Titolo originale: Balþos Gadedeis Aþalhaidais in Sildaleikalanda
Descrizione: Alice's Adventures in Wonderland in Gothic
Lingua: Gotico
Autore del testo originale: Lewis Carroll
Autore della traduzione: David Alexander Carlton
Affiliazione del traduttore: University of Western Ontario
Illustrazioni: Byron W. Sewell, John Tenniel
Prima edizione: 2015
Formato: Paperback
Codice ISBN: 978-1-78201-097-5
Codice EAN: 1782010971
Codice EAN: 1782010971
Peso: 181 g
Dimensioni: 13,97 x 0,86 x 21,59 cm
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Questo è un estratto del testo in gotico:
"Jaindre," qaþ Katta, biwagjands taihswon pauta seinana, “bauiþ Hattareis: jah aljaþ,” wagjands pauta anþara, “bauiþ Martjuhasa. Gaweisos hvaþar saei leikaiþ þus: bajoþs woþs.”
"Ak ni gairnja ei gaggau in wodam manam," qaþ Aþalhaids.
"O, ni manna mag biwandjan þata," qaþ Katta: "weis sijum her woda in allamma. Ik im woþs. Þu is woda."
"Ƕaiwa witeis þatei ik sijau woda?" qaþ Aþalhaids.
"Þu skalt wisan," qaþ Katta, "aiþþau ni iddjedeis hidre."
"Ak ni gairnja ei gaggau in wodam manam," qaþ Aþalhaids.
"O, ni manna mag biwandjan þata," qaþ Katta: "weis sijum her woda in allamma. Ik im woþs. Þu is woda."
"Ƕaiwa witeis þatei ik sijau woda?" qaþ Aþalhaids.
"Þu skalt wisan," qaþ Katta, "aiþþau ni iddjedeis hidre."
Questo è il testo originale in inglese:
"In that direction," the Cat said, waving its right paw around, "lives a Hatter: and in that direction," waving the other paw, "lives a March Hare. Visit either you like: they're both mad."
"But I don't want to go among mad people," Alice remarked.
"Oh, you ca'n't help that," said the Cat: "we're all mad here. I'm mad. You're mad."
"How do you know I'm mad?" said Alice.
"You must be," said the Cat, "or you wouldn't have come here."
"But I don't want to go among mad people," Alice remarked.
"Oh, you ca'n't help that," said the Cat: "we're all mad here. I'm mad. You're mad."
"How do you know I'm mad?" said Alice.
"You must be," said the Cat, "or you wouldn't have come here."
Questa è la traduzione in italiano:
"In quella direzione", disse il Gatto, agitando la sua zampa destra, "vive un Cappellaio: e in quell'altra direzione", agitando l'altra zampa, "vive una Lepre Marzolina. Visita chi vuoi: sono entrambi matti".
"Ma io non voglio andare tra i matti", commentò Alice.
"Oh, non puoi farci niente", disse il Gatto: "siamo tutti matti qui. Io sono matto. Tu sei matta."
"Come sai che sono matta?" disse Alice.
"Devi esserlo" disse il Gatto, "o non saresti giunta qui."
Sinossi (originale):
"Gothic (Gutiska razda or Gutrazda) was a continental Germanic language spoken by the Visigoths and Ostrogoths in many areas (most notably Spain and Italy) throughout antiquity and the early Middle Ages; while Gothic appears to have become functionally extinct sometime in the eighth century, some form of the language may have continued to be spoken in the Crimea until the sixteenth or seventeenth century. The Gothic Bible, translated from a lost Greek exemplar sometime ca. 360 CE by the Gothic bishop Wulfila, represents the earliest substantive text in any Germanic language. Gothic itself remains the only significant representation of the East Germanic branch of languages, which have since died off completely. Other extant works in Gothic include an exegesis of the Gospel of John known as Skeireins, a partial calendar, and some minor fragments. Unfortunately, all extant texts are incomplete, so it remains unknown to what extent the extant fragments are written in idiomatic Gothic, as well as exactly what dialect of Gothic they might represent.
This translation of “Alice’s Adventures in Wonderland” seeks to transport Carroll’s seminal work into the fourth-century Germanic world by Gothicizing both the language and environment of the original text.
Why translate “Alice’s Adventures in Wonderland” into such an ancient and idiosyncratic language? In part, because Alice—itself a textbook of idiosyncrasies—lends itself well to linguistic flights of fancy, and in part because the dearth of available Gothic reading material has occasioned the production of new literature in this important East Germanic language.
“Aþalhaids” is to date the longest text written in Gothic in more than a thousand years."
This translation of “Alice’s Adventures in Wonderland” seeks to transport Carroll’s seminal work into the fourth-century Germanic world by Gothicizing both the language and environment of the original text.
Why translate “Alice’s Adventures in Wonderland” into such an ancient and idiosyncratic language? In part, because Alice—itself a textbook of idiosyncrasies—lends itself well to linguistic flights of fancy, and in part because the dearth of available Gothic reading material has occasioned the production of new literature in this important East Germanic language.
“Aþalhaids” is to date the longest text written in Gothic in more than a thousand years."
Sinossi (traduzione italiana del sottoscritto):
"La lingua gotica (Gutiska razda o Gutrazda) era una lingua germanica contineltale parlata dai Visigoti e dagli Ostrogoti in molte aree (soprattutto in Spagna e in Italia) per tutta l'antichità e l'Alto Medioevo; mentre la lingua gotica sembra essersi funzionalmente estinta nel corso dell'VIII secolo, una qualche sua forma potrebbe aver continuato ad essere parlata in Crimea fino al XVI-XVII secolo. La Bibbia Gotica, tradotta da un esemplare greco perduto circa nel 360 d.C. dal vescovo gotico Wulfila, rappresenta il primo testo sostanziale in una lingua germanica. Il gotico stesso rimane la sola rappresentazione significativa del ramo delle lingue germaniche orientali, che da allora si è completamente estinto. Altre opere esistenti in gotico includono un'esegesi del Vangelo di Giovanni nota come Skeireins, un calendario parziale e alcuni frammenti minori. Sfortunatamente, tutti i testi esistenti sono incompleti, quindi non si sa fino a che punto i frammenti esistenti siano scritti in gotico idiomatico, così come non si sa esattamente quale dialetto del gotico potrebbero rappresentare. Questa traduzione di "Alice nel Paese delle Meraviglie" cerca di trasportare l'opera fondamentale di Carroll nel mondo germanico del IV secolo, goticizzando sia la lingua che l'ambiente del testo originale.
Perché tradurre "Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie" in un linguaggio così antico e idiosincratico? In parte perché Alice, esso stessa un libro di testo di idiosincrasie, si presta bene a voli di fantasia linguistica, e in parte perché la scarsità di materiale di lettura gotica disponibile ha provocato la produzione di nuova letteratura in questa importante lingua germanica orientale.
“Aþalhaids” è ad oggi il testo più lungo scritto in gotico in più di mille anni."
Il professor David Alexander Carlton ha commentato le difficoltà riscontrate nella sua opera di traduzione nell'introduzione al testo. Queste interessanti considerazioni sono disponibili nel Web e liberamente consultabili. Ne ho trovato una copia in formato pdf sul sito russo Bookvoed.ru:
Esiste anche un file simile in Academia.edu, che presenta qualche discrepanza rispetto all'introduzione e contiene alcune inconsistenze:
L'autore della traduzione ammette di aver operato cambiamenti e persino tagli nel testo di Carroll per poter rendere la narrazione più credibile per un ipotetico lettore del VI secolo d.C.
Alcune riflessioni
La mia filosofia è questa: quando si traduce un testo moderno in una lingua antica, bisogna innanzitutto porsi una domanda cruciale. Un parlante di quella lingua riuscirebbe a comprendere il testo tradotto? Se non ci riuscisse appieno, la traduzione fatta sarebbe etichettabile con una sola parola: fallimento.
Il problema è che la lingua dei Goti a un certo punto è uscita dal corso storico del genere umano, e da quel momento ha cessato di avere un'evoluzione, proprio come un corpo morto e immerso nell'azoto liquido. Quando è stata riscoperta, è stata reintrodotta nella Noosfera umana. Nulla potrà mai eliminare la discontinuità. L'evoluzione di questa lingua recuperata in modo parziale, che possiamo definire neogotica, è indipendente da quella verificatasi nella lingua d'origine fino al punto terminale della sua esistenza. Non è cosa di poco conto. Il punto è che nessuno dei traduttori moderni sembra averne piena consapevolezza.
Nel seguito indicherò le forme neogotiche (ricostruite) in caratteri maiuscoli, senza usare l'asterisco delle forme non documentate. Questo è senza dubbio lecito, visto che la lingua neogotica, oltre a non essere comunque identica a quella usata da Wulfila, è una lingua a tutti gli effetti e in essa sono stati composti testi letterari.
Il problema della sintassi gotica
Una tradizione molto diffusa vuole che Wulfila abbia cercato in modo quasi maniacale di adattare la lingua gotica alla sintassi greca per assicurare una traduzione davvero letterale delle Scritture. Tutto ciò ha un certo fascino, ma sono piuttosto scettico a questo riguardo.
1) Se Wulfila avesse usato una sintassi artefatta e diversa da quella della lingua viva, non avrebbe assicurato una buona comprensione dei testi e non sarebbe riuscito nell'opera di evangelizzazione;
2) La stessa sintassi usata da Wulfila nella traduzione dei Vangeli è usata anche nel testo teologico Skeireins "Chiarimenti" e nei commenti ai frammenti dei calendari, per fare qualche esempio.
Vero è che esistono tracce di una sintassi più antica, come la parola baurgswaddjus "mura della città", in cui il genitivo del possessore precede la cosa posseduta. Anche a costo di essere impopolare, enuncerò quanto penso. A mio avviso non sembrano esserci dubbi sul fatto che a un certo punto la lingua dei Goti abbia subìto profonde trasformazioni sintattiche, le cui cause sono ancora sconosciute ma in ogni caso indipendenti dall'opera di Wulfila.
Il problema dei composti
Non so se sia il caso di abusare dei composti, come tendono a fare anche altri autori moderni. Già per motivi di comprensibilità, anziché MARTJUHASA "Lepre Marzolina" avrei usato HASA MARTJAUS "Lepre di Marzo". Anziché ǶEITAHASA "Bianconiglio" avrei usato HASA SA ǶEITA "La Lepre Bianca". Anziché SILDALEIKALAND "Paese delle Meraviglie" avrei usato LAND SILDALEIKE. Dall'aggettivo sildaleiks "meraviglioso", attestato nella traduzione di Wulfila, si ha la forma sostantivata del neutro plurale, sildaleika, usata col senso di "meraviglie, miracoli". La scelta di Carlton è perfettamente grammaticale, tuttavia non so bene che immagine mentale avrebbe trasmesso ai Goti.
Il problema degli errori marchiani
In gotico la parola bajoþs "entrambi" è plurale, non singolare. Questa è la sua declinazione, che vale sia per il maschile che per il femminile:
nominativo: bajoþs
genitivo: bajoþe
dativo: bajoþum
accusativo: bajoþs
vocativo: bajoþs
Carlton traduce "embrambi matti" in modo agrammaticale: BAJOÞS WOÞS, come se bajoþs concordasse con il nominativo singolare maschile WOÞS "matto". Questo è uno strafalcione sesquipedale. Bisogna dire BAJOÞS WODAI. Perché? Semplice: in gotico il Cappellaio e la Lepre Marzolina sono entrambi di genere grammaticale maschile. La forma plurale da usarsi è quindi quella maschile WODAI. Se si trattasse di due persone di sesso diverso, si dovrebbe usare la forma femminile WODOS. Anche se si parlasse del Re e della sua consorte. Detto questo, la società dei Goti non era affatto "inclusiva", "femminista" o "matriarcale". Una cosa è il genere grammaticale, un'altra è il sesso!
Il problema della semantica
Esiste anche un piccolo problema semantico con l'uso della parola WOÞS per tradurre "matto". L'aggettivo gotico wods si traduce con "indemoniato, posseduto da uno spirito maligno" e ha un significato molto più forte di quanto possa avere in inglese la parola mad o in italiano la parola matto. Ormai questo aggettivo si è notevolmente indebolito: ai nostri giorni dare a qualcuno del matto non è poi una cosa tanto grave, può anche essere fatto in modo scherzoso (ad esempio in frasi come "sei proprio un mattacchione", etc). Riporto un un esempio dalla traduzione di Wulfila del Nuovo Testamento:
Marco 5: 15-18
jah atiddjedun du iesua jah gasaiƕand þana wodan sitandan jah gawasidana jah fraþjandan þana saei habaida laigaion, jah ohtedun. jah spillodedun im þaiei gaseƕun, ƕaiwa warþ bi þana wodan jah bi þo sweina. jah dugunnun bidjan ina galeiþan hindar markos seinos. jah inngaggandan ina in skip baþ ina, saei was wods, ei miþ imma wesi.
jah atiddjedun du iesua jah gasaiƕand þana wodan sitandan jah gawasidana jah fraþjandan þana saei habaida laigaion, jah ohtedun. jah spillodedun im þaiei gaseƕun, ƕaiwa warþ bi þana wodan jah bi þo sweina. jah dugunnun bidjan ina galeiþan hindar markos seinos. jah inngaggandan ina in skip baþ ina, saei was wods, ei miþ imma wesi.
"Giunti che furono da Gesù, videro l'indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui."
Il Cappellaio Matto trae la sua origine da un fatto molto curioso. Nel XIX secolo, i cappellai inglesi e di altre nazioni facevano uso di una soluzione dei sali arancioni del mercurio per infeltrire i tessuti e lavorarli facilmente. Le esalazioni tossiche inducevano qualche problema mentale in questi artigiani. I cappellai farfugliavano, erano tremebondi e depressi, soffrivano di perdite di memoria e di spasmi. Inoltre i loro capelli, saturi di veleno, assumevano spesso un'irreale colorazione arancione. Questa è la radice del nonsense del Paese delle Meraviglie, dove tutto è stravagante come poteva esserlo un cappellaio in preda ai fumi idrargirici. Resta il fatto che una cosa è l'indemoniamento, un'altra la stravaganza.
Il problema delle lacune lessicali
Il pipistrello è da Carlton chiamato MUSTRIGGS. Può sembrare un'ottima soluzione, dato che la parola appare formata a partire da MUS /mu:s/ "topo" (inglese mouse, tedesco Maus, norreno mús, etc.) - anche se la formazione non è chiarissima. Ora, il traduttore afferma di aver coniato questo MUSTRIGGS a partire da un vocabolo diffuso nella Penisola Iberica: spagnolo mostrenco, portoghese mostrengo, catalano mostrenc, che crede avere il significato di "pipistrello". Il suo riferimento è a un dizionario Gotico - Tedesco preparato dal professor Gerhard Koebler (Università di Innsbruck):
Ecco quanto riporta Koebler:
*mūstriggs?, got., st. M. (a)?: nhd. Fledermaus; ne. bat (2) (N.); Q.: port. mostrengo, span. mostrenco, kat. mostrenc, umherstreichend, Gamillscheg, RFE. P 1932, 236; E.: s. mūs
Spagnolo mostrenco, portoghese mostrengo e catalano mostrenc significano "vagabondo, senza proprietario noto" (tradotto da Koebler con l'aggettivo umherstreichend, alla lettera "vagante"). Non sono certo che l'etimologia proposta sia corretta, dato anche l'enorme discrepanza semantica. L'origine potrebbe benissimo essere gotica, anzi, ne sono convinto, ma il significato non sarebbe quello di "pipistrello". Avremmo MUSTRIGGS "vagabondo" (agg.). La pronuncia sarebbe probabilmente /'mustriŋgs/, con una vocale -u- breve, come suggerito dall'evoluzione romanza che ha -o- e non -u-. Potrebbe non derivare dal nome del topo. Se queste mie considerazioni fossero corrette, la forma sostantivata MUSTRIGGA fornirebbe una traduzione plausibile di "clochard", non di "pipistrello". I romanisti credono che lo spagnolo mostrenco e simili derivino da un precedente mestenco, il cui significato originale è quello di "animale senza padrone conosciuto" (da mesta "riunione di proprietari di bestiame", a sua volta dal latino mixta). Questa parola sarebbe stata alterata per via di una supposta espressione mostrar el mestenco, che a quanto pare era usata per descrivere l'atto di rivendicare la proprietà di un animale senza padrone. Non amo questi ragionamenti contorti e improbabili dei romanisti, ma non ho ancora abbastanza dati per giungere a una conclusione solida.
Il problema dei neologismi
Interessanti sono alcuni neologismi utilizzati nel testo. Come sempre, formazioni di questo genere sono alquanto capricciose e non è affatto detto che si rivelino utili. Riporto e discuto brevemente alcuni esempi concreti nel seguito.
Il termine HATTAREIS è utilizzato per indicare il Cappellaio. Possiamo infatti ricostruire con sicurezza i seguenti vocaboli gotici:
HATTUS "cappello" < protogerm. *χattuz
HOÞS "cappuccio" (gen. HODIS) < protogerm. *χōðaz
La prima forma è l'equivalente dell'inglese hat "cappello", la seconda dell'inglese hood "cappuccio" e del tedesco Hut. Carlton ha preso HATTUS e gli ha applicato il tipico suffisso -areis, che indica tra le altre cose la professione (deriva dal latino -ārius). Come bokareis è lo scriba, da bokos "libro", boka "lettera", allo stesso modo nel gotico di Carlton abbiamo HATTAREIS "cappellaio" da HATTUS "cappello". Non è molto chiaro se la procedura, a prima vista ineccepibile, sia legittima. Non mi vengono in mente derivati in -areis da sostantivi nativi col tema in -u-. Inoltre non sono certo che esistesse ai tempi di Alarico la professione del cappellaio. C'era tra i Visigoti e gli Ostrogoti un professionista tanto specializzato da essere adibito unicamente alla produzione di copricapi? Oppure i copricapi erano opera di professionisti che producevano anche altri capi di vestiario? Non so dare una risposta, anche se la seconda alternativa mi sembra più plausibile. Mi chiedo se Alarico avrebbe compreso il termine carltoniano.
L'astrolabio è detto STAIRNONIMA, alla lettera "prenditore di stelle". L'orologio è detto STUNDOSWAIHTS, alla lettera "cosa del tempo". A parer mio sarebbe stato meglio importare le parole direttamente dal latino, che a sua volta le ha prese dal greco. Avremmo così ASTRAULABJUM dal latino astrolabium (greco astrólabos) e HORAULAUGJUM dal latino hōrologium (greco hōrológion), in cui il dittongo grafico -au- trascrive la vocale -o- breve. Altri adattamenti sono comunque possibili. Aggeggi di questo genere esistevano già ai tempi del Re Alarico, che avrebbe anche potuto capire le parole per designarli. Ovviamente non esistevano i Rolex, ma le clessidre e le meridiane esistevano eccome. Non si vede perché dover introdurre neologismi ardui come STAIRNONIMA e STUNDOSWAIHTS, che sarebbero stati comprensibili dai Goti solo nel loro significato letterale, ma che non sarebbero riusciti in alcun modo a comunicare il concetto.
Il problema delle parole macedonia
Le parole macedonia sono a mio avviso da rigettare. In primis perché sono arbitrarie e legate a un contesto noto soltanto al narratore. In secundis perché i popoli antichi non avevano il concetto di formazioni di questo tipo e non avrebbero potuto comprenderle facilmente. Se qualcuno ha pensato bene di trasformare Claudius Tiberius Nero in Caldius Biberius Mero "Bevitore di vino caldo e puro", non ha dato vita a parole macedonia: ha soltanto alterato a scopo satirico nomi esistenti per produrre altri nomi dotati di senso. Le parole macedonia invece oscurano l'etimologia e la possibilità di analisi a partire da elementi morfologici noti. Se si prende la parola breakfast e la si unisce a lunch per ottenerne brunch, si ha un vocabolo paradossale che non può essere analizzato. Il problema è che questo tipo di formazioni costituisce il cardine della letteratura nonsense inglese, di cui Lewis Carroll fu un esponente d'importanza capitale. Oltre a coltivare un'insana passione per le bambine, il matematico di Daresbury si divertiva a riassemblare il lessico inglese ottenendone stravaganti collage per esprimere un umorismo paradossale. Come rendere nella lingua di Wulfila uno scritto pieno di nonsense? Sono convinto che non si possa.
Il ghiro in inglese è chiamato dormouse. Si tratta del prodotto di una falsa etimologia a partire dal francese antico dormeus, alla lettera "dormiglione", associato popolarmente al nome del topo, mouse, di chiara origine germanica, con parenti in latino, in greco e in sanscrito. Carlton, volendo rendere il nome del Ghiro della storia di Carroll, ha fatto ricorso a un nome che sembra proprio una parola macedonia: SLEMUS. Questo SLEMUS nasce direttamente da slepan "dormire" e da MUS "topo" (ricostruito a partire dalla protoforma germanica, comune a tutte le lingue del ceppo). Meglio sarebbe stato chiamare il simpatico roditore SLEPMUS, con un composto più razionale, dal momento che un suo nome olandese è propio slaapmuis. Non si capisce il motivo della scomparsa della consonante -p- dalla radice slep- "dormire", visto che non ci sono motivazioni di pensare alla riduzione del gruppo consonantico -pm- a una semplice -m-. Carlton, credendo erroneamente che dormouse sia una parola macedonia, ha voluto replicare in gotico qualcosa di simile. Un altro vocabolo olandese per indicare il ghiro è zevenslaper, corrispondente al tedesco Siebenschläfer. L'autore della traduzione avrebbe potuto usarlo per ricostruire SIBUNSLEPANDS, alla lettera "che dorme sette volte". Il participio presente slepands "dormiente" è attestato; il suffisso -er, corrispondente al gotico -areis, ha sostituito largamente formazioni più antiche in -nd-. L'origine di questo strano composto è da ricercarsi nella leggenda dei Sette Dormienti di Efeso, che doveva essere ben nota ai Goti. Giordane ci testimonia che si era diffusa persino tra popolazioni pagane della Scandinavia. Tutte queste denominazioni sono di origine tabuistica. Non sappiamo se esistesse in gotico un nome specifico del ghiro, del tutto indipendente. Notiano che in bavarese il ghiro è chiamato Greil o Gleir: la parola è di chiara origine latina (glīs, gen. glīris). Il ghiro manca nelle terre in cui si parlava norreno. Verosimilmente vi mancava anche al tempo dei Vichinghi. Eppure in svedese troviamo sjusovare "ghiro", che traduce alla perfezione il tedesco Siebenschläfer e rimanda esso stesso alla leggenda dei Sette Dormienti di Efeso. Non possiamo valerci dell'antico islandese per cercare altri lumi in un'oscurità più profonda.
Il problema della comprensibilità storica
Come tutti sappiamo, ai tempi dei Goti il tè era sconosciuto in Europa. Non poteva dunque esistere la cosidetta ora del tè. Non esisteva alcun tea party. Non era possibile nemmeno immaginarlo. Si può quindi comprendere le difficoltà di Carlton nel rendere i concetti correlati a questo rituale tipicamente inglese. In epoca precedente alla prima Rivoluzione Industriale, l'usanza prevedeva di bere birra nel pomeriggio. Siccome gli incidenti in fabbrica si moltiplicavano a causa della continua ingestione di una bevanda pur lievemente alcolica, questa fu infine sostituita con il tè. Non ci sarebbe modo di spiegare tutto questo a un Goto redivivo. Carlton ha adottato una soluzione che a prima vista può apparire geniale. Ha semplicemente trasformato il tè in idromele! MIDUS "idromele" rende la parola "tè". Abbiamo quindi i seguenti composti:
MIDUÞIGG "riunione dell'idromele"
(traduce "party del tè")
MIDUAURKEIS "brocca dell'idromele"
(traduce "teiera")
(traduce "party del tè")
MIDUAURKEIS "brocca dell'idromele"
(traduce "teiera")
Nell'articolo su Academia.edu si trovano due forme diverse, in cui il composto ha il primo membro al genitivo:
MIDAUSÞIGG "riunione dell'idromele"
(traduce "party del tè")
MIDAUSAURKEIS "brocca dell'idromele"
(traduce "teiera")
(traduce "party del tè")
MIDAUSAURKEIS "brocca dell'idromele"
(traduce "teiera")
Questo modo di formare composti genitivali non sembra che fosse più molto vitale ai tempi di Wulfila: le forme con MIDU- sono di gran lunga preferibili a quelle con MIDAUS-, come Carlton stesso a un certo punto si è accorto. Il problema è tuttavia un altro. Tra i tutti Germani l'idromele aveva un importante ruolo di bevanda del Re, dei nobili e degli eroi. La prima domanda che Alarico si sarebbe posto, riguarderebbe proprio la tavolata riunita attorno alla bevanda inebriante. Perché un cappellaio, per giunta matto, avrebbe dovuto presiedere il rito? Come mai in questo contesto non si parla invece di un sovrano, della sua corte, dei suoi guerrieri?
Il problema dei fraintendimenti
Non comprendo la scelta di sostituire l'inglese treacle "antidoto" (dal latino thēriaca, dal greco thēriákē) con miliþ "miele" (non *milþis, come erroneamente riportato nell'articolo su Academia.edu). Una simile "traduzione" è senza dubbio fuorviante. Carlton reputa che sarebbe stato anacronistico parlare di antidoto ai tempi dei Goti. Non sono affatto d'accordo. Mitridate e il suo antidoto universale erano parte del sapere comune nell'antica Roma, ben prima che Wulfila iniziasse a predicare. Il nostro eroico Alarico avrebbe benissimo potuto essere in grado di comprendere ÞERJAKE come "antidoto, contravveleno".
Il Dodo si è trovato trasformato in una Fenice: FAINIKS. A rigor di logica la fenice dovrebbe essere FWNEIKS o FWNIKS, dove -w- trascrive regolarmente il dittongo -oi- del greco, all'epoca pronunciato come la vocale -y-. La vocale -i- lunga è trascritta in gotico con -ei-, ma anche con -i-. È attestato l'aggettivo fwnikisks "fenicio". Detto questo, trovo che la "traduzione" di Carlton sia in ogni caso insoddisfacente. La Fenice è un uccello aggraziato che somiglia al fuoco vivo, mentre il Dodo è un piccione obeso, inabile al volo, strabico, beccuto e dotato di ali atrofiche: una figura grottesca e distorta, che non si presta a un paragone con il simbolo della Rinascita.
Altre recensioni e reazioni nel Web
Alcuni commenti significativi sono presenti nella pagina di Amazon usata per ordinare il libro di Carlton. Li riporto in questa sede perché li ritengo utili al fine di accrescere la Conoscenza.
Un anonimo "Cliente Amazon" ha scritto (in spagnolo):
Es uno de los pocos textos escritos en godo fuera de la Biblia de Wulfila. El autor detalla las dificultades técnicas que ha tenido que afrontar para adaptar Alicia en el País de las Maravillas al godo siendo fiel a su sintaxis y lexico. La falta de vocablos modernos lo afronta introduciendo un número de neologismos mínimo. Prefiere derivar palabras empleando lexemas godos. Esperemos que más autores se animen a escribir en godo y se cree una comunidad de hablantes en godo
Un anonimo "Amazon Customer", dal dente avvelenato, ha scritto (in inglese):
Whoever takes Gothic seriously should not buy this book. Hardly anybody reads Gothic today, so a poor translation can easily slip under the radar, even for the translator himself. "Balþos Gadedeis Aþalhaidais in Sildaleikalanda" is very poorly translated and is full of both minor and major grammatical errors on every page. I attempted to correct the first chapter alone myself, but the errors became so numerous that I gave up. I'm convinced that the translator has never studied Gothic grammar in depth and just used a dictionary. I can't blame the translator, after all no native speakers are alive to correct his work.
Possibly the most common mistake made in "Balþos Gadedeis Aþalhaidais in Sildaleikalanda" (aside from case usage and verb tenses) is the usage of the clitic "-uh". -uh can only be placed on verbs and some indefinite pronouns, yet the translator uses it similarly to Latin "-que". This usage is incorrect: -uh can only join two or more main clauses. Here's an example where the author uses -uh to join two nouns : "stiklabridam bokobridam-uh". The word "jah" must be used here.
Quanto l'utente fa notare corrisponde al vero: l'enclitica -uh è usata soltanto in alcuni contesti, con i verbi e con alcuni pronomi, mentre non può avere un uso analogo a quelo del latino -que. Quando si devono unire due sostantivi bisogna usare la congiunzione jah "e". Cosi anziché STIKLABRIDAM BOKOBRIDAMUH bisogna dire STIKLABRIDAM JAH BOKOBRIDAM "alle mensole dei bicchieri e alle mensole dei libri". Sempre ammesso che la parola BRIÞ (genitivo BRIDIS, plurale BRIDA) "mensola, superficie" si usasse effettivamente. Dal punto di vista fonetico è ben costruita dal protogermanico *bridan, che ha dato origine al tedesco Brett e all'antico inglese bred "superficie"; poi non sappiamo se esistesse davvero in gotico. Ho seri dubbi sulla validità di questi composti. Per quanto riguarda BOKOBRIDA, ho dubbi anche sulla correttezza grammaticale. Il gotico bokos "libro" è un plurale tantum formato a partire da boka "lettera (dell'alfabeto)"; non sono affatto sicuro che potessero formarsi composti in BOKO- "libro", mentre i composti in BOKA- sarebbero ambigui. Sarebbe meglio dire BRIDA BOKO.
Trovo in ogni caso esagerato il finale dell'intervento di questo "Amazon Customer", che avrebbe ben potuto firmarsi almeno con un nick:
I originally wanted to give this book one star, but the amount of effort that went into this book is worth another star. The illustrations and alterations to make the story fit into a historically accurate time period is also worth something. I can only recommend this book to collectors, but even then it's honestly not worth your money.
Conclusioni
Nonostante tutti i problemi e le perplessità che ho enumerato e discusso, l'opera di Carlton è di un'importanza capitale. Nel complesso ambito della letteratura in lingua neogotica, non si può prescindere da questa traduzione (o meglio riscrittura) delle Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie.