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martedì 28 maggio 2019


IL COMUNISTA

Autore: Guido Morselli
Anno di scrittura: 1964-65
Lingua: Italiano  
Prima edizione: 1976
Altre edizioni: 1981, 2014 
Editore: Adelphi
Collana: Narrativa contemporanea; Fabula 
Pagine: 359 pagg.

Genere: Romanzo
Sottogeneri: Narrativa psicologica, politica, fantapolitica
Codice EAN: 9788845908378


Trama: 
Walter Ferranini è un comunista di Reggio Emilia, deputato del PCI. Duro e puro, è talmente idealista da vivere in condizioni di grande austerità anche a Roma, città eterna di crapule, bagordi e depravazioni, capitale di ogni corruzione e decadenza, madre dei vizi. Egli ha un carattere spigoloso, tanto da sembrare "tagliato con l'accetta in un legno ruvido". Il dogma marxista gli impone di credere che la natura dell'essere umano sia buona, sebbene la sua personale esperienza gli suggerisca piuttosto il contrario. Inizia così, in modo silente e inavvertito, un dissidio ideologico. Dapprima strisciante, il dubbio si insinua nel suo intelletto, per diventare poi sempre più manifesto. Se da una parte il PCI è per Ferranini una Chiesa, una specie di conventicola religiosa in cui egli stesso ricopre la carica di Vescovo, dall'altra gli eventi lo portano a simpatizzare per il torinese Roberto Mazzola, un dissidente che con le sue idee eterodosse si è attirato la censura degli inquisitori comunisti. Eppure l'eretico Mazzola è un comunista vero in tutto e per tutto, uno stalinista genuino che ha resistito alla destalinizzazione divenuta all'improvviso il nuovo Pensiero Unico del Partito, dopo anni di stalinismo professato come unica possibilità ideologica. L'uomo di Reggio, pur portando avanti la propria esistenza in condizioni apparentemente coerenti, ha tuttavia un punto debole di non poco conto: la sua relazione adulterina con Anna "Nuccia" Corsi, moglie del cornuto Cesare Lonati. Questa sensuale vulnerabilità gli attira presto le attenzioni degli organi inquisitoriali del PCI, con conseguenze tutt'altro che piacevoli. A complicare la situazione è l'amore struggente che Ferranini continua a provare per la sua ex moglie americana, Nancy Demarr, da cui il Destino l'ha separato anni prima. Farà di tutto per ricongiungersi a lei, anche a costo di camminare nella neve, in mezzo alla tormenta, venendo quindi ricoverato in ospedale. Non avrà fortuna, come in nessuna sua impresa dalla sua infanzia in poi: non riuscirà a rimettersi insieme all'adorata Nancy, perderà Nuccia, sarà trattato con gelo dalla dirigenza del Partito e da quelli che considerava amici. In buona sostanza, la sua vita sarà come un albero ridotto a segatura di rodilegno. 

Recensione:
Un libro eccellente che ho amato fin da subito. Ho sempre considerato i vincenti come nemici da odiare e sono invece incline a solidarizzare coi perdenti, genere a cui io stesso appartengo. Non ho vergogna ad ammetterlo. In fondo, come diceva Michael Ende, le storie dei vincenti sono tutte uguali e quindi oltremodo noiose, mentre ogni perdente è un caso a sé. Non c'è una sola storia di uno sconfitto che sia assimilabile a un'altra, per questo vale la pena di immergersi nella loro lettura.


N.B. 
I grassetti nei brani morselliani citati nel seguito sono miei, allo scopo di evidenziare parole degne della massima attenzione. 

Il formaggio invernengo 

Una parola che non conoscevo: invernengo (variante vernengo). Dicesi del parmigiano reggiano ottenuto dal latte raccolto da ottobre ad aprile; in Lombardia si chiamava invernengo il grana padano con simili caratteristiche. Più in generale, secondo i vocabolari della lingua italiana, l'aggettivo indica prodotti agricoli a maturazione tardiva, inclusi i cereali. La radice della parola è chiaramente inverno, stagione in cui questo genere di alimenti pregiati veniva prodotto, con l'aggiunta del ben noto suffisso germanico -ing che forma i patronimici e numerosi aggettivi, importato dalla lingua longobarda. Si può considerare lo stravagante vocabolo come un interessante ibrido romanzo-germanico. Un aggettivo ormai desueto, formato in modo simile, è maggengo "del mese di maggio". Riporto il brano in cui si menziona il formaggio invernengo, perché è una preziosa testimonianza di un tempo ormai scomparso e una miniera per noi antropologi. 

- Abbiamo preso il caffè, - fece Amos con la buona volontà di distrarlo - e ci siamo scordati il formaggio. Che reggiani siamo?
Avanzava il cameriere per sparecchiare, gli ordinarono di portarne. Ripresero a mangiare in silenzio, e solo Bignami Vittorio trovò modo di ammirare le 'ciccette' di due forestiere floreali e fuori stagione (tedesche, inglesi? bisogna venire a Roma per vederne), che si mettevano a desco in quel momento a due passi da loro. Amos commentava il formaggio reggiano, a bocca piena: - Questo è nostro autentico,
invernengo. Latte di due mungiture. Una volta ce n'era tanto poco in mercato che non arrivava, non dico a Roma, nemmeno a Bologna. Dopo la guerra, sono state le bacine di ferro al posto dei secchioni di legno, sono state le stufe elettriche nelle casere a fare crescere il rendimento, e tu sai, Ferranini, che per questo ci sono voluti i consorzi dei lavoratori come la CAP, e le cooperative, ci sono voluti i Collina, i Maccaferri e (diciamolo!) i Bignami. Del lavoro ne abbiamo fatto, tu che ci sgridi. Sono miliardi che non vanno più in tasca ai padroni, se li spartiscono i lavoratori.

Per maggiori informazioni e approfondimenti rimando a una fonte autorevole: 


Non smetterò mai di lamentarmi dell'Oblio che inghiotte ogni cosa, facendo scomparire anche dettagli di cose quotidiane a cui tutti siamo abituati, particolari a cui nessuno sembra più interessarsi.

Un sorprendente neologismo 

Morselli ci lascia intravedere qualcosa della vita intima del deputato Ferranini e della sua amante. Ovviamente, data l'epoca, non possiamo aspettarci i pompini: anche in contesti adulterini la sessualità era gravata da fin troppi tabù. Possiamo però gustarci un vocabolo morboso, il verbo "nucciare"

- La vita privata piace anche a te, chi è che dice: nucciare? Ho voglia di nucciare? Su sgelati, da bravo, chi l'ha inventata quella parola?
Ferranini non era forse un ossessivo ma era sfornito di senso umoristico, questo di sicuro. E abituato a prendere le cose sempre sul serio ne faceva merito alla sua origine: noi emiliani siamo tutti così.
- Non c'entra. La colpa è tua che me l'hai fatta trovare.
 


La formazione è unica nel suo genere. Almeno questa è la conclusione a cui mi porta la mia limitata e infelice esperienza col gentil sesso. Questo è un verbo derivato da un nome proprio: nucciare viene da Nuccia, che è un ipocoristico di Anna (deriva da una semplice abbreviazione di Annuccia). Resto sempre stupefatto davanti a queste bizzarre formazioni che oscurano il nome d'origine. Il record lo batte forse il piemontese Notto per Giuseppe (da Pinotto, a sua volta diminutivo di Pino, che è da Giuseppino). Sarebbe interessante cercare di capire cosa abbia spinto Morselli a inventare il verbo nucciare, se la cosa abbia una radice nel suo oscurissimo passato.     

La Rivoluzione nelle ferrovie 

Nessuno al giorno d'oggi ha la benché minima nozione del Piano Keller. Deve essere una di quelle note a piè di pagina in libri storici altamente specialistici. Morselli ci illustra per sommi capi questa realtà obliata. Keller fu un collaboratore di Lenin che riorganizzò le ferrovie russe. Le ferrovie italiane, in mano a militanti comunisti, erano state predisposte per la Rivoluzione. Il compagno Panciroli ce ne parla: 

"... secondo il nostro piano le linee Piacenza - Arezzo e Ferrara - Ancona sono divise in tanti trochi, ognuno affidato a un gruppo, suddiviso in varie squadre per i diversi compiti. Perché sono previsti due tipi d'intervento: l'operazione E (esercizio), e l'operazione 5 (sabotaggio e interruzione del traffico). Ho una squadra al deposito di locomotive, una che si occupa della linea, un'altra della rete aerea, una quarta degli scambi e segnali eccetera." 

All'organizzazione rivoluzionaria descritta da Morselli è subentrata un'entropia diffusa: assenza di manutenzione, malfunzionamenti, disservizi continui, neghittosità cronica, occasionali incidenti e via discorrendo.

Le opinioni di Ferranini sul dialetto 

Ferranini ritiene un bene la decadenza del dialetto emiliano. Il dogma comunista afferma "Proletari di tutto il mondo unitevi". Il punto è che per unirsi bisogna intendersi, fa notare il ruvido deputato. La necessità impellente è a suo avviso "raggiungere almeno il livello nazionale e lasciar perdere il reggiano, il modenese o il piemontese". L'uso della lingua locale è visto come "retorica borghese, magari mascherata da sinistrismo", il cui scopo è mettere in satira il mondo dei lavoratori. L'ideologia comunista fu ostile ai dialetti almeno quanto quella fascista. Eppure lo stesso Ferranini si lascia scappare una parola emiliana italianizzata: sgurare, da sgurèr "pulire, dirozzare". L'etimologia è dal latino secūris "scure": *secūrāre "passare la scure".    

Cooperative che impiantano camorra 

Sono rimasto particolarmente colpito da un brano in cui si parla di una gestione un po' disinvolta dei lavoratori, un malcostume che in Italia non è certo una novità. I responsabili, mirabile dictu, non erano capitalisti borghesi, bensì marxisti che almeno a parole condannavano ogni sfruttamento:   

Erano arrivati verso mezzogiorno nella Bassa, e visitarono il Mobilificio Operaio di Fratta Po, che l'Ancillotti presentava come una roccaforte del partito e un esemplare di organizzazione aziendale. Ferranini, critico, si provò a fare qualche domanda e venne in chiaro questo: il mobilificio non era per niente in regola coi contributi, e non ne teneva nessuna contabilità; e su trentaquattro uomini ben quattro, meridionali immigrati, non avevano neppure il libretto di lavoro.
Il ragioniere Bolognesi, il dirigente, messo alle strette tirò fuori che "si era in famiglia" e che la gente stava meglio così, senza tante trattenute e formalità. Ferranini gli fece notare che nel più vecchio dei tre laboratori le seghe circolari mancavano di dispositivi di sicurezza, prescritti da una legge che pure è assai poco esigente in materia di prevenzione degli infortuni. Gli disse, tranquillo: - Io porterò i fatti a conoscenza degli organi competenti. Le tue ragioni le farai valere in quella sede. Se hai in testa di metterti in regola, bene, se no mi impegno personalmente a farti sospendere il lavoro. - Siccome il ragionier Bolognesi brontolava, bella solidarietà, e lasciava capire che in Federazione c'era chi lo avrebbe difeso (vedi Viscardi), Ferranini aggiunse: - Ti posso garantire che la tua tessera 59 è in pericolo. Essere comunisti significa essere pronti a sacrificarsi,
non a impiantare camorra. Mi capisci? Te lo dice il compagno Ferranini, uno che anche oggi sta pagando di persona. - Fubini lo guardò. 

Ogni ideologia, per quanto utopista possa sembrare, è lesta ad accomodarsi con i poteri del mondo. 

Le genti di Kiev e la proprietà privata 

Tale era la fama dell'Ucraina tra i comunisti, che Reggio Emilia era soprannominata "la Kiev d'Italia". Il reggiano era "l'Ucraina d'Italia"

- Cari miei, c'è poco da ridere. Siamo individualisti, cioè antisocialisti, pensiamo alla terra come alle ciccette delle ragazze. Abbiamo la concupiscenza della proprietà, però usiamo il linguaggio collettivistico.

E ancora:  

- In Russia potranno essere meno avanti di noi come tecnica, mettiamo macchine e sementi, fertilizzanti e insetticidi, silos e caseifici, imballaggi e lascia pur dire, ma quella mentalità, la concupiscenza, loro l'hanno superata. La differenza è tutta qui, e mettetevela in testa, altrimenti avrò sempre predicato per niente.

L'esperienza mi ha dimostrato che le genti di Kiev hanno superato il concetto di proprietà privata... degli altri! 

Contro l'ottimismo cornucopiano 

Il lavoro è una maledizione, una condizione afflittiva. Ferranini è molto turbato dalla consapevolezza di questa realtà e si chiede se le cose potranno mai cambiare. Si chiede se la dannazione lavorativa un giorno avrà fine, se la Rivoluzione libererà l'essere umano da ogni incombenza e dalla fatica a cui il presente opprimente lo condanna. Alla fine, dopo un lungo elucubrare, e deducne che la risposta a questa angosciante domanda è negativa. Non è possibile vagheggiare una società in cui il lavoro - con tutte le sofferenze che comporta - potrà essere superato. Proprio questo è il motivo del dissidio ideologico, del conflitto che mette l'ottimo Ferranini contro l'ortodossia della sua Chiesa, il Partito. Le sue conclusioni sono quelle degli antichi Gnostici e dei Manichei: la Natura è intrinsecamente maligna, il mondo materiale si oppone agli esseri viventi e li tortura senza sosta. Il Cosmo non è la casa del genere umano, è piuttosto la sua prigione, il girone di Malebolge in cui avviene la sua degradazione, in cui ogni sua speranza viene distrutta.      

Materiale profetico in Morselli 

Sono consapevole del fatto che saperlo desterà grande stupore, ma è così: Il comunista contiene forse la prima menzione documentabile del concetto di Padania, solo in seguito articolato in una labile costruzione politica da Umberto Bossi e dal partito da lui fondato.

Passare il suo Po, familiare e selvatico, nascosto dai pioppi. Il suo Po malinconico. (C'era il comitato interprovinciale da riunire. Il Po, gente mia, non ha ponti. Il nostro fiume serve solo per le inondazioni. Noi che siamo padani, non emiliani o lombardi e nemmeno italiani...).  

Ferranini intravede con nitidezza la falla che porterà il Partito Comunista Italiano alla rovina.  Si tratta di un'antinomia che è sfuggita a tutti, sia alla base degli iscritti che alla classe dirigente. Se si favorisce il culto della personalità e si incoraggiano gli elementi più dotati, questi si inorgogliscono e perseguono soltanto i propri fini egoistici. Così si va contro il collettivismo. Se non si favorisce il culto della personalità, se si ostacolano gli elementi più dotati, il Partito finirà con l'essere guidato dai mediocri, che non saranno in grado di gestire nulla. Anche così si va contro il collettivismo. Un bel paradosso, vero?  
E infatti oggi c'è il Partito Democratico. Il Piddì. 

P.S.  
Se la memoria non mi fallisce, l'ultimo ad aver fatto cenno al concetto stesso di collettivismo fu un certo Fausto Bertinotti, che in un'occasione disse di sognare ancora l'abolizione della proprietà privata. Indossava una giacca di cachemire.

La Casta

Morselli preconizzò la crisi ontologica della Sinistra. Non si limitò ad anticipare il gergo della Lega Lombarda di Bossi: nel suo romanzo troviamo anche un'anticipazione di un altro linguaggio, quello del Grillismo. Non soltanto: vengono denunciati anche i radical chic. Dietro le parole evocate dallo scrittore nichilista scrutando il futuro come un aruspice etrusco, si cela una verità tragica. Ecco due passi che dovrebbero far meditare chiunque: 

Ci sono dunque i Pisani e i Magrò, i comunisti in cui il comunismo è raffinatezza di cultura escludente. Una casta. 

E ancora: 

E si voltò a guardare l'orologio. Era un professore che ha fretta di mettere fine all'esame. Come il compagno Pisani a Torino: professori infastiditi dagli esaminandi sciocchi, preti impazienti di richiudere il tabernacolo. La casta degli illuminati di fronte a profani presuntuosi come lui, come Mazzola. 

Il linguaggio simbolico, che distingue Homo sapiens dagli altri animali, diventa una peste, troppo spesso si trasforma nelle sbarre di un carcere da cui non si può evadere!  

Una pugnalata da Italo Calvino! 

Sì, ne sono convinto e professo un'opinione che ai lettori apparirà come minimo controversa. In poche parole, Italo Calvino fu responsabile del suicidio di Guido Morselli. Lo spinse alla morte. Ciò che gli inflisse si può chiamare in un solo modo: un colpo di pugnale nella schiena. Ein Dolchstoß in den Rücken - per usare l'augusta lingua di Hegel e di Nietzsche. Sono della stessa idea dell'Ispettore Derrick: assassino non è soltanto chi preme il grilletto. La mia idea non è poi così peregrina. C'è chi parla esplicitamente di "delitto editoriale" - e ben a ragione. Riporto in questa sede, a pubblica edificazione, le invereconde parole scritte da Italo Calvino al Morselli: 

    Torino, 5 ottobre 1965 

    Caro Morselli,
    finalmente ho letto il Suo romanzo. So d’aver tardato oltremisura e che non c’è nulla che spazientisca un autore quanto queste lunghe attese: ma la lettura dei manoscritti è un lavoro supplettivo per cui devo rubare del tempo al lavoro e alle altre letture che riempiono – ahimè senza margine – le mie giornate feriali e festive, inverno ed estate. Ed è anche un lavoro – devo dirglielo subito – che, quando si tratta di romanzi politici, faccio senza nessuna speranza. La politica continua a interessarmi, e così la letteratura (con tutto ciò che questo nome implica) ma dal romanzo politico non mi aspetto nulla, né in un campo d’interessi né nell’altro. Credo cioè che si può fare opera di letteratura creativa con tutto, politica compresa, ma bisogna trovare forme di discorso più duttili, più vere, meno organicamente false di quello che è il romanzo oggi. Trattando i problemi che stanno a cuore si possono scrivere saggi che siano opere letterarie di gran valore, valore poetico dico, con non solo idee e notizie, ma figure e paesi e sentimenti. Delle cose serie bisogna imparare a scrivere così, e in nessun altro modo.


E ancora: 

…] direi che ci vorrebbe più consapevolezza dell’operazione linguistica che sta facendo; dove ogni accento di verità si perde è quando ci si trova all’interno del partito comunista; lo lasci dire a me che quel mondo lo conosco, credo proprio di poter dire, a tutti i livelli. Né le parole, né gli atteggiamenti, né le posizioni psicologiche sono vere. Ed è un mondo che troppa gente conosce per poterlo “inventare”. Qui è la grande delusione a cui necessariamente va incontro il “genere” che Lei ha scelto, il romanzo di rappresentazione quasi fotografica d’ambienti diversi, il romanzo storico-privato.

Questa è la chiusura della lettera desolante: 

    […] Come vede il libro ho cercato di leggerlo in tutte le sue dimensioni, e mi sono accanito a smontarlo e rimontarlo: insomma ci ho preso gusto e mi ci sono arrabbiato, non rimpiango il tempo (un viaggio a Milano in treno, andata e ritorno) che ho impiegato a leggerlo, posso dire che mi ha mosso pensieri e ci ho imparato.
    Spero che Lei non s’arrabbi per il mio giudizio. Si scrive per questo e solo per questo: non per piacere, o stupire, o “aver successo”.
    Un cordiale saluto
    Suo Italo Calvino


Così apprendiamo che l'autore de Il barone rampante avrebbe letto il ponderoso romanzo di Morselli in un viaggio in treno a Milano... da Alfa Centauri! Già questa è una dichiarazione di disonestà intellettuale. A meno che non sia dotato di poteri mentalistici prodigiosi, non penso che un essere umano possa leggere in poche ore un libro di circa 35o pagine. Non rientra nelle possibilità della specie Homo sapiens. Punto. Questo è un dato di fatto. Lo uso spesso e volentieri per smascherare gli impostori che si fregiano del titolo di "lettori bulimici", quelli che affermano di leggere un migliaio di libri in un anno (ossia più di un libro ogni santo giorno!). Chiunque affermi di leggere un libro come Il comunista in un giorno è soltanto un buffone: probabilmente il manoscritto di Morselli è stato cestinato dopo un'occhiata superficiale. Francamente preferisco quell'altro Calvino, il Riformatore di Ginevra, quello che odiava i bambini e li definiva "piccoli fetenti"

Queste sono parole, di tutt'altro tenore, tratte dal risvolto del romanzo, pubblicato da Adelphi: 

Il comunista racconta un caso di dissenso ideologico, ma non è un romanzo ideologico. Anche se è impressionante l’anticipo con cui questo romanzo, scritto nel 1964-65, tocca problemi e prospettive degli anni successivi, bisogna dire che qui a Morselli preme soprattutto ricomporre uno strato di realtà, un agglomerato di psicologie, di modi di vita, di affinità e di conflitti all’ombra di via delle Botteghe Oscure. Come ogni vero romanziere, Morselli non si preoccupa di giudicare, ma di dare vita e forma. Così, il quadro che ci mostra abbraccia insieme gli elementi più grandiosi e affascinanti come quelli più duri e meschini della vita interna del P.C.I., senza che mai quei caratteri siano usati per una dimostrazione. 

E ancora:

Come già nei suoi romanzi precedenti, anche questa volta Morselli sa calarsi con prodigioso mimetismo in una nuova realtà, il P.C.I., presenza imponente nella vita italiana, forse troppo imponente se finora i romanzieri italiani sembrano essersi del tutto bloccati davanti a essa. È perciò quasi un’altra ironia della sorte, fra le molte legate al suo nome, che a cimentarsi in questa difficile impresa, e a riuscire nella prova, sia stato un outsider in ogni senso come Morselli, aiutato soltanto dalla sua rara capacità di aprire le porte di mondi sigillati e da una chiaroveggente attrazione per il concreto. 

Purtroppo capita che ci voglia un suicidio perché sia resa giustizia all'opera di un grande! 

giovedì 10 gennaio 2019


ROMA SENZA PAPA 

Titolo completo: Roma senza papa. Cronache romane di fine secolo
      ventesimo 
Autore: Guido Morselli
Prima pubblicazione:  1974
Editore: Adelphi
Genere: Romanzo
Sottogenere: Ucronia, satira, fantascienza fantareligione,
     fantapolitica
Codice EAN:
9788845909344
Pagine: 184 (Brossura)


Ambientazione:
Roma, Zagarolo

Personaggi: 
Don Walter, il prete svizzero.
Lotte, la moglie di don Walter, da lui amatissima ma affetta da 

     sterilità.  
Don Costantini, il nostalgico della vecchia Chiesa; leggendo tra le
     righe, si capisce che ha inclinazioni pedofile.
Don Rusticucci, il prete-affarista, romano de Roma.
Padre Johnson, un papabile afroamericano con un sorriso a 
     trentasei denti, ex giocatore di basket.
Giovanni XXIV, un monaco irlandese salito al soglio pontificio:
    fidanzato con una teosofa di Bengalore, ha la passione di allevare
    vipere.


Trama:
Fine XX secolo. L'Urbe è resa orfana della presenza papale e si respira un'aria di grande decadenza. La Santa Sede è stata infatti trasferita a Zagarolo in uno squallido complesso edilizio che sembra un gruppo di motel, il Vaticano è stato ridotto a un grande museo, la presenza papale nella basilica di San Pietro si riduce a un ologramma, proiettato lungo le navate a ciclo continuo da un'apposita macchina. L'edificio della Chiesa Cattolica Romana ha subìto riforme epocali: solo per fare un esempio, il celibato dei preti è stato abolito, anche se ai chierici non è permesso l'uso della pillola. In questo scenario stravagante e convulso, il prete svizzero Don Walter si reca a Roma con l'intenzione di sottoporre all'attenzione del Pontefice, Giovanni XXIV, un suo testo teologico intitolato Difesa dell'Iperdulia, che propugna la necessità del culto mariano in un'epoca in cui le stesse fondamenta della tradizione cattolica sono messe in discussione dallo stesso clero. Come l'ecclesiastico elvetico scoprirà presto, essere ricevuti dal papa nella sua residenza non è impresa facile. Nella defatigante attesa, non perderà occasione di annotare le principali bizzarrie antropologiche in cui si imbatte durante il suo inquieto vagare per l'augusta città. 

Recensione:
Questo è il primo romanzo di Morselli ad essere stato pubblicato, un anno dopo il suo suicidio, provocato dalla vigliaccheria e dalla perfidia del mondo editoriale italiano. Roma senza papa è un capolavoro di ironia tagliente e di sferzante satira, pieno di considerazioni oltremodo interessanti. Eppure lo scrittore nichilista non è riuscito a prevedere gli sviluppi che hanno portato alla morte teologica e ontologica della Chiesa Romana. Senza dubbio il romanzo fu ispirato dall'atmosfera del Concilio Vaticano II, che prometteva tante innoazioni. Le proiezioni nel futuro fatte da Morselli hanno però un sapore incongruo, combinando elementi di varia implausibilità. Ad esempio vediamo dipinto un clero composto in maggior parte da sacerdoti sposati e con figli, ma tuttora in abito talare e celebrante la messa in latino. Il risvolto del volume edito da Adelphi riporta quanto segue: "È questa la ‘Roma senza papa’ che si mostra a un discreto e percettivo sacerdote svizzero che vi torna dopo anni di assenza, in attesa di essere ricevuto in udienza da Giovanni XXIV: una città offesa per l’oltraggio commesso dal papa contro il turismo, ormai principale attività del Paese, «impigrita, svuotata, con un che di depresso», ma pur sempre una città che continua ad accogliere, con la consueta indifferenza, un instancabile cicaleccio teologico. Negli antri climatizzati della Università Gregoriana, in ampi refettori dalla luce soffusa, in modeste case di parroci, in convegni di seriosa incongruità proliferano e si accavallano come mai prima le teologie, e le nuove tesi vengono spesso pronunciate da sacerdoti che parlano una lingua mista fra il romanesco e lo slang americano." E ancora:  "L’acutezza ironica di questa vicenda, la padronanza con cui Morselli si muove nei labirinti delle dottrine, vere e immaginarie, della Chiesa, i magistrali ritratti di ecclesiastici di alto e basso rango, l’incessante invenzione satirica, fanno di questo libro un felicissimo romanzo di ‘anticipazione teologica’, dove le idee hanno la concretezza e il grottesco dei personaggi e dove, a ogni passo, si sente uno sguardo disincantato e penetrante posarsi su un futuro che incontriamo ogni giorno." Alcune trovate sono davvero irresistibili, come il Meridione d'Italia trasformato in un feudo dei Gesuiti con applicazione del sistema delle reducciones. Resta in ogni caso il fatto che nel testo ci sono pochi elementi profetici. Morselli immagina una Chiesa in cui il dibattito teologico è poderoso e pervasivo, in nettissimo contrasto con lo scenario a cui assistiamo ai nostri giorni, che può descriversi soltanto come morte teologica. Una morte sopravvenuta dopo una lunga agonia. Il punto di divergenza tra la nostra realtà e l'ucronia morselliana può essere collocato in qualche momento del pontificato di Paolo VI (menzionato più volte nel testo), procedendo linearmente lungo la via già tracciata da Giovanni XXIII. Nel mondo in cui viviamo, le cose sono andate ben diversamente. Si è prodotta una drastica discontinuità. Con il trapasso di Paolo VI la Chiesa Romana è sprofondata nel coma. Il pontificato mediatico di Giovanni Paolo II non deve essere visto come nuova linfa per l'istituzione ecclesiastica, ma come un villaggio Potëmkin in terra di desolazione: ciò che si è lasciato dietro è il Nulla. Il Papa Teologo Benedetto XVI è stato espulso a calci nell'augusto deretano, in brevissimo tempo, per volontà del collegio cardinalizio, forse preoccupato dalle ondate di odio antitedesco che si registravano tra il popolino. Nello stesso istante in cui Ratzinger annunciava le proprie dimissioni forzate, un fulmine si è abbattuto sulla cupola di San Pietro. Ora vediamo tutti che col Papa Podologo, Francesco I (e si spera ultimo), la morte della Chiesa Romana è realtà. Scambiare per vitalità le manifestazioni della religione cattolica nel secondo decennio del XXI secolo è come confondere con segni di vita il brulichio di masse di cagnotti in una salma decomposta! Morselli fa succedere Liberi I a Paolo VI, evitando così questo scenario.


Fantareligione e fantapolitica 

Qualcuno ha detto che la Chiesa descritta da Morselli è più spirituale di quella della nostra linea storica. Spirituale? Ne siamo proprio sicuri? Se devo essere franco, vedo nella narrazione una Chiesa altamente politicizzata e dotata di un potere temporale immenso. Nonostante il trasferimento della corte pontificia a Zagarolo, Giovanni XXIV è in grado di compiere un arbitrato per noi inconcepibile e plasmato sul modello di quel papa che spartì il nuovo mondo tra Spagna e Portogallo: essendo sorto un conflitto tra USA e URSS sul possesso della Luna, ecco l'irlandese in abito bianco dividere l'argenteo satellite con una linea ideale e attribuire le parti così ottenute alle due superpotenze. Questa è purissima ironia morselliana! Che dire poi della politica italiana in Roma senza papa? In pratica si tratta di un fantasma, di un mero riflesso della sagoma imponente e torreggiante del Papato! Mi domando quale mai possa essere stato il propellente di una simile trasformazione in senso teocratico.

Fantareligione e sessualità

Il lettore che sia arrivato fino a questo punto già lo sa: l'ecclesiastico di Roma senza papa è il prete che scopa! Il prete lo si riconosce non soltanto dall'abito talare, ma dalla prole numerosa che conduce seco per le vie. Quale stridore rispetto a ciò che si è realizzato! Nel mondo in cui viviamo, non soltanto l'abito talare è stato abolito ed è odioso alle genti, ma persino il clergyman non è più utilizzato. Questo per un motivo molto semplice: i preti si nascondono, hanno terrore di essere aggrediti in pubblico da qualche energumeno. Coi miei occhi ho visto quelle che già soltanto quando ero giovane era impensabile: a quanto pare hanno più paura i preti in un paese post-cattolico come l'Italia che nel Giappone dell'epoca Edo! Il romanzo ci dice qualcosa di più. La sessualità imposta ai preti fin dai tempi di Libero I è stata canalizzata sulla proceazione con un espediente molto semplice, il divieto degli anticoncezionali. Don Walter soffre molto perché non ha discendenti. Nonostante il suo ravanare tra le cosce dell'amata Lotte, il suo sperma non si condensa in un embrione, non trovando un ambiente adatto nell'utero di lei. Nel quadro delineato da Morselli, esiste anche qualcosa di molto oscuro. Don Costantini, fautore del celibato ecclesiastico e in questo senso ribelle ai costumi imperanti, è un pedofilo praticante. Si circonda di ragazzi di vita e li concupisce. Per usare un lessico tecnco, egli è un sodomizzatore che penetra le sue giovani vittime dopo averle adescate. In sostanza il suo modello è Gilles de Rais, con la precipua differenza che non uccide. Come il Maresciallo di Francia, egli prova disgusto per l'odore della pelle femminile e ha nei confronti degli infanti un'insaziabile quanto infame passione. Che dire? Nel nostro mondo le riforme immaginate dallo scrittore di Bologna non troverebbero assolutamente fautori, nonostante i ripetuti tentativi del Papa Podologo, anche perché il lupo don Costantini è pur sempre più vicino alla realtà rispetto all'agnello don Walter. Nel frattempo, nel mondo di Roma senza papa, Giovanni XXIV è concupito da un'illustre quanto matura fellatrice: Jacqueline Kennedy!

Fantareligione e fantapsicanalisi

Il robusto arruffone don Rusticucci fa un'esposizione delirante quanto dettagliata delle sue surreali dottrine, che integrano la psicanalisi freudiana nell'edificio della teologia nicena, per arrivare a conclusioni paradossali come la negazione dell'anima della donna. Non è difficile immaginare le cause di tutto questo. Il denaro. Don Rusticucci è dannatamente avido. Un prete-manager con le mani in pasta dappertutto, sempre pronto a sfruttare qualsiasi nuova suggestione per estendere il proprio potere, per farlo diffondere nell'Urbe come una metastasi vorace. In questo, egli incarna lo stesso Spirito della Corruzione.

Dio non è un prete 

Queste sono le parole che l'irlandese Giovanni XXIV rivolge a don Walter nel finale: 

"I preti sono portati a vedere il buon Dio a loro immagine e somiglianza, anche quando predicano che siamo noi a immagine e somiglianza Sua. Invece... bisogna persuaderci che Dio è diverso, Dio non è prete... E nemmeno frate."  

Non si tratta di parole scritte dalla moglie di don Walter, Lotte, come erroneamente riportato dalla Wikipedia in italiano (gennaio 2019). Senza dubbio alcuno siamo di fronte dal concentrato della massima profondità teologica riscontrabile in tutta la storia del pensiero cattolico. Peccato che ben pochi abbiano compreso appieno i concetti espressi da Morselli, che poi non distano troppo da quelli enunciati a suo tempo in modo assai chiaro da Senofane di Colofone (570 a.C. - 475 a.C.). I Traci hanno occhi azzurri e capelli rossi, così sostengono che i loro dèi hanno gli occhi azzurri e i capelli rossi; gli Etiopi hanno il naso camuso e sono neri, così sostengono che i loro dèi hanno il naso camuso e sono neri. Allo stesso modo, i preti hanno immaginato Dio come un prete. Non è escluso che tra le loro schiere possa esserci persino chi attribuisce alla divinità la pedofilia, seguendo lo stesso ragionamento che all'epoca fu fatto dai Traci e dagli Etiopi. 

Altre recensioni e reazioni nel Web

Segnalo una breve ma meritoria recensione di Carlo Menzinger, il famoso scrittore ucronico. Si intitola Er Papa a Zagarolo! 


Anche a costo di essere impopolare, non nasconderò l'impressione che ho sempre avuto. Non soltanto il Lazio al di fuori di Roma - ma gran parte dell'Italia Centrale - sembra una terra di nessuno, dove ogni abitato è qualcosa di spettrale e destinato all'Oblio, un po' come un nulla in mezzo al niente. Nello scritto del buon Carlo è riportata un'interessante testimonianza antropologica, che riporto in questa sede: 

"Ricordo che quando, da ragazzino (vivevo a Roma), si doveva dire di un posto triste e squallido si citava Zagarolo, pur non avendo la minima idea di come e dove fosse questa cittadina laziale. Dire “e che sei de’ Zagarolo” equivaleva a dare del “burino” al nostro interlocutore. Nel contempo sembrava un posto “lontano”, nonostante il suo essere a pochi chilometri.
Un papa a Zagarolo appare dunque come un’incongruenza allo sguardo dei romani." 


Interessante è anche la recensione comparsa su Rivista Pagina Uno, intitolata Esorcismi letterari:

http://www.rivistapaginauno.it/riflettori7.php

Queste sono le conclusioni a cui giunge l'autrice, Luciana Viarengo: 

"Anche in questo romanzo, Morselli conferma la sua capacità di affrontare realtà spinose – come già ne Il comunista o in Dramma Borghese – con la freddezza di un ricercatore, il distacco di un analista, insofferente alle ‘verità consolidate’. Talmente outsider da potersi permettere una visione dissacrante e disincantata dei tabù contemporanei." 

Su Anobii.com vediamo un gran numero di recensioni (la prima è ancora quella del Menzinger), di cui molte brevi o brevissime: 


Si insiste sul profetismo del romanzo, cosa a mio avviso abbastanza controversa.  "Mi sa che ci ha preso molto", afferma ad esempio un certo Sirjo. "Tristemente profetico", commenta AK-47, alludendo al pontificato bergoglionesco, "dirittumanistico" e pauperistico. Eppure mi piacerebbe tanto sapere dove questi utenti vedono il dibattito teologico ai nostri giorni, dove vedono l'ipertrofia dell'apparato ecclesiastico che Morselli profonde nel testo, inondando il mondo di torme di preti sposati in talare. :)  

martedì 8 gennaio 2019


DISSIPATIO H. G.

Autore: Guido Morselli
Prima pubblicazione: 1977

Editore: Adelphi
Genere: Romanzo 
Sottogenere: Fantascienza post-apocalittica 

Trama:
Nella solitudine della sua casa di montagna, un uomo di mezza età fa un bilancio impietoso della sua esistenza. Giunge alla deprimente conclusione che il 70% di cose sgradevoli e moleste che la compongono non compensa affatto il 30% di cose piacevoli. La decisione che trae da questo cupo quanto razionalissimo elucubrare è l'impellente necessità del suicidio. Si reca quindi in una profonda caverna nelle viscere di un'impervia montagna, con l'intento di gettarsi in un pozzo naturale, che tramite una struttura simile a un sifone giunge fino nelle viscere del Tartaro. È mezzanotte. Immerso nell'oscurità ctonia e nel silenzio assoluto, seduto sul bordo dell'abisso, l'uomo ha un repentino ripensamento. Qualcosa di incomprensibile si muove in lui, spingendolo a non uccidersi, a rifuggire quella voragine più profonda dell'Averno. Ritorna in superficie, ma presto capisce che c'è qualcosa di strano in tutto ciò che lo circonda. Ogni traccia delle persone viventi sembra essersi dissolta nel nulla. Le evidenze dell'evaporazione dell'intero genere umano sono sempre più cogenti. Dopo vari e infruttuosi tentativi di trovare qualche suo simile ancora in vita, il protagonista capisce di essere il Superstite, l'ultimo uomo sulla Terra.


Recensione: 
Il titolo di quest'opera immaginifica è di una chiarezza sconcertante. L'abbreviazione H. G., solo a prima vista enigmatica, sta per Humani Generis. Così il titolo esteso è Dissipatio Humani Generis, ossia Evaporazione del genere umano. Notevoli sono le allusioni alle dottrine del neoplatonico Giamblico (250 d.C. - 330 d.C.) e del cristiano Salviano da Treviri (circa 400 d.C. - 451 d.C. o succ.), più noto come Salviano di Marsiglia, su cui Morselli costruì questo suo romanzo. No, Salviano non è un improbabile incrocio tra Salvini e Saviano. Ci tengo a precisarlo. Ecco la citazione a cui alludo, che reputo di fondamentale importanza e riporto in questa sede:

Faccio ritorno alla mia prima ipotesi. Volatilizzazione - sublimazione. Sublimazione - assunzione (nei cieli).
Vediamo. C'è una mia vecchia lettura, un testo di Giamblico che ho avuto sott'occhio non ricordo per che ricerca. Parlava della fine della specie e s'intitolava
Dissipatio Humani Generis. Dissipazione, non in senso morale. La versione che ricordo era in latino, e nella tarda latinità pare che dissipatio valesse 'evaporazione', 'nebulizzazione', o qualcosa di ugualmente fisico, e Giamblico accennava nella sua descrizione appunto a un fatale fenomeno di questo tipo. Rispetto a altri profeti era meno catastrofico: niente diluvio, niente olocausto «solvens saeclum in favilla», assimilabile oggi a un'ecatombe atomica. Gli esseri umani cambiati per prodigio improvviso in uno spray o gas impercettibile (e inoffensivo, probabilmente inodoro), senza combustione intermedia. Il che, se non glorioso, perlomeno è decoroso.

Ho dei trascorsi eruditi di cui, dopo un'astinenza di anni, non mi pento.
Sino a Ezechiele (10 secoli circa dopo Mosè) nessun indizio, nello stesso Ebraismo, del concetto di una vita ultraterrena riservata dopo il soggiorno nel mondo degli umani. I giusti venivano premiati con la prosperità (terrena) e con la longevità; così di Abramo è detto che morì
«sazio di anni». In seguito, il compenso ultraterreno divenne, come è noto, uno dei fondamentali ingredienti della ricetta religiosa per Ebrei, Cristiani, Mussulmani, e argomento prediletto della teologia e letteratura annessa. Fra gli innumerevoli, un Salviano da Treviri, vissuto nel III o IV secolo. Autore cristiano di non larga fama, agiografo e apologeta. In una lettera al vescovo della sua citta, De Fine Temporum (mi sembra: ora non ho modo di verificare), preso di pietà evangelica per i patimenti degli uomini, Salviano parla di una loro, auspicata «sublimatio» generale.
  Cosa da apprezzare, il finale riscatto lui lo accordava persino ai pagani, e consisteva in un'assunzione al cielo dopo che i corpi, vivi, fossero resi eterei in un unico portentoso evento. Repentino e inatteso. Cito a memoria:
«Mundus permanebit». (E in questo, ci siamo). «Viri, mulieres, pueri, humani viventes cuiuscumque aetatis, ordinis vel nationis, raptim sublimabuntur». (Salviano non ha ispirato Freud; la sublimazione di Freud è una blanda metafora).
  Senonché, Salviano univa alla clemenza una discriminante giustizia.
«Nihil huius gloriae decet peccatorem». I pagani come tali possono sublimarsi, i peccatori no. Sarebbe interessante sapere a quale delle due categorie appartenga io. Supposto che non le cumuli tutt'e due. Ma la mia scienza, e autocoscienza, non arrivano a tanto. Rinuncio. 

Queste descrizioni morselliane sono semplicemente sublimi! Con buona pace di Giamblico, non credo tuttavia che il gas derivante dalla dissipazione dell'umanità sarebbe inodoro. Ho ragione di ritenere che olezzerebbe piuttosto di scorregge sulfuree! Scavando nella carcassa del mondo antico, possiamo dire qualcosa di più sul concetto che Salviano da Treviri aveva dei peccatori che, stando a quanto riportato dal Morselli, non avrebbero conosciuto la Pace nell'imminente Grande Sublimazione. Quando parlava di peccatori, il presbitero gallo-romano alludeva ai sodomiti, ossia a coloro che praticavano, in modo attivo o passivo, l'immissio penis in anum. Pagani o cristiani che fossero. Possiamo dedurlo da altri scritti di tale autore, in cui le invasioni dei popoli germanici (volgarmente detti "barbari") sarebbero state provocate dalla collera divina per l'uso romano di eiaculare negli intestini, in mezzo alle feci. Evidentemente gli erano sconosciuti gli usi degli Eruli e dei Franchi, che sodomitavano assai. A minare le fondamente degli edifici concettuali attribuiti a Giamblico e a Salviano sta in ogni caso un fatto pesante come un macigno: la dissipazione del genere umano non si è verificata!

Salviano o un moderno pseudo-Salviano?

Perché parlo di edifici concettuali attribuiti a Salviano? Lo faccio per un semplice motivo: a questo punto viene infatti da porsi una cruciale domanda. Morselli ha citato davvero Salviano da Treviri? Oppure si tratta di una sua ingegnosa fabbricazione? Il dubbio è senz'altro legittimo. Cercando nel Web i brani riportati in latino, gli unici risultati ritornati da Google sono relativi proprio a Dissipatio H. G.! Abbiamo la possibilità di verificare ogni cosa. 
Questa è la procedura adottata:
    1) Cerchiamo in un formato utile l'opera omnia di Salviano;
   2) Cerchiamo in essa parole significative dei passi riportati (es. sublimabuntur). 

Risultati: 
Nihil inventum est. Non è stato trovato nulla. 
Questo è un sito in cui è possibile trovare quanto serve alla dimostrazione:


Le opzioni si scaricamento del file con l'opera omnia del presbitero sono molteplici. Se si usa il file di testo (.txt) occorre fare attenzione perché spesso i caratteri sono alterati. Nel file in formato .pdf la lettura è della massima chiarezza, ma non è attiva l'opzione di ricerca, occorre quindi scorrere tutto il testo, cosa che pur mi riuscirebbe agevole, se non fosse per il fatto che non ho a disposizione grandi risorse di tempo. In ogni caso, questa benedetta sublimazione delle scorie umane non sembra proprio esserci, né nelle Epistolae, dove a rigor di logica dovrebbe stare, né nel De gubernatione Dei. Che seccatura questo "vero poetico"

Un mondo intellettuale canagliesco e vile

Dissipatio H. G. è l'ultimo romanzo di Guido Morselli (Bologna, 1912 - Varese, 1973), scritto pochi mesi prima del suo suicidio. Quasi il suo testamento. L'autore, che pure era un convinto nichilista, non ha potuto reggere la totale indifferenza da parte dell'arido mondo delle case editrici, che si rifiutavano con pervicacia di pubblicare le sue opere - anche adducendo scuse assolutamente inverosimili. La colpa prima attribuita a Morselli era, se così si può dire, l'essersi discostato dal romanzo italiano tradizionale. L'intero mondo intellettuale italiano gli ha vilmente voltato le spalle. Soltanto dopo la sua tragica morte, le sorti dei suoi potenti scritti sono cambiate. Come erano sordi e sprezzanti quando l'autore era in vita, a un certo punto gli stessi che lo spinsero alla morte gli tributarono grandi e meritatissimi onori, seppur con un ritardo ben colpevole. A un certo punto fu persino definito Il Gattopardo del Nord. Si potrebbe quasi pensare che l'editoria pulluli di sciacalli necrofili che leccano l'orifizio anale ai morti, disdegnando al contempo la carne dei viventi. Oggi si è scesi ancora più in basso, con editori che strepitano e istigano a compilare liste di proscrizione per chi si autopubblica! 

Qualche nota filologica 

La grande città di Crisopoli, è stato fatto notare più volte dalla critica, altro non è che Zurigo. Il nome che Morselli ha coniato, usando vocaboli dell'antica lingua ellenica, significa Città dell'Oro e di certo allude all'importanza del suo sistema bancario. Si scorgono tracce di toponomastica di sostrato, di cui non sono riuscito a trovare riscontro nella geografia reale. Così viene menzionato un torrente Zemmi, forse un microtoponimo, che però trova nel Web solo menzioni associate proprio a Dissipatio H. G.! Al momento non mi riesce di azzardare un'etimologia. Un monte si chiama Mountàsc: questo nome ha tutta l'aria di essere un relitto della Romània sommersa, una prova del fatto che un idioma romanzo era parlato a Crisopoli-Zurigo prima che vi si imponesse la lingua degli Alemanni. Un altro monte, noto per i suoi ghiacciai, è chiamato Karessa: direi che contiene la radice preindoeuropea *kar- "roccia", ben documentata su vaste aree. Abbiamo quindi la Malga dei Ross. Il termine malga è ben noto come relitto preindoeuropeo e indica un riparo di pastori: deriva certo da *mal- "monte". I Ross sono i proprietari dell'alpeggio, credo che il loro cognome sia derivato da un antico termine tedesco indicante il cavallo - posto che non sia un'etimologia popolare ingannevole. Due toponimi germanici: Widmad e Alpa. Di certo Widmad è formato dal protogermanico *wiðu- "legno; bosco" (donde l'inglese wood). Questa radice si è persa in tedesco durante il medioevo, ma aveva subito la rotazione consonantica: antico alto tedesco witu, wito "legno", medio alto tedesco wite, wit. Anche -mad è chiaro: viene dal protogermanico *mēðwō- "pascolo", che ha dato l'inglese meadow "prato" e il tedesco Matte "pascolo montano". Ancora una volta, la consonante non ha la seconda rotazione. Quindi da dove è stato tratto questo Widmad? Mistero. Alpa sarà da alp "incubo", dalla stessa radice di elfo (protogermanico *alba-, *albi-). Oscurissimo resta invece Lewrosen. Resta da capire se Morselli fosse consapevole di queste perle. Era un esperto di filologia germanica? Forse non lo sapremo mai. Numerosissime sono poi le citazioni in lingue diverse dall'italiano, incastonate come gioielli nel testo. Oltre al latino, ad esempio nelle frasi attribuite al presbitero Salviano, troviamo il francese: « toutes choses sont déjà dites, mais comme personne n'écoute il faut toujours recommencer », etc. Ecco una splendida frase, in cui la lingua di Roma si mescola all'italiano: "Ci torno per un esperimento, in cerca del metus silvanus, dell'antico, favoloso pavor montium." Ciò esaspera non poco alcuni lettori, stizziti dalla mancanza di traduzione. Stupiscono alcune convenzioni ortografiche che appaiono ben superate. Così troviamo un improponibile Hiroscima (sic) per il più sensato Hiroshima. In un'epoca in cui imperversava il dannato malcostume delle pronunce ortografiche, spesso si rendevano indispensabili simili espedienti per impedire spropositi. 

Recensioni e reazioni nel Web 

Questa recensione è opera di Alessandra Fontana: 


Nel testo della blogger-giornalista è citato un passo del romanzo, che trovo geniale per i paradossi ontologici che introduce:

"(…) come storico registrerò che si è instaurata l’Anarchia con l’abbattimento del suo nemico primordiale, il principio di proprietà. E si è instaurata nello stesso tempo la Monarchia nel valore categorico del termine, tutto il potere a Uno solo. Anarchia e Monarchia coincidono, ora e in me. Nessuno dispone di me, io dispongo di tutto." 

Un gran numero di recensioni, il più delle volte brevi o brevissime, si trova su Anobii.com:


Ne riporterò una in particolare, opera di una certa LAI LAI HEI:

"Purtroppo, una prosa troppo complicata, non mi ha permesso di apprezzarlo."

Che dire? Anche questo è un segno dei tempi!