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sabato 10 giugno 2023

IL MITO DI ALI' AGAMET, IL MOSTRO DALLE MEMBRA PLURIME

Per pura serendipità mi sono imbattuto in un interessantissimo documento risalente al XIX secolo, che riporta strane notizie su un appariscente mostro da manuale di teratologia, Alì Agamet, scoperto da un capitano inglese il cui nome è riportato come Alimberto Valdames. Questo essere, alto 22 palmi (circa 2,5 metri), aveva due facce, quattro braccia e quattro gambe. 


Primo documento (1819) 

Questo è il titolo del resoconto: 

Narrazione di un nuovo mostro ritrovato nel mese di Agosto 1819, in una tartana di corsari di Cipro e preso da un vascello mercantile inglese . Esso chiamavasi Alì Agamet del Regno di Cipro .

Autore: Zavaterri, V.
Anno: 1819 
Lingua: Italiano 

https://wellcomecollection.org/works/c48nw8ng/items?canvas=9

Digitalizzato da Internet Archive nel 2016. 
Link: 
https://archive.org/details/b22014974

Secondo documento (1792) 

Esiste anche una versione più antica del resoconto, datata 1792 anziché 1819 e attribuita a un diverso autore.
Questo è il titolo: 

Distinta relazione di un nuovo mostro ritrovato nel 1792 in una tartana di corsari di Cipro e presa da una vascello mercantile inglese 

Autore: Tarlino Giacomo (Turlino)
Anno: 1792 
Lingua: Italiano 
Area di pubblicazione: Venezia, Treviso, Padova, Verona e Brescia, per Giacomo Tarlino 

Una copia di quest'opera si trova nella Biblioteca di Stato di San Marino, come dimostrato dal seguente link:

https://www.bibliotecadistato.sm/on-line/home/il-patrimonio/materiale-sammarinese/scheda18132447.html

Evidentemente il resoconto attribuito a Zavaterri è una pura e semplice copia di quello attribuito a Tarlino, con la modifica della data. Mi è subito parso chiaro che già il prototipo tarliniano fosse un falso. Mi sono convinto che la storia del mostro forse non sarà mai riconducibile ad eventi reali e documentabili, avendo la sua origine in una leggenda di marinai, di quelle che si ingigantivano passando di bettola in bettola, di porto in porto. 

 
Terzo documento (1702)

Nel corso della mia appassionante ricerca, mi sono imbattuto in un terzo resoconto! Una versione ancora più antica. Risale a 90 anni esatti prima di quello di Tarlino, ossia al 1702. Riporto la parte interessata della pagina 59 del volume Royal Empire Society Vol-iv, di Lewin Evans (1937), in cui è contenuto il cenno a quest'opera, che trascrivo anche qui di seguito, evidenziandolo in grassetto: 

MONSTROSITIES 

* Valdemss, A.  Distinta relazione d'un nuovo mostro ritrovato in una tartana di corsari di Cipro, presa da un vascello mercantile Inglese il giorno 20 agosto 1702, dove dentro vi trovarono questo mostro, chiamato Al Agamett, del Regno di Cipro. App.sm.Ato Londra, Genova, Venezia, Ronciglione, Ferrara & in Piacenza nella Stampa Vescovale del Zambelli, 1702.

Subito sotto c'è una sintetica descrizione in inglese: 
[The title page has an illustration of a man with two heads, four arms, & four legs, and the words Ali' Agamet del Regno di Cipro]  

Qualcuno dirà che potrebbe trattarsi di una distorsione del resoconto del 1792, con la cifra 9 erroneamente trascritta come 0. Questa supposizione mi sembra molto implausibile. Il nome del presunto autore, Valdemss, è una trascrizione alterata di Valdames, protagonista della storia, mentre Ali' Agamet diventa addirittura Al Agamett (essendo invece riportato correttamente nella descrizione). Sono incline a ritenere che sia davvero esistito questo terzo resoconto, anche per via della menzione della "Stampa Vescovale del Zambelli", in realtà Stampa vescovile del Zambelli, con sede a Piacenza, che non compare nelle altre due versioni e che era già attiva sul finire XVII secolo e agli inizi del XVIII. Non ho potuto avere accesso alle fonti usate da Evans, anche se ha operato in pieno XX secolo. Subito mi sono messo al lavoro per scoprire se siano esistiti altri resoconti ancora più antichi di quello stampato da Zambelli.

Quarto documento (1690) 

Finalmente ho avuto successo nella mia ricerca. Ancora un'altra versione! A questo punto si va avanti ad infinitum! Ecco un quarto resoconto, risalente al 1690. 
Questo è il titolo: 

Nova e verissima relatione del oribilissimo mostro chiamato Alì Agamet; nato ne’ deserti di Cipro, l’anno 1647 li 12 marzo e ritrovato da certi agà, che andavano alla caccia per quei boschi il mese di zugno prossimo passato, con un destinto racconto di sua complessione, del viver, mangiar, bever, vestir, conversar ed’ogni’altra circonstanza, essendo loro eletto capitano d’una squadra de rebelli di Cipro contro la Porta a favor di quel comandante, contro il regnante ottomano sollevato ...), Venezia, 1690  

Autore: al momento sconosciuto
Anno: 1960 
Lingua: Italiano 

La fonte è il lavoro di Anastasia Stouraiti, Marvels of the Levant: Print Media and the Politics of Wonder in Early Modern Venice, pubblicato su History Workshop Journal 90  (2020) e consultabile su Academia.edu.

https://www.academia.edu/43523925/
Marvels_of_the_Levant_Print_Media_
and_the_Politics_of_Wonder_in_Early_
Modern_Venice

Non ho la possibilità di consultare il testo, contenuto nella Biblioteca del Museo Correr a Venezia. Tutte le informazioni a mia disposizione sono tratte proprio dall'articolo della Stouraiti. 

Contenuti del resoconto del 1819

Una storia davvero avvincente. Si narra di come il Capitano Alimberto Valdames stesse viaggiando verso Algeri, conducendo un vascello mercantile inglese di media grandezza, con regolare licenza di esercitare il commercio. A un certo punto si imbatté in una tartana di grandi dimensioni, piena zeppa di corsari provenienti dall'isola di Cipro. Ne nacque uno scontro furibondo. Essendo gli Inglesi ben forniti di armi, riuscirono a prevalere e a catturare la tartana, dopo due ore di duri scontri, in cui imperversava il terribile gigante Alì Agamet, deforme e incredibilmente bellicoso. Ecco l'esito della battaglia: 

- Morti dalla parte inglese: 27.
- Morti dalla parte dei corsari: 19.
- Un numero imprecisato di feriti da entrambe le parti.
- Prigionieri cristiani liberati: 22. 
- Corsari ridotti in schiavitù e messi ai remi: 38 (incluso il gigante). 

Questa è una dettagliata descrizione dell'incredibile essere catturato: 

- presenza di due facce, rivolta una a destra e una a sinistra; 
- presenza di due occhi, uno per faccia; 
- presenza di due nasi, uno per faccia; 
- presenza di due bocche, una per faccia; 
- presenza di due folte barbe, una per faccia; 
- presenza di un mento tra le due facce;
- assenza di capelli e di peli sul corpo, ad eccezione delle due barbe; 
- presenza di quattro braccia, tutte abili e in grado di maneggiare armi; 
- presenza di quattro gambe, tutte abili e in grado di camminare; 
- capacità di mangiare contemporaneamente da entrambe le bocche;
- capacità di parlare contemporaneamente da entrambe le bocche;
- presenza di due grosse mammelle sul petto; 
- appetito insaziabile (mangiava come dieci persone affamate); 
- emissione di rutti spaventosi durante la nutrizione; 
- predilezione per la carne cruda e il sangue. 

Il mostruoso gigante 
dimostrò di non avere alcun problema di linguaggio articolato: si presentò descrivendo le sue origini e la sua condizione. Parlava nella sua lingua nativa (probabilmente il turco Ottomano), che evidentemente il Capitano Valdames conosceva bene.  

   "Io mi chiamo ALI' AGAMET , e sono di legge Maomettana ; nacqui nella superba Città di Babilonia , e fui figliolo di Selim Arabo , e di Ozime di Babilonia ; dandomi mia Madre alla luce , e vedendomi nato differente dagli altri uomini , procurò di tenermi celato più che fosse stato possibile temendo che potessi essergli rapito ; ma non scorse lungo tempo , che ne fu informato il nostro Bassa , il quale ordinò che immediatamente gli fossi presentato , il che fu eseguito . Visto che mi ebbe ordinò che fussi allevato nel suo proprio Palazzo , fintanto che pervenni all'età di dodici anni , e vedendomi così mostruoso pensò mandarmi in dono al Gran Signore Imperatore dei Turchi , come infatti fece . 
  Imbarcatomi adunque , e solcando l' onde , con prospero vento si navigava ; ma non durò molto la calma , perchè rivolgendosi il vento venne, quasi all’ improvviso una fierissima burrasca , e trasportato il Legno nei Mari di Cipro malamente reggendosi agli spessi colpi della fortuna si affondò, ed io dall’ onde abbattuto a terra mi ritrovai e mi ricoverai in un Bosco , che non troppo da lungi vidi , e vi soggiornai per lo spazio di sette mesi, senza veder mai persona alcuna , nutrendomi di erbe e di radiche o talvolta di Animali selvaggi , che ben spesso io prendeva . Dopo questo tempo capitò questa l' altana , che ora avete in vostro potere, dalla quale smontando molti per l’ acqua a loro mancata mi pigliarono, e vedendomi di questa' robustezza , e conoscendomi abile a maneggiar dell’ armi , mi vollero per loro compagno , ma però mai ad alcuno mi volli palesare , benchè molte volte facessi loro istanza , acciocchè al Gran Turco mi avessero condotto conforme mi aveva destinato il Bassa di Babilonia ; onde cosi incognito sono stato con esso loro lo spazio di nove anni solcando diversi Mari , facendo di grosse prede : e perchè detti Corsari erano di Cipro, mi cognominarono Alì Agamet del Regno di Cipro per molte mie prove , e prese fatte con terrore e spavento di tutti , ed oggi mi trovo vostro schiavo : e questo è quanto posso dirvi ."

Gli Inglesi fecero ritorno in Inghilterra. Fatta calafatare la tartana, organizzarono una specie di zoo umano nella città (il cui nome non è tramandato), facendo esibire Alì Agamet e riscuotendo grande successo. Così si conclude il racconto. 

I resoconti del 1819 e del 1690: 
un rapido confronto 

Nell'opera citata dalla Stouraiti, Alì Agamet mancava del linguaggio articolato, a differenza di quanto narrato dai resoconti successivi: sapeva esprimersi soltanto con gesti che apparivano esagerati, incoerenti e ridicoli agli stessi Turchi. La sua avidità nel bere lo faceva orinare di continuo, altra fonte di situazioni imbarazzanti. Viene ritratto con capelli lunghi, sporchi e carichi di polvere. Le sue guance erano ricoperte di un sudore nero e fetido, mentre gli occhi erano così rossi da sembrare carboni ardenti che "esalavano orrore". Altre caratteristiche erano identiche a quelle descritte da Zavaterri: due facce, due barbe, grosse mammelle, quattro braccia e quattro gambe. Non risulta alcuna menzione degli Inglesi di Valdames. Gli agà che hanno scoperto la creatura a Cipro erano locali ufficiali militari maomettani (in turco ağa significa "cacciatore"), che hanno pensato bene di arruolarlo e di utilizzarlo in un'insurrezione contro il Sultano. Questa insurrezione si dimostra fallimentare: molto probabilmente il gigante mostruoso allude al personaggio storico dell'insorto cipriota Mehmet Ağa Boyacioğlu, la cui ribellione fu stroncata dalle forze ottomane proprio nel 1690 (Stouraiti, 2020). La genealogia attribuita ad Alì Agamet è molto diversa da quella riportata da Zavaterri nel 1819: sarebbe stato figlio di un rinnegato che avrebbe abiurato la religione cristiana per convertirsi all'Islam, rapendo una donna cristiana e costringendola a sua volta ad abiurare. 

L'identità del capitano inglese

Azzardo una ricostruzione del nome originale del Capitano Valdames. A parer mio si chiamava Lambert Van Dammes ed era di origine fiamminga. Il nome di battesimo, Lambert, con ogni probabilità pronunciato /'læmbəɹt/, è stato italianizzato in Alimberto, nome raro ma effettivamente esistente: ad esempio ci è noto uno pseudonimo usato da Galileo Galilei, Alimberto Mauri. Possiamo fare qualche ipotesi in più: il nome potrebbe essere stato appreso dalla viva voce e trascritto in modo approssimativo. La vocale anteriore /æ/ avrebbe impedito che il nome fosse italianizzato in Lamberto. Un apprendimento dalla lingua scritta di un originale Albert avrebbe invece portato a italianizzare il nome in Alberto. Il cognome Van Dammes, la cui esistenza è attestata (pur essendo più comune Van Damme), deve aver prodotto Valdames per dissimilazione. La trascrizione di Valdames in ortografia inglese avrebbe poi dato il Valdemss riportato da Evans. Anche in questo caso, deve essere postulato l'apprendimento dalla viva voce, attraverso diversi passaggi. Colui che ha messo per iscritto il resoconto per la prima volta, deve aver ampliato qualcosa di mirabolante che ha sentito con le sue orecchie in un luogo sordido, in un angiporto o in una taverna malfamata. Ad ogni passaggio successivo, devono essere occorse ulteriori distorsioni.  
Appurato che al capitano inglese si potrebbe attribuire il nominativo Lambert Van Dammes, non possiamo in alcun modo ricondurlo a una persona effettivamente esistita, per via dell'estrema difficoltà ad accedere a documenti dell'epoca in cui si suppone abbia vissuto. Non dimentichiamoci la faccenda scabrosa della diversità delle date: 1819, 1792, 1702, 1690. Ne sono convinto: scavando bene, salterebbero fuori altre versioni più vetuste, che creerebbero più domande di quante contribuirebbero a risolvere! In ogni caso, sarebbe come cercare un ago in un pagliaio. 

Il nome Alì Agamet 

Evidentemente il nome del gigante mostruoso sta per Alì Ahmed. Alì (عليّ ʻAlī) significa "Sublime". Ahmed (أحمد Aḥmad) significa "Molto Lodevole". I due antroponimi, di chiara origine araba coranica, sono diffusissimi nel mondo islamico e non presentano alcuna difficoltà di analisi. La forma Agamet mostra, con la sua consonante sorda finale, una mediazione del turco. 

Un maomettano non molto osservante 

Alì Agamet si professava di religione maomettana, tuttavia non teneva in alcun conto le prescrizioni alimentari. Non soltanto mangiava qualsiasi tipo di carne e beveva birra: beveva anche il sangue, che anzi era la sua bevanda preferita. Nella nota proibizione coranica, sono vietati il sangue, le carogne e la carne di porco, tutte cose considerate impure e messe sullo stesso piano. Vero però è che è concessa esplicita licenza di nutrirsi di carne di porco in caso di viaggio in terre non islamiche o in condizioni estreme, come l'assenza di altro cibo. Allo stesso modo, è contemplata la possibilità che un viandante islamico si possa ubriacare in terra non islamica, con solo la raccomandazione di non pregare in quello stato. Va anche detto che non sempre, nel corso dei secoli, i Musulmani hanno sfoggiato dovunque quel rigore che oggi si tende ad attribuire loro. In particolare, nell'Impero Ottomano si beveva con una certa abbondanza e i divieti duravano al massimo tre giorni. 

Incongruenze interne 

Si noti che la stampa era già pienamente sviluppata in Inghilterra negli anni in cui si suppone che il fantomatico Lambert Van Dammes esibisse Alì Agamet in una città costiera. La presenza di un mostro così straordinario sarebbe stata documentata opportunamente e avrebbe destato immenso clamore dovunque. 
Anche il racconto più antico attestato presenta incoerenze. Se Alì Agamet, trovato a Cipro dagli ufficiali militari, non possedeva il linguaggio articolato, come poteva comunicare agli altri il proprio nome? Glielo avrebbero attribuito? 

Riscontro teratologico 

Alì Agamet aveva caratteristiche che possono essere originate dalla fusione di gemelli siamesi: diprosopia (duplicazione craniofacciale) e polimelia (presenza di arti soprannumerari). Altre peculiarità sorprendenti sono l'iperfagia e gli elementi di pseudo-ermafroditismo e ginecomastia (presenza di grosse mammelle). Nessuno si è mai preso la briga di descrivere i suoi genitali e le sue funzioni defecatorie. Quanti peni aveva? Tre, due o uno solo? E l'ano? Era unico o ne aveva due? Quello che stupisce è la perfetta funzionalità di tutte le membra: quattro braccia in grado di combattere e di adoperare armi, quattro gambe in grado di camminare avanzando e indietreggiando, perfettamente sincronizzate. Da condizioni che sono estremamente rare, non ha mai avuto origine un "gigante mostruoso" come quello descritto. In genere gli arti in eccesso non hanno piena funzionalità. Il folklore spesso esagera e combina caratteristiche rare per creare creature fantastiche. Si nota che la presenza di mammelle sviluppate in un uomo era considerata una caratteristica diabolica, spesso associata ad assassini particolarmente efferati. Non so se abbia senso insistere con i referti medici sul protagonista di quello che è nato come pamphlet

Possibile significato

Alì Agamet potrebbe essere una metafora e un prodotto del radicatissimo terrore per i Turchi. Non dobbiamo mai dimenticarci che i Turchi erano visti come un flagello, perché rapivano, riducevano in schiavitù e sodomizzavano! Soprattutto sodomizzavano. Devastavano l'intestino retto a tutti coloro su cui mettevano le mani. Uomini, donne, bambini, non si salvava nessuno. Non per niente si dice "cose turche". Potevano arrivare dovunque. Ci sono state scorrerie persino in Islanda. La Stouraiti è convinta che il terrore più insondabile che percorreva la Cristianità fosse quello delle abiure, in quanto erano molti ad abbandonare la Chiesa Romana per abbracciare l'Islam. Una cosa non esclude l'altra, questo è sicuro. Così possiamo concludere che Alì Agamet è fatto della stessa sostanza dell'Incubo!

giovedì 8 giugno 2023

IGIENE ANALE NELL'ANTICA ROMA: IL TERSORIUM O XYLOSPONGIUM

Come si pulivano il culo i Romani antichi dopo aver smerdato? Usavano uno strumento denominato tersōrium (da tergere, tergēre "pulire") oppure, con vocabolo di origine greca, xylospongium (da ξυλοσπόγγιον, xylospóngion, alla lettera: "legno e spugna", da ξύλον, xýlon "legno" e σπόγγος, spóngos "spugna"). 


Era una spugna marina fissata su un'asta di legno, che serviva in modo promiscuo nelle latrine pubbliche per le sacrosante necessità igieniche dello sfintere anale! Dopo l'uso, che era promiscuo, si sciacquava lo strumento in un canaletto, quindi si procedeva alla sua "sanificazione", immergendo la spugna in una soluzione acquosa di aceto e sale, che fungeva da "disinfettante". Si può essere a dir poco scettici sull'efficacia di tali misure igieniche, ma a quei tempi non esisteva di meglio. Le malattie più disparate si trasmettevano nelle latrine. Ovunque pullulavano patogeni fecali come Escherichia coli. Le epatiti erano rampanti, come le infestazioni di vermi e via discorrendo. Se andava storta, si moriva male. Non erano tempi molto felici per gli amanti dell'anilungus


La fine di un'annosa controversia

Come sempre, è necessario combattere contro coloro che sostengono insensatezze e tentano con ogni mezzo di "decostruire" le cose più ovvie. Così c'è chi porta avanti l'idea che lo xylospongium fosse in realtà una specie di scopino usato per pulire le latrine, analogamente a quelli in uso ancora oggi per la tazza del WC. Tra questi ci sono molti genialoidi attivi sui social, ma anche uno studioso, Gilbert Wiplinger (2009, 2012). Usando la potenza della logica, è possibile confutare con facilità questa idea inconsistente. 


La struttura stessa delle latrine romane dimostra che lo xylospongium poteva servire unicamente all'igiene anale. Ci si sedeva su una cavità che si apriva su un flusso d'acqua alimentato dalle terme. Non era una tazza come quelle su cui noi ci sediamo ai nostri giorni, che hanno un'uscita stretta e la necessità di uno scarico per rimuovere i prodotti dell'intestino. Le nostre latrine necessitano di pulizia tramite uno scopino proprio perché possono rimanere residui fecali aderenti alla struttura. Ma nell'antica Roma non esisteva niente di tutto ciò. Riporto in questa sede alcune immagini che provano al di là di ogni dubbio quanto sostengo, così chiunque può ben vedere dove si posavano beati i culi romani, dai nobili agli schiavi! Il peccato di Wiplinger e dei suoi seguaci è il cosiddetto "presentismo storico": dando per scontata la struttura delle odierne latrine, costoro l'hanno automaticamente proiettata nel passato romano. Sbagliando, com'è ovvio. 


Una testimonianza di Seneca 

Nell'opera del grande filosofo stoico del I secoo d.C. Lucio Anneo Seneca (Epistulae morales ad Lucilium, Libro LXX, 20-21) leggiamo quanto segue (il grassetto è mio):

20. Nuper in ludo bestiariorum unus e Germanis, cum ad matutina spectacula pararetur, secessit ad exonerandum corpus, nullum aliud illi dabatur sine custode secretum; ibi lignum id quod ad emundanda obscena adhaerente spongia positum est totum in gulam farsit et interclusis faucibus spiritum elisit. Hoc fuit morti contumeliam facere. Ita prorsus, parum munde et parum decenter: quid est stultius quam fastidiose mori? 
21. O virum fortem, o dignum cui fati daretur electio! Quam fortiter ille gladio usus esset, quam animose in profundam se altitudinem maris aut abscisae rupis immisisset! Undique destitutus invenit quemadmodum et mortem sibi deberet et telum, ut scias ad moriendum nihil aliud in mora esse quam velle. Existimetur de facto hominis acerrimi ut cuique visum erit, dum hoc constet, praeferendam esse spurcissimam mortem servituti mundissimae. 

Traduzione: 

20. Recentemente, nei giochi tra gladiatori e bestie feroci, uno dei Germani, mentre si stava preparando allo spettacolo mattutino, si appartò per andare di corpo, essendo l'unico momento in cui potesse rimanere da solo senza sorveglianza; lì prese un bastone, con una spugna attaccata usata per pulire gli escrementi, e se lo infilò in gola e morì soffocato. Così fece un oltraggio alla morte. Proprio così, in modo immondo e indecente: chi è più stupido di chi muore in maniera fastidiosa?
21. O uomo forte, degno di scegliere il proprio fato! Quanto fermamente avrebbe potuto usare la spada, quanto coraggiosamente avrebbe potuto gettarsi nel mare profondo o in un burrone. Nonostante fosse privo di ogni mezzo, eppure riuscì a trovare il modo di darsi la morte e l'arma, sapendo che l'unico ostacolo alla morte è l'assenza di volontà: egli ce lo dimostra. Ognuno pensi come vuole l'atto di quest'uomo, ma si constati che, piuttosto di una schiavitù pulitissima, deve essere preferita la morte sporchissima.

Considerazioni lessicali:
La parola obscēna (neutro plurale) può essere tradotta con "escrementi", ma anche con "organi genitali" e "sfintere anale". Questa denominazione era derivata da antichissimi tabù. Il fatto stesso che lo xylospongium avesse il manico indica la precisa volontà di evitare il più possibile qualsiasi contatto tra le mani (con cui tra l'altro si mangiava) e il deretano. Questo spiega lo straordinario successo dello strumento, che ha sostituito i precedenti sistemi di pulizia anale. 


Una testimonianza di Marziale

Nell'opera del grande poeta ed epigrammista del I secolo d.C. Marco Valerio Marziale (Libro XII, 48) leggiamo quanto segue (il grassetto è mio): 

Boletos et aprum si tamquam vilia ponis 
   et non esse putas haec mea vota, volo: 
si fortunatum fieri me credis et haeres 
  vis scribi propter quinque Lucrina, vale.
lauta tamen cena est: fateor, lautissima, sed cras 
  nil erit, immo hodie, protinus immo nihil,
quod sciat infelix damnatae spongia virgae
  vel quicumque canis iunctaque testa viae: 
mullorum leporumque et sumini exitus hic est,
  sulphureusque color carneficesque pedes. 
non Albana mihi sit commissatio tanti 
  nec Capitolinae pontificumque dapes; 
imputet ipse deus nectar mihi, fiet acetum 
  et Vaticani perfida vappa cadi. 
convivas alios cenarum quaere magister 
  quos capiant mensae regna superba tuae: 
me meus ad subitas invitet amicus ofellas: 
  haec mihi quam possum reddere cena placet.

Traduzione: 

Se mi metti davanti funghi e cinghiale come se fossero cose da nulla (1)
e ritieni che non siano ciò che desidero, allora li voglio:
ma se credi che possa far fortuna e vuoi che ti nomini
mio erede per cinque ostriche del lago Lucrino, ti saluto. 
La cena tuttavia è sontuosa: lo riconosco, molto sontuosa,
ma domani non sarà nulla, anzi neanche oggi, senz'altro 
proprio nulla, che conosca la funesta spugna 
della maledetta asta o qualunque cane o il coccio sul lato della strada: questo è il risultato delle triglie, delle lepri 
e della tetta di porco, colorito sulfureo e piedi gottosi 
che torturano. 
Le gozzoviglie di Albano non valgano la pena,
né i banchetti capitolini dei pontefici (2)
lo stesso dio mi rinfacci il nettare, che divenga aceto 
e insano vino svaporato del barile vaticano
Cercati altri convitati, o datore di banchetti, 
che possano catturare i regni superbi della tua tavola,
quanto a me, l'amico m'inviti alle focacce improvvisate: 
mi piace la cena che posso ricambiare. 

Note: 
(1) I Romani non disprezzavano affatto la carne di cinghiale, con buona pace dei fumetti di Asterix.
(2) Si vede come i fasti della Chiesa di Roma hanno chiare origini pagane, traendo origine dalla religione imperiale, come lo stesso termine Pontefice.

   
La testimonianza delle terme dei Sette Sapienti 

Questo è il testo che compare su un affresco del II secolo d.C., nelle terme dei Sette Sapienti a Ostia Antica: 

verbose tibi / nemo / dicit dum Priscianus / [u]taris xylospongium nos / [a?]quas

Traduzione: 

"nessuno dice così tante parole come noi a te, Prisciano: usa la spugna sul bastone, [mentre] noi [usiamo] l'acqua" 

Evidentemente la persona a cui era rivolto l'invito, questo Prisciano, era uno zozzone che non si puliva l'ano e smerdava le vesti, rimediando figuracce barbine. Con tutta probabilità in un'occasione ha avuto la diarrea e i suoi compagni l'hanno aiutato a lavare gli abiti insudiciati. Simili scritte oscene sono un costume inveterato che è sopravvissuto a lungo nell'Urbe. 

La testimonianza di Claudio Terenziano 

In una sua lettera al padre Claudio Tiberiano (Claudius Tiberianus), un certo Claudio Terenziano (Claudius Terentianus), vissuto nel II secolo d.C., scriveva quanto segue:

Non magis quravit me pro xylospongium sed su(u)m negotium et circa res suas 

Traduzione: 

"Non gli importava di me più di una spugna da culo, ma piuttosto dei suoi affari e delle sue faccende." 

Questo prova che il nome dello strumento igienico era usato come metafora di "persona che non conta nulla" o simili. 


Un prezioso mosaico

Esiste almeno una raffigurazione artistica dell'uso concreto dello xylospongium. Si tratta di un mosaico rinvenuto nel 2018 ad Antiochia ad Cragum, in Anatolia, in una latrina risalente al II secolo d.C. realizzato con la tecnica dell'opus vermiculatum. Dato che un'immagine vale più di mille parole, la riporto in modo che tutti possano vederla coi propri occhi. Non può esserci il benché minimo dubbio! Vediamo un uomo dall'espressione languida, con un naso spropositato, quasi come a un Pinocchio ante litteram, che procede a passarsi la spugna sul deretano maneggiando abilmente il manico di legno. Il nome dell'uomo è scritto proprio sopra, in caratteri greci: ΝΑΡΚΙΣΣΟΣ (Narkissos), cioè Narciso
Da questa raffigurazione sappiamo per certo che l'operazione  di pulizia veniva effettuata da seduti. Questo concorda con quanto era già stato ipotizzato. In un dotto articolo sulla storia delle latrine, pubblicato nel 2011 sulla Stuttgarter Zeitung, Robin Szuttor ha descritto in modo dettagliato come lo xylospongium veniva inserito tra le gambe per pulire l'ano e poi spremuto in un secchio pieno d'acqua. 


Un'altra immagine, proprio a fianco di quella di Narciso, rappresenta invece Ganimede rapito da un grosso airone che è in realtà Zeus (nel mito originale compare però di un'aquila). Si riconosce all'istante il nome scritto in caratteri greci: ΓΑΝΥΜΗΔΗΣ (Ganymēdēs). Ebbene, il giovane effeminato tiene in mano proprio uno xylospongium: è stato ghermito mentre stava defecando! A quanto pare, gli scopritori del mosaico non hanno ben compreso la natura di queste immagini, ad esempio interpretando il manico dello xylospongium usato da Narciso come il suo pene. Se quella fosse la raffigurazione di un fallo eretto, sarebbe grossolana oltre ogni limite concepibile! 


Le origini problematiche dello strumento 

Data l'origine greca del termine xylospongium, si potrebbe pensare che Roma abbia conosciuto questa miglioria igienica dalla Grecia, che ha esportato tante altre costumanze raffinate. Tuttavia, le evidenze storiche dimostrano il contrario. I Greci, prima di entrare in contatto con Roma, utilizzavano mezzi grossolani e rudimentali per pulirsi il deretano: le pietre (πεσσοί, pessoi) o i cocci di ceramica (ὄστρακα, ostraka). Le emorroidi imperversavano, anche perché il materiale non sempre era liscio. Spesso la pietra usata era piccola e doveva essere un gioco di destrezza evitare di rimanere con le mani sporche di merda. Un detto popolare affermava che per pulirsi "di pietre ne bastano tre". Ne emerge un'assenza di tabù verso il contatto con le feci e con l'ano, vista anche la grande diffusione della pederastia, che era aborrita soltanto a Sparta. Mi sono imbattuto nel Web nell'ipotesi di un'origine egizia dello xylospongium, il cui uso si sarebbe diffuso in seguito ai primi contatti tra il mondo ellenico con la Terra del Nilo. Analizzando la questione, non è tuttavia possibile trovare prove convincenti dell'uso di spugne, fissate o meno su aste, per la detersione degli ani faraonici! Il costume attestato è quella dell'uso assiduo dell'acqua e del natron (carbonato di sodio idrato), oltre che di essenze profumate per rintuzzare ogni emergere di cattivi odori. In Grecia si ha invece un'interessante testimonianza dell'uso di una semplice spugna per finalità igieniche (non propriamente di uno xylospongium) in Aristofane (V secolo a.C.), anteriore al Regno Tolemaico in Egitto. Nella commedia Le rane (Βάτραχοι, Bátrakhoi, 460-490), accade che Dioniso ha un incoercibile attacco di diarrea e non riesce a trattenersi: chiede dunque una spugna per pulirsi. Probabilmente, in caso di diarrea, tra gli Elleni si usava la spugna perché pietre e cocci di ceramica non erano di grande utilità in una situazione così critica. Ci si può chiedere se sia stata questa l'ispirazione che ha portato i Romani ad inventare lo xylospongium. Il nome greco deve essere stato attribuito per far sembrare il geniale strumento un prodotto della civiltà tanto ammirata, che le classi alte esibivano con snobismo. Si tratterebbe quindi di un falso atticismo.

Una soluzione al problema dello smegma

I numerosi resti di tessuto rinvenuti in una fossa biologica a Ercolano non erano serviti a detergere l'ano, con buona pace dell'archeologo ambientale Mark Robinson (2007) e di quanti hanno rilanciato la sua idea nei social. Avevano, se possibile, uno scopo ancor più vile: erano utilizzati per rimuovere lo smegma dai genitali! Sì, è quella roba, peggiore della merda, che i popolani chiamano "formaggio". Sono convinto che ulteriori e più approfondite analisi confermeranno quanto dico, trovando tracce lasciate sul tessuto dall'odiosa sostanza biancastra. 

La Sacra Spugna

A questo punto, finalmente avete tutti i mezzi per capire cos'era la spugna imbevuta di aceto con cui fu dato da bere a Cristo mentre agonizzava sulla croce: uno xylospongium! In pratica gli è stata somministrata dell'immondissima acqua di latrina, mista alle feci. Dopo aver ricevuto questo messaggio dalle guardie che lo schernivano dopo aver detto di avere sete, urlò e morì. Non pochi missionari evangelici che predicano per le strade, se sapessero ciò, forse commenterebbero: "Ora sai quanto ti ama"

domenica 4 giugno 2023

LA LEBBRA IN NORVEGIA

Ricordo ancora le atrocità delle mostre missionarie, che fui spesso costretto a visitare quando ero un moccioso. L'idea portante era la seguente: l'Africa Nera descritta come un continente interamente popolato da lebbrosi. La gente era portata a credere che la lebbra non riguardasse la popolazione europea bianca, "caucasica", come direbbero gli anglosassoni. Il sentire generale imponeva di considerare la lebbra "una cosa da ne(g)ri" (all'epoca non c'era l'ossessione per gli eufemismi), in ogni caso "una cosa da gente del Terzo Mondo". Niente di più falso! Ricordo ancora una frase di Gianmarco S.: "La lebbra esiste anche in Italia, solo che viene tenuta nascosta". La lebbra esiste dovunque. 


Il batterio della lebbra (Mycobacterium leprae) fu scoperto nel 1873 in Norvegia dallo scienziato Gerhard Henrik Armauer Hansen (1841 - 1912). Anche se pochi ne sono al corrente, a quei tempi la Norvegia era una nazione poverissima e piena zeppa di lebbrosi. Sia la forma lepromatosa che quella nervosa del morbo erano presenti. La prima porta alla crescita di noduli e orrendi tuberi carnosi pieni di pus, fetidissimi, mentre la seconda porta a perdita della sensibilità, cancrene e mutilazioni spontanee delle dita e degli arti. Esistevano anche pazienti con forme miste. La situazione era tragica. Verso la metà del XIX secolo, nella città di Bergen quasi il 4% della popolazione aveva la lebbra. Era la concentrazione più alta in Europa. Anche le isole Lofoten erano molto colpite, seppur in misura minore rispetto a Bergen. Come mai? Ve lo spiego in estrema sintesi. La terribile malattia era un'eredità dell'epoca gloriosa dei Vichinghi: gli impavidi guerrieri avevano portato il contagio in patria, essendo rimasti infettati nel corso delle loro scorrerie e dei loro traffici, in Inghilterra e in paesi ben più lontani. Da allora la lebbra non se n'era più andata dalla Terra dei Fiordi, arrivando persino nella remota Lapponia. L'andamento dei contagi è stato soggetto ad oscillazioni: la malattia sembrava in declino nel XVIII secolo, ma riprese la sua crescita agli inizi del XIX secolo, tanto da destare serie preoccupazioni, perché stavano comparendo casi persino in zone in cui non si erano mai visti lebbrosi, come ad esempio Oslo. Lo stigma sociale era fortissimo: molti cambiavano nome per non gettare discredito sulla propria famiglia. A Bergen, i malati venivano radunati nell'ospedale St. Jørgens di Marken fin dal XV secolo. Nel 1816, il sacerdote Johan Ernst Welhaven scrisse una lettera disperata alle autorità per denunciare le tremende condizioni dell'ospedale, definendolo "un cimitero per i vivi". Autorità sorde e cieche, infinitamente distanti, come accade fin troppo spesso. Va detto che nei decenni successivi le cose sono cambiate in modo notevole. 


Prima che Hansen facesse la sua sensazionale scoperta, nella comunità scientifica norvegese esistevano opinioni molto diverse sulla natura e sull'origine della lebbra. Le riporto in questa sede:  
 i) Alcuni erano convinti che la lebbra fosse una malattia cronica al pari dell'artrosi reumatoide, causata dalla terribile durezza delle condizioni di vita imperanti nei distretti più miseri (Hjort). 
 ii) Alcuni erano convinti che la lebbra fosse una malattia ereditaria, descritta come "discrasia" e "squilibrio del sangue" (Danielssen, Boeck). Per combatterla proponevano uno strettissimo isolamento sessuale di chi manifestava sintomi, per evitare la nascita di sempre nuovi lebbrosi.
 iii) Alcuni erano convinti che la lebbra fosse una malattia risultante da una dieta povera e costituita quasi esclusivamente da pesce, tipica delle popolazioni rivierasche. In altre parole, la lebbra sarebbe stata una conseguenza diretta dell'ittiofagia. In effetti i casi erano in maggior crescita proprio nelle regioni costiere abitate da pescatori. Questa convinzione resistette fino agli inizi del XX secolo (Hutchinson).
 iv) Alcuni erano convinti che la lebbra fosse una forma di scabbia trasmessa dagli acari e resa particolarmente aggressiva dalla debilitazione delle persone colpite. In altre parole, la lebbra era connessa con la cosiddetta scabbia norvegese, descritta per la prima volta da Danielssen e Boeck. 
Inutile dire che tutte queste idee erano antiscientifiche e prive di qualsiasi fondamento. La difficoltà di comprensione dei meccanismi di trasmissione e dello sviluppo della patologia ostacolava seriamente la ricerca. Come ha dichiarato il professor Magnus Vollset, "tra l'infezione e l'insorgenza della malattia possono trascorrere da sei mesi a vent'anni; la malattia si sviluppa in fasi che possono variare da poche settimane a diversi anni." 
Già nel 1856 era stato istituito per Decreto Reale un registro nazionale dei pazienti (Lepraregisteret; in inglese The National Leprosy Registry of Norway). Il suo fondatore e gestore è stato Ove Guldberg Høeg (1814 - 1863), che nello stesso anno aveva affermato profeticamente: "Elaborando questi dati, identificheremo la causa della lebbra." Questo è stato il primo registro nazionale del mondo intero, per qualsiasi malattia: un passo avanti di capitale importanza. I suoi dati sono stati di fondamentale importanza per il lavoro di Hansen. Nell'immediato è mancata la consapevolezza dell'importanza estrema della scoperta del micobatterio della lebbra. Questo per tre motivi: 
1) Il trasferimento della malattia agli animali da esperimento è fallito (sono stati fatti persino tentativi coi piccioni e i conigli);
2) La coltura del microrganismo è fallita; 
3) Non è stato possibile dimostrare la presenza del microrganismo in tutti i pazienti.
Tuttavia, Hansen ha notato che il calo dell'incidenza era maggiore nelle aree in cui il ricovero ospedaliero era stato applicato in modo più rigoroso, dimostrando così la natura infettiva e non ereditaria della malattia. 
In seguito alle disposizioni legislative, con applicazione di particolari misure di salute pubblica (1877, 1885), si è verificato un rapido e importante declino della malattia tra gli anni '90 del XIX secolo e i primi anni del XX secolo. 


Nell'estate del 1992 ho visitato il lebbrosario di Bergen, adibito a museo (Lepramuseet). È un bell'edificio di legno, dove si possono contemplare fotografie, ritratti di lebbrosi atrocemente deturpati, mappe di diffusione della malattia e informazioni sulla lunga lotta per l'eradicazione del patogeno. 
Toccando con la punta di un dito un quadro esposto nel lebbrosario-museo, mi sono preso una scossa statica e ho avuto il presentimento di qualcosa di grave. La sera stessa, in albergo, ho constatato di avere un foruncolo sulla gamba sinistra. In apparenza era simile a una pustola acneica. Me lo sono grattato e mi è uscito del pus rigato di sangue. La mattina successiva, ho visto che la lesione si era indurita. Più di vent'anni dopo, quella formazione era ancora al suo posto. Non è mai stata del tutto riassorbita. Un dermatologo l'ha vista e senza molto interesse l'ha classificata come un "fibroma", negando ogni nesso causale tra la sua formazione e la visita a quel luogo, in cui non doveva più sussistere alcun fomite di contagio, da molto tempo. Data la mia grande ipocondria, sono addirittura arrivato a pensare che si trattasse di una forma di lebbra paucibacillare, con pochi micobatteri attivi in alcune terminazioni nervose e incapaci di diffondersi al di fuori della loro sede. Mi ero convinto che le mie difese immunitarie fossero riuscite a circoscrivere l'infezione, limitata a quella singola escrescenza e all'insensibilità di qualche nervo limitrofo. Passato tanto tempo, sono finalmente dell'idea che il dermatologo avesse piena ragione. Altre lesioni si sono formate, ma non me ne curo. :)

venerdì 2 giugno 2023

IOLO MORGANWG E LA DOTTRINA DEL BARDDAS

Iolo Morganwg, nato Edward Williams (Pennon, Llancarfan, Glamorgan, Galles meridionale, 1747 - Flemingston, 1826), fu un poeta ed antiquario gallese, che si proclamò bardo e druida, essendo intenzionato a far rivivere l'antica religione dei Celti. Era considerato un esperto collezionista di letteratura medievale gallese, ma dopo la sua morte si scoprì che aveva prodotto numerosi falsi, spesso mescolandoli a testi autentici. In altre parole, aveva inquinato le fonti, dato che la sua abilità era tale da rendere spesso molto difficile scorporare il falso dal vero. 


Descrizione fisica: 
Era un uomo fragile, rachitico e sofferente, con i capelli chiarissimi, quasi albini. Aveva la muscolatura facciale atrofica, segno di una possibile paresi. Era dipendente dal laudano, di cui faceva un uso pesante per lenire l'asma e combattere l'insonnia (la sostanza all'epoca era disponibile a un vasto pubblico e il suo uso era incoraggiato dai medici). 

Biografia:
Edward Williams, figlio di Edward Williams e Ann Matthews, crebbe nel villaggio di Flemingston (Flimston; gallese: Trefflemin). Seguì suo padre, che era un tagliapietre. Presto si destò in lui un grande interesse per i manoscritti e per la poesia gallese. Imparò a comporre in gallese da poeti come Lewis Hopkin, Rhys Morgan e Siôn Bradford, che erano i bardi locali. Assunse il nome bardico Iolo Morganwg. Nel 1773 andò a Londra, dove conobbe Owain Myfyr, che lo introdusse alla Society of Gwyneddigion, un'importante associazione di cultura gallese. Nel 1777 ritornò in Galles. Dopo qualche anno, nel 1781, sposò Margaret Roberts e tentò di fare l'allevatore, senza successo. Ebbe quattro figli, di cui soltanto due sopravvissuti fino all'età adulta: Margaret (nata nel 1782) e Taliesin (nato nel 1787). Fu a questo punto che cominciò a impegnarsi nella produzione di testi falsi: nel 1789 compose Barddoniaeth Dafydd ab Gwilym, una raccolta di poesie fittizie da lui attribuite al poeta Dafydd ap Gwilym, vissuto nel XIV secolo. È stata notata la sorprendente capacità del falsario di imitare lo stile dei testi autentici di Dafydd. Dal 1791 al 1795 fu ancora a Londra, dove officiò cerimonie bardiche, presiedendo l'Assemblea del Gorsedd a Primrose Hill. Di lì a poco, la sua produzione di falsi ebbe una prodigiosa accelerazione. Nel periodo tra il 1801 e il 1807 ebbe un ruolo rilevante in Myvyrian Archaiology, una delle prime raccolte a stampa di letteratura medievale gallese. Sfortunatamente, alcune delle opere pubblicate erano suoi falsi, tra cui un libro attribuito a San Cadoc, una storia fittizia della Britannia e un gran numero di Triadi gallesi. Agiva in due modi, inventando Triadi di sana pianta oppure alterandone di esistenti. Ebbe anche il controllo dell'effimera rivista Y Greal, durata dal 1805 al 1807, in cui incluse diversi suoi falsi. Nel 1812 pubblicò una serie di inni religiosi, col titolo Salmau yr Eglwys yn yr Anialwch ("Salmi della Chiesa nel deserto").
Le circostanze della morte di Iolo Morganwg non sono chiare. Nel Web si trovano con grande fatica versioni contrastanti. Alcuni qualificano la morte come "improvvisa", il che farebbe pensare a una crisi respiratoria dovuta a un'overdose di laudano. Secondo altri, l'autore sarebbe invece morto di polmonite dopo aver fatto capriole nudo in un bosco, sotto la pioggia battente. Le fonti sono estremamente dubbie. Riporto queste notizie, non verificabili e al limite del pettegolezzo, a titolo di pura e semplice curiosità.

Iolo Morganwg e il Cristianesimo 

Iolo Morganwg apparteneva alla Chiesa Unitariana Quacchera. Era uno strenuo oppositore della Chiesa d'Inghilterra. Evidentemente non percepiva alcuna contraddizione tra i contenuti neopagani druidici e la teologia della sua comunità, ma va detto che l'ambiente religioso in cui si muoveva era piuttosto aperto e tollerante. L'Unitarianismo è un movimento antitrinitario. Nega cioè la dottrina secondo cui sussistono in Dio tre persone uguali, distinte e coeterne. Ammette l'unicità di Dio come essere generatore, ponendo in dubbio la divinità di Cristo e dello Spirito Santo. Si potrebbe dire che tali dottrine abbiano qualche somiglianza con l'Arianesimo professato dai Goti.

Iolo Morganwg e la politica 

Iolo Morganwg era uno strenuo oppositore della Monarchia e fu un attivista pacifista, che mise in atto iniziative contro la guerra e contro la schiavitù. In particolare, si impegnò nella ricerca di alternative allo zucchero, che era considerato "insanguinato", in quanto prodotto del lavoro di schiavi. Va detto che le attività commerciali da lui iniziate a scopi politici fallirono tutte. Ebbe qualche riscontro in America. Fu amico di Tom Paine, con cui intratteneva una corrispondenza; George Washington ammirava la sua poesia. Le autorità britanniche per contro lo guardarono sempre con grande sospetto, arrivando a sottoporlo ad interrogatori e a interrompere le riunioni del Gorsedd.

L'emergere dei falsi

Il sospetto che Iolo Morganwg avesse falsificato un gran numero di opere "medievali" gallesi iniziò almeno a partire dal 1868, ben 42 anni dopo la sua morte. William F. Skene, nel suo Four Ancient Books of Wales, scrisse quanto segue:

"It is a peculiarity attaching to almost all of the documents which have emanated from the chair of Glamorgan, in other words, from Iolo Morganwg, that they are not to be found in any of the Welsh MSS. contained in other collections, and that they must be accepted on his authority alone. It is not unreasonable, therefore, to say that they must be viewed with some suspicion, and that very careful discrimination is required in the use of them."

Traduzione: 

"Una peculiarità che accomuna quasi tutti i documenti emanati dalla cattedra di Glamorgan, in altre parole da Iolo Morganwg, è che non si trovano in nessuno dei manoscritti gallesi contenuti in altre raccolte, e che devono essere accettati solo sulla base della sua autorità. Non è irragionevole, quindi, affermare che debbano essere considerati con un certo sospetto e che sia richiesta un'attenta valutazione nel loro utilizzo." 

Nel 1848 il figlio di Iolo Morganwg, Taliesin Williams, raccolse una parte degli scritti paterni e li fece pubblicare. Non era minimamente consapevole della brutta faccenda dei falsi. 

Il laudano e uno strano concetto di verità

Questa è l'opinione del recensore Ceri Shaw (2018):

"He was convinced that the culture in which he was raised by his mother and other exemplars and tutors was the heir to a great south Walian Bardic and Druidic tradition. The fact that this tradition lacked any foundation texts was a deficiency which he marshaled his considerable literary talents to correct."

Traduzione: 

"Egli era convinto che la cultura in cui era cresciuto, grazie alla madre e ad altri modelli e tutori, fosse l'erede di una grande tradizione bardica e druidica del Galles meridionale. Il fatto che questa tradizione fosse priva di testi fondanti era una lacuna che egli colmò con il suo considerevole talento letterario."

Un'ipotesi a mio avviso tutt'altro che peregrina è che l'uso prolungato del laudano, che è tintura alcolica di oppio, abbia favorito l'inclinazione di Iolo Morganwg a ritenere "vero" ciò che era in realtà il prodotto della sua immaginazione. Molti drogati sono convinti di poter accedere a informazioni inaccessibili in stato di lucidità: credono di poter sperimentare la conoscenza diretta dei segreti più intimi della Natura e dell'Universo. 

Romanticismo e falsi storici

Iolo Morganwg, che era un affiliato della Massoneria, era certamente animato da un intenso spirito di patriottismo. Nutriva l'incrollabile convinzione di essere, assieme a Eward Evans, un estremo depositario di una conoscenza arcana che avrebbe attraversato i secoli, risalendo fino ai tempi dei Druidi. Sapeva che tutto questo non era sufficiente. Lo pervadeva il terrore che la lingua e la cultura del Galles potessero decadere fino ad estinguersi, svanendo nell'oceano anglosassone. Riteneva quindi doveroso fare qualcosa, qualsiasi cosa, incluso inventare di sana pianta testi e tradizioni, mescolandoli al materiale veritiero. Il fine per lui giustificava i mezzi. Riporto un fatto che potrebbe apparire contraddittorio, pur non essendolo. Quando fu scoperto che i Canti di Ossian, pubblicati dal poeta scozzese James Macpherson, erano un clamoroso falso, Iolo Morganwg ebbe una reazione inconsulta e violenta: pieno di animosità, si scagliò contro l'autore ossianico arrivando ad auspicare la sua impiccagione. Come mai un falsario era tanto adirato con un altro falsario? Semplice. Aveva il terrore che la scoperta della natura fittizia dei Canti di Ossian potesse indurre le autorità accademiche a diffidare dei documenti di tutte le culture celtiche, passando ogni testo sotto la lente d'ingrandimento - col pericolo di svelare i numerosi falsi che stavano riplasmando l'intera letteratura gallese. 

Il caso del Barddas 

Il Barddas (in gallese significa "Bardismo", "Scienza bardica") è un libro di materiale raccolto e scritto dallo scrittore gallese Iolo Morganwg, presentato come un'autentica raccolta di antichi testi teologici e filosofici bardici e druidici gallesi. Fu pubblicato postumo in due volumi da John Williams per la Welsh Manuscripts Society, nel 1862 e nel 1874. 
Il primo volume si divide in tre sezioni: 
 1) Simboli: tratta di un alfabeto denominato Coelbren;
 2) Teologia: tratta della filosofia e della cosmologia;
 3) Saggezza: tratta di conoscenze esoteriche.
Il secondo volume, rimasto incompiuto a causa della morte dell'autore, è in larga misura una guida per i Bardi e per i Gorsedd

La parte del primo volume denominata Teologia è particolarmente importante, perché sintetizza la cosmologia di Iolo Morganwg. Comprende una parte in forma di catechismo, in cui l'iniziatore pone domande e l'iniziato dà le risposte. 


Sunto dottrinale del Barddas 

Semplificando molto, il Cosmo è costituito da tre cerchi concentrici. Il più interno di questi cerchi, denominato Abred, è il mondo materiale, dominato da uno stato di Male, Caos e disordine. Gli spiriti degli esseri umani sono generati nello stadio più basso dell'esistenza, Annwn, che è prossimo al Nulla, quindi migrano in Abred dove si reincarnano nello sforzo di ascendere al livello cosmico superiore: il cerchio denominato Gwynfyd. Questo stato d'essere indica lo stato di beatitudine, priva di peccato, goduta dagli spiriti dopo essersi liberati e riuniti con Dio. Oltre Gwynfyd c'è il cerchio dell'Infinito, Ceugant, simile nella sua struttura al cristallo che rappresenta Dio, l'Assoluto denominato OIW
I tre termini Abred, Gwynfyd e Ceugant sono fortemente influenzati sia dal Cristianesimo (Gwynfyd, nella misura in cui traduce Paradiso; Ceugant, nella misura in cui traduce Dio) che dal Buddhismo (Abred, nella misura in cui traduce Saṃsāra; Gwynfyd, nella misura in cui traduce Nirvāṇa). 

Secondo lo studioso irlandese Thomas William Hazen Rolleston (1857 - 1920), a un certo punto una dottrina simile a quella esposta nel Barddas dovette sicuramente esistere nell'ordine dei Bardi nel XVI secolo. Il problema è questo: i contenuti a cui Rolleston allude hanno come artefice il poeta Llywelyn Siôn (1540 - 1616), che può essere considerato in qualche modo un precursore di Iolo Morganwg: collezionista di antichi manoscritti, nazionalista gallese, bardo che ha presieduto i Gorsedd della sua epoca e via discorrendo. Quanto c'è di vero? Quanto c'è di inventato già nelle fonti del Barddas? L'attuale mondo accademico ha l'idea unanime che il Barddas sia un'opera pseudo-bardica e pseudo-druidica, come le sue fonti del XVI secolo. In altre parole, la complessa teologia che vi è contenuta non può essere proiettata all'indietro di oltre un millennio e attribuita tal quale ai Druidi dell'epoca precristiana. 

Il Barddas e lo Gnosticismo 

Rolleston era convinto che la dottrina del Barddas presentasse una grande somiglianza con lo Gnosticismo. L'idea è piuttosto controversa. Certamente Ceugant può sembrare a prima vista una buona traduzione di Pleroma (πλήρωμα, derivato di πληρόω "riempire"). Tuttavia manca del tutto il Mito della Caduta, così come vi è assente ogni traccia di anticosmismo. L'essere umano per lo Gnosticismo è decaduto dal suo stato di completezza e perfezione, precipitando nella materia. Invece per il Barddas l'essere umano, nato da una condizione di Nulla, sembra poter soltanto ascendere. Il Pleroma degli Gnostici emana. Ceugant non presenta in realtà somiglianza alcuna con questo concetto.

Note etimologiche

CYTHRAUL : L'Avversario, il Principio del Nulla 

Protoforma ricostruibile: Latino Contrārius "Oppositore", "Avversario" (epiteto di Satana) 
Derivazione: attraverso dissimilazione 
Note: 
In realtà potrebbe essere un derivato di cwthr "buco", "cavità", nel senso di "Nulla Primordiale", anche se in tal caso non si spiegherebbe la terminazione -aul. Non va nascosto che esiste un'irregolarità fonetica: se la derivazione fosse dal latino, ci aspetteremmo *Cythrawl

ANNWN : L'Ade, gli Inferi 
Varianti: ANNWFNANNWYN 
Pronuncia: /'anʊn/ 

Protoforma ricostruibile: *Andumnon "Ade" (Inferi)
Gallico: Antumnos "Ade", "Plutone" (divinità) 
Note: 
L'ipotesi più plausibile è che il significato originario fosse "Non Mondo", da *an- "non" (prefisso negativo) e *dumnon "mondo", "profondità". Questo però non spiega la presenza di un'occlusiva sorda nel gallico Antumnos, così si è ipotizzata la derivazione da una protoforma più antica *Andedumno-. Si suppone che il prefisso *ande- avesse il significato di "inferiore", "infero": l'etimologia indoeuropea sarebbe lineare. Tuttavia questa semantica non è attestata nelle lingue celtiche storiche, così si suppone che debba essere un fossile.

ABRED : Il Mondo del Divenire 
Pronuncia: /'abrεd/

Protoforma ricostruibile: *apritus < *ad-kwritus
Significato: trasmigrazione; cambiamento di forma 
Derivazione: dal prefisso *ad- e da *pritus "forma"; "tempo" (< *kwritus).
Note: 
La parola sembra essere di origine bretone, come si vede dalla vocale -e- (ci aspetteremmo *abryd). La semantica non sembra molto soddisfacente, dal momento che in bretone abred significa "prima", "presto"; si noti però che la radice d'origine significava sia "forma" che "tempo". Nel suo uso "druidico", la parola gallese è attestata per la prima volta nel 1793 (un anno prima che la utilizzasse Iolo Morganwg) dal lessicografo William Owen Pughe. Il verbo abredu "trasmigrare" si trova in Llywelyn Siôn, cosa che lo rende come minimo dubbio. Un'attestazione precedente di abred, piuttosto incerta, risale al XIV secolo, col significato di "liberazione", "rilascio" (glossa inglese: "deliverance, release"). 

GWYNFYD : La Beatitudine 
Pronuncia: /'gwɨnvɨd/

Protoforma ricostruibile: *Windobitus 
Significato: Mondo Bianco, Mondo Puro 
Derivazione: composto di *windos "bianco", "puro" e *bitus "mondo".
Note: 

CEUGANT : L'Infinito, Dio 
Pronuncia: /'kei̯gant/

Protoforma ricostruibile: *Kowokanton  
Significato: cosa certa; cosa sicura; cosa inevitabile
Slittamento semantico: => Assoluto
Derivazione: sostantivazione di *kowokantos "certo", "sicuro"; "inevitabile".
Note: 
L'aggettivo ceugant è documentato a partire dal XII secolo con questi significati. Iolo Moraganwg ha equivocato la sua formazione, credendolo un composto di cau "vacante", "vuoto" e di cant "cerchio", "circonferenza". Ne ha derivato così una parola col significato di "cerchio dell'Infinito", "Infinito", quindi "Dio". 

OIW : L'Eternità 

Protoforma ricostruibile: *Āius 
Significato: Eone, Eternità  
Note: 
L'autore non poteva essere a conoscenza della reale etimologia indoeuropea della parola. Egli cerca di spiegare in modo cervellotico questa sillaba come composta da tre lettere dell'alfabeto Coelbren. Il fatto che io abbia trovato una spiegazione di gran lunga migliore, parrebbe dimostrare che ci sia qualcosa di autentico. 
La radice *āiu-, con corrispondenze in indoiranico, è attestata nell'onomastica celtica antica incorporata in iscrizioni in latino (esempi: Aiu, Aius, Aiuca, Aiucius, Aiuccio, Aiulo, Aiunus, etc.). Cfr. Zeidler, 2013, che però postula una vocale iniziale breve. 

AWEN : L'ispirazione poetica 

Protoforma ricostruibile: *Awenā 
Significato: ispirazione  
Genere grammaticale: femminile 
Note: 
La parola deriva dalla stessa radice del gallese awel "vento, brezza", la cui protoforma ricostruibile è *awelā

COELBREN : L'alfabeto bardico 

Protoforma ricostruibile: *Kailoprennon  
Significato: legno della divinazione 
Derivazione: composto di *kailos "augurio, portento" e di *prennon "albero", "legno" (< *kwresnom).
Note: 
Cesare ci dice chiaramente che i Druidi ai suoi tempi avevano una forte proibizione nei confronti della scrittura, che impediva loro di trascrivere i testi che dovevano apprendere. La scrittura era riservata ai soli usi profani. Tuttavia è possibile che in Britannia e in Irlanda questi tabù nel corso dei secoli siano almeno in parte venuti meno, permettendo lo sviluppo di nuovi sistemi alfabetici. Conosciamo l'Ogham, originario dell'Irlanda, che era però utilizzato per brevi iscrizioni funebri. 

Annwn e Tolkien 

J.R.R. Tolkien usò la parola annún nella sua mitologia della Terra di Mezzo come termine della lingua elfica Sindarin (fonologicamente ispirato al gallese) che significa "ovest" o "tramonto" (derivata dalla radice del Quenya Andúnë), spesso riferendosi figurativamente al "Vero Ovest", ovvero la terra benedetta di Aman oltre il Mare, l'Isola Solitaria Tol Eressëa, o (nel successivo uso maschile) l'isola sommersa di Númenor. Questo è un esempio del metodo di Tolkien di costruire il mondo "spiegando il vero significato" di varie parole del mondo reale assegnando loro un'etimologia "elfica" alternativa.

Etimologia del nome Iolo 

Iolo è un ipocoristico del nome gallese Iôrwerth, il cui significato è "Signore Splendente". Il primo membro del composto, iôr "signore" (variante iôn), non ha etimologia indoeuropea credibile. La protoforma celtica ricostruibile, *jurā, compare come oronimo nelle Alpi, col plausibile significato di "Sommo", "Alto". Il secondo membro del composto, -werth, è la forma lenita di berth "splendente" (<  protoceltico *bertos < *berktos). L'antroponimo Iôrwerth è stato associato all'inglese Edward (antico inglese Ēadward), di diverso significato ("Guardia della Ricchezza"), ma di aspetto fonetico abbastanza simile. 

Etimologia di Morganwg 

Il nome bardico Iolo Morganwg alla lettera significa "Iolo di Glamorgan". Il toponimo Morganwg, la cui ortografia  corretta è Morgannwg, risale al nome di un sovrano medievale, Morgan Hen, ossia "Morgan il Vecchio", con l'aggiunta del suffisso aggettivale -wg. L'antroponimo Morgan, dall'antico gallese Morcant, è formato da môr "mare" e da cant "cerchio". Il significato è "Cerchio del Mare". La protoforma ricostruibile di Morcant è *Morikantos. La protoforma ricostruibile dell'appellativo Hen "Vecchio" è *Senos. La protoforma ricostruibile di Morgannwg è *Morikantukos. La forma usata in inglese, Glamorgan, deriva dal gallese Gwlad Morgan, ossia "Paese di Morgan", ed è del tutto equivalente a Morgannwg. La protoforma ricostruibile è *Wlatis Morikantī, con l'antroponimo al genitivo. 

Etimologia di Gorsedd 

La parola gallese gorsedd (plurale gorseddau) significa "trono". La protoforma ricostruibile è *wersedon, derivata da *wer- "sopra" e *sedon "seggio". Iolo Morganwg ha riesumato questo termine per designare l'Assemblea dei Bardi, ma non l'ha inventato di sana pianta; era tra le altre cose già stato usato da Llywelyn Siôn nella stessa accezione. 

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