martedì 28 maggio 2019


IL COMUNISTA

Autore: Guido Morselli
Anno di scrittura: 1964-65
Lingua: Italiano  
Prima edizione: 1976
Altre edizioni: 1981, 2014 
Editore: Adelphi
Collana: Narrativa contemporanea; Fabula 
Pagine: 359 pagg.

Genere: Romanzo
Sottogeneri: Narrativa psicologica, politica, fantapolitica
Codice EAN: 9788845908378


Trama: 
Walter Ferranini è un comunista di Reggio Emilia, deputato del PCI. Duro e puro, è talmente idealista da vivere in condizioni di grande austerità anche a Roma, città eterna di crapule, bagordi e depravazioni, capitale di ogni corruzione e decadenza, madre dei vizi. Egli ha un carattere spigoloso, tanto da sembrare "tagliato con l'accetta in un legno ruvido". Il dogma marxista gli impone di credere che la natura dell'essere umano sia buona, sebbene la sua personale esperienza gli suggerisca piuttosto il contrario. Inizia così, in modo silente e inavvertito, un dissidio ideologico. Dapprima strisciante, il dubbio si insinua nel suo intelletto, per diventare poi sempre più manifesto. Se da una parte il PCI è per Ferranini una Chiesa, una specie di conventicola religiosa in cui egli stesso ricopre la carica di Vescovo, dall'altra gli eventi lo portano a simpatizzare per il torinese Roberto Mazzola, un dissidente che con le sue idee eterodosse si è attirato la censura degli inquisitori comunisti. Eppure l'eretico Mazzola è un comunista vero in tutto e per tutto, uno stalinista genuino che ha resistito alla destalinizzazione divenuta all'improvviso il nuovo Pensiero Unico del Partito, dopo anni di stalinismo professato come unica possibilità ideologica. L'uomo di Reggio, pur portando avanti la propria esistenza in condizioni apparentemente coerenti, ha tuttavia un punto debole di non poco conto: la sua relazione adulterina con Anna "Nuccia" Corsi, moglie del cornuto Cesare Lonati. Questa sensuale vulnerabilità gli attira presto le attenzioni degli organi inquisitoriali del PCI, con conseguenze tutt'altro che piacevoli. A complicare la situazione è l'amore struggente che Ferranini continua a provare per la sua ex moglie americana, Nancy Demarr, da cui il Destino l'ha separato anni prima. Farà di tutto per ricongiungersi a lei, anche a costo di camminare nella neve, in mezzo alla tormenta, venendo quindi ricoverato in ospedale. Non avrà fortuna, come in nessuna sua impresa dalla sua infanzia in poi: non riuscirà a rimettersi insieme all'adorata Nancy, perderà Nuccia, sarà trattato con gelo dalla dirigenza del Partito e da quelli che considerava amici. In buona sostanza, la sua vita sarà come un albero ridotto a segatura di rodilegno. 

Recensione:
Un libro eccellente che ho amato fin da subito. Ho sempre considerato i vincenti come nemici da odiare e sono invece incline a solidarizzare coi perdenti, genere a cui io stesso appartengo. Non ho vergogna ad ammetterlo. In fondo, come diceva Michael Ende, le storie dei vincenti sono tutte uguali e quindi oltremodo noiose, mentre ogni perdente è un caso a sé. Non c'è una sola storia di uno sconfitto che sia assimilabile a un'altra, per questo vale la pena di immergersi nella loro lettura.


N.B. 
I grassetti nei brani morselliani citati nel seguito sono miei, allo scopo di evidenziare parole degne della massima attenzione. 

Il formaggio invernengo 

Una parola che non conoscevo: invernengo (variante vernengo). Dicesi del parmigiano reggiano ottenuto dal latte raccolto da ottobre ad aprile; in Lombardia si chiamava invernengo il grana padano con simili caratteristiche. Più in generale, secondo i vocabolari della lingua italiana, l'aggettivo indica prodotti agricoli a maturazione tardiva, inclusi i cereali. La radice della parola è chiaramente inverno, stagione in cui questo genere di alimenti pregiati veniva prodotto, con l'aggiunta del ben noto suffisso germanico -ing che forma i patronimici e numerosi aggettivi, importato dalla lingua longobarda. Si può considerare lo stravagante vocabolo come un interessante ibrido romanzo-germanico. Un aggettivo ormai desueto, formato in modo simile, è maggengo "del mese di maggio". Riporto il brano in cui si menziona il formaggio invernengo, perché è una preziosa testimonianza di un tempo ormai scomparso e una miniera per noi antropologi. 

- Abbiamo preso il caffè, - fece Amos con la buona volontà di distrarlo - e ci siamo scordati il formaggio. Che reggiani siamo?
Avanzava il cameriere per sparecchiare, gli ordinarono di portarne. Ripresero a mangiare in silenzio, e solo Bignami Vittorio trovò modo di ammirare le 'ciccette' di due forestiere floreali e fuori stagione (tedesche, inglesi? bisogna venire a Roma per vederne), che si mettevano a desco in quel momento a due passi da loro. Amos commentava il formaggio reggiano, a bocca piena: - Questo è nostro autentico,
invernengo. Latte di due mungiture. Una volta ce n'era tanto poco in mercato che non arrivava, non dico a Roma, nemmeno a Bologna. Dopo la guerra, sono state le bacine di ferro al posto dei secchioni di legno, sono state le stufe elettriche nelle casere a fare crescere il rendimento, e tu sai, Ferranini, che per questo ci sono voluti i consorzi dei lavoratori come la CAP, e le cooperative, ci sono voluti i Collina, i Maccaferri e (diciamolo!) i Bignami. Del lavoro ne abbiamo fatto, tu che ci sgridi. Sono miliardi che non vanno più in tasca ai padroni, se li spartiscono i lavoratori.

Per maggiori informazioni e approfondimenti rimando a una fonte autorevole: 


Non smetterò mai di lamentarmi dell'Oblio che inghiotte ogni cosa, facendo scomparire anche dettagli di cose quotidiane a cui tutti siamo abituati, particolari a cui nessuno sembra più interessarsi.

Un sorprendente neologismo 

Morselli ci lascia intravedere qualcosa della vita intima del deputato Ferranini e della sua amante. Ovviamente, data l'epoca, non possiamo aspettarci i pompini: anche in contesti adulterini la sessualità era gravata da fin troppi tabù. Possiamo però gustarci un vocabolo morboso, il verbo "nucciare"

- La vita privata piace anche a te, chi è che dice: nucciare? Ho voglia di nucciare? Su sgelati, da bravo, chi l'ha inventata quella parola?
Ferranini non era forse un ossessivo ma era sfornito di senso umoristico, questo di sicuro. E abituato a prendere le cose sempre sul serio ne faceva merito alla sua origine: noi emiliani siamo tutti così.
- Non c'entra. La colpa è tua che me l'hai fatta trovare.
 


La formazione è unica nel suo genere. Almeno questa è la conclusione a cui mi porta la mia limitata e infelice esperienza col gentil sesso. Questo è un verbo derivato da un nome proprio: nucciare viene da Nuccia, che è un ipocoristico di Anna (deriva da una semplice abbreviazione di Annuccia). Resto sempre stupefatto davanti a queste bizzarre formazioni che oscurano il nome d'origine. Il record lo batte forse il piemontese Notto per Giuseppe (da Pinotto, a sua volta diminutivo di Pino, che è da Giuseppino). Sarebbe interessante cercare di capire cosa abbia spinto Morselli a inventare il verbo nucciare, se la cosa abbia una radice nel suo oscurissimo passato.     

La Rivoluzione nelle ferrovie 

Nessuno al giorno d'oggi ha la benché minima nozione del Piano Keller. Deve essere una di quelle note a piè di pagina in libri storici altamente specialistici. Morselli ci illustra per sommi capi questa realtà obliata. Keller fu un collaboratore di Lenin che riorganizzò le ferrovie russe. Le ferrovie italiane, in mano a militanti comunisti, erano state predisposte per la Rivoluzione. Il compagno Panciroli ce ne parla: 

"... secondo il nostro piano le linee Piacenza - Arezzo e Ferrara - Ancona sono divise in tanti trochi, ognuno affidato a un gruppo, suddiviso in varie squadre per i diversi compiti. Perché sono previsti due tipi d'intervento: l'operazione E (esercizio), e l'operazione 5 (sabotaggio e interruzione del traffico). Ho una squadra al deposito di locomotive, una che si occupa della linea, un'altra della rete aerea, una quarta degli scambi e segnali eccetera." 

All'organizzazione rivoluzionaria descritta da Morselli è subentrata un'entropia diffusa: assenza di manutenzione, malfunzionamenti, disservizi continui, neghittosità cronica, occasionali incidenti e via discorrendo.

Le opinioni di Ferranini sul dialetto 

Ferranini ritiene un bene la decadenza del dialetto emiliano. Il dogma comunista afferma "Proletari di tutto il mondo unitevi". Il punto è che per unirsi bisogna intendersi, fa notare il ruvido deputato. La necessità impellente è a suo avviso "raggiungere almeno il livello nazionale e lasciar perdere il reggiano, il modenese o il piemontese". L'uso della lingua locale è visto come "retorica borghese, magari mascherata da sinistrismo", il cui scopo è mettere in satira il mondo dei lavoratori. L'ideologia comunista fu ostile ai dialetti almeno quanto quella fascista. Eppure lo stesso Ferranini si lascia scappare una parola emiliana italianizzata: sgurare, da sgurèr "pulire, dirozzare". L'etimologia è dal latino secūris "scure": *secūrāre "passare la scure".    

Cooperative che impiantano camorra 

Sono rimasto particolarmente colpito da un brano in cui si parla di una gestione un po' disinvolta dei lavoratori, un malcostume che in Italia non è certo una novità. I responsabili, mirabile dictu, non erano capitalisti borghesi, bensì marxisti che almeno a parole condannavano ogni sfruttamento:   

Erano arrivati verso mezzogiorno nella Bassa, e visitarono il Mobilificio Operaio di Fratta Po, che l'Ancillotti presentava come una roccaforte del partito e un esemplare di organizzazione aziendale. Ferranini, critico, si provò a fare qualche domanda e venne in chiaro questo: il mobilificio non era per niente in regola coi contributi, e non ne teneva nessuna contabilità; e su trentaquattro uomini ben quattro, meridionali immigrati, non avevano neppure il libretto di lavoro.
Il ragioniere Bolognesi, il dirigente, messo alle strette tirò fuori che "si era in famiglia" e che la gente stava meglio così, senza tante trattenute e formalità. Ferranini gli fece notare che nel più vecchio dei tre laboratori le seghe circolari mancavano di dispositivi di sicurezza, prescritti da una legge che pure è assai poco esigente in materia di prevenzione degli infortuni. Gli disse, tranquillo: - Io porterò i fatti a conoscenza degli organi competenti. Le tue ragioni le farai valere in quella sede. Se hai in testa di metterti in regola, bene, se no mi impegno personalmente a farti sospendere il lavoro. - Siccome il ragionier Bolognesi brontolava, bella solidarietà, e lasciava capire che in Federazione c'era chi lo avrebbe difeso (vedi Viscardi), Ferranini aggiunse: - Ti posso garantire che la tua tessera 59 è in pericolo. Essere comunisti significa essere pronti a sacrificarsi,
non a impiantare camorra. Mi capisci? Te lo dice il compagno Ferranini, uno che anche oggi sta pagando di persona. - Fubini lo guardò. 

Ogni ideologia, per quanto utopista possa sembrare, è lesta ad accomodarsi con i poteri del mondo. 

Le genti di Kiev e la proprietà privata 

Tale era la fama dell'Ucraina tra i comunisti, che Reggio Emilia era soprannominata "la Kiev d'Italia". Il reggiano era "l'Ucraina d'Italia"

- Cari miei, c'è poco da ridere. Siamo individualisti, cioè antisocialisti, pensiamo alla terra come alle ciccette delle ragazze. Abbiamo la concupiscenza della proprietà, però usiamo il linguaggio collettivistico.

E ancora:  

- In Russia potranno essere meno avanti di noi come tecnica, mettiamo macchine e sementi, fertilizzanti e insetticidi, silos e caseifici, imballaggi e lascia pur dire, ma quella mentalità, la concupiscenza, loro l'hanno superata. La differenza è tutta qui, e mettetevela in testa, altrimenti avrò sempre predicato per niente.

L'esperienza mi ha dimostrato che le genti di Kiev hanno superato il concetto di proprietà privata... degli altri! 

Contro l'ottimismo cornucopiano 

Il lavoro è una maledizione, una condizione afflittiva. Ferranini è molto turbato dalla consapevolezza di questa realtà e si chiede se le cose potranno mai cambiare. Si chiede se la dannazione lavorativa un giorno avrà fine, se la Rivoluzione libererà l'essere umano da ogni incombenza e dalla fatica a cui il presente opprimente lo condanna. Alla fine, dopo un lungo elucubrare, e deducne che la risposta a questa angosciante domanda è negativa. Non è possibile vagheggiare una società in cui il lavoro - con tutte le sofferenze che comporta - potrà essere superato. Proprio questo è il motivo del dissidio ideologico, del conflitto che mette l'ottimo Ferranini contro l'ortodossia della sua Chiesa, il Partito. Le sue conclusioni sono quelle degli antichi Gnostici e dei Manichei: la Natura è intrinsecamente maligna, il mondo materiale si oppone agli esseri viventi e li tortura senza sosta. Il Cosmo non è la casa del genere umano, è piuttosto la sua prigione, il girone di Malebolge in cui avviene la sua degradazione, in cui ogni sua speranza viene distrutta.      

Materiale profetico in Morselli 

Sono consapevole del fatto che saperlo desterà grande stupore, ma è così: Il comunista contiene forse la prima menzione documentabile del concetto di Padania, solo in seguito articolato in una labile costruzione politica da Umberto Bossi e dal partito da lui fondato.

Passare il suo Po, familiare e selvatico, nascosto dai pioppi. Il suo Po malinconico. (C'era il comitato interprovinciale da riunire. Il Po, gente mia, non ha ponti. Il nostro fiume serve solo per le inondazioni. Noi che siamo padani, non emiliani o lombardi e nemmeno italiani...).  

Ferranini intravede con nitidezza la falla che porterà il Partito Comunista Italiano alla rovina.  Si tratta di un'antinomia che è sfuggita a tutti, sia alla base degli iscritti che alla classe dirigente. Se si favorisce il culto della personalità e si incoraggiano gli elementi più dotati, questi si inorgogliscono e perseguono soltanto i propri fini egoistici. Così si va contro il collettivismo. Se non si favorisce il culto della personalità, se si ostacolano gli elementi più dotati, il Partito finirà con l'essere guidato dai mediocri, che non saranno in grado di gestire nulla. Anche così si va contro il collettivismo. Un bel paradosso, vero?  
E infatti oggi c'è il Partito Democratico. Il Piddì. 

P.S.  
Se la memoria non mi fallisce, l'ultimo ad aver fatto cenno al concetto stesso di collettivismo fu un certo Fausto Bertinotti, che in un'occasione disse di sognare ancora l'abolizione della proprietà privata. Indossava una giacca di cachemire.

La Casta

Morselli preconizzò la crisi ontologica della Sinistra. Non si limitò ad anticipare il gergo della Lega Lombarda di Bossi: nel suo romanzo troviamo anche un'anticipazione di un altro linguaggio, quello del Grillismo. Non soltanto: vengono denunciati anche i radical chic. Dietro le parole evocate dallo scrittore nichilista scrutando il futuro come un aruspice etrusco, si cela una verità tragica. Ecco due passi che dovrebbero far meditare chiunque: 

Ci sono dunque i Pisani e i Magrò, i comunisti in cui il comunismo è raffinatezza di cultura escludente. Una casta. 

E ancora: 

E si voltò a guardare l'orologio. Era un professore che ha fretta di mettere fine all'esame. Come il compagno Pisani a Torino: professori infastiditi dagli esaminandi sciocchi, preti impazienti di richiudere il tabernacolo. La casta degli illuminati di fronte a profani presuntuosi come lui, come Mazzola. 

Il linguaggio simbolico, che distingue Homo sapiens dagli altri animali, diventa una peste, troppo spesso si trasforma nelle sbarre di un carcere da cui non si può evadere!  

Una pugnalata da Italo Calvino! 

Sì, ne sono convinto e professo un'opinione che ai lettori apparirà come minimo controversa. In poche parole, Italo Calvino fu responsabile del suicidio di Guido Morselli. Lo spinse alla morte. Ciò che gli inflisse si può chiamare in un solo modo: un colpo di pugnale nella schiena. Ein Dolchstoß in den Rücken - per usare l'augusta lingua di Hegel e di Nietzsche. Sono della stessa idea dell'Ispettore Derrick: assassino non è soltanto chi preme il grilletto. La mia idea non è poi così peregrina. C'è chi parla esplicitamente di "delitto editoriale" - e ben a ragione. Riporto in questa sede, a pubblica edificazione, le invereconde parole scritte da Italo Calvino al Morselli: 

    Torino, 5 ottobre 1965 

    Caro Morselli,
    finalmente ho letto il Suo romanzo. So d’aver tardato oltremisura e che non c’è nulla che spazientisca un autore quanto queste lunghe attese: ma la lettura dei manoscritti è un lavoro supplettivo per cui devo rubare del tempo al lavoro e alle altre letture che riempiono – ahimè senza margine – le mie giornate feriali e festive, inverno ed estate. Ed è anche un lavoro – devo dirglielo subito – che, quando si tratta di romanzi politici, faccio senza nessuna speranza. La politica continua a interessarmi, e così la letteratura (con tutto ciò che questo nome implica) ma dal romanzo politico non mi aspetto nulla, né in un campo d’interessi né nell’altro. Credo cioè che si può fare opera di letteratura creativa con tutto, politica compresa, ma bisogna trovare forme di discorso più duttili, più vere, meno organicamente false di quello che è il romanzo oggi. Trattando i problemi che stanno a cuore si possono scrivere saggi che siano opere letterarie di gran valore, valore poetico dico, con non solo idee e notizie, ma figure e paesi e sentimenti. Delle cose serie bisogna imparare a scrivere così, e in nessun altro modo.


E ancora: 

…] direi che ci vorrebbe più consapevolezza dell’operazione linguistica che sta facendo; dove ogni accento di verità si perde è quando ci si trova all’interno del partito comunista; lo lasci dire a me che quel mondo lo conosco, credo proprio di poter dire, a tutti i livelli. Né le parole, né gli atteggiamenti, né le posizioni psicologiche sono vere. Ed è un mondo che troppa gente conosce per poterlo “inventare”. Qui è la grande delusione a cui necessariamente va incontro il “genere” che Lei ha scelto, il romanzo di rappresentazione quasi fotografica d’ambienti diversi, il romanzo storico-privato.

Questa è la chiusura della lettera desolante: 

    […] Come vede il libro ho cercato di leggerlo in tutte le sue dimensioni, e mi sono accanito a smontarlo e rimontarlo: insomma ci ho preso gusto e mi ci sono arrabbiato, non rimpiango il tempo (un viaggio a Milano in treno, andata e ritorno) che ho impiegato a leggerlo, posso dire che mi ha mosso pensieri e ci ho imparato.
    Spero che Lei non s’arrabbi per il mio giudizio. Si scrive per questo e solo per questo: non per piacere, o stupire, o “aver successo”.
    Un cordiale saluto
    Suo Italo Calvino


Così apprendiamo che l'autore de Il barone rampante avrebbe letto il ponderoso romanzo di Morselli in un viaggio in treno a Milano... da Alfa Centauri! Già questa è una dichiarazione di disonestà intellettuale. A meno che non sia dotato di poteri mentalistici prodigiosi, non penso che un essere umano possa leggere in poche ore un libro di circa 35o pagine. Non rientra nelle possibilità della specie Homo sapiens. Punto. Questo è un dato di fatto. Lo uso spesso e volentieri per smascherare gli impostori che si fregiano del titolo di "lettori bulimici", quelli che affermano di leggere un migliaio di libri in un anno (ossia più di un libro ogni santo giorno!). Chiunque affermi di leggere un libro come Il comunista in un giorno è soltanto un buffone: probabilmente il manoscritto di Morselli è stato cestinato dopo un'occhiata superficiale. Francamente preferisco quell'altro Calvino, il Riformatore di Ginevra, quello che odiava i bambini e li definiva "piccoli fetenti"

Queste sono parole, di tutt'altro tenore, tratte dal risvolto del romanzo, pubblicato da Adelphi: 

Il comunista racconta un caso di dissenso ideologico, ma non è un romanzo ideologico. Anche se è impressionante l’anticipo con cui questo romanzo, scritto nel 1964-65, tocca problemi e prospettive degli anni successivi, bisogna dire che qui a Morselli preme soprattutto ricomporre uno strato di realtà, un agglomerato di psicologie, di modi di vita, di affinità e di conflitti all’ombra di via delle Botteghe Oscure. Come ogni vero romanziere, Morselli non si preoccupa di giudicare, ma di dare vita e forma. Così, il quadro che ci mostra abbraccia insieme gli elementi più grandiosi e affascinanti come quelli più duri e meschini della vita interna del P.C.I., senza che mai quei caratteri siano usati per una dimostrazione. 

E ancora:

Come già nei suoi romanzi precedenti, anche questa volta Morselli sa calarsi con prodigioso mimetismo in una nuova realtà, il P.C.I., presenza imponente nella vita italiana, forse troppo imponente se finora i romanzieri italiani sembrano essersi del tutto bloccati davanti a essa. È perciò quasi un’altra ironia della sorte, fra le molte legate al suo nome, che a cimentarsi in questa difficile impresa, e a riuscire nella prova, sia stato un outsider in ogni senso come Morselli, aiutato soltanto dalla sua rara capacità di aprire le porte di mondi sigillati e da una chiaroveggente attrazione per il concreto. 

Purtroppo capita che ci voglia un suicidio perché sia resa giustizia all'opera di un grande! 

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