Come si pulivano il culo i Romani antichi dopo aver smerdato? Usavano uno strumento denominato tersōrium (da tergere, tergēre "pulire") oppure, con vocabolo di origine greca, xylospongium (da ξυλοσπόγγιον, xylospóngion, alla lettera: "legno e spugna", da ξύλον, xýlon "legno" e σπόγγος, spóngos "spugna").
Era una spugna marina fissata su un'asta di legno, che serviva in modo promiscuo nelle latrine pubbliche per le sacrosante necessità igieniche dello sfintere anale! Dopo l'uso, che era promiscuo, si sciacquava lo strumento in un canaletto, quindi si procedeva alla sua "sanificazione", immergendo la spugna in una soluzione acquosa di aceto e sale, che fungeva da "disinfettante". Si può essere a dir poco scettici sull'efficacia di tali misure igieniche, ma a quei tempi non esisteva di meglio. Le malattie più disparate si trasmettevano nelle latrine. Ovunque pullulavano patogeni fecali come Escherichia coli. Le epatiti erano rampanti, come le infestazioni di vermi e via discorrendo. Se andava storta, si moriva male. Non erano tempi molto felici per gli amanti dell'anilungus!
La fine di un'annosa controversia
Come sempre, è necessario combattere contro coloro che sostengono insensatezze e tentano con ogni mezzo di "decostruire" le cose più ovvie. Così c'è chi porta avanti l'idea che lo xylospongium fosse in realtà una specie di scopino usato per pulire le latrine, analogamente a quelli in uso ancora oggi per la tazza del WC. Tra questi ci sono molti genialoidi attivi sui social, ma anche uno studioso, Gilbert Wiplinger (2009, 2012). Usando la potenza della logica, è possibile confutare con facilità questa idea inconsistente.
La struttura stessa delle latrine romane dimostra che lo xylospongium poteva servire unicamente all'igiene anale. Ci si sedeva su una cavità che si apriva su un flusso d'acqua alimentato dalle terme. Non era una tazza come quelle su cui noi ci sediamo ai nostri giorni, che hanno un'uscita stretta e la necessità di uno scarico per rimuovere i prodotti dell'intestino. Le nostre latrine necessitano di pulizia tramite uno scopino proprio perché possono rimanere residui fecali aderenti alla struttura. Ma nell'antica Roma non esisteva niente di tutto ciò. Riporto in questa sede alcune immagini che provano al di là di ogni dubbio quanto sostengo, così chiunque può ben vedere dove si posavano beati i culi romani, dai nobili agli schiavi! Il peccato di Wiplinger e dei suoi seguaci è il cosiddetto "presentismo storico": dando per scontata la struttura delle odierne latrine, costoro l'hanno automaticamente proiettata nel passato romano. Sbagliando, com'è ovvio.
Una testimonianza di Seneca
Nell'opera del grande filosofo stoico del I secoo d.C. Lucio Anneo Seneca (Epistulae morales ad Lucilium, Libro LXX, 20-21) leggiamo quanto segue (il grassetto è mio):
20. Nuper in ludo bestiariorum unus e Germanis, cum ad matutina spectacula
pararetur, secessit ad exonerandum corpus, nullum aliud illi dabatur
sine custode secretum; ibi lignum id quod ad emundanda obscena
adhaerente spongia positum est totum in gulam farsit et interclusis
faucibus spiritum elisit. Hoc fuit morti contumeliam facere. Ita
prorsus, parum munde et parum decenter: quid est stultius quam
fastidiose mori?
21. O virum fortem, o dignum cui fati daretur electio! Quam fortiter ille
gladio usus esset, quam animose in profundam se altitudinem maris aut
abscisae rupis immisisset! Undique destitutus invenit quemadmodum et
mortem sibi deberet et telum, ut scias ad moriendum nihil aliud in mora
esse quam velle. Existimetur de facto hominis acerrimi ut cuique visum
erit, dum hoc constet, praeferendam esse spurcissimam mortem servituti
mundissimae.
Traduzione:
20. Recentemente, nei giochi tra gladiatori e bestie feroci, uno dei Germani, mentre si stava preparando allo spettacolo mattutino, si appartò per andare di corpo, essendo l'unico momento in cui potesse rimanere da solo senza sorveglianza; lì prese un bastone, con una spugna attaccata usata per pulire gli escrementi, e se lo infilò in gola e morì soffocato. Così fece un oltraggio alla morte. Proprio così, in modo immondo e indecente: chi è più stupido di chi muore in maniera fastidiosa?
21. O uomo forte, degno di scegliere il proprio fato! Quanto fermamente avrebbe potuto usare la spada, quanto coraggiosamente avrebbe potuto gettarsi nel mare profondo o in un burrone. Nonostante fosse privo di ogni mezzo, eppure riuscì a trovare il modo di darsi la morte e l'arma, sapendo che l'unico ostacolo alla morte è l'assenza di volontà: egli ce lo dimostra. Ognuno pensi come vuole l'atto di quest'uomo, ma si constati che, piuttosto di una schiavitù pulitissima, deve essere preferita la morte sporchissima.
Considerazioni lessicali:
La parola obscēna (neutro plurale) può essere tradotta con "escrementi", ma anche con "organi genitali" e "sfintere anale". Questa denominazione era derivata da antichissimi tabù. Il fatto stesso che lo xylospongium avesse il manico indica la precisa volontà di evitare il più possibile qualsiasi contatto tra le mani (con cui tra l'altro si mangiava) e il deretano. Questo spiega lo straordinario successo dello strumento, che ha sostituito i precedenti sistemi di pulizia anale.
Nell'opera del grande poeta ed epigrammista del I secolo d.C. Marco Valerio Marziale (Libro XII, 48) leggiamo quanto segue (il grassetto è mio):
Una testimonianza di Marziale
Nell'opera del grande poeta ed epigrammista del I secolo d.C. Marco Valerio Marziale (Libro XII, 48) leggiamo quanto segue (il grassetto è mio):
Boletos et aprum si tamquam vilia ponis
et non esse putas haec mea vota, volo:
si fortunatum fieri me credis et haeres
vis scribi propter quinque Lucrina, vale.
lauta tamen cena est: fateor, lautissima, sed cras
nil erit, immo hodie, protinus immo nihil,
quod sciat infelix damnatae spongia virgae
vel quicumque canis iunctaque testa viae:
mullorum leporumque et sumini exitus hic est,
sulphureusque color carneficesque pedes.
non Albana mihi sit commissatio tanti
nec Capitolinae pontificumque dapes;
imputet ipse deus nectar mihi, fiet acetum
et Vaticani perfida vappa cadi.
convivas alios cenarum quaere magister
quos capiant mensae regna superba tuae:
me meus ad subitas invitet amicus ofellas:
haec mihi quam possum reddere cena placet.
Traduzione:
Se mi metti davanti funghi e cinghiale come se fossero cose da nulla (1),
e ritieni che non siano ciò che desidero, allora li voglio:
ma se credi che possa far fortuna e vuoi che ti nomini
mio erede per cinque ostriche del lago Lucrino, ti saluto.
La cena tuttavia è sontuosa: lo riconosco, molto sontuosa,
mio erede per cinque ostriche del lago Lucrino, ti saluto.
La cena tuttavia è sontuosa: lo riconosco, molto sontuosa,
ma domani non sarà nulla, anzi neanche oggi, senz'altro
proprio nulla, che conosca la funesta spugna
della maledetta asta o qualunque cane o il coccio sul lato della strada: questo è il risultato delle triglie, delle lepri
e della tetta di porco, colorito sulfureo e piedi gottosi
che torturano.
Le gozzoviglie di Albano non valgano la pena,
né i banchetti capitolini dei pontefici (2);
lo stesso dio mi rinfacci il nettare, che divenga aceto
e insano vino svaporato del barile vaticano.
Cercati altri convitati, o datore di banchetti,
Cercati altri convitati, o datore di banchetti,
che possano catturare i regni superbi della tua tavola,
quanto a me, l'amico m'inviti alle focacce improvvisate:
mi piace la cena che posso ricambiare.
Note:
(1) I Romani non disprezzavano affatto la carne di cinghiale, con buona pace dei fumetti di Asterix.
(2) Si vede come i fasti della Chiesa di Roma hanno chiare origini pagane, traendo origine dalla religione imperiale, come lo stesso termine Pontefice.
La testimonianza delle terme dei Sette Sapienti
Questo è il testo che compare su un affresco del II secolo d.C., nelle terme dei Sette Sapienti a Ostia Antica:
verbose tibi / nemo / dicit dum Priscianus / [u]taris xylospongium nos / [a?]quas
Traduzione:
Traduzione:
"nessuno dice così tante parole come noi a te, Prisciano: usa la spugna sul bastone, [mentre] noi [usiamo] l'acqua"
Evidentemente la persona a cui era rivolto l'invito, questo Prisciano, era uno zozzone che non si puliva l'ano e smerdava le vesti, rimediando figuracce barbine. Con tutta probabilità in un'occasione ha avuto la diarrea e i suoi compagni l'hanno aiutato a lavare gli abiti insudiciati. Simili scritte oscene sono un costume inveterato che è sopravvissuto a lungo nell'Urbe.
La testimonianza di Claudio Terenziano
In una sua lettera al padre Claudio Tiberiano (Claudius Tiberianus), un certo Claudio Terenziano (Claudius Terentianus), vissuto nel II secolo d.C., scriveva quanto segue:
Non magis quravit me pro xylospongium sed su(u)m negotium et circa res suas
Traduzione:
"Non gli importava di me più di una spugna da culo, ma piuttosto dei suoi affari e delle sue faccende."
Questo prova che il nome dello strumento igienico era usato come metafora di "persona che non conta nulla" o simili.
Un prezioso mosaico
Esiste almeno una raffigurazione artistica dell'uso concreto dello xylospongium. Si tratta di un mosaico rinvenuto nel 2018 ad Antiochia ad Cragum, in Anatolia, in una latrina risalente al II secolo d.C. realizzato con la tecnica dell'opus vermiculatum. Dato che un'immagine vale più di mille parole, la riporto in modo che tutti possano vederla coi propri occhi. Non può esserci il benché minimo dubbio! Vediamo un uomo dall'espressione languida, con un naso spropositato, quasi come a un Pinocchio ante litteram, che procede a passarsi la spugna sul deretano maneggiando abilmente il manico di legno. Il nome dell'uomo è scritto proprio sopra, in caratteri greci: ΝΑΡΚΙΣΣΟΣ (Narkissos), cioè Narciso.
Da questa raffigurazione sappiamo per certo che l'operazione di pulizia veniva effettuata da seduti. Questo concorda con quanto era già stato ipotizzato. In un dotto articolo sulla storia delle latrine, pubblicato nel 2011 sulla Stuttgarter Zeitung, Robin Szuttor ha descritto in modo dettagliato come lo xylospongium veniva inserito tra le gambe per pulire l'ano e poi spremuto in un secchio pieno d'acqua.
Un'altra immagine, proprio a fianco di quella di Narciso, rappresenta invece Ganimede rapito da un grosso airone che è in realtà Zeus (nel mito originale compare però di un'aquila). Si riconosce all'istante il nome scritto in caratteri greci: ΓΑΝΥΜΗΔΗΣ (Ganymēdēs). Ebbene, il giovane effeminato tiene in mano proprio uno xylospongium: è stato ghermito mentre stava defecando! A quanto pare, gli scopritori del mosaico non hanno ben compreso la natura di queste immagini, ad esempio interpretando il manico dello xylospongium usato da Narciso come il suo pene. Se quella fosse la raffigurazione di un fallo eretto, sarebbe grossolana oltre ogni limite concepibile!
Le origini problematiche dello strumento
Data l'origine greca del termine xylospongium, si potrebbe pensare che Roma abbia conosciuto questa miglioria igienica dalla Grecia, che ha esportato tante altre costumanze raffinate. Tuttavia, le evidenze storiche dimostrano il contrario. I Greci, prima di entrare in contatto con Roma, utilizzavano mezzi grossolani e rudimentali per pulirsi il deretano: le pietre (πεσσοί, pessoi) o i cocci di ceramica (ὄστρακα, ostraka). Le emorroidi imperversavano, anche perché il materiale non sempre era liscio. Spesso la pietra usata era piccola e doveva essere un gioco di destrezza evitare di rimanere con le mani sporche di merda. Un detto popolare affermava che per pulirsi "di pietre ne bastano tre". Ne emerge un'assenza di tabù verso il contatto con le feci e con l'ano, vista anche la grande diffusione della pederastia, che era aborrita soltanto a Sparta. Mi sono imbattuto nel Web nell'ipotesi di un'origine egizia dello xylospongium, il cui uso si sarebbe diffuso in seguito ai primi contatti tra il mondo ellenico con la Terra del Nilo. Analizzando la questione, non è tuttavia possibile trovare prove convincenti dell'uso di spugne, fissate o meno su aste, per la detersione degli ani faraonici! Il costume attestato è quella dell'uso assiduo dell'acqua e del natron (carbonato di sodio idrato), oltre che di essenze profumate per rintuzzare ogni emergere di cattivi odori. In Grecia si ha invece un'interessante testimonianza dell'uso di una semplice spugna per finalità igieniche (non propriamente di uno xylospongium) in Aristofane (V secolo a.C.), anteriore al Regno Tolemaico in Egitto. Nella commedia Le rane (Βάτραχοι, Bátrakhoi, 460-490), accade che Dioniso ha un incoercibile attacco di diarrea e non riesce a trattenersi: chiede dunque una spugna per pulirsi. Probabilmente, in caso di diarrea, tra gli Elleni si usava la spugna perché pietre e cocci di ceramica non erano di grande utilità in una situazione così critica. Ci si può chiedere se sia stata questa l'ispirazione che ha portato i Romani ad inventare lo xylospongium. Il nome greco deve essere stato attribuito per far sembrare il geniale strumento un prodotto della civiltà tanto ammirata, che le classi alte esibivano con snobismo. Si tratterebbe quindi di un falso atticismo.
Una soluzione al problema dello smegma
I numerosi resti di tessuto rinvenuti in una fossa biologica a Ercolano non erano serviti a detergere l'ano, con buona pace dell'archeologo ambientale Mark Robinson (2007) e di quanti hanno rilanciato la sua idea nei social. Avevano, se possibile, uno scopo ancor più vile: erano utilizzati per rimuovere lo smegma dai genitali! Sì, è quella roba, peggiore della merda, che i popolani chiamano "formaggio". Sono convinto che ulteriori e più approfondite analisi confermeranno quanto dico, trovando tracce lasciate sul tessuto dall'odiosa sostanza biancastra.
La Sacra Spugna
A questo punto, finalmente avete tutti i mezzi per capire cos'era la spugna imbevuta di aceto con cui fu dato da bere a Cristo mentre agonizzava sulla croce: uno xylospongium! In pratica gli è stata somministrata dell'immondissima acqua di latrina, mista alle feci. Dopo aver ricevuto questo messaggio dalle guardie che lo schernivano dopo aver detto di avere sete, urlò e morì. Non pochi missionari evangelici che predicano per le strade, se sapessero ciò, forse commenterebbero: "Ora sai quanto ti ama".