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martedì 30 maggio 2023

ETIMOLOGIA DELL'ANTROPONIMO NORMANNO BOEMONDO

Boemondo d'Altavilla, detto anche Boemondo di Taranto (tra il 1051 e il 1058 - 1111), figlio di Roberto il Guiscardo, Principe di Taranto (1015 - 1085), fu uno dei più cospicui comandanti della Prima Crociata. Conquistò Antiochia e ne divenne Principe. I manuali storici si occupano di riportare le sue vittorie e le sue sconfitte. Quello che a me interessa è l'etimologia del suo bizzarro antroponimo. Da dove potrà mai derivare Boemondo

A quanto sembra, questo nome non è attestato in norreno, come invece ci si aspetterebbe. Ne ho invano cercato tracce, senza trovare nulla. Non fa parte del ricchissimo patrimonio onomastico degli antichi Scandinavi. Potrebbe invece trovarsi nelle saghe norvegesi del XIV secolo, che erano traduzioni o adattamenti di testi in lingua francese antica, di argomento cavalleresco. In tal caso sarebbe passato dalla lingua d'oïl all'antico norvegese. Si converrà che non è affatto facile ricercare una data informazione, visto che il materiale spesso non è consultabile. Va già bene se si trovano dei file .pdf senza la possibilità di fare ricerche nel testo. 

Questo è tutto ciò che si riesce a recuperare nel Web: 

Forme attestate: Boiamund, BoamundBiamund,
     Baamund, Baamont 
Forme latinizzate: BohemundusBoemundus
     BuamundusBoamundus 
Greco (Anna Comnena): Βαϊμοῦντος (Baïmuntos
Italiano: Boemondo
     Buiamonte (Toscana, citato da Dante) 
     Baiamonte (Toscana, Sicilia) 
     Bajamonte (Veneto) 
     
Boimonte (Campania, Calabria) 
     Biamonte (Liguria) 

Forme moderne: 
  Italiano: Boemondo 
  Siciliano: Buimunnu  
  Francese: Bohémond
  Tedesco: Bohemund 
  Inglese: Bohemond 

Le forme attestate come Boiamund e simili dovrebbero trovarsi in documenti in latino e in opere in francese antico. Alcuni autori le enumerano tra le attestazioni di antroponimi dell'area dell'antico alto tedesco (Förstemann, 1856). 

La seconda parte del composto non presenta problemi: deriva in modo diretto dal protogermanico *-munduz "protettore", che si trova negli antroponimi maschili e ha la stessa radice di *mundō "protezione", "mano" (genere: femminile). L'esito norreno di *-munduz è -mundr (genitivo -mundar). 
Nelle lingue germaniche antiche si trovano moltissimi nomi propri di persona maschili formati con questo elemento.

Possibili etimologie germaniche: 

1) "Protettore dei ragazzi" 
Possibile primo membro del composto: norreno bófi /'bo:vi/ "ragazzo" (genitivo bófa); in islandese moderno è passato a significare "bandito". Il termine è derivato dalla stessa radice protogermanica *bō- che con diverse estensioni ha dato l'inglese boy e il tedesco Bube "ragazzo". Alfonso Burgio riporta quanto segue nel suo Dizionario dei nomi propri di persona (1992): "dal germanico Boemunt composto dalla radice munt, mund, difesa, protezione. Il primo elemento da bob, ragazzo. Il nome significa protettore dei ragazzi." Mi pare un'ipotesi abbastanza implausibile, anche perché non si trovano antroponimi composti formati a partire da questa radice. 
2) "Protettore dei Boi"  
Possibile primo elemento del composto: il nome della popolazione celtica dei Boi (gallico Boio-, attestato in antroponimi). Salvatore Carmelo Trovato, in Studi linguistici in memoria di Giovanni Tropea (Edizioni dell'Orso, 2009), riporta: "Bojen 'Boi' + *munda- 'protezione, difesa' = 'protettore dei Boi'." Mi pare un'ipotesi abbastanza implausibile. La popolazione celtica dei Boi è indicata da Trovato con la sua attuale denominazione tedesca, Bojen, segno che non è un esperto di lingue celtiche antiche.  

Etimologie marchianamente false: 
 
i) Boatus Mundi "Clamore del Mondo" 
Questa è una tipica etimologia popolare, che ignora ogni rudimento di grammatica e si basa unicamente sull'assonanza, spesso rozza. Non ha fondamento alcuno. 
ii) "Uomo forte" 
Questa "traduzione" è riportata nel lavoro di Carlo Ermanno Ferrari, Vocabolario de' nomi proprj sustantivi (1830). Non ha fondamento alcuno. 
iii) "Arciere" 
Questa "traduzione" è riportata nel sito Santi, beati e testimoni (www.santiebeati.it), che menziona un San Boemondo morto nel 1140 (solo una trentina di anni dopo la morte di Boemondo di Taranto), senza dettagli biografici né agiografia. Non ha fondamento alcuno.

Un'etimologia popolare biblica: 

Tutto inizia dall'oscura allusione a un gigante denominato Buamundus, protagonista di un racconto popolare andato perduto. Roberto il Guiscardo fece battezzare il figlio con il nome Marco (non certo tipico dei Normanni), per poi soprannominarlo Buamundus per via della massiccia corporatura che aveva già da bambino. La fonte di queste informazioni, a parer mio di attendibilità assai dubbia, è il monaco e storico inglese Orderico Vitale (1075 - 1142). Questo è il brano: "Marcus quippe in baptismate nominatus est; sed a patre suo, audita in convivio ioculari fabula de Buamundo gigante, puero iocunde impositum est", ossia "Marco è stato effettivamente battezzato così; ma da suo padre, che aveva ascoltato in una festa la favola del gigante Buamundus, (quel nome) è stato imposto allegramente al bambino". Il nome Buamundus altro non sarebbe che una deformazione popolare di Behemoth, nome ebraico della bestia di proporzioni immani descritta nella Bibbia (Libro di Giobbe) e raffigurata con le sembianze di un mostruoso ippopotamo. Se questo fosse vero, l'antroponimo Boemondo sarebbe un semplice soprannome pseudo-germanico. La sua somiglianza con i nomi germanici in -mund sarebbe dovuta a un'etimologia popolare. Un nome biblico sarebbe stato adattato dal volgo assumendo così l'aspetto di un nome germanico genuino. Una vicenda simile è quella dei rubicondi irlandesi che credevano Maria Maddalena una loro compaesana: sarebbero stati pronti a giurare e a spergiurare che il suo vero nome fosse Mary McDillon.   

Conclusioni:  

Che nome è Boemondo? È un nome norreno? È un nome franco, ascrivibile all'antico alto tedesco? Oppure è davvero un nome biblico passato attraverso l'usura fonetica del popolino? Perché non sembra essere esistito prima del figlio di Roberto il Guiscardo? Se fosse stato solo un soprannome, come mai avrebbe acquistato lo status di nome di battesimo tra i discendenti di Boemondo di Taranto? A cosa si deve la grande variabilità delle sue attestazioni, perdurate spesso fino ad oggi come cognomi? Per giungere a una conclusione ragionevole servono ulteriori studi e dati (forse perduti per sempre). Ricordo un professore che era solito dire: "Ci sono aspetti del Medioevo che non ci saranno mai noti, non li potremo mai conoscere." Ecco, mi pare che l'etimologia di Boemondo sia tra questi misteri. Quello che mi pare incredibile, è la totale assenza di interesse da parte del mondo accademico. 

venerdì 26 maggio 2023

CRIPTOZOOLOGIA IN MADAGASCAR: IPPOPOTAMI NANI, LEMURI GIGANTI E UN CARNIVORO

Sono attestati numerosi racconti relativi a diversi criptidi presenti in Madagascar. Abbiamo a che fare con specie sorprendenti: un ippopotamo nano, svariati lemuri giganti e un fossa gigante. Queste narrazioni non sono state partorite dalla fantasia di qualche cultore degli allucinogeni fissato con i Rettiliani, quali se ne trovano nei diverticoli del Web. I criptidi in questione sono animali ben noti ai paleontologi e non è così improbabile che ne possano sopravvivere esemplari nelle regioni più impervie dell'isola. 


1) Il kilopilopitsofy

Il kilopilopitsofy è descritto come una specie di ippopotamo di dimensioni ridotte. Potremmo definirlo ippopotamo pigmeo del Madagascar. Sappiamo che fino a tempi non troppo remoti esistevano nell'isola due diverse specie di ippopotami pigmei. Nella metà del XX secolo, il naturalista ed esploratore francese Alfred Grandidier esumò circa 50 esemplari da un terreno palustre, in un luogo chiamato Ambolisatra, non lungi dal Canale del Mozambico (forse è l'attuale Ambolisaka). In seguito a una revisione del materiale, sono state identificate due diverse specie, a cui sono stati attribuiti i nomi scientifici di Hippopotamus madagascariensisHippopotamus lemerlei (Stuenes, 1989). Sulla costa orientale dell'isola sono stati rinvenuti altri resti, risultati appartenere a una terza specie, denominata Hippopotamus laloumena, poco più piccola dell'ippopotamo comune (Faure, Guerin, 1990). Da ulteriori analisi è risultata la somiglianza di Hippopotamus madagascariensis con l'ippopotamo pigmeo dell'Africa Occidentale (Choeropsis liberiensis). L'estinzione degli ippopotami del Madagascar potrebbe essere avvenuta dopo il XVI secolo o poco più tardi. Alcune ossa mostrano segni inequivocabili di macellazione, segno che questi animali venivano attivamente cacciati a scopo alimentare. Come in molti altri casi, queste pratiche venatorie eccessive devono aver portato al tracollo le specie. Anche se il kilopilopitsofy viene considerato un animale immaginario, è notevole la forza delle tradizioni orali malgasce, che insistono sulla sua esistenza contemporanea. 

Una notevole testimonianza 

Nel villaggio di Belo sur Mer (sur Mer è ovviamente francese, "sul mare"), negli anni '90 del XX secolo, il paleobiologo David A. Burney raccolse i racconti degli abitanti, in modo tra loro indipendente, che descrivevano un animale entrato in più occasioni nell'abitato. Questo essere bizzarro era grande all'incirca come una vacca, aveva colorazione scura e grugniva incessantemente; in caso di minaccia correva, si tuffava e scompariva sott'acqua. Dall'analisi delle ossa, risulta che gli ippopotami malgasci erano più agili di quelli continentali e che le loro abitudini potrebbero essere state non completamente acquatiche. Accadde che un uomo del villaggio, a cui fu chiesto di imitare il verso del misterioso animale, emise un grugnito che somigliava in modo straordinario a quello dell'ippopotamo comune (Hippopotamus amphibius). Questo individuo, di nome Jean Noelson Pascou, era un abile imitatore di versi di animali, in vita sua non era mai stato fuori dal Madagascar e non aveva mai visto un ippopotamo. 

Note etimologiche 1/2

La traduzione di kilopilopitsofy dovrebbe essere "orecchie flosce", anche se finora non sono riuscito a trovare un'analisi accettabile della parola. Sembra che la parola pitsofy significhi "soffio", mentre non sono riuscito a trovare una traduzione per la prima parte del composto, kilopilo-. La segmentazione da me tentata potrebbe essere erronea. A un certo punto ho cominciato ad avere forti dubbi sulla validità della glossa tradizionale "orecchie flosce". Dopo qualche ricerca sono approdato a un risultato interessante. In lingua malgascia sofina è la parola che significa "orecchio": mi sono reso conto che la sua radice potrebbe essere presente nella parte finale del composto, -sofy (essendo -na un comune suffisso). Quello che mi appare evidente è l'assenza di un vocabolario etimologico della lingua malgascia, che sembra essere tra le meno studiate dell'intero pianeta. 

Note etimologiche 2/2

Un sinonimo di kilopilopitsofy è tsungaomby (variante tsy-aomby-aomby), traducibile come "non vacca". Sappiamo che la parola omby "vacca" è di origine Bantu e che deve essere stata importata in Madagascar in epoca non troppo remota dall'Africa continentale. Per la formazione di tsungaomby, cfr. Kiswahili si "non" e n'gombe "vacca".
Più semplice il sinonimo omby-rano, traducibile come "vacca d'acqua": in malgascio rano significa "acqua".
Si noterà che lalomena (trascritto secondo l'uso francese come laloumena) è un altro nome malgascio dell'ippopotamo. L'etimologia è al momento sconosciuta, forse a causa dell'esiguità delle informazioni a mia disposizione.  

Nel mondo accademico sono pochi gli studiosi che si sbilanciano. La maggior parte nutre un grande terrore di una possibile smentita, così si mantiene prudente. Così c'è chi ha pensato che l'ippopotamo di Belo sur Mer fosse un normalissimo esemplare di Hippopotamus amphibius che avrebbe attraversato a nuoto il Canale del Mozambico, partendo dall'Africa continentale ed approdando sulle coste del Madagascar. Anche se tecnicamente la cosa non sarebbe impossibile, una simile proposta appare come una solenne baggianata: l'attraversamento di un così vasto braccio di mare sarebbe un evento eccezionale, contrastante con la costanza degli avvistamenti del kilopilopitsofy. Un'altra strategia comune tra i detrattori della criptozoologia è quella di affermare la possibilità di "inquinamento" da parte di conoscenze moderne: anche gli indigeni di terre lontane leggono e fruiscono dei media. Peccato che questo non possa valere per i secoli passati. 


2) il kidoky 

Il kidoky ha tutte le caratteristiche tipiche di un lemure gigante. Il paleobiologo David A. Burney e l'archeologo malgascio Ramilisonina hanno intervistato alcuni anziani nativi nel corso di una spedizione nel 1995, venendo a conoscenza di questo criptide. Queste sono le parole di Burney:  

"This animal's description is decidedly lemur-like. It was compared to the sifaka by all the interviewees who described it, although all insisted that it was not the same animal... It is much larger...perhaps 25 kg. It is usually encountered on the ground and may flee on the ground rather than taking to the trees...Its whooping call is suggestive of an indri." 

Traduzione per gli anglofobi non anglofoni:

"La descrizione di questo animale è decisamente simile a quella di un lemure. È stato paragonato al sifaka da tutti gli intervistati che lo hanno descritto, sebbene tutti abbiano insistito sul fatto che non si trattasse dello stesso animale... È molto più grande... forse 25 kg. Di solito lo si incontra a terra e potrebbe fuggire lì piuttosto che rifugiarsi sugli alberi... Il suo verso stridulo ricorda quello di un indri."

Lo stesso Jean Noelson Pascou, che aveva imitato il verso dell'ippopotamo pigmeo, disse di aver osservato da vicino un esemplare di kidoky nel 1952: era un animale timidissimo e notturno, grande come una bambina di 7 anni, aveva la pelliccia scura, con una grande macchia bianca sulla fronte e sotto la bocca. Se spaventato non si arrampicava sugli alberi, ma fuggiva correndo a quattro zampe. L'attribuzione più probabile dei kidoky è al genere Archaeolemur. Sono noti resti subfossili di due specie, scomparse in seguito all'arrivo dell'uomo sull'isola: Archaeolemur edwardsi e Archaeolemur majori. Il peso stimato è di 20-25 kg. A giudicare dalla dentatura, la dieta era onnivora. Il parente conosciuto più prossimo è l'indri (Indri indri). Ovviamente, qualora si riuscisse a fotografare un esemplare di kidoky, sarebbe possibile saperne di più. 


3) il tratratratra 

Il tratratratra (trascritto in francese come trétrétrétré) è descritto come un lemure gigante dall'aspetto oltremodo spettrale: il corpo somiglia a quello di un grosso babbuino obeso, la coda è corta, mentre il volto è perfettamente riconoscibile come umano! Così l'ottimo Étienne de Flacourt lo descrive nella sua opera seminale, Histoire de la Grande Isle del Madagascar (1658): 

"Tretretretre ou Tratratratra, c’est un animal grand comme un veau de deux ans qui a la tête ronde et une face d’homme, les pieds de devant comme un singe et les pieds de derrière aussi. Il a le poil frisoté, la queue courte et les oreilles comme celles d’un homme. Il ressemble au Tanacht décrit par Ambroise Paré. Il s’en est vu un proche de l’étang de Lipomami aux environs duquel est son repaire. C’est un animal fort solitaire, les gens du pays en ont grand-peur et s’enfuient à sa vue tout comme lui aussi d’eux."  

Traduzione per i francofobi non francofoni:

"Il Tretretretre o Tratratratra è un animale grande quanto un vitello di due anni, con testa rotonda e volto umano, zampe anteriori e zampe posteriori da scimmia. Ha il pelo riccio, una coda corta e orecchie da uomo. Assomiglia al Tanacht descritto da Ambroise Paré. Un esemplare è stato avvistato vicino allo stagno di Lipomami, dove si trova la sua tana. È un animale molto solitario; la gente del posto ne ha molta paura e scappa alla sua vista, così come lui scappa da loro."

Non si riescono a trovare specie subfossili che si possano identificare in modo plausibile con il tratratratra. Si rimarca che generi come Paleopropithecus e Megadalapis non hanno caratteristiche compatibili. 
 
Peccato che non si possano vedere esemplari viventi di questa mirabile specie: il loro volto umano potrebbe servire a dare una forte scossa a scienze languenti come la filosofia e la teologia! Se esistesse un animale che ha lo stesso sembiante di un uomo, come si potrebbe negare che sia stato fatto a immagine e somiglianza di Dio? Secoli fa qualcuno disse che osservare una scimmia gli provocava mortificanti riflessioni. Non ricordo chi sia stato, non gettatemi la croce addosso. Ricordo però una cosa. Asimov commentò tali parole dicendo che le "mortificanti osservazioni" dovevano essere di questo tenore: "L'essere umano può essere considerato una scimmia più grossa e con meno peli". Benissimo. Che avrebbe detto quel tale se avesse visto un tratratratra

Note etimologiche
 
L'origine della parola tratratratra è con ogni probabilità onomatopeica. Deve essere l'adattamento fonetico del verso emesso dal lemure, considerato dai nativi una terrificante apparizione spettrale. Secondo le superstizioni malgasce, nei lemuri si reincarnano gli spiriti dei morti, in particolare in quelli di abitudini notturne e dotati di grandi occhi.  


4) l'antamba 

L'antamba è descritto come una specie simile al fossa (Cryptoprocta ferox) ma di proporzioni più grandi, che occupava la nicchia biologica predatoria dei grandi felini. Il fossa appartiene alla famiglia degli Eupleridi (Eupleridae) ed è strettamente imparentato con lo zibetto malgascio (Fossa fossana). Così l'ottimo Étienne de Flacourt descrive l'antamba nella sua opera seminale, Histoire de la Grande Isle del Madagascar (1658): 

"Antamba, c’est une bête grande comme un grand chien qui a la tête ronde, et au rapport des Nègres, elle a la ressemblance d’un léopard, elle dévore les hommes et les veaux. Elle est rare et ne demeure que dans les lieux des montagnes les moins frequentez."

Traduzione per i francofobi non francofoni: 

"L'Antamba è una bestia grande come un grosso cane, con la testa rotonda e, secondo i Negri, simile a un leopardo, che divora uomini e vitelli. È raro e vive solo nelle zone montuose meno frequentate."  

Alla luce di queste descrizioni, è possibile identificare l'antamba con il fossa gigante (Cryptoprocta spelea), di cui sono stati trovati resti subfossili. Si noti che ancora oggi i nativi sono convinti dell'esistenza di due diverse specie di fossa: il fossa rosso (fosa mena) e il fossa nero (fosa mainty). Quest'ultimo sarebbe quello di corporatura maggiore, probabilmente corrisponde al criptide. In tal caso, fosa mainty sarebbe un sinonimo di antamba.  

Negli anni '30, il cacciatore francese Paul Cazard ricevette segnalazioni di leoni giganti che vivevano nelle caverne in zone remote dell'isola, dove uccidevano sia il bestiame che esseri umani. È plausibile che si trattasse di antamba e che le descrizioni esagerate degli animali come "leoni giganti" fossero il frutto di una potente miscela di terrore, superstizione ed ignoranza. Nel novembre 1999, venuto a conoscenza di insistenti voci sulla presenza dell'antamba, il biologo conservazionista Luke Dollar guidò una spedizione nel Parco nazionale di Zahamena, ma non ebbe successo. 

Etimologia di antamba 

Stavo quasi arrendendomi. Ero convinto che non mi fosse possibile reperire nulla a proposito dell'etimologia del malgascio antamba. Invece ho insistito e qualcosa ho trovato. In un raro vocabolario online della lingua malgascia, la parola in questione è trattata. La glossa è "animal mystérieux, sorte de chat sauvage", ossia "animale misterioso, sorta di gatto selvatico". Si specifica anche qual è il significato originale e primario: "calamità, grande sfortuna". Riporto un estratto del testo e il link.  


"Ce mot a le sens général de calamité ; grand malheur. Il désigne aussi Clerodendrum alboviolaceum Moldenke (Lamiaceae). Petit arbre rare, localisé sur les sols basaltiques et qui a la réputation de porter malheur. Dans le Sud-Est, malgré la mauvaise réputation de ces arbres, les Clerodendrum (Lamiaceae), on donnerait une tisane des feuilles en cas de perte d'appetit."

Traduzione: 

"Questa parola ha il significato generale di calamità; grande sfortuna. Si riferisce anche al Clerodendrum alboviolaceum Moldenke (Lamiaceae). Un piccolo albero raro che cresce su terreni basaltici, si dice che porti sfortuna. Nel sud-est, nonostante la cattiva reputazione di questi alberi, si dice che un infuso a base di foglie di Clerodendrum (Lamiaceae) venga somministrato in caso di inappetenza." 

Evidentemente si tratta di una denominazione eufemistica e tabuistica. 

Etimologia di fossa 

Protoforma ricostruibile: *pusa 
Significato originale:
    1) donnola dai piedi nudi (Mustela nudipes
    2) gatto 
Esiti attestati: 
   Malgasy: fosa "Cryptoprocta ferox"
   Iban (Borneo): posa "gatto" 
   Malese: pusa "gatto" 
   Malese (dialettale): pusa "donnola dai piedi nudi" 
   Malese (Sarawak): pusak "gatto" 
   Tetum: busa "gatto" 
   Tagalog: pusa "gatto" 
   Ilocano: pusa "gatto" (pl. puspusa

L'origine ultima della protoforma *pusa è con ogni probabilità onomatopeica (potrebbe essere un tentativo di imitare le fusa del gatto o il verso della donnola). 

Una curiosità scatologica 

Il fossa ha una particolarità anatomica: l'ano è nascosto da una sacca anale, che contiene grosse ghiandole le cui secrezioni fortemente odorose servono a marcare il territorio. Per questo motivo il suo nome scientifico è Cryptoprocta, che alla lettera significa "ano nascosto". Non so che odore emani questo affascinante animaletto e non ho notizia di alcuno che sia andato ad annusarlo.

mercoledì 24 maggio 2023

CRIPTOZOOLOGIA IN MADAGASCAR: L'EPIORNITE E IL ROC

I miti sono costruiti attorno a un nucleo di verità ormai resa oscura dalle stratificazioni di secoli, dal rumore di fondo e dalla potenza dell'Oblio. Esistono tuttavia alcuni casi in cui è possibile scrostare la maschera che ricopre questa antica essenza, riuscendo infine a farla rifulgere. Sono più rari di quanto vorremmo, è vero, ma non dobbiamo disperare. Quando la logica permette di arrivare a una conclusione sensata, ogni cosa converge: paleontologia, zoologia, folklore, storia, linguistica. 


L'epiornite o uccello elefante
 

In Madagascar è esistita fino ad epoca abbastanza recente una specie di uccello colossale, l'epiornite (Aepyornis maximus), appartenente alla famiglia degli uccelli elefante. La sua estinzione dovrebbe essere avvenuta nel XVI secolo, forse nel XVII, tanto che se ne conservano resti di esemplari allo stato subfossile. 
Alti fino a 3 metri, questi uccelli inadatti al volo potevano arrivare a pesare mezza tonnellata. Le loro uova potevano avere una circonferenza di oltre 1 metro e un'altezza di oltre 30 centimetri: il volume, pari a circa 8 litri, equivaleva a quello di 160 uova di gallina. Le loro ossa erano prive di midollo. Gli epiorniti potrebbero essere gli uccelli più grandi mai esistiti. 
Esistevano anche alcune specie appartenenti allo stesso genere. ma di dimensioni minori (Aepyornis hildebrandti, Aepyornis gracilis, Aepyornis medius). Si deve però notare che la classificazione esatta è tuttora controversa. Secondo alcuni studiosi, potrebbe trattarsi di sottospecie da ricondursi all'unica specie Aepyornis maximus. Un altro uccello elefante era il Mullerornis modestus, che poteva raggiungere un peso di soli 80 kg. 
Il nome scientifico Aepyornis deriva dal greco αἰπύς (aipys) "alto", "a picco", "scosceso" e ὄρνις (ornis) "uccello". La parola αἰπύς non ha origini indoeuropee ed è un elemento del sostrato pre-greco. La parola ὄρνις "uccello" è invece di chiara origine indoeuropea e ha paralleli in germanico, in celtico, in balto-slavo, in armeno, in albanese e nelle lingue anatoliche.  


Il resoconto di Étienne de Flacourt

L'Ammiraglio Étienne de Flacourt (1607 - 1660), Governatore Francese del Madagascar, nel 1658 pubblicò un'opera importante, intitolata Histoire de la Grande Isle de Madagascar, in cui descrisse in modo sorprendentemente accurato diverse specie di animali dell'isola, di cui tre sono subfossili. Tra questi ultimi spicca il vorompatra, il cui nome significa "uccello degli Ampatri", ossia "uccello delle paludi". Queste sono le parole dell'Ammiraglio:  

"Vouronpatra, un grand oiseau qui hante les Ampatres et pond des œufs comme l'autruche ; afin que les habitants de ces lieux ne le prennent pas, il recherche les endroits les plus solitaires." 

Traduzione: 

"Vouronpatra, un grande uccello che infesta gli Ampatri e depone le uova come lo struzzo; affinché gli abitanti di quei luoghi non lo prendano, cerca i posti più solitari." 

Come si può capire a colpo occhio, il nome vorompatra è un composto. Il primo membro è la parola malgascia vorona, che significa "uccello". Il secondo membro è il toponimo Ampatra (francesizzato in "Ampatres"), che significa "luoghi paludosi" e si riferisce a una regione dell'Androy, un distretto situato nell'estremo meridione del Madagascar. 

Protoforma ricostruibile: *vorona-ampatra 
Esito storico: vorompatra 
Varianti ortografiche: vouronpatra, voroupatra
Sinonimi: vorombe, vorombazoho  

La robustezza delle tradizioni orali dei Malgasci relative a questi uccelli giganti, documentata dallo studioso francese, è comprovata anche dalle sopravvivenze lessicali. Se anche ammettessimo che nessun esemplare di epiornite fosse sopravvissuto all'epoca del resoconto, sarebbe oltremodo interessante questa occasione di studiare gli effetti di un'estinzione recente: le genti del luogo non si sarebbero rese conto della scomparsa di un animale di notevoli dimensioni, continuando a mantenerlo in vita nell'immaginario collettivo. In ogni caso, il perdurare di testimonianze nei secoli successivi non può essere trascurato. 

Testimonianze più recenti

Anche se il resoconto di Flacourt non fu creduto, le voci sulla presenza di uccelli giganteschi persistettero fino alla metà del XIX secolo. Nel frattempo, le foreste paludose e le zone umide del Madagascar si erano gravemente impoverite. 
John Joliffe, chirurgo a bordo della HMS Gesyer, scrisse un diario in cui è riporta una conversazione risalente al 1848 con un commerciante francese di nome Dumarele, il quale sosteneva che i commercianti malgasci di Port Leven conservassero il rum in enormi uova, che a loro dire si trovavano talvolta nelle foreste e nei canneti, deposte da un uccello gigantesco che si vedeva molto raramente nelle foreste più fitte.
Ferdinand von Hochstetter (1829 - 1884) registrò indipendentemente la stessa affermazione, sebbene nel suo resoconto i commercianti avessero visitato l'isola olandese di Mauritius. Alfred Grandidier (1836 - 1921) scoprì in seguito che i Tandroy di Androy riconoscevano ancora il termine vorompatra, anche se il suo informatore, il capo Tsifanihy di Capo St. Mary, non aveva mai visto in vita sua uno di questi uccelli, pur ritenendoli "ben noti ai suoi antenati". Tsifanihy riuscì a condurre Grandidier in una palude vicina dove scoprì resti subfossili di un uccello elefante.
Roy P. Mackal scrisse nel 1980 che alcuni informatori locali insistevano sul fatto che una specie più piccola di uccello elefante (identificabile con Mullerornis) sopravvivesse ancora in foreste molto remote, dove il suo habitat paludoso e boscoso si era ridotto, ma non era scomparso. Diverse voci più recenti spinsero l'ufficiale inglese per la conservazione Barry Ingram a tentare una ricerca di uccelli elefante addirittura nel 1997 o nel 1998. Anche Ivan Mackerle condusse una ricerca più o meno nello stesso periodo. Le premesse sono buone: mi auguro che presto si potrà fotografare un autentico epiornite vivente! 


Marco Polo e l'uccello grifone 

Marco Polo (1254 - 1324) ha parlato di un uccello portentoso e immenso, chiamato ruc, che sarebbe vissuto proprio in Madagascar. Riporto un estratto della sua opera (Milione, Capitolo 186, Dell'isola di Madegascar): 

"
Ancora sappiate che quelle isole che sono cotanto verso il mezzodí, le navi non vi vanno voluntieri per l’acqua che corre cosí forte. Dicomi certi mercatanti che vi sono iti, che v’à uccelli grifoni, e questi uccelli apaiono certa parte dell’anno, ma non sono cosí fatti come si dice di qua, cioè mezzo uccello e mezzo lione, ma sono fatti come aguglie, e sono grandi com’io vi dirò. Egli pigliano l’alifante e pòrtallo su in aire, e poscia il lasciano cadere, e quelli si disfa tutto, poscia si pasce sopra lui. Ancora dicono quelli che l’ànno veduti, che l’alie sue sono sí grandi che cuoprono 20 passi, e le penne sono lunghe 12 passi, e sono grosse come si conviene a quella lunghezza. Quello ch’io n’ò veduto di questi uccelli, io il vi dirò in altro luogo.

E ancora: 

"Lo Grande Kane vi mandò messaggi per sapere di que]le cose di quell’isola, e preserne uno, sicché vi rimandò ancora messaggi per fare lasciare quello. Questi messaggi recarono al Grande Kane uno dente di porco salvatico che pesòe 14 libbre. 
Elli ànno sí divisate bestie e uccelli ch’è una maraviglia. Quelli di quella isola sí chiamano quello uccello ruc, ma per la grandezza sua noi crediamo che sia grifone."

Certo che no, gli abitanti del Madagascar non chiamavano ruc l'uccello gigante, con buona pace del Veneziano. Il nome dovette essere un articolo d'importazione; allo stesso modo fu importato in Occidente, dove prevalse la forma roc. La fonte non è sconosciuta. Questa misteriosa creatura compare due volte nella celebre raccolta di racconti orientali Le mille e una notte (arabo: ألف ليلة وليلة‎?, ʾAlf layla wa layla; persiano: هزار و یک شب‎, Hezār-o yek šab), realizzata nel X secolo, di varia ambientazione storico-geografica e composta da differenti autori. 


Madagascar e Mogadiscio:
pretese difficoltà di identificazione

A noi lettori moderni, a volte sembra proprio che Marco Polo avesse le idee piuttosto confuse. Già avevo notato che descriveva il Madagascar come un paese di religione maomettana, quando ci si sarebbe aspettati che dicesse dei Malgasci "È sono idoli" (ossia "Essi sono idolatri"), essendo politeisti fino a tempi recenti. Il Cristianesimo è penetrato nell'isola abbastanza tardi: ancora nel corso del XIX secolo aveva notevoli difficoltà, essendo perseguitato aspramente nel corso del regno della Regina Ranavalona I, che durò dal 1828 al 1861. Va detto che in Madagascar è esistita nel corso dei secoli un'antica e radicata presenza musulmana, rappresentata soprattutto da mercanti e da loro discendenti (gli Antemoro e gli Antanosy), eppure il Veneziano non si sarebbe sbagliato in modo così grossolano trascurando le diffuse pratiche idolatriche. Dunque è sorto in alcuni studiosi il dubbio che con il toponimo Madagascar, l'autore del Milione intendesse in realtà Mogadiscio, che è ed era già all'epoca un paese di religione maomettana. Questa obiezione è comunque del tutto implausibile, proprio perché nel Capitolo 186 del Milione, il Madagascar è descritto al di là di ogni dubbio come un'isola di proporzioni eccezionali! 

"Mandegascar si è una isola verso mezzodí, di lungi da Scara intorno da 1.000 miglia. Questi sono saracini ch’adorano Malcometo; questi ànno 4 vescovi - cio(è) 4 vecchi uomini -, ch’ànno la signoria di tutta l’isola. E sapiate che questa è la migliore isola e la magiore di tutto il mondo, ché si dice ch’ella gira 4.000 miglia. È vivono di mercatantia e d’arti. Qui nasce piú leofanti che in parte del mondo; e per tutto l’altro mondo non si vende né compera tanti denti di leofanti quanto in questa isola ed in quella di Zaghibar. E sapiate che in questa isola non si mangia altra carne che di camelli, e mangiavisene tanti che non si potrebbe credere; e dicono che questa carne di camelli è la piú sana carne e la migliore che sia al mondo." 

Come si può vedere, abbiamo a che fare con un miscuglio incredibile di cose vere (il Madagascar è un'isola immensa) e di cose false (il Madagascar è pieno zeppo di elefanti e di cammelli, è governato da quattro anziani saraceni, etc.).

Una soluzione dell'enigma

L'epiornite probabilmente fu avvistato da qualche viaggiatore e creduto essere il pulcino di un uccello volante e rapace ben più grande, il roc per l'appunto. Le foglie della pianta Raphia scambiate per piume di roc, unitamente alle alette atrofiche dell'uccello elefante, dovettero rafforzare questa credenza allucinatoria. Tutto dovette nascere per via di un uccello rapace effettivamente esistito ed estinto nel XVI secolo: l'aquila coronata malgascia (Stephanoaetus mahery), di proporzioni leggermente maggiori rispetto a quelle dell'aquila coronata africana (Stephanoaetus coronatus). Nulla di paragonabile all'epiornite, ovviamente: si parla di un rapace del peso massimo stimato di circa 7 kg. In certe condizioni la fantasia umana può galoppare, così qualcuno è arrivato a concepire l'idea di un animale volante titanico, fisicamente impossibile. 


Etimologia di Roc 

La parola roc (variante ruc) deriva dal persiano رخ rokh (trascritto anche rukh o ruk), che designa un uccello immane dal piumaggio bianco, di tali dimensioni da permettergli di uccidere gli elefanti per cibarsi della loro carne. Il termine persiano non deve essere confuso con l'omofono رُخ rokh (rukh), che significa "carro" e che entrò nelle lingue europee nel contesto degli scacchi (antico francese roc, italiano arrocco, inglese rook). 

L'ipotesi più probabile è che rokh derivi dal nome del mitico uccello سیمرغ Sīmurgh (trascritto anche Simorgh, Simorg, Simurg, Simoorg, Simorq, Simourv), dal medio persiano Sēnmurw (trascritto anche Senmurv), a sua volta da un più antico Sēnmuruγ. Nei testi in scrittura Pazend si ha Sīna-mrū. In avestico era noto come mərəγō Saēnō, ossia "Uccello Saēna". Il nome in origine indicava un'aquila, un rapace: in sanscrito si ha la parola imparentata श्येन śyenaḥ significa "aquila", "falco", "rapace, uccello predatore". Dal medio persiano, il nome Sēnmuruγ è passato come prestito in armeno, dando սիրամարգ siramarg "pavone". 
La trafila che ha portato da Sēnmuruγ a rokh è ipotizzabile in questi termini: 

sēnmuruγ => *senəmruk => *mruk => ruk 

Dal persiano la parola rokh è poi passata in arabo come لرُخّ ar-ruḫḫ

sabato 20 maggio 2023


Maiali coprofagi! 

Forse lo sanno in pochi. In un’isola della Corea sono allevati maiali che vengono nutriti esclusivamente con feci umane. 

“Il termine ttongdwaeji (똥돼지) che compare sull’insegna di questo ristorante è composto dal nome volgare per “escrementi” (ttong 똥) e dalla parola “maiale” (dwaeji 돼지). È una tradizione dell’isola più meridionale della Corea, Jejudo, ma un tempo esisteva anche in altre zone della penisola. I coreani oggi preferiscono cambiare il nome di questi maiali e chiamarli semplicemente “maiali neri” (heukdwaeji 흑돼지) dal colore della loro cotenna. 
 Chi ha provato la carne di questi maiali, allevati secondo la tradizione dell’isola, ne esalta il gusto eccezionale. Chi, come lo scrivente, ha visto effettivamente come vengano allevati (in una porcilaia angusta e buia posta sotto un gabinetto primitivo), ne compatisce le condizioni in cui vengono cresciuti e forse può avere qualche reticenza ad assaporarne appieno le carni.” 

Il testo riportato è stato raccolto nel 2021; l'autore è Valerio Anselmo, un'autorità nel campo dell'insegnamento della lingua coreana. 

Con mia grande sorpresa, risulta abbastanza difficile trovare materiale nel Web su questi bizzarri porci coreani che ingurgitano quantità immense di materiale escrementizio estratto dalle latrine. L'ipotesi più plausibile è che sia scattata qualche forma di censura occhiuta da parte del governo della Corea del Sud, per cancellare ogni pubblicità a quella che è percepita come una sorta di "onta nazionale". 

Questi sono i pochi cenni ritrovati sulla Wikipedia in inglese (marzo 2023):


"Until the later twentieth century, these pigs were kept to dispose of human waste. They were housed in sites built below the outside latrines where their "food" was directly delivered. From the 1960s, this practice gave way to more conventional feeding. Some believe that the change has adversely affected the flavour of the meat." 

Ecco una traduzione per gli anglofobi non anglofoni: 

"Fino al tardo XX secolo, questi maiali venivano allevati per smaltire i rifiuti umani. Venivano alloggiati in aree costruite sotto le latrine esterne, dove il "cibo" veniva loro distribuito direttamente. Dagli anni '60, questa pratica ha lasciato il posto a un'alimentazione più convenzionale. Alcuni ritengono che questo cambiamento abbia influito negativamente sul sapore della carne." 


Indagando, si scopre che questa usanza dell'allevamento dei maiali con pastoni fecali è una cineseria, che proprio dalla Cina si è diffusa in Corea e ha raggiunto la prefettura più meridionale del Giappone, Okinawa. Un singolo ideogramma cinese, 圂 (pronunciato hùn), indica sia la porcilaia che la latrina. Un termine cinese più tecnico e recente è 猪圈茅坑 (zhūjuànmáokēng), alla lettera "latrina a porcilaia". Nella lingua di Okinawa questo tipo di latrina è chiamata 風呂 (fūru). In coreano la parola è 돗통시 (dottongsi). Strutture di questo tipo si trovano anche in India, per l'esattezza a Goa e nel Kerala, dove sono tuttora in uso - anche se le autorità hanno fatto molto per combattere la pratica di smaltire i rifiuti tramite i suini. 

Il punto è che ci sono problemi di non poco conto. Nutrire i suini con rifiuti ed escrementi umani comporta gravi rischi sanitari, sia per gli animali che per l'uomo, principalmente a causa della trasmissione di malattie. Questa pratica antica favorisce la diffusione di malattie zoonotiche, ovvero patologie che possono essere trasmesse dagli animali all'uomo e viceversa. Gli escrementi e i rifiuti umani possono contenere una vasta gamma di patogeni pericolosi, tra cui batteri, virus, parassiti e vermi. Quando i suini li ingeriscono, possono ammalarsi e fungere da serbatoi per questi agenti patogeni, che poi vengono trasmessi all'uomo attraverso la manipolazione o il consumo di carne di maiale infetta. Ecco le principali problematiche sanitarie, cose di non poco conto:

i) Parassitosi 
Il rischio di infezioni da parassiti come la trichinellosi (causata da Trichinella spiralis), la cisticercosi e la teniasi (causate da Taenia solium). Questi parassiti possono formare cisti nei muscoli del suino e, se la carne non è cotta adeguatamente, infettare l'uomo.
ii) Infezioni batteriche
Batteri come Salmonella, Escherichia coli (compresi i ceppi produttori di shiga-tossina) e Yersinia enterocolitica sono frequentemente presenti negli escrementi umani e possono causare gravi gastroenteriti nell'uomo.
iii) Infezioni virali 
I suini possono contrarre e diffondere virus come l'epatite E, che è considerata una zoonosi emergente, e vari ceppi di virus influenzali che potrebbero potenzialmente ricombinarsi e creare nuove pandemie.

Inoltre, il cibo contaminato da escrementi umani è una delle principali vie di diffusione per malattie come la Peste Suina Africana (PSA), un'infezione virale che, sebbene non sia pericolosa per l'uomo, è letale per i maiali e può decimare interi allevamenti. La somministrazione di scarti di cucina e rifiuti alimentari ai suini è per questo motivo vietata in molti Paesi, inclusa l'Europa.

venerdì 12 maggio 2023

 
KAGEMUSHA - 
L'OMBRA DEL GUERRIERO 

Titolo originale: Kagemusha (影武者 "Guerriero Ombra")
Paese di produzione: Giappone
Anno: 1980
Durata: 159 min (versione italiana)
     180 min (versione integrale)
Colore: Colore
Audio: Sonoro
Rapporto: 1,85:1
Genere: Drammatico, storico
Regia: Akira Kurosawa
Soggetto: Akira Kurosawa, Masato Ide
Sceneggiatura: Akira Kurosawa, Masato Ide
Produttore: Akira Kurosawa
Produttore esecutivo:
   Akira Kurosawa e Tomoyuki Tanaka 
   (versione giapponese),
   Francis Ford Coppola e George Lucas 
  (versione internazionale)
Casa di produzione: Kurosawa Production Co., Toho,
     20th Century Fox 
Distribuzione (Italia): 20th Century Fox, Balmas
Fotografia: Takao Saitō, Masaharu Ueda
Montaggio: Akira Kurosawa
Effetti speciali: Toho Special Effects Group
Musiche: Shinichirō Ikebe
Scenografia: Yoshirō Muraki
Interpreti e personaggi:
    Tatsuya Nakadai: Takeda Shingen / Kagemusha
    Tsutomu Yamazaki: Takeda Nobukado
    Kenichi Hagiwara: Takeda Katsuyori 
    Jinpachi Nezu: Tsuchiya Sohachiro 
    Hideji Otaki: Yamagata Masakage
    Daisuke Ryū: Oda Nobunaga 
    Masayuki Yui: Tokugawa Ieyasu
    Kaori Momoi: Otsuyanokata
    Mitsuko Baisho: Oyunokata
    Hideo Murota: Baba Nobuharu 
    Takayuki Shiho: Naitō Masatoyo
    Koji Shimizu: Atobe Katsusuke
    Noburo Shimizu: Hara Masatane 
    Sen Yamamoto: Oyamada Nobushige 
    Shuhei Sugimori: Kōsaka Masanobu 
    Kota Yui: Takemaru
    Yasuhito Yamanaka: Mori Ranmaru 
    Eiichi Kanakubo: Uesugi Kenshin 
    Francis Selleck: Prete cattolico 
    Jirō Yabuki: Cavaliere 
    Kamatari Fujiwara: Dottore 
Doppiatori italiani:
    Marcello Tusco: Takeda Shingen 
    Silvio Spaccesi: Kagemusha 
    Luigi Pistilli: Takeda Nobukado 
    Rodolfo Traversa: Takeda Katsuyori 
    Dario Penne: Oda Nobunaga 
    Pietro Biondi: Tokugawa Ieyasu 
    Roberto Villa: Takemaru
Titoli in altre lingue: 
   Tedesco: Kagemusha - Der Schatten des Kriegers 
   Francese: Kagemusha, l'Ombre du guerrier 
   Polacco: Sobowtór  
   Finnico: Kagemusha - varjokenraali 
Budget: 6 - 7,5 milioni di dollari US
Box office: 33 milioni di dollari US

Trama: 
Anno del Signore 1571. Giappone feudale, Epoca Sengoku. Il potere sull'intero Arcipelago è conteso dal clan Takeda e dal clan Tokugawa. Takeda Shingen, signore feudale (大名 Daimyō) della provincia di Kai, incontra un ladro che suo fratello Nobukado ha risparmiato dalla crocifissione a testa in giù. Questo non è accaduto per pietà (concetto sconosciuto), bensì a causa della strana  e assoluta somiglianza tra il furfante e lo stesso Shingen. 
I due fratelli concordano sul fatto che si rivelerebbe molto utile poter disporre di un sosia, così decidono di usare il ladro come guerriero-ombra (影武者 kagemusha). Sarebbe un perfetto escamotage politico che permette a Shingen di non esporsi troppo ai tempi pericolosi. Più tardi, mentre l'esercito dei Takeda assedia un castello di proprietà di Tokugawa Ieyasu, Shingen viene ferito gravemente da un colpo di archibugio. Stava ascoltando un flauto che con ostinazione suonava nell'accampamento nemico. 
Col fiato che gli resta, Shingen ordina alle sue truppe di ritirarsi. Prima di soccombere alle ferite, dà disposizione ai suoi generali di mantenere segreta la sua morte per tre anni. Nel frattempo, i rivali di Shingen, Oda Nobunaga, Tokugawa Ieyasu e Uesugi Kenshin, si interrogano sul motivo della ritirata di Shingen, ignari della sua morte. 
Nobukado presenta il ladro ai generali di Shingen, proponendogli di impersonare il signore feudale a tempo pieno. Sebbene inizialmente il ladro non sia a conoscenza della morte di Shingen, alla fine ne trova il cadavere conservato in un'immensa giara: aveva violato quella strana sepoltura credendo che contenesse un tesoro. A questo punto i generali decidono di non potersi fidare del ladro e lo congedano. Senza ulteriori perdite di tempo, la giara viene gettata nelle acque del lago Suwa. Dell'evento sono testimoni alcune spie al soldo dei Tokugawa e degli Oda. Sospettando che Shingen sia morto, vanno a riferire la loro osservazione. Tuttavia il ladro, dopo aver ascoltato i discorsi di queste spie, torna dai Takeda, riferisce tutto e si offre di lavorare come kagemusha. Il clan accetta la proposta e continua l'inganno; per calmare l'inquietudine del volgo, fa annunciare che la giara conteneva un'offerta di sakè alla divinità del lago. Le spie, tornate per origliare, vengono infine convinte dalle grandi capacità recitative del ladro. 
Rientrato al castello, il kagemusha convince il seguito di signore della guerra dei Takeda imitandone i gesti e scoprendo sempre di più su di lui. Quando il kagemusha deve presiedere una riunione del clan, Nobukado gli ordina di rimanere in silenzio finché i generali non avranno raggiunto il consenso. A questo punto il kagemusha si limiterà a concordare con il piano dei generali e a sciogliere il consiglio. Esiste tuttavia un grave problema: Katsuyori, il figlio di Shingen, è indignato per il decreto del padre, che prevede una durata di tre anni per l'inganno. Questo infatti ritarderebbe il passaggio dell'eredità al giovane e la sua guida del clan. Katsuyori decide quindi di mettere alla prova il kagemusha di fronte al consiglio, con la speranza di farlo crollare, ben sapendo che la maggior parte dei presenti è ancora all'oscuro della morte di Shingen. Così, durante una riunione, chiede direttamente al kagemusha quale linea d'azione intraprendere, ma questi è in grado di rispondere in modo perfettamente appropriato, per di più con lo stesso tono di Shingen, convincendo ulteriormente i generali.
Nel 1573, Oda Nobunaga mobilita le sue forze per attaccare Azai Nagamasa, continuando la sua campagna nell'Honshū centrale per mantenere il controllo di Kyōto contro la crescente opposizione. Quando le forze dei clan Tokugawa e Oda lanciano un attacco contro i Takeda, l'impulsivo Katsuyori inizia una controffensiva contro il parere dei suoi generali. Il kagemusha è quindi costretto a guidare i rinforzi nella battaglia di Takatenjin e contribuisce a ispirare le truppe alla vittoria. La sua recitazione è all'apogeo. Tuttavia, in un successivo impeto di eccessiva sicurezza, decide di cavalcare il cavallo notoriamente bizzoso di Shingen e cade in modo rovinoso. Quando coloro che accorrono in suo aiuto si accorgono che non ha le cicatrici di battaglia di Shingen, viene smascherato come un impostore, finisce in disgrazia e viene cacciato in malo modo, permettendo a Katsuyori di succedere al padre, assumendo il comando dell'esercito del clan. Percependo l'estrema debolezza del nemico, le forze degli Oda e dei Tokugawa si sentono incoraggiate a lanciare un'offensiva su vasta scala, penetrando in profondità nel territorio dei Takeda. 
Nel 1575 Katsuyori guida una controffensiva contro Oda Nobunaga a Nagashino. Nonostante l'immenso valore dell'assalto, diverse ondate di cavalleria e fanteria dei Takeda vengono sterminate dalle raffiche di fuoco degli archibugieri schierati dietro le palizzate di legno. L'intero esercito del clan Takeda è annientato. Il kagemusha, che aveva seguito l'esercito dei Takeda, impugna disperatamente una lancia e carica verso le linee degli Oda prima di essere colpito a sua volta. Ferito a morte, tenta di recuperare lo stendardo fūrinkazan, caduto in un fiume, ma soccombe alle ferite e viene trascinato via dalla corrente. È come se con quel gesto folle di insensato eroismo, avesse dato senso alla sua esistenza, anche soltanto per una manciata di istanti. 

Citazioni:  

"Io non ho rubato che un po' di soldi, qualche manciata di roba, e nient'altro! E mi chiamate criminale! Un delinquente della vostra forza! Ma se voi ne avete uccisi a migliaia, e saccheggiato intere regioni! ... Chi è più colpevole?! Voi o io?"
(Il ladro, rivolto al Principe Shingen) 

"Quello che hai detto è la verità. Forse non c'è un delinquente peggiore di me. Ho scacciato mio padre, con le armi, e ho ucciso il mio primo figlio. Farei qualsiasi cosa per poter arrivare a dominare tutto il nostro Paese. In un mondo in cui il sangue si lava col sangue, se non verrà qualcuno, qualcuno che ci unisca e che imponga la sua legge in nome dell'Imperatore, i fiumi di sangue scorreranno ancora, e le montagne di cadaveri si innalzeranno sempre di più."
(Il Principe Shingen, in risposta al ladro)


Recensione: 
Gran parte del film racconta eventi storici reali, tra cui la morte di Shingen e il segreto durato due anni (sui tre previsti), nonché la cruciale battaglia di Nagashino del 1575. Anche queste scene sono modellate fedelmente sui resoconti dettagliati della battaglia. L'adattamento delle vicende storiche può essere considerata un'impresa sovrumana. La complessità della politica del Giappone feudale è tale che occorrono grandi capacità per poterla seguirla in dettaglio. Vidi Kagemusha per la prima volta al cinema e ne rimasi conquistato. La sua lentezza, che molti considerano esasperante, non mi pesava affatto. Anche se non tutto mi era chiaro, mi sembrava di essere immerso in quel contesto così diverso da qualsiasi cosa a me nota, tanto da poter essere quasi parte di un altro pianeta - se non fosse stato per pochi ma significativi dettagli: le armi da fuoco e i missionari. Nacque in me un particolare interesse per la storia del Giappone, che cominciai ad approfondire. 

Spettacolare Tasuya Nakadai nel doppio ruolo di Takeda Shingen e del guerriero-ombra!  
Notevole l'interpretazione dell'attore Daisuke Ryū nel ruolo di Oda Nobunaga. Quando riceve notizie non convincenti dalle spie, va in escandescenze. I suoi occhi palpitano d'ira, ardono a tal punto da trasmettere una profonda inquietudine. Considerando che gli occhi sono scurissimi, come per la massima parte degli abitanti dell'Arcipelago, il risultato è ancor più eccellente! 
Meno convincente è invece l'interpretazione di Masayuki Yui nel ruolo di Tokugawa Yeyasu. Sembra che l'attore, grassoccio e impacciato, sia poco entusiasta. Eppure dispensa parole di un'immensa saggezza: "Anche se lui (Shingen) mi ha sconfitto nella battaglia di Mikatagara, non sono un vile e non mi posso rallegrare di una sventura capitata al mio più grande nemico."
Ci sono anche due scene in cui la tensione sembra venir meno per qualche istante, per lasciar spazio a una certo umorismo: 
1) L'archibugiere paffuto e grottesco spiega a tre esponenti degli Oda, dei Tokugawa e dei Toyotomi come ha sparato a Shingen, puntando l'arma da fuoco verso un seggio su cui si sarebbe dovuto sedere un nobile, usando un peso per segnare il punto esatto da cui aveva preso la mira, marcandone la posizione con alcuni sassi, per poi aspettare la notte e sparare alla cieca. 
2) I Takeda temono che che il kagemusha possa essere scoperto dalle concubine di Shingen. Un anziano generale ripete quanto già era stato deciso a proposito del cavallo bizzoso, che si lasciava montare soltanto dal suo padrone: "Il Principe Shingen è stato ammalato e perciò, come abbiamo già detto, deve astenersi dal cavalcare"

I colori incantano gli occhi, dall'inizio alla fine. Non mancano gli spunti di riflessione filosofica sull'identità dell'individuo, sulla sua consistenza o sulla sua illusorietà. La cura dei dettagli è quasi maniacale: si notano le insegne autentiche dei clan in lotta. Per trovare alcune inesattezze, bisogna scavare a fondo. Mi dispiace soltanto di non essere mai riuscito a reperire la versione integrale, quella che dura tre ore! 


Sequenze oniriche

I sogni del guerriero-ombra sono caratterizzati da colori sgargianti, chimici, psichedelici, che aggrediscono gli occhi. Egli vede se stesso dall'esterno, come in un trip indotto dal peyote! La giara colossale in cui è stato sepolto il Daimyō dei Takeda si erge su una distesa di polimeri biancastri, leggeri come l'aria, che disegnano un paesaggio di dune sulle rive di un lago di sangue corrotto. Il cielo è pieno di nubi variopinte, che disegnano strutture cristalline. Il colore della giara funebre è bruno scuro e richiama la Morte. Subito il massiccio recipiente va in frantumi e ne esce un morto vivente: Shingen in armi e corazza, col volto violaceo, gli occhi senza iride né pupilla! Lo zombie avanza minaccioso verso il kagemusha, Il suo volto è bagnato, come se il percolato cadaverico lo ricoprisse. Poi, a un certo punto l'armigero si ferma e si volta, andandosene via. Il kagemusha è smarrito, sconvolto come se gli fosse venuto a mancare un riferimento fondamentale. Si inoltra nelle candide dune, ma si perde. Si sveglia di soprassalto, terrorizzato, madido di sudore!      


Produzione 

Quando la casa di produzione Toho Studios non riuscì a soddisfare le richieste di budget del film, i registi americani George Lucas e Francis Ford Coppola intervennero per aiutare Kurosawa. Il regista nipponico era in visita a San Francisco nel luglio del 1978 e incontrò Lucas e Coppola. I due convinsero la 20th Century Fox, ancora sulla cresta dell'onda dopo il successo di Guerre stellari (Star Wars, 1977) di Lucas, a finanziare in anticipo il film e a finanziare la parte rimanente del budget. Ciò avvenne in cambio dei diritti di distribuzione mondiale del film al di fuori del Giappone. I diritti di distribuzione di un film giapponese sono stati venduti in anticipo per la prima volta a un importante studio di Hollywood.  
Dopo aver assistito Kurosawa nella raccolta di fondi, George Lucas e Francis Ford Coppola furono produttori esecutivi e supervisionarono la preparazione delle copie sottotitolate in inglese. La pubblicità sosteneva che i sottotitoli fossero tra i più chiari e facili da leggere mai visti su un film in lingua straniera. Inoltre, i due promossero attivamente la pellicola nel mondo occidentale e in particolare nei territori di lingua inglese. 

Le scene di battaglia resero necessario l'impiego di centinaia di cavalli e migliaia di comparse. Secondo George Lucas, erano almeno cinquemila le comparse nella sequenza finale della battaglia di Nagashino del 1575. Le riprese del film durarono nove mesi. Quasi due mesi furono dedicati alle scene finali della battaglia nella pianura di Yuhara, a Hokkaidō. Kurosawa si affidò ai consigli del suo amico Ishirō Honda, che vantava esperienza militare e conoscenze nel campo degli effetti speciali cinematografici. Honda dirigeva e coordinava le formazioni dei soldati. Costumi e armature autentici del XVI secolo furono prestati dai musei giapponesi affinché gli attori li indossassero nel film. Si dice che fossero importanti tesori nazionali del Giappone. 

Inizialmente, Shintarō Katsu avrebbe dovuto interpretare il ruolo del protagonista, ma Kurosawa lo scartò per via di un singolare incidente: Katsu si era presentato a una prova con una videocamera, dicendo che voleva documentare l'esperienza per un corso di recitazione che stava tenendo. Dopo che Kurosawa licenziò Katsu dal ruolo principale, i produttori americani chiesero che al suo posto venisse scelta una star di fama internazionale. Poiché Kurosawa si era allontanato da Toshirō Mifune più di un decennio prima, Tatsuya Nakadai era la sua unica opzione praticabile. Consapevole della situazione, Nakadai accettò la parte senza nemmeno leggere la sceneggiatura. In seguito ammise che la decisione non fu facile, dato che era in buoni rapporti con Katsu. A quanto pare, Katsu non parlò con Nakadai per diversi anni dopo l'accaduto: era permalosissimo! 


Kurosawa e i Kirishitan
 
I Kirishitan, ossia i Cristiani, nel cinema giapponese sono quasi un tabù - sia quelli dell'epoca feudale che i loro discendenti in tempi più moderni. In realtà ci sono alcune pellicole nipponiche che trattano specificamente l'argomento, ma sono di nicchia e quasi sempre difficilissime da reperire. Allo stato attuale delle mie conoscenze, ne posso giusto citare pochissime: Amakusa Tokisada - The Rebel (Amakusa Shirō Tokisada, Nagisa Ōshima, 1962), Silence (Chinmoku, Masahiro Shinoda, 1971) e Il Cristo di bronzo (Seidō no Kirisuto, Minoru Shibuya, 1955). Quando si riesce a trovare una di queste opere, bisogna rassegnarsi a visionarla in giapponese, senza sottotitoli. Non si capisce il perché di questa interdizione perpetua, dato che i Kirishitan non sono certamente più un pericolo per la società nipponica. Attualmente non possono nemmeno più essere definiti "cristiani" in senso stretto: la loro è piuttosto una religione popolare giapponese, come quella di tante congregazioni buddhiste e shintoiste. In Kagemusha, Kurosawa ritrae il Secolo Cristiano del Giappone mostrando soltanto un missionario nell'atto di benedire un non ancora anticristiano Nobunaga, senza fare altri riferimenti espliciti ai Kirishitan. Per quanto ne sappiamo, quell'inserviente dei Takeda o quell'altro potrebbe essere un Kirishitan. Lo stesso kagemusha potrebbe essere un Kirishitan. Non lo sappiamo con certezza, possiamo soltanto analizzare gli indizi, ruminandoci sopra. 

In origine nella pellicola c'era una seconda comparsa di un ecclesiastico. Kurosawa ha dato una piccola parte al suo attore fisso di lunga data Takashi Shimura. Kagemusha è stato l'ultimo film di Kurosawa in cui appare Shimura, anche se la scena è stata tagliata dalla versione estera del film. La sua modesta parte è quella di un servitore che accompagna a un incontro con Shingen un missionario cattolico le cui mansioni includono l'esercizio della professione medica. Questa è un'ulteriore prova dell'interesse del regista per i Kirishitan. L'edizione DVD del film della Criterion Collection ha ripristinato questa scena del missionario ricevuto da Shingen e circa altri diciotto minuti della pellicola. Shimura è deceduto nel 1982, due anni dopo l'uscita di Kagemusha.   

 
Un simbolo occulto? 

Nella sequenza iniziale della pellicola, quando il ladro è portato al cospetto dei Takeda, si nota sulla parete un simbolo bizzarro. Consiste in un rombo attraversato da una specie di croce di Sant'Andrea, che è il vessillo Takeda - ma è un po' deformato, somiglia quasi a un fiore. Ovviamente non ha origini cristiane, ma si nota che a questa composizione è sovrapposta una diversa croce, con bracci orizzontali lunghi e bracci verticali corti. Sembra una croce cristiana coricata: se si facesse ruotare il simbolo di 90 gradi, la somiglianza sarebbe evidente. Lo stesso stemma composto ricorre anche in altre sequenze. Perché Kurosawa avrebbe nascosto qualcosa di Kirishitan nel suo film? Nell'Epoca Sengoku non c'era alcun bisogno di nascondere croci, perché il Cristianesimo era rampante, si diffondeva e non era perseguitato. Soltanto nella successiva Epoca Edo, in piena persecuzione, sono state adottate tecniche di occultamento delle croci cristiane. Ebbene, quello che reputo probabile è che Kurosawa abbia voluto attirare l'attenzione su qualcosa che riguarda le proprie origini. 
Potrei anche sbagliarmi. Non è facile districarsi in un groviglio di linee e di simboli così inconsueti. Vorrei che intervenisse qualche esperto di storia e cultura del Giappone feudale, per dirmi ciò che pensa della mia idea. Sono tuttavia quasi certo che non accadrà. 


Il suicidio rituale dei Takeda 

Un intero clan è votato all'annientamento. I Takeda si immolano finendo falciati dalle raffiche degli archibugi, perché sono vincolati dall'Onore, che impone loro di obbedire al loro capo fino all'estremo sacrificio. Katsuyori, dipinto dal regista come un uomo stupido e testardo, ignora un portento funesto, l'arcobaleno apparso sulle rive del lago in cui è stato sepolto Shingen. Così il fato del suo clan si compie in modo ineluttabile. La catastrofe viene presentata come un vero e proprio atto di immolazione collettiva. 
In realtà il completo sterminio dei Takeda e la morte di Katsuyori non avvennero nel 1575 nella battaglia di Nagashino, bensì nel 1582 nella battaglia di Tenmokuzan - anche nota come battaglia di Toriibata. Kurosawa ha presentato i fatti di Nagashino, con gli archibugieri che sparano dalla palizzata, come l'epilogo dei Takeda. In realtà a Nagashino andarono perduti i due terzi delle forze armate di Katsuyori, che tuttavia riuscì a scamparla. In seguito, il Daimyo dei Takeda decise di dare fuoco al castello di Shinpu, che era incapace di difendere con i pochi uomini rimasti, e di ritirarsi tra le montagne. Il suo intento era asserragliarsi in un'altra fortezza a Iwadono, che era custodita dal suo vassallo Oyamada Nobushighe. Questo vassallo si ribellò e negò l'ingresso a Katsuyori e ai suoi. L'esercito di un generale degli Oda, Takikawa Sakon, piombò sui Takeda facendone strage. Di fronte a questo disastro, Katsuyori fece seppuku assieme a tutta la sua famiglia.  


Il Giappone, il vino e l'Occidente

Ad un certo punto, Oda Nobunaga riceve Tokugawa Ieyasu nel suo campo e gli offre una bevanda inconsueta nel Giappone dell'epoca: il vino. Ieyasu guarda con sospetto quel liquido di un colore violaceo e scuro, che gli appare innaturale. Quando, spinto da Nobunaga ("Il colore è quello del sangue, ma è vino straniero"), si decide finalmente ad assaggiarne un sorso, ne rimane disgustato. L'episodio desta grande ilarità nel suo ospite e nel giovane servitore. Il giovane Nobunaga era ambizioso e intraprendente, amante delle novità e insaziabile nella sua brama di conoscere il mondo nuovo che gli lasciavano intravedere le genti giunte dal lontano Occidente. Portoghesi, Spagnoli, Olandesi, portavano cose nuove, incredibili, che potevano essere di grandissima utilità, come ad esempio le armi da fuoco, tecniche e nozioni mai viste prima. Portavano anche nuove idee, come il Cristianesimo. Tutto ciò ha avuto esiti paradossali. Col passare degli anni, man mano che si approfondiva la conoscenza di Nobunaga e di Ieyasu, l'Occidente cominciava a piacere loro ogni giorno di meno. Se i Gesuiti all'inizio erano parsi potenziali alleati, a un certo punto fu chiara la loro estrema pericolosità per il Giappone. In particolare, le cose cambiarono in modo drammatico quando venne al pettine un nodo molto problematico: la pederastia! Sia Nobunaga che Ieyasu erano pederasti. Facevano travestire dei giovanotti femminei e li sodomizzavano, deponendo lo sperma nelle feci. Queste costumanze non piacevano affatto ai missionari, che esercitavano pressioni fortissime perché fossero abbandonate. Quando riuscì a prendere il potere assoluto, il nobile Tokugawa rese il Giappone un Paese chiuso (鎖国 Sakoku
), ossia blindato, posto in isolamento. Gli stranieri furono tenuti lontani e considerati come portatori di peste. 

Alcune note etimologiche

Anche a costo di ripetermi all'infinito, sono convinto fermamente che non sia possibile avvicinarsi alla conoscenza più profonda delle persone e delle cose se non si compie un'approfondita ricerca etimologica. Se non si conosce la corretta etimologia di un nome, ciò che designa perde parte della sua sostanza ontologica, si fa sfocato, fino a non riuscire più a comunicare nulla. Certo, mi si dirà che non è un'impresa facile, perché la scienza etimologica ha spesso confini incerti. Bisogna saper discriminare tra ciò che è verosimile e ciò che è invece una grottesca invenzione di una mente confusa. 


Etimologia di Kagemusha

No. Con buona pace di Giovanni C., il nome Kagemusha non significa "fa la cacca moscia". In giapponese kage significa "ombra", mentre musha è la parola che significa "guerriero".  Così 影武者 Kagemusha significa "Guerriero Ombra". Si tratta di un composto ibrido e strano: il primo membro, 影 kage, è una parola giapponese autoctona (pronuncia kun'yomi), mentre il secondo membro, 武者 musha, è formato da due parole importate dal cinese (pronuncia on'yomi): 武 bu "guerra" e  sha "persona", "uno che". Parole giapponesi autoctone per esprimere il concetto di "guerra", "combattimento", "battaglia" sono  ikusa,  take戦い tatakai. La parola giapponese autoctona per esprimere il concetto di "persona" è  mono (scritta もの in sillabario Hiragana). Composti difficili come ikusamono "guerriero" e takemono "guerriero" sembrano esistere, anche se sono senza dubbio poco usati. Della stessa etimologia di musha, ma con un diverso secondo membro, è 武士 bushi "guerriero", "samurai" (la pronuncia è simile a quella del cognome anglosassone Bush!). La trasformazione della sillaba bu- iniziale in mu- nella parola musha è un fenomeno non inusuale. 


Etimologia di Shingen 

Il Signore di Kai, 武田 信玄 Takeda Shingen, da bambino era chiamato 太郎 Tarō ("Figlio più anziano") o 勝千代 Katsuchiyo ("Mille Vittorie"). Quando divenne maggiorenne, gli fu dato il nome 晴信 Harunobu ("Fedeltà della Primavera"), ma  in seguito scelse una vita ascetica e adottò un nome collegato alla pratica del Buddhismo: 信玄 Shingen ha una pronuncia di origine cinese (on'yomi) e deriva dalle parole 信 shin "verità", "credere" e 玄 gen "misterioso", "cosa occulta". Era il nome del monaco suo padre spirituale. 
Shingen è spesso chiamato "la Tigre del Kai" (甲斐の虎 Kai no tora) per le sue eroiche gesta sui campi di battaglia. Nel film si nota che Oda Nobunaga chiama Shingen "Scimmia dei monti Kai", con evidente disprezzo. 


Etimologia di Takeda 

Il nome del clan 武田 Takeda, scritto anche 竹田ha un'etimologia piuttosto ambigua, potendo significare "Risaia della battaglia" o "Risaia del bambù". Infatti esistono due parole omofone: 武 take "battaglia", "guerra" e 竹 take "bambù". Il suffissoide  ta, lenito in -da a causa della posizione intervocalica dell'antica occlusiva dentale -t-, significa "risaia" e compare in numerosi cognomi (tra questi anche Oda, vedi sotto).  


Etimologia di Oda 

Il nome del clan 小田 Oda, scritto anche 織田, ha un'etimologia piuttosto ambigua, potendo significare "Piccola risaia" o "Risaia intrecciata". Infatti esistono due parole omofone: 小 o- "piccolo" e 織 o- "tessere, intrecciare". Il suffissoide  ta, lenito in -da a causa della posizione intervocalica dell'antica occlusiva dentale -t-, significa "risaia". Ota è una variante arcaizzante e attestata di Oda, priva della lenizione.  
Il nome 信長 Nobunaga è un composto di 信 nobu "fedele", "fedeltà" e 長 naga "cosa lunga", "capo". Significa "Capo Fedele". 


Etimologia di Tokugawa 

Il nome del clan 徳川 Tokugawa deriva da toku "virtù", "benevolenza" o "bontà" e da 川 gawa "fiume". Significa quindi "Fiume della Virtù", "Fiume della Benevolenza". La nobile casata in origine si chiamava 松平 Matsudaira, che deriva da 松 matsu "pino" e da  daira "pianura", "campo (pianeggiante)". Significa quindi "Pianura del Pino". Talmente contorta è la storia dei diversi nomi portati da Tokugawa Ieyasu, che già soltanto cercare di esporla e di razionalizzarla provoca l'emicrania. Per riassumere la questione, durante l'infanzia era chiamato 松平 竹千代 Matsudaira Takechiyo, poi divenne 松平 次郎三郎 元信 Matsudaira Jirosaburo Motonobu, quindi 松平 蔵人佐 元康 Matsudaira Kurandonosuke Motoyasu e infine arrivò al definitivo 徳川 家康 Tokugawa Ieyasu
Il nome 家康 Ieyasu è un composto di 家 ie "casa" e 康 yasu "pace, tranquillità". Significa "Tranquillità della Casa". 
Quella era una società stratificata in modo incredibile, dove non ci si poteva permettere il lusso di sbagliare o di non tenere bene a mente qualcosa.  


Altre recensioni e reazioni nel Web 

Sempre utilissimo è il sito di critica cinematografica Il Davinotti, che dedica una pagina all'importante capolavoro di Kurosawa. 


Riporto un collage di frammenti estratti dai commenti a mio avviso più interessanti: 

Belfagor ha scritto: "Il guerriero ombra è un guscio vuoto, il termine ultimo della spersonalizzazione indotta dalla guerra. L'identità del protagonista si disperde in modo lento ma costante, culminando nella maestosa battaglia finale." E ancora: "Il potente cromatismo delle scene di massa e l'atmosfera shakespeariana mettono in luce il fondamentale (anti) titanismo della storia." 
Daniela ha scritto: "Opera paradossale: temi tanto intimi quali quelli della ricerca della propria identità, della dicotomia fra essere ed apparire, del rapporto fra volto e maschera in cui talvolta è l'abito a fare il monaco, che si inseriscono nel quadro di un monumentale affresco storico, di grande potenza visiva." 
Pigro ha scritto: "La storia in sé è sottilissima nel tratteggiare la psicologia del simulatore sempre più immedesimato. Ma il film procede con una lentezza incongrua e ingiustificata, che spesso distilla ciò che non è necessario distillare." La sua conclusione è eccessiva: "Capolavoro mancato."
Pinhead80 ha scritto: "La lentezza non lo rende facilmente fruibile ma rimane comunque un capolavoro. La storia affascinante e l'attesa di uno scontro che sembra non arrivare mai sono solo due degli innumerevoli elementi che rendono questa pellicola unica."