Renato Mori: Sgherro di Pascal
Titoli in altre lingue:
Francese: Salut les pourris
Spagnolo: Corrupción policial
Portoghese (Brasile): Atire Primeiro, Morre Depois
Russo: Продажные полицейские
Greco (traslitterato): O ektos nomou ekdikitis
Turco: İt sürüsü
Trama: Primi anni '70. Milano incubica. Domenico Malacarne è un commissario di polizia che ha un certo successo nello scoprire piccoli traffici di droga e arrestare criminali di poco conto. Tuttavia ha un suo oscuro segreto: è corrotto, al soldo della gang del boss marsigliese Pascal e del suo perfido
consigliori, Mazzari. Viene pagato dai criminali per fornire informazioni utili e per offrire copertura a un traffico di sigarette e caffè di contrabbando. L'ingranaggio funziona alla perfezione, anche se c'è qualche attrito: il Commissario Malacarne, con la complicità dell'agente Pietro Garrito, riesce a mettere da parte ben 60 milioni di lire, ad abitare in un appartamento di lusso e a godere di una bellissima amante, la fulva Sandra. Qualcosa però a un certo punto inizia ad andare storto. Pascal fa pressione per ottenere copertura a un traffico di armi e droga, cosa che desta problemi di coscienza del funzionario corrotto. Come a dire: finché si tratta di sigarette e di caffè, va tutto bene, quando si passa a roba davvero pesante, allora non va bene più. Malacarne si mette in mente di ostacolare i corruttori che gli fanno intascare le mazzette. C'è di più: un napoletano trapiantato a Milano, certo Serafino Esposito, sporge denuncia per una macchina che gli ha bloccato l'ingresso di casa. Ricordando il numero di targa del veicolo e avendolo comunicato nel corso denuncia, l'informazione è verbalizzata e si trova nell'esposto. La macchina apparteneva a un uomo di Pascal. Il boss mafioso pressa il commissario affinché metta le mani sul documento, lo sottragga e glielo consegni. Le cose si complicano in modo insostenibile: il padre di Malacarne è un onesto maresciallo dei Carabinieri, in comando proprio nella caserma in cui il napoletano ha sporto denuncia. Di fronte alle insistenze del figlio, che vorrebbe a tutti i costi portarsi via il verbale, il Maresciallo Malacarne comincia ad insospettirsi. Quando Serafino Esposito viene trovato morto, soffocato da un sacchetto di plastica (persino il suo gatto è stato soppresso nello stesso modo), i sospetti si fanno sempre più incalzanti, fino a culminare in una scenata, in cui il commissario ammette platealmente la propria corruzione. Tutto va in merda. Il Maresciallo Malacarne, ferito nel più profondo dei sentimenti, si decide ad agire: consegna l'esposto problematico al figlio, nonostante disapprovi fortemente la sua corruzione. Subito dopo, mentre si trova in riva a un fontanile, viene aggredito e soffocato da un travestito. È Gianmaria, l'amante passivo di Pascal, femmineo ma letale. Si scatena un vortice di inaudita violenza omicida. Il Commissario Malacarne si vendica, massacrando di botte il sodomita e spezzandogli il collo. Il mafioso marsigliese a sua volta fa brutalizzare e uccidere in modo atroce la bellissima Sandra. Alla fine, il funzionario marcio riesce a ottenere la sua vendetta, sparando un colpo nel cranio a Pascal, ma viene a sua volta abbattuto allo stesso modo dall'agente Garrito, che non vedeva l'ora di prendere il suo posto!
Recensione:
Innovativo e anticonvenzionale, questo poliziottesco nichilista è a dir poco eccellente. Uno dei massimi capolavori della Settima Arte in Italia. È il primo film italiano di questo genere a trattare in modo esplicito lo scomodo tema della corruzione, avendo come protagonista un funzionario spietato e marcio fin nel midollo delle ossa. Tramite le sue sequenze cupissime ci si immerge in un mondo in cui è morta ogni traccia anche vaga di illusione, per non parlare di redenzione. Pessimismo estremo, apocalittico. Anche per questo mi piace così tanto. La regia è perfetta, il cast è ricchissimo e straordinariamente complesso. Memorabili le scene con gli inseguimenti.
Ingovernabile e irruento, Luc Merenda è a mio avviso particolarmente azzeccato nel suo ruolo così strano e inedito, innervato di ambiguità. Ha capelli di un indefinibile colore castano-biondiccio tagliati a caschetto e occhi che sembrano carboni ardenti come quelli di Caronte. Il suo corpo è un fascio di muscoli sempre contratti, come quello di una lucertola che guizza perennemente al minimo stimolo dell'ambiente esterno.
Richard Conte è perfetto nel suo personaggio intriso di perfidia. La sua fisionomia untuosa lo rende particolarmente ripugnante, con quello sguardo diabolico che irradia dai piccoli occhi neri da faina, con quelle orecchie dal lobo allungato, con ciuffi di peli scuri che escono dal condotto uditivo! Sembra in tutto e per tutto un vampiro appena uscito dalla tomba!
Splendida e sensualissima la fulva Delia Boccardo nella parte di Sandra, una ragazza con velleità artistiche, sempre pronta ad accettare il suo uomo senza porsi troppe domande sui suoi aspetti più controversi: pagherà per questo un prezzo spropositato.
Raymond Pellegrin ottimo interprete del ruolo del boss viscido e brutale, capace di incredibili efferatezze. Ogni dettaglio della sua odiosa fisionomia sottolinea la natura infernale del personaggio. Calvo, con occhi minuscoli e scuri come pozzi dell'Inferno, pelle lucida come quella di una zecca rigonfia di sangue, corrisponde a certe descrizioni dei vampiri che si dice imperversassero in Ungheria, provocando episodi di panico di massa!
Salvo Randone si distingue per la sua espressione umanissima quanto sofferente. Sembra la personificazione del
pathos. È crocifisso in ogni singolo istante della sua esistenza e lo lascia trasparire con tutti i suoi sguardi, con tutte le sillabe che pronuncia.
Vittorio Caprioli gode di un vasto plauso nel Web, tutti ne dicono mirabilia, eppure lo trovo poco comico nel suo ruolo di attempato napoletano sradicato dalla sua città e diventato acido, insofferente verso tutto e tutti, chiuso nel culto del suo gatto. Eccessivamente querulo, finisce con l'essere molesto quasi come una blatta caduta nel caffè della colazione. Ok, va bene, non esageriamo. Non dico che sia insopportabile, ma poco ci manca.
Rosario Borelli indimenticabile con la sua espressione truce e la sua postura fiera. Mefistofelico fino all'ultimo istante!
Gianni Santuccio interpreta bene il ruolo del Questore furibondo. Capelli grigiastri, occhi accesi, carattere bilioso, nutre un particolare odio verso i cosiddetti
"capelloni", considerandoli il capro espiatorio di ogni malefatta compiuta dal genere umano nel corso dei millenni.
Cronologicamente,
Il poliziotto è marcio si colloca dopo la celeberrima
Trilogia del milieu. È stato commissionato da Galliano Juso, che poco dopo ha prodotto anche
La città sconvolta: caccia spietata ai rapitori, sempre diretto da Fernando Di Leo (1975). Tra le altre cose, Juso è stato anche lo sceneggiatore di
Chicken Park (Jerry Calà, 1994)!
Nomen omen
A quanto ho potuto constatare, è opinione comune tra i commentatori e i critici nel Web che il cognome "Malacarne" sia un nomen omen, essendo il suo ovvio significato quello di "cattiva carne". La carne cattiva, ossia guasta, si corrompe e si riempie di vermi. Quindi simboleggia la corruzione morale. Questa accezione si applica innanzitutto al funzionario corrotto, per ovvie ragioni, eppure in qualche modo persino suo padre non viene risparmiato. Si suppone che l'indole marcia sia passata al figlio per ereditarietà, come un carattere mendeliano qualsiasi. Infatti a un certo punto il Commissario Malacarne si rivolge così al genitore, gettando su di lui ombre con l'intenzione di sporcarne l'onestà:
“Ma chi sei tu per farmi la morale? Io ti ho visto leccare le scarpe per tutta la vita. Quante volte hai massacrato di botte dei poveracci con la benedizione dei superiori? Quante prove hai fabbricato per trovare dei colpevoli qualsiasi? Quanti soprusi, quanti inghippi... per un panettoncino a Natale! Pure questa è corruzione, ma corruzione da fessi!”
In ogni caso non mi sembra giusto che le cose siano descritte in questi termini. I due Malacarne non possono in alcun modo essere ridotti a un denominatore comune. Il padre del Commissario può essere biasimato per avere usato mezzi un po' troppo violenti, ma in fin dei conti ha semplicemente eseguito gli ordini. In una struttura militare, gerarchica e apicale, è difficile pensare che avrebbe avuto molto margine per agire in modo diverso. Non ha alcun senso l'insinuazione che abbia agito così allo scopo di guadagnarsi un panettone: è una pura e semplice malignità. Invece il Commissario è andato ben oltre i propri limiti, diventando a tutti gli effetti un criminale egli stesso.
Origine e diffusione del cognome Malacarne
A quanto ho potuto notare, tra i recensori del Web, è data per scontata l'origine meridionale e napoletana del cognome
"Malacarne". Si tratta di un clamoroso errore, nato da superficialità.
Consultando il sito
Gens Labo, che permette di ottenere mappe sulla presenza dei cognomi nei comuni italiani, si deduce che
"Malacarne" è particolarmente diffuso nelle regioni del Nord e in Toscana. A settentrione si riscontra una grande densità in Lombardia, Veneto, Trentino ed Emilia-Romagna; è poco presente in Piemonte, in Valle d'Aosta e in Friuli Venezia Giulia. Si trovano alcuni Malacarne anche in diversi comuni del Sud Italia, ma in modo sporadico: se ne hanno tracce in Lazio, Campania, Basilicata e Puglia; a quanto pare sono invece assenti in Sicilia, in Calabria e in Sardegna.
"Dovrebbe derivare da un soprannome originale riferito ad un macellaio che vendeva carne di cattiva qualità; potrebbe essere riferito anche a persona di cattivi sentimenti."
E ancora:
"Questo cognome, tipicamente settentrionale, è praticamente presente in tutte le province del Nord Italia ed in modo particolare in quelle di Belluno, Ferrara, Milano e Mantova. In Trentino ne troviamo un centinaio (sempre con riferimento agli utenti del telefono), principalmente a Riva del Garda e nel comune di Bleggio Inferiore."
Il luogo d'origine della stirpe era con ogni probabilità nelle Valli Giudicarie, in Trentino Occidentale. A parer mio è probabile che l'antenato comune dei Malacarne fosse così chiamato per motivi religiosi, perché si diceva che avesse
una cattiva tunica di carne. In altre parole, era particolarmente predisposto alle opere della carne e della corruzione. Forse il regista aveva fatto qualche studio.
Questo è riportato sul sito
Cognomix.it (il corsivo è mio):
"Tracce di questa cognominizzazione si trovano nel trentino almeno dalla prima metà del 1400 e così pure a Spoleto in un testo del 1414 dove si legge:
"...Li caporali de Re eranu Sforza da cotogniola, Paulu Ursinu, lu Conte da Carrara, Malatesta da Cesena, messer Malacarne et Tartaglia...:". Vi è inoltre a Riva del Garda un registro comunale relativo all'anno 1619:
"...Laurentius filius domini Ioseph Orlandi alias de Malacarnis...".
Il cognome Malacarne ha ceppi nel trentino, nel bellunese, nel pisano ed in Lombardia."
Variante rara:
MalacarniQuesta è la distribuzione, assoluta e percentuale, delle 930 famiglie
Malacarne nelle singole regioni:
Lombardia: 291 (31,3%)
Toscana: 161 (17,3%)
Veneto: 154 (16,6%)
Emilia-Romagna: 106 (11,4%)
Trentino Alto Adige: 100 (10,8%)
Piemonte: 40 (4,3%)
Lazio: 20 (2,2%)
Liguria: 19 (2,0%)
Campania: 10 (1,1%)
Basilicata: 10 (1,1%)
Valle d'Aosta: 8 (0,9%)
Puglia: 5 (0,5%)
Friuli Venezia Giulia: 3 (0,3%)
Umbria: 1 (0,1%)
Sicilia: 1 (0,1%)
Abruzzo: 1 (0,1%)
Quanto esposto mette in evidenza quanto sia facile incorrere in errori grossolani. Quando ci si atteggia a recensori ruggenti, si corre e si danno sempre troppe cose per scontate. È necessario indagare su ogni singolo dettaglio, anche se l'impresa è di una difficoltà erculea e le insidie sono molteplici. Ho imparato in numerose occasioni quanto sia facile distorcere i fatti.
P.S.
Nell'adattamento in lituano, il protagonista si chiama
Domenikas Malakarnis. In quella lingua è inconcepibile usare cognomi indeclinabili: vengono sempre assegnati a una declinazione e trattati di conseguenza.
Incertezze nell'onomastica
Wikipedia riporta il nome del boss interpretato da Richard Conte come
Corrado Mazzanti. A quanto ricordo, è nominato nel corso del film poche volte, mai per nome di battesimo e in modo confuso: ho trovato una sequenza in cui a nominarlo era Pascal e mi è parso di sentire
"Mazzani", con una consonante
-n- molto debole e senza traccia alcuna di
-t-. Non sembra che la forma originale fosse
"Mazzanti". Quale grado di affidabilità ha Wikipedia in casi simili? Comunque sia, si è creata tutta una serie di equivoci. Visto che molti trascrivono
"Mazzari" e usano questa forma in modo sistematico, ho riguardando il film con attenzione, potendo constatare che il cognome è proprio
"Mazzari". Questa sembra la variante più diffusa nel Web, anche se
"Mazzanti" è ben attestato. Passando all'inglese, il cognome è diventato
"Nazzari" o addirittura
"Mazzoni". Il sito cinematografico
IMDb.com ha proprio
"Nazzari". Nell'adattamento in lituano, il cognome del boss è invece
"Mazonis": è stata lituanizzata proprio la forma
"Mazzoni". Questa spaventosa confusione è dovuta al fatto che il copione non era chiaro già all'origine. Dovendo dipendere tutto da una singola menzione bisbigliata, il cognome cambiava da un passaggio all'altro. Il mio sospetto è che sia tutta colpa dei doppiatori raffreddati!
Gusti pesanti
Pascal spara il suo sperma nell'intestino retto dell'effeminato Gianmaria. Gli buca le chiappe, gli schiaccia la prostata col glande rigonfio, lo possiede carnalmente. La cosa sembra essere in qualche modo tollerata, anche se con riluttanza, ma non ci si deve lasciar ingannare. Infatti, a un certo punto il sulfureo Mazzari (alias Mazzoni, Mazzanti, Nazzari) fa un'allusione inattesa: "I suoi gusti, Pascal, sono piuttosto pesanti". Un'allusione che è anche un monito.
Una legge ferrea e non scritta del crimine organizzato vieta l'omosessualità, attiva o passiva che sia. Chi la infrange, presto o tardi paga con la vita. Ci si può chiedere perché Pascal, che si crede "intoccabile", a un certo punto venga lasciato in balìa della volontà vindice del Commissario Malacarne. La risposta è semplice, addirittura lapalissiana: ciò accade per il solo motivo che Pascal è omosessuale e per questo, terminata la sua utilità, deve essere soppresso. Un misto di pragmatismo e di rigore puritano.
P.S.
Nell'adattamento in lituano, Pascal diventa Paskalis.
Alcune divertenti ingenuità
Se si prendesse per oro colato quanto visto nel corso di questa pellicola e di altre dello stesso genere, la mafia avrebbe sede in uffici di fantomatiche agenzie
import-export in palazzoni fatiscenti, all'interno di immensi cantieri inattivi (le famose
"cattedrali nel deserto"). Se uno avesse l'ardire di recarsi in quei luoghi abbandonati e polverosi, pieni di calcinacci, troverebbe proprio i boss in persona, seduti in una stanza dall'arredamento spartano e circondati dai
gorilla, enormi gangster dal ceffo patibolare. Appena fuori dall'ingresso, sulla parete sarebbe sempre in bella mostra un'insegna pubblicitaria dell'aperitivo
Punt e Mes!
Alcune bizzarrie
Nel corso della conferenza compare di sfuggita il sulfureo Aldo Valletti, proprio lui, il fainesco interprete di
Salò o le 12o giornate di Sodoma (Pier Paolo Pasolini, 1975). Si fa molta fatica a notarlo. Il meglio di sé lo ha dato come adoratore dell'ano e delle feci della Signora Maggi!
Il titolo in turco,
İt sürüsü, significa "Branco di cani" (
it "cane";
sürüsü "branco", "gregge").
Per alleggerire un po' la carica drammatica della pellicola, sono stati inseriti due personaggi insensati, comici. Sono i due portoghesi incredibilmente grotteschi che parlano una specie di spagnolo (ad esempio dicono "hasta la vista"). La questione è comunque interessante. Pochi sanno che esistono i Portugnoli. Sono genti di confine, che abitano in zone dove le lingue sovrappongono e si confondono, subiscono osmosi. Ad esempio il Portogallo al confine con la Spagna, il Brasile al confine con l'Uruguay, il Brasile al confine con il Perù e via discorrendo. I nativi di queste aree si esprimono quindi in un idioma indefinito, nebuloso, il portugnolo (Portunhol, Portuñol). Il nome è una parola macedonia:
Portoghese: Português + Espanhol => Portunhol
Spagnolo: Portugués + Español => Portuñol
Italiano: Portoghese + Spagnolo => Portugnolo
Chiaramente i due corrieri che si vedono nel film hanno nazionalità portoghese, come viene più volte ripetuto, ma in realtà sono
portugnoli a tutti gli effetti. Dopo aver mostrato un campionario di espressioni facciali distorte,
abatantuonesche, dopo aver fatto mille lazzi altisonanti, finiscono freddati in Piazza del Duomo, in mezzo ai piccioni, su una lettiera di stronzi. In genere i due portugnoli non sono affatto apprezzati dai commentatori del Web: sono ritenuti elementi incongrui, insensati, di cui si farebbe volentieri a meno.
Feroce odio antisodomitico
Oggi questo film non potrebbe più essere girato. Sarebbe accusato di diffondere contenuti omofobici. Quando il Commissario Malacarne entra nell'ufficio di Pascal, subito esprime la sua avversione per il travestito Gianmaria, pronunciando parole violente. Ecco il dialogo:
Gianmaria: "Ooh! Ciao, bell'uomo!"
Commissario: "Ecco Gianmaria con la vestaglia cinese! Gianni davanti e Maria di dietro!"
Gianmaria: "Che lato vuoi provare per primo?"
Commissario (davanti alla gang riunita): "Quanta bella gente! Date un ricevimento? E le donne dove sono? O ci pensa Gianmaria per tutti?"
Mazzari: "Il Commissario è di buon umore. Il Commissario è un uomo di successo."
Pascal: "Dobbiamo parlare."
Commissario: "Con tutti questi presenti? Allora non è così importante."
Pascal (rivolto a Mazzari): "Dagli il suo!"
Mazzari: "Ecco, per questo mese, Commissario. C'è quell'aumento che abbiamo concordato. Conti!"
Gianmaria: "Te li conto io!"
(Il Commissario lo spinge via)
Gianmaria: "Ehi, bell'uomo, calma!"
Commissario: "Allora, gente! Se Gianmaria vi diverte, è bene per voi! A me fa schifo, è chiaro?! Non deve chiamarmi più in Questura, né lui né chiunque altro, è chiaro?"
Trema, ricolmo d'ira funesta, è talmente alterato che sembra quasi dica: "... è pene per voi"!
L'occlusiva labiale perde la sua sonorità. Si potrebbe parlare di "desonorizzazione isterica". In tale stato, un soggetto sarà incapace di distinguere "bene" da "pene". Così si azzerano le differenze tra "buffo" e "puffo", tra "baffuto" e "paffuto", tra "bollo" e "pollo", etc. Non si tratta di naturali mutamenti fonetici: è il cervello ad andare in tilt. In genere questo marasma si accompagna ad allucinazioni tattili, ossia sensazioni di pressione sull'ano. Esistevano davvero queste reazioni folli, esagerate, patologiche, anche se si direbbero scomparse dal sapere comune.
Qualcuno si chiederà perché io insorga di continuo contro il politically correct dei nostri tempi. Si deve tener conto del fatto che negli anni '70 non regnava certo la libertà di parola. In particolare non si poteva parlare di argomenti come l'omosessualità - eppure ci sono stati registi che lo hanno fatto. Ci si dovrebbe piuttosto chiedere se quella che c'è oggi sia davvero "libertà", o se non sia piuttosto una subdola forma di indottrinamento a un contorto sistema di distorsioni mentali.
In sintesi, le cose stanno così:
1) Secondo la mentalità perbenista, menzionare l'omosessualità equivaleva a farne l'apologia.
2) Secondo la mentalità neo-perbenista, menzionare l'omosessualità in modo diverso da come impongono i dettami del politically correct equivale ad essere etichettati come "omofobi".
Ho trovato menzione di una singolare leggenda. A parlarne è un navigatore il cui nick è Dandy, sul sito
Mymovies.it. Sembra che all'inizio Di Leo avesse in mente di dirigere il film assieme a Jean-Pierre Melville, che però morì proprio quando il progetto stava per concretizzarsi. A quanto pare, avrebbero dovuto esserci attori del calibro di Anthony Quinn e di Lino Ventura. Non sono riuscito ad appurare la veridicità o meno di questo racconto. Tuttavia è certo che Di Leo è spesso soprannominato
"Il Melville italiano", avendo sempre considerato suo maestro il regista francese.
Censura
Quello di cui si parlerà sempre troppo poco sono le persecuzioni che il regista ha dovuto affrontare per aver osato affrontare lo scomodissimo tema della corruzione nelle Forze dell'Ordine. In pratica questo film in Italia non lo abbiamo potuto visionare per ben 30 anni. Non è cosa di poco conto, mi pare. Soltanto nel 2012 è stato pubblicato su DVD dalla casa di produzione e distribuzione indipendente
RaroVideo. A partire dal maggio 2022 è disponibile in versione integrale su YouTube. Questo è il link:
Queste sono le parole di Fernando di Leo a proposito delle sue gravi vicissitudini:
"Credo di essere stato l'unico ad avere girato un film che parlasse della corruzione delle forze dell'ordine ne Il poliziotto è marcio. Il solo titolo e i manifesti irritarono il Viminale a tal punto che ricevetti telefonate minatorie da voci che a quel ministero facevano riferimento. Va da sé che forse le telefonate le fecero quelle bestie stupide e feroci conosciute come benpensanti".
(Fonte: Nocturno Dossier n. 14, Calibro 9 - Il cinema di Fernando Di Leo, a cura di Davide Pulici e Manlio Gomarasca)
E ancora:
"Per Il poliziotto è marcio, il solo titolo fu trovato insultante. Il fatto che ci fossero i manifesti con il titolo 'Il poliziotto è marcio', sdegnò talmente i celerini, e naturalmente il Viminale, che io ebbi varie telefonate, con un tono minatorio tipo: 'Lei non si deve permettere...', a cui io rispendevo con parolacce, quali che fosse l'interlocutore, che doveva essere anche di alto grado. Mi attaccarono pure quando feci Brucia ragazzo, brucia (...) Dopo che il film fu assolto, feci mettere una pubblicità sui giornali: 'Finalmente la giustizia ha detto sì al sano erotismo.' Che era uno sfottò per tutti quelli che si erano incazzati, perché il film era stato assolto a Rimini da un pubblico ministero che fece la più bella critica che io abbia mai avuto su Brucia ragazzo, brucia."
(Fonte: "La seconda mano del gioco", extra a cura di Nocturno cinema contenuto nel DVD RaroVideo)
Dal verbale allegato al n.o. n. 64039 (25 febbraio 1974):
"Poiché l'interessato dichiara di non poter aderire alla proposta dei tagli, la Commissione esprime parere favorevole alla concessione del n.o. di proiezione in pubblico, con il divieto di visione ai minori degli anni 18. Tale divieto è in relazione, innanzitutto, alla tematica del film, che ha come protagonista un commissario di P.S. ed un suo dipendente che si lasciano corrompere da una banda di delinquenti al solo fine di appagare desideri di vita agiata e lussuosa; né alla conclusione del film si ha uno spiraglio di luce, poiché al capo della banda ed al commissario uccisi subentrano altri da una parte e dall'altra decisi a perseverare nella losca ed illegale attività. A ciò si deve aggiungere che il film consiste in una serie ininterrotta di scene di violenze, alcune delle quali presentano carattere di particolare ferocia ed efferatezza."
Metri di pellicola dichiarata: 2595 (circa 94'40" su pellicola in 35 mm, uguale a 90'-91' su DVD o nei passaggi televisivi codificati PAL).
Una seconda commissione, datata 14 novembre 2012 (v.c. n. 106749), ha espresso parere favorevole al rilascio del nulla osta per la proiezione in pubblico, senza più limitazioni per i minori.
Nel tentativo, risultato poi vano, di mitigare il furore dei censori, il regista decise di inserire uno scritto esplicativo subito dopo l'uccisione del commissario corrotto. L'ho visto con i miei occhi, era in lingua inglese:
"You have just witnessed a true story: four months later detective Pietro Garrito was arrested, tried and convicted on six separate charges of graft and conspiring to obstruct Justice... crime does not pay."
Traduzione:
"Avete appena assistito a una storia vera: quattro mesi dopo, l'agente Pietro Garrito è stato arrestato, processato e condannato con sei distinte accuse di corruzione e cospirazione per ostacolare la Giustizia... il crimine non paga."
Ho anche visionato una versione del tutto simile, ma senza il cartello, in cui tutto si concludeva con la parola
"Fine". Non ho mai visto con i miei occhi il cartello in lingua italiana.
Una lezione morale
La diffusione di questo film era molto temuta. La paura era che potesse minare nei cittadini la fiducia nelle Forze dell'Ordine e più in generale in ogni istituzione. Menzionare un problema grave come la corruzione era considerato equivalente al fare apologia del crimine. Negli anni '70 erano ancora molto comuni le persone incapaci di distinguere la realtà dalla finzione cinematografica. Si sentivano molto spesso, specie dagli anziani, frasi come: "È vero, l'ho visto al cinema", "È vero, l'ho visto alla televisione". Moltissimi erano convinti che i film fornissero resoconti attendibili degli eventi storici. Credevano che Maciste e Ursus fossero personaggi realmente esistiti, solo per fare alcuni esempi. "È Storia", commentavano ogni volta che vedevano un film peplum. Il pericolo era che qualcuno potesse dire: "I poliziotti sono tutti marci, sono tutti corrotti, l'ho visto al cinema, l'ho visto alla televisione." Possibile che nessuno abbia invece tratto una lezione morale dal film di Di Leo? Assistendo a quelle sequenze, si dovrebbe dire: "Vedete dove si arriva se la corruzione prevale?", "Vedete cosa succede se si lascia spazio ai corrotti?"
Critica
Riporto un cut-up di opinioni, frasi smozzicate tratte dalla pagina dell'ottimo sito Il Davinotti e ricucite insieme senza una logica apparente. Come di costume, riporto i refusi dei testi originali, quindi si impicchino i pedanti che dovessero fare "gnè-gnè-gnè" per qualche parola scritta male.
"Luci e ombre per un poliziottesco che nonostante sia ben lontano dalla perfezione, è comunque superiore alla media di genere"
"Di Leo prosegue la sua personalissima strada del noir poliziesco, stavolta affrontando il tema della corruzione di un commissario (il bravo Merenda)"
"Interessante noir di Di Leo, che si fa perdonare le cadute solite"
"Belle le ambientazioni milanesi, anche se qua e la è fin troppo chiaro che in realtà si è a Roma"
"Non siamo ai livelli di altri classici del regista, comunque buono"
"Buoni i dialoghi, serrato il montaggio"
"Lontanissimo dai commissari di ferro del poliziesco, il corrotto Domenico Malacarne è parente stretto degli antieroi del noir, con cui condivide un destino nichilista e tragico"
"Il regista, pur non rinunciando ad alcune scene d'azione ben fatte, preferisce però indagare la psicologia del personaggio e mette in scena un dramma duro e spietato, senza speranza nemmeno nel crudo finale"
"De Leo disarticola scientemente il poliziottesco, innervandolo con elementi di solidità strutturale originali per il genere e ribaltando il cliché del commissario incorruttbile (un Merenda di cui viene sfruttata l’ambiguita del phisique e visage, du role)"
"Nomi significativi (Malacarne quello del poliziotto protagonista); ambientazioni metropolitane (una caotica Milano)"
"Da annotare l'ambiguità di un Luc Merenda commissario eroe-antieroe e soprattutto l'ambiguità di farlo apparire migliore dei suoi superiori, non marci, ma fortemente prevenuti e attenti più all'apparenza che alla sostanza"
"Migliora col tempo, seppur non raggiunge le altezze della grande trilogia"
"Perfetto Conte"
"Purissimo cinema di regia"
"C'è poi un velato (ma non troppo) confronto tra polizia e carabinieri"
"Di questo stupendo film girano copie immonde in vhs dalla qualità più marcia del poliziotto in questione"
"Un mistero come questo film non abbia avuto la stessa risonanza mediatica de La piovra"
"Qui il poliziotto è marcio già dal titolo"
"Il marciume del titolo alla fine copre quasi tutti i personaggi del film, in un un pot-pourri di tradimenti, parole mancate e colpi alle spalle"
"Noir teso, cupo e violento, in pieno stile Di Leo"
"Abbiamo degli autentici mostri sacri del poliziesco all'italiana: Pellegrin nei parti di un criminale bastardissimo, Conte nei panni del solito intrallazzatore e Merenda che naviga tra corruzione e sensi di colpa, che alla fine tenterà di fare giustizia"
"Sui canoni del poliziesco all’italiana, fusi con le atmosfere noir di cui era maestro, Di Leo innesta la figura ambigua di un poliziotto corrotto ma non privo di coscienza, più complesso dei ferrei tutori dell’ordine tipici del genere"
"Spietato e marcio (come da titolo) questo noir mette in mostra un "anticommissario" che è la reincarnazione del concetto di corruzione"
"Noir e amaro"
"Trattasi di un prodotto di notevole livello"
"Appena sotto la mitica trilogia, ma da vedere assolutamente"
"Il titolo fa tremare i muri per le inconfutabili verità che purtroppo rivela"
"molto probabilmente il film più riuscito di Di Leo dopo Milano calibro 9"
"In negativo gli inserti "umoristici", con alcune macchiette inutili (su tutti i due portoghesi "italo-spagnoli")"
"Ottimo poliziesco non conforme al cliché dell'epoca"
"In tempi di fiction-promozione per le forze dell'ordine, un titolo del genere oggi è impensabile ed improponibile"
"Ci voleva Di Leo per avere un commissario che esce dagli stereotipi del senso del dovere e del sacrificio"
"Prodotto originale nel mostrare un poliziotto che scende allo stesso livello dei delinquenti che persegue. E che sono brutti ceffi da far paura, capaci di ammazzare uomini e gatti coi sacchetti di plastica"
"Poco incisiva la caratterizzazione di Caprioli (altrove ben più piacevole) mentre Randone regala il suo sguardo severo e malinconico al padre del protagonista corrotto"