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domenica 26 aprile 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI DORK 'IDIOTA, SFIGATO'

Com'è risaputo, i secchioni hanno ricevuto epiteti come nerd e geek. Ebbene, c'è di peggio. Nell'inglese americano si trova un peggiorativo, dork, traducibile come "idiota" o "sfigato". Molti etimologi pensano che dork sia semplicemente un'alterazione eufemistica del più famoso dick "cazzo", dovuta alla puerile volontà di rimuovere tutto ciò che è ritenuto volgare o sconveniente, usando la magia del cambiamento di un suono. Sarebbe come se in italiano la parola pene potesse perdere ogni connotato traumatizzante diventando fene. Penso che tutto sommato sia una spiegazione abbastanza stupida e inconsistente. In ogni caso, è attestata in America una voce gergale dirk "cazzo".

Per quanto riguarda le dinamiche diffusive, gli studiosi americani suppongono che la parola dork sia emersa nel Midwest, dove le alterazioni di parole ritenute traumatizzanti e sporche sono molto comuni. Forse è stata proprio questa supposta origine nei puritani stati della cosiddettta Cintura Biblica (Bible Belt) a suggerire una sua origine eufemistica. La prima attestazione nota con l'inequivocabile significato di "pene" è nel romanzo Valhalla di Jere Peacock, pubblicato nel 1961, anche vi compare con l'ortografia fancesizzante dorque. Questa è la citazione esatta: "You satisfy many women with that dorque?" (con buona pace delle regoline e delle regolette sulle frasi interrogative). Pochi anni dopo, nel 1964, la parola compare con l'ortografia dork e con inequivocabile significato fallico in un articolo pubblicato su American Speech. Il serial killer Charles Schmid, detto "The Pied Piper of Tucson", dichiarò quanto segue in un'intervista a Life Magazine: "I didn't have any clothes and I had short hair and looked like a dork. Girls wouldn't go out with me.", ossia "Non avevo alcun vestito, avevo i capelli corti e sembravo un cazzone. Le ragazze non volevano uscire con me." Il non poter godere dei favori femminili a causa di un supposto aspetto fallocefalico sono stati addotti da questo soggetto proprio come la causa prima dei suoi impulsi omicidi. Gratta un serial killer: troverai una vittima perseguitata dai bulli, un poveretto disprezzato da tutti e schifato dalle ragazze! Quante aberrazioni sarebbero cancellate dal mondo se si colasse su ogni scuola un sarcofago di cemento come quello di Chernobyl! Torniamo alla scienza etimologica. Nonostante le inequivocabili attestazioni sopra riportate, va detto che il significato prevalente della parola dork nella cultura popolare era quello di "individuo bizzarro" o più in generale di "sfigato". 
 
La vera etimologia di dork è da ricercarsi nelle lingue scandinave. In norvegese (Landsmål), dorg significa "massa, mucchio", ma anche "persona stupida e lenta, tonto". Non è difficile postulare un passaggio diretto dal norvegese all'inglese d'America. Dalla Norvegia sono giunti nella Terra dei Coraggiosi moltissimi immigrati. Quando ho visitato Bergen, ho appreso che gli americani di origine norvegese sono paragonabili in consistenza numerica all'intera popolazione del paese scandinavo. Ho anche saputo che una conseguenza interessante di questo flusso migratorio è stata l'introduzione di numerosi focolai di lebbra: a Bergen ancora verso la metà del XIX secolo, tre-quattro persone su cento avevano la lebbra, e percentuali simili si ritrovavano anche nell'arcipelago delle Lofoten. Non è poi così assurdo pensare che un termine dialettale norvegese abbia trovato negli States un terreno favorevole per diffondersi. 

A causa di un post comparso nel 2018 su un blog americano ormai non rintracciabile (sarà sprofondato nel Nulla), si è diffusa una voce surreale quanto infondata. Il termine dork apparterrebbe al gergo dei balenieri e signficherebbe precisamente "pene di balena". Qualcuno addirittura diffondeva la voce che la parola comparisse nel celeberrimo romanzo Moby Dick di Herman Melville (1851). Nulla di più infondato. Non esiste nessun vocabolo tecnico dork per indicare il fallo gigantesco dei maestosi cetacei, né tantomeno Melville ha fatto uso di tale dubbia risorsa espressiva! L'accaduto dovrebbe insegnare qualcosa sulla diffusione e sulla pericolosità dei pacchetti memetici, che spargono ovunque informazioni degeneri quanto incontrollate. 

Molti accademici americani accreditano una derivazione di dork "pene" dallo Scots dirk "tipo di pugnale", di origine incerta e documentato anche nelle varianti ortografiche dork (1602) e durk (XVIII secolo). La grafia dirk è stata fissata dal Johnson's Dictionary of the English Language nel 1755. Chi pensa a una possibile origine gaelica rimarrà deluso. In gaelico l'arma in questione è invece chiamata biodag. Vero è che esiste anche duirc (XVIII secolo), ma è stato accertato che si tratta di un prestito dallo Scots. C'è chi pensa a una derivazione di dirk "pugnale" dal nome proprio scandinavo Dirk, preso a prestito dal tedesco Dietrich "Teodorico", usato per indicare alcuni attrezzi come i grimaldelli - ma mai armi. Altri pensano invece a un prestito dal tedesco Dolch "pugnale" (attestato nel XV secolo come dollich, dolch, tolch e di origine sconosciuta), adattato in Scandinavia come dolk, anche se la fonetica non è affatto soddisfacente. Direi che è una pista da lasciar perdere. 
  
A partire da dork si è formato l'aggettivo dorky "sfigato, stupido, inetto", da cui è derivato l'astratto dorkiness "stupidità, inettitudine". Mentre i Nerds e i Geeks sono riusciti a riscattarsi dalla loro condizione di intoccabili colpiti dall'interdizione come i Dalit dell'India, a cui erano stati costretti dalla malefica genia degli stramaledetti bulli, i poveri Dorks non sono riusciti a migliorare il loro fato: cazzoni erano e cazzoni restano.

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI GEEK 'SECCHIONE; PERSONA BIZZARRA'

Oltre alla ben nota parola nerd "secchione", esiste in inglese anche un quasi sinonimo, geek, che attualmente denota una persona ossessionata da hobby intellettuali e da complessi argomenti scientifici. Secondo l'uso corrente in America e altrove, geek è un peggiorativo di nerd. Per molti parlanti, le due parole sono intercambiabili. Il vero significato del termine geek è tuttavia "persona bizzarra, eccentrica", senza implicazioni intellettuali. Occorre innanzitutto far notare che la sua pronuncia è /gi:k/, con una consonante occlusiva ("dura") /g/, proprio come in girl "ragazza". Non si deve pronunciare la parola con la consonante affricata ("molle"). Trovo che sia sempre necessario specificarlo, visto che in Italia le pronunce ortografiche continuano a costituire un flagello. 
 
Mentre l'etimologia di nerd è oscura e presenta gravi criticità, quella di geek può essere tracciata meglio. La forma più antica del vocabolo è senz'altro geck "sciocco", attestato già verso il 1510, come riportato su Etymonline. Si tratta di una parola giunta in inglese dall'olandese gek "pazzo" o dal basso tedesco geck, con lo stesso significato. La stessa radice ricorre in verbi come l'olandese gekken e il tedesco gecken, entrambi col significato di "deridere, farsi beffe di qualcuno". Ne possiamo addirittura ricostruire una forma protogermanica, dal momento che se ne hanno anche testimonianze in danese (gjække "deridere") e in svedese (gäcka "deridere"). In norreno doveva esistere un verbo *gjakka "deridere", anche se non mi risulta documentato. Alcuni wikipediani reputano invece che le forme scandinave siano prestiti dal basso tedesco, ma rifiuto questa opinione per via della frattura vocalica (-ja- da -e-), che non può essere occorsa in epoca medievale. La protoforma germanica era dunque qualcosa come *gekkanan "deridere", in ultima analisi di origine preindoeuropea, riconducibile a un antichissimo sostrato, rimasuglio estremo di una lingua poi scomparsa.  
 
Non è poi così difficile spiegare come geek si sia potuto sviluppare da un originario geck. A mio avviso una variante /ge:k/, con vocale lunga dovuta a ragioni accentologiche, si è prodotta naturalmente da /gek/, complice il fatto che la parola era considerata straniera - per poi evolvere naturalmente in /gi:k/, visto che la vocale lunga /e:/ non è tollerata in inglese. Anche la semantica ha subìto mutamenti: dal significato di "sciocco; pazzo" la parola è passata a indicare una specie di fenomeno da baraccone. Si tratta di uomini che masticavano e ingurgitavano insetti per divertire o schifare il pubblico, non diversamente dai come-baratas, i mangiatori di scarafaggi che tuttora operano in Brasile. La parola era quasi estinta sul finire del XIX secolo, ma è poi riapparsa a distanza di tempo, come un fiume carsico che riemerge da una sterile pietraia. Sul finire del XX secolo ecco tornare in auge geek col senso di "secchione, intellettuale" o più in generale di "sfigato". Nei primi anni '80 è documentato l'uso di geek nel gergo degli adolescenti americani per indicare gli studenti ossessionati dalle nuove tecnologie e socialmente incapaci. 
 
Analogamente a quanto accaduto ai Nerds, anche i Geeks hanno avuto il loro riscatto e i loro momenti di gloria. Esiste un movimento geek che rivendica un uso positivo della parola. A un certo punto, un uso improprio del Backslang (gergo inverso) ha prodotto la forma keeg, con significato opposto a quello di geek e traducibile in gergo computerese italico come "utonto" (< utente tonto). Chiunque si trovi a disagio con le nuove tecnologie è definito un keeg, anche se il vero Backslang non inverte il significato delle parole.

sabato 30 novembre 2019


LA FONTANA DELLA VERGINE 

Titolo originale: Jungfrukällan
Anno: 1960
Regia: Ingmar Bergman
Paese: Svezia
Lingua: Svedese
Durata: 89 min
Colore: B/N
Rapporto: 1,37:1
Genere: Epico, drammatico
Soggetto: Leggenda popolare del XIV secolo (Per Tyrssons
      d
öttrar i Vänge)
Sceneggiatura: Ulla Isaksson
Produttori (non accreditati): Ingmar Bergman, Allan
      Ekelund
Casa di produzione: Svensk Filmindustri 
Responsabile della produzione: Carl-Henry Cagarp 
Fotografia: Sven Nykvist
Musiche: Erik Nordgren
Montaggio: Oscar Rosander
Scenografia: P.A. Lundgren
Costumi: Marik Vos-Lundh (come Marik Vos)
Trucco: Börje Lundh
Fonici: Evald Andersson (effetti sonori), Staffan Dalin,
     Aaby Wedin 
Dipartimento artistico: Karl-Arne Bergman
Assistente alla telecamera: Rolf Holmquist
Interpreti e personaggi:
    Birgitta Pettersson: Karin
    Gunnel Lindblom: Ingeri, la serva pagana
    Max von Sydow: Töre
    Birgitta Valberg: Märeta
    Axel Düberg: Pastore magro
    Tor Isedal: Pastore a cui è stata strappata la lingua
    Ove Porath: Bambino
    Allan Edwall: Il monaco
    Oscar Ljung: Simon
    Gudrun Brost: Frieda
    Axel Slangus: Il Guardiano del Ponte, Odino
    Tor Borong: Un bracciante
    Leif Forstenberg: Un bracciante
Doppiatori italiani:
    Fiorella Betti: Karin
    Anna Miserocchi: Ingeri, la serva pagana
    Giuseppe Rinaldi: Töre
    Lydia Simoneschi: Märeta
    Pino Locchi: Pastore magro
    Manlio Busoni: Il monaco
    Maria Saccenti: Frieda
    Amilcare Pettinelli: Il Guardiano del Ponte, Odino
Traduzioni del titolo:
    Inglese: The Virgin Spring
    Tedesco: Die Jungfrauenquelle
    Francese: La Source
    Spagnolo: El manantial de la doncella
    Portoghese:
A Fonte da Virgem
    Danese: Jomfrukilden
    Finnico: Neidonlähde
    Lituano:
Šaltinis
    Polacco: Źródło
    Russo: Девичий источник
    Ungherese: Szűzforrás
    Turco: Genç kız pınarı
    Arabo (Egitto): Alrabi' albekr
    Persiano:
Cheshme-ye bakere
    Giapponese:
Shojo no izumi (処女の泉
Premi e riconoscimenti:
    1961 - Premio Oscar
        Oscar al miglior film straniero
    1961 - Golden Globe
        Golden Globe per il miglior film straniero
    1960 - Festival di Cannes
        Menzione speciale
    1961 - Semana Internacional de Cine de Valladolid
        Lábaro de oro

Trama:
Siamo nel XIV secolo, in una regione impervia della Svezia. Töre è un proprietario terriero la cui moglie Märeta è molto devota. La loro  unica figlia, la bellissima Karin, deve portare dei ceri in chiesa in occasione della Candelora per offrirli alla Vergine. Infatti secondo il costume cristiano i ceri per la Madonna devono essere offerti da una ragazza vergine. Nella fattoria di Töre abita anche Ingeri, una serva che porta in grembo un figlio, frutto di uno stupro. Di notte, mentre i suoi padroni dormono, lei invoca Odino affinché porti loro la rovina. La ragazza gravida è infatti pagana. Nessuno sospetta l'odio che cova in lei, così viene incaricata di accompagnare Karin nel suo viaggio verso la chiesa. Durante il tragitto accadono cose portentose. Mentre Karin procede a cavallo, Ingeri viene chiamata dal custode del ponte, che la attira nella propria dimora. Presto si capisce che il vecchio uomo è in realtà lo stesso Odino. Terrorizzata in seguito a un'avance, la giovane pagana fugge via nel bosco. Intanto la figlia di Töre incontra tre pastori. Il primo è un uomo magro con pochi capelli biondicci. Il secondo, bruno e dal sembiante distorto, è mutilato della lingua e parla in modo incomprensibile. Il terzo è un bambino. I tre convincono facilmente la ragazza a dividere con loro le proprie provviste, ma a questo punto accade la tragedia. Una volta consumato con lei il pasto, i due uomini le saltano addosso e la stuprano. Preso da una furia incoercibile, l'uomo con la lingua tagliata si avventa su di lei con una grossa mazza di legno e le fracassa il cranio, uccidendola sul colpo. Ingeri, che nel frattempo è giunta sul luogo, assiste al delitto ma non fa nulla per fermarli. La ragazza uccisa viene spogliata delle sue vesti preziose e abbandonata. L'uomo con la lingua tagliata trova i ceri e li calpesta con furia. Il bambino, mosso a pietà, seppellisce Karin raccogliendo a mani nude il terriccio e mettendolo sul corpo estinto per coprirlo alla bell'e meglio. Intanto nella dimora di Töre tutti capiscono che qualcosa è andato storto, visto che la giovane non ha fatto ritorno. Giungono i tre pastori, che trovano il padrone della fattoria e gli chiedono ospitalità, dicendo di provenire da un paese devastato dalla carestia. Vengono accolti e condotti nella grande sala, dove viene dato loro da mangiare. Durante la notte, i tre commettono un gravissimo errore: propongono alla signora della casa, Märeta, la vendita di una splendida veste, dicendo che apparteneva a una loro sorella deceduta. La donna riconosce subito il prezioso abito di seta della figlia. Capisce immediatamente che la povera Karin è stata uccisa da quegli uomini. Senza scomporsi dice loro che ne deve parlare con suo marito, quindi si reca da lui e gli racconta tutto. Töre è furioso e prepara la vendetta di sangue. Chiede a Ingeri, che gli ha narrato le atrocità compiute dai pastori, di scaldare le pietre per il bagno. Fatto questo, sradica con la forza delle proprie braccia una betulla, ne taglia i rami e li usca per fustigarsi mentre prende un bagno a vapore. Si tratta di un complesso rituale preparatorio. Fatto questo, entra nella grande sala e uccide i pastori. Non ha pietà neppure del bambino, nononstante le suppliche di Märeta, che per istinto materno vorrebbe risparmiarlo: lo afferra e lo getta contro un mobile, fracassandogli la spina dorsale, uccidendolo sul colpo. Ingeri guida i genitori di Karin sul luogo del delitto e il cadavere viene tolto dal sottile strato di terra nuda sotto cui l'aveva nascosta il bambino. Töre non sa darsi pace e si strazia, non capisce come Dio possa averlo caricato con un simile gravame. Nonostante non sia capace di spiegarsi la volontà divina, l'uomo promette solennemente che edificherà una grande chiesa di pietra e di calce proprio in quel luogo. Non appena il corpo della vergine viene rimosso, sgorga una copiosa fonte di acqua limpida. Ingeri si prosterna, piange e si lava il volto nell'acqua, mentre Märeta usa l'acqua per pulire la faccia di Karin da ogni traccia di sozzura e di sangue.     

 
Recensione: 
Con pochissime eccezioni, i recensori che abbondano nel Web non sembrano capire l'estrema complessità di questo film. C'è chi parla del rapporto tra l'essere umano e Dio, in un'ottica esclusivamente cristiana. Eppure la chiave di lettura appare subito fin dalle prime sequenze della pellicola, come una crepa che si apre all'improvviso nel cielo: la giovane Ingeri, nella sua solitudine, compie un atto privato che è qualcosa di inconcepibile in un contesto dominato dal geloso Dio delle Scritture. Ingeri urla: "Odino vieni a me!" Ecco la spaccatura che incrina le certezze dell'uomo medievale. Tanto hanno risuonato in me queste parole che mi è parso di udirle in norreno: "Óðinn kom til mik!" Sarebbe di grande interesse curare un doppiaggio del film in quella lingua. Certo, nel XIV secolo sarebbe suonata in modo un po' diverso, ma la sostanza non cambia. Emerge dall'analisi dell'opera di Bergman l'incredibile debolezza della religione ancestrale rispetto al nuovo culto cristiano, introdotto sulla punta della spada. Di fronte al tormento dell'uomo che si domanda come mai Dio sia muto, più muto del pastore assassino responsabile di tutto questo dolore, la soluzione sarebbe semplice. Eppure proprio per la sua semplicità, appare inconcepibile al protagonista. Abiurare il Cristianesimo e adorare Odino, ecco la soluzione più ovvia, più immediata, in grado di ricomporre un mondo distrutto. Perché costruire una chiesa anziché placare l'antica divinità con un sacrificio di sangue? Cercare la Salvezza? Perché mai, visto che nessuno si può salvare? Non so come mai nessuno si sia accorto di questo punto cruciale. Per dirla in modo stringato, il problema è che troppe persone credono che Odino e Thor siano invenzioni della Marvel. 

Una censura vigliacca 

In un borgo particolarmente bigotto del Texas il film di Bergman è stato censurato perché nelle sequenze dello stupro sono visibili le gambe nude della ragazzina. Questa è la mens puritana americana. Il problema non è la violenza sessuale, che ha proprio nella Bibbia una rinomata tradizione apologetica. Il problema sono le gambe nude. Ecco, volevo giusto farlo notare. Tra le mer(d)aviglie dell'America c'è anche questo genere di cose.  


Una guerra di religione 
 
I tre pastori sono pagani che combattono attivamente contro la religione dominante. I loro crimini non sono semplici atti di predazione: sono atti di guerra. Il calpestamente dei ceri non sarebbe mai stato compiuto da un cristiano in un simile contesto. Il pastore bruno dalla lingua mozzata è quello più animato dall'odio, perché intende vendicarsi di un grave torto che gli è stato inflitto. Anche se nella pellicola di Bergman non si parla degli antefatti, si capisce all'istante qual è la causa della mutilazione. L'uomo è stato sorpreso a compiere un sacrificio pagano e un sovrano cristiano lo ha condannato, facendogli recidere la lingua. Cose del genere erano all'ordine del giorno. Oggi si fa tanto parlare di un Medioevo splendido che irradiava la luce della civilità. Coloro che lo fanno e che a ogni piè sospinto insistono sulle "radici cristiane dell'Europa", relegano nell'Oblio le innumerevoli atrocità di quel mondo di tormenti e di morte, in cui la Chesa di Roma governava col pugno di ferro del peggior tiranno. Sono orrori ben documentati. Ne esiste una vasta miniera in cui non smetto mai di scavare. 
 
 
Il Guardiano del Ponte 

"Come ti chiami?", chiede Ingeri. "Di questi tempi quale valore ha un nome?", risponde il Guardiano. L'allusione è chiara. In un'epoca in cui si è imposto il Cristianesimo e l'Antico Costume langue, i nomi degli uomini hanno cessato di avere importanza. Non mancano i riferimenti all'onniveggenza e all'onniscienza di Odino. "Questo è un luogo molto solitario. Non hai nessuno vicino?" chiede Ingeri. "No", risponde il Guardiano, "Io sento ciò che voglio. E vedo ciò che voglio. Sento tutto ciò che si sussurra in segreto, e vedo quello che altri non vedono." Poi promette di condividere con la ragazza questa facoltà sovrumana: "Puoi riuscire a farlo anche tu, solo che tu lo voglia. Ascolta!" All'improvviso si odono rumori di zoccoli di cavalli al galoppo. "Cos'è questo galoppo all'esterno?", chiede Ingeri. "Sono tre spettri che vanno a nord!", risponde il Guardiano. La giovane non supera la prova, non accetta il modo in cui la forza sta per esserle trasmessa. Non gradisce di farsi rovistare tra le gambe dall'essere che le appare come un vecchio uomo lascivo. Quando fugge sconvolta dalla dimora del dio, si sentono gracchiare due grossi corvi: sono proprio Huginn e Muninn! Si credeva che questi prodigiosi volatili, neri come la pece, volassero in tutto il mondo e portassero a Odino ogni genere di notizie e di informazioni. Essendo in grado di bilocarsi, il Guardiano del Ponte fa la sua comparsa tra gli arbusti, sghignazzando. Si vede che un suo occhio è diverso dall'altro: si tratta di una biglia di pasta di vetro lavorata con arte. Com'è notorio, il Padre degli Asi è monocolo, avendo sacrificato un occhio per avere la sapienza. Le sue capacità di mascheramento sono leggendarie! 
 
Nei rari commentatori che si sono resi conto dei contenuti pagani del film, sorge il dubbio che il Guardiano del Ponte possa essere il Diavolo. La cosa non è affatto problematica. Come l'ottima studiosa Gianna Chiesa Isnardi ci ricorda, nella società scandinava cristianizzata permaneva la ferma credenza nell'esistenza fisica degli antichi Dei, che però erano ritenuti demoni. Così ai tempi in cui la vicenda è ambientata Odino era considerato una manifestazione del Diavolo. Si è verificato un bizzarro sincretismo. In altre parole, se la conoscenza delle cose del Cielo aveva per i Cristiani nordici la sua fonte nelle Scritture, la demonologia era formata dall'intero edificio dell'antica religione pagana. La conoscenza delle cose dell'Inferno implicava dunque la pratica dei riti del Paganesimo e questo per secoli dopo che era avvenuta la cristianizzazione. Peccato che queste cose i manuali scolastici non le riportino, tanto sono considerate irrilevanti dallo sciagurato corpo docente. 
 

 
Ingeri e il veleno dei rospi 

La pratica magica di Ingeri è per necessità molto limitata. Si limita in buona sostanza all'utilizzo dei rospi, nascosti abilmente in mezzo al cibo per avvelenare le persone odiate. Il suo bersaglio è Karin, ma il batrace tossico finisce in bocca al pastore più giovane, inducendogli un'intensa nausea e crisi di vomito. La bruna Ingeri è consapevole della pochezza delle proprie arti, per questo viene subito irretita dal Custode del Ponte, che le promette una cura ai dolori della gravidanza. Il seggio di Odino è di fattura arcaica. I braccioli sono statue lignee finemente intagliate: una rappresenta Thor con tanto di martello, l'altra rappresenta Freyr. Seguono alcuni incantesimi. "Questo reca sollievo ai tuoi dolori", dice Odino alla ragazza, mostrandole il corpo di un serpente arrotolato e irrigidito. Ne ha subito pronto un altro identico, un doppione, seguito da una formula simile: "Questo reca sollievo alle tue pene". "Basta o sangue, non scorrere più!", recita quindi mostrando il dito mozzato di un uomo, rimedio contro le emorragie. La divinità estrae un pesce rinsecchito e dice: "Pesce non nuotare più". Subito dopo estrae un pipistrello rinsecchito e dice: "Pipistrello non volare più". Tutto ciò ha corrispondenze ben numerose nel patrimonio di formule e incantesimi in uso nell'antica Germania come medicina tradizionale. Com'è ovvio, i recensori ignari dell'antica religione non si sono accorti di nulla e nemmeno menzionano questi tesori antropologici nei loro interventi. 


Lo scacciapensieri 
 
Uno dei tre pastori, quello ben dotato di parlantina, a un certo punto suona uno scacciapensieri. Si tratta di uno dei più antichi strumenti musicali. Molti pensano che sia originario della Sicilia, dove è chiamato marranzanu. In realtà il suo uso è documentato su territori vastissimi, praticamente in ogni parte del globo. Oltre a marranzanu, in Sicilia è chiamato anche mariòlu o ngannalarruni (alla lettera "inganna-ladri"). La parola marranzanu significa propriamente "grillo canterino", ma esiste anche un suo omofono col significato di "uomo poco raccomandabile" (derivato di marranu, equivalente all'italiano marrano, di origine spagnola e in ultima analisi araba). Così grazie a questa omofonia è nato mariòlu, come per un gioco di parole (anche mariòlu significa "uomo poco raccomandabile"). In Sardegna lo strumento musicale arcaico è chiamato trunfa o trumba. In modo simile, gli Zingari della Campania lo conoscono come tromba, denominazione che ritorna nei Balcani come dombra. In Lombardia è detto viabò, in Corsica riberbula. In Francia si chiama guimbarde, in Spagna arpa de boca o biribao, in Portogallo birimbau. La sua diffusione raggiunge la Siberia e la remotissima terra degli Jakuti (che non sono gli inventori della Jacuzzi).  

Il canto del cuculo 

L'arrivo dei tre pastori è preceduto e accompagnato dal canto del cuculo, un uccello augurale connesso a Odino. Simile a un piccione con gli occhi grossi, fissi e strabici, col ventre decorato finemente da leggere striature, questo parassita dei nidi di altre specie emette un verso nitidissimo e potente, anche se molto ripetitivo: "Gukkù! Gukkù! Gukkù!" Può andare avanti anche per mezz'ora. Quel cuculo canoro è un portento funesto che annuncia la rovina di Karin e continua a cantare a lungo. 


Il pastore e l'uccisore: due fratelli  

In Germania esiste un detto arcaico, testimonianza di un'epoca molto diversa dalla nostra. Schäfer und Schinder sind Geschwisterkinder "Il pastore e l'uccisore sono due fratelli". Il termine Schinder, ormai arcaico, indicava un uomo incaricato di abbattere animali vecchi o malati e di riciclarne i resti. Era una sorta di intoccabile, come i Dalit dell'India. I suoi compiti includevano la soppressione dei cani randagi, la pulizia dei pozzi neri e delle fogne, la rimozione di cumuli di immondizia. Un altro significato di Schinder è "uomo che abusa,  tormenta o sfrutta altre persone". Il pastore e l'abbattitore erano i residui di una società neolitica male assimilata dalle genti indoeuropee e relegati come altri intoccabili ai margini del consorzio umano: non sorprende troppo che su di loro gravasse uno stigma, che fossero considerati moralmente ripugnanti. Lo stupro e l'assassinio erano loro attributi, come la sporcizia e l'impurità.  


Il canto del monaco 
 
La vergine Karin è appena partita a cavallo per portare i ceri alla Madonna. Il monaco è al settimo cielo ed esprime la sua gioia con un bellissimo canto che non è stato tradotto. La sua pronuncia è chiarissima, al punto che molte parole mi risultano comprensibili, come se la lingua fosse una forma di tardo norreno più che non svedese moderno. In particolare la rotica /r/ è fortemente trillata, come in italiano e in spagnolo. Quando visitai la Svezia, rimasi stupito dal suono della lingua. Quando capii che la parola stjarna "stella", era pronunciata /'ʃanǝ/, mi sentii quasi male e fui preso dal disgusto. E pensare che in norreno i suoni erano distinti, chiari e cristallini come acqua di fonte! Ecco, il canto del monaco bergmaniano testimonia che una pronuncia arcaica e nobile dello svedese è ancora ricordata da alcuni. 

 
Un inferno pagano 
 
Il monaco è un uomo molto istruito e intelligente. È un valente poeta, le cui parole non si dimenticano. Oltre a conoscere le Scritture, conosce bene anche le cose pagane. Così, avendo capito che i pastori e gli assassini sono consanguinei stretti, raggiunge il bambino steso sul letto e gli racconta del reame di Hel:

"Vedi come il fumo trema e si abbarbica sotto il tetto? È come se avesse parura dell'Ignoto. Eppure se si librasse nell'aria troverebbe uno spazio infinito dove volteggiare. Ma forse non lo sa. E così se ne sta qui, nascosto, tremolante e inquieto. Con gli uomini capita lo stesso. Essi vagano inquieti come tante foglie al vento. Per quel che sanno e per quello che non sanno. Tu... tu passerai su un ponticello stretto e malfermo. Così stretto che non saprai dove poggiare il piede per sorreggerti. Sotto di te muggisce un fiume, ed è tetro, e vuole inghiottirti. Ma raggiungerai l'altra riva. Ma ora avanti a te trovi un burrone, così scosceso che non puoi vederne il fondo. Delle mani vogliono afferrarti, ma non ti raggiungono. Infine, di fronte a te avrai un'orribile montagna. Il fuoco scaturisce dai fianchi. Crepacci orrendi partono dalle sue falde. Le fiamme sprizzano tutte insieme, rame e ferro, vetriolo azzurro e giallo zolfo. Il basalto geme e si frantuma sotto il maglio dei fulmini, e intorno atterriti piccoli uomini fuggono, come mille formiche. Perché quella fornace inghiotte gli assassini e i predoni!"

Solo a questo punto subentra qualcosa di cristiano, anche se non viene menzionato esplicitamente il Salvatore:

"Ma nel preciso esatto istante in cui ti senti perso, una mano ti afferra e un braccio ti circonda alla vita, e ti trasporta lontano, in salvo, là dove il Male non ha più potere alcuno." 

Ci si imbatte ben di rado in simili vette di poesia, di assoluto lirismo!

Un antico codice di vendetta 

Per Töre la vendetta è qualcosa di estremamente importante. L'uccisione di un proprio caro non può e non deve per nessun motivo restare impunita. In un contesto in cui la giustizia pubblica è lesta soltanto a punire le offese religiose, è dovere irrinunciabile del singolo assumersi l'onere di vendicarsi. A parer mio è errato, nonostante venga fatto spesso, opporre il codice della vendetta, di cui si ricorda l'origine pagana, alle dottrine cristiane del perdono e della misericordia. Basta infatti studiare le saghe nordiche per comprendere che l'essere pagano o cristiano non influenza affatto il modo di intendere la vendetta. Ci furono ferventi cristiani che non porgevano affatto l'altra guancia. Il Re Olaf II Haraldsson di Norvegia, che fu fatto santo (e tale dovrebbe essere ancora considerato dai cattolici), era violento e tirannico, tanto che il perdono gli era alieno. Impugnava la spada e affrontava i nemici in battaglia, faceva torturare e uccidere, condannava a morte senza la minima esitazione. Eppure lui e i suoi cortigiani erano chiamati Kristmenn, ossia "Uomini di Cristo".  


La leggenda delle figlie di Per Tyrsson 
 
Bergman ha apportato modifiche alla leggenda originale e l'ha molto rielaborata. Questo è il testo della ballata, intitolata Per Tyrssons döttrar i Vänge o Töres döttrar i Vänge (due versi sono incompleti, le parti mancanti ricostruite sono messe tra parentesi quadre [...]): 

Per Tyrssons döttrar i Vänge
kaller var deras skog
de sovo en sömn för länge
medan skogen han lövas

Först vaknade den yngsta
kaller [var deras skog]
så väckte hon upp de andra
medan [skogen han lövas]
Så satte de sig på sängastock.
Så flätade de varandras lock.
Så togo de på sina silkesklär.
Så gingo de sig åt kyrkanom.
Men när som de kommo till Vänge lid
så möta dem tre vallare
- Å antingen viljen I bli vallareviv
eller viljen I mista ert unga liv?
- Å inte vilja vi bli vallareviv.
Långt hellre vi mista vårt unga liv
De högg deras huven mot björkestock.
Där runno tre klara källor opp.
Kropparna grävde de ner i dy.
Kläderna buro de fram till by.
Men när som de kommo till Vänge gård,
ute för dem fru Karin står
- Å viljen I köpa silkessärkar
dem sexton jungfrur stickat å virkat
- Lös upp era knyten å låt mej se,
kanhända jag känner dem alla tre
Fru Karin sig för bröstet slår
och upp till Per Tyrsson i porten hon går
- Där håller tre vallare på vår gård.
De hava gjort av med döttrarna vår.
Per Tyrsson han tar sitt svärd i hand.
Så högg han ihjäl de äldsta två.
Den tredje låter han leva
för att få honom fråga:
- Vad heter eder fader?
Vad heter eder moder?
- Vår fader Per Tyrsson i Vänge
Vår moder fru Karin i Skränge
Per Tyrsson han går sig åt smedjan
Han slår sig järn om midjan
- Vad skola vi göra för syndamen?
- Vi ska bygga en kyrka av kalk å sten.

- Den kyrkan skall heta Kärna
den bygga vi upp så gärna  
 
Questa è la traduzione:  

Le figlie di Per Tyrsson a Vänge,
era così fredda la foresta,
dormirono un sonno troppo lungo 
mentre la foresta metteva le foglie
La più giovane si svegliò per prima,
Iera così fredda <la foresta>,
E così lei svegliò le altre
mentre la foresta metteva le foglie 
Poi si sedettero sul letto
Così si intrecciarono i capelli l'un l'altra
Così indossarono le loro vesti di seta
Così andarono alla chiesa
Ma quando giunsero al colle di Vänge
Incontrarono tre banditi.
"Volete essere mogli di banditi, 
o perdere le vostre giovani vite?"
"Non vogliamo essere mogli di banditi,
perderemo piuttosto le nostre giovani vite". 
Tagliarono le loro teste su un ceppo di betulla
Là subito sgorgarono tre fonti
I corpi sepolti nel fango 
I vestiti portati al villaggio
Quando giunsero alla fattoria di Vänge
La Signora Karin li incontrò nel cortile
"E vorreste voi comprare abiti di seta,
da nove ragazze intrecciati e cuciti a maglia?"
"Slegate i vostri sacchi e fatemi vedere,
forse li conosco tutti e tre"
La Signora Karin si batté il petto dal dolore
e andò a trovare Per Tyrsson.
"Ci sono tre banditi nel nostro cortile,
che hanno ucciso le nostre figlie."
Per Tyrsson impugnò la sua spada
Egli uccise i due più anziani
Il terzo lo lasciò in vita
Quindi gli chiese questo:
"Qual è il nome di tuo padre?
Qual è il nome di tua madre?"
"Nostro padre è Per Tyrsson a Vänge,
Nostra madre è la Signora Karin a Stränge."
Per Tyrson andò alla fucina
E si fece applicare il ferro intorno alla vita.
"Cosa dobbiamo fare per i nostri peccati?"
"Costruiremo una chiesa di calce e di pietra.
Quella chiesa sarà chiamata Kerna,
e la costruiremo ben volentieri." 

Il testo svedese, sopra riportato in ortografia normalizzata, è stato cantato da Greta Naterberg e raccolto da J.H. e D.S. Wallman nel 1812. Come si vede, nella ballata sono tre le vergini uccise; Karin è invece il nome della moglie del possidente, loro madre. Bergman ha semplificato le cose, così c'è una sola vergine, a cui viene attribuito il nome che nella leggenda originale era della moglie di Töre. La cosa più sconvolgente, di cui nella pellicola non si fa menzione, è che i tre briganti assassini sono essi stessi figli dei genitori delle vergini e quindi loro fratelli. Essi volevano prendere come mogli le loro stesse sorelle, ignorando la loro origine. Perché i tre figli sono diventati briganti? Non lo sappiamo. Sugli antefatti, oscurissimi, ha cercato di fare chiarezza il regista, mettendoci della sua fantasia. 
 
Etimologia di Töre 
 
L'antroponimo Töre, con la variante Tyre e col patronimico Tyrsson, risale al norreno Þýrví, Þórví, attestato però come nome femminile. Il nome del signore di Vänge dovrebbe significare "Consacrato a Thor", meno probabilmente "Combattente di Thor". Resta di difficile spiegazione l'Umlaut palatale.
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Segnalo una recensione che mi sembra migliore di molte altre, pubblicata sul sito Quinlan.it (Rivista di critica cinematografica). L'autore è Massimilano Schiavoni.   

 
Certo, mi pare un po' stravagante la tesi del Divino che salterebbe fuori in un suo aspetto mostruoso proprio nel verrucoso rospo che insozza il pane, in contrasto al candore immacolato dell'ostia. In ogni caso, è comunque molto interessante.

sabato 28 settembre 2019

NORRENO KILTING 'GONNA' E INGLESE KILT 'GONNELLINO MASCHILE'

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga: 

kilting (f.), gonna 

Questa voce norrena rimanda immediatamente al kilt scozzese. Il vocabolo, ben naturalizzato in inglese già da epoca bassomedievale, si è poi diffuso ovunque nel mondo, anche in Italia. Tutti lo conosciamo fin da piccoli. Già Macario ironizzava sul fatto che gli Scozzesi sotto il kilt non indossavano le mutande. Anni fa mi fu riferito da Riccardo G. di una vecchia foto in cui uno scozzese in kilt era accovacciato nel corso di una festa campestre, e da sotto l'indumento sporgeva una massiccia e grassa proboscide marrone. L'uomo delle Highlands si era accovacciato a defecare senza pensare troppo all'igiene, ulteriore dimostrazione del fatto che sotto il celebre gonnellino per tradizione non viene portata alcuna forma di biancheria intima.

Questo è quanto riporta il dizionario etimologico della lingua inglese Etymonline.com

kilt (n.) 

"gonna intrecciata di tartan", in origine la parte del plaid con cintura che pendeva al di sotto della cintola. Circa 1730, quelt, dal verbo medio inglese kilten "rimboccare" (metà del 14° secolo), da una fonte scandinava (confronta il danese kilte op "rimboccare"; norreno kilting "gonna", kjalta "piega fatta raccogliendo le ginocchia"). 

Esiste anche un verbo, ormai obsoleto: 

kilt (v.)

"rimboccare", metà del 14° secolo. Sopravvive in scozzese ed è una parola di origine scandinava (confronta danese kilte "rimboccare", svedese kilta "fasciare"); vedi kilt (n.). Forme collegate: kilted, kilting.

In realtà il nostro kilt potrebbe essere un discendente diretto del norreno kilting, anche se a rigor di logica sarebbe dovuto rimanere immutato. Occorrerebbe anche postulare un lieve slittamento semantico, dal momento che il norreno kilting dovrebbe indicare un indumento femminile.  Va detto che Sergei Nikolayev fornisce la seguente glossa in tedesco: "Bauschige Schossfalte des Kleides", ossia "piega gonfia del vestito".

Zoëga riporta la seguente voce, corradicale di kilting

kjalta (f.), grembo
   (glossa inglese lap)
   gen. kjǫltu 
   nom. pl. kj
ǫltur
  
gen. pl. kjaltna


La traduzione riportata in Etymonline.com è in ogni caso confermata da Sergei Nikolayev, che fornisce la seguente glossa in tedesco: "Brustfalte, gebildet durch das über den Gürtel hinaufgezogene Kleid", ossia "piega del grembo, formata tirando su il vestito fin sopra alla cintura". In islandese moderlo kjalta è la semplice traduzione dell'inglese lap "grembo". Non mi risultano significati secondari. Noto però la variante kelta = kjalta, che può ben spiegare la fonetica del quelt citato da Etymonline.com. Qualcuno penserà che evocare lo spirito di un vichingo potrebbe giovare per chiarire meglio queste traduzioni.

Secondo alcuni autori (es. etymologeek.com) sarebbe proprio questo vocabolo kjalta "grembo" l'origine diretta di kilt, per l'appunto tramite il medio inglese kilten "rimboccare" citato da Etymonline.com.

Tra i Wikipediani c'è chi reputa questa famiglia di parole come imparentata con altri termini simili (ma con significative differenze nel consonantismo): 

gotico kilþei (f.), seno, grembo    
gotico inkilþo (f.), incinta
antico inglese ċild (n.), bambino > inglese moderno child danese kuld, bambini dello stesso matrimonio


I Neogrammatici si sbizzarriscono, anche se il materiale è scarno e controverso.

Le forme germaniche con -t- (norr. kilting, kjalta, etc.) le fanno risalire a un indoeuropeo *geld-, a cui attribuiscono il significato di "rigonfiamento", adducendo come unici paralleli i seguenti vocaboli sanscriti:

gaḍu- (m.), escrescenza sul collo; gobba sulla schiena
guḍa- (m.), globo, palla
guḍaka- (m.), globo, palla


Tutto ciò nella pietosa assunzione che la consonante retroflessa (cacuminale) -ḍ- risalga necessariamente a un precedente gruppo consonantico -ld-, postulando in aggiunta che l'alternanza tra le vocali -a- e -u- sia tipica di voci indoeuropee e che il suffisso -k- sia spiegabile in qualche modo. A me paiono piuttosto parole di un sostrato preindoeuropeo. Si noti poi la discrepanza semantica tra le voci germaniche e quelle sanscrite.

Le forme germaniche con -θ- (got. kilþei, etc.) le fanno risalire a un indoeuropeo *g(')elt-, a cui attribuiscono il significato di "seno, grembo" (ingl. womb), adducendo come unico parallelo il seguente vocabolo sanscrito:

jarta-, jartu- (m.), vulva

Tutto ciò incontra il mio profondo scetticismo. 

sabato 22 giugno 2019

UN PRESTITO NORRENO IN INGLESE: DUSK 'CREPUSCOLO'

Meditando sullo strano aspetto fonetico della parola inglese dusk "crepuscolo", sono stato assillato a lungo dal problema della sua origine non nativa - ferma restando la sua derivazione ultima dalla radice indoeuropea *dhwes- / *dhus- "fumo". 


Questa è la traduzione di quanto riportato nel sito: 

"oscurità parziale, stato tra la luce e la tenebra, crepuscolo", Il vocabolo è attestato a partire dal 1620, da un precedente aggettivo dusk, a sua volta dal medio inglese dosc (circa 1200) "scuro, non lucente; tendente all'oscurità, ombroso". L'aggettivo aveva più a che fare col colore che non con la luce. L'origine è incerta: il vocabolo non si trova in antico inglese. Nel medio inglese esisteva anche un verbo, dusken "diventare scuro". Il nome derivato era dusknesse "tenebra" (tardo XV secolo). 

Secondo gli autori di Etymonline.com, il nostro dusk potrebbe essere da una variante dell'antico inglese dox "scuro di capelli; scuro per assenza di luce", attestata nella lingua della Northumbria. La consonante -x /ks/ è dovuta a trasposizione di -s- e -k-: /*dosk/ > /doks/ (scritto dox), avvenuta prima della palatalizzazione. Resta tuttavia il fatto innegabile che soltanto poche parole inglesi con il gruppo consonantico -sk sono native. Siccome dusk non è un discendente di dox, deve essere venuto da fuori. 

Siccome in svedese esiste duska "essere fosco", sono incline a pensare che il northumbriano dox (per *dosc con /-sk/ finale) sia giunto almeno in parte dell'antico inglese proprio dal norreno. Doveva esistere in norreno un aggettivo *doskr "fosco; nebbioso; scuro", anche se non ci è attestato. Evidentemente questo *doskr è scomparso in epoca anteriore ai primi documenti letterari. Sarebbe interessante sapere se il grandissimo sapiente d'Islanda, Snorri Sturluson (1179 - 1241), fosse a conoscenza di questa parola o se ai suoi tempi fosse già estinta nell'ambiente in cui egli è nato e cresciuto. Se anche l'ombra del grand'uomo, evocata tramite necromanzia, ci confermasse che non conosceva alcun vocabolo simile, resta il fatto che la lingua norrena non era uniforme in tutto il territorio in cui era parlata e in tutta la durata della sua esistenza. Questo *doskr avrebbe potuto benissimo durare in antico svedese anche quando altrove si era già spento da lungo tempo, visto che un verbo corradicale vive ancor oggi in Svezia. 

Abbiamo così: 

Norreno *doskr < protogerm. *duskaz "fosco"
Norreno *duska < protogerm. *dusko:nan "offuscare" 


Si ha formale identità con il latino fuscus "fosco, fuligginoso; marrone scuro", che mostra lo stesso suffisso con consonante velare. Altre forme corradicali nelle lingue germaniche sono le seguenti: 

Antico inglese dosan, dosen "marrone, castano" < *dusinaz
Antico alto tedesco dosan, tusin "giallo pallido" < *dusinaz


Nel tardo latino troviamo la parola dosinus "grigio cenere", che è un evidente prestito da una lingua germanica. Si noterà che l'antico alto tedesco tusin è glossato in tardo latino con gilvus, a sua volta prestito germanico, identico nell'origine all'inglese yellow e al tedesco moderno gelb "giallo".

giovedì 28 marzo 2019

PRESTITI IRLANDESI IN NORRENO

In norreno si trovano alcuni prestiti dall'antico irlandese, com'è naturale che sia, a causa dei contatti profondi tra i Vichinghi e le genti celtiche dell'Isola Verde. Va però precisato che si tratta di vocaboli che compaiono soltanto nella lingua dell'Islanda, a parte una paio di termini relativi a nazionalità celtiche, mentre non sono attestati in Norvegia e in Svezia in epoca medievale. Tuttavia alcuni casi hanno lasciato discendenti nelle lingue moderne, quindi dovettero esistere. Quando l'Islanda fu colonizzata da esuli norvegesi in fuga dal regime tirannico (uppríki) di Aroldo Bellachioma, portarono con sé molti schiavi irlandesi. A un certo punto prendere come concubine fulve ragazze irlandesi era quasi un hobby, tanto che di queste passioni restano ancora tracce indelebili nel genoma delle genti d'Islanda. In realtà c'era un rapporto ambivalente tra i padroni di lingua norrena e i servi importati dall'Isola Verde: non di rado a questi ultimi erano attribuiti poteri sovrumani che esigevano rispetto.

Elenco nel seguito i prestiti irlandesi in norreno che sono riuscito a reperire, aggiungendovi commenti che spero saranno considerati utili dai (pochissimi) lettori di questo portale alla deriva. Il genere grammaticale delle voci norrene è indicato tra parentesi: (m.) = maschile; (f.) = femminile; (n.) = neutro. 

bagall (m.), pastorale, bastone del vescovo
Deriva dall'antico irlandese bachall "bastone; pastorale". In ultima istanza è un derivato dal latino baculum "bastone".
 

bjafall (m.), mantello con cappuccio senza maniche
Deriva dall'antico irlandese birbell "tipo di mantello". 
 

bjannak (n.), benedizione
  variante: bjának
Deriva dall'antico irlandese bennacht "benedizione", a sua volta dal latino benedictio: (gen. benedictio:nis). Come si può ben intuire, il vocabolo è intrinsecamente cristiano. Pure ci viene tramandato dalle fonti del tardo paganesimo nordico che era chiamato bjannak il gesto di saluto fatto da Odino.

bjǫð (f.), pianura, terreno, terra, mondo
Deriva dall'antico irlandese bith, bioth (m.) "mondo", dal protoceltico *bitus. Si trova questo elemento nel gallico bitu-, nell'etnonimo Bitu-ri:ges. Si noti il cambiamento di genere grammaticale nel passaggio della parola al norreno.


brekan (n.), tipo di coperta da letto, plaid 
Deriva dall'antico irlandese breccán "tartan", lett. "(tessuto) screziato", da brecc "screziato, maculato".


dini (m.), fuoco
Deriva dall'antico irlandese teine "fuoco", dal protoceltico *tenes-, a sua volta da *tepnes-. La regolare perdita della labiale -p- rende poco evidente la parentela di questa parola con il latino tepe:re "essere tiepido", tepor "calore (moderato)", dalla radice indoeuropea *tep- "caldo".

díar "dèi; preti (pagani)"
Deriva dall'antico irlandese Día "Dio", con una desinenza -ar del plurale maschile norreno dei nomi forti col tema in -a-. L'origine è chiaramente dal protoceltico *de:wos "dio, divinità" (< *deiwos), la cui radice è ben attestata nell'onomastica di tutto il dominio celtico antico. Trovo assai singolare l'uso di questo vocabolo per indicare realtà pagane, dato che l'Irlanda era un paese cristiano, anzi, un centro di irradiazione del monachesimo. Forse dietro le apparenza si nascondevano realtà ancestrali, come prova anche la grande fama di esperti in magia che gli Islandesi attribuivano alle genti d'Irlanda. Va anche detto che gli Irlandesi stanzatisi in Islanda all'inizio della colonizzazione sono rapidamente passati al paganesimo.


gjaltr (m.), panico in battaglia
Deriva dall'antico irlandese geilt "codardia, pusillanimità; terrore". Stando a Zoëga, autore del ben noto dizionario, la parola in norreno ha un uso limitato e stereotipato, in pratica la si trova soltanto nella frase verða at gjalti "diventare pazzo dal terrore" (glossa inglese: to turn mad with terror).


ingjan (f.), ragazza
Deriva dall'antico irlandese inġen "ragazza", che è dal protoceltico *eni-gena: "figlia; ragazza". L'irlandese moderno ha inghean.


Írar (pl. m.), Irlandesi
   derivati:
   írskr, irlandese
   Írland (n.), Irlanda

Deriva dall'antico irlandese Ériu (gen. Érenn) "Irlanda", dal protoceltico *I:werju:, gen. *I:werjonos, a sua volta dalla radice indeouropea *pi:wer- "grasso, abbondante" con regolare perdita dell'occlusiva labiale sorda. Un tempo il toponimo in questione, registrato in latino come Hibernia già all'epoca di Cesare, fosse formato a partire dalla radice del sanscrito Ārya- "signore, nobiluomo" (da cui è derivato l'aggettivo Ariano); si vede a colpo d'occhio che questo è impossibile per ragioni fonetiche. In gaelico moderno si ha Éire.

kapall (m.), ronzino
Deriva dall'antico irlandese capall "cavallo".
In ultima analisi, l'etimologia è la stessa dell'italiano cavallo, latino caballus "cavallo castrato" (di origine celtica). Non è poi così chiaro se il vocabolo in irlandese fosse davvero nativo.

kjafall (m.), tipo di camicia
Deriva dall'antico irlandese caḃail "tronco della camicia". Indica soprattutto un indumento senza maniche e dotato di cappuccio, indossato dalle donne degli Indiani d'America. 


kjallakr (m.), proprietario di una cantina
Deriva dall'antico irlandese cellach "cantina". In ultima analisi l'etimologia della voce irlandese è la stessa di quella del norreno kjallari "cantina": la radice di partenza è quella del latino cella


kjannr (m.), testa
kjanni (m.), testa
Deriva dall'antico irlandese cenn (n.) "testa". L'irlandese moderno ha ceann. La forma protoceltica è *kwennom, da cui deriva anche il gallico penno- "testa". Anche il britannico aveva la forma labializzata penno- (da cui il gallese pen). Si noti il cambiamento di genere grammaticale nel passaggio della parola al norreno.

korki (m.), avena
Deriva dall'antico irlandese coirce, corca "avena". Il termine, di origine non indoeuropea, è assai probabilmente un relitto di una lingua neolitica. 


kross (m.), croce 
Deriva dall'antico irlandese cross "croce", che a sua volta è un chiaro prestito dal latino crux, gen. crucis. La forma che continua nel gaelico è il nominativo, non l'accusativo crucem. Si noti la complessità dei percorsi attraverso cui si diffondevano queste parole connesse alla cristianizzazione. Attraverso questo prestito possiamo tracciare l'influenza della Chiesa Irlandese, che all'epoca non dipendeva da Roma. Per contro, forme come krúss, krúx, krúz, sono giunte attraverso missionari della Chiesa Romana e hanno una fonetica molto diversa. 


kró (f.), recinto per il bestiame, ovile
    gen. krór, dat./acc. kró;
    pl.: nom./acc. krór, gen. króa, dat. króm
Deriva dall'antico irlandesce cró "recinto".


lámr (m.), mano
Deriva dall'antico irlandese láṁ /lã:β/ "mano". L'irlandese attuale ha lámh /la:v/. Notevole il cambiamento di genere: la parola gaelica è femminile e deriva dal protoceltico *la:ma:, dalla stessa radice indoeuropea da cui deriva il latino palma "palmo di mano": la scomparsa dell'antica consonante p- è regolare e caratterizza le lingue celtiche. 


lind (n.), sorgente 
Deriva dall'antico irlandese linn "pozza; lago; mare; oceano".
In irlandese moderno, la parola lionn è giunta a significare "birra". 


lung (f.), nave
Deriva dall'antico irlandese long "nave". L'etimologia della parola gaelica è dibattuta. Alcuni autori vorrebbero derivare long dal latino longa (na:vis) "nave lunga", ma esiste in antico irlandese un termine sicuramente nativo, coḃlach "flotta", da *kom-wo-loks (gen. *kom-wo-logos), che depone a favore di un'origine antica. Si noti che il genere grammaticale si è conservato in norreno: la parola irlandese, femminile, è rimasta tale.

lurkr (m.), mazza
Deriva dall'antico irlandese lorg "mazza, clava". Notevole il cambiamento di genere: la parola gaelica è femminile. 


mallakr (m.), maledizione
mallaki (m.), maledizione
Deriva dall'antico irlandese mallacht "maledizione", a sua volta prestito dal latino maledictio: (gen. maledictio:nis). Nella Saga di Olaf Tryggvason contenuta nel Flateyjarbók è riportato var mikill mallaki "ci fu grande maledizione". È attestata persino una formula di maledizione, riportata nella Saga di Giovanni il Santo (Jóns Saga Helga): male diarik! "sii tu maledetto, o re!" (glossa norrena: bǫlvaðr sért þú konúngr!). Si tratta di un tentativo di rendere mallacht duit a ríġ! (lett. "(sia) maledizione a te, o re!"). Il re risponde nella stessa lingua a chi lo ha maledetto, un norvegese che conosceva l'irlandese, dicendogli: olgeira ragall "è difficile conoscere la via buia" (glossa norrena: ókunnug er myrk gata).

minþak, minðak (n.), pasta di burro e farina
Deriva dall'antico irlandese mintach, menadach.


skjaðak (n.), loglio; cattiva fermentazione della birra
Deriva dall'antico irlandese sceathach "vomitevole, nauseabondo" (detto di birra cattiva). In norreno la parola fa riferimento all'avvelenamento della birra col loglio (Lolium temulentum). Si è recentemente scoperto che non è il loglio in sé ad essere velenoso, ma diventa tale a causa del fungo che lo parassita (Claviceps purpurea, detto anche ergot). Il norvegese moderno ha skjak "loglio", segno che la parola dovette essere conosciuta e usata anche in Norvegia, non soltanto in Islanda.


skotr (m.), scoto; scozzese 
   derivati:
   skozkr, scozzese
   Skotland (n.), Scozia
Deriva dall'antico irlandese Scot (m.; pl. Scoit) "scoto; scozzese", di origine non indoeuropea.

sofn (m.), fornace 
    derivati:
    sofnhús (n.), casa della fornace

Deriva dall'antico irlandese sorn(n) "forno, fornace", a sua volta dal latino furnus. Il trattamento della rotica è a mio avviso assai peculiare. Forse si può considerare un indizio del fatto che la rotica in antico irlandese non era trillata. La parola non l'ho trovata nel dizionario di Zoëga, bensì in un'opera di Jón Jóhannesson:


Per ulteriori informazioni, si rimanda ad altro materiale in islandese:


sparða (f.), ascia irlandese a due mani 
Deriva dall'antico irlandese sparth "ascia a due mani". Molto comune è l'idea che il vocabolo irlandese sia d'origine norrena, anche se poi non troviamo credibili corrispondenze in alcuna lingua germanica. Con ogni probabilità è un relitto di una lingua preceltica che continuò a essere parlata a lungo nell'Isola Verde, come provato da numerose altre parole problematiche in gaelico, come vedremo in altra occasione. 


súst (f.), attrezzo per trebbiare  
   varianti: þúst, þust 
Deriva dall'antico irlandese súist "attrezzo per trebbiare". In ultima istanza dal latino fu:stis "bastone, palo", da cui anche l'italiano fusto. La traduzione in inglese della parola norrena e di quella irlandese è flail, cosa che può fuorviare il lettore poco esperto e convincerlo che si stia parlando dell'arma chiamata mazzafrusto.

tarfr (m.), toro
Deriva dall'antico irlandese tarḃ "toro", naturale evoluzione del protoceltico *tarwos


ærgin, ergin (n. pl.), malghe, alpeggi  
Deriva dall'antico irlandese airge "luogo dove sono tenute le vacche". Il norvegese moderno ha erg "alpeggio", segno che la parola di origine gaelica dovette esistere anche in Norvegia, non soltanto in Islanda. 


Gli antroponimi 

I nomi propri di persona di origine irlandese sono numerosi nel patrimonio onomastico islandese. Si trovano anche alcuni soprannomi. Per approfonditi dettagli bibliografici si rimanda al lavoro di Brian M. Scott, Old Norse Forms of Early Irish Names (2003). Commento in questa sede vari antroponimi adattati in norreno dal gaelico, cercando per quanto possibile di delinearne l'etimologia e di aggiungervi qualche considerazione.

Bekan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Beccán, a sua volta da becc "piccolo", con l'aggiunta del tipico suffisso diminutivo -án (< -*agnos).

Bjaðachr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Beothach, che significa "Il Vivente", da bethu, beothu "vita", gen bethaḋ  (protoceltico *biwotu:ts). Attestato al genitivo come Bjaðachs in un'iscrizione (metà XI secolo). Quello che trovo di notevole in questa attestazione è il mancato adattamento del suono aspirato gaelico -ch-: ci saremmo aspettati *Bjaðaks. Potrebbe essere un indizio del fatto che all'epoca esistevano ancora parlanti dell'antico irlandese? 

Bjaðmakr (m.)
Scott afferma di non aver trovato una credibile fonte irlandese per questo antroponimo. Resta tuttavia possibile che derivi da be(o)thu "vita" e da macc "figlio", significando quindi "Figlio della Vita". Davvero inconsueto, ma non così incredibile. Si potrebbe pensare a un significato cristiano.

Bjollok (f.)
È un adattamento dell'antico irlandese *Beollóc, non attestato ma formato dalla radice beoll- (vedi Bjólan) con un suffisso diminutivo -óc che ricorre anche nell'antroponimo femminile Crínóc

Bjólan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Beollán.

Brjánn (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Brian (gen. Briain). C'è chi ha suggerito una protoforma *Brigonos, ma lo trovo impossibile: la -g- mediana protoceltica si è evoluta in una fricativa sonora /γ/, trascritta come -ġ- (g puntata). Soltanto in seguito tale suono si è dileguato, lasciando però traccia nella scruttura fino alla riforma ortografica occorsa in tempi moderni. La protoforma *Brigonos è realmente esistita ma ha dato Breġan, Breoġan, nome di un eroe che compare nel Libro delle Invasioni. In islandese moderno Brjánn suona PRJAUTN.

Dofnakr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Doṁnach, che dal latino Dominicus "Domenico". A dispetto dell'aspetto fonetico, non è connesso con doṁun (m.) "mondo", che è dal protoceltico *dubnos (cfr. gallico dumno-), alla lettera "profondità, abisso".

Domnall (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Doṁnall, dal protoceltico *Dubno-walos "Dominatore del Mondo". È attestato in un'iscrizione runica come TOMNAL. 

Dufan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Duḃán "Piccolo Nero", diminutivo da duḃ "nero" (protoceltico *dubus).

Dufgall (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Duḃġall, alla lettera "Pagano Nero" (ossia "Danese"). In un'iscrizione runica trovata nell'Isola di Man il nome è attestato al genitivo come TUFKALS.

Dufgúss, Dufgus (m.)
    gen. Dufgusar
    variante: Dugfúss 
È un adattamento dell'antico irlandese Duḃġus "Forza Nera". Si noti la desinenza -ar del genitivo, che mostra come il tema in -u- del secondo elemento gus "forza" sia stato conservato in norreno.  

Dufþakr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Duḃthach. Questa è una preziosa testimonianza della pronuncia della lingua gaelica all'epoca dei Vichinghi. L'evoluzione estrema di questo antroponimo ha dato in inglese Duffy

Dungaðr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Donnchaḋ (gen. Donnchaiḋ). Significa "Nobile Bruno, Guerriero Bruno", dal protoceltico *Donno-katwos.


Dungall (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Dúngal. Significa "Potere della Fortezza", dal protoceltico *Du:no-galos. Il primo membro del composto corrisponde al gallico du:no- "fortezza, città", che ha dato così tanti toponimi in -du:num (es. Lugdu:num < *Lug(u)du:non "Città di Lugus", ossia Lione, etc.). Il secondo membro del composto è la radice del nome dei Galli e dei Galati.   


Eðna (f.)
È un adattamento dell'antico irlandese Ethne, Eithne. Il nome, che significa "Chicco di Grano", è attualmente molto popolare in America nella forma Edna.


Feilan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Fáelán "Piccolo Lupo", diminutivo di fáel "lupo", dal protoceltico *wailos, termine tabuistico formato dall'interiezione *wai "guai". È attestato anche come soprannome: uno dei coloni stanziati in Islanda agli inizi del X secolo si chiamava Óláfr "feilan" Þorsteinsson. Ancora oggi in Islanda si usa Feilan come nome proprio e come soprannome.


Gilli (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Gilla "Servo". Letteralmente gilla significa "pupillo; giovane uomo" (pl. gillai). Trovo assai verosimile che il vocabolo gaelico sia un prestito dall'antico inglese gilda "compagno". Altri pensano piuttosto all'antico inglese ċild "bambino" (inglese moderno child), ma in questo caso non potrebbe trattarsi di un prestito diretto a causa di difficoltà fonetiche.


Gillikristr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese  Gilla Chríst "Servo di Cristo". Si noti la differenza sintattica tra il norreno e l'irlandese, che ha reso il nome del possessore come il nome di una cosa posseduta.


Gljómall (m.)
Privo di etimologia norrena, si deve trattare dell'adattamento di un antroponimo antico irlandese. Il problema è che si è smarrito l'originale. Deve essere stato *Gleomál, derivato da gleo "battaglia" e da mál "principe" (< *maglos).


Gluniarain (m.)  
È un adattamento dell'antico irlandese Glún Íarainn "Ginocchio di Ferro", a sua volta traduzione del soprannome norreno Járnkné, con lo stesso significato. 

Kaðall (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Cathal, derivato dal protoceltico *Katu-walos "Dominatore della Battaglia". Simile al britannico Catuvellaunus, che è il modo in cui si trascriveva in latino *Katu-wellaunos, *Katu-wal(l)aunos. In gallese è diventato regolarmente Cadwallon


Kaðlín (f.)
È un adattamento di un nome antico irlandese non identificato, senza dubbio formato a partire da un elemento assai comune nell'onomastica celtica: cath "battaglia", dal protoceltico *katus. In gallico e in britannico troviamo vasta attestazione di nomi in Catu- come Catu-ri:ges "Re della Battaglia", tanto nell'onomastica personale, quanto nei teonimi e negli etnonimi. In Kaðlín è l'elemento -lín il problema. A scanso di equivoci, non si tratta del nome Kathleen, che è un'anglizzazione del gaelico Caitlín "Caterina".


Kalman (m.)  
È un adattamento dell'antico irlandese Colm "Colombano", diminutivo Colmán, in ultima analisi dal latino columba. Si noti il nominativo non marcato, come spesso accade in nomi di origine straniera; tuttavia sembra che anche la forma regolare Kalmann sia attestata. 

Kamban (m.)
Attestato come soprannome, deriva dall'antico irlandese cammán "individuo curvo", da camm "curvo" (protoceltico *kambos). Il prestito però dovrebbe essere avvenuto quando il gruppo consonantico -mb- non si era ancora assimilato.

Kjallakr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Cellach (variante Celldach). Ne deriva l'etnico Kjallekingar "Discendenti di Kjallakr". Il nome gaelico significa "Lotta, Contesa" e non ha nulla a che fare con cellach "proprietario di una cantina" (vedi sopra).


Kjaran (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Ciarán "Piccolo Bruno", diminutivo di cíar "fosco; marrone scuro" (protoceltico *ke:ros, con -e:- da un precedente -ei-).

Kjartan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Cerdin, Cerddin, derivato da cerd, cerdd "artigiano". Molti lo ritengono invece una semplice abbreviazione di Mýrkjartan (vedi sotto). Ricordo di aver letto sul prezioso testo di Gianna Chiesa Isnardi, I miti nordici (1997), di un uomo di nome Kjartan che era un grande adoratore e possedeva una pietra a cui offriva i blót. Poi giunse un missionario, che elevando salmi e praticando esorcismi sarebbe riuscito - così si narra - a sciogliere l'idolo petrigno e a convertire il suo adoratore terrorizzato. Questo aneddoto altamente ideologico illustra bene il contrasto tra persone di ascendenza irlandese, in origine cristiane e poi convertite ai culti pagani, e i missionari della Chiesa Romana.

Kjarvalr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Cerḃall. Nell'ortografia del gaelico moderno è scritto Cearbhall. Non posso nascondere l'oscurità della sua etimologia. Non si sa bene per quale stoltissima perversione è stato usato da alcuni per rendere i nomi Charles e Carrol.

Konall (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Conall. Deriva dal protoceltico *Kuno-walos "Dominatore dei Cani".

Kormákr (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Cormacc. Appare come un composto formato a partire da macc "figlio", anche se il primo elemento cor- non è chiarissimo. L'ipotesi più plausibile è che questo cor- derivi da corb "carro (da guerra)", essendo la forma in origine *Corbmacc. Se così fosse, l'antroponimo avrebbe il significato di "Figlio del Carro", con riferimento al valore dell'auriga sul campo di battaglia.

Kormloð (f.)
È un adattamento dell'antico irlandesce Gormlaith "Principessa Blu", dal protoceltico *Gormo-wlatis.

Kváran (m.)
Attestato come soprannome: Óláfr Kváran. È un adattamento dell'antico irlandese Cuarán, derivato da cúar "curvo, zoppo". In irlandese esiste l'attestazione di un certo Aṁlaiḃ Cuarán, che verosimilmente è proprio lo stesso uomo chiamato Óláfr Kváran in norreno. 


Kýlan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Cáelán, Cóelán "Piccolo Magro", dal protoceltico *koilos "magro, tenue, stretto".

Maddaðr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Maddaḋ. Con ogni probabilità deriva da madda, maddra "cane", un termine di origine preceltica e preindoeuropea, relitto di una lingua neolitica.


Mallymkun (genere incerto)
È un adattamento dell'antico irlandese *Máel Lomchon "Devoto di Lomchu", antroponimo non documentato ma plausibile. Questo *Lomchon, genitivo di *Lomchú, deriva da lomm "nudo, liscio" e da "cane". Non è chiaro se sia un nome di uomo o di donna; è attestato in un'iscrizione runica come MAL:LYMKUN, al nominativo.


Margaðr (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Murchaḋ. Significa "Signore del Mare, Guerriero del Mare", dal protoceltico *Mori-katwos.

Melbrigða (m.)
Melbrigði (m.)
La forma in -a è attestata in caratteri runici come MALBRIÞA, la forma in -i è attestata in caratteri runici come MAILBRIKTI. È un adattamento di Máel Brigte "Devoto di Brigida".

Meldun (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Máel Dúin "Servo della Roccaforte", nome di un antico eroe dei tempi pagani, un ulisse ibernico celebre per i suoi viaggi in terre sovrannaturali.

Melkólfr (m.)
Melkólmr (m.)

È un adattamento dell'antico irlandese Máel Coluim "Devoto di Colombano". La forma con -m- lenito in -f- è notevole. 


Melkorka (f.)
È un adattamento dell'antico irlandese Máel Curcaiġ "Devota di Curcach". Sappiamo di una donna che portava questo nome. Si narra nella Laxdæla Saga che fosse bellissima ma muta. Fu presa come concubina da un uomo, che la ingravidò. Il figlio fu chiamato Olaf e crebbe parlando irlandese, segno che il mutismo di Melkorka era soltanto simulato. In seguito il ragazzo veleggiò verso l'Isola Verde, dove ottenne gloria e onori, essendo la sua origine materna regale.

Melmari (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Máel Maire "Devoto di Maria". Un tipico nome cristiano.

Melpatrikr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Máel Pátraic "Devoto di Patrizio". Un tipico nome cristiano.

Melsnati (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Máel Snechtai "Devoto di Snechta".

Myrgjol (f.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Muirgel, dal protoceltico *Mori-gela: "Splendore del Mare". Il secondo componente, -gela: "splendore", si trova anche nel nome di Virgilio: Vergilius non è germogliato nel Lazio, bensì nella terra dei Galli Cenomani.

Mýrkjartan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Muirchertach. Significa "Marinaio".


Mýrún (f.)
È un adattamento dell'antico irlandese Muirenn. La sillaba finale è stata alterata per etimologia popolare sulla base dei numerosi nomi femminili in -rún (es. Guðrún). 


Njáll (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Niall (gen. Néill). Il significato originale dell'antroponimo è incerto. Sono state fatte varie proposte. Assurdo e ridicolo il tentativo di ricondurre Niall a nél (m.) "nuvola" (< *neblos). Sono invece convinto che sia interessante una connessione con nia (gen. niaḋ) "eroe, guerriero, campione" (< *ne:ts, gen. ne:tos, con -e:- da un precedente -ei-), nel qual caso si può ricostruire la protoforma come *Ne:tlos. Notevole è la rispondenza della radice in questione in area celtiberica.

Patrekr (m.), Patrizio
È un adattamento dell'antico irlandese Pátraic, dal latino Patricius

Poppó (m.)
È un chiaro derivato dell'antico irlandese pobba "padre (in senso spirituale)". Il vocabolo in questione ha diverse varianti: popa, poppa, bobba. Si tratta a mio avviso di un elemento di sostrato, preso da una lingua non indoeuropea sovravvissuta a lungo in Irlanda, ancora a crisianizzazione avvenuta. Anni fa ero convinto che questa parola fosse all'origine del norreno papar "monaci irlandesi", ma l'attenta analisi dei dettagli fonetici mi ha convinto dell'ingenuità di questo accostamento.  

Rafarta (f.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Roḃartach, Raḃartach. Significa "Sovrabbondante". Il prefisso ro-, dall'indoeuropeo *pro- "davanti", è un tipico intensivo in protoceltico e nelle lingue derivate. La radice verbale è dall'indoeuropeo *bher- "portare", che si trova ben documentato nel latino ferre.

Taðkr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Taḋg, di cui riproduce molto bene l'originaria pronuncia. In ultima analisi proviene dal protoceltico *tasgos "tasso" (animale), ben documentato nell'onomastica gallica (Tasgo-) e britannica (Tasgo-, Tasc(i)o-). Non si capisce secondo quale logica i moderni anglosassoni usino tradurre il nome irlandese Tadhg con Timothy