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mercoledì 6 ottobre 2021

UN RELITTO OSCO IN NAPOLETANO, SALERNITANO E LUCANO: ATTRUFE 'OTTOBRE'

Quando nel V secolo a.C. i Sanniti conquistarono la Campania, presero il nome degli Osci, detti anche Opici (trascritto in greco come ᾿Οπικοί), una precedente popolazione non sannitica che abitava da tempo immemorabile in quegli ameni luoghi. Da questa fusione etnica ebbe origine la sinonimia di osco e sannitico per indicare la lingua italica dei conquistatori, che prevalse su quella dei vinti. Tale lingua era ricca e complessa come quella di Roma e con essa strettamente imparentata - eppure diversa, più o meno come lo era il gallico. 

"Molte parole dialettali utilizzate nelle varie zone dell'Italia centro-meridionale presentano elementi di sostrato di derivazione osca" (Fonte: Wikipedia). 
Quanto riporta la famosa Enciplopedia corrisponde al vero. Tuttavia trovo che sia necessario approfondire l'argomento. Di affermazioni generiche è pieno il Web. Partiamo quindi da un esempio concreto e importante, di cui molti non avranno mai sentito parlare. Molti non sanno nemmeno che questa antica lingua italica sia mai esistita. Sono rimasto commosso leggendo il commento di una navigatrice che ammetteva di non aver mai sentito parlare della lingua osca. Memorie perdute. Occorre ripristinarle una per una e permettere a tutti l'accesso alle origini, che è stato per troppo tempo ostacolato e negato dal sistema scolastico. 
 
A Napoli la parola più genuina per dire "ottobre" è attrufe /at'trufə/ (varianti: attufre /at'tufrə/, ottrufe /ot'trufə/). Secondo alcuni si tratta di un vocabolo piuttosto antiquato, essendo la forma più comune uttombre /ut'tombrə/
A Salerno il mese di ottobre si chiama attrufe, pronunciato proprio come a Napoli. Alcuni lo trascrivono come attrufa o attrufo, ma il suono finale è lo stesso: una vocale indistinta /ə/, a cui i linguisti danno il nome di schwa
Si trova attrufë, attrufu "ottobre" anche in Basilicata, sempre con lo stesso suono finale indistinto.  
 
Si vede subito che il napoletano uttombre ha la stessa origine dell'italiano ottobre: deriva dal latino volgare octombre(m), una variante ben attestata di octobre(m), plasmata per analogia di septembre(m), novembre(m), decembre(m). Invece forme come attrufe non possono essere in alcun modo derivate dal latino. Proprio la presenza della consonante -f- le qualifica come pre-romane e giunte fino ai nostri tempi tramite una tradizione ininterrotta. 
La protoforma ricostruibile come antenato diretto di attrufe è il sannitico *ohtūfrim, al caso accusativo. Questa è la vera origine delle parole sopracitate degli attuali dialetti della Campania e della Basilicata. L'estensione del fenomeno non è certo casuale: gli antichi Lucani parlavano la stessa lingua dei Sanniti.
 
Il bello è che i romanisti non si sognano nemmeno di negare questi dati di fatto: li hanno riportati nelle loro opere da lungo tempo (esempi: Planta, 1897; Șăineanu, 1935; Lahti, 1935). Il problema è che non viene data alcuna risonanza a questa chiara sopravvivenza di una lingua pre-romana, indoeuropea e imparentata con il latino. Viene ritenuta un fatto marginale, a cui dedicare soltanto poche parole. Noi invece di importanza ne attribuiamo molta e ci spingiamo fino al punto di ricostruire l'intera declinazione della parola: 
 
Nominativo: *ohtūfer 
Genitivo: *ohtūfreis 
Dativo: *ohtūfrei 
Accusativo: *ohtūfrim 
Vocativo: *ohtūfer 
Ablativo: *ohtūfrīd  

Il tema indoeuropeo della protoforma di origine è chiaramente in -i-. Abbiamo poche attestazioni di sostantivi di questa classe nel materiale epigrafico. Uno di questi è senza dubbio *slāx, un vocabolo oscuro interpretabile come "confine", "territorio", attestato sul Cippo Abellano. Tecnicamente si tratta di un hapax. Trovo tale interpretazione ragionevole, anche se alcuni considerano questa parola "intraducibile" o "di significato sconosciuto". Queste sono le occorrenze su tale documento: 

sakaraklúm Herekleís [úp / slaagid púd íst ...
(linee 11-12, lato A)
"il tempio di Ercole che è sul confine ..."

pústin slagím / senateís suveís tangi-/núd tri/barakavúm lí/kítud
(linee 34-37, lato B)
"sia permesso costruire per decisione del senato di ogni (città) secondo il territorio'

avt anter slagím / A]bellanam íním Núvlanam
(linee 54-55, lato B)
"ma tra il territorio di Abellla e di Nola ..."  

í = e chiusa; i aperta
= dittongo ei chiuso
ú = o chiusa (breve); u (lunga)
av = dittongo au
úv = dittongo ou chiuso 
 
Questa è la declinazione ricostruita a partire dalle attestazioni: 

Nominativo: *slāx 
Genitivo: *slāgeis 
Dativo: *slāgei 
Accusativo: slāgim (scritto slagím
Vocativo: *slāx 
Ablativo: slāgīd (scritto slaagid

Per un'interessante trattazione di questo termine, completa di ipotesi su suoi paralleli in altre lingue indoeuropee, rimando senz'altro all'articolo di Brian D. Joseph (Università dell'Ohio, 1982), consultabile seguendo questo link: 

 
Sono convinto che potranno derivare abbondanti frutti dagli approfondimenti sulla morfologia e sul lessico delle lingue italiche. L'importante è non arrendersi all'Oblio e lavorare per riportare alla luce, frammento dopo frammento, ciò che ha fagocitato.  
 
L'enigma dello spagnolo octubre 
 
È stato ipotizzato che lo spagnolo octubre "ottobre" sia un prestito dall'italico, per via della decisa anomalia della vocale tonica -u-, in luogo dell'attesa -o-: in tale lingua normalmente il latino -ō- non dà -u- (Corominas-Pascual). Anche se l'idea pare a prima vista suggestiva, i problemi non mancano. Riporto qui una lista di esiti delle protoforme secondo diverse trafile ipotizzabili o realmente attestate. 
 
forma attesa dal latino volgare octōbre(m), octombre(m)
   ochobre (asturiano), *ochombre 
forma attesa dal latino dotto octōbrem
   *octobre 
forma attesa dall'osco *ohtūfrim
   *ochufre, *otufre 
   con sonorizzazione di -f-
   ochubre (antico spagnolo), otubre (aragonese) 
 
In tutti i casi siamo lontani dalla forma reale, octubre, che comprende in sé, in modo paradossale e inspiegabile, due caratteristiche contraddittorie: la vocale anomala -u- e il gruppo consonantico -ct-, tipico di un crudo latinismo. Tecnicamente parlando, si potrebbe dire che octubre è una forma semidotta. Si noterà che la stessa parola si trova anche in catalano, mentre in antico catalano era vuitubri, uitubri. Anche il portoghese e il galiziano hanno un esito con vocale -u-: outubro. Non sono riuscito a trovare una soluzione al problema e le lingue pre-romane dell'Iberia non sono di alcun aiuto.  

mercoledì 29 settembre 2021

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI SUBURRA... E SULLA SBURRA!

Come tutti ben sanno, la suburra è un quartiere sordido, un luogo equivoco che evoca nell'immaginazione un brulicare di puttane e di delinquenti. Resta come al solito una domanda pressante: qual è l'origine di questa denominazione tanto bizzarra? 
Questo riporta il Vocabolario Treccani: 
 
 
"Suburra, lat. Subura o Suburra, di etimo ignoto."
 
E ancora, in "Sinonimi e Contrari": 
 
 
"suburra s. f. [dal lat. Subura o Suburra, nome di una zona popolare e malfamata di Roma antica], lett. - [insieme dei quartieri più malfamati di qualsiasi grande città] ≈ angiporto, bassifondi, quartieri bassi."  
 
Questa è la descrizione del vocabolo latino in questione, data nel Wiktionary: 
 

Subūra f. sing. (genitivo Subūrae); prima declinazione
     "Un quartiere di Roma situato tra l'Esquilino, il Viminale e il Quirinale, dove abitavano molte prostitute" 
 
Aggettivo derivato: Subūrānus 
 
II Dizionario Latino Olivetti invece riporta questa definizione: 
 
Sŭbūra 
[Subură], Suburae
sostantivo femminile I declinazione 

"Suburra, quartiere di Roma, tra il Celio e l'Esquilino, pieno di negozi e di ritrovi notturni anche malfamati"

Google dà nuova vita ad assurdità popolari come la derivazione di Subūr(r)a da sub "sotto" e da urbs "città", come se fosse una *Suburba, ossia un quartiere "che sta sotto la città". Alla base c'è la confusione con suburbium "sobborgo", pl. suburbia, che è una parola ben distinta: oltre alla diversa morfologia, non si passa da -rb- a -rr-, -r-.
Poi ci sono i romanisti, che hanno la brutta tendenza ad esibire una certa sicumera pedantesca. Se una cosa sfugge alla loro analisi, la relegano nell'Oblio. Trovo inconcepibile che considerino il toponimo Subūr(r)a come "di origine ignota", al pari di infinite altre voci, bloccando ogni ulteriore indagine. Per loro tutto ciò che non è il vocabolario di latino che usavano a scuola, o al massimo quello di greco, è un libro chiuso e lo deve essere per forza, per assioma. Non sono convinto che si tratti di pura e semplice ingnoranza: sembra prevalere una dottrina che vota i suoi seguaci alla negazione radicale e ostinata di tutto ciò che non abbia le sue origini ultime in Roma o nell'Ellenismo, ritenute a loro volta cose inanalizzabili. Le origini di questo atteggiamento deleterio sono con ogni probabilità di natura ideologica.
 
Eppure è ben nota la parola etrusca che ha dato origine al toponimo latino Subūr(r)a: è semplicemente spur(a) "città". Un vocabolo ben attestato e sul cui significato non ci sono dubbi di sorta. I romanisti sono ostilissimi alla conoscenza della lingua dei Rasna e cercano con ogni mezzo di cancellarla, anche a costo di ricorrere a invereconde manipolazioni. 
 
Ecco le attestazioni:   

Genitivo in -al:
spural, śpural "della città", "pubblico"
tular śpural "confine della città" 
cilθl śpural meθlumeśc enaś "del santuario della città e del popolo nostro" (Liber Linteus)  

Ablativo in -es
spures "dalla città"
Nota: 
Deriva dalla contrazione di una protoforma *spura-is, a sua volta da *spura-s-is. Non è un genitivo sigmatico in -s, -ś, come si potrebbe pensare. Resta il fatto che non è tuttora chiara la ragione ultima della coesistenza del genitivo sigmatico con quello in liquida (-l). Per ulteriori dettagli si rimanda a Facchetti. 

Dativo di comodo in -eri
śpureri meθlumeric enaś "per la città e per il popolo nostro" (Liber linteus)  

Locativo in -θi
spureθi "nella città" 
apasi spureθi "nella città del padre" 

Ablativo del suffisso -tra "eccetto, fuori da": 
śpurestreś "del luogo fuori della città" (Liber linteus) 
Nota: 
Questo è un cumulo di suffissi. 

Aggettivo in -na
spurana, śpurana "pubblico"
marunuc spurana "magistratura pubblica"

Antroponimi 
 
Prenome maschile da sostantivo in -ie
Spurie, Śpurie
   genitivo: Spuries
   pertinentivo: Spurieisi
=> Latino: Spurius 
Trascrizione greca: Σπόριος (Spórios)
Nota: 
In etrusco, Spurie, Śpurie è attestato come prenome soltanto nella lingua arcaica, dal VII al V secolo a.C.; in neoetrusco questo prenome sembra scomparso. 
Senza dubbio Spurius è uno dei più antichi prenomi romani: uno Spurius Cassius Vecellinus fu console nel 502 a.C. Oltre al prenome, si segnala anche l'esistenza di un omonimo gentilizio. Per quanto riguarda la trascrizione greca, cfr. Καλπόρνιος (Kalpórnios) per Calpurnius (Watmough, 2017).
 
Gentilizio maschile da aggettivo in -na
Spurana, Śpurana 
Spuriana, Spuriena, Spurina 
   genitivo: Spurianas, Spurienas
   femminile (neoetrusco): Spurinei
Nota:
Il gentilizio è attestato in latino con le seguenti varianti: Spurēnius, Spurennius, oltre a Spurina e Spurinna (vedi Pittau). Si hanno inoltre i cognomina Spurīnus e Spuriānus, che sembrano però formazioni latine a partire dal prenome Spurius
L'aruspice che predisse la morte a Caio Giulio Cesare, non venendo ascoltato, si chiamava Spurinna
 
Prenome maschile da diminutivo in -za
Spuriaza
   genitivo: Spuriiazas, Spuria[z]es 
Nota:
Questo è un semplice diminutivo di Spurie, Śpurie, la cui vocale finale -e doveva avere un suono indistinto /ə/. L'aggiunta del suffisso -za ha portato a un'assimilazione in -a-.
 
Un'attestazione in retico 
 
In retico è attestata la parola sφura "città", in un'iscrizione rinvenuta a Pergine Valsugana. Chiaramente la parola retica e quella etrusca derivano dalla stessa radice prototirrenica (Marchesini, 2019). Si nota che in retico si trovano spesso consonanti aspirate che corrispondono a occlusive semplici in etrusco.  

Possibili paralleli esterni 

Si trova una somiglianza notevole tra il nome etrusco della città, spur(a), e il ben noto toponimo ellenico Sparta. Con ogni probabilità si tratta di un residuo di un sostrato tirrenico.

Greco: Σπάρτη (Spártē) "Sparta" 
 
L'etimologia sostenuta dalla tradizione, secondo cui la roccaforte dei Lacedemoni trarrebbe la sua origine dal vocabolo σπάρτον (spárton) "fune, corda", ha tutta l'aria di essere una paretimologia, che si è diffusa in relazione a un mito relativo alla fondazione dell'eroica città. 
Si trovano alcuni importanti parole microasiatiche che mostrano somiglianze con l'etrusco spur(a). Sono le seguenti:

Licio: sbirte "monumento"
Lidio: sfard "città" 

Il vocabolo lidio è anche l'origine del nome della città di Sardi, greco Σάρδεις (Sárdeis). Il gruppo consonantico sf- è stato semplificato dagli Elleni nella sibilante semplice /s/, dato che all'epoca del prestito non esisteva in greco una fricativa /f/. I Persiani invece hanno adattato il nome lidio come Sparda. Mi sembra evidente che le voci anatoliche sopra riportate condividano la loro origine con il toponimo Sparta e con l'etrusco spur(a). Con buona pace di Pittau, non si ha connessione con l'etnonimo Shardana, la cui somiglianza è soltanto esteriore, essendo del tutto diversa la radice d'origine. 
 
Derivati di spur(a) in latino
 
Oltre che il toponimo Subūr(r)a, abbiamo altri due derivati importanti della radice etrusca passati in latino: 
 
spurius "illegittimo", "bastardo"; 
     in senso figurato: "cattivo" (detto di poeta)  
spurcus "sporco, sudicio, sozzo";
     in senso figurato: "cattivo, brutto" (detto di tempo)
     in senso morale: "contaminato, ignobile, infame,
         abietto, spregevole"


Entrambe le parole hanno la vocale tonica breve:

spŭrius
spŭrcus

Le ragioni dell'irregolarità sono evidenti: l'etrusco era una lingua dalla fonetica molto diversa da quella del latino. Una parola etrusca poteva essere adattata in modo diverso a seconda dell'epoca e del contesto in cui era penetrata nella lingua di Roma. Mentre spurius e spurcus appaiono conformi alla radice dell'originale etrusco spur(a), l'adattamento in Subūr(r)a è stato abbastanza anomalo.
A quanto ricordo, Facchetti suggerisce la presenza di un suffisso -ra, molto comune come formante in etrusco. In questo caso, data la difficoltà dell'ortografia etrusca con le consonanti doppie, la formazione non apparirebbe evidente.

Etrusco *spur-ra > Latino Subūr(r)a 

Sono incline a ritenere questa ipotesi ragionevole e plausibile.

Una glossa molto interessante

Alle due parole spurius e spurcus ne possiamo aggiungere una terza, documentata come glossa in Isidoro di Siviglia (Etymologiarum sive Originum, 9.5.24):

spurium "pudenda muliebra" 

In altri termini, è un nome della fica. La stessa parola è trascritta da Plutarco come σπόριον (spórion) e attribuita ai Sabini (Watmough, 2017). Chiaramente il popolo italico ha preso questo termine dagli Etruschi. La trafila semantica è abbastanza ovvia: 
 
"luogo impuro" => "vulva (promiscua)"  
 
Gli autori antichi, ad eccezione di Plutarco, interpretavano spurium - σπόριον "vulva" e spurius "figlio illegittimo" come derivazioni della radice greca di σπέρμα (spérma) "seme", "liquido seminale" e di σπορά (spora) "seme", "semina", dal verbo σπείρω (spéirō) "io semino", "io genero", "io spargo". In particolare godeva di largo credito la parola σποράδην (sporádēn) "sparsamente", "qua e là", la stessa che ha dato l'aggettivo sporadico. Per i testi in latino e in greco che trattano questa etimologia, si rimanda a Watmough (2017). In epoca recente, ci sono stati tentativi di ricondurre spurius al latino spernō "io divido, separo" (infinito: spernere; perfetto: sprēvī), ad esempio Bonfante (1985). Sono tutti futili tentativi di spiegare Omero con Omero (non rendono conto della fonologia né della morfologia). 

Lo spurio 
 
Forma etrusca ricostruita: *spurie 
Significato originale: "figlio di padre ignoto" (n.), lett.
    "figlio della città"; "illegittimo, bastardo" (agg.)

In italiano la parola spurio è dotta, come dimostra il suo aspetto fonetico: è stata introdotta dai letterati a partire dal latino, per dare maggior chiarezza di pensiero. Non è giunta attraverso una genuina trafila volgare, o avremmo avuto *spóio, *spóro.
 
Lo sporco 
 
Forma etrusca ricostruita: *spurχ 
Significato originale: "pubblico", "di uso comune",
     "promiscuo", "toccato da tutti"
 
Il suffisso aggettivale -c / -χ è ben noto in etrusco. Si veda come esempio di una simile formazione θaurχ "sepolcrale", derivato da θaura "sepolcro", "tumulo".
In italiano la parola sporco è giunta tramite la genuina usura del volgo, come dimostra il suo aspetto fonetico. Un dottismo suonerebbe *spurco
Devoto sosteneva con pervicacia che la pronuncia toscana della parola, spòrco, con la vocale /ɔ/ aperta, derivasse da un "incrocio" con porco: nell'immaginario popolare toscano lo sporco avrebbe avuto origine da un porco con una s- prefissa. 
Francamente non avverto alcuna necessità dei grotteschi "incroci" del Devoto, creazioni che mi suonano assurde e folli come il gorgogliare di Azathoth nel centro dell'Universo. Nell'italiano corrente, la pronuncia diffusa ovunque è spórco, con la vocale /o/ chiusa, perfettamente spiegabile con una trafila regolare dalla parola latina. L'irregolarità del toscano spòrco si spiega piuttosto con un'antica variante *spŏrcus dovuta a un diverso adattamento dell'etrusco in latino volgare. 
 
La sburra!  
 
Anni fa l'amico Sandro "Zoon" Battisti mi chiese, avendo appreso le mie disquisizioni sull'etimologia di suburra, se la parola volgare sburra "sperma, eiaculato" (variante del più comune sborra) avesse la stessa origine - vista l'indubitabile somiglianza fonetica. Fui sorpreso dalla domanda e lì per lì gli risposi che non esiste alcuna connessione. A distanza di tanto tempo, mi sono chiesto se non avesse ragione Sandro "Zoon" a sospettare un collegamento, convincendomi infine che aveva piena ragione. 
 
I romanisti ritengono che sborra (donde sburra) sia un derivato della parola greca βόθρος (bóthros), glossato come "torrente", "voragine", da cui proverrebbe anche burrone. In altre parole, secondo loro l'eiaculato sarebbe un torrente, in quanto è qualcosa che sgorga. Quindi sborrare proverrebbe da un ipotetico *exbothrare, che per retroformazione avrebbe dato il sostantivo *exbothra, cioè sborra. Invece è ben possibile che sborra, sburra siano semplici evoluzioni fonetice di una forma aggettivale sostantivata, un neutro plurale spuria col senso di "cose impure", che sarebbe poi passato a significare "liquido seminale". Credo che sia abbastanza verosimile - anche perché la traduzione di bóthros con "torrente" sembra piuttosto fallace. Nella semantica ellenica non sembra esserci traccia alcuna di un flusso, dello scorrere di un liquido: la parola indica una cavità, un vuoto. A quanto risulta, il flusso è un'invenzione pura e semplice dei romanisti.  
 
Queste sono le definizioni riportate sul dizionario online Perseus di greco antico (Henry George Liddell, Robert Scott, A Greek-English Lexicon, 1940): 
 
 
βόθρ-ος , ὁ, 

A.hole, trench, or pit dug in the ground, “βόθρον ὀρύξαι” Od. 10.517; βόθρου τ᾽ ἐξέστρεψε [τὴν ἐλαίαν] Il.17.58; trough, Od.6.92: generally, hollow, X.An.4.5.6; grave, IG14.238 (Aerae); ritual pit for offerings to “ὑποχθόνιοι θεοί, β. καὶ μέγαρα” Porph.Antr.6.
 
1) buco, trincea o fossa scavata nel terreno 
2) trogolo 
3) cavità 
4) tomba 
5) fossa rituale per le offerte. 
 
Menzioniamo infine la falsa etimologia, assolutamente infondata, di un commentatore privo di qualsiasi base, che separava sburrare da sborrare ritenendole due parole diverse; considerava quindi il sostantivo sburro (variante di sburra) un semplice derivato di burro. Secondo costui, lo sperma sarebbe una sostanza caratterizzata dal colore e dalla consistenza del burro sciolto. Ha confuso sburrare, variante di sborrare, con l'omofono sburrare "togliere al latte la parte grassa" (ormai desueto).
 
Un inganno: portoghese porra, esporra 
 
Girando a lungo nel sito XHamster, mi sono imbattuto spesso in video porno brasiliani, da cui risulta che in portoghese porra o esporra traduce l'italiano sborra. Esempi: "Minha esposa puta adora chupar um pau grande e engolir uma boca cheia de porra", "Milf recebe porra na boca", "Esporra dentro da cona tuga" e via discorrendo. Appurato che esporrar significa proprio "sborrare", ho subito pensato che l'etimologia dovesse essere identica a quella del verbo italiano. Mi sono dovuto ricredere. Mi sono bastate brevi ricerche per capire che siamo di fronte a una somiglianza ingannevole. 

porrum "porro" 
   neutro plurale (con significato collettivo): 
   porra "porri"
 
Lo slittamento semantico è stato questo: 
 
porri => mazza => pene =>
=> eiaculazione => sperma, sborra

La pronuncia del portoghese brasiliano porra è /'poha/. Allo stato attuale delle cose, la somiglianza con l'italiano sborra è soltanto grafica.  

venerdì 12 febbraio 2021

UN INQUIETANTE MANUFATTO AMAZZONICO: LA GABARORA

I culti del cargo si sono formati in alcune società isolate in seguito all'incontro con le popolazioni occidentali e con la loro tecnologia. Gli esempi più conosciuti sono tipici della Melanesia e della Micronesia, ma ne esistono anche in altre aree del pianeta. Il mondo accademico tende a considerare questi sistemi di credenze come forme di millenarismo sincretico (elementi nativi + elementi cristiani), ma si può dimostrare che si tratta di una definizione inesatta o perlomeno incompleta, dato che non è in grado di spiegare la totalità dei fenomeni. La caratteristica portante dei culti del cargo è la fede nel potere del feticcio. La sostanza è descrivibile con poche parole: "Le genti dell'Occidente portano doni e hanno mezzi incredibili. Costruendo simulacri che imitano la forma di questi mezzi, si otterranno altri doni e si potrà vivere senza lavorare." I movimenti religiosi di questo genere cominciarono a sorgere in seguito ai viaggi delle navi esploratrici occidentali durante il XIX secolo e si intensificarono nei primi decenni del secolo successivo. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale ci fu nel Pacifico un immenso traffico di navi e di aerei da carico (in inglese cargo), pieni di beni alimentari e tecnologici. Quando il Giappone fu sconfitto, quelle rotte finirono presto con l'essere abbandonate. Per attrarre di nuovo le navi e gli aerei da carico, che portavano immensa prosperità, i credenti dei culti del cargo hanno cominciato a costruire grotteschi simulacri di aerei in grandezza naturale, fatti con legno e fibre di palma. Non solo: hanno anche costruito copie grossolane di piste di atterraggio e di cabine di comunicazione, con tanto di radio finte e di cuffie inutilizzabili. Hanno portato avanti l'imitazione accurata della gestualità del personale militare statunitense, che avevano a lungo potuto osservare.
 
La gabarora è forse la forma più inquietante di culto del cargo. Purtroppo devo constatare che non ci sono molti studi sull'argomento. Stando a quanto è riportato nel vasto Web, nell'Amazzonia profonda sono stati trovati indigeni che costruivano simulacri di legno imitanti alla perfezione la forma di un registratore. Il nome gabarora, dato a questi spettrali manufatti, è chiaramente un prestito dal portoghese gravadora "registratore", o secondo alcuni dallo spagnolo grabadora, che ha la stessa origine. L'adattamento di gravadora alla fonetica tipica di una lingua nativa sudamericana è semplice: il gruppo consonantico iniziale /gr/ si è ridotto a /g/ perdendo l'elemento rotico; l'occlusiva /d/ tra due vocali si è rotacizzata in /r/. Giova far notare che simili sviluppi si sono avuti anche nelle isole della Melanesia, dove cargo è diventato kago. Il manufatto ligneo amazzonico veniva utilizzato fino a tempi abbastanza recenti allo scopo di parlare con gli spiriti dei defunti, e forse qualcuno ne fa tuttora uso. La spiegazione è in apparenza molto semplice. Gli Indios che hanno visto i brasiliani lusofoni o i peruviani ispanofoni ascoltare voci servendosi di un magnetofono, hanno creduto che quei suoni venissero dal Regno dei Morti. Il principio è quello della magia simpatica. Forse nessuno tra quelle genti si aspettava davvero che da una gabarora potessero uscire a comando suoni di qualunque natura: pensavano soltanto che a forza di insistere, presto o tardi la magia degli Antenati avrebbe potuto funzionare, che le loro voci ultraterrene si sarebbero manifestate, seppur in tempi che trascendono la vita di un singolo individuo. In questo senso l'uso della gabarora può essere definito propriamente come un culto millenaristico - anche se del tutto privo di componenti cristiane discernibili.  
 
Purtroppo le fonti sono scarse e non consentono al momento grandi approfondimenti. In pratica è sempre la stessa frase che ricorre in varie lingue nel Web. La riporto senz'altro in questa sede, perché tutti possano prendere atto di ciò che dico.  
 
Italiano:  

"Alcuni Indios dell'Amazzonia hanno scolpito imitazioni in legno di registratori di audiocassette (gabarora, dal portoghese gravadora o dallo spagnolo grabadora) che usano per comunicare con gli spiriti." 

Inglese:

"Some Amazonian Indians have carved wood mock-ups of cassette players (gabarora from Portuguese gravadora or Spanish grabadora) which they use to apparently make contact with spirits."

Tedesco:

"Einige Indianer Amazoniens schnitzten hölzerne Modelle von Kassettenrecordern (gabarora von portugiesisch: gravadora), die sie verwendeten, um mit den Geistern in Verbindung zu treten." 
 
Francese:
 
"Certains Indiens d'Amazonie ont sculpté des modèles en bois de magnétophones (gabarora du portugais: gravadora) qu'ils utilisaient pour communiquer avec les esprits." 

Spagnolo:

"Algunos indios amazónicos tienen imitaciones de madera tallada de grabadoras de casete de audio (gabarora, de la gravadora portuguesa o de la grabadora española) que utilizan para comunicarse con los espíritus."

Portoghese:

"Alguns índios da Amazônia esculpiram em madeira modelos de gravadores (gabarora do português: gravadora) que usavam para se comunicar com os espíritos."

Rumeno:
 
"Unii indieni din Amazon au sculptat imitații de lemn de casete audio (gabarora, din gravadora portugheză sau din grabadora spaniolă) pe care le folosesc pentru a comunica cu spiritele.
 
Russo:
 
"Некоторые индейцы Амазонки вырезали из дерева модели кассетных аудиоплееров, с помощью которых они разговаривали с духами." 

Nella versione in russo non è menzionato il nome gabarora con la sua etimologia, ma il resto è identico. Probabilmente il traduttore, di certo un putiniano, avrà ritenuto superflua ogni considerazione filologica.
 
Con ogni probabilità è partito tutto da un utente che ha scritto sulla Wikipedia in italiano, quindi sono state fatte le traduzioni nelle altre lingue. La fonte ultima non è a quanto pare reperibile. 

In testi scritti in basco si trovano diverse occorrenze della parola Gabarora, che però non ha niente a che vedere con ciò che stiamo trattando: è una forma declinata del toponimo Gabaro.
Gabarora "a Gabaro". 
 
Ecco un brano con un'attestazione: 

Lenaukuek esate eben Markiña aldeko neskatxa bat juun zala Gabarora ardizañara, ta kuebien ondora juun zanien Anbotoko Señoriek barrura sartu ebala, da antxe azi ebala neskatilla eederra. Bertan neskatilliek eitten eban biarra zala goru eiñ da goru eiñ da sekula ez ebala kanpora urten. Berak nai eban guztian kanpotik ekartzen eutsela Señoriek. Señoriek esan eutsela zen: “kanpora urten biar dozu ointxe”. Berak ez ebala urten nai izen, ondo eguala ta. Ta prestau zanen kanpora urteteko, sea’eutsela Señoriek: “artu izu ortxe esku bete iketz”. Esa’eutsela zen: “zetako dut nik iketza?”. Artu ebala eta urten ebala iketzaz, ta kanpon eskure bgitu ebanean, dana urre gorrixe izen zala. 
 
Traduzione: 

"Gli Antichi raccontano che una bambina della regione di Markiña era andata a pascolare le pecore a Gabaro, e quando la Signora di Anboto è entrata, ha trovato lì la bellissima bambina. Lì le bambine hanno detto che non erano mai state fuori per anni. Voleva sempre che la Signora la portasse fuori. È stato quello che ha detto la Signora: "Starai qui fuori per anni". Non ha un nome da anni, sta bene. E quando era pronta per uscire, la Signora disse: "Prendi le mani piene di carbone". Si diceva: "Avrò il carbone?" È stato scaldato e scaldato per anni con la carbonella, e quando è stato messo all'esterno, tutto si chiama oro rosso." 
 
Questo si legge su Twitter ed è ben più moderno:

19 urte!!! Ta gaur barriro be Gabarora bueltia! Ta barriro zin egin dogu amesten zendun #Askatasuna lortu arte, lanean  jarraituko dogula!

Traduzione:

"19 anni!!! Ritorno a Gabaro oggi! E ancora una volta abbiamo giurato che fino a quando non avremo la #Libertà che sognavamo, continueremo a lavorare!" 

Come si può vedere, i falsi positivi sono molto insidiosi! 
 
Con grande fatica e per pura serendipità sono riuscito a trovare su un sito argentino qualcosa di pertinente alla nostra ricerca:

 
"Uno de los ejemplos más patéticos de cargo cult es la “gabarora” (grabadora), una radio tallada en madera que los aborígenes de la Amazonia usaban para comunicarse con los espíritus. Pero cuando se difundieron entre nosotros los primeros celulares, aparecieron los teléfonos truchos que no comunicaban, pero alcanzaban para hacer mímica y darse aires de fashion. Después, la electrónica de consumo se fue abaratando hasta hacerse accesible tanto a las tribus amazónicas como a las porteñas: las baratijas siempre son más baratas que la calidad de vida."
 
Traduzione: 
 
"Uno degli esempi più patetici di culto del cargo è la "gabarora" (registratore), una radio in legno intagliato che gli aborigeni dell'Amazzonia usavano per comunicare con gli spiriti. Ma quando i primi cellulari si sono diffusi tra noi, sono comparsi dei telefoni finti che non comunicavano, ma bastavano per imitare e per darsi arie alla moda. Successivamente, l'elettronica di consumo è diventata più economica fino a farsi accessibile sia alle tribù amazzoniche che a quelle di Buenos Aires: i ninnoli sono sempre più economici della qualità della vita." 
 
Anche se l'informazione di base è in buona sostanza la stessa della frase memetica wikipediana, troviamo in più qualche commento di scarsa utilità. L'autore, senza dubbio un marxista, si dimostra incapace di comprendere l'antropologia e riduce tutto alla crassa materialità economica.
 
Domande inevase:
 
1) In quale zona dell'Amazzonia si è registrata a produzione di registratori fittizi e di altri simili manufatti?
2) Quali popoli nativi sono coinvolti in questa forma di culto del cargo? Dove ha avuto origine? 
3) In quante lingue amerindiane amazzoniche è documentato il vocabolo gabarora e con quante varianti? Esistono altre denominazioni? 
4) È tuttora praticato questo culto de cargo o è estinto? In questo caso, quando si è estinto e in che circostanze?
5) Dove si possono trovare testimonianze fotografiche di registratori fittizi e di altri simili manufatti?  
6) Quali studiosi si sono occupati di questo fenomeno?
7) Come reperire i testi con le necessarie menzioni o gli eventuali articoli pubblicati sull'argomento?

venerdì 12 giugno 2020

 
COBRA VERDE

Titolo originale: Cobra Verde
Paese di produzione: Germania Ovest
Anno: 1987
Lingua: Tedesco, Ewe   
Durata: 111 min
Genere: Avventura
Regia: Werner Herzog
Soggetto: Bruce Chatwin (dal romanzo Il viceré di Ouidah)
Sceneggiatura: Werner Herzog
Produttore: Lucki Stipetić
Produttore esecutivo: Walter Saxer, Salvatore Basile
Fotografia: Viktor Růžička
Montaggio: Maximiliane Mainka
Musiche: Popol Vuh
Scenografia: Ulrich Bergfelder
Costumi: Gisela Storch
Interpreti e personaggi:
    Klaus Kinski: Francisco Manoel da Silva/Cobra Verde
    King Ampaw: Taparica
    José Lewgoy: Dom Octavio Coutinho
    Salvatore Basile: Capitano Fraternidade
    Peter Berling: Bernabé
    Guillermo Coronel: Euclides, il taverniere nano
    Nana Agyefi Kwame II: Re Bossa Ahadee
    Nana Fedu Abodo: Yovogan
    Kofi Yerenkyi: Bakoko
    Kwesi Fase: Kankpé
    Benito Stefanelli: Capitano Pedro Vicente
    Kofi Bryan: Messaggero del Re Bossa
    Carlos Mayolo: Governatore di Bahia 
    Marcela Ampudia: Bonita
    Maria Elvira Chavez Mejia: Wanderleide
    Luz Marina Rodriguez Molina: Valkyria
    Awudu Adama
    Ho Ziavi' Zigi Cultural Troupe: Coro di ragazze danzanti
Doppiatori italiani:
    Dario Penne: Francisco Manoel da Silva/Cobra Verde
Location:
    Colombia (Villa de Leyva, Valle del Cauca), Brasile, Ghana
Colonna sonora:
   Cobra Verde è il sedicesimo album dei Popol Vuh (1987).
   Contenuto:
   1. Der Tod des Cobra Verde (4:35)
   2. Nachts: Schnee (1:51)
   3. Der Marktplatz (2:30)
   4. Eine andere Welt (5:07)
   5. Grab der Mutter (4:30)
   6. Die singenden Mädchen von Ho, Ziavi" (Zigi Cultural
       Troupe Ho, Ziavi) (6:52)
   7. Sieh nicht überm Meer ist's (1:26)
   8. Hab Mut, bis daß die Nacht mit Ruh' und Stille kommt
      (9:32)
   2006 bonus track
      OM Mani Padme Hum 4" (Piano Version) (5:28)
   Compositore: Florian Fricke (tranne il coro danzante)
 
Trama: 
Una siccità spaventosa colpisce il Sertão, una desolata regione del Brasile, uccidendo il bestiame del fattore Francisco Manoel da Silva. L'uomo biondo e segaligno si trova costretto a lavorare come garimpeiro in una fangosa miniera d'oro, una specie di girone infernale a cielo aperto. Quando il padrone lo priva della paga, Da Silva insorge e lo uccide. Si rifugia quindi nella foresta, dove assume il nome di Cobra Verde (ossia "Serpente Verde") e diventa un temutissimo bandito che semina il terrore nel Sertão. Durante una visita in una città, assiste alla fustigazione di un mandingo. Un compagno dello schiavo legato al palo cerca di fuggire, ma incontra lo sguardo truce e gelido del Cobra Verde, che con la sola forza di volontà lo convince a ritornare al luogo della punizione e a sottoporsi alle frustate. Dom Octávio Coutinho, un proprietario terriero, è testimone dell'accaduto e ne resta profondamente colpito: dice quindi al bandito biondo che gli servono uomini come lui e gli propone di fare il guardiano degli schiavi che lavorano nelle sue piantagioni di canna da zucchero. Cobra Verde accetta l'incarico, pensando bene di nascondere la propria problematica identità di fuorilegge. Per un po' tutto sembra filare liscio. I guai iniziano per via di un fatto oltremodo singolare: l'uomo manifesta una strana reazione alla vista dei corpi femminili, caratterizzata da inturgidimento dei corpi cavernosi e da sommovimento dei dotti seminali, accompagnata da impellente necessità di eiettare lo sperma a contatto con l'oggetto del desiderio. Accade così che Cobra Verde, già noto per essere un infaticabile montatore, particolarmente arrapato dalle donne di colore, si lascia sedurre dalle figlie mulatte di Dom Coutinho, possedendole carnalmente e ingravidandole tutte. "Tanto non ho niente da perdere", dice tra sé e sé prima di iniziare a penetrare quel ben di Dio. Secondo le costumanze barbariche di quel contesto, Dom Coutinho avrebbe potuto far uccidere all'istante il seduttore delle sue figlie - che ormai gli ha rivelato la propria identità banditesca. Invece gli propone un affare lucroso ma pericolosissimo, sperando di provocarne così la morte. Francisco Manoel da Silva Verde è incaricato di recarsi in Africa, nel Regno di Dahomey, allo scopo di riaprire la rotta atlantica del commercio degli schiavi, forzando il blocco navale imposto dagli Inglesi. Gli concedono l'apposita patente di mercante di esseri umani e gli aprono un conto in banca, in cui saranno depositati i proventi del suo lavoro. Arrivato in Dahomey, il Re Bossa Ahadee lo riceve e si lascia da lui convincere a riprendere le forniture di schiavi; gli concede anche di prendere possesso della roccaforte portoghese di Elmina, abbandonata da tempo, facendone la propria residenza. Tra quelle mura il brasiliano trova Tarapica, un robusto Yoruba libero, unico superstite della precedente spedizione. I due diventano subito soci e riescono con successo a restaurare la rotta atlantica, inviando carichi di schiavi in Brasile. La loro fortuna dura poco: il Re Bossa, che è mentalmente instabile, accusa Da Silva di un gran numero di crimini fantomatici, tra cui l'avvelenamento del levriero reale. La condanna è la pena di morte per decapitazione. Accade l'insperato: il nipote del sovrano fa rapire nottetempo Da Silva e Tarapica, pensando di utilizzarli in un complotto. Il suo intento è infatti quello di rovesciare Re Bossa e di salire al trono. L'impresa ha qualcosa di eroico. L'uomo venuto dal Brasile addestra un esercito di donne gerriere, riuscendo col duro impegno nel suo intento di portate a compimento la Rivoluzione. Le cose però non vanno come si attendeva. Non appena il tiranno è stato abbattuto, il nuovo Re abbandona chi gli ha permesso di ottenere la vittoria. La vita di Da Silva è sconvolta da una ferale notizia: la schiavitù è stata abolita dal Brasile. Il suo conto in banca è stato confiscato. Non gli rimane più alternativa. Non può ritornare nella sua terra d'origine, dove lo aspetta la forca. Ammesso e non concesso che riesca ad arrivarci, visto che l'Inghilterra ha messo una taglia sulla sua testa. I suoi sogni sono annientati: le sue ultime forze le impiega nel vano tentativo di mettere in mare una grossa barca senza remi e senza vela. 
 

Incipit: 

"La madre di Francisco Manoel sospira,
Francisco, sento tanto dolore, ho paura.
La madre di Francisco Manoel sta gridando.  
La siccità è durata per quasi dodici anni,
Son malate le pietre, il mondo sta finendo,
E se soffri t'inganni.
Io ora morirò. Fa' piano, questa panca per tristezza si spezza.
Non muoverti, sta' fermo.
L'alba, la terra, l'acqua stan diventando nere.
Dio perplesso fa finta che sia il suo volere.
Francisco nel suo viaggio legge un verso del cielo,
Non fissare lo sguardo al sabbioso orizzonte, alla spiaggia salata,
Non chiedere ragioni, non indagare il torto: inutili questioni.  
Il Fato ti riserva questo regalo antico,
Ti manderà un'amante, ti manderà un amico."

Recensione: 
Le febbrili vicende narrate dalla pellicola hanno come epilogo l'annichilimento del protagonista, che in ogni istante della sua esistenza terrena ha lottato invano contro quell'orrida e plumbea cosa chiamata "realtà". Un uomo deformato dalla poliomielite procede sulla battigia, con andatura quadrupede. La sua figura distorta e sofferente sembra il sigillo geroglifico dell'avventura fallimentare di Cobra Verde, quasi il sardonico e beffardo commento delle spaventose forze che muovono il Destino. Nelle originali intenzioni del regista, Francisco Manoel da Silva sarebbe dovuto morire affogato mentre cercava di far scivolare tra le onde la pesantissima imbarcazione. La morte sarebbe stata per lui la fine dei tormenti della vita, ma non avrebbe aggiunto nulla alla narrazione. Egli appartiene a quella specie di uomini che non si sentono a loro agio da nessuna parte. 
 
"Come descrivere questa mia stupida esistenza? Come dire quanto sia triste e solitaria, senza famiglia, senza amici? Il solo uomo bianco in questo paese, forse nell'intero continente. Intanto sono diventato padre di 62 bambini, ma questo non mi procura alcuna soddisfazione. Può darsi che l'anno prossimo io possa tornare, e sposarmi. Vorrei vivere nella terra del ghiaccio e della neve. Ovunque, purché sia lontano da qui. Il caldo è crudele e non dà tregua, ti scorre dentro il corpo come una febbre. Eppure, nonostante ciò, il mio cuore si fa ogni giorno più freddo." 
 
Quando si è in Brasile, l'Africa è una terra utopica. Quando si arriva in Africa, il Brasile è il Giardino dell'Eden.  
 
 
Visioni apocalittiche 
 
Fortissimo è il tema herzoghiano della decadenza cosmica, che pochi sembrano aver notato. Il bandito Cobra Verde giunge in una città, suscitando il terrore della popolazione, Si scatena un fuggi fuggi generale, tutti corrono a nascondersi, urlando in preda alla disperazione. Un bambino cerca di trasportare un barile facendolo rotolare, poi vi rinuncia. Nella piazza, piena di sporcizia, una scrofa brunastra grufola oscenamente mentre viene montata con fatica da un magro verro grigio chiazzato di bianco. La prima volta che ho visto il film ho avuto una distorsione percettiva: ai miei occhi quel verro è sembrato un cane! Solo guardando con attenzione ho potuto capire che quello non era un atto di bestialità tra specie diverse. C'è un altro dettaglio degno di nota, non facile a stamparsi nella memoria perché l'azione accade in pochi secondi: è in corso un funerale e qualcuno ordina a gran voce di riportare la bara indietro nella chiesa. Il prete, colto dal marasma e oppresso dai paramenti sgargianti, si affretta a salire le scale da cui era appena sceso, inseguendo il feretro. I partecipanti lo imitano prontamente, accalcandosi e incespicando, come se si fossero defecati nelle brache!  

La Venere Nera 

Spicca una scena surreale di altissimo valore simbolico. Cobra Verde raggiunge una regione selvosa in cui sorge lo scheletro di una grande chiesa in rovina. A un certo punto passa un convoglio di schiavi e di asini, con molti bagagli. In due reggono una portantina velata di bianco. Il bandito spara e mette tutti in fuga. Poi urla: "Il danaro o la vita!" Dalla portantina esce una Venere Nera, coperta di un lungo velo bianco. La donna prosperosa risponde con voce sensuale: "La vita!" Avanza con movenze languide, mimando una danza erotica, quindi si getta tra le braccia dell'uomo. I due si conoscono e sono amanti. L'uomo percorre molte miglia a piedi ogni giorno per potere incontrare la Venere Nera. È scalzo e afferma di non potersi fidare delle scarpe. Non si fida nemmeno di un cavallo, proprio come non si fida della gente. "La sola cosa che voglio è andare via di qui verso un altro mondo", aggiunge. Non ha la benché minima idea delle delusioni che lo attendono.   

 
La poesia del Taverniere Nano 

In questo film trova spazio una delle più bizzarre ossessioni di Herzog: la tematica nanesca! Già il bambino che spinge il barile desta qualche sospetto, in quanto non ci si riesce a togliere dalla mente l'idea che sia in realtà un nano. Poi, quando Cobra Verde entra nella locanda, vediamo che il suo gerente è un autentico nano. Per la precisione, è affetto da nanismo ipofisario (infatti è abbastanza ben proporzionato nelle membra). Il taverniere si presenta: il suo nome completo è Euclides Alves da Silva Pernambucano Wandereley. Il bandito nota subito il cognome Da Silva. Non è improbabile che i due siano lontani parenti. Euclides ha un'innata vena poetica e lo dimostra subito: "Soltanto la mia schiena e il mio torace sono deformi. La notte sogno di trasportare un'intera catena di montagne sulle mie spalle." Cobra Verde ne è subito ammirato. "Hai più fegato tu di tutta questa città", commenta. Euclides gli porta da mangiare, con ogni probabilità riso e fagioli. Il fuorilegge resta fino a notte fonda a farsi una bella bevuta di acquavite di canna, e nel frattempo ascolta con grande interesse. Riporto il dialogo:      

Cobra Verde: "Come fai a sapere tante cose?"
Euclides: "Le so dal nostro prete, e lui le ha imparate dal nostro vescovo." 
Cobra Verde: "E da dove viene la neve?" 
Euclides: "Aah! Puoi vederla tu stesso, viene giù dalla luna. C'è tanta neve sulla luna. È per questo che la vedi così bianca. Bianca e fredda. Se guardi con attenzione la vedi." 
Cobra Verde: "Come succede?" 
Euclides: "Beh, ecco, la luna tira su l'acqua che le serve dall'oceano e poi, quando arriva la notte, le cime delle montagne attraggono i fiocchi di neve. Dentro la neve c'è del sale, ma solo tanto quanto ce n'è nelle nostre lacrime." 
Cobra Verde: "E dove si trova?"
Euclides: "Oh, molto, molto lontano. Devi andare verso ovest. Ci vogliono quattro anni a dorso di cavallo e dieci a piedi. E alla fine del viaggio troverai delle grandi, grandi montagne, che si innalzano sempre più alte, fino a raggiungere le nuvole, e quando avrai raggiunto le nuvole, allora là troverai la neve. La neve cade solo durante la notte, e viene giù leggera come le piume, ed è la luna a mandarcela e ce la manda giù attraverso le nuvole. E quando arriva, è come se l'intero mondo diventasse leggero, come il cotone. Soffice e leggero. E allora anche i leoni diventano bianchi, e anche le aquile reali. Tutto si avvolge in un candido mantello e non capisci più dov'è l'inizio e dov'è la fine. E quando cammini in mezzo alla neve, i tuoi piedi non pesano assolutamente niente. E i fiocchi ti girano intorno, ti accarezzano, ti sfiorano leggeri, come piume di uccelli."
Euclides (dopo una pausa): "Fra un anno o due venderò questa locanda, andrò ad ovest e mi arrampicherò in cima a quella montagne!"  
Cobra Verde: "Io andrò verso il mare. Il Sertão inaridisce i cuori e uccide il bestiame." 
Euclides: "Quando arrivi al mare fai molta attenzione. Perché è da lì che nascono gli uragani, e anche i fiocchi di neve. Almeno così ti ci eleveranno padre!" 
Cobra Verde (stringendo la mano ad Euclides): "Non ho mai avuto un amico in tutta la mia vita. Addio amico!"  

Tutto questo è puro genio! È struggente! Una visione utopica della neve e del gelo.   
 
Zucchero insanguinato  
 
La lavorazione della canna da zucchero è lunga e complessa. Richiede grande cura ed esperienza, oltre alla dura fatica. Dom Coutinho ne illustra per sommi capi le varie fasi. A un certo punto Cobra Verde è testimone di un fatto orribile. Uno schiavo mandingo rimane con un braccio intrappolato in un ingranaggio. Un suo compagno è costretto a recidere l'arto servendosi di un machete. Il fatto è ritenuto pura e semplice quotidianità. È ritenuto normale. Quindi irrilevante. Eppure all'improvviso siamo messi di fronte a una tremenda verità: in questo mondo tutto è insanguinato, persino lo zucchero!  

 
Il concetto di razza in Brasile 

Nel Profondo Sud degli States, nella Confederazione, bastava una goccia di sangue africano per fare di una persona un "negro". Anche se il suo aspetto era in tutto e per tutto quello di un bianco. Ricordo vagamente un film in cui una divina attrice, credo che fosse Ava Gardner, si trovava ad essere considerata una "negra" perché nelle sue vene scorreva un ottavo o un sedicesimo di sangue nero. In Brasile è in vigore un concetto completamente diverso, fondato sul fenotipo anziché sull'interezza del corredo genetico. In altre parole, una persona è classificata come preto "nero", pardo "mulatto" (alla lettera "marrone, bruno") o branco "bianco", non tanto per via dei suoi ascendenti, bensì del suo mero aspetto fisico, della sua apparenza. Quindi una persona con un ottavo o con un sedicesimo di sangue nero è considerata bianca a tutti gli effetti. Le interazioni tra queste parti della popolazione seguono dinamiche complesse e difficilmente comprensibili. Solo per fare un esempio, di solito gli uomini pardos cercano di sposare una moglie bianca o comunque dalla pelle più chiara della propria. Il personaggio di Manoel Francisco da Silva ci mostra uno schema di comportamento molto diverso: egli è un uomo dai caratteri somatici nordici, che potrebbe essere un discendente dei Goti, ed ama possedere carnalmente un gran numero di donne nere o mulatte - tanto che ci si potrebbe anche chiedere se in vita sua abbia mai conosciuto una bianca. In Brasile è una pratica comune e radicata viaggiare in lungo e in largo, intrattenere relazioni occasionali con donne sconosciute e ingravidarle, senza che la cosa comporti biasimo sociale. Le realtà di quella terra sono incredibili e varie. Pochi sanno che la Confederazione continua a vivere nel comune di Americana (Stato di San Paolo), dove la Bandiera Ribelle è tuttora molto venerata dai discendenti degli esuli giunti dopo la fine della Guerra di Secessione. Ebbene, non di rado si vedono persone di colore portare con orgoglio il vessillo dei Confederati! 

Anacronismi e altre incongruenze 

La vicenda di Cobra Verde inizia verso il 1880 e si conclude esattamente nel 1888, anno in cui avvenne la definitiva abolizione della schiavitù nell'Impero del Brasile. Il Re del Dahomey, Bossa Ahadee, è vissuto in realtà un secolo prima degli eventi narrati nel film: noto anche come Tagbesu (Tagbessou), regnò dal 1740 al 1774. Negli anni in cui è ambientata la pellicola regnava invece Glele (Glèlè), detto anche Badohou, che morì nel dicembre del 1889.   
 
Sono stato colpito dall'insegna della taverna il cui gerente è il nano Euclides: riporta la scritta "BAR RESTAURANTE". Una scritta che suona molto moderna. Sappiamo che la parola "bar" nella sua attuale accezione era già in uso nel mondo anglosassone, eppure mi sembra strano che fosse già stata importata in Brasile sul finire del XIX secolo. Probabilmente è un insidioso anacronismo di cui Herzog non si è accorto. Può anche darsi che io mi sbagli, sarebbero necessarie ricerche approfondite che esulano dallo scopo di una recensione e che richiederanno una trattazione in altra sede.
 
Nel paese africano notiamo la presenza di abbondanti fichi d'India (nome scientifico: Opuntia ficus indica), cosa un tantino singolare. Non ho approfondite conoscenze di botanica storica che mi permettano di dire se tale specie è attecchita in Africa. Sappiamo che è ben acclimatata in Sicilia, così potrebbe anche darsi che fosse presente nel Dahomey sul finire del XIX secolo. Quando ho appreso che il film è stato in parte girato in Colombia, lì per lì ho pensato che l'incongruenza potesse avere questa origine. Sembra tuttavia che le scene ambientate in Africa non siano state girate in Sudamerica, bensì in Ghana, così il problema persiste. 

Ricorre un errore geografico abbastanza marchiano. Mentre il Regno di Dahomey si trovava in quello che oggi è chiamato Benin, il forte portoghese di Elmina sorge nel territorio del Ghana, a oltre 500 chilometri dalla capitale del Re Bossa. Per raggiungerlo è necessario andare dal Dahomey verso occidente, cosa che Francisco Manoel da Silva non avrebbe potuto fare con una semplice passeggiata. 
 
Il fratacchione paraninfo 

La religione del Dahomey era il culto Voodoo (Vodun). Un pingue missionario si trova a corte da tempo, ma i suoi tentativi di ottenere conversioni alla Chiesa Romana si sono sempre dimostrati pressoché inutili. L'ecclesiastico, vagamente somigliante a un Bud Spencer semicalvo, invecchiato ed incattivito, vestito con un saio bianco, ha approfittato dell'ospitalità del Re Bossa per spargere il proprio seme in un gran numero di ventri femminili fecondi, generando così tanti figli da rendere difficile la conta. In particolare le figlie le fa prostituire senza scrupolo alcuno: in poche parole è un pappone della peggior specie. Nessuno mette in dubbio il suo fervore religioso, che però non impedisce interpretazioni a dir poco bizzarre delle dottrine eucaristiche cattoliche: quando sta distribuendo la comunione ai suoi pochi parrocchiani, non esita a dare l'ostia in bocca a una capra maculata!  
 
 
Il viceré di Ouidah  
 
Bruce Chatwin scrisse un lungo e complesso romanzo, intitolato Il viceré di Ouidah (prima edizione: 1980), pubblicato in Italia da Adelphi (1983). Werner Herzog ha comperato dallo scrittore i diritti cinematografici sull'opera, in modo tale da poterne trarre ispirazione per il suo film. La trama del romanzo in questione è per necessità molto più elaborata di quella di Cobra Verde: moltissimi dettagli e sviluppi narrativi non sono stati trasposti in pellicola. L'opera di Chatwin all'epoca fu considerata "eccessivamente violenta" e "barocca" dai soliti critici radical chic pieni di nauseante buonismo politically correct. L'ispirazione venne allo scrittore nel corso di una sua visita in Benin, in un periodo molto difficile di torbidi politici. La figura di Francisco Manoel da Silva è ispirata a quella di Francisco Félix de Sousa (scritto anche Souza), un negriero vissuto agli inizi del XIX secolo. Nato a Bahía nel 1754, morì a Ouidah nel 1849, alla venerabile età di 94 anni. Era riuscito a diventare il Viceré (chacha) del Regno di Dahomey. È stato definito "il più grande mercante di schiavi". Pochi sanno che i suoi discendenti, che portano il suo cognome, sono tuttora tra le famiglie più potenti dell'intera Africa, se non addirittura la più potente. Si trovano in Benin, Ghana, Togo e Nigeria. Una cosa sorprendente salta subito agli occhi: mentre Francisco Félix de Sousa somigliava un po' a Garibaldi ed era biondiccio, i suoi discendenti sono tutti neri. Non è così difficile comprenderne il motivo: il Viceré ebbe un harem di donne native e fu padre di un'ottantina di figli. Fu sepolto in un santuario della religione Vodun, che praticava assiduamente nonostante l'adesione di forma alla Chiesa Romana. 
 
Il Dahomey e le sue responsabilità 
 
Appare subito evidente che l'origine del concetto di regalità nelle culture dell'Africa subsahariana ha avuto origine nell'Egitto dei Faraoni. Il Re del Dahomey era considerato una divinità sulla terra. La sua vita era regolata da strani tabù. Ad esempio gli era vietato guardare il mare. Quando il Re Bossa Ahadee finisce detronizzato, viene murato vivo con le sue mogli nella sua estrema dimora-tomba. Pur votate alla morte, le donne si occupano di praticargli una specie di eutanasia. Pochi sembrano considerare una dato di fatto: i regni africani erano società guerriere che praticavano la schiavitù. Il Dahomey era in perenne guerra con gli Egba e ne traeva un gran numero di schiavi, che poi venivano venduti al Brasile e ad altre nazioni. I regni africani erano i principali fautori del mercato di esseri umani. Migliaia di prigionieri finivano incatenati in orrendi pozzi. In fondo tutto ciò è abbastanza coerente, dato che la schiavitù è stata pratica comunissima dovunque per millenni e nessuno pensava come una persona del XXI secolo. I fanatici attivisti del buonismo politically correct si rifiutano di considerare queste cose, perché il loro intento è quello di riscrivere la Storia secondo i propri desiderata ideologici. Non esiste qualcosa di simile all'uomo nero innocente da contrapporre all'uomo bianco perverso e maligno: Homo sapiens è dominato dalla schizofrenia. Come diceva l'Ispettore Derrick, umano e disumano possono convivere in ognuno di noi.

 
Il coro danzante
 
Ho incontrato non poche difficoltà per identificare la lingua del coro di ragazze danzanti che cantano alla fine del film, mentre scorrono i titoli di coda. Già in una sequenza le si era viste ed erano presentate dal corrotto fratacchione come il suo "coro di monache". Sono partito dal nome del gruppo, Ho Ziavi' Zigi Cultural Troupe, per arrivare al suo luogo di origine, che è Ziavi, nel distretto di Ho, in Ghana. Ho poi trovato nel Web materiale che mi ha permesso di risalire alla lingua delle canzioni. Si tratta della lingua Ewe, appartenente al ceppo Gbe. È parlata in Ghana e in Togo da più di 3 milioni di persone. Allo stesso ceppo appartiene anche la lingua Fon, anche detta Fon-gbe, parlata in Benin, Togo e Nigeria da circa 1,5 milioni di persone. Il Fon era proprio la lingua ufficiale del Regno di Dahomey. 
 
Curiosità 
 
Lo schiavo rimasto con un braccio intrappolato e spappolato in una macchina è stato interpretato da un attore mutilato, che portava una protesi. Girare la scena è stato quindi molto semplice: il braccio finto finito tra gli ingranaggi della pressa ha dato l'impressione di un incidente reale! 
 
Il produttore ha suggerito a Herzog di impiegare attori afroamericani per i ruoli delle persone di colore, ma lui si è rifiutato in modo categorico e ha voluto reclutare professionisti africani locali. Una scelta che approvo appieno.
 
La parte del film ambientata in Africa è stata girata per prima, in quanto è stata ritenuta più complessa e difficile. La parte ambientata in Brasile è stata girata subito dopo. La città in cui Cobra Verde sparge il terrore è ben riconoscibile: è Villa de Leyva, in Colombia. Si riconoscono subito i suoi edifici in stile coloniale. Herzog ha dimostrato la propria maestria riuscendo a rappresentare un'atmosfera di disfacimento che manca nel borgo attuale. 

Nel 1994 nacque a Cleveland (Ohio) il gruppo musicale Cobra Verde, post-punk e hard rock, tuttora attivo. La sua denominazione trae chiaramente origine dal film herzoghiano. Il primo album pubblicato ha un titolo molto suggestivo: Viva la Muerte.
 
 
L'epilogo 
 
Questo è stato il quinto e ultimo film in cui Werner Herzog ha diretto Klaus Kinski, dopo Aguirre furore di Dio (1972), Nosferatu - Il principe della notte (1979), Woyzeck (1979) e Fitzcarraldo (1982). Spesso i recensori insistono nel chiamare Kinski "attore-feticcio" di Herzog. Non so da dove questa bislacca denominazione abbia tratto la sua origine, fatto sta che il rapporto tra i due non è mai stato semplice. Sembra che all'origine della rottura ci sia stato un episodio di aggressione fisica. Il biondo e intemperante attore a quanto pare si lanciò contro il regista tentando di strangolarlo. Una foto molto diffusa nel Web ci mostra lo scatto dell'aggressore, gli occhi pieni di odio e il volto stravolto dalla possessione diabolica. Non ci sono dubbi: Kinski era un uomo con più di un aspetto, per usare un modo di dire comune tra i Vichinghi. In altre parole, egli era un genuino berserk. Guardando la foto, comprendiamo all'istante il significato della locuzione "avere il verme negli occhi", che descriveva i guerrieri invasati. Al culmine del suo dispotismo, il bizzoso attore pretese che Herzog rimuovesse il direttore della fotografia, Thomas Mauch, che aveva collaborato ai suoi film fin dal principio. Mauch fu sostituito, ma lo stesso Kinski non comparve in altri film herzoghiani. In seguito il regista descrisse il suo rapporto con lui nel film documentario Kinski, il mio più caro nemico (1999).