Titolo originale: Jungfrukällan
Anno: 1960
Regia: Ingmar Bergman
Paese: Svezia
Lingua: Svedese
Durata: 89 min
Colore: B/N
Rapporto: 1,37:1
Genere: Epico, drammatico
Soggetto: Leggenda popolare del XIV secolo (Per Tyrssons
döttrar i Vänge)
Sceneggiatura: Ulla Isaksson
Produttori (non accreditati): Ingmar Bergman, Allan
Ekelund
Casa di produzione: Svensk Filmindustri
Responsabile della produzione: Carl-Henry Cagarp
Fotografia: Sven Nykvist
Musiche: Erik Nordgren
Montaggio: Oscar Rosander
Scenografia: P.A. Lundgren
Costumi: Marik Vos-Lundh (come Marik Vos)
Trucco: Börje Lundh
Fonici: Evald Andersson (effetti sonori), Staffan Dalin,
Aaby Wedin
Dipartimento artistico: Karl-Arne Bergman
Assistente alla telecamera: Rolf Holmquist
Interpreti e personaggi:
Birgitta Pettersson: Karin
Gunnel Lindblom: Ingeri, la serva pagana
Max von Sydow: Töre
Birgitta Valberg: Märeta
Axel Düberg: Pastore magro
Tor Isedal: Pastore a cui è stata strappata la lingua
Ove Porath: Bambino
Allan Edwall: Il monaco
Oscar Ljung: Simon
Gudrun Brost: Frieda
Axel Slangus: Il Guardiano del Ponte, Odino
Tor Borong: Un bracciante
Leif Forstenberg: Un bracciante
Doppiatori italiani:
Fiorella Betti: Karin
Anna Miserocchi: Ingeri, la serva pagana
Giuseppe Rinaldi: Töre
Lydia Simoneschi: Märeta
Pino Locchi: Pastore magro
Manlio Busoni: Il monaco
Maria Saccenti: Frieda
Amilcare Pettinelli: Il Guardiano del Ponte, Odino
Traduzioni del titolo:
Inglese: The Virgin Spring
Tedesco: Die Jungfrauenquelle
Francese: La Source
Spagnolo: El manantial de la doncella
Portoghese: A Fonte da Virgem
Danese: Jomfrukilden
Finnico: Neidonlähde
Lituano: Šaltinis
Polacco: Źródło
Russo: Девичий источник
Ungherese: Szűzforrás
Turco: Genç kız pınarı
Arabo (Egitto): Alrabi' albekr
Persiano: Cheshme-ye bakere
Giapponese: Shojo no izumi (処女の泉)
Premi e riconoscimenti:
1961 - Premio Oscar
Oscar al miglior film straniero
1961 - Golden Globe
Golden Globe per il miglior film straniero
1960 - Festival di Cannes
Menzione speciale
1961 - Semana Internacional de Cine de Valladolid
Lábaro de oro
Trama:
Siamo nel XIV secolo, in una regione impervia della Svezia. Töre è un proprietario terriero la cui moglie Märeta è molto devota. La loro unica figlia, la bellissima Karin, deve portare dei ceri in chiesa in occasione della Candelora per offrirli alla Vergine. Infatti secondo il costume cristiano i ceri per la Madonna devono essere offerti da una ragazza vergine. Nella fattoria di Töre abita anche Ingeri, una serva che porta in grembo un figlio, frutto di uno stupro. Di notte, mentre i suoi padroni dormono, lei invoca Odino affinché porti loro la rovina. La ragazza gravida è infatti pagana. Nessuno sospetta l'odio che cova in lei, così viene incaricata di accompagnare Karin nel suo viaggio verso la chiesa. Durante il tragitto accadono cose portentose. Mentre Karin procede a cavallo, Ingeri viene chiamata dal custode del ponte, che la attira nella propria dimora. Presto si capisce che il vecchio uomo è in realtà lo stesso Odino. Terrorizzata in seguito a un'avance, la giovane pagana fugge via nel bosco. Intanto la figlia di Töre incontra tre pastori. Il primo è un uomo magro con pochi capelli biondicci. Il secondo, bruno e dal sembiante distorto, è mutilato della lingua e parla in modo incomprensibile. Il terzo è un bambino. I tre convincono facilmente la ragazza a dividere con loro le proprie provviste, ma a questo punto accade la tragedia. Una volta consumato con lei il pasto, i due uomini le saltano addosso e la stuprano. Preso da una furia incoercibile, l'uomo con la lingua tagliata si avventa su di lei con una grossa mazza di legno e le fracassa il cranio, uccidendola sul colpo. Ingeri, che nel frattempo è giunta sul luogo, assiste al delitto ma non fa nulla per fermarli. La ragazza uccisa viene spogliata delle sue vesti preziose e abbandonata. L'uomo con la lingua tagliata trova i ceri e li calpesta con furia. Il bambino, mosso a pietà, seppellisce Karin raccogliendo a mani nude il terriccio e mettendolo sul corpo estinto per coprirlo alla bell'e meglio. Intanto nella dimora di Töre tutti capiscono che qualcosa è andato storto, visto che la giovane non ha fatto ritorno. Giungono i tre pastori, che trovano il padrone della fattoria e gli chiedono ospitalità, dicendo di provenire da un paese devastato dalla carestia. Vengono accolti e condotti nella grande sala, dove viene dato loro da mangiare. Durante la notte, i tre commettono un gravissimo errore: propongono alla signora della casa, Märeta, la vendita di una splendida veste, dicendo che apparteneva a una loro sorella deceduta. La donna riconosce subito il prezioso abito di seta della figlia. Capisce immediatamente che la povera Karin è stata uccisa da quegli uomini. Senza scomporsi dice loro che ne deve parlare con suo marito, quindi si reca da lui e gli racconta tutto. Töre è furioso e prepara la vendetta di sangue. Chiede a Ingeri, che gli ha narrato le atrocità compiute dai pastori, di scaldare le pietre per il bagno. Fatto questo, sradica con la forza delle proprie braccia una betulla, ne taglia i rami e li usca per fustigarsi mentre prende un bagno a vapore. Si tratta di un complesso rituale preparatorio. Fatto questo, entra nella grande sala e uccide i pastori. Non ha pietà neppure del bambino, nononstante le suppliche di Märeta, che per istinto materno vorrebbe risparmiarlo: lo afferra e lo getta contro un mobile, fracassandogli la spina dorsale, uccidendolo sul colpo. Ingeri guida i genitori di Karin sul luogo del delitto e il cadavere viene tolto dal sottile strato di terra nuda sotto cui l'aveva nascosta il bambino. Töre non sa darsi pace e si strazia, non capisce come Dio possa averlo caricato con un simile gravame. Nonostante non sia capace di spiegarsi la volontà divina, l'uomo promette solennemente che edificherà una grande chiesa di pietra e di calce proprio in quel luogo. Non appena il corpo della vergine viene rimosso, sgorga una copiosa fonte di acqua limpida. Ingeri si prosterna, piange e si lava il volto nell'acqua, mentre Märeta usa l'acqua per pulire la faccia di Karin da ogni traccia di sozzura e di sangue.
Recensione:
Con pochissime eccezioni, i recensori che abbondano nel Web non sembrano capire l'estrema complessità di questo film. C'è chi parla del rapporto tra l'essere umano e Dio, in un'ottica esclusivamente cristiana. Eppure la chiave di lettura appare subito fin dalle prime sequenze della pellicola, come una crepa che si apre all'improvviso nel cielo: la giovane Ingeri, nella sua solitudine, compie un atto privato che è qualcosa di inconcepibile in un contesto dominato dal geloso Dio delle Scritture. Ingeri urla: "Odino vieni a me!" Ecco la spaccatura che incrina le certezze dell'uomo medievale. Tanto hanno risuonato in me queste parole che mi è parso di udirle in norreno: "Óðinn kom til mik!" Sarebbe di grande interesse curare un doppiaggio del film in quella lingua. Certo, nel XIV secolo sarebbe suonata in modo un po' diverso, ma la sostanza non cambia. Emerge dall'analisi dell'opera di Bergman l'incredibile debolezza della religione ancestrale rispetto al nuovo culto cristiano, introdotto sulla punta della spada. Di fronte al tormento dell'uomo che si domanda come mai Dio sia muto, più muto del pastore assassino responsabile di tutto questo dolore, la soluzione sarebbe semplice. Eppure proprio per la sua semplicità, appare inconcepibile al protagonista. Abiurare il Cristianesimo e adorare Odino, ecco la soluzione più ovvia, più immediata, in grado di ricomporre un mondo distrutto. Perché costruire una chiesa anziché placare l'antica divinità con un sacrificio di sangue? Cercare la Salvezza? Perché mai, visto che nessuno si può salvare? Non so come mai nessuno si sia accorto di questo punto cruciale. Per dirla in modo stringato, il problema è che troppe persone credono che Odino e Thor siano invenzioni della Marvel.
Una censura vigliacca
In un borgo particolarmente bigotto del Texas il film di Bergman è stato censurato perché nelle sequenze dello stupro sono visibili le gambe nude della ragazzina. Questa è la mens puritana americana. Il problema non è la violenza sessuale, che ha proprio nella Bibbia una rinomata tradizione apologetica. Il problema sono le gambe nude. Ecco, volevo giusto farlo notare. Tra le mer(d)aviglie dell'America c'è anche questo genere di cose.
Una guerra di religione
I tre pastori sono pagani che combattono attivamente contro la religione dominante. I loro crimini non sono semplici atti di predazione: sono atti di guerra. Il calpestamente dei ceri non sarebbe mai stato compiuto da un cristiano in un simile contesto. Il pastore bruno dalla lingua mozzata è quello più animato dall'odio, perché intende vendicarsi di un grave torto che gli è stato inflitto. Anche se nella pellicola di Bergman non si parla degli antefatti, si capisce all'istante qual è la causa della mutilazione. L'uomo è stato sorpreso a compiere un sacrificio pagano e un sovrano cristiano lo ha condannato, facendogli recidere la lingua. Cose del genere erano all'ordine del giorno. Oggi si fa tanto parlare di un Medioevo splendido che irradiava la luce della civilità. Coloro che lo fanno e che a ogni piè sospinto insistono sulle "radici cristiane dell'Europa", relegano nell'Oblio le innumerevoli atrocità di quel mondo di tormenti e di morte, in cui la Chesa di Roma governava col pugno di ferro del peggior tiranno. Sono orrori ben documentati. Ne esiste una vasta miniera in cui non smetto mai di scavare.
Il Guardiano del Ponte
"Come ti chiami?", chiede Ingeri. "Di questi tempi quale valore ha un nome?", risponde il Guardiano. L'allusione è chiara. In un'epoca in cui si è imposto il Cristianesimo e l'Antico Costume langue, i nomi degli uomini hanno cessato di avere importanza. Non mancano i riferimenti all'onniveggenza e all'onniscienza di Odino. "Questo è un luogo molto solitario. Non hai nessuno vicino?" chiede Ingeri. "No", risponde il Guardiano, "Io sento ciò che voglio. E vedo ciò che voglio. Sento tutto ciò che si sussurra in segreto, e vedo quello che altri non vedono." Poi promette di condividere con la ragazza questa facoltà sovrumana: "Puoi riuscire a farlo anche tu, solo che tu lo voglia. Ascolta!" All'improvviso si odono rumori di zoccoli di cavalli al galoppo. "Cos'è questo galoppo all'esterno?", chiede Ingeri. "Sono tre spettri che vanno a nord!", risponde il Guardiano. La giovane non supera la prova, non accetta il modo in cui la forza sta per esserle trasmessa. Non gradisce di farsi rovistare tra le gambe dall'essere che le appare come un vecchio uomo lascivo. Quando fugge sconvolta dalla dimora del dio, si sentono gracchiare due grossi corvi: sono proprio Huginn e Muninn! Si credeva che questi prodigiosi volatili, neri come la pece, volassero in tutto il mondo e portassero a Odino ogni genere di notizie e di informazioni. Essendo in grado di bilocarsi, il Guardiano del Ponte fa la sua comparsa tra gli arbusti, sghignazzando. Si vede che un suo occhio è diverso dall'altro: si tratta di una biglia di pasta di vetro lavorata con arte. Com'è notorio, il Padre degli Asi è monocolo, avendo sacrificato un occhio per avere la sapienza. Le sue capacità di mascheramento sono leggendarie!
Nei rari commentatori che si sono resi conto dei contenuti pagani del film, sorge il dubbio che il Guardiano del Ponte possa essere il Diavolo. La cosa non è affatto problematica. Come l'ottima studiosa Gianna Chiesa Isnardi ci ricorda, nella società scandinava cristianizzata permaneva la ferma credenza nell'esistenza fisica degli antichi Dei, che però erano ritenuti demoni. Così ai tempi in cui la vicenda è ambientata Odino era considerato una manifestazione del Diavolo. Si è verificato un bizzarro sincretismo. In altre parole, se la conoscenza delle cose del Cielo aveva per i Cristiani nordici la sua fonte nelle Scritture, la demonologia era formata dall'intero edificio dell'antica religione pagana. La conoscenza delle cose dell'Inferno implicava dunque la pratica dei riti del Paganesimo e questo per secoli dopo che era avvenuta la cristianizzazione. Peccato che queste cose i manuali scolastici non le riportino, tanto sono considerate irrilevanti dallo sciagurato corpo docente.
Ingeri e il veleno dei rospi
La pratica magica di Ingeri è per necessità molto limitata. Si limita in buona sostanza all'utilizzo dei rospi, nascosti abilmente in mezzo al cibo per avvelenare le persone odiate. Il suo bersaglio è Karin, ma il batrace tossico finisce in bocca al pastore più giovane, inducendogli un'intensa nausea e crisi di vomito. La bruna Ingeri è consapevole della pochezza delle proprie arti, per questo viene subito irretita dal Custode del Ponte, che le promette una cura ai dolori della gravidanza. Il seggio di Odino è di fattura arcaica. I braccioli sono statue lignee finemente intagliate: una rappresenta Thor con tanto di martello, l'altra rappresenta Freyr. Seguono alcuni incantesimi. "Questo reca sollievo ai tuoi dolori", dice Odino alla ragazza, mostrandole il corpo di un serpente arrotolato e irrigidito. Ne ha subito pronto un altro identico, un doppione, seguito da una formula simile: "Questo reca sollievo alle tue pene". "Basta o sangue, non scorrere più!", recita quindi mostrando il dito mozzato di un uomo, rimedio contro le emorragie. La divinità estrae un pesce rinsecchito e dice: "Pesce non nuotare più". Subito dopo estrae un pipistrello rinsecchito e dice: "Pipistrello non volare più". Tutto ciò ha corrispondenze ben numerose nel patrimonio di formule e incantesimi in uso nell'antica Germania come medicina tradizionale. Com'è ovvio, i recensori ignari dell'antica religione non si sono accorti di nulla e nemmeno menzionano questi tesori antropologici nei loro interventi.
Lo scacciapensieri
Uno dei tre pastori, quello ben dotato di parlantina, a un certo punto suona uno scacciapensieri. Si tratta di uno dei più antichi strumenti musicali. Molti pensano che sia originario della Sicilia, dove è chiamato marranzanu. In realtà il suo uso è documentato su territori vastissimi, praticamente in ogni parte del globo. Oltre a marranzanu, in Sicilia è chiamato anche mariòlu o ngannalarruni (alla lettera "inganna-ladri"). La parola marranzanu significa propriamente "grillo canterino", ma esiste anche un suo omofono col significato di "uomo poco raccomandabile" (derivato di marranu, equivalente all'italiano marrano, di origine spagnola e in ultima analisi araba). Così grazie a questa omofonia è nato mariòlu, come per un gioco di parole (anche mariòlu significa "uomo poco raccomandabile"). In Sardegna lo strumento musicale arcaico è chiamato trunfa o trumba. In modo simile, gli Zingari della Campania lo conoscono come tromba, denominazione che ritorna nei Balcani come dombra. In Lombardia è detto viabò, in Corsica riberbula. In Francia si chiama guimbarde, in Spagna arpa de boca o biribao, in Portogallo birimbau. La sua diffusione raggiunge la Siberia e la remotissima terra degli Jakuti (che non sono gli inventori della Jacuzzi).
Il canto del cuculo
L'arrivo dei tre pastori è preceduto e accompagnato dal canto del cuculo, un uccello augurale connesso a Odino. Simile a un piccione con gli occhi grossi, fissi e strabici, col ventre decorato finemente da leggere striature, questo parassita dei nidi di altre specie emette un verso nitidissimo e potente, anche se molto ripetitivo: "Gukkù! Gukkù! Gukkù!" Può andare avanti anche per mezz'ora. Quel cuculo canoro è un portento funesto che annuncia la rovina di Karin e continua a cantare a lungo.
Il pastore e l'uccisore: due fratelli
In Germania esiste un detto arcaico, testimonianza di un'epoca molto diversa dalla nostra. Schäfer und Schinder sind Geschwisterkinder "Il pastore e l'uccisore sono due fratelli". Il termine Schinder, ormai arcaico, indicava un uomo incaricato di abbattere animali vecchi o malati e di riciclarne i resti. Era una sorta di intoccabile, come i Dalit dell'India. I suoi compiti includevano la soppressione dei cani randagi, la pulizia dei pozzi neri e delle fogne, la rimozione di cumuli di immondizia. Un altro significato di Schinder è "uomo che abusa, tormenta o sfrutta altre persone". Il pastore e l'abbattitore erano i residui di una società neolitica male assimilata dalle genti indoeuropee e relegati come altri intoccabili ai margini del consorzio umano: non sorprende troppo che su di loro gravasse uno stigma, che fossero considerati moralmente ripugnanti. Lo stupro e l'assassinio erano loro attributi, come la sporcizia e l'impurità.
Il canto del monaco
La vergine Karin è appena partita a cavallo per portare i ceri alla Madonna. Il monaco è al settimo cielo ed esprime la sua gioia con un bellissimo canto che non è stato tradotto. La sua pronuncia è chiarissima, al punto che molte parole mi risultano comprensibili, come se la lingua fosse una forma di tardo norreno più che non svedese moderno. In particolare la rotica /r/ è fortemente trillata, come in italiano e in spagnolo. Quando visitai la Svezia, rimasi stupito dal suono della lingua. Quando capii che la parola stjarna "stella", era pronunciata /'ʃanǝ/, mi sentii quasi male e fui preso dal disgusto. E pensare che in norreno i suoni erano distinti, chiari e cristallini come acqua di fonte! Ecco, il canto del monaco bergmaniano testimonia che una pronuncia arcaica e nobile dello svedese è ancora ricordata da alcuni.
Un inferno pagano
Il monaco è un uomo molto istruito e intelligente. È un valente poeta, le cui parole non si dimenticano. Oltre a conoscere le Scritture, conosce bene anche le cose pagane. Così, avendo capito che i pastori e gli assassini sono consanguinei stretti, raggiunge il bambino steso sul letto e gli racconta del reame di Hel:
"Vedi come il fumo trema e si abbarbica sotto il tetto? È come se avesse parura dell'Ignoto. Eppure se si librasse nell'aria troverebbe uno spazio infinito dove volteggiare. Ma forse non lo sa. E così se ne sta qui, nascosto, tremolante e inquieto. Con gli uomini capita lo stesso. Essi vagano inquieti come tante foglie al vento. Per quel che sanno e per quello che non sanno. Tu... tu passerai su un ponticello stretto e malfermo. Così stretto che non saprai dove poggiare il piede per sorreggerti. Sotto di te muggisce un fiume, ed è tetro, e vuole inghiottirti. Ma raggiungerai l'altra riva. Ma ora avanti a te trovi un burrone, così scosceso che non puoi vederne il fondo. Delle mani vogliono afferrarti, ma non ti raggiungono. Infine, di fronte a te avrai un'orribile montagna. Il fuoco scaturisce dai fianchi. Crepacci orrendi partono dalle sue falde. Le fiamme sprizzano tutte insieme, rame e ferro, vetriolo azzurro e giallo zolfo. Il basalto geme e si frantuma sotto il maglio dei fulmini, e intorno atterriti piccoli uomini fuggono, come mille formiche. Perché quella fornace inghiotte gli assassini e i predoni!"
Solo a questo punto subentra qualcosa di cristiano, anche se non viene menzionato esplicitamente il Salvatore:
"Ma nel preciso esatto istante in cui ti senti perso, una mano ti afferra e un braccio ti circonda alla vita, e ti trasporta lontano, in salvo, là dove il Male non ha più potere alcuno."
Ci si imbatte ben di rado in simili vette di poesia, di assoluto lirismo!
Un antico codice di vendetta
Per Töre la vendetta è qualcosa di estremamente importante. L'uccisione di un proprio caro non può e non deve per nessun motivo restare impunita. In un contesto in cui la giustizia pubblica è lesta soltanto a punire le offese religiose, è dovere irrinunciabile del singolo assumersi l'onere di vendicarsi. A parer mio è errato, nonostante venga fatto spesso, opporre il codice della vendetta, di cui si ricorda l'origine pagana, alle dottrine cristiane del perdono e della misericordia. Basta infatti studiare le saghe nordiche per comprendere che l'essere pagano o cristiano non influenza affatto il modo di intendere la vendetta. Ci furono ferventi cristiani che non porgevano affatto l'altra guancia. Il Re Olaf II Haraldsson di Norvegia, che fu fatto santo (e tale dovrebbe essere ancora considerato dai cattolici), era violento e tirannico, tanto che il perdono gli era alieno. Impugnava la spada e affrontava i nemici in battaglia, faceva torturare e uccidere, condannava a morte senza la minima esitazione. Eppure lui e i suoi cortigiani erano chiamati Kristmenn, ossia "Uomini di Cristo".
La leggenda delle figlie di Per Tyrsson
Bergman ha apportato modifiche alla leggenda originale e l'ha molto rielaborata. Questo è il testo della ballata, intitolata Per Tyrssons döttrar i Vänge o Töres döttrar i Vänge (due versi sono incompleti, le parti mancanti ricostruite sono messe tra parentesi quadre [...]):
Per Tyrssons döttrar i Vänge
kaller var deras skog
de sovo en sömn för länge
medan skogen han lövas
Först vaknade den yngsta
kaller [var deras skog]
så väckte hon upp de andra
medan [skogen han lövas]
Så satte de sig på sängastock.
Så flätade de varandras lock.
Så togo de på sina silkesklär.
Så gingo de sig åt kyrkanom.
Men när som de kommo till Vänge lid
så möta dem tre vallare
- Å antingen viljen I bli vallareviv
eller viljen I mista ert unga liv?
- Å inte vilja vi bli vallareviv.
Långt hellre vi mista vårt unga liv
De högg deras huven mot björkestock.
Där runno tre klara källor opp.
Kropparna grävde de ner i dy.
Kläderna buro de fram till by.
Men när som de kommo till Vänge gård,
ute för dem fru Karin står
- Å viljen I köpa silkessärkar
dem sexton jungfrur stickat å virkat
- Lös upp era knyten å låt mej se,
kanhända jag känner dem alla tre
Fru Karin sig för bröstet slår
och upp till Per Tyrsson i porten hon går
- Där håller tre vallare på vår gård.
De hava gjort av med döttrarna vår.
Per Tyrsson han tar sitt svärd i hand.
Så högg han ihjäl de äldsta två.
Den tredje låter han leva
för att få honom fråga:
- Vad heter eder fader?
Vad heter eder moder?
- Vår fader Per Tyrsson i Vänge
Vår moder fru Karin i Skränge
Per Tyrsson han går sig åt smedjan
Han slår sig järn om midjan
- Vad skola vi göra för syndamen?
- Vi ska bygga en kyrka av kalk å sten.
- Den kyrkan skall heta Kärna
den bygga vi upp så gärna
Questa è la traduzione:
Le figlie di Per Tyrsson a Vänge,
era così fredda la foresta,
dormirono un sonno troppo lungo
mentre la foresta metteva le foglie
La più giovane si svegliò per prima,
Iera così fredda <la foresta>,
E così lei svegliò le altre
mentre la foresta metteva le foglie
Poi si sedettero sul letto
Così si intrecciarono i capelli l'un l'altra
Così indossarono le loro vesti di seta
Così andarono alla chiesa
Ma quando giunsero al colle di Vänge
Incontrarono tre banditi.
"Volete essere mogli di banditi,
o perdere le vostre giovani vite?"
"Non vogliamo essere mogli di banditi,
perderemo piuttosto le nostre giovani vite".
Tagliarono le loro teste su un ceppo di betulla
Là subito sgorgarono tre fonti
I corpi sepolti nel fango
I vestiti portati al villaggio
Quando giunsero alla fattoria di Vänge
La Signora Karin li incontrò nel cortile
"E vorreste voi comprare abiti di seta,
da nove ragazze intrecciati e cuciti a maglia?"
"Slegate i vostri sacchi e fatemi vedere,
forse li conosco tutti e tre"
La Signora Karin si batté il petto dal dolore
e andò a trovare Per Tyrsson.
"Ci sono tre banditi nel nostro cortile,
che hanno ucciso le nostre figlie."
Per Tyrsson impugnò la sua spada
Egli uccise i due più anziani
Il terzo lo lasciò in vita
Quindi gli chiese questo:
"Qual è il nome di tuo padre?
Qual è il nome di tua madre?"
"Nostro padre è Per Tyrsson a Vänge,
Nostra madre è la Signora Karin a Stränge."
Per Tyrson andò alla fucina
E si fece applicare il ferro intorno alla vita.
"Cosa dobbiamo fare per i nostri peccati?"
"Costruiremo una chiesa di calce e di pietra.
Quella chiesa sarà chiamata Kerna,
e la costruiremo ben volentieri."
Il testo svedese, sopra riportato in ortografia normalizzata, è stato cantato da Greta Naterberg e raccolto da J.H. e D.S. Wallman nel 1812. Come si vede, nella ballata sono tre le vergini uccise; Karin è invece il nome della moglie del possidente, loro madre. Bergman ha semplificato le cose, così c'è una sola vergine, a cui viene attribuito il nome che nella leggenda originale era della moglie di Töre. La cosa più sconvolgente, di cui nella pellicola non si fa menzione, è che i tre briganti assassini sono essi stessi figli dei genitori delle vergini e quindi loro fratelli. Essi volevano prendere come mogli le loro stesse sorelle, ignorando la loro origine. Perché i tre figli sono diventati briganti? Non lo sappiamo. Sugli antefatti, oscurissimi, ha cercato di fare chiarezza il regista, mettendoci della sua fantasia.
Etimologia di Töre
L'antroponimo Töre, con la variante Tyre e col patronimico Tyrsson, risale al norreno Þýrví, Þórví, attestato però come nome femminile. Il nome del signore di Vänge dovrebbe significare "Consacrato a Thor", meno probabilmente "Combattente di Thor". Resta di difficile spiegazione l'Umlaut palatale.
Altre recensioni e reazioni nel Web
Segnalo una recensione che mi sembra migliore di molte altre, pubblicata sul sito Quinlan.it (Rivista di critica cinematografica). L'autore è Massimilano Schiavoni.
Certo, mi pare un po' stravagante la tesi del Divino che salterebbe fuori in un suo aspetto mostruoso proprio nel verrucoso rospo che insozza il pane, in contrasto al candore immacolato dell'ostia. In ogni caso, è comunque molto interessante.