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venerdì 26 agosto 2022


ZOMBIE ASS 

Titolo originale: ゾンビアス (Zonbi asu)

Titolo in inglese: Zombie Ass: Toilet of the Dead
Lingua originale:
 Giapponese
Paese di produzione: Giappone
Anno: 2011
Durata: 85 min
Genere: Orrore, commedia nera 
Sottogenere: Zombesco, scat horror   
Regia: Noboru Iguchi
Soggetto: Tadayoshi Kubo
Sceneggiatura: Noboru Iguchi, Ao Murata, Jun Tsugita
Produttore: Yasuhiko Higashi, Ken Ikehara, Masahiro
     Miyata, Naoya Narita 
Produttore esecutivo: Tadayoshi Kubo 
Casa di produzione: Arcimboldo Y.K. Gambit 
Distribuzione: Nikkatsu
Fotografia: Yasutaka Nagano
Montaggio: Takeshi Wada
Effetti speciali: Yoshihiro Nishimura, Tsuyoshi Kazuno
Musiche: Yasuhiko Fukuda 
Sottotitoli in inglese: Norman England 
Elettricista: Jun Kodama 
Interpreti e personaggi: 
    Arisa Nakamura: Megumi
    Asana Mamoru: Maki
    Mayu Sugano: Aya
    Danny: Naoi
    Kentarō Kishi: Take
    Kentarō Shimazu: Dottor Tanaka
    Yūki: Sachi
    Asami Sugiura: Zombie femmina
    Sayuri Sajima: Ai
    Demo Tanaka: Zombie nella latrina
    Hideki Karauchi: Contadino 
    Midori Aoyama 
    Yukihiro Haruzono 
    Kai Izumi 
    Sadashi Matsubayashi 
    Hiroaki Murakami 
    Masaki Nishimura 
    Masahito Okamoto 
    Masahiro Taniguchi 
    Satoshi Yamamoto 

Trama: 
Distrutta dal senso di colpa per il suicidio della sorella vittima dei bulli, una giovane studentessa di karate, Megumi, accompagna quattro amici più grandi in un viaggio nel bosco: la ragazza intelligente Aya, il suo fidanzato drogato Take, più stupido delle feci di un mulo, la modella a figura intera Maki e il nerd Naoi. Le cose iniziano ad andare da schifo quando quella scema di Maki trova un verme parassita all'interno di un pesce e lo ingoia, nella speranza che possa mantenerla magra (forse memore della famosa tenia della Callas). Più tardi, sconvolta dalle coliche, la modella è costretta a scaricarsi in una latrina esterna. Il verme parassita che aveva ingurgitato aveva evidentemente deposto le uova nel suo stomaco ed era uscito dall'ano durante il devastante attacco di diarrea. Mentre Maki è al cesso, scopre che c'è uno zombie nello scarico, una creatura tutta coperta di escrementi, che emerge e le afferrava le natiche. Tuttavia lei scoreggia, asfissiando il morto vivente fecale con una violenta scarica di gas intestinali fetidissimi! Un'orda di zombie merdosi fuoriesce dalla gigantesca fossa settica ed aggredisce Maki, inseguendola fino ad imbattersi nel resto del gruppo. Dopo una strenua lotta, i giovani vengono tratti in salvo dal Dottor Tanaka, che li ospita per la notte e offre loro un piatto di pasta. Il problema è che il cibo è infettato dalle uova di un parassita scaturito dall'intestino, il verme chiamato nekurogedoro: la cena è un vero e proprio atto di coprofagia! Il Dottor Tanaka si rivela un bizzarro scienziato pazzo che ha trovato il modo di far sopravvivere sua figlia Sachi, gravemente malata, grazie agli enormi vermi intestinali alieni, a cui in cambio fornisce esseri umani da trasformare in cagosi cadaveri deambulanti. I nekurogedoro sono creature spaventose, sembrano larve giallastre dal corpo segmentato, con due zanne acuminate e un piccolo cervello sul capo. Questo encefalo nudo è altamente circonvoluto e somiglia ai succulenti cervelli da panatura, quelli che si friggono! Il tossicomane Take è la prima vittima dell'infestazione e gli scoppia il cranio a causa dell'ipersensibilità del parassita alle sostanze stupefacenti. Aya e Naoi riescono a fuggire ma finiscono uccisi dai morti viventi. Megumi invece trova l'antidoto alla creatura infestante e lo trafuga, sconfigge la maligna figlia dello scienziato e quindi somministra il siero a Maki, guarendola così dal pestilenziale parassita. Salvata l'amica, Megumi assume essa stessa l'antidoto, quindi raggiunge il Dottor Kanaka e lo abbatte con un magistrale colpo di karate


Recensione: 
Per un appassionato viscerale dei film di zombie, una simile chicca non può assolutamente mancare! Questo è cinema estremo allo stato puro! Le sequenze raggiungono vette sublimi. Certo, non tutto è oro. Il finale in stile anime è assolutamente inguardabile. Le ragazzine volano come razzi supersonici, usando come propulsore il gas intestinale giallastro emesso con particolare violenza dai loro ani. Gli immensi vermi nekurogedoro, scaturiti dallo stesso orifizio che permette il volo tramite i getti gassosi, sono inturgiditi, sono così duri da essere utilizzati a mo' di armi. Una tenia come una katana! Queste trovate sono un po' troppo pacchiane, forse se ne poteva fare a meno. 


Zombie ricoperti di feci! 

Il passaggio dell'essere umano dallo stato bestiale alla civiltà ha comportato la proscrizione degli escrementi, come di molte altre cose, tra cui i cadaveri e le larve. Una barriera invisibile di tabù ha imposto il senso di universale ripugnanza, col comandamento di escludere dal perimetro della società il materiale intestinale espulso. Ora, con Iguchi, questi tabù millenari scricchiolano, mostrano segni di grave cedimento. Si prepara l'irruzione dei residui fecali nel mondo! I messaggeri di questa apocalittica trasformazione sono proprio gli zombie, i morti viventi merdosi! Giungerà di nuovo il tempo delle tribù coprofaghe! 

Anglo-giapponese asu "ano" 

Si nota che il termine アス asu "ano" è un semplice adattamento dell'inglese ass (volgare arse) "culo, ano", reso popolarissimo ovunque dalla capillare diffusione della pornografia di massa. La parola ass deriva dal protogermanico *arsaz e non ha nulla a che fare con il latino ānus "anello; ano"(da cui italiano ano, inglese anus /'eɪnəs/). La parola nipponica per indicare l'orifizio anale è 肛門 kōmon, che è derivata dal medio cinese kaewng mwon (alla lettera "porta del culo", pronunciato in attuale cinese mandarino gāngmén). Per sublime ironia, la stessa parola kōmon (ma scritta diversamente) indica anche la porta della scuola!
La trascrizione di anus in caratteri sillabici katakana è アヌス (anusu). La pronuncia adattata è quella del latino, non quella dell'inglese. Esiste poi il termine 糞垂れ kusotare, scritto in caratteri sillabici hiragana くそたれ, che però non indica affatto l'ano, come invece sostiene il traduttore di Google. Indica i frammenti di feci attaccati all'ano (ossia i "tarzanelli"), oppure uno scemo (traduce l'inglese shithead). L'equivoco è nato dal fatto che in inglese anus può essere usato anche per indicare uno scemo. L'etimologia di kusotare è presto spiegata: 糞 kuso significa "merda", "feci", mentre -tare deriva dal verbo 垂れる tareru "pendere": si parla di merda appesa! 
Cosa emerge da questo sintetico trattatello? Non è facile trovare la parola giapponese genuina per indicare l'ano. Forse ciò accade per un motivo molto semplice. In epoca feudale il tabù era così forte che probabilmente viene nascosto il corrispondente kanji (ideogramma) con una pronuncia kun (di origine giapponese). Sembra in effetti che il tabù dell'ano si manifesti tuttora in strane forme, come divieto di nominare tale sfintere, anche se poi sono moltissimi a leccarlo assai volentieri. Dopo ricerche approfondite e vane, sono riuscito infine a reperire il kanji in questione, grazie a un'illuminazione improvvisa. Mi sono ricordato che un demone (yōkai) molto caratteristico è lo Shirime, che ha l'aspetto di un omuncolo glabro e macilento con un occhio spalancato al posto dell'ano. Ebbene, il nome 尻目 Shirime significa "occhio delle natiche" e deriva da 尻 shiri, parola antica il cui significato era appunto "natiche", "ano". Lo 尻子玉 shirikodama è una mitica sfera, contenente l'essenza vitale, che si troverebbe proprio nell'ano degli esseri viventi. 


Etimologia di nekurogedoro 

La prima parte della parola, nekuro-, è un chiaro adattamento del greco νεκρο- (nekro-) "morto" alla fonologia giapponese. L'ho riconosciuto a colpo d'occhio. La seconda parte della parola, -gedoro, mi è parsa a lungo incomprensibile, non ravvisando alcuna corrispondenza plausibile nella lingua giapponese. Cercando in Google "nekurogedoro", non trovavo nulla di significativo o di utile sotto il profilo etimologico. Poi, all'improvviso, ho avuto l'illuminazione. Anche -gedoro è greco antico! Deriva da γῆ () "terra" e da δῶρον (dôron) "dono". Così ricostruiamo il nome originale come νεκρογηδῶρον (nekrogēdôron), adattato in giapponese come nekurogedoro. Significa "dono della Terra dei Morti". La traduzione è perfettamente sensata e coerente con la trama del film. Lo scienziato pazzo, chiama questa creatura aliena "dono" perché è la sola possibilità di sopravvivenza per la figlia. Inoltre proviene dalla Terra dei Morti: crea gli zombie! Evidentemente il professore era un cultore della lingua dell'antica Grecia, cosa non impossibile persino nel Paese del Sol Levante. Uno dei grandi enigmi della storia della Settima Arte è stato risolto! 


Critica  

Sono così ipnotizzato dal sito Il Davinotti, da prenderlo come modello delle recensioni e delle reazioni nel Web. Ecco la pagina dedicata alla pellicola di Iguchi: 


Questo è l'utilissimo cut-up ottenuto dal materiale davinottiano: 

"Art o fart?"
"Delirante, indecente, imbarazzante, insano, grottesco, il film del folle e irriverente Iguchi mostra una volgarità tanto estrema da risultare surreale" 
"Demenziali la trama, i personaggi e le ambientazioni" 
"Il commovente si alterna allo stomachevole"
"Ispirato ai manga, anzi, agli hentai giapponesi, questo zombi-movie tutto particolare mette in scena i più grossolani simbolismi erotici, oltre alle consuete ossessioni scatologiche dell'immaginario più perverso del sol levante" 
"abnorme, ripugnante e corrottamente cronenberghiano; trashivendolo di un "fulcianesimo" scatologico e demenziale"
"Spicca, più che la protagonista, la popputa Mayu Suganu"
"l'esilarante all'anime de li peggio morti viventi" 
"Chi pensa di aver visto proprio tutto in tema di zombi, non può perderlo" 
"A mio avviso le scene splatter e gore strizzano l'occhio anche al teutonico Schnass" 
"Sangue e dissenteria all'ennesima potenza!" 
"gas rettali, conati di vomito, tentacle rape, evacuazioni, insetti e parassiti mutanti" 
"vede nel prodotto interno lordo solido liquido gassoso la rivoluzione copernicana della deadsploitation
"copromania a tutto sbrocco" 

sabato 3 luglio 2021

LADY MONDEGREEN E LE DISTORSIONI PERCETTIVE

La scrittrice e giornalista americana Sylvia Wright (1917 - 1981) ricordava il testo di una poesia che durante l'infanzia sua madre le leggeva spesso. L'autore era il poeta, antiquario e religioso inglese Thomas Percy, nato Piercy (Bridgnoth, 1729 - Dromore, 1811). Il componimento in questione è stato tratto dalla ballata scozzese The Bonnie Earl O' Moray e fa parte della raccolta Reliques of Ancient English Poetry. È scritto in un inglese che presenta una certa influenza della lingua Scots. Ecco il testo nella versione ricordata dalla Wright:
 
Ye Highlands and Ye Lowlands,
Oh Where hae ye been?
They hae slain the Earl Amurray
And Lady Mondegreen.

"Voi monti e vallate,
Oh, dove siete stati?
Hanno ucciso il Conte di Moray
E Lady Mondegreen."
 
Spiccano il pronome ye "voi" (corrisponde a you) e la forma verbale hae "avere" (corrisponde a have). Il problema è che c'è un vistoso errore nell'ultimo verso, causato da una distorsione percettiva! La frase originale era "and laid him on the green" ed è stata segmentata in modo erroneo dalla scrittrice-giornalista, dando origine a un antroponimo femminile fantomatico: Lady Mondegreen.
 
and laid him on the green => and Lady Mondegreen 
 
Questa è la trascrizione IPA della pronuncia, che descrive il mutamento avvenuto:
/ənd 'leɪd (h)ɪm 'ɔn ðəˌgɹi:n/ => /ənd 'leɪdɪ 'mɔndəˌgɹi:n/  

Il pronome obliquo di terza persona singolare maschile, him, spesso perde l'aspirazione e viene agglutinato al verbo che lo precede. In questo caso la consonante finale -m è stata incorporata dalla seguente preposizione on; la fricativa interdentale sonora dell'articolo the è stata percepita come un'occlusiva dentale sonora d-, cosa che senza dubbio ha favorito la creazione di un antroponimo fantomatico. La pronuncia attuale di Mondegreen è /'mɔndɪˌgɹi:n/

Questo è il testo corretto della poesia: 
 
Ye Highlands and Ye Lowlands,
Oh Where hae ye been?
They hae slain the Earl o' Moray
And laid him on the green.
 
"Voi monti e vallate,
Oh, dove siete stati?
Hanno ucciso il Conte di Moray
E lo hanno disteso sul verde."

Questa è la versione in Scots:

Ye Hielands an ye Lowlands,
Oh, whaur hae been?
They hae slain the Earl o' Moray
And lain him on the green. 
 
Si noterà che lo Scots presenta molte più forme verbali irregolari rispetto all'inglese: il verso And lain him on the green non avrebbe potuto essere frainteso come ha fatto la Wright per via della presenza di lain "distesero" anziché laid

Questo è il link all'articolo scritto da Sylvia Wright sull'argomento nel 1954, intitolato The Death of Lady Mondegreen e arricchito con disegni di Bernarda Bryson (che nome evocativo!): 
 
 
Ecco spiegata l'origine della denominazione mondegreen, usata in linguistica per descrivere un particolare tipo di distorsione percettiva in cui una frase viene scambiata per un'altra omofona o quasi omofona. Sia la frase originale che quella male interpretata in genere appartengono alla stessa lingua, ma non necessariamente. In genere un mondegreen avviene ascoltando una canzone, una poesia o uno slogan. Si può descrivere il mondegreen come un fenomeno di pareidolia acustica. Le definizioni inglesi più comuni sono mishearing "malinteso, fraintendimento" e misinterpretation "errata interpretazione". I mondegreen sono particolarmente comuni nella lingua inglese, che è caratterizzata dall'estrema debolezza delle code delle parole. Quando una lingua è composta prevalentemente da monosillabi e da bisillabi, è facile capire male qualcosa: ogni distorsione anche minima avrà gravi ripercussioni. 

Il mondegreen: possibili origini psicologiche
 
Secondo Steven Connor, il mondegreen fa parte del meccanismo conosciuto come dissonanza cognitiva, descritto per la prima volta da Leon Festinger nel 1957. Si può descrivere il cervello umano come una macchina programmata per attribuire un senso a un universo insensato. Quando una persona sente delle parole il cui significato le sfugge, il suo cervello riduce il disagio e la sofferenza mettendosi in azione per cercare di colmare la lacuna conoscitiva, deformando le parole fino a renderle in qualche modo comprensibili. Connor ha definito i mondegreen come "distorsioni del nonsenso nel senso" ("wrenchings of nonsense into sense"). Ecco la citazione dalla sua opera Earslips: Of Mishearings and Mondegreens (2009): 
 
"Ma, sebbene i fraintendimenti possano apparire piacevoli o addirittura sovversivi nel sabotare il senso, in realtà sono essenzialmente neghentropici, vale a dire che spingono verso l'alto il pendio dal rumore casuale alla ridondanza della voce, spostandosi quindi dalla direzione del non senso al senso, dalla non direzione alla direzione. Sembrano rappresentare l'intolleranza dei puri fenomeni. In questo sono diversi dai difetti del linguaggio a cui sono spesso associati. Considerare i lapsus dell'udito semplicemente come il complemento uditivo dei lapsus del linguaggio ne confonde la natura e la funzione programmatica. I fraintendimenti sono i disordini del senso causati dal nonsenso; i fraintendimenti sono la distorsione del nonsenso nel senso." (testo originale: "But, though mishearings may appear pleasingly or even subversively to sabotage sense, they are in fact in essence negentropic, which is to say, they push up the slope from random noise to the redundancy of voice, moving therefore from the direction of nonsense to sense, of nondirection to direction. They seem to represent the intolerance of pure phenomena. In this they are different from the misspeakings with which they are often associated. Seeing slips of the ear as simply the auditory complement of slips of the tongue mistakes their programmatic nature and function. Misspeakings are the disorderings of sense by nonsense; mishearings are the wrenchings of nonsense into sense.").
 
L'iperottimista Steven Pinker, moderno Pangloss nonché massimo esperto mondiale nella difficile scienza della puffologia, si è occupato del fenomeno del mondegreen, cercando in tutti i modi di trovare una spiegazione pierangelista (ossia riduzionista, meccanicista, deterministica, dogmatica). Secondo quanto scritto da Pinker nella sua opera The Language instinct (1994), il mondegreen tende ad essere meno plausibile della frase originale non distorta e crea una sorta di blocco mentale nella persona che ha avuto la distorsione percettiva: una volta fraintesa una frase, scatterebbe un legame emotivo fortissimo con la propria interpretazione fuorviante. Così lo studioso cita l'esempio di uno studente che aveva frainteso una canzone delle Bananarama, Venus (1986), quella che faceva "I'm your Venus, I'm your fire, And your desire" (ossia "Sono la tua Venere, sono il tuo fuoco, e il tuo desiderio"), intrerpretando il ritornello come "I'm your penis, I'm your fire, And your desire" (ossia "Sono il tuo pene, sono il tuo fuoco, e il tuo desiderio"). Questo studente era attratto in modo morboso dai transessuali e fissato con i loro attributi in erezione, tanto che non sapeva pensare ad altro: si masturbava furiosamente fantasticando di penetrare quelle creature androgine mentre raggiungevano l'orgasmo ed eiaculavano. Anche quando è stato messo di fronte alla copertina del disco delle Bananarama, non ha voluto riconoscere il proprio errore. Anzi, in un impeto di ipocrisia si è detto persino sorpreso che una simile canzone fosse trasmessa alla radio. La distorsione percettiva era stata causata da una sola consonante: in inglese Venus suona /'vi:nəs/ e rima con penis, che suona /'pi:nəs/. Io stesso ho frainteso un verso di questa canzone per una consonante, udendo "Making every man mad" ("facendo impazzire ogni uomo") anziché "Making every man a man" ("facendo di ogni uomo un uomo"). 

James Gleick è invece dell'idea che il mondegreen sia una fenomeno abbastanza recente. Nella sua opera The Information: A History, a Theory, a Flood (2011), sostiene che senza l'informazione migliorata e la standardizzazione del linguaggio apportate dalla radio, non ci sarebbe stato modo di riconoscere e di discutere questa esperienza condivisa. Tuttavia l'autore riconosce che nelle canzoni popolari avvengono trasformazioni spontanee del testo quando qualche termine diventa oscuro in quanto non collegabile all'esperienza corrente. Cita come esempio la canzone popolare The Golden Vanity, dove il verso "As she sailed upon the lowland sea" ("Mentre lei navigava sul Mare del Nord") è stato mutato in "As she sailed upon the lonesome sea" ("Mentre lei navigava sul mare solitario") dagli immigrati britannici che si stanziarono in Appalachia. Non avendo più idea di cosa fosse il Mare del Nord, così ben conosciuto dai Vichinghi, lo trasformarono nel mare solitario. Non concordo con Gleick sull'origine non troppo antica del mondegreen, che senza dubbio esiste da quando la specie umana usa il linguaggio articolato. La lingua dei Sumeri aveva in comune con l'inglese moderno la debolezza della coda delle parole: possiamo essere sicuri che vi abbondassero i mondegreen. Alla fine il sumerico è divenuto una lingua puramente letteraria, usata soltanto dai sacerdoti e dagli scribi, forse perché come lingua parlata aveva subìto un'eccessiva degradazione fonetica e dava origine a troppi fraintendimenti. Sarebbe interessante studiare a fondo i documenti in lingua sumerica per trovare qualche possibile traccia di questo processo.
 
Alcuni mondegreen musicali 
 
La canzone Bad Moon Rising dei Credence Clearwater Revival (1969) ha un testo in cui ogni verso termina con le parole "There's a bad moon on the rise" ("C'è una luna cattiva in crescita"). Ebbene, moltissimi anglosassoni hanno inteso "There's a bathroom on the right" ("C'è un cesso sulla destra"). 
La canzone Purple Haze di Jimi Hendrix (1967) ha il verso "Scuse me while I kiss the sky" ("Scusami mentre bacio il cielo"), che è stato costantemente equivocato in "Scuse me while I kiss this guy" ("Scusami mentre bacio questo tipo"). 
Nemmeno i Beatles sono stati immuni al potere del mondegreen: nella canzone Lucy in the Sky with Diamond (1967), il verso "The girl with kaleidoscope eyes" ("La ragazza con gli occhi caleidoscopici") è stato equivocato in un esilarante "The girl with colitis goes by" ("Passa la ragazza con la colite"). La gentile creatura doveva avere occhi magici e bellissimi: è diventata una cagona! 
La missionaria americana Fanny Cosby (1820 - 1915), discendente dei Puritani, ha composto l'inno Keep Thou My Way, il cui verso "Gladly the cross I'll bear" ("Volentieri porterò la Croce") ha subìto una grottesca distorsione in "Gladly, the cross-eyed bear" ("Gladly, l'orso strabico"). A causare il mondegreen è stata la sintassi inconsueta del verso, caratterizzata da un ordine OSV (oggetto-soggetto-verbo), incomprensibile agli attuali anglosassoni.  
 
Alcuni mondegreen letterari 

Lo scrittore e attore irlandese-americano Malachy McCourt ha dato alle sue memorie un titolo singolare: A Monk Swimming (1998). Questo perché ha male interpretato la frase amongst women "tra (tutte) le donne", che compare nella Salutatio Angelica, come a monk swimming "un monaco che nuota". Evidentemente la parola amongst /ə'mʌŋst/ non è stata capita dall'autore perché rara e ricercata. Così ha subìto una profonda metanalisi e la sequenza /ə'mʌŋs(t) 'wɪmɪn/ è diventata /ə'mʌŋk 'swɪmɪn/
Lawrence A. Perkins ha scritto un racconto di fantascienza Come You Nigh: Kay Shuns, pubblicato sulla rivista americana Analog Science Fiction and Fact nel 1970. Il tema fondante di questa storia è la codifica delle comunicazioni interplantarie usando i mondegreen per renderle sicure e incomprensibili agli alieni: ad esempio la parola comunications "comunicazioni" è codificata in "come you nigh, Kay Shuns", ossia "vieni vicino, Kay Shuns".  

Esperienze personali
 
I primi esempi di mondegreen, di cui sono stato consapevole, provengono dalla mia giovinezza. Ricordo quando frequentavo le scuole medie, quel dannato calderone di stramaledetti bulli. Cominciavo a guardare cartoni animati giapponesi, le cui sigle, tradotte in italiano, erano particolarmente grottesche. La sigla della serie Jeeg robot d'acciaio diede luogo ad alcune difficoltà di comprensione a causa della voce del cantante, che impastava le parole. Così la frase "Jeeg va!", con l'accento sulla prima parola, era da me percepita come "Gippa!", con una bizzarra assimilazione consonantica (in tempi abbasstanza recenti, l'amico P. mi ha detto che anche lui sentiva "Gippa!"). Poi c'era la frase "vola fra lampi di blu", pronunciata in un modo che era umanamente impossibile comprendere: alle mie orecchie giungeva come "o la falappi di blu". Ho la chiara memoria di un fatto curioso: anche Beppe Grillo in una trasmissione aveva riportato lo stesso mondegreen, "o la falappi di blu", chiedendosi cosa potesse significare. All'epoca faceva ancora il comico. Il mio cervello, proprio come quello di Grillo, aveva cercato di decrittare la frase pronunciata male, rianalizzandola e creando il verbo falappare, a cui però sembra impossibile attribuire un valore semantico.   
Ricordo quando udii per la prima volta una famosa canzone di Edoardo Bennato, Il gatto e la volpe (1977). La frase "Lui è il gatto ed io la volpe" fu da me compresa come "Lui è il gatto e Dio la volpe". Allo stesso modo, il titolo dello sdolcinato film Il Re ed io (The King and I, diretto da Walter Lang, 1956) fu da me compreso come "Il Re e Dio". Anche il titolo originale può essere frainteso in modo simile come The King and Die!, anche se non è grammaticalmente sensato. In questi due casi, il problema è la congiunzione "e" nella sua forma eufonica, ossia "ed", la cui consonante finale si agglutina per necessità alla vocale iniziale della parola seguente. Questo può creare gravi equivoci in moltissimi casi: ogni volta che ricorre la sequenza "ed a", può essere frantesa come "e da". Così "ed ai monti" corre il rischio di diventare "e dai monti". Per questo motivo la stessa Accademia della Crusca è intervenuta con voce tonitruante, condannando l'abuso delle forme eufoniche e cercando di limitare l'uso di "ed" ai casi in cui la parola seguente inizia con la vocale e-. Analogamente l'uso di "od" dovrebbe essere limitato ai casi in cui la parola seguente inizia con la vocale o- e via discorrendo. 
Un altro mondegreen risale a tempi ben più recenti. Ricordo ancora quando il rossochiomato F. mi fece ascoltare una serie di canzonette allegre di una band denominata My Chemical Romance. In uno di questi brani c'era un insistente e nitidissimo ritornello che suonava così alle mie orecchie: "LECCA LA CALIPPA BLU!" Non sono riuscito a ottenere spiegazioni dal bellimbusto fulvo, che si è limitato a sorridere, segno che anche lui aveva inteso qualcosa di strano; neppure le mie insistenti ricerche in Google mi sono state fruttuose. Ho anche visionato diversi video dei My Chemical Romance presenti in YouTube, senza trovare quello che mi interessava. Non ho mai compreso la natura della distorsione percettiva che mi ha colpito. Verosimilmente ho interpretato una frase in un inglese degradato distorcendola in una frase in italiano. Ho poi cercato di razionalizzare la distorsione percettiva immaginando che la parola "calippa" indicasse la fica, anche se il riferimento al colore resterebbe comunque inesplicabile. Forse si parla di una fica livida? Oppure è la fica di una femmina aliena dalla pelle blu? Fatto sta che per me è diventato un tormentone: ancora a distanza di anni, ogni tanto la frase insensata erutta dalle profondità del mio encefalo, ossessionandomi per ore ed ore, simile a un mantra, al punto da farmi temere di morire pazzo come è successo a Cantor. 
Vediamo che certi mondegreen stravaganti (es. "o la falappi di blu", "LECCA LA CALIPPA BLU") sembrano contraddire le spiegazioni psicologiche date da Pinker e da Connor, proprio perché hanno prodotto frasi prive di senso e neppure assimilabili ad antroponimi. Non riducono l'inspiegabilità e l'assurdo: si limitano a dargli una labile apparenza di sintassi coerente.

Soramimi e traduzioni omofoniche

Un fenomeno non troppo dissimile dal mondegreen è il soramimi, (dal giapponese 空耳 "ascolto alterato", "pensare di aver sentito"), che però si distingue per il fatto non irrilevante di essere volontario. Alcuni lo reputano un caso particolare di mondegreen; questa ipotesi mi appare abbastanza discutibile. Tuttavia non si può escludere che all'origine di un soramimi possa esserci un mondegreen, una pareidolia involontaria poi usata a bella posta. Un caso particolare di soramimi è la traduzione omofonica o quasi omofonica, che consiste nell'adattamento di una frase o di un intero testo da una lingua ad un'altra, basandosi interamente sull'assonanza. La traduzione omofonica parte dal testo in una data lingua e ottiene un testo in una lingua diversa. Il soramimi include anche casi in cui si parte dal testo in una data lingua e si ottiene un altro testo nella stessa lingua. L'intento di simili costruzioni non è necessariamente di scherno o di satira.
Tutti ci siamo imbattuti in stramberie di questo genere nel corso della nostra esistenza. Ricordo il cantante biondiccio dei Gatti di Vicolo Miracolo, mentre si esibiva su Antenna 3 Lombardia assieme a Umberto Smaila, all'epoca affettuosamente soprannominato "Smaiala". La canzone intitolata Georgia on my mind (Ray Charles, 1979, da un precedente motivo) era tradotta come "Giorgia, non mangi mai", richiamando l'attenzione sul terribile problema dell'anoressia giovanile. In modo simile, le parole "feelings, nothing more than feelings" (Morris Albert, 1974) furono trasposte in italiano come "fili, fili di parole". Credo che questo adattamento fosse opera di Johnny Durelli, pardon, Dorelli.
La tipica pronuncia accademica inglese della lingua latina ha permesso il proliferare di soramimi goliardici, che rientrano nella casistica del cosiddetto Pig Latin ("latino dei maiali") o Dog Latin ("latino dei cani"), come ad esempio questa poesiola: 
 
Caesar had some jam for tea,
Brutus had a rat.
Ceasar sick in omnibus,
Brutus sick in 'at.
 

Questa è la spiegazione:
 
Caesar adsum iam forte "Cesare, sono già qui, come capita" è diventato Caesar had some jam for tea "Cesare ha preso della marmellata per il tè"; 
Brutus aderat "Bruto era presente" è diventato Brutus had a rat "Bruto aveva un ratto";
Caesar sic in omnibus "Cesare è così in tutte le cose" è diventato Ceaesar sick in omnibus "Cesare ha vomitato nell'autobus"; 
Brutus sic in at (frase di dubbia grammatica ma traducibile alla lettera come "Bruto è così nel ma") è diventato Brutus sick in 'at "Bruto ha vomitato nel (suo) cappello". 
 
L'autore a quanto pare è il giornalista e scrittore inglese Geoffrey Willans (1911 - 1958). Si può riportare anche un singolare caso di soramimi inverso. Jonathan Swift (1667 - 1745) voleva adorare una fanciulla bellissima che si chiamava Molly, così le scrisse questa poesiola in pseudo-latino:

Mollis abuti,
Has an acuti,
No lasso finis, 
Molli divinis. 
Omi de armis tres, 
Imi na dist res, 
Cantu disco ver 
Meas alo ver?

Ecco il testo in inglese, nascosto con cura sotto le apparenze latine:

Moll is a beauty 
Has an acute eye, 
No lass so fine is, 
Molly divine is. 
O my dear mistress, 
I'm in a distress, 
Can't you discover 
Me as a lover?

Il testo che sembra in latino non ha alcun senso, è stato costruito a partire da quello in inglese.

venerdì 25 dicembre 2020

NEOLOGISMI E LESSICO DOTTO DI GABRIELE D'ANNUNZIO

 
La figura enigmatica di Gabriele D'Annunzio (Pescara, 1863 - Gardone Riviera, 1938) desta tuttora in molte persone sentimenti forti e contrastanti. Alcuni provano nei suoi confronti un'antipatia viscerale. Altri invece nutrono per lui una vera e propria adorazione. Tutto questo a babbo morto dal 1938. Se ci pensiamo, è un caso abbastanza inconsueto, addirittura più unico che raro. A parte gli aspetti problematici di questo personaggio istrionico, bisogna riconoscere come dato di fatto innegabile il suo ruolo nel plasmare la lingua italiana. Pochi ne sono consapevoli, ma utilizziamo ancora non poche sue invenzioni lessicali, che hanno cambiato per sempre la lingua italiana. A volte capita di imbattersi in qualche articolo che cita a titolo di esempio una decina di creazioni del Vate. Le più conosciute e riportate ciclicamente nei media sono senz'altro le seguenti: 
 
1) Il sostantivo automobile di genere femminile
D'Annunzio ritenne che un'automobile fosse come una bella donna, sinuosa e ammaliante. Queste sono le sue parole: "L’automobile è femminile: questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità di una seduttrice e delle donne, ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza." Ai suoi tempi l'uso generale imponeva che il sostantivo automobile fosse di genere maschile e che si dovesse usare l'articolo indeterminativo congruente. Si scriveva quindi un automobile, senza apostrofo. Questo uso fu cambiato. Oggi nessuno direbbe mai "questo automobile è molto bello".

2) L'idronimo Piave di genere maschile
In precedenza si diceva la Piave, non il Piave. D'Annunzio pensò che il fiume veneto dovesse trasmettere un'idea di forza, eroismo e virilità, tutte caratteristiche intrinsecamente connesse al genere maschile. Quindi il Fiume Sacro della Patria fu "promosso maschio per merito di guerra". A dire il vero già nel 1892 Carducci aveva usato la forma maschile nella sua ode Cadore, ma era stato severamente censurato dalla critica. Del resto era ben noto per il suo scollamento dalla realtà fisica geografica, lui che aveva fatto tramontare il sole dietro al Resegone. Ciò che non riuscì a Carducci, riuscì invece a D'Annunzio. L'antico idronimo Plavis è di origine venetica e deriva dalla radice indoeuropea *plew- / *plow- / *plu- "fluire", che ha dato anche il verbo latino pluere "piovere". Oggi nessuno ricorda più l'esistenza del femminile la Piave, a parte pochissimi anziani dialettofoni ormai prossimi a raggiungere i lidi plutioniani. È tuttavia ancora chiamato Piave Vecchia un ramo del fiume che accoglie parte della foce del Sile.
 
3) L'antroponimo femminile Ornella
Si chiama Ornella un personaggio della tragedia in tre atti La figlia di Iorio (1903). L'etimologia è considerata incerta e in genere ricondotta al fitonimo orno, ornello, nome popolare del frassino da manna (Fraxinus ornus). In toscano questo albero è detto avòrnio, in abruzzese è detto urnielle; si distingue per la forma sinuosa e il profumo dei suoi fiori. Nonostante l'avversione del Vate nei confronti dell'anglofonia, per me non si può escludere la possibilità che il nome Ornella sia invece derivato dall'inglese horny "sessualmente eccitata, arrapata". Questo significato, comune per entrambi i sessi, è attestato con certezza a partire dal 1889: non sarebbe un anacronismo. La cosa non mi stupisce: è ben risaputo che nella mente di D'Annunzio il sesso ricopriva un'importanza determinante. Avrebbe quindi mascherato un termine inglese, nascondendone l'origine. Comunque sia, si ha una misteriosa attestazione anagrafica: da documenti anagrafici risulta che a una bambina nata nel 1900 è stato attribuito il nome Ornella (Fonte: Dizionario Storico del Nomi Italiani, Utet). Molto raro il maschile Ornello, passaporto per un destino di soprusi ad opera dei bulli.

4) L'antroponimo femminile Cabiria 
Deriva dal punico kbr /ka'bi:r/ "grande" (cfr. ebraico כַּבִּיר kabbīr "enorme, immenso", arabo kabīr "grande, potente", akbār "grande"). La formazione con un suffisso -ia atono non è però tipica delle lingue semitiche, mentre è la norma in quelle indoeuropee. Il nome fu inventato da D'Annunzio per l'eroina protagonista dell'omonimo film muto del 1914 (Cabiria, di Giovanni Pastrone), di cui firmò anche la sceneggiatura. La pellicola, il cui sottotitolo è Visione storica del terzo secolo a.C., è ambientata nel contesto della Seconda Guerra Punica, a Cartagine. Ai nostri giorni il nome Cabiria è molto raro e si trova soprattutto a Roma e a Latina. Esiste anche la variante Gabiria. Si trova persino un maschile Cabirio, per fortuna ancora più raro.

5) L'antroponimo femminile Liala 
Nacque come pseudonimo della scrittrice Amalia Liana Negretti Odescalchi (1897 - 1995). Si dice che D'Annunzio volesse donarle un nome che contenesse ortograficamente un'ala. Così Amalia Liana divenne Liala. Si direbbe piuttosto una naturale evoluzione fonetica da /a'malja li'a:na/ a /li'a:la/, aiutata dall'assimilazione di -n- in -l-. 

6) L'arzente 
Proviene dallo spagnolo agua ardiente, che fu adattato in italiano come acqua arzente o acque arzenti (il plurale era più comune) e fu usato per indicare l'alcol prodotto dalla distillazione. Il passaggio da ardiente /ar'djente/ ad arzente /ar'dzente/ è una semplice e naturale assibilazione. Si è così creata l'allotropia arzente - ardente. In sardo l'assibilazione non si produsse e la locuzione spagnola agua ardiente dette origine per calco parziale alle forme eardenti (gallurese), abbardente (logudorese, nuorese) o acuardenti (campidanese). D'Annunzio, dovendo sostituire il francesismo cognac, estrasse l'aggettivo dalla locuzione acque arzenti, sostantivandolo. Produsse così un neologismo, arzente "cognac", che ormai è caduto in disuso. Credo che nessuno più lo ricordi. Nonostante sia creduto da molti, l'arzente non deriva dall'aggettivo arzillo: si tratta di un'etimologia popolare. 
 
7) Il tramezzino 
La creazione lessicale dannunziana dovrebbe risalire al 1926 (secondo alcuni all'anno precedente) e aver avuto luogo a Torino, al Caffè Mulassano di Piazza Castello. Pare quasi un calco del catalano entrepà "sandwich", ossia "in mezzo al pane". Non mancano leggende bizzarre: ad esempio si dice che i sandwich ricordavano al Vate i tramezzi (elementi architettonici) della sua casa di campagna. Il neologismo non sarà più di uso comunissimo, ma non si trova nessuno che non lo intenda. Qualche tempo fa ho scritto un trattatello sull'argomento, a cui rimando per maggiori informazioni: 

 
8) Il velivolo 
Nel corso di una conferenza sul Dominio dei cieli, tenutasi nel 1910, l'Imaginifico ebbe a dire: “La parola è leggera, fluida, rapida; non imbroglia la lingua e non allega i denti; di facile pronunzia, avendo una certa somiglianza fònica col comune veicolo, può essere adottata dai colti e dagli incolti”. Il vocabolo compare nel romanzo Forse che sì forse che no (1910). L'origine è dall'aggettivo latino vēlivolus, il cui significato è duplice: 
i) che naviga veloce con le vele (detto di nave);
ii) solcato da navi veloci (detto di mare).
Il neologismo non sarà di uso comunissimo, ma non si trova nessuno che non lo intenda.


9) La fusoliera 
Questo lemma tecnico del linguaggio dell'aviazione indica la parte dell'aereo allungata nel senso del moto. Nel romanzo Forse che sì forse che no (1910), l'Imaginifico scrisse: “… immaginò di ritrovarsi nella lunga fusoliera che formava il corpo del suo congegno dedàleo tra i due vasti trapezii costrutti di frassino di acciaio e di tela, a, dietro il ventaglio tremendo dei cilindri irti d’alette, di là dai quali girava una forza indicibile come l’aria: l’elica dalle curvature divine”. Deriva dal veneziano fisolera "barca di forma stretta e allungata", italianizzato in modo tale da somigliare a fuso (strumento per filare). Il neologismo non sarà di uso comunissimo, ma non si trova nessuno che non lo intenda.

10) Lo scudetto
Il simbolo della vittoria del campionato di calcio fu un'invenzione dannunziana, che scelse per designarlo una parola già in uso nel linguaggio dell'araldica. La prima squadra a giocare con lo scudetto cucito sul petto dei calciatori fu il Genoa, nel 1925. La locuzione è tuttora in uso vibrante. 

11) La Rinascente 
È una sorprendente creazione pubblicitaria. Nel 1917 andò a fuoco un grande magazzino milanese, che era stato fondato nel 1865 dai fratelli Luigi e Ferdinando Bocconi nell'angolo di via Santa Radegonda. Era il primo negozio italiano di abiti preconfezionati. Nello stesso anno dell'incendio, l'imprenditore Senatore Giuseppe Cesare Borletti rilevò l'attività, a cui D'Annunzio diede prontamente un nuovo nome che alludeva al mito dell'Araba Fenice. La catena di negozi La Rinascente è tuttora presente in 12 città italiane.
 
12) I Vigili del Fuoco 
La locuzione è tuttora in uso vibrante. Trae origine dalle Cohortes vigilum che nell'antica Roma si occupavano di proteggere la città dagli incendi. Nel 1935 D'Annunzio denominò Vigili del Fuoco i membri del Corpo Nazionale con funzioni antincendio e di protezione civile, sostituendo il termine di origine francese Pompieri. Anche se l'Autarchia culturale è finita da un pezzo e la parola pompiere è stata nel frattempo reintrodotta in italiano, resta comunque vitale anche la creazione dannunziana. Si noti che il nome ufficiale è tuttora Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.       

13) Il Milite Ignoto 
Il Milite Ignoto è un caduto al fronte durante la Prima Guerra Mondiale, sepolto a Roma sotto la statua della dea Roma all'Altare della Patria al Vittoriano; è senza nome conosciuto, dato che il corpo fu scelto tra quelli privi di elementi che potessero permettere il riconoscimento. Tramite questo neologismo tratto dal latino (mīles ignōtus "soldato sconosciuto"), D'Annunzio intendeva sottrarre all'Oblio tutti i caduti italiani che sono morti senza poter essere identificati, rendendo loro pieno onore. La locuzione è tuttora in uso ufficiale. Ogni anno il Presidente della Repubblica depone fiori sulla tomba del Milite Ignoto.

14) Il marchio Saiwa 
È una sorprendente creazione pubblicitaria. Si tratta di un acronimo formato dal nome della Società Accomandita Industria Wafer e Affini. D'Annunzio aveva licenza di derogare dalle direttive che scoraggiavano l'uso di lettere considerate "straniere", come appunto la w. Tale lettera era pronunciata come una fricativa labiodentale /v/, proprio come in tedesco. Saiwa si pronunciava e si pronuncia anche ai nostri giorni /'saiva/, così come wafer è ancora pronunciato /'vafer/, pur venendo dall'inglese. Il marchio in questione esiste tuttora. Famosi sono gli Oro Saiwa, forse i più austeri tra tutti i biscotti, che però apparvero sul mercato negli anni '50. 
 
Un tentativo di classificazione
 
Il punto è che i neologismi sopra riportati e discussi sono soltanto una frazione piccolissima di ciò che D'Annunzio produsse come "operaio della parola". Egli si vantava di aver usato nelle sue opere ben 40.000 parole, di cui molte da lui inventate di sana pianta o in ogni caso mai viste prima in letteratura. Sarebbe di grande utilità pratica classificare le innovazioni linguistiche dannunziane secondo un criterio approssimativo. 
 
1) parole o locuzioni create di sana pianta;
2) parole italiane già esistenti, cadute in disuso e reintrodotte, anche con semantica differente da quella originale;
3) parole latine reintrodotte (latinismi solenni);
4) parole greche reintrodotte (grecismi solenni);
5) parole prese da altre lingue, romanze (inclusi i dialetti) e non romanze; 
6) motti e creazioni politiche 
 
Procediamo quindi ad analizzare alcuni esempi salienti per ciascuna di queste tipologie, senza la benché minima pretesa di essere esaustivi. Riporto il link a un interesante articolo apparso su Treccani.it, D'Annunzio, lessico e nuvole (Stefania Stefanelli, 2018), che tratta questi argomenti: 
 

Approfondisco per sommi capi quanto descritto, aggiungendovi altro materiale.

Parole o locuzioni create di sana pianta

1) Locuzioni (inclusi marchi pubblicitari)  

Oltre al Milite Ignoto e ai Vigili del Fuoco, abbiano le seguenti innovazioni poetiche:
 
Sangue Morlacco "cherry brandy"  
Nel 1919, in occasione dell'Impresa di Fiume, D'Annunzio battezzò così il liquore prodotto dalla distilleria Luxardo. Il colore rosso scuro della bevanda alcolica richiamava alla sua mente quello del sangue, mentre l'aggettivo fa riferimento ai Morlacchi, una popolazione di origine valacca stanziata nell'entroterra della Dalmazia e in altre aree balcaniche. L'etnonimo è giunto in italiano tramite il  greco bizantino Μαυρόβλαχοι (Mauroblákhoi), ossia Valacchi Neri. Il Vate scrisse queste parole: "il liquore cupo che alla mensa di Fiume chiamavo “Sangue Morlacco”." Certo che si trattavano bene!

Spirito d'avena "whisky" 
Durante l'Autarchia, il whisky non poteva essere chiamato col suo nome originale, che risale al gaelico. Essendo prodotto in Italia con malto di avena, fu chiamato per l'appunto spirito d'avena. Non ci sono dubbi: questo nome del whisky autarchico è una chiara creazione dannunziana. Caduto Mussolini, lo spirito d'avena scomparve dal sapere comune. 
 
Liquore delle virtudi "Amaro Montenegro" 
Una delle più riuscite trovate pubblicitarie dell'Imaginifico, la cui firma si trova ancora nel retro dell'etichetta. L'Amaro Montenegro nacque a Bologna nel 1885. Il suo artefice, il distillatore ed erborista Stanislao Colabianchi, lo dedicò alla Principessa Elena di Montenegro, che sarebbe poi stata Regina d'Italia. Ottenuto da 40 erbe aromatiche, la ricetta dell'elisir è tuttora segreta. In tempi più recenti, lo stramaledetto moralismo americano ha obbligato a scrivere ovunque che "si raccomanda un uso moderato". La mia risposta è questa: Me ne frego! 

Nepente di Oliena "tipo di vino sardo"
E un Cannonau di Sardegna, che fu così chiamato da D'Annunzio perché ritenuto degno della tavole degli Dei e capace di far obliare ogni affanno. Il nepente è infatti una bevanda che a detta dei Greci antichi era in grado di lenire il dolore e di farlo dimenticare. La pronuncia corretta di Oliena è Olìena, con l'accento sulla -i- (sardo Ulìana). Il toponimo, preromano e preindoeuropeo, è nuragico.
 
adunata oceanica "adunata immensa"  
folla oceanica "folla immensa" 
clamore oceanico "clamore immenso" 
Sono tipiche iperboli, in cui l'aggettivo oceanico sta per "immenso, enorme, grandioso" e allude a una vastità smisurata come quella degli oceani. D'Annunzio sapeva utilizzare freddi aggettivi scientifici (oceanico "relativo all'oceano) per farne uso poetico. La stampa fascista fece grande uso di queste iperboli. La locuzione folla oceanica è tuttora di uso comune. Ricorre in Untitled, una canzone dei Varunna, robusta band che suona musica Neofolk militarista: 
"Nei ranghi serrati, tra folle oceaniche, così ricordo la nostra giovinezza. Poi fuggono gli anni, e onore e bellezza fanno luce come fossero le nostre baionette!" 
Stupisce che simili parole di pura poesia siano state ferocemente censurate nel Web, come se avessero il potere magico di resuscitare un passato oscuro. 

2) Sostantivi (inclusi marchi pubblicitari) 
 
Oltre al tramezzino e al marchio Saiwa, abbiamo alcune significative innovazioni che in genere sono trascurate dai siti del vasto Web:   
 
Aurum "un liquore tipico di Pescara"
Fu proprio D'Annunzio a suggerire ad Angelo Pomillo il nome di un liquore a base di brandy e infuso di arance, che l'imprenditore produceva nella sua fabbrica a Pescara. Alla base di questa denominazione sta un gioco di parole tra il latino aurum "oro" e il latino moderno aurantium "arancio" (frutto), aurantius "arancione". L'origine di aurantium è dall'arabo نَارَنْج‎ nāranj, a sua volta dal persiano نارنگ‎ nārang, in ultima analisi dal sanscrito nagarañja "frutto prediletto dagli elefanti". L'aspetto fonetico è stato alterato a causa di un'associazione paretimologica con aurum "oro". 

parrozzo "tipo di dolce al cioccolato" 
La pronuncia corretta è /par'roddzo/, con -o- tonica chiusa e -zz- sonora ("dolce" secondo la denominazione della Crusca). Questo perché deriva dall'assimilazione di un originario pan rozzo. Si tratta di un dolce ricoperto di cioccolato, tipico dell'Abruzzo e prodotto dal 1920 dall'industriale Angelo D'Amico. Mi rendo conto che la cosa potrà sembrare scandalosa, eppure è così. L'ispirazione è venuta al Vate pensando ai monticoli di feci che Eleonora Duse gli deponeva sensualmente sul torace. Erano escrementi grassi e pastosi, abbondantissimi, che lui gustava con avidità ed associava nell'immaginazione al cioccolato. Era un genuino coprofago! La spiegazione ultima della creazione lessicale è questa: il pane rozzo è il cibo passato attraverso l'intestino di una amante ed espulso dal suo ano. In un'occasione il Vate ebbe addirittura a definirsi parrozziano: aveva coniato un aggettivo a dir poco bizzarro! Possiamo usare parrozziano come sinonimo eufemisitico di "coprofilo" e "dedito alla coprofagia in contesti erotici". 

Parole italiane reintrodotte  

Sono davvero numerose le parole ricercate e desuete riportate a nuova vita letteraria, seppur effimera. Nella massima parte dei casi non sono riconoscibili e comprensibili dai parlanti moderni. Se le si usasse in un discorso rivolto a una compagnia di escort e di fiutatori di bamba nella notte della Milano da bere, si sarebbe guardati come extraterrestri. I branchi di bulli che infestano le scuole riterrebbero di avere a che fare con parole giapponesi! 

abbertescare "rinforzare; difendere" 
In realtà il significato centrale è "difendersi, stare sulla difensiva". Alla lettera sta per "dotare o dotarsi di bertesca". La bertesca è un riparo di guerra, un'opera difensiva di fortificazione, in legno o in muratura, che serviva a combattere contro gli assedianti restando al coperto.
Varianti: bertresca, beltresca  
Altre attestazioni: baltresca "ingombro" (Pascoli)
Milanese: baltresca "altana" (ancora usato in Brianza nel senso 
     idiomatico di "uomo di dubbia moralità") 
Latino medievale: brittisca 
I romanisti credono che il termine in questione derivi da Brittus "bretone" e che significhi "torre costruita alla maniera dei Bretoni" In realtà si capisce subito che l'origine è germanica: tedesco Brett "tavola; bacheca". A mio avviso è possibilissimo che il latino medievale brittisca sia un longobardismo.
 
arrubinato "riempito di vino" 
Letteralmente significa "reso rosso come il rubino". Si tratta di un verbo ricercato, usato da Boccaccio. Caduto da lungo tempo in disuso, questo vocabolo fu recuperato e reintrodotto con scarsa fortuna. Oggi è completamente dimenticato.  
 
caleffadore "burlone"
Questo vocabolo fu usato da Boccaccio. Deriva dal verbo caleffare "farsi beffe degli altri, burlare" (coniugazione: io calèffo, etc.), esito del latino calefacere "riscaldare", che dovette essere usato a un certo punto in senso traslato.
Varianti: caleffatore
Ai nostri tempi il verbo caleffare e i suoi derivati non hanno alcuna speranza di essere usati o anche soltanto compresi dalla gente comune quanto dai dotti.

croio "rustico, zotico"
Vocabolo dantesco il cui significato attestato è quello di "duro, crudele, malvagio". La vocale tonica è aperta: cròio. La parola è di chiara origine cetica (gallica). Il gallico *croudios "duro, crudele" è passato in latino volgare come *crōdius, dando origine a cròio. Si noti che la trafila è poco compatibile con gli sviluppi romanzi (ci saremmmo aspettato *crozzo, con l'affricata -zz- sonora di mezzo). Per contro, in tardo gallico, il gruppo /dj/ si semplificava naturalmente in /j/: basti pensare a Milano da Mediolānum rispetto agli esiti romanzi di medius. Si noterà anche che in gallico il dittongo /ou/ era chiuso e in latino era spesso trascritto con -o- o addirittura con -u-. L'esito romanzo cròio con una vocale aperta è abbastanza oscuro. 
Peccato che questa bella parola celtica sia caduta nell'Oblio.
 
fortuna "tempesta (di mare)" 
Sinonimo di burrasca e simile a fortunale, questo vocabolo fu usato da Dante (Ond'el piegò come nave in fortuna) e si trova ancora in Manzoni (Quando ingrossa ruggendo la fortuna). Oggi intendiamo fortuna come una parola adatta a indicare soprattutto una coincidenza positiva, ma un tempo il significato era più esteso, potendo anche designare un disastro.
 
guidalesco "piaga" 
È voce longobarda, ricostruita come *widarrist "garrese" (regione del tronco dei quadrupedi corrispondente alle prime vertebre dorsali e ai muscoli che le ricoprono.), la cui pronuncia doveva essere *GUIDARRIST. E un composto di *widar-, *wider- "contro" e di *rist "giuntura". La liquida -l- si è prodotta da dissimilazione. In tedesco moderno sopravvive il vocabolo Widerrist "garrese", che in pratica è identico alla forma longobarda. Come si è prodotto lo slittamento semantico da "garrese" a "piaga"? Semplice: prima la parola guidalesco è passata a indicare una piaga che si produce sul garrese degli equini, poi la piaga stessa in senso lato, anche quella che a volte si forma sul piede di un povero mortale come me.
 
malfusso "maledetto"  
Nonostante l'apparenza, questa parola non ha nulla a che vedere con male, maledetto, etc.: si tratta invece di un prestito dall'arabo مَرْفُوض‎ marfūḍ. "rinnegato" (in origine "respinto, disprezzato", dal verbo رَفَضَ rafaḍa "lasciare, abbandonare; rifiutare, negare", da cui anche rāfiḍ "eretico", rāfiḍī "rinnegato"), giunto in italiano tramite lo spagnolo marfuz "rinnegato, traditore, ingannatore". 
 
muda "muta delle penne"
mudare "mutare le penne" 
Questi termini sono giunti in italiano antico dal provenzale mudar "mutare le penne", verbo tipico del lessico dei falconieri. Esempio: "Ma fa come sparvier in selvatica muda." (Pulci). Si vede subito che sono definite le coppie allotrope †muda - muta e †mudare - mutare. Ai nostri giorni nessuno ha la benché minima consapevolezza dell'esistenza delle parole in questione
 
rancura "affanno"
Vocabolo usato da Dante, da Guinizzelli e da Boccaccio, è una variante di rancore, con il suffisso -ura che sostituisce -ore, come in calura rispetto a calore. Priva di fondamento è l'opinione di coloro che reputano rancura una parola macedonia formata da rancore e da cura. I romanisti pensano di risolvere i problemi parlando di "incroci" anziché di "parole macedonia", ma si tratta di una strategia futile.
 
saccomanno "saccheggio" 
In origine questa parola significava piuttosto "saccheggiatore" e aveva come sinonimo saccardo. Deriva dal medio alto tedesco sackman, composto di sack "sacco" (tedesco moderno Sack) e di man "uomo" (tedesco moderno Mann). Questo vocabolo bellico è attestato a partire dalla seconda metà del XIV secolo. In origine indicava il servitore del cavaliere in battaglia, ma nel corso dei secoli ha acquisito il significato negativo di "brigante, predone". Interessante lo slittamento semantico da "uomo che compie il saccheggio" a "saccheggio, sacco".

sghignapappole "ridanciano" 
Dal verbo sghignare, derivato da ghignare, oggi sostituito da sghignazzare. La formazione è senza dubbio espressiva. Per la seconda parte del composto, confronta la locuzione cachinno spappolato. Verosimilmente si tratta di derivati di pappa (voce infantile) con un suffisso iterativo -olare e prefisso s-: spappolare, ossia "rendere informe, ridurre a pappa". 

squarquoio "lurido" 
La semantica è abbastanza vasta: oltre a "sudicio, schifoso", era usato nel significato di "vecchissimo, decrepito" e, per estensione, anche "rammollito, rimbambito". L'etimologia è sconosciuta. Non mi pare che i romanisti, tanto abili nel fabbricare costruzioni fantomatiche, siano riusciti a produrre qualche idea decente a questo proposito. Il vetusto vocabolario di Francesco Bonomi suggerisce una derivazione da squacquerare "avere il corpo sciolto", derivato da squacquera, squacchera "diarrea", oppure da contrazioni di improbabili composti mai attestati come *squarcia-cuoio o *squallido-cuoio. Cercando di spiegare Omero con Omero si giunge ad esiti folli, questo è il peccato originale dei romanisti. Non mi stupirei affatto se un giorno si riuscirà a dimostrare che sia squarquoio che squacquera provengono da parole del sostrato etrusco in toscano.

trambasciare "essere angosciato" 
Il verbo è un chiaro derivato di ambascia "grave difficoltà di respiro; oppressione dell'anima". L'origine di ambascia è chiaramente celtica (gallica): è derivata per aplologia da *ambi-baskiā "carico, equipaggiamento", dove ambi- è preposizione di origine indoeuropea che significa "intorno", ben attestata nell'onomastica gallica (cfr. latino ambi-, greco amphi-), mentre la radice *bask- significa "legare". Nel medioevo è avvenuta lo slittamento semantico che ha portato ambascia a significare "incubo, terrore notturno" e quindi "angoscia". Sorprende che gli accademici della Treccani si limitino a riportare "etimologia incerta", senza neppure abbozzare una discussione.
 
Latinismi solenni  
 
Numerosissime parole estremamente ricercate sono state tratte a viva forza dal latino aulico. In molti casi l'esperimento lessicale non era mai stato tentato prima nell'intera storia della letteratura italiana. Non stupisce che queste scelte siano apparse troppo stravaganti e che non abbiano avuto successo. Talvoltra D'Annunzio intese restaurare un'ortografia vicina a quella del latino, scrivendo ad esempio imagine anziché immagine
 
àvio "impervio, remoto".
In latino āvius ha un duplice significato: 
1) "impraticabile, inaccessibile, fuori della strada", 
2) "sviato, traviato, deviato, smarrito". 
Si tratta di una formazione dotta a partire da via "via" con l'aggiunta del prefisso ab- "da", che subisce assimilazione: *abvius > āvius. Questo latinismo solenne non si è imposto nell'uso corrente ed oggi è completamente dimenticato. 
 
caupona "osteria".  
In latino caupōna ha un duplice significato: 
1) "osteria, taverna", 
2) "ostessa". 
L'oste è chiamato caupō (genitivo caupōnis). In ultima analisi è un vocabolo di provenienza etrusca. D'Annunzio ha pensato di far rivivere la parola con il significato 1); non è tuttavia riuscito nel suo intento. Questo latinismo solenne non si è imposto nell'uso corrente ed oggi è completamente dimenticato. Secondo Giuseppe Lando Passerini,  questa voce non era mai stata usata prima nell'intera letteratura italiana.
 
clamoso "strepitante".  
In latino clāmōsus ha i seguenti significati: 
1) "urlante, schiamazzante" (detto di persone), 
2) "forte, risonante, fragoroso" (detto di voci), 
3) "affollato, rumoroso" (detto di luoghi), 
4) "brontolone".  
D'Annunzio ha pensato di far rivivere la parola con il significato 1); non è tuttavia riuscito nel suo intento. Questo latinismo solenne non si è imposto nell'uso corrente ed oggi è completamente dimenticato. 
 
cucurbita "zucca". 
In latino cucurbita ha i seguenti significati: 
1) "zucca", 
2) "zuccone, sciocco", 
3) "coppetta, ventosa, strumento per estrarre il sangue dalla testa". 
In italiano è un termine scientifico provienente dal linguaggio dei botanici. Questo latinismo solenne non si è imposto nell'uso corrente ed oggi è completamente dimenticato, salvo che nel linguaggio tassonomico.
 
illune "senza luna". 
Secondo Giuseppe Lando Passerini, la voce illune non era mai stata usata prima nell'intera letteratura italiana. Aggiungerò che non sembrano esistere esiti dotti o volgari del latino illūnis (variante rara illūnius) nell'intera Romània: il neologismo dannunziano è unico. Si noterà che la locuzione notte illune è tuttora in uso vibrante. Ben pochi sospetterebbero che la si debba proprio a D'Annunzio. Un latinismo in italiano non è necessariamente sempre antico. 
 
Sono presenti diverse parole la cui origine ultima è greca, che tratto in questa sezione perché sono state certamente mediate dalla lingua di Roma: 
 
camelopardo "giraffa"
Dal latino camēlopardus, a sua volta dal greco antico καμηλοπάρδαλις (kamēlopardalis). Per quanto sia diffuso il suo uso col significato di "giraffa", alla lettera "cammello screziato come un leopardo", non è affatto sicuro che si trattasse dello stesso animale. Il significato moderno si deve a Linneo. 
 
demònico "demone, demonio" 
Dal latino daemonicus, variante di daemoniacus, che ha dato il più comune demoniaco. D'Annunzio ha sostantivato questo aggettivo, che spesso usava per designare un genio benefico ben diverso dal Maligno della tradizione cristiana. L'origine delle parole daemōn "demone" e daemonium "demonio" è greca, da δαίμων (daímōn) e δαιμόνιον (daimónion) "divinità, potere divino" rispettivamente, ma si è avuta una trasformazione semantica profonda ad opera del linguaggio ecclesiastico. Va però notato che già lo stoico Crisippo (280 a.C. - 205 a.C.) aveva usato daimonion nel senso di "spirito maligno" 
"E mi comunicò infine la sua fede nel demònico; il quale non era se non la potenza misteriosamente significativa dello Stile non violabile da alcuno e neppur da lui medesimo nella sua persona mai."
(Le vergini delle rocce, 1895)
 
eremitico "di eremita, che si appartiene al romita o alla vita solitaria e devota" (cfr. Passerini) 
Un aggettivo dottissimo, che però ancor oggi gode di sostenitori, tra cui il sottoscritto. Deriva dal latino tardo erēmīticus, che a sua volta è stato formato dal greco ἐρημίτης (erēmitēs) "del deserto".
"Tutti i romori della vita d’una suburra infima salivano, in certe ore, a quella altezza e facevano tremare d’orrore le povere spose di Gesù, chine in umiltà su i tegami d'argilla pieni dell'eremitica innocenza dei legumi e delle verdure."
(Il libro delle vergini, 1884)
 
Nel Libro segreto, ultima opera del Vate, ricorrono parole inventate, che sono state formate sul modello di parole latine a partire da radici latine. Questo è un esempio:
 
ignispicio "divinazione fatta per mezzo del fuoco"  
Dal latino ignis "fuoco", con l'aggiunta di un derivato della verbo specere "guardare" . Il composto è formato in modo ineccepibile.  
 
Grecismi solenni 
 
In questa categoria di parole rientrano anche non pochi termini del linguaggio medico e più in generale scientifico, introdotti nel linguaggio letterario dannunziano. Troppo dotte, in genere queste parole non sono riuscite a diventare popolari, con alcune notevoli eccezioni. 
 
afasia "incapacità di parlare" 
Termine del lingaggio medico, dal greco antico φασία (aphasíā), da ἀ- (a-) "senza" e da φάσις (phasis) "voce". 
"Due disturbi cerebrali più terribili per un uomo di lettere, per un artefice della parola, per uno stilista: l'afasía e l'agrafía."
(L'innocente, 1892)

criselefantino "fatto d'oro e di avorio" 
Dal greco antico χρυσελεφάντινος (khryselephántinos), aggettivo composto formato a partire da χρυσός (khrysós "oro") e da ἐλεφάντινος (elephántinos "di avorio"). La pronuncia in italiano è criselefantìno, con l'accento sulla penultima sillaba, anche se stando al greco antico e al suo adattamento in latino, chrȳselephantinus, si dovrebbe dire invece criselefàntino, con l'accento sulla terzultima sillaba. Questo suffisso -inus ha infatti la vocale -i- breve e non è lo stesso che si trova in aggettivi latini nativi come lupīnus, canīnus, ursīnus, porcīnus, dove la vocale è una -ī- lunga. In ogni caso, questo grecismo solenne non è riuscito a imporsi nell'uso corrente e oggi è del tutto dimenticato. 
 
dipsomane "tormentato dalla sete" 
Retroformato da dipsomania, dal greco antico δίψα (dípsa) "sete" e μανία (maníā) "mania"
"Avevamo, come i dipsomani, due vite alterne : una tranquilla... l'altra agitata, febrile, torbida, incerta."
(L'innocente, 1892)

epopto "sorvegliante" 
Dal greco antico ἐπόπτης (epóptēs) "iniziato ai misteri; osservatore, ispettore", composto di ἐπί "sopra" e della radiec verbale ὀπ- "vedere". 
"L'ombra d'una nube curvata
era sul Callicoro, come
l'ombra del mietitore
indicibile che innanzi
agli epopti mieteva
la spiga di grano in silenzio."

(Laudi, 1903-1912)


ninfomane "donna d'insaziabili appetiti sessuali"  
Dal greco antico νύμφη (nýmphē) "ninfa, sposa" e μανία (manía) "mania". La parola ninfomania è stata coniata nel 1771 dal medico francese Jean Baptiste Louis de Thesacq de Bienville. D'Annunzio la trasse dall'ellenizzante linguaggio scientifico e la introdusse nell'uso quotidiano. Ancora oggi è ben nota a tutti Se il genere umano non si estinguerà presto, la fortuna di questo vocabolo durerà più dei monumenti dei Faraoni!
"Il matrimonio della sorella aveva avuto per auspice una ninfomane."
(Trionfo della morte, 1894). 

panoplia "armatura completa" 
Dal greco antico πανοπλία (panoplíā) "armatura degli opliti", composto di παν- (pan-) "tutto" e ὅπλον (hóplon) "arma". Attualmente la parola è usata con un significato del tutto diverso: ricordo che all'università chiamavano "panoplia" una specie di bacheca.
"Staccò da una panoplia due lunghe pistole d'arcione e le esaminò attentamente." 
(Le novelle della Pescara, 1884-1886)
 
pròtome "busto scultoreo"  
Dal greco antico προτομή (protomḗ) "parte anteriore; busto". Il sostantivo è un derivato del verbo προτέμνω (protémno) "taglio davanti". Come termine della nomenclatura artistica, la protome fu introdotta già nel XIX secolo per indicare un elemento decorativo antico costituito da una testa umana o animale, con o senza una parte del busto. Fu D'Annunzio a farne un termine lettario, con scarsa fortuna, a quanto pare. 

priapèa "discorso o canto in onore di Priapo" 
Dal greco antico Πριάπειος  (Priápeios) "di Priapo", il cui neutro plurale è Πριάπεια  (Priápeia), lett. "le cose di Priapo". Questo aggettivo è stato adottato dal latino aulico. I Carmina Priapēa sono una raccolta anonima di 95 carmi latini databili al I secolo d.C. e dedicati all'itifallico Priapo, divinità della fertilità. L'opera contiene attacchi violentissimi contro le donne vecchie e ancora libidinose: dubito che piacerebbe a certe porno-nonne che imperversano su Facebook!
"Le priapèe, le fantasie scatologiche, le monacologie, gli elogi burleschi."
(Il Piacere, 1889) 

teurgo "mago, stregone, facitore di miracoli" 
Dal greco antico ϑεουργός (theurgós), composto di ϑεός (theós) "dio» e ἔργον (érgon) "opera, attività". Il latino tardo ha theurgus.
"I pampini stillanti.... sembravano l'ultimo frammento visibile d'un mondo allegorico ideato da un teurgo, presso a scomparire."
(Trionfo della morte, 1894)
 
Nel Libro segreto, ultima opera del Vate, ricorrono parole inventate, che sono state formate sul modello di parole greche a partire da radici greche. Questo è un esempio:
 
myrionyma "che ha innumerevoli nomi"  
Dal greco antico μυρίος (myríos) "innumerevole, infinito" e ὄνυμα (ónyma) "nome", genitivo ὀνύματος (onýmatos). A mio avviso il composto è formato male, anche se è bellissimo. 

Si noterà l'uso della lettera y, ritenuto problematico dal Regime. Al contempo, il Libro segreto continene vocaboli scatologici come pisciare e smerdare, oltre al poco poetico coglione!
 
Parole da altre lingue e dialetti 
 
Alcuni interessanti contributi alla lingua italiana sono stati presi da D'Annunzio da svariate realtà locali. Altri sono stati importati da lingue diverse. 

ammammolarsi "avere gli occhi inumiditi dalla commozione" 
Parola toscana colloquiale che derivata da màmmolo "bambino, fanciullo". Non è riuscita a imporsi nell'italiano standard e la consideriamo dialettale.
 
falbalà "larga striscia di stoffa ornamentale" 
(variante: falpalà)
Dal francese falbala, che a sua volta è ritenuto un prestito male assimilato dal franco-provenzale farbella "frangia, merletto"". Questa parola è imparentata col francese antico felpe, feupe "tessuto vellutato", che ha dato l'italiano felpa. Si risale al latino medievale faluppa "paglia o rami minuti, scarti vegetali", parola di sostrato di origine non celtica e non indoeuropea che ha dato initaliano faloppa "bozzolo del baco da seta la cui crisalide è morta e putrefatta". Attualmente la parola falbalà è nota in Italia solo perché si chiama cosi l'amichetta di Asterix.

fraglia "fratellanza" 
Parola veneta, attestata anche come fragia, frala e frataglia deriva da un latino medievale fratalia, fratalea "fratellanza". Il vocabolo, attestato nel Veneto medievale e della prima età moderna, indicava sia le corporazioni di arti e mestieri che le confraternite religiose. Alcuni credono erroneamente che sia una parola macedonia: 
fratellanza + famiglia = fraglia
Questo accade quando si ignorano dati storici essenziali e si cerca di fabbricare un'etimologia a partire da evidenze insufficienti. Un'insidia sempre in agguato!
Oggi la parola fraglia sopravvive come tecnicismo per indicare un'associazione velistica. Esistono la Fraglia Vela Riva, la Fraglia Vela Desenzano, e naturalmente la Fraglia Vela D'Annunzio.   
 
galgo "levriero" 
Dallo spagnolo galgo "tipo di cane usato per la caccia alla lepre". Questa parola, che si trova anche in portoghese, secondo l'Accademia Reale di Spagna deriverebbe dal latino (canis) gallicus, ossia "cane gallico", perché si crede che in origine sia stato importato dalle Gallie. È possibile che l'etimologia  genuina sia invece celtica. Potremmo ricostruire una protoforma *gaslo-kū, dove il primo membro del composto ha dato origine al gaelico di Scozia galla "cagna" (< *gas-lijā) e al gallese gast "cagna" (< *gas-lijā), mentre il secondo membro è il nome celtico del cane, di chiara origine indoeuropea, che ha dato irlandese e gallese ci. Il galgo è un animale magrissimo, microcefalo e di ossatura assai gracile, spesso sottoposto dai suoi proprietari a trattamenti raccapriccianti. D'Annunzio ne aveva un'immagine un po' troppo idealizzata: se lo raffigurava come una bestia imponente! Così scriveva ne Il Fuoco (1900): 
"V'era il galgo spagnuolo, migrato co' Mori, quello magnifico che il nano pomposo regge a guinzaglio nella tela di Diego Velasquez." 
 
orbace "tipo di panno di lana grezza"
Dal sardo orbaci "tessuto artigianale di lana grezza", a sua volta dall'arabo البَزّ al-bazz "tela, stoffa, abito". In italiano esisteva la parola albagio "specie di grossolano panno di lana", che è però caduta in disuso. Il neologismo dannunziano è passato a indicare l'uniforme dei gerarchi fascisti, che era appunto fatta di orbace nero. 

stampita "composizone musicale ritmica" 
Molti ritengono che sia dallo spagnolo estampida "fuga disordinata" (passato in inglese come stampede), ma in realtà proviene dal provenzale estampida "componimento musicale ritmato dal battito dei piedi", che ha dato anche il francese estampie. In ultima analisi sia la forma spagnola che quella occitana derivano dal verbo gotico stampjan "calpestare", da cui anche l'italiano stampare, stampa.
 
Si notano due prestiti presi dall'ebraico e italianizzati nella morfologia:
 
bato "un'unità di misura" 
Dall'ebraico בַּת bat "recipiente e misura di capacità equivalente a circa 32,5 litri". In greco antico si hanno le forme adattate βάτος (bátos) e βάδος (bádos).
Isidoro di Siviglia dà questa spiegazione: "batus vocatur hebraica lingua ab olearia mola, quae beth apud eos vel bata nominatur, capiens quinquaginta sextaria." 
Si noterà che la forma latinizzata usata da Isidoro è batus, mentre beth trascrive la parola ebraica d'origine.
 
coro "un'unità di misura" 
Dall'ebraico כּוֹר kōr "recipiente e misura di capacità equivaente a circa 325 litri", tramite il greco κόρος (kóros) e il latino tardo corus. Dieci bati fanno un coro: il bato è la decima parte di un coro. 
 
Entrambe le unità di misura degli antichi Ebrei sono menzionate nella Parabola del figliuol prodigo riscritta da D'Annunzio:
"Venivano i debitori del padre portando bati d'olio, cori di frumento in gran numero, e il giovane Carmi, assiso su la più alta loggia, dopo aver considerato quella dovizia che adunavasi nei granai vasti e nelle cisterne profonde, mirava la potenza del fiume che spandevasi per la valle distribuendo la copia delle aque alle terre felici."  

Si trova almeno una voce araba: 

dirhem "una moneta d'argento" 
È dall'arabo دِرْهَم dirham "dracma", (pl. دَرَاهِم darāhim), in ultima analisi un prestito dal greco antico δραχμή (drakhmḗ). 
"Recavi a galla, nel pugno alzato fuor d’acqua, la medusa crinita color d’ametista nella coppa imperiale; e, quando la porgevi al soldano di Lucera, pensavi dentro te, nel rimirarlo così calvo losco rossigno, che al mercato degli schiavi non n’avresti dato dugento dirhem."
(Il secondo amante di Lucrezia Buti, 1907)

Persino il giapponese è stato una fonte d'ispirazione:

daimio "signore feudale giapponese" 
Dal giapponese 大名 daimyō "signore terriero", composto di dai ("largo") e myō "nome", che sta per myōden "terra del nome", ossia "terra privata". In ultima analisi questo titolo ha la sua origine nel medio cinese 大名 dàj-mjieng "eccellente, di grande fama" (in cinese mandarino moderno è dàming).
"Egli pareva un daimio cavato fuori da una di quelle armature di ferro e di lacca che somiglian gusci di crostacei mostruosi e poi ficcato ne' panni d'un tavoleggiante occidentale."
(Il Piacere, 1889) 

guesha "geisha" 
Dal giapponese 芸者 geisha "intrattenitrice", composto di 芸 (gei "arte, tecnica") e‎ 者 (sha "persona"), di origine medio cinese. D'Annunzio ha introdotto questo nipponismo usando una strana grafia spagnoleggiante, che avrà certamente generato pronunce ortografiche.

samouraï "samurai"
Dal giapponese 侍 samurai (anticamente anche saburai), dal verbo nativo samurau (anticamente anche saburau) "essere in servizio, servire". Nonostante le opinioni dei sedicenti esperti di Quora, il samurai è ben distinto dal ぶし bushi "guerriero", anche se per un occidentale non è facile afferrare questi concetti tanto sottili. 
Si noterà l'ortografia francesizzante usata da D'Annunzio. Sorprendente, ma sappiamo che all'epoca esistevano numerosissime eccezioni alle regole dell'autarchia linguistica.

Parole come geisha e samurai sono per noi scontate, tanto da apparirci banali, ma agli inizi del XX secolo erano estremamente ricercate: non erano conosciute al grande pubblico e non erano nemmeno usate dai media. 

Motti e creazioni politiche 
 
Molto feconda fu l'attività del Poeta nel coniare motti, di cui alcuni sono diventati capisaldi del Partito Nazionale Fascista e sono tuttora ben ricordati. 

A noi! 
Reso celebre da D'Annunzio a Fiume (festa di San Sebastiano, 1920), questo motto fu in realtà coniato un paio di anni prima da Luigi Freguglia, comandante del XXVII Reparto Arditi. Equivale a "hip hip hurrà!" ed è un'abbreviazione di "A chi la vittoria? A noi!"
 
Eia! Eia! Eia! Alalà! 
(variante più comune: Eia! Eia! Alalà
Il motto è nato dall'unione dell'urlo di guerra degli Ateniesi, Alalà!, con l'esclamazione Eia!, usata dal macedone Alessandro il Grande per incitare il suo cavallo Bufecalo. È un'innovazione: nessuno tra gli Elleni dell'antichità pronunciò mai Eia! accanto ad Alalà.

Me ne frego 
(variante: Me ne strafotto)
Il Maggiore Freguglia diede al Capitano Zaninelli un incarico suicida: attaccare il caposaldo austriaco di Casa Bianca. Zaninelli replicò: "Signor comandante io me ne frego, si fa ciò che si ha da fare per il Re e per la Patria". Andò incontro alla morte, con fierezza leggendaria. Quanto diversa è la semantica del motto da quella del moderno menefreghismo!

Memento Audere Semper 
"ricorda di osare sempre" 
È stato creato utilizzando le lettere dell'acronimo MAS (Motoscafo armato silurante). Tale imbarcazione militare fu usata nella celebre Beffa di Buccari, nella notte tra il 10 e l'11 febbraio 1918. Il motto è tuttora usato in alcuni ambienti. Ricordo una bottiglia di vino rosso la cui etichetta lo riportava, scritto Memento Audére Semper con tanto di accento per evitare pronunce errate. 

Il numero dei motti dannunziani è grande: difficile tenerli tutti a mente. Per ragioni di spazio, ci limitiamo a riportarne qualche altro senza commento. 
 
Bis Pereo 
"muoio due volte" 
 
E sul monte e nello stagno son qual fui falcon grifagno
 
Gravis dum suavis 
"grave benché soave" 
 
Nec recisa recedit 
"nenache spezzata retrocede"
 
O giungere o spezzare

Semper Adamas 
"sempre adamantino", "sempre duro come il diamante" 
 
Senza cozzar dirocco

Sufficit Animus 
"basta il coraggio"

Alcuni motti sono stati presi dalla letteratura antica e riadattati al contesto. Questi sono alcuni esempi:  

Habere non haberi 
"possedere, non essere posseduto" (Aristippo, trad. latina)

Hic manebimus optime 
"qui staremo benissimo" (Tito Livio)

Immotus nec Iners 
"fermo ma non inerte" (Orazio)
 
Quis contra nos?
"chi è contro di noi?" (San Paolo)  

Un motto è di ispirazione dantesca: 

Cosa fatta capo ha
 
Si segnalano poi alcuni aggettivi stravaganti, usati nella propaganda politica: 
 
gionittiano "di Giolitti e di Nitti"
È una parola macedonia formata dall'unione dei cognomi dei due politici.   

incaporettato "coinvolto nella vergogna di Caporetto" 
Di certo non è casuale l'assonanza tra incaporettato e incaprettato.

Labbrone "soprannome di Giolitti" 
È un epiteto di scherno che oggi sarebbe considerato razzista, dal momento che allude a caratteri somatici negroidi. 
 
Approfondimenti  
 
1) Lessico tecnico automobilistico e aeronautico 

Oltre al velivolo e alla fusoliera, di cui abbiamo già trattato, si deve a D'Annunzio l'introduzione dei molte altre voci nel lessico tecnico automobilistico e aeronautico. Questa è una lista senza dubbio incompleta:
 
accensione 
carlinga 
multiplano 
panna, panne  
radiatore 
rullìo 
sterzo 
trabiccolo 
traino
triplano
virata
volante 
volano 
 
Alcune erano già usate in altro contesto, ad esempio accensione e sterzo (in origine "manico dell'aratro", di origine longobarda). Forse anche monoplano e biplano, termini che compaiono in italiano per la prima volta nel 1909, devono la loro importazione a D'Annunzio, ma non ne sono sicuro. Derivano rispettivamente dal francese monoplan "che ha un solo piano alare" e biplan "che ha due piani alari". Esisteva persino il sesquiplano, che può essere definito come un biplano in cui l'ala superiore era lunga una volta e mezzo quella inferiore (latino sēsqui- "una volta e mezzo").
 
Questi tecnicismi sono nella maggior parte dei casi ancor oggi ben conosciuti da tutti. Anche i più convinti detrattori di D'Annunzio, non soltanto usano l'automobile (di genere femminile), ma sanno bene cos'è il volante, cos'è il radiatore, cosa vuol dire finire in panne. Nessuno si sognerebbe mai di abolire questi vocaboli e di proporne di nuovi. In concreto, cosa si potrebbe mai produrre di questi tempi? All'epoca c'era la poesia, mentre oggi entrano nell'uso quotidiano neologismi orripilanti che percolano senza sosta dai tentacoli dell'Idra del politically correct.
 
2) Il cromatismo dannunziano  

Particolarmente numerosi sono i vocabili ricercati usati per indicare colori e loro sfumature o combinazioni. Eccone alcuni:
 
biavo "azzurro chiaro"
moscavoliere "grigio mosca"
nerazzurro "nero con riflessi azzurrognoli"
nerobianco "nero e bianco; tra il nero e il bianco" 
olivigno "che ha carnagione olivastra" 
oltramarato "del colore di oltremare"
verdebiondo "verde oro"
verdecilestro "verde azzurro" 
 
L'aggettivo biavo è un chiaro germanismo (cfr. tedesco Blau, inglese blue), passato in italiano tramite il provenzale blau (femminile blava). Deve essere giunto in provenzale dalla lingua dei Franchi: dal vocalismo si può escludere con certezza che possa esservi giunto dalla lingua dei Burgundi o da quella dei Visigoti.
 
Il moscavoliere (o mosca voliere) in origine era un tipo di panno di colore scuro, importato dalla Normandia. Esisteva anche la variante mostavoliere. L'innovazione dannunziana consiste nell'aver trasformato un sostantivo in un aggettivo cromatico. Oggi è in completo disuso. 

Il termine nerazzurro è oggi usato per indicare i tifosi di squadre di calcio che hanno il nero e l'azzurro o il blu nei colori delle loro maglie. La più nota di queste squadre è senza dubbio l'Inter (FC Internazionale Milano), ma sono nerazzurri anche i tifosi dell'Atalanta (noti per essere temibilissimi hooligan) e del Pisa (stando al Vernacoliere si fanno schifo da soli). 

Leggendaria era l'abilità del Vate nel recuperare forme arcaiche ed obsolete: per plasmare verdecilestro ha utilizzato cilestro anziché celeste. L'allotropia †cilestro - celeste è molto interessante. Tuttavia verdecilestro, troppo ricercato e stravagante, non è mai divenuto popolare e oggi nessuno lo userebbe. 

Il lessico cromatico di D'Annunzio abbonda di formazioni in -iccio, -astro, -ognolo per indicare colori insaturi, malati. Così quando ho soprannominato "ceceno biondiccio" il feroce Kadyrov, ho applicato senza neanche rendermene conto una denominazione dannunziana. Prima che queste formazioni si diffondessero nell'italiano corrente, se ne usavano altre che sono state del tutto rimpiazzate. Così il dannunziano brunastro ha sostituito il precedente brunazzo, che oggi farebbe ridere. 
 
3) Transumanesimo dannunziano!  

Ecco un neologismo notevole: 
 
transumano "che trascende i limiti della condizione umana"; 
    "spirituale"
Si deve a D'Annunzio la creazione di questo cruciale vocabolo, che ha assunto una particolare importanza con la comparsa del Transumanesimo (o Transumanismo, abbr. H-plus, H+, >H), movimento volto ad affermare l'uso della tecnologia per ottenere il superamento della condizione umana, eliminandone gli aspetti indesiderabili come vecchiaia, malattia e morte. Pochi transumanisti immaginano che la loro stessa denominazione abbia le sue radici nell'opera di un bizzarro abruzzese. Già Dante aveva usato il verbo transumanare "elevarsi oltrre i limiti della natura umana per attingere la natura divina", ripreso poi da Carducci. 
"I vólti transumani raggianti dalle tavole di Giotto o dell'Angelico." 
(Terra vergine)
 
4) Appunti per una grammatica dannunziana 
 
Spesso non ci rendiamo conto di avere a che fare con un'innovazione dannunziana. Una caratteristica portante è la grande estensione dell'uso dei suffissi per formare aggettivi e nuovi sostantivi, e dei prefissi per formare nuovi verbi.  La stessa parola scultoreo proviene da questo calderone creativo ed è entrata presto nell'uso. La si ritrova ad esempio in un'opera di Mario Pratesi. Il linguaggio dannunziano era ricchissimo di formazioni di questo tipo: da aggettivi come scultoreo e marmoreo derivavano poi sostantivi astratti come scultoreità e marmoreità. Dal verbo saettare derivava il sostantivo saettìo. Molte di queste formazioni sono tuttora comuni o comunque non sono avvertite come bizzarre qualora qualcuno le usasse. Altre derivazioni, meno fortunate, sono scomparse, come l'aggettivo cuioioso "di consistenza analoga al cuioio", derivato da cuoio e a mio avviso formato male. 
 
Coprofagia e igienismo 

Coloro che negano l'esistenza della coprofagia di D'Annunzio, spesso adducono come motivazione il fatto che egli fu un igienista esasperato, cosa che sembrerebbe incompatibile con il contatto con materia fecale. Invece non è così. In Germania vivono moltissimi coprofagi che maneggiano e mangiano le feci dei partner come forma di gioco erotico. Ebbene, hanno tutti al contempo una vera e propria mania per l'igiene. Fanno filmati in cui infilano la lingua nelle emorroidi e si fanno defecare o urinare in bocca, eppure quando hanno finito le loro sessioni si lavano accuratamente. Pochi capiscono la vera natura della coprofagia. Non è amore per la merda in quanto tale: è una complessa forma di adorazione estrema del partner e di masochismo. Un escremento freddo e deposto da sconosciuti fa schifo ai coprofagi come a chiunque altro.

I massaggi dannunziani 

Con mia grande sorpresa, ho appreso che nel repertorio di alcune escort ci sono i cosiddetti massaggi dannunziani. A quanto pare le cose si svolgono nel modo seguente: la escort fa stendere il cliente nudo, gli defeca addosso e lo spalma con tale pasta brunastra fino a farlo sembrare un pupazzo coperto di nutella... o un grosso parrozzo! Sono rimasto ancor più esterrefatto quando ho saputo che anche persone abbastanza schifiltose si sentono attratte da questa pratica.