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domenica 20 agosto 2023

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE PAROLE POLIREMATICHE

Vorrei ora porre l'attenzione su un insidioso problema che ostacola in modo significativo l'apprendimento delle lingue. 
Una parola polirematica è un gruppo di parole che funziona come una singola unità di significato, ossia come un singolo lessema. Il suo significato, che è specifico e autonomo, e non è la semplice somma delle componenti. 
Sinonimi:
    unità polirematica,
    locuzione polirematica 
    polirematica 
Etimologia: dal greco πολύς (polýs) "molto" e ῥῆμα (rhêma) "parola".
Sinonimi meno comuni: 
    lessema complesso
    parola complessa
    parola sintagmatica
    unità lessicale superiore 
Traduzioni in inglese:
    phraseme,
    set phrase,
    fixed expression
    idiom
    multiword expression  
Traduzioni in tedesco: 
    Phraseologismus,
    Phrasem
    Idiom 
Traduzioni in francese: 
   phraséologie
   unité phraséologique
   phraséologisme
   phrasème     

Se pochi ne hanno sentito parlare, è perché la scuola insegna più che altro bullismo e politica. Eppure simili formazioni non possono essere trascurate, perché sono innumerevoli e pervasive.

Classificazione delle parole polirematiche ed esempi: 

i) nome polirematico: 
   aglio olio e peperoncino,
   anima gemella
   avvocato del diavolo,
   benzina senza piombo,
   camera a gas
   carta di credito
   cartoni animati
   casa di cura
   conferenza al vertice
   dato di fatto,
   ferro da stiro
   festa in costume,
   festa in maschera,
   fine settimana
   gomma per cancellare,
   guardia del corpo
   luna di miele
   macchina da scrivere,
   manna dal cielo,
   permesso di soggiorno
   scala mobile,
   tavola rotonda
   vuoto a rendere,
   etc. 
ii) aggettivo polirematico: 
   a caldo,
   acqua e sapone
   a rate
   bianco e nero,
   bianco sporco,
   buono a nulla
   chiavi in mano
   fuori stagione
   in bianco
   rosa pallido,
   rosso ruggine,
   senza arte né parte,
   senza infamia e senza lode,
   terra terra
   usa e getta
   vero e proprio
   etc. 
iii) pronome polirematico: 
   chissà cosa
   il tal dei tali,
   lo stesso
   noi altri
   noi stessi
   qualche cosa
   questo e quello,
   etc.
iv) verbo polirematico: 
   avere le mani bucate,
   buttare via
   dare retta
   dare una mano
   essere di guardia,
   fare acqua
   fare luce
   farla franca
   farsela addosso,
   farsela sotto,
   mettere in moto,
   mettere le corna
   portare avanti
   prendere piede,
   rendere conto
   rendersi conto
   volere bene
   volersi bene,
   etc.
v) avverbio polirematico: 
   alla mano
   avanti e indietro
   così così
   culo a terra,
   di male in peggio,
   di punto in bianco
   mani in alto
   meno male
   pancia all'aria,
   su e giù
   etc.
vi) preposizione polirematica: 
    assieme a
    nell'arco di,
    per quanto concerne
    quanto a
    riguardo a
    etc.
vii) congiunzione polirematica: 
   dal momento che,
   fermo restando che,
   in quanto,
   nella misura in cui,
   prima che
   etc. 
viii) interiezione polirematica: 
    apriti cielo,
    buonanotte al secchio
    in bocca al lupo
    per carità,
    santo cielo
    etc. 
   N.B.
   Le bestemmie sono tipicamente polirematiche!

Rigidità strutturale

Le unità polirematiche sono oggetti complessi, anche se di rado il parlante medio ne è consapevole. Sono particolarmente rigide, sia a livello semantico che sintattico. In particolare valgono le seguenti proprietà:  

- non è tollerata la sostituzione di componenti con sinonimi;  
- non è tollerata la frapposizione di elementi estranei;
- non è tollerata la dislocazione, né altro tipo di cambiamento d'ordine deio componenti; 
- non è tollerata la pronominalizzazione dei componenti.

Per approfondimenti sulla classificazione, si rimanda all'articolo di Francesca Masini (2011) sull'Enciclopedia dell'Italiano:


Va segnalato che esiste un fortissimo tabù nei confronti della violazione delle regole sopra enunciate. Chi sbaglia una parola polirematica o cerca di apportarvi variazioni indebite, è colpito da stigma sociale, come se avesse la lebbra, come se si presentasse in pubblico col volto imbrattato di escrementi.

Analizziamo in dettaglio alcuni notevoli esempi di rigidità strutturale, spingendo tale caratteristica fino alle estreme conseguenze:

1) avvocato del diavolo 
Significato: "chi porta argomenti contrari a quelli auspicati"; "chi ha sempre da ridire su tutto" 
Significato originale: "promotor fidei, incaricato di portare argomenti per mettere in discussione virtù e miracoli di un candidato alla canonizzazione" 
Fraseologia: fare l'avvocato del diavolo

Il tentativo di sostituire con sinonimi uno o entrambi i membri produce esiti ridicoli. 
Non si può dire: 
  *avvocato del demonio 
  *avvocato di Satana 
  *leguleio del diavolo 
  *azzeccagarbugli del diavolo  
  etc.

Non si possono inserire aggettivi tra "avvocato" e "diavolo". Non si può dire: 
 *avvocato abile del diavolo
 *avvocato astuto del diavolo

Si può tuttavia preporre l'aggettivo all'unità polirematica: 
 un abile avvocato del diavolo 
 un astuto avvocato del diavolo

L'impossibilità di dislocazione è palese. Nessuno si sognerebbe di pronunciare frasi come questa: 
 *Quello del diavolo è l'avvocato più astuto.  

2) camera a gas 
Significato: "strumento di esecuzione o di sterminio in cui i condannati vengono asfissiati col gas".

Il tentativo di sostituire con sinonimi uno o entrambi i membri produce esiti ridicoli. 
Non si può dire: 
  *stanza a gas  
  *stanzino a gas  
  *gabinetto a gas 
  *camera a esalazioni 
  etc.

Non si possono inserire aggettivi tra "camera" e "gas". Non si può dire: 
  *una camera grande a gas 
  *una camera letale a gas 
  *una camera micidiale a gas

Non si possono dislocare i componenti. Non si può dire: 
 *È a gas quella camera? 
 *Quella a gas era la camera che il Caporale di Braunau considerava il modo migliore di risolvere i problemi. 


3) casa di cura 
Significato: "luogo di residenza per persone che necessitano assistenza costante"
Sinonimi: casa di riposo

Il tentativo di sostituire con sinonimi uno o entrambi i membri produce esiti ridicoli. 
Non si può dire: 
  *palazzo di cura 
  *edificio di cura 
  *costruzione di cura 
  *casa di assistenza  
  etc.

Per contro, "casa di cura" e "casa di riposo" sono sinonimi anche se le parole "cura" e "riposo" non lo sono affatto.

Dovendo aggiungere un aggettivo, si hanno difficoltà quasi insormontabili. Non si può inserire l'aggettivo tra le parole "casa" e "cura"
Non si può dire: 
  *casa spaziosa di cura 
  *casa accogliente di cura 
  *casa efficiente di cura 
  etc. 

In alcuni casi si può sempre risolvere il problema preponendo l'aggettivo alla parola "casa"
Si può dire: 
  una buona casa di cura 
  una spaziosa casa di cura 
  un'accogliente casa di cura 
  un'efficiente casa di cura 
  etc. 

In ogni caso non si sentono molto spesso formazioni di questo genere, anche se di per sé non sono errate. 
Non sempre posporre l'aggettivo è una buona idea, perché potrebbe intendersi che possa essere riferito a "cura" anziché a "casa"

Stona dire: 
  una casa di cura spaziosa 
  una casa di cura accogliente 
  una casa di cura efficiente 

Tuttavia non sussiste il problema se si usa un intensivo formato con "molto":
  una casa di cura molto spaziosa 
  una casa di cura molto accogliente 
  una casa di cura molto efficiente 

4) far morire
Significato: "indurre turbamento (in genere erotico)"
Polirematiche di significato analogo: 
  far impazzire 
  far perdere la testa

Non è possibile sostituire questi verbi con altri sinonimi: 
  uccidere 
  ammazzare 
  far crepare 
  fare schiattare
  rendere demente 
  portare alla follia;
  decapitare 
  etc. 

Esempi di fraseologia: 
Quella ragazza si mette in minigonna e fa morire gli uomini. 

Variante ammessa: 
Quella ragazza si mette in minigonna e fa impazzire gli uomini. 

Non si può dire: 
Quella ragazza si mette in minigonna e uccide gli uomini.
etc.

In una frase di altro genere, che non includa un'unità polirematica, non si può usare "far morire" come sinonimo di "fare impazzire"! In altre parole, non vale la proprietà transitiva. 

Esempio:
  un veleno per far morire i topi 

Non si può sostituire la frase con le seguenti:  
  *un veleno per fare impazzire i topi 
  *un veleno che decapita i topi 

5) solo come un cane 
Significato: "in condizione di solitudine profonda, assoluta"

Se un uomo è solo come un cane, nulla da ridire. Ma cosa succede se a sentirsi così sola è una donna? Ebbene, bisogna dire così:
Quella donna è sola come un cane

Non si può dire:
*Quella donna è sola come una cagna. 

Pure mi è capitato di sentire una frase simile, "M. si sente sola come una cagna", pronunciata da qualcuno che non comprendeva la natura delle unità polirematiche e cercava a tutti costi la concordanza del genere delle parole. Questo errore ha pietrificato tutti i presenti, in particolar modo le donne: è stato considerato una grave gaffe, perché la parola "cagna", al pari di "vacca", è considerata un sinonimo di "prostituta".

6) topo di biblioteca 
Significato: "appassionato di libri", "avido lettore di libri"

Il tentativo di sostituire uno o entrambi i membri con sinonimi produce esiti ridicoli.
Non si può dire: 
  *sorcio di biblioteca
  *ratto di biblioteca 
  *roditore di biblioteca 
  *topo di libreria 
  etc.

Non si possono dislocare i componenti. Non si può dire: 
  È di biblioteca quel topo? 

Non si possono nemmeno produrre negazioni elaborate. 
Si può dire: 
   Non è un topo di biblioteca.  
Non si può dire: 
   Quel topo non è di biblioteca. 
 
La complessità delle moltissime unità polirematiche usate nella lingua italiana è incredibile: per approfondire bene l'argomento, sarebbe necessario trattarle una per una - impresa impossibile, dato che non basterebbe un'enciclopedia. 

Utilizzo di lessemi peculiari

Alcune parole ricorrono soltanto o quasi soltanto in contesti limitatissimi, come una particolare unità polirematica. Non hanno praticamente altro impiego nella lingua.
Esempi: 

1) attesa spasmodica 
Significato: "attesa nell'angoscia e nell'ansia"

Nel linguaggio corrente, l'aggettivo spasmodico "angoscioso", "straziante", "lancinante" non si usa praticamente mai in contesti diversi. Ricordo un critico letterario che, parlando in una trasmissione televisiva, si lamentava dell'uso sclerotizzato e stereotipato di decine e decine di parole, tra le quali proprio "spasmodico". In realtà esistono attestazioni di uso con sostantivi diversi: 

ansia spasmodica
nervosismo spasmodico

ricerca spasmodica
tensione spasmodica

Ho trovato anche menzione di una frase in cui c'è inversione dei membri:

una spasmodica attesa

Con ogni probabilità le cose sono andate così: in origine la locuzione "attesa spasmodica" non era un'unità polirematica, anche se in seguito ha finito con diventarlo.
Non si può dire: 
 *Oggi mi sento spasmodico.
 *Il comportamento di quella donna è spasmodico. 

L'aggettivo spasmodico "caratterizzato da spasmo" appartiene al linguaggio medico e si riferisce a una contrattura dolorosa - per l'appunto a uno spasmo
Sinonimo medico: spastico 
Derivati: spasmodicamente 
Nota:
L'avverbio è documentato nell'opera Gadda, in cui si parla di una tipa che era spasmodicamente ghiotta di gorgonzola.

2) avere il batticuore 
Significato: "essere ansioso, trepidante"
(far) venire il batticuore
Significato: "provocare ansia o trepidazione"

Nel linguaggio corrente il termine batticuore non ricorre altrove ed è formato chiaramente da battere + cuore. Raffaella Carrà in una canzone cantava "Cuore, batticuore". La traduzione medica è tachicardia.

3) in un battibaleno 
Variante: in un baleno 
Significato: "all'istante" 

Il termine battibaleno non ricorre altrove ed è formato chiaramente da battere + baleno. A sua volta, anticamente la parola baleno era usata come sinonimo di lampo. Oggi è da considerarsi obsoleta. 

4) stare a galla
  rimanere a galla 
Significato: "non affondare"
  venire a galla 
Significato: "emergere" 

Che cos'è la galla? L'ho appreso fin da bambino, avendo la passione dell'entomologia: la galla è un'escrescenza leggerissima, simile a una pallina, che si forma sulle foglie o sulle gemme di certe piante a causa dell'azione di insetti o di patogeni. Questa parola può anche indicare una minuscola vescica che compare sulla pelle, soprattutto in seguito a una scottatura. 
Il problema è che nessuno usa il termine "galla" nel linguaggio comune: la sua natura è soltanto tecnica. Moltissimi ne ignorano persino l'esistenza al di fuori delle polirematiche riportate.
Derivati: galleggiaregalleggiantegalleggiamento   

5) tirare le cuoia 
Significato "morire" 

Il termine cuoia non è usato altrove. Deriva da un antico plurale di cuoio, nel senso di "pelle". Come altri plurali in -a (es. budella, ginocchia, fondamenta, etc.), spesso in senso collettivo, è una genuina sopravvivenza dell'antico neutro plurale latino (corium, plurale coria). Non quindi è del tutto vero che la lingua italiana non abbia il genere neutro.

Il tentativo di sostituire con sinonimi uno o entrambi i membri produce esiti ridicoli. 
Non si può dire: 
 *tirare il cuoio 
 *tirare la pelle
 *tirare le pelli

Nessuna pronominalizzazione è ammissibile. Non si può dire:
  *Le cuoia sono state tirate da A.
  *Cosa ha tirato A.? Le cuoia.

Alcuni casi bizzarri 

Sono classificati come polirematiche alcuni segmenti che si trovano soltanto in formule fisse, che sono a loro volte unità polirematiche più complesse.

1) acqua e sapone 
Significato: "che non usa trucco"

L'aggettivo polirematico acqua e sapone ha una particolarità. È usato soltanto nelle seguenti locuzioni: 
  ragazza acqua e sapone 
  bellezza acqua e sapone 
  fascino acqua e sapone 
  sensualità acqua e sapone

Quindi si può dire che "ragazza acqua e sapone", "bellezza acqua e sapone" e simili siano a loro volta diversi nomi polirematici. Non si può infatti dire *donna acqua e sapone - o comunque non si dice; non si dice nemmeno *moglie acqua e sapone, *figlia acqua e sapone, etc. 
Per il resto, non si possono invertire i membri che compongono l'unità "acqua e sapone". Non si può dire: 
  *sapone e acqua 

Non si possono usare sinonimi. Non si può dire:
 *acqua e detergente

Un esempio notevole di fraseologia: 
"Valentina Nappi è una ragazza acqua e sapone."
(Massimo Boldi) 

Questo però non basta. Non si possono praticare inserimenti tra nomi come "ragazza" e "acqua e sapone". Non si può dislocare "acqua e sapone" anteponendolo a "ragazza".  
Non si può dire: 
 *Valentina Nappi è una ragazza bellissima acqua e sapone.
 *È acqua e sapone una ragazza bellissima come Valentina Nappi.

Tutto ciò dimostra in modo incontrovertibile quanto intendo affermare: "acqua e sapone", che tecnicamente è un aggettivo polirematico, non ha un'esistenza autonoma.

2) chiavi in mano 
Significato: "con disponibilità immediata" (detto di immobile, servizio, etc.) 

L'aggettivo polirematico chiavi in mano ha una particolarità. È usato soltanto in un numero limitato di locuzioni tecniche, tutte stereotipate: 
   acquisto chiavi in mano 
   contratto chiavi in mano 
   fornitura chiavi in mano
   ristrutturazione chiavi in mano 
   servizio chiavi in mano
   vendita chiavi in mano 
   etc. 

Quindi si può dire che "acquisto chiavi in mano", "contratto chiavi in mano", "vendita chiavi in mano" e simili siano a loro volta diversi nomi polirematici. 

3) richiesta estorsiva 
Plurale: richieste estorsive
Significato: "pressione o costrizione a pagare una certa somma per ottenere qualcosa"

Il nome polirematico richiesta estorsiva ha una particolarità: è usato spesso nella seguente locuzione: 
  accanimento delle richieste estorsive 

Quindi si può dire "accanimento delle richieste estorsive" sia a sua volta un nome polirematico. In realtà, questo è a sua volta parte di una frase fatta: 
 cedere al ricatto comporta l'accanimento delle richieste estorsive

Questa è una sacrosanta verità, più volte enunciata dall'Ispettore Derrick, che purtroppo la gente ignora con pervicacia.

Il ragazzo che parlava per frasi fatte

Andrea B., che era un ragazzo grassoccio dai capelli fulvi, una volta mi stupì dicendo queste cose: 

"Io parlo per frasi fatte. Uso soltanto frasi fatte. Tutto quello che dico è una frase fatta. Anche ciò che sto dicendo adesso. Dire "parlo per frasi fatte" è a sua volta una frase fatta." 

Andrea B. aveva qualcosa di inquietante. Era kafkiano! Riusciva a trasmettermi un'angoscia totalizzante, come certi cartoni animati prodotti in Unione Sovietica. Come l'Arte Panica. Peccato che tanto genio sia stato sprecato, e tutto per colpa dello stramaledetto sistema scolastico! 

Unità polirematiche estinte 

Con grande sorpresa, si scopre che nella lingua italiana di un tempo, esistevano moltissime polirematiche che oggi non sono più usate. Spesso non sono nemmeno conosciute dal parlante medio e necessitano di traduzione. Nel dizionario storico TLIO - Tesoro della Lingua Italiana delle origini si trova una Tabella delle polirematiche. Ecco il link:


Questo è un piccolissimo campionario: 

a buonissima otta 
a commendazione di 
beccume montanine 
bene odorifero 
cacca di occhi 
cantare il paternostro della bertuccia
dimettere in bonaventura 
gente radunaticcia 
gettare alcun sospiretto 
ingrassare gli ombelìcoli 
ingrassare il porco di Sant'Antonio 
intorcere come fuso in rocca 
intra greco e tramontana 
letto generativo
letto sposereccio 
luogo disonesto di femmine 
melone asinino 
membri belli e giovanili 
pisciare maceroni 
puttana palese 

Persino nel Web può risultare molto difficile reperire l'esatto significato di polirematiche come "ingrassare gli ombelìcoli"
Può essere utile esplorare il Glossario delle frasi fatte di Wikipedia: 


Origine delle polirematiche 

A volte è sufficiente una canzonetta per formare nuove unità polirematiche. Ecco qualche esempio: 

alle falde del Kilimangiaro 
ballare sul mondo 
pensare positivo 
sul cocuzzolo della montagna

In alcuni casi, l'uso è diventato comune, come "pensare positivo", mentre non ci si aspetta che qualcuno inserisca in un suo discorso "sul cocuzzolo della montagna" (però non è impossibile, una volta mi è capitato si sentirlo).
Altre volte a sclerotizzarsi è una battuta di un personaggio importante, di un politico o di un guitto. Il lessico politichese è formato in larga misura da polirematiche particolarmente opache. Eccone alcuni esempi:  

compromesso storico,
convergenze parallele, 
crescita negativa

danno collaterale
discesa in campo,
gestione dei migranti
patto del Nazareno,
pericolo fascismo,
rivoluzione liberale
seconda repubblica,
sostituzione etnica,
tagli strategici nella forza lavoro,
una tantum,
etc.

Tra le interiezioni polirematiche di origine politica e non troppo remota, si nota questa: 

Piove, governo ladro! 

Il suo uso è tipicamente satirico e documentato in opere di vari autori (es. Antonio Gramsci).

Problemi di traduzione

Nella massima parte dei casi non è possibile tradurre in modo letterale una parola polirematica in un'altra lingua. 

Italiano: mettersi nei panni di qualcuno 
Inglese: to be in someone's shoes 
  (lett. "essere nelle scarpe di qualcuno")

La traduzione di una polirematica non è necessariamente a sua volta una polirematica. Questo è un esempio in cui una polirematica italiana si traduce con un composto in inglese e in tedesco:

Italiano: topo di biblioteca 
Inglese: bookworm 
Tedesco: Bücherwurm

Occorre comprendere che le unità polirematiche sono come le parole semplici: vanno imparate di conseguenza. La scuola non produce né insegna elenchi di polirematiche, come invece dovrebbe. Si arriva così a tentativi patetici di traduzione letterale da parte di studenti "gnè gnè gnè", convinti che tutte le lingue del mondo siano perfettamente sovrapponibili. 

venerdì 18 agosto 2023

TRE PAROLE MACEDONIA ITALIANE ANTERIORI AL XIX SECOLO

Anni fa mi sono occupato di denunciare lo sconcio della diffusione capillare e rampante delle parole macedonia, scrivendo alcuni interventi:
Derivazione: DIABOLE + DOMINE
Note: 
Un professore al liceo ci parlò dell'etimologia dell'interiezione diamine, dicendoci che in origine era una bestemmia. Da un violento e blasfemo Diabole Domine si sarebbe arrivati a diamine, con una contrazione simile a quella delle moderne parole macedonia. Questo diamine, precisò il docente, si ridusse a un "intercalare neutro", utilizzabile senza problemi. 
Secondo alcuni, la bestemmia Diabole Domine sarebbe nata dalla volontà di chiamare a testimoni Dio e Satana. A parer mio Domine "Signore" (vocativo di Dominus) è invece un attributo riferito a Diabole "Diavolo" (vocativo di Diabolus), in un'affermazione di culto satanico, come se si volesse intendere "Diavolo (mio) Signore". Notiamo che Diabole compare per primo. 
Ai tempi, la vita era molto difficile per chi avesse idee religiose dissidenti, contrarie all'ortodossia delle dottrine della Chiesa Romana. Tanto per rendere l'idea, venivano infiltrati fratacchioni camuffati nelle osterie, incaricati di ascoltare con attenzione ogni cosa che veniva detta dagli avventori, per poi riferire all'Inquisizione. Uscirsene con un sonoro Diabole Domine avrebbe attirato l'attenzione, così a qualcuno venne in mente di contrarre l'invettiva in Diamine
Link: 
2) paturnia 
Derivazione: PATIRE + SATURNO 
Uso: in genere si trova al plurale, paturnie, nella frase "avere le paturnie"  
Variante desueta: paturna  
Note:
Con buona pace dei lessicografi della Treccani, ho potuto documentare il raro uso della forma singolare nella frase "è una sua paturnia", traducibile con "è una sua paranoia"
La trafila è la seguente: dapprima è stato formato dal nome del pianeta Saturno il sostantivo *saturnia "melanconia" (variante: *saturna), quindi è stato formato il composto *patisaturnia "patire la melanconia" (variante: *patisaturna), da cui si è avuto come esito finale paturnia (variante: paturna). Si confronti l'aggettivo dotto saturnino "melanconico" (i.e. "che ha il carattere di Saturno"), di cui ho potuto riscontrare l'uso ancora in tempi recenti, quando una blogger mi ha definito "Cavaliere saturnino"
La contrazione segue in tutto e per tutto i principi basilari  di formazione delle parole macedonia. Nonostante tutto ciò sembri ragionevole, l'etimologia di paturnia è tuttora considerata incerta dagli italianisti. 
Link: 

3) panciolle 
Derivazione: PANCIA + MOLLE 
Uso: nella locuzione in panciolle, nella frase "starsene in panciolle"; un tempo la preposizione in poteva anche essere omessa: "starsene panciolle"
Note:
È opinione comune tra gli accademici (Crusca, Treccani) che panciolle sia derivato da pancia tramite l'applicazione di un suffisso -olle che si trova in alcuni toponimi toscani situati in provincia di Firenze: in genere vengono indicati Bracciolle (località nel comune di Pontassieve), Marignolle (una via nel sobborgo sud di Firenze) e Terzolle (torrente che scorre tra i comuni di Firenze e Sesto Fiorentino). Ne esistono altri, meno noti: Serpiolle (piccola frazione del comune di Firenze), Caciolle (via di Firenze), Bettolle (frazione del comune di Sinalunga). Non sono riuscito ad appurare se Branciolle sia una semplice variante di Bracciolle o se sia un toponimo indipendente. 
La semantica proposta ipotizza l'esistenza di un immaginario Paese di Panciolle, una sorta di Bengodi o Cuccagna in cui si passa il tempo ad oziare, non afflitti dalla maledizione del lavoro. Non è stato però possibile trovare una storia o un racconto che ne parli.
L'origine del suffisso toponomastico -olle è considerata incerta. Potrebbe essere un adattamento di un suffisso genitivale etrusco in -(u)l, come quello presente in Neθuns(u)l "di Nettuno", Fufluns(u)l "di Bacco". Non ne sono comunque sicuro e finora non ho trovato proposte etimologiche convincenti per questi enigmatici nomi di luogo. Se valesse la derivazione dall'etrusco -(u)l, sarebbe possibile una trafila irregolare, diversa dagli sviluppi che dal latino volgare hanno portato al romanzo. 
Sono dell'idea che sia molto più semplice ipotizzare la contrazione di pancia molle in panciolle, proprio come nelle moderne parole macedonia. 
Mi sono imbattuto nel web in un navigatore che ipotizzava una derivazione alternativa: PANCIA + SATOLLO. Non si spiegherebbe bene la vocale finale. Non si spiegherebbe nemmeno la vocale tonica, che è aperta (< latino mollis) e non chiusa (< latino satullus). 
Link: 

lunedì 14 agosto 2023

UNA FALSA ETIMOLOGIA DI HIC!, ONOMATOPEA DELL'UBRIACHEZZA NEI FUMETTI

Ricordo ancora una scena di un fumetto di Topolino, in cui un ubriacone molesto veniva cacciato a viva forza da una taverna. Questa era la bizzarra esclamazione proferita dall'inebriato: "La Bernardina! Hic!" Ogni altro dettaglio della storia è scomparso, sepolto nei banchi di memoria stagnante. L'alcol non era ancora stato bandito dal mondo dei Paperi e dei Topi, così non era raro imbattersi in episodi che includevano bevute anche pesanti. In alcuni casi, il vino veniva somministrato persino ai tre Paperini! In seguito molte storie sono state riscritte, trasformando le bevande alcoliche in aranciate e spume. Paragono l'opera immonda di chi si è prestato a un simile schifo alla censura dei "mutandari" che hanno occultato le nudità dei dipinti di Michelangelo nella Cappella Sistina! Se Dante vivesse ai nostri giorni, assicurerebbe loro un posto all'Inferno, proprio dove sono puniti i Massimi Traditori, masticati in eterno da Lucifero!

L'interiezione "hic!" deriva chiaramente dall'inglese hiccup, hiccough /'hɪkəp/ "singhiozzo", di origine onomatopeica. Basti confrontare lo spagnolo hipo /'ipo/ "singhiozzo" per avere un ulteriore esempio di formazione fonestetica. 
Perché è necessario specificare una cosa tanto ovvia, che potrebbe essere capita anche da un mulo?
Devo fare la precisazione perché esiste nel Web un'assurda leggenda popolare che cerca di spiegare la celeberrima interiezione "hic!" con la frase latina hic bibimus "qui beviamo" o simili. L'allusione è al mondo dei Goliardi medievali e alle loro canzoni. Così funziona il meccanismo di questi pseudoetimologi: 
1) Ignorano le cose più elementari, come la parola inglese per indicare il singhiozzo e la sua natura onomapeica;
2) Cercano la soluzione di tutto nel latino appreso malamente a scuola, come se al mondo non esistesse altro;
3) Fabbricano storielle senza fondamento alcuno, al fine di spiegare ciò che ignorano, forzando la realtà delle cose nel calco dei loro pregiudizi. 

Quali possono essere i motivi che animano questi nocivi fabbricatori di false etimologie? Forse, oltre all'ignoranza più belluina, bisogna considerare il loro ego sfrenato, in grado di gonfiarsi a dismisura ogni volta che possono mostrarsi più sapienti. Nei social, ogni "like" che viene loro dato equivale a leccare loro le emorroidi o a fellarli! Bisogna però considerare che le manipolazioni prodotte senza sosta da questi elementi non sono affatto innocue. Sono trappole per ingenui. Chi non ha le basi, chi non ha la cultura necessaria, può cascarci. Non solo: possono ingannare anche chi ha una cultura notevole in campi diversi dalla filologia. Ci sono fisici, chimici, ingegneri e biologi disposti a credere alle baggianate più invereconde!

Prima che si imponesse la spregevole tirannia del politically correct, il mondo di Topolino e dei Paperi era ben diverso da quello conosciuto dai Millennials e dalla Generazione Z. Era pieno zeppo di cose scomode, disturbanti, persino ai limiti della follia: non soltanto ubriachezza, ma anche vera e propria pornografia subliminale, mascherata e occultata con grandissima abilità. Così ha un'ovvia spiegazione il caso dell'ubriaco che singhiozzava la fatidica frase: "La Bernardina! Hic!" Cos'era dunque la Bernardina? ERA LA FIGA! 

sabato 12 agosto 2023

ITALIANIZZAZIONE DI UNA PAROLA ARABA

Un mio lontano cugino, M., una volta narrò uno strano episodio della sua vita. Da giovane aveva lavorato come cuoco su una nave da crociera che attraversava il Mediterraneo. Si era imbattuto in alcuni sauditi molto benestanti, forse sceicchi, loro famigliari o qualcosa del genere, così disse. Questi gli parlarono a lungo del loro Paese, dicendogli che la loro religione non permetteva di mangiare carne di porco. Per riferirsi all'impuro animale, utilizzavano un vocabolo davvero strano: GONZILLO. Così dicevano senza sosta a chi preparava il cibo: "Niente gonzillo", "Non possiamo mangiare il gonzillo" e via discorrendo. Una nenia continua, estenuante. Tanto che mio cugino M. si irritò e diede loro da mangiare proprio le braciole di carne di porco. Gli arabi divorarono la carne con un'avidità disumana, la ingurgitarono fino all'ultimo boccone, fino all'ultima fibra. Poi affrontarono il cuoco e gli dissero: "Ci hai dato il gonzillo?" Lui rispose di sì. Loro scoppiarono a ridere. Così mi disse mio cugino M.: "Dicono che non possono, ma come ne hanno occasione lo mangiano volentieri!" Era rimasto colpito dalla loro ingordigia. Aggiunse anche che tracannavano quantità impressionanti di alcol, in teoria proibito dalla loro fede islamica. 

Lì per lì non feci molto caso a quella strana parola ripetuta di continuo nella narrazione, GONZILLO. Poi, anni dopo, compresi di cosa si trattava. Era un semplice adattamento dell'arabo خِنْزِير  KHINZĪR "maiale". Pur esistendo la rotica /r/ nell'inventario fonologico di M. come in quello dei ricchi sauditi, la parte finale della parola, -ĪR, è stata assimilata a un suffissoide -ILLO. Ancor più strano è il passaggio dalla consonante fricativa uvulare sorda KH- /χ/ a un'occlusiva sonora /g/. Sono convinto che sia di estrema utilità per gli studiosi la trasmissione di questo aneddoto, che insegna come avvengono i prestiti da una lingua all'altra, come i fonemi possono modificarsi a causa delle diverse abitudini di pronuncia. Tutto ciò è di un estremo interesse! Resta un problema insoluto: l'adattamento in italiano della parola araba è stato compiuto dai sauditi oppure da chi ha servito loro la carne suina? 

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giovedì 10 agosto 2023

ETIMOLOGIA DI RATAFIÀ

Il ratafià (varianti desuete: ratàfia, ratàffia) è un liquore ottenuto macerando in acquavite o alcol il succo parzialmente fermentato di frutti come le ciliegie. In Italia è attualmente prodotto in Valle d'Aosta, Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise. Un tempo era bevuto persino in Russia! La parola viene dal francese ratafia, termine creolo originatosi nelle Antille (ratafia, tafia). Sono convinto che sia molto utile indagare su come questa formazione sia avvenuta.  


Un'etimologia popolare: 
Moltissimi credono che la parola derivi dalla locuzione latina (ut) rata fiat "che sia confermato (l'accordo)"; si trova anche (ut) rata fiant "che siano confermati (gli accordi)", col verbo al plurale, quando rata è inteso come neutro plurale. Per capire se il verbo debba essere al singolare o al plurale, bisogna capire il sostantivo sottinteso: pax rata fiat "sia confermata la pace" (dove rata è riferito a pax); pacta rata fiant "siano confermati gli accordi", etc. Esistono numerose varianti della formula, ad esempio et sic rata fiant e via discorrendo. 

L'aggettivo ratus (femminle rata, neutro ratum) "valido", "confermato", "fissato", "stabilito", "esaudito", è il participio passato del verbo deponente reor "io penso", "io stabilisco", "io giudico" (presente II pers. reris; perfetto ratus sum; infinito reri). 
La vocale -a- di ratus è breve. La -e- di reris e di reri è lunga: rēris, .



La tradizione vuole che gli accordi si siglassero, dopo la stretta di mano, bevendo un bicchiere di questo liquore. In realtà non sono affatto sicuro che esista alcuna concreta attestazione di tale usanza: sembra una storiella costruita ad hoc per spiegare la parola. La persona che ha dato origine a questa spiegazione non doveva essere analfabeta, essendo presupposta qualche conoscenza del latino. Tuttavia rientra nell'ambito delle paretimologie o etimologie popolari. Questo è uno dei pochissimi casi in cui un'etimologia popolare è elegante e seducente: in genere si tratta di vere e proprie brutture. 

Un'etimologia implausibile: 
Nel sito www.etimo.it, molto antiquato, mi sono imbattuto in una pronuncia anomala, ratafía, con l'accento su /i/, con annesso il tentativo di ricondurre l'origine della parola alle Indie Orientali (anziché alle Indie Occidentali!). Così la sillaba iniziale ra- è ricondotta al malese ARACH o RAK "acquavite", a sua volta dall'arabo 'ARAQ "umore", "latte", mentre -tafia è analizzato come TÂFÎA "acquavite di canna" (che sarà un prestito giunto in Oriente dalle Indie Occidentali). Il dizionario online obsoleto si contraddice da sé: alla voce tafia si specifica che è il nome "col quale i selvaggi e i negri (sic) chiamano ciò che gli inglesi dicono 
« rhum », cioè la parte spiritosa che si estrae dalla schiuma e dai residui della canna da zucchero".
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Un'etimologia plausibile:
Si presuppone una pronuncia creola e alterata del francese rectifié "rettificato", participio passato di rectifier "rettificare". In effetti il ratafià è proprio questo: una bevanda rettificata, ossia addizionata ad alcol allo scopo di renderla più forte. In buona sostanza, è proprio l'etimologia proposta dal Vocabolario Treccani
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martedì 8 agosto 2023

IL PANGIALLO, LE SUE ORIGINI... E IL PANE ROSSO

Una cosa non mancherà mai di stupirmi: l'apparente assenza di una vera continuità tra la cucina dei tempi dell'Impero Romano e quella dei nostri giorni. Sono tuttavia convinto che, indagando in modo approfondito, si possano scoprire cose molto interessanti, in grado di dimostrare che un legame esiste e di permetterci di gettare un po' di luce sui cambiamenti avvenuti nel corso dei secoli.   


Un dolce tipico del Lazio e di altre regioni

Denominazione: pangiallo
Varianti: pangiallo romanopancialle 
Altri nomi: panpepato, pampepato  
Origine: Lazio 
Ingredienti principali: 
   farina, 
   uva passa, 
   miele,  
   frutta secca (mandorle, nocciole), 
   cedro candito, 
   zafferano, 
   pastella d'uovo (per la copertura) 
Altri ingredienti: 
   pinoli, 
   fichi, 
   cioccolato fondente a pezzetti 
Ingredienti desueti: 
   semi di albicocca, semi di prugna 
Preparazioni simili in altre regioni:  
  Umbria: pampepato 
  Ferrara: pampapato 
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Il tradizionale dolce natalizio romano è ritenuto da molti un'eredità dell'antica Roma. Credo che in effetti lo sia: deriva dai dolci che venivano offerti agli Dèi in occasione del Solstizio d'Inverno. La finalità era quella di favorire il ritorno del Sole. In seguito, con l'adozione del Cristianesimo, l'usanza continuò grazie all'esaugurazione, sopravvivendo fino ad oggi. Gli antichi significati legati al tradizionale politeismo assunsero nuovi significati, pur mantenendo la loro sostanza antica. I dolciumi originali non erano certo preparati con la loro ricetta attuale fatta e finita, che comprende ingredienti presi a prestito dal mondo arabo: l'uvetta sultanina e le scorze candite. Sappiamo che lo zafferano, conosciuto in latino come crocus, dal greco κρόκος (krokos), era nell'antichità una spezia preziosa come l'oro. Giusto per fare un esempio, a Bisanzio solo l'Imperatore poteva servirsene e l'uso più comune era quello di colorante. Quindi sembrerebbe abbastanza improbabile che l'inestimabile pigmento potesse entrare nella composizione di un dolce popolare dell'età tardo-antica. Eppure l'aggiunta della spezia pregiatissima doveva avvenire in quantità minime, con ogni probabilità regolamentate in modo stretto. Troviamo infatti un corrispondente quasi perfetto in Sardegna, terra di arcaismi. 


Su pani arrubiu di Tuili, Sardegna 

Tipico della zona di Tuili (provincia del Medio Campidano), su pani arrubiu, ossia "il pane rosso", è un tipo di pane preparato con grano duro, miele, uva passa e buccia di arancia, che deve il suo tipico colore rossiccio all'aggiunta di una piccola quantità di zafferano. Viene tuttora distribuito ai fedeli nel corso della festa patronale del paese. Notevole è la sua importanza nella religiosità popolare del luogo.
Etimologia:
Il sardo campidanese arrubiu "rosso" deriva direttamente dal latino rubeus "rossiccio". 
Varianti: su pai arrubiu 
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