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giovedì 2 dicembre 2021

 
HO AMMAZZATO BERLUSCONI
(film grottesco)
 
Titolo originale: Ho ammazzato Berlusconi
AKA: Ops... Ho ammazzato Berlusconi
Lingua originale: Italiano
Paese di produzione: Italia
Anno: 2008
Durata: 88 min
Genere: Grottesco, drammatico, commedia 
Sottogenere: Commedia nera, fantapolitica, antiberlusconismo 
Regia: Gian Luca Rossi, Daniele Giometto
Soggetto: dal romanzo L'omicidio Berlusconi, di Andrea Salieri
Sceneggiatura: Gian Luca Rossi, Daniele Giometto
Produttore: Caterina Rogàni
Segretario di produzione: Laura Petruccelli
Casa di produzione: Collepardo film
Distribuzione in italiano: Collepardo film
Fotografia: Silvio Fraschetti
Montaggio: Valentina Mariani
Musiche: Bruno Ventura
Trucco: Michela Maucione 
Dialoghi: Bruno Ventura
Riregistrazione: Alberto Bernardi
Rumorista: Marco Ciorba 
Effetti sonori: Saverio Lancia, Paolo Pucci
Direttore della fotografia: Daniel Arvizu 
Musicista: Dario Vero
Supervisore musicale: Giovanni Marolla 
Interpreti e personaggi:
    Alberto Bognanni: Matteo
    Andrea Roncato: Gaetano
    Sabrina Paravicini: Livia
    Lello Arena: Infermiere all'obitorio
    Paolo Baroni: Cesare
    Aurelio Levante: Commissario Guidini 
    Riccardo Cavallo: Giuliano
    Jean-Pierre Duriez: Gianni
    Enea Tomei: Carabiniere
    Dario Biancone
Censura: 101300 del 11-12-2007
Budget: 600.000 euro 
Box office: 63.000 euro - 77.794 dollari US
Titoli in altre lingue: 
     Inglese: I killed Berlusconi 
     Romagnolo: Cajùsi... A-j-ò masâ Berlusconi 
  N.B. Non sembra che il film sia stato distribuito in lingue diverse dall'italiano. 
 
Trama: 
Silvio Berlusconi riesce a vincere le elezioni politiche del 2001. In un suggestivo borgo della Toscana vivono l'amorfo Matteo e Livia, una coppia di estrema sinistra. La bionda Livia è una convulsionaria che pensa soltanto all'impegno politico e sociale. Il povero Matteo, con i capelli rossicci e crespi, è un umile professore di matematica che subisce passivamente le sfuriate della moglie e il suo isterismo, nella speranza di poter ottenere un pompino o una sega ogni tanto. Speranza che si dilegua senza rimedio non appena la pasionaria viene a sapere che il marito alle ultime elezioni ha subdolamente votato per Forza Italia. Si scatena un litigio furibondo al cui termine Livia si allontana da casa nel cuore della notte, sbattendo la porta. Accade l'impensabile: proprio in quel  momento un velivolo precipita addosso alla donna, schiantandosi e uccidendola sul colpo. Matteo, sconvolto dalla morte della moglie, prende la macchina e si avvia alla cieca nel temporale. A un certo punto ha un incidente e si accorge di aver investito un uomo. Sceso dalla vettura per prestare soccorso alla vittima e per vedere se ci sono stati danni, gli sfugge di mano il cric, che sfonda il cranio dell'uomo disteso a terra, provocandone la morte istantanea. A questo si aggiunge un piccolo problema: da un'occhiata ai documenti risulta che l'uomo rimasto ucciso è proprio Silvio Berlusconi! Non sapendo cosa fare, preso dal panico assoluto, Matteo decide di occultare il cadavere. Non gli viene in mente idea migliore di seppellirlo in giardino, stando bene attento a non farsi scoprire da occhi indiscreti. Sconvolto dai sensi di colpa, decide di recarsi al comando di Polizia, autodenunciandosi. Nessuno gli crede, anche perché Berlusconi appare regolarmente in televisione e non è giunta alcuna segnalazione sulla sua scomparsa. Pochi giorni dopo Matteo viene rapito e portato in un ambiente lussuoso, davanti a tre esponenti berlusconiani: un anziano di nome Gianni, un anziano di nome Cesare e un individuo untuoso di nome Giuliano, con i capelli corvini un po' lunghi, la barba brizzolata e una corporatura notevole a stento sorretta dalle bretelle. Cesare rivela a Matteo una scomoda verità: l'uomo che appare in televisione non è Silvio Berlusconi, bensì un suo sosia ben istruito. Il vero Cavaliere è effettivamente stato ucciso dall'insegnante, a cui viene promessa un'ingente somma di denaro pur di ottenere il recupero della salma. L'offerta comprende anche un biglietto aereo di sola andata per Cuba. Matteo, che nel frattempo ha traslato il corpo di Berlusconi nel congelatore, confida l'accaduto all'amico Gaetano, a cui offre la metà del compenso che dovrà essergli versato dai politici. Il problema è che si tratta di una trappola fatale: giunti all'appuntamento per la consegna del feretro, i due sventurati finiscono tra le grinfie di pericolosissimi trafficanti di droga. I gangster intimano a Matteo di consegnare loro la cocaina, minacciando di uccidere di Gaetano. Va tutto in merda, anche perché la cocaina non c'è, così Gaetano finisce ucciso, mentre Matteo riesce a fuggire e a fare ritorno alla sua ordinaria vita di docente. I giorni passano e presto l'uomo comprende che il "caso Berlusconi" è stato dimenticato: nessuno nota cambiamenti, "nemmeno Emilio Fede se n'è accorto". Lo scomodo cadavere, ancora una volta sepolto in giardino, vi resterà. Nell'insegnante cresce la paranoia, che prende forma nel terrore di essere pedinato. Non potendo più reggere la pressione delle sue paure, Matteo finisce col barricarsi in casa assieme al suo cane, unica compagnia. Poi anche l'animale muore. Questo lutto causa un nuovo crollo mentale al protagonista, che scava una buca profonda nel terriccio molle vicino a un albero di arance, cresciuto sulla tomba di Berlusconi, rigoglioso per via dell'augusto concime di cui si era nutrito. Dopo aver parlato a lungo al morto, con cui ormai si identifica, Matteo affetta un'arancia raccolta dall'albero funebre, ne mangia qualche frammento, quindi si cala nella fossa e si ricopre da sé di terriccio. Pone così fine ai suoi giorni soffocando, dopo aver riconosciuto di essere moralmente colpevole della morte di Livia. 
 
Citazioni: 
 
"Gianni era ingessato, robotico, inespressivo. Cesare cominciò lui a parlare, cosa che in tribunale faceva assai di rado."
(Matteo) 

"Il potere si regge sul potere, non sulle persone. Se lo ricordi."
(Cesare)
 

Recensione:  
Una pellicola davvero bizzarrissima, forse unica nel suo genere. Potremmo considerarla una distopia dickiana non fantascientifica. Proprio come in un romanzo di Philip K. Dick, gioca un ruolo fondamentale l'alterazione delle realtà ad opera dei media, che procede fino a diventare completa dissoluzione di ogni possibilità di conoscenza e di giudizio. Il progressivo allontanamento del protagonista dalla realtà, la sua deriva schizoide, non può che condurre alla disgregazione dell'Essere. Il potere politico è qualcosa che sfugge a ogni analisi, a conti fatti la sua natura non può essere dedotta dalle apparenze con cui si manifesta, in quanto le persone che lo rappresentano sono simulacri, gusci vuoti a cui non corrisponde un'essenza propria, bensì un puro e semplice ruolo. A questo punto, il ruolo è autoconsistente. Non serve che dietro l'involucro delle apparenze esista davvero un individuo. Chi muove questo teatrino? Resterà sempre oscuro, inconoscibile. Peccato che queste riflessioni siano sorte nelle menti di pochi commentatori. 
Sotto gli occhi di tutti è lo scarsissimo successo di quest'opera, presentata il 13 agosto 2008 al Drake International Film Festival Caserta. Giancarlo Zappoli definisce Ho ammazzato Berlusconi "un film irrisolto che manca gli obiettivi", specificando che "non basta una buona idea per realizzare un film".   
Gian Luca Rossi è un regista non molto prolifico, a cui si devono in tutto quattro film, compreso questo. Due sono documentari: Mare carbone (2015) e Se ho vinto, se ho perso (2020). C'è poi il film drammatico Lontano in fondo agli occhi (2000). Non si riescono a reperire molte informazioni su questo materiale. La sola notizia biografica sembra essere questa: Rossi è nato ad Aosta nel 1973 (ha sette anni meno di me). Qualche volta il suo nome è scritto Gianluca anziché Gian Luca.
Daniele Giometto ha al suo attivo unicamente il film diretto assieme a Gian Luca Rossi. Nemmeno un cortometraggio, nulla di noto. Si trova in Rete soltanto un larvato abbozzo di biografia: Giometto è nato ad Aosta nel 1977 (ha undici anni meno di me).  

Lirismo assoluto 

Matteo, ormai identificatosi con lo spirito dell'illustre morto che nutre l'albero di arance, declama questo testo poetico:

Questa notte mi sono deciso. 
Ho scardinato la porta e sono sceso in giardino. 
Silvio nello scorgermi fu quasi stupito e cacciò un gridolino di gioia vegetale. 
Lui cresceva, cresceva... io invece mi ero fatto più piccolo e smagrito. 
La prossima primavera sarebbe stato alto più di un metro. 
Le foglie lo prefiguravano un poderoso arancio. 
Divenuto grande, avrebbe riempito i canestri di delizie zuccherine. 
Mi accomodai accanto a lui. 
Ci soffermammo a contemplare la rotta, e parlammo a lungo, ed arrivammo ad una conclusione. 
Se ancora c'era, se ancora era possibile un mondo, ovunque fosse, lo avremmo trovato insieme. 

Senza dubbio il componimento merita un posticino nella storia della Settima Arte!

 
L'omicidio Berlusconi
 
Non ho ancora avuto occasione di leggere L'omicidio Berlusconi, il libro di Andrea Salieri del 2003, pubblicato da Edizioni Clandestine (128 pagine; codice EAN: 9788865961261), di cui il film di Rossi-Giometto costituisce un adattamento a quanto pare abbastanza fedele. Questa è la descrizione (da www.ibs.it): 
 
"E se Berlusconi non fosse lui? Se il vero Berlusconi fosse stato ucciso la notte del 28 maggio 2001? Andrea Salieri offre in questo libro un diario ironico e graffiante di un omicida per caso, una critica spietata che non risparmia niente e nessuno, il manifesto bizzarro di un nuovo ideale di libertà, perché non esiste un mondo perfetto, ma ce n'è uno possibile." 

L'utente Filippo N. - W2M.it ne è entusiasta:

"Scritto con stile che oserei definire neo-sheakespeariano, il romanzo di Salieri è una continua sorpresa, una prova difficile per il lettore, che è costretto dall'autore a pensare, ragionare ogni singola frase, dietro cui scopre di volta in volta - e quasi sempre con un sorriso - una mente viva, affilata, sapiente, critica e satirica, come poco spesso, anzi molto raramente, accade di incrociare tra le pagine di un libro oggigiorno."

Un altro romanzo dal titolo simile, Chi ha ucciso Silvio Berlusconi, è stato scritto da Giuseppe Caruso e pubblicato dalla casa editrice Ponte delle Grazie nel 2005, con una nuova edizione della casa editrice TEA nel 2008. Quest'opera è più controversa di quella di Salieri, in quanto parla di un attentato a Berlusconi. Sembra tuttavia esistere una connessione: il protagonista, Ettore Saleri, ha il cognome molto simile a quello di Andrea Salieri. Sarebbe molto interessante per un antropologo scavare nell'immaginario collettivo di quegli anni convulsi, in cui l'aria era più irrespirabile dell'atmosfera di Venere! 

Il serpente nell'occhio 

Mi pare ottima l'interpretazione di Alberto Bognanni, che ha una mirabile peculiarità fisica: è quella che i Vichinghi chiamavano ormr í auga ossia il "serpente nell'occhio". Sullo sfondo dell'iride azzurrissima si nota ogni minimo movimento della pupilla, un abisso di nero assoluto  che si dilata e si contrae con estrema facilità. In occasione della presentazione del film, all'attore è stato assegnato il Premio Massimo Troisi come migliore attore protagonista. 
 
Tentativi di censura  
 
In sintesì andò così: fracassarono gli zebedei per ottenere il ritiro di questa commedia nera. Ci furono piagnistei e geremiadi. Secondo la versione più accreditata, alcuni esponenti di Forza Italia si misero a frignare come poppanti tolti alla tetta e dissero che il film di Rossi-Giometto era un perverso accanimento contro la persona di Silvio Berlusconi. A parte etichettare a ciclo continuo il Magnate di Arcore come un benefattore del genere umano, sempre innocente e sempre santo, non ci sono state in realtà obiezioni seriamente politiche a quest'opera satirica. Anche se ignoro chi a chi si debba l'iniziativa, a un certo punto fu imposta un'interiezione ops..., che trasformò il rude titolo originale Ho ammazzato Berlusconi in un meno traumatico Ops... Ho ammazzato Berlusconi, in cui la natura accidentale dell'uccisione viene subito affermata senza mezzi termini, proprio per neutralizzare ogni potenziale emulativo, istigatorio e apologetico insito nella fatidica frase. Questi potenziali perigliosi non sono in alcun modo contenuti nella trama, che semmai presenta Berlusconi in modo estremamente umano, fino al punto di ispirare compassione, empatia. 
 
Una censura più insidiosa
 
Lo swibble, pericolosissimo meccanismo di indottrinamento politically correct, avverte in modo paternalistico lo spettatore delle seguenti cose:

- Non è un film violento.
- Si vedono cadaveri diverse volte.  
- Si vede un cadavere colpito da una pallottola.
- Si capisce a colpo d'occhio che i cadaveri sono finti.
- Qualche bacio.
- Qualche volgarità.
- Largo uso di medicine.
- Il film diventa più triste verso la fine.
- Un cane muore di malnutrizione.
- Il protagonista tenta di suicidarsi coi farmaci.
- Alla fine del film, il protagonista si seppellisce vivo.


In poche parole, questa sarebbe una storia di cadaveri (non di paura). Il prodotto dello swibble è la cosiddetta "Parents Guide", un'insopportabile compressione delle libertà individuali!
 

 
Altre recensioni e reazioni nel Web  
 
In generale le recensioni reperibili nel Web sono poco entusiastiche. I topoi principali sono questi: 

1) Il film è moscio
2) I mezzi sono scarsi
3) Le idee sono tutte concentrate nel titolo
4) Andrea Roncato non ci azzecca (è il copro-tagonista) 

Possiamo dire per certo che Andrea Roncato è ben lontano dai tempi in cui interpretava Loris Batacchi, il "capoufficio pacchi" dotato di uno smisurato e tesissimo Priapo, sempre rubizzo per l'eccitazione! Dicamo che la sua parte ha un che di stonato. Si nota anche un Lello Arena amorfo, abbastanza rudimentale. Lo preferivo nei panni del glorioso Re Alboino! 

Ecco alcuni estratti dal sito Filmtv.it


L'utente Fanny Sally ha scritto:
"Dopo la caustica premessa il film si affloscia perdendo mordente satirico e demenziale e diventando un qualcosa di indefinito: accusa alla falsità della politica e della televisione? denuncia dello scadimento dei valori morali? ritratto di un depresso? Potrebbe essere tutte queste cose o nessuna, sta di fatto che non convince nella sua forte vena grottesca e neppure nei risvolti melodrammatici. Occasione sprecata."

L'utente Mulligan71 ha scritto:
"I primi cinque minuti sono anche carini e promettenti, poi il tutto crolla sotto una mediocrità senza fine: attori annoiati e noiosi, trama esile e fotografia da peggiore televisione. Addirittura, a tratti, mi sembrava di vedere il Bagaglino. E poi Andrea Roncato, ma dai, come si fa."

L'utente gene55 ha scritto:
"Nonostante mezzi senza dubbio scarsi e tutte le difficoltà del caso,il film dimostra un coraggio ed un'intelligenza a cui,sembra,non siamo molto nè abituati nè preparati...La storia è semplice semplice,il protagonista ha lo sguardo giusto ed alcune frecciate,colpiscono in pieno il bersaglio...80 minuti divertenti e pensierosi,anche se inverosimili,che difficilmente vedremo in tv o se ne parlerà da Vespa..." 
 
Ecco giusto un estratto dal sito Davinotti.com:  
 
 
L'utente Ryo ha scritto:
"È un film difficile da inquadrare: talvolta sembra una commedia classica, in alcune scene si raggiungono vette di nonsense puro, come se lo sviluppo stesso fosse uno strano sogno. In alcuni momenti è il grottesco a farla da padrone, con accompagnamenti musicali che non riescono a valorizzare il prodotto dando l'impressione di essere inseriti a caso. MEMORABILE: Berlusconi con la maglia del'Inter; L'auto-seppellimento." 
 
Molto interessante, ricca di spunti e niente affatto banale la recensione di Alessio Bosco apparsa su INDIE eye:
 

sabato 3 aprile 2021

LA VITA E L'OPERA DI BRUNO SCHULZ, ADORATORE DEI PIEDI FEMMINILI

Bruno Schulz fu un artista polacco, che si distinse come disegnatore, scrittore, pittore, critico letterario e insegnante d'arte. Nacque nel 1892 a Drohobyč (Drohobycz), in Galizia, che all'epoca faceva parte dell'Impero Austroungarico, divenendo dopo il 1918 parte del Voivodato di Leopoli, divisione amministrativa della Polonia interbellica (attualmente appartiene all'Ucraina). La sua stirpe era ashkenazita. Tecnicamente è da considerarsi polacco, anche se ai nostri giorni le idee sono abbastanza confuse: quelle strane terre dell'Est hanno più volte cambiato denominazione e appartenenza nazionale, dando origine a migrazioni e rimescolamenti di popoli. Il padre di Bruno, Jakub Schulz, era un mercante di stoffe, mentre la madre si chiamava Henrietta Kuhmärker. Nonostante il suo cognome germanico, la sua lingua nativa era il polacco. Pur conoscendo molto bene il tedesco, si trovava abbastanza a disagio con lo yiddish, che a rigor di logica avrebbe dovuto essere la sua prima lingua. Disgraziatamente molte sue opere letterarie furono perdute nel corso dell'Olocausto: tra queste diversi racconti brevi e il romanzo incompiuto Il Messia (Mesjaz). Una raccolta di lettere dell'autore è stata pubblicata in polacco nel 1975, intitolata Il libro delle lettere (Księga listów), così come una serie di saggi critici scritti per vari giornali. 

 
Riporto nel seguito una succinta cronologia della tormentata esistenza di questo artista, purtroppo ancora poco conosciuto al grande pubblico.
 
1910: Bruno si iscrive al Politecnico di Leopoli (attuale Ucraina).  
1915: Muore il padre di Bruno, malato da anni (per motivi di salute aveva chiuso il negozio di stoffe dal 1910). Il lutto ha come conseguenza l'interruzione degli studi e il trasferimento a casa della sorella, Hanna Hoffman, vedova con due figli.      
1917: Bruno si trasferisce a Vienna. Riprende gli studi di architettura ma con scarso successo. Non riuscendo a conseguire la laurea, torna in Galizia. Svolge il ruolo di insegnante in un ginnasio della sua città di origine, dedicandosi al contempo al disegno e alla letteratura. 
1920-1922: Bruno compone il Libro Idolatrico (Księga Bałwochwalcza). È un'opera sensualissima che mostra lo stesso autore intento a tributare adorazione assoluta alla Femmina Dominatrice.
1931: Muore la madre di Bruno. Sono assolutamente certo che l'artista fosse legato a lei in modo morboso. Le tragedie non si fermano: dopo quattro anni muore anche suo fratello maggiore Izydor, che lascia tre figli.  
1933-1937: Gli amici di Bruno, tra cui la scrittrice Zofia Nałkowska, lo spingono a pubblicare racconti. Questi suoi scritti compaiono nelle seguenti raccolte: Le botteghe color cannella (Sklepy cynamomowe, 1933; titolo inglese The Street of Crocodiles) e Il sanatorio all'insegna della clessidra (Sanatorium pod Klepsydra, 1937), quest'ultimo con 42 illustrazioni di suo pugno. Le amiche sono in genere le peggiori torturatrici: se la Nałkowska si fosse concessa a lui, facendosi adorare, avrebbe evitato una tragedia della Natura. Invece no. Da sempre le donne uccidono gli spasimanti con frasi di questo tipo: "Ti vedo come un amico", "Possiamo essere soltanto amici", "Grazie della tua amicizia". Perché? Perché preferiscono fellare gli energumeni. Ecco perché. Per fare sesso bisogna essere bruti come i gorilla. Chi ha l'animo sensibile è dannato. 
1938: Bruno pubblica il racconto La cometa (Kometa). Porta avanti la scrittura del romanzo Il Messia (Mesjasz), iniziato nel 1934. In questo periodo le sue opere attirano importanti esponenti della cultura polacca più innovativa: Roman Ingarden, Stanisław Ignacy Witkiewicz e Witold Gombrowicz. Allaccia con loro rapporti di amicizia e inizia con loro carteggi, purtroppo perduti. Grazie a questa attività collabora con diverse riviste, pubblicando articoli e recensioni, raccolte dopo la sua morte. Nello stesso anno è insignito del prestigioso premio dell'Accademia Polacca di Letteratura (Polska Akademia Literatury, PAL). 
1939: Patto Molotov-Ribbentrop. La città natale di Bruno viene invasa dall'Unione Sovietica. Il dominio russo è effimero e presto si scatenano conflitti etnici tra polacchi e ucraini, con persecuzioni antisemite all'ordine del giorno. Bruno ha completato la traduzione in polacco de Il processo (Der Prozess) di Franz Kafka, in collaborazione con Józefina Szelińska. Questa era la sua fidanzata, che aveva con lui un "rapporto complicato" (in pratica si traduce così: "prendeva vagonate di uccelli ma non il suo"). 
1941: Operazione Barbarossa. La città natale di Bruno viene invasa dalla Germania Nazionalsocialista. I nazionalisti ucraini scatenano un pogrom che infuria per tre giorni, col sostegno della Wehrmacht. Bruno viene rinchiuso nel ghetto. Data la sua conoscenza della lingua tedesca, è utilizzato come interprete da Felix Landau, un ufficiale delle SS che ammirava le sue opere artistiche. 
1942 (19 novembre): Bruno termina il suo infelice cammino terreno, brutalmente ucciso per rappresaglia da Karl Günther, un ufficiale della Gestapo. Infatti Landau aveva ucciso un ebreo al servizio di Günther, un dentista di nome Löw. Günther non si era lasciato sfuggire l'occasione di vendicarsi, colpendo Bruno al cranio con una piccola pistola mentre camminava nel ghetto portando con sé una pagnotta. Il corpo dell'artista viene sotterrato in una fossa comune e non è mai stato trovato. 
 
Espulso dalla vita 
 
Questa fu la descrizione che Witold Gombrowicz fece del tormentato artista, nel 1961:  

"Gnomo, minuscolo, dalla testa enorme, quasi troppo spaurito per aver il coraggio di esistere, era un espulso dalla vita, uno che sguscia furtivo, sul margine. Bruno non riconosceva a se stesso alcun diritto all’esistenza e cercava il proprio annichilimento: non che sognasse il suicidio, soltanto tendeva al non essere con tutto il suo essere." 

A dispetto della grande diversità nel fisico, quanto mi riconosco in questa descrizione!

L'Abisso dei Sensi  

Le visioni oniriche di Bruno Schulz erano popolate da figure distorte e nanesche! Si notano individui bizzarri e deformi, macrocefali, senili, a volte quasi focomelici, sproporzonati in ogni membro del corpo, in qualche caso persino negroidi, intenti ad adorare i piedi di donne bellissime! Questi individui prendevano in bocca piedi dell'amata, coprendoli di baci e leccandoli avidamente. Non ci sono dubbi: mentre facevano queste cose, il loro cazzone diventava durissimo, tanto che alla fine il piacere provato diventava insopportabile ed emettevano fiotti di sperma incandescente. Altre volte prevalgono invece fantasie di castrazione e di annientamento. Il terrificante potere della Femmina si manifesta in tutto il suo fulgore, annichilisce il maschio, lo riduce a un lombrico. Tutta questa rappresentazione spasmodica aveva un suo significato profondo: il disegnatore stesso si vedeva come un nano distorto, anche se artisticamente era un gigante! Le sue passioni erano assolute, totalizzanti! Gli autoritratti di Schulz mostrano parallelismi con autori come lo psichedelico Marc Chagall e il tenebroso Alfred Kubin.    
 
Susanna e i vecchioni (Zuzanna i starcy)

Stalloni ed eunuchi (Ogiery i eunuchy)

L'Infanta e i suoi nani (Infantka i jej karły)

 Donna con frusta (Kobieta z biczem)

Senza titolo noto  
 
 Undula agli artisti (Undula u artystów)

 I pellegrini (Pielgrzymi)

La città incantata II (Zaczatowanie miasto II) 

Fiaba eterna (ideale) (Odwieczna baśń (ideał))

Illustrazione per Le botteghe color cannella  

Senza titolo noto
 
Nell'ultimo disegno riportato, di cui non sono riuscito a reperire il titolo e il contesto, si nota addirittura un uomo-verme, intento a supplicare la Domina per poterle leccare i piedi, che lei mette su una coppia di mandingo! L'uomo-verme è una creatura che sembra scaturita da un incubo delirante: la testa e il tronco sono di un essere umano di sesso maschile, mentre la parte inferiore del corpo sembra il grasso bruco di una tarma della farina! Tutto ciò è di una potenza allucinante! Non si era mai visto nulla di simile dai tempi della formazione della mitologia ellenica, in cui l'assunzione di funghi muscarinici aveva portato gli inebriati a concepire spaventose epifanie ibride e teriomorfe della Natura turbata, come i Centauri, il Minotauro e le Arpie!   

La controversia dei murales 

Nel febbraio 2001, Benjamin Geissler, un regista di documentari tedesco, ha scoperto i murales che Bruno Schulz aveva creato per Felix Landau. I lavoratori della conservazione polacchi, che avevano iniziato il meticoloso compito di restauro, hanno informato dei risultato lo Yad Vashem, autorità ufficiale israeliana per la memoria dell'Olocausto. Nel maggio dello stesso anno i rappresentanti israeliani si sono recati a Drohobyč per esaminare l'opera, asportandone cinque frammenti e trasportandoli a Gerusalemme. Ne è nata una controversia internazionale. Lo Yad Vashem ha affermato che le parti dei murales erano state acquistate legalmente, ma il proprietario della proprietà sosteneva che non era stato stipulato alcun accordo del genere. Lo Yad Vashem non avrebbe ottenuto il regolare permesso dal Ministero della Cultura Ucraino. Alcuni frammenti lasciati in loco dallo Yad Vashem sono stati da allora restaurati; dopo essere stati esposti nei musei polacchi, fanno ora parte della collezione del Museo Bruno Schulz di Drohobyč. Ciò ha suscitato indignazione pubblica sia in Polonia che in Ucraina, dove l'artista è molto amato. La questione ha raggiunto una soluzione nel 2008, quando Israele ha riconosciuto le opere come "proprietà e ricchezza culturale dell'Ucraina", e il Museo Drohobyčyna ha accettato di lasciare che lo Yad Vashem le tenesse come prestito a lungo termine. Nel febbraio 2009 lo Yad Vashem ha aperto al pubblico la sua esposizione dei murales.  
 
Adattamenti cinematografici 

L'opera di Bruno Schulz ha ispirato il film La clessidra (Sanatorium pod klepsydra, 1973) del regista polacco Wojciech Jerzy Has, che ha ricevuto il Premio della giuria al Festival di Cannes del 1973. 
Si segnala anche il cortometraggio in animazione stop motion Street of Crocodiles diretto dai fratelli Stephen e Timothy Quay e rilasciato nel 1986. È basato sulla raccolta Le botteghe color cannella
Conto di visionare queste pellicole e di pubblicarne una recensione appena mi sarà possibile. 
 
Adattamenti teatrali e musicali
 
Nel 1992 Simon McBurney ha ideato e diretto The Street of Crocodiles, uno spettacolo teatrale sperimentale basato su Le botteghe color cannella, prodotto dal Theatre de Complicite in collaborazione con il National Theatre di Londra. L'adattamento è dello stesso Simon McBurney e di Mark Wheatley. Ha influenzato un'intera generazione di produttori di teatro britannici. 
Sempre nei primi anni '90, i compositori russi Vladimir Martynov e Alfred Schnittke hanno attinto alle storie, alle lettere e alla biografia di Bruno Schulz dando vita a un intreccio ipercomplesso immagine, movimento, testo, marionette, manipolazione di oggetti, performance naturalistiche e stilizzate. Non riesce agevole reperire nel Web informazioni più dettagliate su queste produzioni musicali. 
Nel 2006, Skewed Visions ha creato la performance/installazione multimediale The Hidden Room, come parte di una serie "site-specific" in uno storico edificio per uffici di Minneapolis. Combinando aspetti della vita di Schulz con i suoi scritti e disegni, il pezzo ha rappresentato le complesse storie della sua vita attraverso il movimento, le immagini e la manipolazione altamente stilizzata di oggetti e pupazzi. 
Nel 2007 uno spettacolo intitolato Republic of Dreams, basato sulla vita e sulle opere di Bruno Schulz, è stato presentato in anteprima dalla compagnia teatrale Double Edge Theatre
Nel 2008 Frank Soehnle ha diretto un'opera teatrale basata su Le botteghe color cannella, rappresentata dal Puppet Theatre di Białystok al Jewish Culture Festival di Cracovia.
Tra il 2006 e il 2008, Hand2Mouth Theatre (Portland, Oregon) e Teatr Stacja Szamocin (Szamocin, Polonia) hanno creato una performance basata sugli scritti e sull'arte di Bruno Schulz, intitolata From A Dream to A Dream, in collaborazione da  sotto la direzione di Luba Zarembinska. La produzione è stata presentata per la prima volta a Portland nel 2008.
 
Metempsicosi letterarie 
 
Bruno Schulz ha vissuto una complessa vita postuma anche nella letteratura. 
Un romanzo della scrittrice americana Cynthia Ozick, Il messia di Stoccolma (The Messiah of Stockholm, 1987), narra la storia  di un uomo svedese che è convinto di essere il figlio di Bruno Schulz, entrando in possesso di quello che crede essere un manoscritto del progetto finale dell'artista, Il Messia
Bruno Schulz appare di nuovo come personaggio di un romanzo dello scrittore israeliano David Grossman, Vedi alla voce: amore (See Under: Love, 1989). In un capitolo intitolato "Bruno", il narratore immagina l'artista che si imbarca in un fantasmagorico viaggio per mare per non rischiare di essere ucciso a Drohobyč. L'intero romanzo è stato descritto da Grossman come un omaggio a Bruno Schulz. 
Nel romanzo breve dello scrittore cileno Roberto Bolaño, Stella distante (Estrella distante, 1996), il narratore legge in un bar un libro intitolato "Le opere complete di Bruno Schulz", mentre aspetta la conferma per identificare un nazista. Quando questa conferma giunge, "le parole delle storie di Schulz ... avevano assunto un carattere mostruoso che era quasi intollerabile".
Lo scrittore e critico polacco Jerzy Ficowski ha trascorso sessant'anni alla ricerca e alla scoperta degli scritti e dei disegni dell'artista. Il suo studio, Regions of the Great Heresy, è stato pubblicato in una traduzione inglese nel 2003. Contiene due capitoli aggiuntivi rispetto all'edizione polacca; uno al romanzo perduto, Il Messia, l'altro sulla riscoperta dei murales. 
Il romanzo di China Miéville La città e la città (The City & the City, 2009) inizia con un'epigrafe tratta da Le botteghe color cannella: "Nel profondo della città si aprono, per così dire, strade doppie, strade doppelgänger, strade mendaci e illusorie".  
Nel 2010 Jonathan Safran Foer ha ottenuto un cut-up tagliando le pagine di un'edizione inglese di The Street of Crocodiles, ottenendone un'opera allucinatoria intitolata Tree of Codes.
Anche il sulfureo Philip Roth ha dato il suo contributo. La sua opera Zuckerman scatenato (Zuckerman Bound, 1985) raccoglie narrazioni sul personaggio di Nathan Zuckerman pubblicate in precedenza, aggiungendovi un epilogo, L'Orgia di Praga (The Prague Orgy). È la storia del tentativo di recuperare i manoscritti di una vittima dell'Olocausto in Europa orientale, uno scrittore ceco di lingua yiddish, Sisovsky: si tratta di ben duecento storie inedite. Zuckerman viene convinto dal figlio dell'autore a tentare il recupero dei racconti perduti. Ebbene, Sisovsky era stato ucciso da un ufficiale delle SS in modo del tutto simile a quanto accaduto a Bruno Schulz. 
 
Estratti come schegge d'Infinito
 
Riporto in questa sede alcuni brani tratti dall'opera Le botteghe color cannella, che bene illustrano l'immensità della sua produzione artistica, dotata di una vera e propria capacità cosmogonica. 
 
A luglio mio padre partiva per la cura delle acque e mi lasciava con mia madre e mio fratello maggiore in pasto alle giornate estive arroventate e abbacinanti. Inebriati di luce, sfogliavamo il gran libro delle vacanze, le cui pagine avvampavano tutte di sole e avevano nel fondo la polpa, dolce fino alla nausea, delle pere dorate. 
 
Adela tornava nei mattini luminosi, come Pomona dalle fiamme del giorno infuocato, e versava dal canestro le bellezze variopinte del sole: lucide ciliegie, gonfie d’acqua sotto la buccia trasparente, visciole nere, misteriose, il cui profumo prometteva assai più di quel che il gusto manteneva; albicocche, che celavano nella polpa dorata il succo di lunghi pomeriggi; e accanto a quella schietta poesia della frutta, Adela scaricava ancora quarti di carne, turgidi di forza e di sostanza, con la tastiera delle cotolette di vitello, e verdure algiformi, simili a meduse o cefalopodi uccisi: materiale crudo del pranzo, dal sapore ancora indefinito e sterile, ingredienti vegetali e tellurici dal profumo selvatico e campestre.  
 
Ogni giorno la grande estate trapassava da parte a parte il buio appartamento al primo piano dell’edificio che dava sulla piazza del mercato: silenzio di sprazzi d’aria tremolanti, rettangoli di luce immersi in un loro sogno rovente sul pavimento; una melodia d’organo di Barberia strappata alla più profonda vena dorata del giorno; due, tre battute di un ritornello, suonato chissà dove su un pianoforte, sempre ripetute, svanenti nel sole sui marciapiedi bianchi, perdute nel fuoco delle profondità del giorno. Finite le pulizie, Adela faceva ombra nelle stanze abbassando le tende di tela. I colori calavano allora di un’ottava, la stanza si riempiva d’ombra, quasi fosse immersa nella luce di profondità marine, riflessa ancor più nebulosamente negli specchi verdi, e tutto l’ardore del giorno respirava sulle tende, appena ondeggianti nei sogni dell’ora meridiana.
 
Noi ci sedemmo al loro fianco, quasi al margine del loro destino, un po’ confusi della passività con cui si abbandonavano a noi senza ritegno, e bevemmo acqua e sciroppo di rose, bevanda meravigliosa, che mi parve racchiudere l’essenza profonda di quel torrido sabato.

Zia Agata si lagnava. Era quello il tono fondamentale della sua conversazione, la voce di quella carne bianca e feconda, che pareva straripare dal corpo stesso, a stento e sconnessamente raccolta dalla massa, nei gladi di una forma individuale, e in quella massa già moltiplicata, pronta a ingrossarsi, a ramificarsi, e a riprodursi in famiglia. Era, la sua, una fecondità quasi autogenica, una femminilità priva di freni e morbosamente rigogliosa.
 
Quando mio padre si immergeva nello studio di grossi manuali di ornitologia e ne sfogliava le pagine colorate, pareva che proprio da esse prendessero il volo quei fantasmi pennuti e riempissero la stanza di uno svolazzio colorato, di lembi di porpora e brincelli di zaffiro, verde rame e argento. Al momento dei pasti essi formavano sul pavimento una falda colorata e ondeggiante, un tappeto vivente che ad ogni incauta intrusione si dileguava, si dissolveva in fiori mobili, svolazzanti nell’aria e si andava infine a posare nelle regioni superiori della stanza. Mi è rimasto particolarmente impresso nella memoria un condor, un uccello immenso, dal collo nudo, dalla faccia rugosa e cosparsa di escrescenze. Era un asceta magro, uno di quei lama buddisti dall’atteggiamento pieno di imperturbabile dignità, che osservano il cerimoniale ferreo proprio della loro grande casta. Quando sedeva di fronte a mio padre, immobile nella posizione scultorea delle secolari divinità egizie, l’occhio coperto da un velo biancastro che spostava di lato fin sulla pupilla, per chiudersi completamente nella contemplazione della propria augusta solitudine, sembrava, col suo profilo di pietra, il fratello maggiore di mio padre. Uguale il tessuto del corpo, dei tendini e della pelle dura e rugosa, uguale il volto secco e ossuto, identiche le orbite profonde e corneiformi. Persino le mani, le lunghe, magre, nodose mani di mio padre, dalle unghie ricurve, rassomigliavano agli artigli del condor. Vedendolo così addormentato, non potevo sfuggire all’impressione di trovarmi di fronte a una mummia, alla mummia rinsecchita, e perciò rimpicciolita, di mio padre. Credo che questa straordinaria rassomiglianza non fosse sfuggita neppure a mia madre, benché non abbiamo mai sollevato questo argomento. È significativo che il condor e mio padre usassero in comune il vaso da notte.
 
Ero sconcertato. Ricordavo in realtà quell’invasione di scarafaggi, il flusso nero e brulicante che aveva riempito l’oscurità di un notturno andirivieni da ragno. Tutte le fessure erano piene di antenne tremolanti, ogni spiraglio poteva vomitare all’improvviso uno scarafaggio, da ogni spaccatura dell’impianto poteva sbucare una di quelle folgori nere, lanciata in un folle zig zag lungo il pavimento. Ah, quel selvaggio delirio di panico, tracciato con una linea nera guizzante sulle mattonelle! Ah, quelle grida terrorizzate di mio padre, che balzava di sedia in sedia con un giavellotto in mano! Senza toccare cibo né bevanda, il volto chiazzato per la febbre, una smorfia di disgusto impressa attorno alla bocca, mio padre era completamente inselvatichito. È evidente che nessun organismo può sopportare a lungo una simile carica di odio. Una spaventosa repulsione aveva trasformato la sua faccia in una pietrificata maschera tragica, in cui soltanto le pupille, nascoste sotto la palpebra inferiore, erano all’erta, tese come corde, in perenne sospetto. Con un urlo selvaggio balzava all’improvviso dal sedile, correva alla cieca in un angolo della stanza e già alzava il giavellotto con infilzato un enorme scarafaggio che agitava disperatamente il groviglio delle sue zampe. Adela giungeva allora in soccorso di mio padre, pallido per l’orrore, e prendeva in consegna la lancia insieme col suo trofeo per annegarlo nel secchio. E tuttavia, già allora non avrei saputo dire se queste immagini mi venivano istillate attraverso i racconti di Adela, o se io stesso ne ero stato testimone. Mio padre, a quel tempo, non possedeva più quella capacità di resistenza che protegge le persone sane dal fascino della repulsione. Invece di tenersi lontano dalla terribile forza d’attrazione di quel fascino, mio padre, ormai in preda alla follia, vi si assoggettava sempre più. Le tristi conseguenze non si fecero attendere. Ben presto i primi sintomi sospetti apparvero riempiendoci di paura e di tristezza. Il comportamento di mio padre cambiò. La sua pazzia, l’euforia del suo eccitamento svanirono. Nei gesti e nella mimica cominciarono a mostrarsi segni di cattiva coscienza. Prese ad evitarci. Si nascondeva per giornate intere negli angoli, negli armadi, sotto la trapunta. Lo vedevo talvolta mentre si osservava pensieroso le mani, si esaminava la consistenza della pelle, delle unghie, sulle quali cominciavano ad apparire macchie nere, simili a scaglie di scarafaggio. 
 
– Smerciare, Jakub! Vendere, Jakub! – gridavano tutti, e quelle grida ripetute in continuazione ritmavano in coro e si trasformavano lentamente nella melodia di un ritornello intonato da tutte le gole assieme. Allora mio padre si dette per vinto, saltò giù dall’alta cornice e con un grido si gettò sulle barricate di stoffa. Ingigantito dall’ira, il capo rigonfio in un pugno purpureo si lanciò come un profeta in lotta sulle scorte di tessuti e prese a scatenarsi contro di quelle. Faceva forza con tutto il peso del corpo sulle possenti balle di lana, sollevandole dal loro posto, si infilava sotto immense pezze di stoffa e le scaricava sul banco con sordo fracasso. Le balle volavano dispiegandosi con un frullo nell’aria a formare immensi stendardi, gli scaffali esplodevano da ogni parte in scoppi di drapperie, cascate di stoffe, come sotto i colpi della verga di Mosè.

Così si disperdevano le provviste degli armadi, violentemente espulse, rovesciandosi in ampie fiumane. Così scorreva via il contenuto variopinto degli scaffali, cresceva, si moltiplicava, inondando tutti i banchi ed i tavoli.

Le pareti del negozio sparirono sotto le potenti formazioni di quella cosmogonia di tessuti, sotto quelle catene montuose che si accatastavano in impotenti massicci. Ampie vallate si aprivano fra pendii scoscesi, mentre le linee dei continenti tuonavano nel vasto pathos delle vette. Lo spazio del negozio si ampliava nel panorama di un paesaggio autunnale, pieno di laghi e di lontananze: su quello sfondo mio padre si aggirava fra le pieghe e le valli di una fantastica terra di Canaan, vagava a grandi passi, le mani profeticamente levate al cielo, e plasmava il paesaggio a colpi di ispirazione. E in basso, ai piedi di quel Sinai sorto dalla collera di mio padre, il popolo gesticolava, imprecava, adorava Baal e contrattava. Affondavano le mani dentro le pieghe morbide, si drappeggiavano nelle stoffe colorate, si avvolgevano in dòmini e mantelli improvvisati, e parlavano confusamente e senza posa.

Mio padre sorgeva improvvisamente al di sopra di quei gruppi di acquirenti ingigantito dalla collera, e tuonava dall’alto contro gli idolatri col suo verbo possente. Quindi, trascinato dalla disperazione, si arrampicava ancora sulle alte gallerie degli armadi, correva all’impazzata lungo le tavole degli scaffali, lungo le assi rimbombanti delle impalcature nude, inseguito dalle immagini di spudorata lussuria che supponeva svolgersi alle sue spalle nelle profondità della casa. I commessi avevano proprio allora raggiunto il balcone di ferro all’altezza della finestra e, appesi alla balaustra, avevano afferrato Adela alla vita e la tiravano verso la finestra, mentre lei sbatteva gli occhi e si trascinava dietro le gambe snelle inguainate di seta. Mio padre, annichilito dall’odiosità del peccato, si integrava, mediante la collera dei gesti, nell’orrore del paesaggio; e intanto in basso lo sconsiderato popolo di Baal si abbandonava a un’allegria sfrenata. Una passione parodistica, un’epidemia di riso si era impadronita di quella marmaglia. Come si poteva esigere serietà da loro, da quel popolo di batacchi e di schiaccianoci? Come si poteva esigere comprensione per le gravi angosce di mio padre da quei macinini che macinavano incessantemente una colorata poltiglia di parole? Sordi ai fulmini di quella collera profetica, i mercanti in cappe di seta si accovacciavano a piccoli gruppi intorno alle montagne sinuose di tessuto, discutendo animatamente, in mezzo a scoppi di risa, sulla qualità della merce. Quella borsa nera polverizzava nelle sue lingue veloci la nobile sostanza del paesaggio, la triturava in un impasto di chiacchiere e quasi l’inghiottiva. 
 
Tutto ciò è sublime! Rimando a un articolo davvero eccellente, pubblicato sul sito letterario Nel territorio del diavolo.
 
 
Si dà poca importanza a un evidente refuso nel testo, che ha fatto nascere l'artista nel 1982 anziché nel 1892, creando uno straniante anacronismo in cui l'Impero Austroungarico era vivo e vegeto sul finire del XX secolo, mentre le bandiere con lo Hakenkreuz sono destinate ad incombere sul nostro presente.  

lunedì 8 marzo 2021

 
THE COMPLETE ENOCHIAN DICTIONARY 
 
Titolo originale: The Complete Enochian Dictionary:
    A dictionary of the Angelic Language as Revealed to Dr.
    John Dee and Edward Kelley
Autore: Donald C. Laycock 
Prefazione: Stephen Skinner 
Introduzione: Lon Milo Duquette 
Anno I edizione: 1979
Anno II edizione: 2001  
Editore: 
    Ia ed.: Askin Publishers Ltd  
    IIa ed: Weiser
Lingua: Inglese 
Formato: 
   I ed.: copertina rigida 
   II ed.: copertina flessibile  
Numero pagine: ‎ 272 pagine
Codice ISBN-10: ‎ 
   I ed.: 0905919017 
   II ed.: 1578632544
Codice ISBN-13: ‎ 
   I ed.: 978-0905919010  
   II ed.: 978-1578632541  
Link: 
 
Contenuti: 

Foreword to the 2001
    by Lon Milo DuQuette ...... vii
Preface to the Revised Edition
    by Stephen Skinner ...... 1
Preface
    by Stephen Skinner ...... 7
Enochian
    Angelic language or mortal folly? ...... 19 
       The personalities: John Dee (1527-1608) 
       The personalities: Edward Kelley (1555-1595) 
       The first seances 
       The appearence of the Enochian alphabet  
       The first 'angelical' language 
       Further seances 
       The appearence of the true Enochian language 
       The nature of the Enochian language 
       The pronunciation of Enochian 
       Dee and Kelley - the last years 
       Judgement of the spirits 
       Is Enochian a cipher? 
       The later history of Enochian 
       Conclusion 
Scope and Plan of the Dictionary
...... 65
Part I: ANGELIC-ENGLISH
...... 69
PartII: ENGLISH-ANGELIC
...... 191
Appendix: The Enochian Calls ...... 247 
     The First Call (Ol sonf vors g ...
     The Second Call (Adgt upaah zong om ...
     The Third Call (Micma, goho Piad ...
     The Fourth Call (Othil lasde babage ...
     The Fifth Call (Sapah zimii d diu ...)
     The Sixth Call (Gah s diu em ...)
     The Seventh Call (Raas i salman paradiz ...
     Thee Eighth Call (Bazm, elo, i ta ...
     The Ninth Call (Micaolz bransg prgel ...)
     The Tenth Call (Coraxo chis cormp ...)
     The Eleventh Call (Oxiyal holdo od zirom ...)
     The Twelfth Call (Nomci ds sonf babage ...
     The Thirteenth Call (Napeai babagen ds brin ...)
     The Fourteenth Call (Noromi bagie, pasbs Oiad ...
     The Fifteenth Call (Ils tabaan l ialprt ...
     The Sixteenth Call (Ils viu ialprt salman balt...
     The Seventeenth Call (Ils d ialprt, soba upaah...)
     The Eighteenth Call (Ils micaolz olpirt ialprg ...
     The Call of the Thirty Aethyrs
Bibliography ..... 269
 
Sinossi (tradotta da Hoepli.it): 
"Nel 1581, il dottor John Dee, un consigliere alla corte della regina Elisabetta I, iniziò una serie di esperimenti volti a esplorare la capacità di contattare il mondo degli spiriti. Con Edward Kelley che fungeva da medium in questi esperimenti, Dee è stato in grado di registrare queste comunicazioni mentre venivano trasmesse in Enochiano, il linguaggio degli angeli. Donald Laycock ha analizzato a fondo il lavoro di Dee e Kelley. In questo volume racconta la storia dei loro esperimenti. Il resto del lavoro consiste in una guida alla pronuncia delle ventuno lettere, significative per districare sia il significato che la derivazione dei messaggi tramandati da Dee e Kelley, e un dizionario di base Enochiano-Inglese/Inglese-Enochiano. Il risultato è un'affascinante storia di mistero linguistico e magico, parte integrante di qualsiasi studio sulla tradizione enochiana. La lucida prefazione di Stephen Skinner definisce il tono e il contesto storico per i lettori di oggi."
 
Recensione:  
Non mi risulta che quest'opera meritoria e interessantissima sia mai stata tradotta in lingua italiana. Potrei anche decidere di occuparmene di persona, informandomi sulle questioni legali relative alle traduzioni e ai diritti d'autore. Nella sua prefazione, Skinner ci fa una lunga cronistoria, che fa dal Conte Dracula a Elizabeth Bathory, da Rabbi Loew col suo Golem plasmato nel Ghetto di Praga ai Rosacroce. Si accenna anche al Nuovo Mondo e alla riforma del Calendario Giuliano. Vengono citati esempi di un supposto "Enochiano primitivo", in contrasto a quello pienamente compiuto. Dee è considerato uno studioso che perpetuò la tradizione di Ermete Trismegisto e che tentò di cristianizzare la Cabala. Poco di tutto ciò è a mio avviso degno di essere considerato un gioiello. Sono molto più interessato agli aspetti meramente linguistici, come fonologia, vocabolario, grammatica e semantica, piuttosto che a quelli cabalistici. Trovo oziosi i giochetti criptici e numerici, che non hanno molta attinenza con l'oggetto della mia passione. 
 
La natura della lingua Enochiana 
 
Cos'è ora della fine l'Enochiano? La domanda di Laycock e dei suoi collaboratori è anche la mia. La si può riassumere in questo estratto del paragrafo "Angelic language or mortal folly?":  
 
"Le lingue vanno e vengono. Qualcosa come settemila lingue naturali sono attestate, in una forma o in un'altra, fin dall'inizio della storia registrata; almeno un migliaio di altre lingue sono state inventate dagli esseri umani, per scopi che vanno dalla magia alla comunicazione extraterrestre. Ma nessuna lingua ha una storia più strana di quella della lingua Enochiana documentata in questo dizionario. Forse la cosa più strana di tutte è che noi ancora non sappiamo se è una lingua naturale o se è una lingua inventata - oppure se è, forse, la lingua degli Angeli, come i suoi originatori credettero. In questa introduzione, i dati sono presentati perché il lettore prenda una decisione." 
 
Nel corso di anni di studio, mi sono convinto che l'Enochiano sia una lingua naturale, anche se con ogni probabilità non appartenente a questo piano di realtà, al pari delle lingue che hanno generato i nomi riportati negli scritti degli antichi Gnostici e le iscrizioni nella misteriosa lingua Sethiana, su cui ho avuto occasione di pubblicare un sintetico trattatello. Questo è il link: 
 
 
Quello che a noi può apparire stravagante, abnorme e artificioso, altrove deve essere quotidiano e del tutto naturale. Anzi, deve essere il modo più ovvio e lineare con cui gli intelletti vedono l'Universo. Già avanzavo simili argomentazioni in un mio contributo di qualche anno fa, intitolato Perché la lingua Enochiana è nostratica?, pubblicato su questo stesso portale:
 
 
Lo dico e lo ribadisco. Si tratta di una lingua naturale come quella in cui sto scrivendo, anche se non necessariamente la l'idioma degli Angeli. Si può concludere che non è una lingua di origine glossolalica, come qualcuno ha ipotizzato. Non credo nemmeno che sia stata fabbricata scientemente a partire da una glossolalia. Sono convinto che sia piuttosto una lingua parlata da esseri in carne ed ossa come noi. La mia decisione è stata presa, anche se non piacerà certamente al mondo accademico. Essendo una lingua naturale, l'Enochiano deve essere studiato utilizzando i metodi della Scienza della linguistica, non quelli della Cabala.   
 
L'annoso problema della grammatica dell'Enochiano 
 
Già ho esposto per sommi capi alcune considerazioni sulla natura grammaticale della lingua Enochiana in un mio contributo, notandone la natura profondamente idiosincrasica: 
 

Non è una questione di poco conto ed è ben lungi dall'essere risolta. Discuto alcuni esempi riportati dall'autore.
 
Abbiamo CAOSG "terra" (inglese "earth") con la variante CAOSGA. Nel caso accusativo abbiamo invece CAOSGI. Altre forme che sembrano essere declinate sono CAOSGIN "rispetto alla terra" (inglese "than the earth"), CAOSGO "della terra" (inglese "of the earth"), CAOSGON "alla terra" (inglese "to the earth"). Laycock si chiede se queste siano vere manifestazioni di un paradigma o piuttosto varianti casuali. La sua è una domanda retorica: giunge subito alla conclusione che la seconda ipotesi sia quella giusta. Non sono d'accordo con lui e sono convinto che siamo in presenza di forme sclerotizzate di paradigmi perduti. Sarebbe interessante analizzare in dettaglio i testi per vedere se l'occorrenza di suffissi è realmente casuale o se segue qualche schema. Non mi risulta che finora questo lavoro sia stato fatto. Non posso tuttavia fare a meno di notare un dettaglio di natura fonologica. Nella parola CAOSG la consonante finale è un'affricata postalveolare (come nell'italiano getto, giro, o come nell'inglese general). Lo stesso suono, che noi chiameremmo palatale, si ha in GAOSGI e in  GAOSGIN. Tuttavia c'è il suono occlusivo velare (come nell'italiano gatto, gusto, o nell'inglese God) quando la vocale del suffisso non è anteriore: CAOSGA, CAOSGO, CAOSGON. Laycok fornisce in modo chiaro la pronuncia di queste forme trascrivendole per come gli è possibile, attribuendo però il suono occlusivo velare anche a CAOSG
 
ka-ozg 
ka-oz-ga
ka-oz-ji 
ka-oz-jin
ka-oz-go
ka-oz-gon
 
ka-ozg deve essere un refuso per ka-ozj, visto che nelle istruzioni per la pronuncia l'autore raccomanda correttamente la pronuncia affricata della consonante -G finale di parola: "as j before i, e, in final position, after d, and in clusters of consonants". Pure la parola ABRAMG "preparare" è trascritta foneticamente come a-bramg anziché come a-bramj. Come spiegarci queste variazioni fonetiche nelle forme flesse di CAOSG? Credo che ci sia una sola risposta possibile. Deve essere esistita una radice originale con la consonante finale occlusiva velare, che si è palatalizzata in alcuni casi ma non in altri, seguendo regole precise, che poi sono diventate incomprensibili. 
 
La teoria verbale non è meno controversa e difficile. Così si esprime l'autore: 

"È difficile essere dogmatici sulla grammatica enochiana. I verbi mostrano forme singolare e plurale e presente, futuro e passato, e hanno anche alcune forme participiali e congiuntive; ma lo facciamo non avere una declinazione completa di alcun verbo." 

Il verbo "essere" ha una coniugazione capricciosa che utilizza diverse radici, anche più irregolare di quanto sia la norma nelle lingue indoeuropee.
 
1) radice ZIR-
ZIR "io sono" 
ZIRDO "io sono" 
ZIROP "egli era, egli fu"
ZIROM "essi erano, essi furono" 

2) radice GEH-
GEH "tu sei" 
 
3) radice I-
I "egli è" 
 
4) radice CHIIS-
CHIIS, CHIS, CHISO "essi sono" 
 
5) radice AS-
AS "egli era, egli fu" (sinonimo di ZIROP)
 
6) radice NOA(N)-
NOAN "essere; divenire"  
(varianti: NOAS, NOASMI, NOAR, NOALN
A complicare le cose, quando il senso del verbo è "divenire" anziché "essere", non si hanno forme suppletive e si usa soltanto la radice NOA(N)-.
 
Per questo verbo ci sono poi numerose altre radici per il futuro, il condizonale, l'imperativo e via discorrendo. 
 
Persino le forme negative non sono scontate. Se è riconoscibile la natura negativa del prefisso IP- "non", la radice verbale cambia e si trova AM-

IPAM "non è"
IPAMIS "non può essere" 
 
Lo stesso prefisso negativo IP- lo troviamo in IPURAN "non vede", da URAN "vedere". Non sono sicuro che si possa estendere una simile formazione ad ogni verbo. Sembra un relitto di uso limitato e sclerotizzato, non più vitale.
 
Per contro, il verbo "dire" mostra una radice, GOH-, seguita da suffissi. Ecco un abbozzo di coniugazione:
 
GOHUS "io dico"
GOHE "egli dice" 
GOHO "egli dice" 
GOHIA "noi diciamo" 
GOHOL "dicendo" 
GOHON "essi hanno detto" 
GOHULIM "è detto a te"   
 
In buona sostanza, non sembra possibile estrapolare desinenze valide per tutti i verbi. Non risulta un suffisso universale -US per la prima persona singolare del presente indicativo, oppure -IA per la prima persona plurale, -E o -O per la terza persona singolare, -OL per il gerundio e via discorrendo. In genere i verbi non si coniugano e la loro radice serve anche come nome verbale. Ogni eccezione è come se fosse un caso a sé, con suffissi unici o uso di radici suppletive. Serviranno studi approfonditi per capire meglio come stanno le cose, in ogni caso sono fiducioso. 
 
L'enigmatico sistema numerale 
 
Un aspetto completamente inesplicabile della grammatica è il sistema numerale. Non è fondato come il nostro sul concetto di unità, decine, centinaia e migliaia. Questi sono i numeri da 1 a 10, più lo zero, che però non ha alcuna funzione logica nella numerazione, nulla di paragonabile a quanto accade con le cifre arabe: credo che sia solo unantica parola che significa "nulla" 

0 - T
I - L, EL, L-O, ELO, LA, LI, LIL
2 - Y, VI-I-V, VI-VI
3 - D, R
4 - S, ES
5 - O
6 - N, NORZ
7 - Q
8 - P
9 - M, EM
10 -
 
Andando avanti, il mistero si infittisce: 
 
12 - OS
19 - AF
22 - OP
24 - OL
26 - OX
28 - OB, NI
31 - GA
33 - PD
42 - VK
456 - CLA
1000 - MATB
1636 - QLIAR
3663 - MIAN
5678 - DAOX
6332 - ERAN
6739 - DARG
7336 - TAXS
7699 - ACAM
8763 - EMOD
9639 - MAPM
9996 - CIAL
69636 - PEOAL 
 
Domanda: come si dice 11? Potremmo andare avanti all'infinito: come si dice 25? come si dice 1020? Ignoramus. Spero che non si debba arrivare a definire la questione con le parole ignoramus et ignorabimus.  
 
Desiderata 
 
Credo che sia di somma importanza preparare una grammatica completa dell'Enochiano. Questa impresa non mi risulta sia mai stata fatta fino ad ora. Tocca a me farmene carico. Se gli strali della Sorte non mi colpiranno nel mentre, il mio compito sarà completato. 

Le conclusioni dell'Autore 

Lo scetticismo pragmatico è alla base del giudizio espresso verso la fine di questo volume, pur con qualche apertura alla possibile esistenza di una dimensione trascendente come sorgente ultima del linguaggio degli Angeli. Queste sono le sue parole: 
 
"Credo che nessuno possa permettersi di essere dogmatici in questo campo. Come studioso, sono per temperamento incline al dubbio ovunque sia possibile il dubbio; ma io ho conosciuto bene persone che hanno proseguito lo studio dell'Enochiano dal punto di vista dell'occultismo pratico, e che affermano che, qualunque sia l'origine del sistema, funziona come magia pratica. E non ho motivi particolari per non crederci."
 
L'idea piuttosto ambigua che si è fatto Laycock sull'Enochiano è quella di un'origine ibrida della sua natura, considerata il prodotto di una serie di reali esperienze di trance vissute da John Dee e delle loro successive rielaborazioni, che in alcuni casi si sarebbero spinte fino all'invenzione. In altre parole ci sarebbe un nucleo di rivelazioni genuine alla base delle visioni dell'esoterista inglese, su cui però avrebbero agito manipolazioni più o meno consapevoli. È come se Laycock non volesse scontentare nessuno spingendosi troppo oltre. In particolare, temeva il giudizio del mondo esoterico, a cui si sarebbe esposto se non avesse riconosciuto l'autenticità della complessa opera di Dee.  

Per quanto riguarda le interessanti considerazioni di Laycock sulla magia pratica, posso confermare che l'Enochiano funziona, anche se mi limito a usare questa lingua in imprecazioni, bestemmie e maledizioni. Faccio un esempio. Mentre attraversavo i giardinetti, una laida carampana non ha trattenuto il suo grosso cane e mi derideva perché ne avevo paura. L'ho maledetta, augurandole di essere annientata dal Dragone-Morte. Dopo un paio di mesi ho visto il suo annuncio funebre. Lo strale che le ho lanciato è andato a segno e non me ne pento assolutamente. 

L'obbrobrio delle pronunce alterate 

Non soltanto la pronuncia adottata da Aleister Crowley è assurda e da rigettare, ma ne esistono anche di peggiori. Sul massone e antiquario Wynn Westcott, uno dei fondatori della Golden Dawn, deve essere scagliato un tremendo anatema, visto che ha osato deturpare la lingua Enochiana pronunciando ogni lettera di ogni parola in modo separato, col suo nome inglese (!), creando concatenazioni sconce, ridicole e del tutto prive di senso! Il principale motivo delle pronunce cabalistiche fondate sulle lettere anziché sui suoni è la codardia: chi le propugna ha terrore delle Entità e crede così di usare eufemismi per non scatenare la loro furia distruttiva. Questa è la verità! 
 
Westcott, che ormai è defunto da tempo, sosteneva quanto segue:
"In pronouncing the Names, take each letter separately"
,
"NRFM is pronounced En-Ra-Ef-Em or En-Ar-Ef-Em"
.
Che i sostenitori di queste scempiaggini provino invece a pronunciare /'nṛfṃ/ o /'nərfəm/, se ne hanno il coraggio! 
 
Chiunque dovrebbe essere in grado di comprendere che Westcott ha introdotto un'assurdità, dal momento che i nomi inglesi delle lettere nulla possono avere a che fare con la pronuncia di una lingua che può essere compresa dai Demoni! Già questo potrebbe gettare sulla setta chiamata Golden Dawn un immenso discredito. Esiste però anche un'altra spiegazione possibile. La conoscenza completa dell'Enochiano sarebbe tenuta nascosta, così come la sua pronuncia corretta, per timore che possano giungere danni qualora venisse diffusa tra profani; pronunce fuorvianti sarebbero state quindi fabbricate e propalate a bella posta per confondere le acque, finendo con l'essere raccolte da utenti inconsapevoli e da conventicole in cui domina l'Ignoranza. La trovo una strategia inutile e nociva.
 
Le fonti 
 
Queste sono le fonti considerate da Laycock per il vocabolario: 
 
1) Parole usate da Dee (nei manoscritti originali e nella versione stampata di Casaubon). 
Sono state incluse le parole per cui è possibile attribuire un significato almeno approssimativo, oltre ad alcune di cui si specifica che è ignota la traduzione.
 
2) GD
The Golden Dawn.
I testi delle Invocazioni, con alcune varianti usate nei rituali e qualche nome santo e "angelico".    
 
4) AC:C
La versione di Aleister Crowley delle Invocazioni, con alcuni dati magici aggiuntivi pubblicati in The Equinox (Vol. I, Nos. 7 & 8). 

5) AC:VV 
Parole Enochiane (alcune delle quali non sono dall'opera di Dee), usate da Aleister Crowley nelle sue invocazioni alle Etire in The Vision and the Voice. 
(Nota: in questo libro Crowley usa altre lingue magiche senza connessioni con l'Enochiano. Queste non sono state incluse). 
 
6) AC:G
Varianti di parole enochiane nelle invocazioni goetiche pubblicate da Aleister Crowley come supplemento alla traduzione della Goetia, di MacGregor Mather. 
(Nota: solo raramente queste parole non sono identificabili con parole dell'Enochiano di Dee, ma ci sono molti errori di stampa e di traduzione).  
 
L'autore ha esaminato anche la Bibbia Satanica (Satanic Bible) di Anton Szandor LaVey, constatando che le formule in Enochiano incluse seguono la versione di Aleister Crowley delle Invocazioni (AC:C). A parte due errori di stampa, non si segnalano differenze. Così l'opera di LaVey non è stata considerata come una fonte a sé stante.