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sabato 1 aprile 2023

 
QUELLO DI CUI LA NATURA
NON HA BISOGNO
 
 
Titolo originale: More than Nature Needs: Language,
      Mind, 
and Evolution
Autore: Derek Bickerton  
Lingua originale: Inglese 
Anno: 2014  
I ed. italiana: 2022  
Genere: Saggio 
Temi: Neuroscienze, linguaggio, biologia, 
   evoluzione, lingue creole 
Editore: Adelphi  
Collana: Biblioteca Scientifica 
Numero: 66
Codice ISBN: 9788845936593 
Pagine: 477 pagg. 
Traduzione: Davide Bordini 
 
Sinossi (risvolto): 
Noto per aver formulato, in parallelo a Darwin, una teoria evoluzionistica «per selezione naturale», Alfred Wallace ne coglieva fin dall’inizio uno dei limiti principali: l’incapacità di spiegare perché la nostra specie abbia acquisito una mente «di gran lunga più potente» rispetto alle necessità adattative. Domanda ingombrante, a cui lo stesso Darwin tentava di rispondere ipotizzando che quella ridondanza cognitiva fosse l’esito «dell’uso continuo di un linguaggio perfetto». Congelato per oltre un secolo e riaffiorato solo negli ultimi anni, il «problema di Wallace» ha trovato infine una convincente soluzione in questo libro ammaliante e definitivo. Riconsiderando punti di forza e carenze delle principali teorie sull’argomento, Bickerton ricolloca il linguaggio nell’alveo evoluzionistico e in­dividua tre fasi decisive per il suo sviluppo: quella della generazione nel cervello di «rappresentazioni di unità simboliche», innescata dalla comunicazione dislocata necessaria per il reclutamento di alleati nella saprofagia conflittuale; quella della riorganizzazione neurale in rapporto alle sollecitazioni ambientali, in cui il cervello ridisegna le proprie connessioni in modo da collegare le parole ai concetti appropriati; e quella culturale, in cui un processo di elaborazione grammaticale sviluppa unità sintattiche elementari in altre più ampie. Bickerton riesce così ad attualizzare la risposta di Darwin al «problema di Wallace», delineando un nuovo orizzonte: «Linguaggio e cognizione (almeno quegli aspetti della cognizione propri degli esseri umani) sono cresciuti a partire da un’origine comune e hanno le stesse fondamenta». La locuzione Homo sapiens loquens sarebbe dunque molto più di un gioco di parole. 

L'autore: 
Derek Bickerton (1926 - 2018), eminente linguista nato in Inghilterra, ha a lungo insegnato alla University of Hawai'i a Mānoa. Basandosi sul suo lavoro sulle lingue creole in Guyana e nelle Hawaii, ha proposto che le caratteristiche delle lingue creole forniscano importanti spunti di riflessione sullo sviluppo del linguaggio sia a livello individuale che come caratteristica della specie umana. È stato l'ideatore e il principale sostenitore dell'ipotesi del bioprogramma linguistico, fondata su questa idea: la somiglianza delle lingue creole è dovuta al fatto che sono state formate da un pidgin preesistente da bambini che condividono tutti una capacità grammaticale innata universale umana.
 
Struttura del volume: 
 
1 Il problema di Wallace 
     La risposta di Darwin 
     La chiave d'accesso al problema 
     La struttura di questo libro 
2 La teoria generativa 
     Le tre fasi della grammatica generativa 
     La teoria standard (1957-1980) 
     Princìpi e parametri (1981-1994) 
     Il programma minimalista (dal 1995 a oggi) 
     Minimalismo ed empirismo 
     Minimalismo e biologia 
     Operazioni minimaliste
     Il problema di Chomsky 
     Proscritto 
3 L'«unicità» degli esseri umani 
     Un «istinto ad apprendere»? 
     L'approccio all'evoluzione in termini di «caratteristiche componenti»
     Sovrastimare la evo-devo 
     Il «patchwork» delle caratteristiche componenti 
     Risalendo la scala fino agli esseri umani 
     Primati e pressioni 
     La teoria della costruzione della nicchia 
     La costruzione della nicchia e la speciazione ominide 
     Alcune linee guida per lo studio dell'evoluzione del linguaggio
4 Dalla comunicazione animale al proto-linguaggio 
     Il paradosso della cognizione 
       Prove a favore della cognizione avanzata 
       Prove contro la cognizione avanzata 
       La soluzione del paradosso della cognizione 
     Il primo passo verso il linguaggio 
     Gli imenotteri dimenticati 
     Una nicchia per «Homo» basata sulla saprofagia? 
     Saprofagia conflittuale e dislocamento 
     La saprofagia e il problema di Wallace 
     L'importanza del dislocamento 
     Dalla cognizione preumana a quella umana 
     Quello che le parole possono fare 
     Il proto-linguaggio 
     Dopo il proto-linguaggio 
5 La grammatica universale 
    La struttura costituente e le sue implicazioni 
    L'«impossibilità» della grammatica universale 
    Il cervello dà una mano 
      Dall'inizio del proto-linguaggio 
      Un modello dell'evoluzione della sintassi come dettata dal cervello 
    Dalla stringa alla frase 
       Concatenare unità simboliche 
       Strutturare le concatenazioni 
    Un modello astratto di come il cervello gestisce la sintassi 
    Il processo di costruzione delle frasi 
       Il c-comando 
       Gli effetti-isola 
       Il riferimento delle «categorie vuote» 
    Dopo la grammatica universale
6 Variazione e cambiamento 
    Perché la variazione e il cambiamento?
    Instabilità intrinseca 
    Sotto-specificazioni che vanno specificate 
      Ordine delle parole 
      Sistemi tempo-modo-aspetto (TMA) 
    Sotto-specificazioni che non richiedono di essere specificate 
      Grammaticizzazione delle relazioni tra parole 
      Grammaticizzazione delle relazioni verbo-argomento
      Grammaticizzazione dei confini tra sintagmi e clausole 
    Cause del cambiamento 
    Obiezioni a questo modello 
      Un'obiezione particolare: categorie funzionali
      Un'obiezione generale: la teoria dei parametri 
7 L'«acquisizione» della lingua 
   Un'alternativa al consenso 
   Il linguaggio infantile è un proto-linguaggio? 
   La fase della parola singola 
   La fase delle due parole 
   Il «discorso telegrafico» 
   La distinzione causativo/non causativo 
   La negazione in francese e in inglese 
   Acquisire le forme interrogative 
   L'«errore» come fonte di comprensione
8 Creolizzazione 
   Il «continuum» delle lingue creole  
   Il ciclo della piantagione 
   Critiche al programma innato 
      Adulti e bambini 
      L'influenza delle lingue di sostrato 
      Creolizzazione «graduale» 
      Negazione del pidgin 
      Differenze nel creolo 
   Lo sranan e il saramaccano: origini comuni o indipendenti? 
      La storia degli albori del Suriname 
      Il lessico dello sranan e del saramaccano  
   La creolizzazione alla Hawaii 
      Lo stato della generazione G2 
      G2 e le lingue dei genitori
   Le lingue creole e l'argomento universalista
9 «Homo sapiens loquens» 
   Le tre stanze e la scala mobile
   L'«uso continuo» e il fattore Joyce 
   Il fattore Joyce 
   Perché non abbiamo bisogno di capacità ulteriori
   Alcune conseguenze di queste proposte 
       Quanto erano probabili gli esseri umani?
       Innatismo contro empirismo 
Conclusione 
Bibliografia
 
Recensione:  
Il problema dell'origine del linguaggio umano è ben lungi dall'essere risolto, con buona pace di quanto affermano il contrario (ad esempio i sostenitori della grammatica generativa di Noam Chomsky). Questo ponderoso testo di Bickerton è certo affascinante, ma tutt'altro che "definitivo" e non fornisce comunque alcuna spiegazione convincente del mistero che è il fondamento della nostra stessa esistenza come creature pensanti. Per quanto il risvolto presenti l'opera come il compimento supremo dell'impresa di ridurre il linguaggio "nell'alveo dell'evoluzionismo", direi piuttosto che lo colloca nel letto di Procuste, tagliando ciò che sporge e stirando ciò che manca. Gli sforzi fatti dall'autore sono senza dubbio eroici e lodevoli, ma credo che ci sia ancora molta strada da percorrere. 

Un'osservazione cruciale 

Questo scrisse nel 1869 il naturalista e geografo britannico Alfred Russel Wallace (1823 - 1913), intendendo con "selvaggi" coloro che vivevano in una società senza scrittura (agrafa) e pre-industriale: 

"La selezione naturale avrebbe potuto dotare i selvaggi di un cervello di poco superiore a quello di una scimmia, mentre essi possiedono un cervello che è di poco inferiore a quello di un membro medio delle nostre società scolarizzate."

Ai frequentatori compulsivi di Facebook il nome di Wallace dirà ben poco. Basti ricordare che fu il cofondatore della teoria dell'evoluzione per selezione naturale, assieme al più noto Charles Darwin (1809 - 1882). Bickerton ci fa capire l'enormità delle conseguenze di quanto Wallace aveva compreso:

"Un cervello leggermente migliore di quello di una scimmia sarebbe comunque bastato per superare in intelligenza qualsiasi altra cosa si muovesse su due o quattro zampe e raggiungere così la cima della catena alimentare. I primi umani non avevano bisogno di occuparsi di matematica, di costruire barche, di comporre musica o di avere idee circa la natura dell’universo per poter fare tutte le cose che in concreto facevano. Il fatto che, all’improvviso, scoprissero di essere dotati di un cervello che potenzialmente avrebbe potuto renderli capaci di tutte queste cose era già abbastanza notevole. Ma ancor più straordinario era che quegli stessi cervelli avrebbero reso capaci coloro che li possedevano di ricoprire il mondo intero delle proprie opere, di immergersi negli abissi più profondi degli oceani e addirittura (meno di mezzo secolo dopo la morte di Wallace) di lasciarsi alle spalle la Terra." 
 
Una singolare contraddizione di Darwin  

Bickerton riporta 
quanto scrisse Darwin nel 1871 (pag. 101, trad. it. pag. 106), in risposta alle argomentazioni del suo connazionale Wallace

"Se si potesse provare che alcuni elevati poteri mentali, come la formazione di concetti generali, l’autocoscienza, ecc. sono assolutamente peculiari all’uomo, il che sembra estremamente dubbio, non sarebbe improbabile che queste qualità apparissero come il risultato incidentale di altre facoltà intellettuali altamente avanzate e queste ancora principalmente il risultato dell’uso continuo di un linguaggio perfetto." 

Se la logica è il prodotto dell'uso continuo di una lingua perfetta, come ebbe a dire Darwin, come si spiega allora l'origine di questa perfezione? Come si è formata la lingua perfetta? Il problema è che Darwin non lo chiarisce affatto, in qualche modo si tira fuori dalla scomoda discussione. Soltanto pochi anni prima, egli avrebbe affermato quanto segue: "La lingua perfetta è stata data all'essere umano dal Creatore". In altre parole, il dono del Logos sarebbe qualcosa di acosmico, quindi non soggetto alle regole dell'evoluzione per selezione naturale. Qualcosa di non scandagliabile dalla stessa mente umana che ne fa uso. Proprio questa è la risposta data da Wallace, che postulava la necessità di un intervento soprannaturale, in grado di conferire alla specie umana la sua unicità rispetto agli altri viventi. In un'altra occasione, sempre nel 1871 (pag. 57, trad. it. pag. 79), Darwin si era contraddetto, affermando quanto segue: 

"[...] i poteri mentali in alcuni primi progenitori dell’uomo devono essere stati più altamente sviluppati che in ogni scimmia esistente, anche prima che la più imperfetta forma di discorso fosse entrata nell’uso."

Mettiamo dunque assieme quanto affermato da Darwin: 
 
I) Pag. 57: le facoltà logiche preesistevano al linguaggio articolato.
II) Pag. 101: le facoltà logiche sono la conseguenza dell'uso del linguaggio articolato. 

Si applica il principio di non contraddizione: le proposizioni I e II non possono essere entrambe vere
 
Bickerton fa notare che i creazionisti, sostenitori del cosiddetto Disegno Intelligente, non hanno sfruttato questo bug. Quindi riporta dichiarazioni di un'estrema gravità e importanza: 

"Il divario cognitivo tra umani e nonumani è il tallone d’Achille dell’evoluzione. Il problema di Wallace è reale, e gli evoluzionisti lo hanno semplicemente ignorato oppure hanno cercato di dare delle spiegazioni che lo facessero scomparire. A quanto ne so, l’unico che ha provato a riaffermarlo è David Premack (1986, p. 133), il quale ha fatto notare che «il linguaggio umano è fonte di imbarazzo per la teoria evoluzionista, perché è molto più potente di quanto si possa spiegare nei termini delle forze selettive»."

Il nascondimento è sempre indice di disonestà intellettuale. A maggior ragione in questo caso, così delicato. Più che di fronte a un'onesta comunità scientifica, vediamo gli effetti deleteri di quella che ha tutte le parvenze di una camorra e di una camarilla. 

Deprivazione linguistica

In buona sostanza, Bickerton ammette che non è facile dedurre qualcosa di utile dalle normali condizioni in cui avviene l'apprendimento di lingue ben consolidate, come ad esempio l'inglese e lo spagnolo. Occorre quindi studiare circostanze in cui l'input linguistico dato ai bambini presenta carenze e distorsioni. Per ragioni etiche, l'autore rifiuta la possibilità di utilizzare metodi sperimentali, che comporterebbero la crescita di bambini "con qualche grado di deprivazione degli input". Restano quindi soltanto due situazioni "naturali" utili: quella dei ragazzi selvaggi e quella in cui hanno origine le lingue creole. Si noterà che in passato ci sono stati studiosi che non hanno avuto scrupoli a tentare esperimenti di deprivazione linguistica, pur con risultati scarsi e assai dubbi. A quanto ci narra Erodoto, il Faraone Psammetico I (... - 610 a.C.), della XXVI dinastia, fece crescere due bambini da un pastore, in modo tale che non gli fosse insegnato a parlare. Quando questi bambini videro per la prima volta il sovrano, pronunciarono la parola "bekos", che in frigio significa "pane". Il Faraone dovette quindi ammettere la maggior antichità dei Frigi rispetto agli Egizi. L'Imperatore Federico II di Svevia (1194 - 1250) decise di far crescere alcuni bambini senza che fosse insegnato loro a parlare. Lo Stupor mundi era convinto che gli infanti si sarebbero messi a parlare in ebraico, ritenuto per motivi religiosi la prima lingua del genere umano - quella in cui Adamo avrebbe dato nome a tutte le cose esistenti, su comando di Dio. Questa convinzione biblica si dimostrò fallace: certamente nessuno dei bambini si mise mai a parlare, in ebraico o in qualsiasi altra lingua. Anzi, finirono col morire a causa della salute cagionevole. Sappiamo che i ragazzi selvaggi, bambini cresciuti senza contatti con adulti (o con scarsi contatti), hanno insormontabili problemi ad acquisire anche soltanto l'uso di poche parole. Bickerton non tratta di questi casi nel volume, ritenendoli irrilevanti e concentrandosi invece sul problema delle lingue creole, che costituisce la sua idée fixe. A parer mio ha commesso un grave errore. Una cosa mi è subito saltata agli occhi: i ragazzi selvaggi, che non hanno il linguaggio articolato, non hanno il tabù degli escrementi. In altre parole, prima che apparisse il linguaggio articolato, la coprofagia doveva essere una condizione normale tra gli antenati degli esseri umani! Ciò pone problemi a non finire, perché il tabù degli escrementi esiste presso i macachi, che pure non hanno il linguaggio articolato. Le fonti? Si trovano nel Web filmati in cui viene porto un escremento a un macaco, che reagisce con furia, soffiando e minacciando, per poi allontanarsi. 

Pidgin e lingue creole

È necessario a questo punto dare alcune definizioni per capire meglio il fumoso mondo delle lingue ibride. Un mondo che è stato ben poco studiato, anche a causa di pregiudizi. Senza dubbio il lavoro sul campo fatto da Bickerton è molto meritorio.

1) I pidgin 

Un
pidgin è una lingua che nasce dalla mescolanza di lingue di popolazioni differenti, venute a contatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni e relazioni commerciali, che non è tuttavia la lingua madre di alcuna generazione. I pidgin si apprendono in età adulta; sono caratterizzati da strutture non codificate e fortemente semplificate, sia nella struttura sia nel vocabolario. 
 
2) Le lingue creole 

Una lingua creola nasce dall'ibridazione di due o più lingue esistenti, diventando la lingua madre di una nuova generazione di parlanti che non hanno imparato una delle lingue di origine. In sostanza è una lingua stabilita, con una propria struttura grammaticale e vocabolario, che si sviluppa quando i parlanti di diverse lingue entrano in contatto e devono interagire. Si chiama lessificatore principale la lingua (in genere europea, con alcune eccezioni) da cui proviene la maggior parte del vocabolario.

3) Creolizzazione dei pidgin 

Un pidgin che comincia ad essere appreso dai bambini di una nuova generazione, diventa una lingua creola, ossia subisce un processo di creolizzazione

4) Decreolizzazione dei creoli 

Una lingua creola subisce un processo di decreolizzazione man mano che si riducono le differenze con il suo lessificatore principale. Alla fine di questo processo, si può arrivare ad avere un dialetto del lessificatore.  

Due lingue creole:
Sranan e Saramaccano
 

In Suriname sono parlate tuttora due lingue creole molto singolari: lo Sranan e il Saramaccano. Lo Sranan (più propriamente Sranan tongo) è parlato da circa 500.000 persone ed è formato soprattutto da parole inglesi, con prestiti portoghesi e olandesi, oltre a un significativo sostrato africano. Il Saramaccano è parlato da circa 58.000 persone in Suriname e da 25.000 in Guyana Francese; il suo lessico è formato per il 30% da parole inglesi, per il 20% da parole portoghesi e per il 50% da parole africane (Fongbe, Akan, Twi, Kikongo, etc.). Si trovano anche tracce di parole di origine Carib. 
Queste ed altre simili lingue creole hanno avuto origine da un pidgin informe, non documentato, formatosi in tempi rapidi nel corso della seconda metà del XVII secolo nelle piantagioni. La creolizzazione del pidgin originario (dalla fine del XVII secolo) è avvenuta in circostanze diverse, che hanno portato alla divergenza delle lingue derivate. I parlanti dello Sranan sono i discendenti degli schiavi rimasti nelle piantagioni, mentre i parlanti del Saramaccano sono i discendenti dei cimarroni, schiavi fuggiaschi che si sono rifugiati nelle foreste. 
A questo punto riporto una tabella con alcuni dati lessicali relativi allo Sranan e al Saramaccano. In particolare ho aggiunto a quanto mostrato da Bickerton alcune parole del vocabolario di base e qualche altra voce relativa alla fauna. Ho inoltre cercato di evidenziare non soltanto la grande differenza tra i due creoli, ma anche la presenza di importanti lessemi in comune ("io", "acqua", "fiume", "piede", oltre agli articoli determinativi). 

Glossa italiana

Sranan

Saramaccano

il, lo, la

da

di

i, gli, le

den

dee

io

mi

mi

tu

yu

i

noi

unu, wi

u

voi

unu

un

chi

suma

ambé

che cosa

faa, san

andí

quando

oten

na unten

dove

ope, pe

ka, naase

quale

sortu

un

perché

sanede

andi-mbei

in

ini

a

con

psa

langalanga

dentro

ini

dendu

sopra

tapu

liba

sotto

ondro

basu

e

e, nanga

ku

se

efu

ee

acqua

watra

wata

fiume

liba

lio

montagna

bergi

kúnunu

cielo

loktu

gaangadu

fuoco

faya

faja

uomo

kel, man, mansma

womi

donna

frow, uma

mujee

bocca

mofo, smuru

buka

mano

anu

máun

piede

futu

futu

lucertola

lagadisi, lagadisa

kaluwá

alligatore

kaiman 

akalé, gandí, káima 

formica

mira

hansi


Si riconoscono facilmente le origini di numerose parole, solo in pochi casi trattate nel volume di Bickerton. Ecco alcune etimologie trasparenti: 

Saramaccano liba "sopra" < Portoghese arriba "su" 
Sranan watra "acqua" < Inglese water 
Saramaccano wata "acqua" < Inglese water 
Sranan liba "fiume" < Portoghese arriba "scoglio"
Saramaccano lio "fiume" < Portoghese rio 
Sranan faya, Saramaccano faja < Inglese fire 
Samaraccano womi "uomo" < Portoghese homem
Sranan uma "donna" < Inglese woman 
Saramaccano mujee "donna" < Portoghese mulher 
Sranan mofo "bocca" < Inglese mouth 
Saramaccano maun "mano" < Portoghese mão 
Sranan, Saramaccano futu "piede" < Inglese foot 
Sranan mira "formica" < Olandese mier 
Saramaccano hansi "formica" < Inglese ants "formiche" 

Si notano alcune parole africane, ben incastonate nella parte più importante del lessico: 

Saramaccano: ambé "chi" < Fongbe    
Saramaccano: andí "che cosa" < Fongbe àni 
Samaraccano: i "tu" < Fongbe ye 
Sranan: unu "voi" < Igbo únù
Samaraccano: un "voi" < Fongbe un 

Tra le poche parole di origine amerindiana, possiamo citare senza dubbio queste, derivate da una lingua di ceppo Carib: 

Samaraccano: kaluwá "lucertola"  
Samaraccano: akalé "alligatore" 
Sranan: kaiman; Samaraccano: káima "alligatore"  

Bickerton, che ha il merito di aver confrontato per la prima volta il lessico Sranan a quello Saramaccano, è dell'idea che non esista un proto-Sranan-Samaraccano ricostruibile, perché le due lingue creole si sarebbero formate in modo del tutto indipendente. 

La teoria della saprofagia organizzata

Bickerton sostiene che le caratteristiche peculiari della nicchia ecologica dell'uomo primitivo abbiano permesso questo passaggio da un sistema di comunicazione animale al linguaggio articolato. Cita il fatto che circa due milioni di anni fa i nostri antenati si facevano strada verso la cima di una piramide di spazzini, accedendo alle carcasse della megafauna prima di altri predatori, che tenevano a bada lavorando in gruppi coordinati. Imitando un animale, come un mammut, un membro poteva tentare di comunicare informazioni su tali fonti di cibo. Sebbene tale segnalazione imitativa mantenesse un carattere iconico piuttosto che completamente simbolico, implicava un atto di spostamento nella comunicazione, poiché il corpo poteva trovarsi a chilometri di distanza ed essere scoperto ore prima. Col tempo, i suoni che significavano qualcosa come un mammut sarebbero stati decontestualizzati e avrebbero finito per assomigliare a qualcosa di molto più simile a una parola. Questo spostamento è la caratteristica distintiva del linguaggio. 
Sempre secondo Bickerton, queste parole permettevano la formazione di concetti, piuttosto che delle semplici categorie di cui anche gli animali sono capaci. Le parole hanno avuto origine come un sistema di ancoraggio per le informazioni sensoriali e i ricordi relativi a un animale o un oggetto specifico. Una volta che il cervello aveva a disposizione le parole, poteva creare concetti che si assemblavano in un "protolinguaggio". Il protolinguaggio rimase molto simile a un pidgin per un milione di anni o più, per poi passare dal modello linguistico "a perline su un filo" a una struttura gerarchica tramite combinazione di stringhe. 

Un punto debole

Il problema è che né i pidgin né i creoli sono davvero "lingue primitive": derivano dalla degradazione e dalla ricombinazione di lingue già esistenti. A quanto si sa, non esistono lingue simili a pidgin e creoli, 
ma nate dal nulla (o meglio, da precedenti forme di comunicazione non linguistica, non articolata, animale). Quindi si sta lavorando facendo ipotesi in assenza di dati misurabili. In sintesi, non sono affatto sicuro che la pidginizzazione e la creolizzazione descrivano il processo di formazione degli antenati delle lingue naturali a noi note. 

L'inesistenza delle "lingue primitive" o "pre-lingue"

Purtroppo manca qualsiasi attestazione di lingue umane che possano essere chiamate "primitive" o "rudimentali". Con ogni probabilità saranno esistite, ma nessuna è riuscita a sopravvivere tanto a lungo da poter essere documentata. Qualcuno parla di "pre-lingue" o "protolingue assolute", ma il concetto è lo stesso - per quanto ritenga che la seconda locuzione sia un po' impropria. Trovo ragionevole pensare che una pre-lingua dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: 

i) una fonologia semplice, con poche consonanti e soltanto sillabe aperte 
ii) un lessico poverissimo, che consiste di un centinaio o al massimo di poche centinaia di vocaboli; 
iii) assenza di numerali 
iv) assenza di pronomi personali 
v) assenza di mezzi grammaticali, in particolare: 
   - assenza di suffissi e di prefissi, 
   - assenza di parole composte, 
   - assenza di qualsiasi modificazione delle parole;  
vi) frasi telegrafiche, costituite da semplice giustapposizione di vocaboli; 
vii) assenza di paratassi (frasi coordinate) e di ipotassi (frasi subordinate). 

Si noti che esistono nel mondo diverse lingue anumeriche, come quelle degli Andamanesi e di alcuni popoli dell'Amazzonia (Pirahã, Nambiquara, etc.). La lingua Pirahã ignora l'ipotassi e ha preso in prestito i pronomi personali da una lingua Tupí. Eppure tutte le lingue di questi popoli sono sufficientemente complesse, ricche nel lessico e dotate di mezzi grammaticali sviluppati (composti, morfologia, etc.). Sarebbe interessante cercare di capire se antiche lingue rudimentali scomparse possano aver contribuito alla formazione delle lingue in questione, ad esempio fornendo elementi di sostrato. 

L'immaginario collettivo

Nonostante non ci sia attestazione di "lingue primitive", sembra che il genere umano abbia un'idea ben precisa di come queste dovrebbero essere. In realtà, ne esce qualcosa di più complesso ed "evoluto" rispetto alle caratteristiche della proto-lingua assoluta sopra menzionate. La frase "Io Tarzan, tu Jane" mostra già una rudimentale paratassi e la capacità di servirsi di pronomi personali per indicare la contrapposizione tra il parlante (Tarzan) e un altro essere (Jane). I sostenitori dell'innatismo considererebbero questo fatto come una prova dell'esistenza di una natura intrinsecamente sintattica e grammaticale dell'essere umano. In altri termini, secondo costoro le parole sarebbero nate assieme alla sintassi, alle strutture grammaticali. Non sono affatto convinto che questo sia vero. 

Anelli mancanti?

Bickerton ha sempre dato prova di essere ben consapevole di questi problemi: 

"Se vi sono innumerevoli specie dotate di capacità a metà strada tra quelle di una lampreda e quelle di uno scimpanzé, dovrebbero esserci anche molte specie intermedie tra esseri umani e scimpanzé. Come mai, allora, non ci sono animali dotati di una piccola o moderata quantità di autocoscienza, né c’è un aumento graduale della capacità di innovazione o della creatività, né ci sono livelli diversi di produzioni artistiche (anche solo in una singola arte o in due), o per lo meno un linguaggio rudimentale? Il mero asserire che non vi è nessuna «differenza fondamentale» non è (e non avrebbe potuto essere, neppure al tempo di Darwin) un pronunciamento scientifico. Era ed è una pura e semplice dichiarazione di fede."

L'unico modo di risolvere la questione sarebbe la scoperta, in qualche densissima foresta dell'Indonesia o della Papua Nuova Guinea, di una specie di ominide diversa da Homo sapiens, qualcosa come l'Uomo di Flores (Homo floresiensis), che sia sopravvissuta nell'isolamento e che ci permetta finalmente di gettare un po' di luce sul nostro passato più oscuro. 

Il pericolo della presunzione dogmatica 

Riporto a questo proposito quanto scritto qualche tempo fa dal professor Fabio Calabrese. Sono parole che condivido appieno, perché esprimono molto bene il mio profondo disagio verso ogni tentativo di fondare una "religione scientista", con sostituzione di dogmi preconcetti alla ricerca della Conoscenza: 

"Una volta invitai alla mia scuola a tenere una conferenza ai ragazzi, un esponente del CICAP triestino, perché ritenevo l'opera di questa associazione nello smascheramento di guru e ciarlatani, assolutamente meritoria. Me ne fece pentire. Iniziò facendo un disegno alla lavagna, un castello incompleto in una parte del muro in basso e in una parte della merlatura. Disse che quello rappresentava l'edificio della conoscenza, ormai completo, tranne qualcosa che non sappiamo del mondo subatomico, e qualcosa che non sappiamo delle lontane galassie. Trovai il suo atteggiamento indisponente, e irritante la presunzione che "ormai sappiamo tutto", o "sappiamo quasi tutto".
Secondo me, una scienza che smette di porsi domande, è una scienza morta." 

martedì 8 novembre 2022

ETIMOLOGIA DI MAMBO

La parola mambo, che indica un tipo di danza, si è diffusa con questo significato dallo spagnolo di Cuba. In ultima istanza deriva dal creolo haitiano manbo "sacerdotessa voodoo", ossia "colei che parla con i morti". Ora si deve indagare l'origine di questo termine religioso, chiaramente importato dall'Africa con il traffico degli schiavi.

1) L'ipotesi più accreditata è che il vocabolo haitiano derivi dallo Yoruba mambo "parlare". La lingua Yoruba, parlata principalmente nella Nigeria sud-occidentale e in parti del Benin e del Togo, appartiene al gruppo delle lingue Volta-Niger, parte della famiglia delle lingue Niger-Kordofaniane. 
2) C'è anche la possibilità che derivi dal Fon nanbo "madre degli spiriti". Questa parola può avere la stessa origine di quella Yoruba sopra riportata, con il significato originario di "colei che parla (agli spiriti)". Coma lo Yoruba, anche il Fon appartiene al gruppo delle lingue Volta-Niger. 
3) Una terza teoria vuole che derivi invece da una lingua della famiglia Bantu, il Kikongo, in cui màmbu "conversazione, negoziazione rituale" è il plurale di diàmbu "parola". Le lingue Bantu, anche dette lingue Niger-Congo B, funzionano tipicamente tramite un complesso sistema di prefissi. 

Come si può ben capire, il problema non ammette una facile soluzione. Servirebbe una competenza specifica nelle lingue africane in questione, che sono tra loro molto diverse. Sono incline a preferire l'etimologia 1) dallo Yoruba, vista l'enorme importanza di questa lingua nella formazione di diverse religioni afroamericane: il Voodoo (Voudou, Voudoun) e la Santería nella regione caraibica e il Candomblé in Brasile. 

La lingua Lucumí 

La lingua Lucumí consiste in un lessico di parole e brevi frasi derivate dalla lingua Yoruba e utilizzate per scopi rituali a Cuba, nella Repubblica Dominicana, a Porto Rico e nelle diaspore che ne hanno avuto origine. Lo Yoruba è una lingua tonale. Questo significa che il tono delle sillabe è una caratteristica distintiva essenziale e "non negoziabile".  Nel Lucumí non si trova traccia di aspetti tonali. La fonetica è stata influenzata da quella dello spagnolo. Il lessico presenta tracce di influenze di lingue Bantu e Fongbe, parlate da altri africani ridotti in schiavitù, che vivevano in prossimità di parlanti Yoruba nelle Americhe

Riporto un breve glossario Lucumí: 

abadú "grano" 
abako "cucchiaio"
afefé "vento" 
agua "lingua" 
ako "barca" 
ala "sogno"
ala "vestito bianco" 
alabusa, alubosa "cipolla"
alaguedé "fabbro" 
aná "strada" 
ara, ará, airá "tuono" 
ará "corpo" 
ará "gente" 
arun, aroano "malattia" 
arún, marún "cinque" (5)
asho "vestito"
awá "mano"
awó "segreto" 
ayá "cane" 
ayanmó "destino" 
ayapá "tartaruga" 
ayé "mondo" 
babá "padre" 
batá "scarpe" 
bobo, gbogbo "tutto"; "molti", "numerosi" 
boná, oboná "caldo" 
dide "sorgere" 
dudú "nero", "scuro" 
ebbó "sacrificio prescritto" 
efá, mefá "sei" (6) 
egué "erbe"; "foglie" 
eran "carne" 
eñe "dente" 
eñí "uovo" 
eri, eyi "dente" 
erín, merín "quattro" (4) 
esán "nove" (9)
eta, meta "tre" (3) 
euré, auré "capra" 
ewá, mewá, mékwa "dieci" (10) 
eyá "pesce" 
eyé "sette" (7)
eyelé "piccione"
eyí, eye "sangue" 
eyí, méyi "due" (2)
eyó "otto" (8) 
gua "venire" 
gunu "lungo"
ibeyí "gemello", "gemelli" 
ida, ide "spada"
ikú "morte" 
ilé "casa"; "terra", "paese" 
ilé ikú "cimitero" 
ilú "tamburo" 
imo "bocca" 
imu, onó "naso" 
iñá "fuoco" 
iraguo "stella"
iré "buono" 
iró "capelli" 
irón "sentiero" 
isé "piede"
iyá "madre" 
kekeré, kukurú "piccolo"
kuinu "dieci" (10) 
malú "vacca"
moguá "io rompo" 
mochinche "io lavoro" 
modukue "io ringrazio" 
moforibale "saluto con inchino"
    (davanti agli Anziani o agli Dei) 
mojuba "insieme di preghiere"
    (durante le cerimonie per venerare gli Anziani e gli Dei)
ochúpa "luna" 
obá "re"
obini "donna"
ofú "dare" 
ogún "venti" (20)
okán "fegato"
okán "uno" (1) 
olo "proprietario" 
ologbo "gatto"
oma "bambini"
omi "acqua" 
omi tuto "acqua fresca"
onú "collo"
onukú "ginocchio" 
oñi, oyín "miele"
opá "uccidere" 
Orisha "entità spirituale" 
orú, orún, onó "sole" 
osorbo, osobbo "sfortuna", "cattiva fortuna" 
otá "pietra" 
otá "nemico" 
oyó "occhio"
panchaga "prostituta" 
pupua "rosso"
tito "nuovo" 
urú "coda" 
yeun "mangiare"

Obanla e, obanla dide! "O grande Re, grande Re, sorgi!"
un lo "sta andando via" 




Mambo number 5 

Qui in Italia tutta la conoscenza della parola mambo è limitata a un motivetto che nel 1999 è stato una specie di tormentone. Il brano è Mambo no. 5 (A Little Bit Of...), di Lou Bega. Questo è il ritornello:

A little bit of Monica in my life
A little bit of Erica by my side
A little bit of Rita's all I need
A little bit of Tina's what I see
A little bit of Sandra in the sun
A little bit of Mary all night long
A little bit of Jessica, here I am
A little bit of you makes me your man (ah)

Mambo Number Five (ah) 

Sentendo queste note così sensuali, nessuno ha pensato per un solo attimo a rituali tenebrosi di evocazione degli spiriti dei morti, a parte me! 

venerdì 4 novembre 2022

ETIMOLOGIA DI TANGO

Un caso particolarmente arduo da trattare è quello dell'etimologia del nome del famosissimo ballo argentino, il tango. Le proposte sono innumerevoli, contraddittorie e poco convincenti. 

Ricordo un grossolano tentativo di spiegare la parola, che fu enunciato da un partecipante alla prima edizione del Grande Fratello, Pietro Taricone - nel frattempo deceduto. All'epoca il "gieffino" esibiva qualche rudimento di latino, vantandosi di essere un maestro di etimologie: tra le sue "perle" si riportano snob spiegato come "sine nobilitate" (ossia "senza nobiltà") e il toponimo belga Spa interpretato come "salus per aquas" (ossia "salute per mezzo delle acque"). Allo stesso modo riconduceva tango, nome del ballo argentino, al verbo latino tangere "toccare", ritenendolo una pura e semplice forma coniugata (prima persona singolare del presente indicativo, tango "io tocco"). Il suo ragionamento era questo:  quando si balla il tango si tocca la donna, la si palpa sensualmente, così la danza stessa deve per forza di cose prendere il nome da questa attività sessuale pubblica. Non a caso, il tango fu condannato dalla Chiesa Romana, in tempi in cui il tuonare di un Pontefice aveva ancora qualche importanza e poteva incutere timore in vasti strati della popolazione, un po' come il Mago di Oz. 

Passiamo ora in rassegna quanto ho potuto reperire. 

Etimologie neolatine di tango 

A dire il vero, l'origine da esiti romanzi del latino tangere "toccare" è stata più volte proposta, tuttavia non nel senso di "toccare una donna", bensì in quello di "toccare uno strumento (a corda)", ossia "suonare uno strumento", oppure in altri modi più complessi e implausibili. 
Ecco un elenco di proposte: 
1) Spagnolo tañer "suonare uno strumento". 
"Altri ritengono che il termine derivi dallo spagnolo tañer (a sua volta dal latino tangĕre), cioè suonare uno strumento." 
(estratto da: Una parola al giorno)
2) Portoghese tanger "suonare uno strumento" (corrisponde allo spagnolo tañer). 
3) Portoghese tangomão "trafficante di schiavi in Africa", "portoghese africanizzato". William W. Megenney (2003) suppone che si tratti di un composto di tanger e di mão "mano", quasi un "toccamano", attribuendo la sua prima attestazione al creolo portoghese di São Tomé descritto da Alonso de Sandoval (XVII secolo). Lo stesso Megenney la somiglianza alla parola espressiva portoghese tanglomanglo, tanglomang, tangolomango "specie di magia, stregoneria", che ne potrebbe essere una deformazione. Sono tuttavia dell'idea che tangomão sia piuttosto un adattamento dell'arabo ترجمان tarjumān "interprete"
4) Antico francese (dialetto di Normandia) tangue "tipo di ballo". La parola, attestata in epoca medievale, appartiene di certo alla descritta categoria semantica. È verosimile che fosse un ballo con accompagnamento di strumenti a corda, da cui il nome. Ovviamente non ha nulla a che fare con l'omofono tangue, tanque "concime di alghe", che è dal norreno þang "alghe".  
5) Francese tanguer "beccheggiare", "oscillare", tangage "beccheggio, movimento oscillatorio". Sono parole tipiche del gergo marinaresco, derivate dall'antico francese tengre "oscillare". Anche se ci sono dubbi, la radice dovrebbe essere dal latino tangere "toccare", con questo slittamento semantico:
"toccare" => "toccare ritmicamente" => "far oscillare" => "beccheggiare", "oscillare". Si noti però che esiste in antico frisone il verbo tangeln "oscillare", che suggerisce piuttosto un'origine germanica.
6) Spagnolo tángano "gioco che consiste nel cercare di abbattere un cilindro lanciandogli contro pezzetti di pietra, ossicini o dischi". Il gioco è anche chiamato tanga, mentre il cilindro da colpire è chiamato tango. Queste parole, tángano, tanga e tango, sono fatte derivare dal latino tangere "toccare". È il solito genio dei romanisti. Da qui è nato il mito secondo cui il tango avrebbe tratto il suo nome da un ossicino! Non si capisce secondo quale logica. 

Etimologie Romaní di tango 

1) Secondo quanto riportato da William Sayers (2013), la parola tango sarebbe di origine Romaní e deriverebbe da un precedente *tanzkó, dove -kó è un tipico suffisso agentivo. La radice della parola sarebbe un prestito dal tedesco Tanz "danza, ballo". Questa parola *tanzkó dovrebbe essere giunta  nella regione rioplatense dal Kalderash (lingua di un importante sottogruppo Rom della Romania), non dal Caló (lingua para-Romaní iberica). 
Si vede che questa derivazione è abbastanza implausibile per motivi fonetici. Non si dovrebbe avere la scomparsa di -z- nel gruppo consonantico -nzk-. In spagnolo, una simile parola avrebbe poi dato *tazco, non tango
2) Un'altra possibilità, sempre riportata in Sayers (2013), è che tango derivi dalla parola Romaní tang "stretto, compresso; costretto, forzato" (variante tango). La semantica sarebbe abbastanza ragionevole: l'uso di questo aggettivo deriverebbe dal fatto che l'uomo e la donna ballano appiccicati, avvinghiati, stretti l'uno all'altra. Anche se per altra via, senza passare attraverso il latino scolastico, si arriverebbe ancora all'idea espressa a suo tempo da Taricone. In ogni caso, sembra che questo aggettivo tang, tango non sia applicato al ballo. Ci vorrebbe il parere di uno ziganologo, anche se tutto questo convince poco. 

Etimologie arabe di tango 

1) Nell'Andalusia è in uso la parola tanguillo, che indica un tipo di danza, il flamenco. L'origine è dall'arabo taḥanjul, parola rara e difficilmente traducibile, connessa con il verbo biyitḥanjil "egli fa qualche passo di corsa seguito un gran salto". La consonante affricata araba -j- (suona come la g- di getto) sarebbe diventata un'occlusiva velare -gu- in andaluso (suona come la g- di gatto) - cosa di per sé abbastanza strana. L'ipotesi è che da questo tanguillo sia poi stato retroformato tango, essendo l'elemento -illo interpretato erroneamente come un suffisso diminutivo.
2) La parola araba طنبور ṭunbūr "strumento musicale a corde", confusa in parte con طبول ṭabūl "tamburi" (plurale di طبل ṭabl "tamburo"), ha dato l'italiano tamburo e lo spagnolo tambór. L'ipotesi diffusa è che tambór, pronunciato tambó dagli schiavi africani deportati in America Latina, sia poi diventato chissà come tangó. Quindi, per retrocessione dell'accento, questo tangó sarebbe diventato infine tango. Non mi risultano casi di sviluppo di -mb- in -ng- e sono incline a rigettare questa teoria già soltanto per la sua implausibilità a livello fonetico. La semantica è essa stessa poco soddisfacente. Si immagina che si sia avuto il passaggio da "tamburo" a "ballo al suono dei tamburi", da cui "tipo di ballo". Troviamo attestazioni di tango con significati come "spazio chiuso per feste comuni", "società di neri liberi e liberti", "luogo di riunione di dette società", che però non è affatto un derivato di tambó(r): sembra essere invece una voce di origine africana (vedi nel seguito). Si sarebbe quindi avuta la coalescenza di due parole del tutto diverse.   

Etimologie africane di tango 

Cercare in Africa possibili parole in grado di spiegare le origini del tango, si rivela un'impresa molto difficile. Ci si imbatte in problemi come la scarsa disponibilità di dati, la facilità che le informazioni siano distorte, la mancanza di ricostruzioni complete e affidabili delle protolingue. Megenney (2003) riporta alcuni dati, da me integrati con altre fonti disponibili nel Web, inclusi vocabolario on line.  

1) Lingue Bantu  
- parole col significato di "riunione" 
Ai tempi della tratta degli schiavi era usata la parola tango "punto di raccolta degli schiavi", in Africa; "punto di vendita degli schiavi", nelle Americhe (José Gobello, Ricardo Rodríguez Molla). Questo vocabolo deve aver avuto origine in una lingua Bantu al momento non identificata. 
Kikongo: tango "tipo di suono di tamburo, danza e canto del Congo" (Díaz Fabelo, 1998) 
Kikongo: tanga "festa, banchetto", plurale matanga "feste, banchetti" 
- parole col significato di "sole", da cui "ora" e quindi "spazio", "tempo"
Kikongo: ntangu "sole" (sinonimo: mwini "sole") 
Kikongo (dialetto Luango): ntango "sole" (Diaz Fabelo, 1998)
Kituba: ntangu "momento", "tempo", "era" 
Lingala: ntango "tempo"
- parole indicanti una caratteristica legata al movimento 
Kikongo: tánngu "versatilità" (Megenney, 2003)  
2) Lingue non Bantu  
- Ibibio: tamgu "danzare" (Etymonline.com). 

La lingua Ibibio, parlata in Nigeria, appartiene alla famiglia Volta-Congo. Nel 2013 contava circa 4,5 milioni di locutori. La derivazione della parola tango da un verbo Ibibio sembra lineare e plausibile, tanto da essere considerata la soluzione del problema da diversi siti di grande importanza, tra cui Wiktionary. A dispetto di ciò, trovo lecito nutrire qualche dubbio e preferisco l'ipotesi della parola Bantu col significato di "riunione". 

Altre etimologie di tango 

1) Sayers (2013) riporta una proposta etimologica dal tedesco Tingel-Tangel "ballo da cabaret". Verosimilmente si tratta di una denominazione gergale di origine espressiva. 
2) Blas Matamoro (1996) propone addirittura l'origine dal vocabolo Quechua tampu che significa "luogo di riunione", "taverna" (adattato in spagnolo come tambo), menzionando quindi il tango come una danza usata nell'isola canaria di Hierro nel XIX secolo, supponendo che vi sia stata introdotta dal Sudamerica coloniale. 
3) C'è chi ha proposto che tango derivi da fandango "tipo di danza andalusa", la cui etimologia è incerta, nella migliore delle ipotesi. L'unica labile proposta a cui ho potuto accedere, è che la parola fandango abbia connessione con il portoghese fado "canzone popolare", alla lettera "fato, destino". La trovo risibile. Comunque sia, il passaggio da fandango a tango è sommamente implausibile già per motivi fonetici. 
4) Tra le più stravaganti proposte c'è quella dell'origine dal supposto nome di una città giapponese, Tango: sarebbero state le comunità nipponiche trapiantate a Cuba nel XIX secolo a inventare il ballo da cui sarebbe poi derivato il tango. Chiaramente è una ridicola storiella di etimologia popolare inventata ex post. Non ho trovato una città giapponese, bensì una provincia con tale nome. Questo riporta Wikipedia: "Tango, propriamente Tango no Kuni (丹後国), fu una provincia del Giappone, nell'area che è ora la parte settentrionale della prefettura di Kyoto, di fronte al mare del Giappone. Tango confinava con le province di Tajima, Tamba e Wakasa. In periodi diversi sia Maizuru che Miyazu furono le capitali della provincia di Tango." 

Origine onomatopeica 

Questo riporta il Vocabolario Treccani alla voce "tango":

[voce spagn., di origine sudamer. e forse di natura onomatopeica (si ritiene che abbia indicato dapprima un tipo di tamburo e poi una danza eseguita da neri al suono del tamburo)] 

Sarebbe dunque una parola fatta di aria sottile, senza alcuna reale provenienza da una qualsiasi lingua umana: soltanto il suono del tamburo reso foneticamente come "tang tang", nella regione del Río de la Plata. Come teoria mi pare abbastanza ridicola. 

Sono convinto che, con un po' di pazienza, riuscirei a raccogliere molte altre proposte etimologiche ancora più strambe! Sono convinto che non manchi chi si cimenterebbe nel costruire storielle a partire da vocaboli puramente omofoni, come lo Swahili tango "cetriolo", il Tagalog tango "cenno" e il giapponese たんご tango "parola"!

Link: 

William W. Megenney, 2003: 
https://www.jstor.org/stable/23054732

William Sayers, 2013: 
https://www.jstor.org/stable/43803264 

Conclusioni: 

Capisco bene lo scetticismo e lo sfinimento. C'è sempre chi afferma un radicale nichilismo gnoseologico imbattendosi negli infiniti e inconcludenti tentativi di trovare un'etimologia credibile al  nome del tango. Riporto addirittura il caso di un internauta che, di fronte alla teoria dell'ossicino e alla teoria dei Giapponesi, urla a gran voce: "DROGA!" Si pretendono risposte esatte, assolute, irrevocabili. Se queste non arrivano, ecco che i filologi e i linguisti si drogano! Detto questo, rimango dell'idea di un'origine Bantu e sono convinto che col tempo si potrà fare maggiore chiarezza.