell'anfiteatro di Cartagine nei due cinque nei tre nove Vincenzo Zarizone che Concordia generò, affinch non possa bloccare gli orsi in ogni ora, in ogni momento del giorno di Mercurio e la forza, il potere, il cuore, il fegato, la mente e l'intelletto; vi prego, ANNĒNAMĒGISECHEI, il vostro regale, contro Vincenzo Zarizone che Concordia generò, nell'anfiteatro di Cartagine nel giorno di Mercurio bloccate, annodate la veste a Vincenzo Zarizone affinché non possa bloccare gli orsi, perda con ogni orso, non riesca ad uccidere nessun orso nel giorno di Mercurio, in tutte le ore presto, presto, velocemente, fatelo. CHYCHBACH EULAMŌ IOERBĒTH BAKACHYCH YLAMŌE IŌPAKERBĒTH BAKAXICHYCH LAMŌEU [I]ŌBOLCHOSĒTH BAZABACHYCH AMŌEUL IŌAPOMPS MŌEULA MANEBACHYCH ŌEULAM IŌPAKARTHARA IŌPATHNAX BADETOPHŌTH IABEZEBEBIŌ IŌTONTOULIPS BAINCHŌŌCH IŌ IAŌ OUBRIOULĒM BEUZYTHIE EULAMŌ BR[...] EISISRŌ SISIPHERMOCH CHNŌ[... A]BRASAX SOROORMER PHERGARBARMAR [OPHRIOURINCH] io ti invoco, grande e potente ... essendo potente e legando e controllando con lacci insolubili, eterni, resistenti, saldi e obnubilagli l'anima, controllalo, scuotilo ... blocca, sottometti, piega Vincenzo Zarizone che Concordia generò - - - - - - bloccate Vincenzo Zarizone - - - - - - nell'anfiteatro nel giorno di Mercurio - - - -, distruggete Zarizone - - - - - - non lasci la non entri questo luogo né passi la porta non esca dalla ... né abbandoni il luogo ma resti con i tuoi lacci insolubili, eterni, resistenti, saldi, (blocca) l'anima di Vincenzo Zarizone che Concordia generò, bloccate, fermate Vincenzo Zarizone - - - nei due cinque orsi nei tre nove - - - - - sia vinto, ferito, … non riesca a correre Vincenzo Zarizone - - - - - rendete Vincenzo Zarizone - - - - Vincenzo Zarizone - - - - - - nell'anfiteatro di Cartagine - - - - - - per - - - - - - - Vincenzus Zarizus, bloccate, annodate la veste nei due cinque, nei tre nove - - - - - - - non possa - - - - - - - - possa - - - - - - - nel giorno di Mercurio - - - - - - -l'anima da - - - - - - vinca nel combattimento, sconfigga - - - - - a tutte le ore trascinato attraverso gli Ispiritales. ĒRECHISIPHĒ [ARAR]ACHA[RARA ĒPHTHISIKĒRE] EULA[MŌ]   
 
Alcune considerazioni 
 
Sono convinto che col tempo e con la pazienza necessaria sarò in grado di dare una spiegazione di ogni singola vox magica attestata. Non pretendo certo di sbrogliare il bandolo della matassa in un post. Comincio a mettere giù qualche idea e una serie di riflessioni sparse, sperando di fare cosa utile. Anche perché ben pochi studiosi sembrano essersi occupati di questa complessa materia. 

Elementi glossolalici 
 
Un sostrato glossolalico è senza dubbio presente: parole come ARARACHARARA sono molto simili per fonotassi a produzioni documentate di moderni parlanti glossolalici. 
 
La Sua Eternità 
 
In lingua ebraica il termine עוֹלָם ῾ōlām significa "mondo; eternità, Eone". La semantica è questa: "ciò che dura per sempre" = "mondo". Il corrispondente di questa parola in punico è ulōm (attestato in caratteri greci come ουλωμ e nelle iscrizioni puniche come wlmlm). L'articolo in punico è il prefisso e- (variante y-), ben documentato nelle iscrizioni tarde vocalizzate, e anche nella glossa di Agostino edom "sangue" (lett. "il sangue", in ebraico ha-dām). Così eulōm significa "l'Eternità". Con l'aggiunta del suffisso possessivo di III persona singolare maschile (ben documentato), otteniamo proprio la forma ευλαμω, EULAMŌ "la Sua Eternità". Dato l'elevato valore magico di questa parola, ecco che ne venivano intonati anagrammi magici come YLAMŌE, AMŌEUL, MŌEULA. Altre locuzioni puniche attestate sono lulōm "in eterno" (scritto llm) e dulōm "molto dopo, nel futuro" (scritto d lm). 
 
Il Tetragrammaton 
 
La ricorrenza della sillaba si spiega facilmente. Questo , derivato da un più antico e formale IAŌ, altro non è che la pronuncia vera del Tetragrammaton, quello che è noto come Nome di Dio, YHWH. I Cartaginesi lo consideravano il nome del Pessimus Daemon, il Peggiore dei Demoni - il che spiega la sua ricorrenza nelle formule di maledizione. Vocalizzazioni come Yehowah e Yahweh sono fondate su ricostruzioni opinabili: la prima pronuncia è derivata introducendo nel Tetragrammaton le vocali di אֲדֹנָי 'Adōnai "Mio Signore", utilizzando un comune metodo di etimologia popolare; la seconda pronuncia è invece una congettura di uno studioso ottocentesco ed è a parer mio totalmente erronea. Il Nome doveva in origine pronunciarsi YAHU /ja:'hu:/, quindi è diventato per naturale evoluzione fonetica YAHO /ja:'ho:/. In ebraico la pronuncia originale si conserva soltanto nel nome di Elia e in pochi altri: אֱלִיָּהוּ 'Elīyāhū. Il nome ADŌNAI è pure ben documentato nel materiale magico. L'ho evidenziato in grassetto in questo testo:
 
Audollent, Defix. Tab. 256 
 
αε υ {signum magicum} οδ διο αριε ρ̣εαο διτης λντηθ αψλερωθπα {signa magica} αλρ.ρλαθχ {signa magica} ψονψορ̣ρτρ κναρρ̣αλζθωφξ[...]τξξ {signum magicum} ο[...]οχλλϜο {signa magica} υυωωω ναρσαλαξυετραα Αδωναι γαβριβαβι υυπ {signa magica} {oculus} το ωδ[...]α εδνβυισσυηηηηη {signum magicum} ωωωωα[..]αα ονοδε ελθες καταδε[..]ασρ̣[...]π[...] μο κδεσατσαω[..]ρτεν[... ..]ν 
 
Il Signore Seth, il Distruttore
 
Ecco la spiegazione di un nome di origine egiziana: IŌBOLCHŌSĒTH. A prima vista può sembrare stravagante, ma in realtà si riesce abbastanza facilmente a dipanare il bandolo della matassa. 
1) SĒTH è il nome della divinità egiziana della Distruzione e del Caos, assimilata al greco Tifone. Nel Paese del Nilo si pensava che le persone coi capelli rossi fossero dotate di una naturale ferocia e che fossero nate dal seme di Seth. Si noterà che questo teonimo nulla ha a che fare con il nome di Seth, figlio di Adamo. In ogni caso è ben possibile che ci fossero parziali confusioni tra i due personaggi.
2) Il prefissoide IŌ- è la pronuncia del Tetragrammaton (vedi sopra), spesso incorporata a nomi di demoni. 
3) BOL è il punico Bal "Signore", passato in egiziano con un tipico vocalismo /-o-/. A tutti è ben nota la trascrizione Baal del teonimo cananeo (ebraico בַּעַל).  
4) Il verbo egiziano trascritto come CHŌ- significa "colpire, distruggere"; nelle defissioni si trova anche la variante -CHO- con vocale breve. Purtroppo non sono riuscito a recuperare l'esito copto di questa radice.   
Così IŌBOLCHŌSĒTH in tardo egiziano significa "Signore Seth il Distruttore". In altri documenti compare senza il prefissoide IŌ-, come BOLCHOSĒTH
Un altro epiteto di Seth il Distruttore è APOMPS. Si trova anche con il prefisso IŌ-, come IŌAPOMPS, alla lettera YEHOWAH-SETH. Un accostamento tra la Creazione e la Distruzione, tra il Cosmo e il Caos. Tutto ciò farebbe rabbrividire i moderni religiosi, ma è perfettamente comprensibile sapendo che lo stesso Artefice del Cosmo non è affatto un'entità benevola, bensì il PESSIMUS DAEMON, lo Sterminatore di Viventi, il Torturatore, Radice e Origine del Male.
 
Il nome di Abraxas 
 
Un teonimo che salta subito agli occhi è ABRASAX, una comune forma metatetica del più noto ABRAXAS. Non credo che serva rimarcare la capitale importanza di questa divinità nei complessi Sistemi Gnostici dell'Antichità. Sulla sua etimologia sono stati scritti fiumi di inchiostro, senza approdare a nulla di convincente. Per ragioni di spazio dovremo trattare questo argomento in un'altra occasione. A parer mio la vox magica ABRAZARACHA, attestata in una defissione del IV secolo d.C., è un composto formato proprio a partire da ABRAXAS.
 
Le Stelle 
 
Uno dei pochi elementi di cui è possibile fornire un'interepretazione e un'etimologia è senza dubbio la sillaba CHYCH che compare in molte occasioni. Si trova sia come primo elemento, in CHYCH-BACH, che come secondo elemento, in MANEBA-CHYCH, BAKA-CHYCH, BAKAXI-CHYCH, BAZABA-CHYCH. In un'altra defissione troviamo BOL-BAXI-CH[YCH] (formato con BOL- "Signore"), CYCH-BA-CHYCH-BAKA, con una specie di reduplicazione, e addirittura CHYCH-BAKAXI-CHYCH, con la sillaba in questione sia come primo che come secondo elemento (Tomlin, 2007). Il termine CHYCH, di evidente origine punica, significa "stella" e corrisponde alla perfezione all'ebraico כּוֹכַב kōkhāv "stella". La mia ipotesi è che la consonate labiale mancante -b-, che ci attenderemmo, compaia in fomre derivate: se questo fosse provato, il plurale di CHYCH "stella" sarebbe CHYCH-BA- o -BA-CHYCH "stelle" (probabilmente nell'accezione di "astri mortiferi"). La forma col prefisso BA- sarebbe molto peculiare. Si noterà che il punico forma invece il plurale maschile con il suffisso -īm, come l'ebraico. 
 
Un elemento di origine greca 
 
Come supposto da Audollent, il teonimo THEOXĒR è di origine greca e sta per θεὸς ὃς ξηραίνει "dio che fa seccare". Questo dà prova della facilità con cui la Lingua Sethiana incorporava nella propria architettura parole delle più svariate provenienze.
 
Eternità e mutabilità 

Le voces magicae subivano la naturale evoluzione fonetica di tutte le lingue, con buona pace delle pretese di una perfetta pronuncia come condicio sine qua non per l'efficacia delle maledizioni. Questo è provato dalla presenza di numerose varianti delle stesse parole sethiane in testi diversi. Solo per fare un esempio abbiamo BOLKODĒPH (BLOKODĒPH) rispetto a BOLCHODĒPH. Notiamo che il termine PAKARTHARA che si trova in Audollent 253 corrisponde a PAKARSARA in Audollent 252, con assibilazione della consonante affricata (o fricativa). In alcune voci si trova una certa confusione tra la vocale breve E e la vocale lunga Ē, così come tra la vocale breve O e la vocale lunga Ō. Queste vocali non differivano soltanto per la quantità, bensì anche per la qualità, come avviene in copto.  
 
Alcune note sul latino di Cartagine  

I testi sono fatti risalire al II secolo d.C., e contengono alcune trascrizioni degne di nota, perché ci danno indicazioni sulla pronuncia usata in quel contesto. La consonante /t/ davanti a semiconsonante /j/ diventava un'affricata, trascritta con usando un carattere greco. La pronuncia doveva essere /ts/. La semiconsonante /j/ proviene sia da /i/ che da /e/ davanti a vocale. Così amphitheatrum è scritto ampitζatru. Allo stesso modo Vincentius è scritto Vincentζus. Un mutamento simile intacca la consonante /d/ anche davanti a vocale /i/, persino tonica, nella parola dies, producendo una consonante sonora /dz/ trascritta con la lettera greca ζ. Così si trova scritto ripetutamente in ζie per in die "nel giorno". Invece vediamo che nel nome proprio femminile Concordia questo non avviene, forse perché questa era percepita come una forma dotta, appartenente a una lingua più nobile e priva di mutazioni consonantiche. L'antroponimo era per questo sfuggito alla genuina usura della lingua volgare. Forse ciò è dovuto al fatto che in Concordia la -i- atona seguita da vocale conservava il suo pieno valore sillabico, mentre nelle parole del lessico di base questo non avveniva. Si noti che la consonante velare /k/ era ben conservata davanti a vocali anteriori: lacinia "veste" è scritto in caratteri greci λακινια; implicetur è scritto in caratteri greci ινπλικητουρ. Non si ha nemmeno una traccia di mutazione palatale di /g/ davanti a vocali anteriori: liget è scritto in caratteri greci λιγετ; allo stesso modo obligetur è scritto in caratteri greci οβλιγητουρ. Si notano altre cose interessanti. Il dittongo grafico ου era usato per rendere i fonemi /u/ e /u:/, dato che li trascriveva in parole latine. Di questo si deve chiaramente tener conto nella pronuncia delle formule sethiane. In alcuni casi la lettera greca η è usata correttamente per trascrivere la vocale lunga /e:/, come in ινπλικητουρ /impli'ke:tur/, rispetto a λιγετ /'liget/ con vocale /e/ breve. Abbiamo anche νημινεμ /'ne:minem/, con la giusta /e:/ lunga. Così anche la lettera greca ω è usata correttamente in Πομπωνία /pom'po:nia/. Tuttavia abbiamo spesso la lettera greca ο per trascrivere una /o:/ lunga latina: νον per /no:n/, μομεντο per /mo:'mento:/.  
 
Alcune perplessità 

Nella traduzione riportata da Bosisio nella tesi si ritrovano alcune cose che mi lasciano abbastanza perplesso. Il prenome Vincentzus, che è evidentemente il prodotto di una mutazione di Vincentius, viene lasciato intradotto. Il nome Tzaritzo, che io renderei con Zarizone, è di origine punica ed è chiaramente adattato nella III declinazione: non riesco a capire perché sia stato reso nella traduzione con Zarizus. Mi appare incredibile che siano state lasciate intradotte forme come urs<s>u, urs<s>os, quando è evidente che si tratta di orsi, animali della massima importanza negli spettacoli delle arene. Si ricorda che proprio il piacere sadico epidemico nel vedere massacrate le fiere nelle venationes è stata la causa della scomparsa di molte specie dall'Africa e dal Medio Oriente. Trovo anche strane alcune traduzioni, come potiatur tradotto con "domini", quando è chiaro che si tratta di un verbo passivo (potio = io metto in potere, dunque potior = io sono messo in potere): ho così tradotto con "sia dominato". Dove ho potuto, ho emendato le traduzioni. Non che il mio lavoro sia perfetto: mi scuso in anticipo se dovesse essermi sfuggito qualcosa di importante. Convengo sulle notevoli difficoltà di comprensione di questi testi, dovute anche alla loro lacunosità.
 
Riscimmiazione del genere umano 
 
Ai tempi dell'Impero gli intestini erano pieni di vermi, si mangiava una massa putrefatta di pesce salato, si ritenevano leccornie le grosse larve xilofagi e si faceva bollire il vino in pentole di piombo per rafforzarlo. Però si andava ad assistere agli spettacoli sanguinari dell'arena invocando demoni con una lingua molto difficile a pronunciarsi. Adesso si trovano invece ultras energumeni che intonano negli stadi cori pieni di stronzate che lascerebbero basiti branchi di australopitechi. Non è questa una prova in più del fatto che la specie umana si sta riscimmiando?