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giovedì 8 giugno 2023

IGIENE ANALE NELL'ANTICA ROMA: IL TERSORIUM O XYLOSPONGIUM

Come si pulivano il culo i Romani antichi dopo aver smerdato? Usavano uno strumento denominato tersōrium (da tergere, tergēre "pulire") oppure, con vocabolo di origine greca, xylospongium (da ξυλοσπόγγιον, xylospóngion, alla lettera: "legno e spugna", da ξύλον, xýlon "legno" e σπόγγος, spóngos "spugna"). 


Era una spugna marina fissata su un'asta di legno, che serviva in modo promiscuo nelle latrine pubbliche per le sacrosante necessità igieniche dello sfintere anale! Dopo l'uso, che era promiscuo, si sciacquava lo strumento in un canaletto, quindi si procedeva alla sua "sanificazione", immergendo la spugna in una soluzione acquosa di aceto e sale, che fungeva da "disinfettante". Si può essere a dir poco scettici sull'efficacia di tali misure igieniche, ma a quei tempi non esisteva di meglio. Le malattie più disparate si trasmettevano nelle latrine. Ovunque pullulavano patogeni fecali come Escherichia coli. Le epatiti erano rampanti, come le infestazioni di vermi e via discorrendo. Se andava storta, si moriva male. Non erano tempi molto felici per gli amanti dell'anilungus


La fine di un'annosa controversia

Come sempre, è necessario combattere contro coloro che sostengono insensatezze e tentano con ogni mezzo di "decostruire" le cose più ovvie. Così c'è chi porta avanti l'idea che lo xylospongium fosse in realtà una specie di scopino usato per pulire le latrine, analogamente a quelli in uso ancora oggi per la tazza del WC. Tra questi ci sono molti genialoidi attivi sui social, ma anche uno studioso, Gilbert Wiplinger (2009, 2012). Usando la potenza della logica, è possibile confutare con facilità questa idea inconsistente. 


La struttura stessa delle latrine romane dimostra che lo xylospongium poteva servire unicamente all'igiene anale. Ci si sedeva su una cavità che si apriva su un flusso d'acqua alimentato dalle terme. Non era una tazza come quelle su cui noi ci sediamo ai nostri giorni, che hanno un'uscita stretta e la necessità di uno scarico per rimuovere i prodotti dell'intestino. Le nostre latrine necessitano di pulizia tramite uno scopino proprio perché possono rimanere residui fecali aderenti alla struttura. Ma nell'antica Roma non esisteva niente di tutto ciò. Riporto in questa sede alcune immagini che provano al di là di ogni dubbio quanto sostengo, così chiunque può ben vedere dove si posavano beati i culi romani, dai nobili agli schiavi! Il peccato di Wiplinger e dei suoi seguaci è il cosiddetto "presentismo storico": dando per scontata la struttura delle odierne latrine, costoro l'hanno automaticamente proiettata nel passato romano. Sbagliando, com'è ovvio. 


Una testimonianza di Seneca 

Nell'opera del grande filosofo stoico del I secoo d.C. Lucio Anneo Seneca (Epistulae morales ad Lucilium, Libro LXX, 20-21) leggiamo quanto segue (il grassetto è mio):

20. Nuper in ludo bestiariorum unus e Germanis, cum ad matutina spectacula pararetur, secessit ad exonerandum corpus, nullum aliud illi dabatur sine custode secretum; ibi lignum id quod ad emundanda obscena adhaerente spongia positum est totum in gulam farsit et interclusis faucibus spiritum elisit. Hoc fuit morti contumeliam facere. Ita prorsus, parum munde et parum decenter: quid est stultius quam fastidiose mori? 
21. O virum fortem, o dignum cui fati daretur electio! Quam fortiter ille gladio usus esset, quam animose in profundam se altitudinem maris aut abscisae rupis immisisset! Undique destitutus invenit quemadmodum et mortem sibi deberet et telum, ut scias ad moriendum nihil aliud in mora esse quam velle. Existimetur de facto hominis acerrimi ut cuique visum erit, dum hoc constet, praeferendam esse spurcissimam mortem servituti mundissimae. 

Traduzione: 

20. Recentemente, nei giochi tra gladiatori e bestie feroci, uno dei Germani, mentre si stava preparando allo spettacolo mattutino, si appartò per andare di corpo, essendo l'unico momento in cui potesse rimanere da solo senza sorveglianza; lì prese un bastone, con una spugna attaccata usata per pulire gli escrementi, e se lo infilò in gola e morì soffocato. Così fece un oltraggio alla morte. Proprio così, in modo immondo e indecente: chi è più stupido di chi muore in maniera fastidiosa?
21. O uomo forte, degno di scegliere il proprio fato! Quanto fermamente avrebbe potuto usare la spada, quanto coraggiosamente avrebbe potuto gettarsi nel mare profondo o in un burrone. Nonostante fosse privo di ogni mezzo, eppure riuscì a trovare il modo di darsi la morte e l'arma, sapendo che l'unico ostacolo alla morte è l'assenza di volontà: egli ce lo dimostra. Ognuno pensi come vuole l'atto di quest'uomo, ma si constati che, piuttosto di una schiavitù pulitissima, deve essere preferita la morte sporchissima.

Considerazioni lessicali:
La parola obscēna (neutro plurale) può essere tradotta con "escrementi", ma anche con "organi genitali" e "sfintere anale". Questa denominazione era derivata da antichissimi tabù. Il fatto stesso che lo xylospongium avesse il manico indica la precisa volontà di evitare il più possibile qualsiasi contatto tra le mani (con cui tra l'altro si mangiava) e il deretano. Questo spiega lo straordinario successo dello strumento, che ha sostituito i precedenti sistemi di pulizia anale. 


Una testimonianza di Marziale

Nell'opera del grande poeta ed epigrammista del I secolo d.C. Marco Valerio Marziale (Libro XII, 48) leggiamo quanto segue (il grassetto è mio): 

Boletos et aprum si tamquam vilia ponis 
   et non esse putas haec mea vota, volo: 
si fortunatum fieri me credis et haeres 
  vis scribi propter quinque Lucrina, vale.
lauta tamen cena est: fateor, lautissima, sed cras 
  nil erit, immo hodie, protinus immo nihil,
quod sciat infelix damnatae spongia virgae
  vel quicumque canis iunctaque testa viae: 
mullorum leporumque et sumini exitus hic est,
  sulphureusque color carneficesque pedes. 
non Albana mihi sit commissatio tanti 
  nec Capitolinae pontificumque dapes; 
imputet ipse deus nectar mihi, fiet acetum 
  et Vaticani perfida vappa cadi. 
convivas alios cenarum quaere magister 
  quos capiant mensae regna superba tuae: 
me meus ad subitas invitet amicus ofellas: 
  haec mihi quam possum reddere cena placet.

Traduzione: 

Se mi metti davanti funghi e cinghiale come se fossero cose da nulla (1)
e ritieni che non siano ciò che desidero, allora li voglio:
ma se credi che possa far fortuna e vuoi che ti nomini
mio erede per cinque ostriche del lago Lucrino, ti saluto. 
La cena tuttavia è sontuosa: lo riconosco, molto sontuosa,
ma domani non sarà nulla, anzi neanche oggi, senz'altro 
proprio nulla, che conosca la funesta spugna 
della maledetta asta o qualunque cane o il coccio sul lato della strada: questo è il risultato delle triglie, delle lepri 
e della tetta di porco, colorito sulfureo e piedi gottosi 
che torturano. 
Le gozzoviglie di Albano non valgano la pena,
né i banchetti capitolini dei pontefici (2)
lo stesso dio mi rinfacci il nettare, che divenga aceto 
e insano vino svaporato del barile vaticano
Cercati altri convitati, o datore di banchetti, 
che possano catturare i regni superbi della tua tavola,
quanto a me, l'amico m'inviti alle focacce improvvisate: 
mi piace la cena che posso ricambiare. 

Note: 
(1) I Romani non disprezzavano affatto la carne di cinghiale, con buona pace dei fumetti di Asterix.
(2) Si vede come i fasti della Chiesa di Roma hanno chiare origini pagane, traendo origine dalla religione imperiale, come lo stesso termine Pontefice.

   
La testimonianza delle terme dei Sette Sapienti 

Questo è il testo che compare su un affresco del II secolo d.C., nelle terme dei Sette Sapienti a Ostia Antica: 

verbose tibi / nemo / dicit dum Priscianus / [u]taris xylospongium nos / [a?]quas

Traduzione: 

"nessuno dice così tante parole come noi a te, Prisciano: usa la spugna sul bastone, [mentre] noi [usiamo] l'acqua" 

Evidentemente la persona a cui era rivolto l'invito, questo Prisciano, era uno zozzone che non si puliva l'ano e smerdava le vesti, rimediando figuracce barbine. Con tutta probabilità in un'occasione ha avuto la diarrea e i suoi compagni l'hanno aiutato a lavare gli abiti insudiciati. Simili scritte oscene sono un costume inveterato che è sopravvissuto a lungo nell'Urbe. 

La testimonianza di Claudio Terenziano 

In una sua lettera al padre Claudio Tiberiano (Claudius Tiberianus), un certo Claudio Terenziano (Claudius Terentianus), vissuto nel II secolo d.C., scriveva quanto segue:

Non magis quravit me pro xylospongium sed su(u)m negotium et circa res suas 

Traduzione: 

"Non gli importava di me più di una spugna da culo, ma piuttosto dei suoi affari e delle sue faccende." 

Questo prova che il nome dello strumento igienico era usato come metafora di "persona che non conta nulla" o simili. 


Un prezioso mosaico

Esiste almeno una raffigurazione artistica dell'uso concreto dello xylospongium. Si tratta di un mosaico rinvenuto nel 2018 ad Antiochia ad Cragum, in Anatolia, in una latrina risalente al II secolo d.C. realizzato con la tecnica dell'opus vermiculatum. Dato che un'immagine vale più di mille parole, la riporto in modo che tutti possano vederla coi propri occhi. Non può esserci il benché minimo dubbio! Vediamo un uomo dall'espressione languida, con un naso spropositato, quasi come a un Pinocchio ante litteram, che procede a passarsi la spugna sul deretano maneggiando abilmente il manico di legno. Il nome dell'uomo è scritto proprio sopra, in caratteri greci: ΝΑΡΚΙΣΣΟΣ (Narkissos), cioè Narciso
Da questa raffigurazione sappiamo per certo che l'operazione  di pulizia veniva effettuata da seduti. Questo concorda con quanto era già stato ipotizzato. In un dotto articolo sulla storia delle latrine, pubblicato nel 2011 sulla Stuttgarter Zeitung, Robin Szuttor ha descritto in modo dettagliato come lo xylospongium veniva inserito tra le gambe per pulire l'ano e poi spremuto in un secchio pieno d'acqua. 


Un'altra immagine, proprio a fianco di quella di Narciso, rappresenta invece Ganimede rapito da un grosso airone che è in realtà Zeus (nel mito originale compare però di un'aquila). Si riconosce all'istante il nome scritto in caratteri greci: ΓΑΝΥΜΗΔΗΣ (Ganymēdēs). Ebbene, il giovane effeminato tiene in mano proprio uno xylospongium: è stato ghermito mentre stava defecando! A quanto pare, gli scopritori del mosaico non hanno ben compreso la natura di queste immagini, ad esempio interpretando il manico dello xylospongium usato da Narciso come il suo pene. Se quella fosse la raffigurazione di un fallo eretto, sarebbe grossolana oltre ogni limite concepibile! 


Le origini problematiche dello strumento 

Data l'origine greca del termine xylospongium, si potrebbe pensare che Roma abbia conosciuto questa miglioria igienica dalla Grecia, che ha esportato tante altre costumanze raffinate. Tuttavia, le evidenze storiche dimostrano il contrario. I Greci, prima di entrare in contatto con Roma, utilizzavano mezzi grossolani e rudimentali per pulirsi il deretano: le pietre (πεσσοί, pessoi) o i cocci di ceramica (ὄστρακα, ostraka). Le emorroidi imperversavano, anche perché il materiale non sempre era liscio. Spesso la pietra usata era piccola e doveva essere un gioco di destrezza evitare di rimanere con le mani sporche di merda. Un detto popolare affermava che per pulirsi "di pietre ne bastano tre". Ne emerge un'assenza di tabù verso il contatto con le feci e con l'ano, vista anche la grande diffusione della pederastia, che era aborrita soltanto a Sparta. Mi sono imbattuto nel Web nell'ipotesi di un'origine egizia dello xylospongium, il cui uso si sarebbe diffuso in seguito ai primi contatti tra il mondo ellenico con la Terra del Nilo. Analizzando la questione, non è tuttavia possibile trovare prove convincenti dell'uso di spugne, fissate o meno su aste, per la detersione degli ani faraonici! Il costume attestato è quella dell'uso assiduo dell'acqua e del natron (carbonato di sodio idrato), oltre che di essenze profumate per rintuzzare ogni emergere di cattivi odori. In Grecia si ha invece un'interessante testimonianza dell'uso di una semplice spugna per finalità igieniche (non propriamente di uno xylospongium) in Aristofane (V secolo a.C.), anteriore al Regno Tolemaico in Egitto. Nella commedia Le rane (Βάτραχοι, Bátrakhoi, 460-490), accade che Dioniso ha un incoercibile attacco di diarrea e non riesce a trattenersi: chiede dunque una spugna per pulirsi. Probabilmente, in caso di diarrea, tra gli Elleni si usava la spugna perché pietre e cocci di ceramica non erano di grande utilità in una situazione così critica. Ci si può chiedere se sia stata questa l'ispirazione che ha portato i Romani ad inventare lo xylospongium. Il nome greco deve essere stato attribuito per far sembrare il geniale strumento un prodotto della civiltà tanto ammirata, che le classi alte esibivano con snobismo. Si tratterebbe quindi di un falso atticismo.

Una soluzione al problema dello smegma

I numerosi resti di tessuto rinvenuti in una fossa biologica a Ercolano non erano serviti a detergere l'ano, con buona pace dell'archeologo ambientale Mark Robinson (2007) e di quanti hanno rilanciato la sua idea nei social. Avevano, se possibile, uno scopo ancor più vile: erano utilizzati per rimuovere lo smegma dai genitali! Sì, è quella roba, peggiore della merda, che i popolani chiamano "formaggio". Sono convinto che ulteriori e più approfondite analisi confermeranno quanto dico, trovando tracce lasciate sul tessuto dall'odiosa sostanza biancastra. 

La Sacra Spugna

A questo punto, finalmente avete tutti i mezzi per capire cos'era la spugna imbevuta di aceto con cui fu dato da bere a Cristo mentre agonizzava sulla croce: uno xylospongium! In pratica gli è stata somministrata dell'immondissima acqua di latrina, mista alle feci. Dopo aver ricevuto questo messaggio dalle guardie che lo schernivano dopo aver detto di avere sete, urlò e morì. Non pochi missionari evangelici che predicano per le strade, se sapessero ciò, forse commenterebbero: "Ora sai quanto ti ama"

martedì 30 maggio 2023

ETIMOLOGIA DELL'ANTROPONIMO NORMANNO BOEMONDO

Boemondo d'Altavilla, detto anche Boemondo di Taranto (tra il 1051 e il 1058 - 1111), figlio di Roberto il Guiscardo, Principe di Taranto (1015 - 1085), fu uno dei più cospicui comandanti della Prima Crociata. Conquistò Antiochia e ne divenne Principe. I manuali storici si occupano di riportare le sue vittorie e le sue sconfitte. Quello che a me interessa è l'etimologia del suo bizzarro antroponimo. Da dove potrà mai derivare Boemondo

A quanto sembra, questo nome non è attestato in norreno, come invece ci si aspetterebbe. Ne ho invano cercato tracce, senza trovare nulla. Non fa parte del ricchissimo patrimonio onomastico degli antichi Scandinavi. Potrebbe invece trovarsi nelle saghe norvegesi del XIV secolo, che erano traduzioni o adattamenti di testi in lingua francese antica, di argomento cavalleresco. In tal caso sarebbe passato dalla lingua d'oïl all'antico norvegese. Si converrà che non è affatto facile ricercare una data informazione, visto che il materiale spesso non è consultabile. Va già bene se si trovano dei file .pdf senza la possibilità di fare ricerche nel testo. 

Questo è tutto ciò che si riesce a recuperare nel Web: 

Forme attestate: Boiamund, BoamundBiamund,
     Baamund, Baamont 
Forme latinizzate: BohemundusBoemundus
     BuamundusBoamundus 
Greco (Anna Comnena): Βαϊμοῦντος (Baïmuntos
Italiano: Boemondo
     Buiamonte (Toscana, citato da Dante) 
     Baiamonte (Toscana, Sicilia) 
     Bajamonte (Veneto) 
     
Boimonte (Campania, Calabria) 
     Biamonte (Liguria) 

Forme moderne: 
  Italiano: Boemondo 
  Siciliano: Buimunnu  
  Francese: Bohémond
  Tedesco: Bohemund 
  Inglese: Bohemond 

Le forme attestate come Boiamund e simili dovrebbero trovarsi in documenti in latino e in opere in francese antico. Alcuni autori le enumerano tra le attestazioni di antroponimi dell'area dell'antico alto tedesco (Förstemann, 1856). 

La seconda parte del composto non presenta problemi: deriva in modo diretto dal protogermanico *-munduz "protettore", che si trova negli antroponimi maschili e ha la stessa radice di *mundō "protezione", "mano" (genere: femminile). L'esito norreno di *-munduz è -mundr (genitivo -mundar). 
Nelle lingue germaniche antiche si trovano moltissimi nomi propri di persona maschili formati con questo elemento.

Possibili etimologie germaniche: 

1) "Protettore dei ragazzi" 
Possibile primo membro del composto: norreno bófi /'bo:vi/ "ragazzo" (genitivo bófa); in islandese moderno è passato a significare "bandito". Il termine è derivato dalla stessa radice protogermanica *bō- che con diverse estensioni ha dato l'inglese boy e il tedesco Bube "ragazzo". Alfonso Burgio riporta quanto segue nel suo Dizionario dei nomi propri di persona (1992): "dal germanico Boemunt composto dalla radice munt, mund, difesa, protezione. Il primo elemento da bob, ragazzo. Il nome significa protettore dei ragazzi." Mi pare un'ipotesi abbastanza implausibile, anche perché non si trovano antroponimi composti formati a partire da questa radice. 
2) "Protettore dei Boi"  
Possibile primo elemento del composto: il nome della popolazione celtica dei Boi (gallico Boio-, attestato in antroponimi). Salvatore Carmelo Trovato, in Studi linguistici in memoria di Giovanni Tropea (Edizioni dell'Orso, 2009), riporta: "Bojen 'Boi' + *munda- 'protezione, difesa' = 'protettore dei Boi'." Mi pare un'ipotesi abbastanza implausibile. La popolazione celtica dei Boi è indicata da Trovato con la sua attuale denominazione tedesca, Bojen, segno che non è un esperto di lingue celtiche antiche.  

Etimologie marchianamente false: 
 
i) Boatus Mundi "Clamore del Mondo" 
Questa è una tipica etimologia popolare, che ignora ogni rudimento di grammatica e si basa unicamente sull'assonanza, spesso rozza. Non ha fondamento alcuno. 
ii) "Uomo forte" 
Questa "traduzione" è riportata nel lavoro di Carlo Ermanno Ferrari, Vocabolario de' nomi proprj sustantivi (1830). Non ha fondamento alcuno. 
iii) "Arciere" 
Questa "traduzione" è riportata nel sito Santi, beati e testimoni (www.santiebeati.it), che menziona un San Boemondo morto nel 1140 (solo una trentina di anni dopo la morte di Boemondo di Taranto), senza dettagli biografici né agiografia. Non ha fondamento alcuno.

Un'etimologia popolare biblica: 

Tutto inizia dall'oscura allusione a un gigante denominato Buamundus, protagonista di un racconto popolare andato perduto. Roberto il Guiscardo fece battezzare il figlio con il nome Marco (non certo tipico dei Normanni), per poi soprannominarlo Buamundus per via della massiccia corporatura che aveva già da bambino. La fonte di queste informazioni, a parer mio di attendibilità assai dubbia, è il monaco e storico inglese Orderico Vitale (1075 - 1142). Questo è il brano: "Marcus quippe in baptismate nominatus est; sed a patre suo, audita in convivio ioculari fabula de Buamundo gigante, puero iocunde impositum est", ossia "Marco è stato effettivamente battezzato così; ma da suo padre, che aveva ascoltato in una festa la favola del gigante Buamundus, (quel nome) è stato imposto allegramente al bambino". Il nome Buamundus altro non sarebbe che una deformazione popolare di Behemoth, nome ebraico della bestia di proporzioni immani descritta nella Bibbia (Libro di Giobbe) e raffigurata con le sembianze di un mostruoso ippopotamo. Se questo fosse vero, l'antroponimo Boemondo sarebbe un semplice soprannome pseudo-germanico. La sua somiglianza con i nomi germanici in -mund sarebbe dovuta a un'etimologia popolare. Un nome biblico sarebbe stato adattato dal volgo assumendo così l'aspetto di un nome germanico genuino. Una vicenda simile è quella dei rubicondi irlandesi che credevano Maria Maddalena una loro compaesana: sarebbero stati pronti a giurare e a spergiurare che il suo vero nome fosse Mary McDillon.   

Conclusioni:  

Che nome è Boemondo? È un nome norreno? È un nome franco, ascrivibile all'antico alto tedesco? Oppure è davvero un nome biblico passato attraverso l'usura fonetica del popolino? Perché non sembra essere esistito prima del figlio di Roberto il Guiscardo? Se fosse stato solo un soprannome, come mai avrebbe acquistato lo status di nome di battesimo tra i discendenti di Boemondo di Taranto? A cosa si deve la grande variabilità delle sue attestazioni, perdurate spesso fino ad oggi come cognomi? Per giungere a una conclusione ragionevole servono ulteriori studi e dati (forse perduti per sempre). Ricordo un professore che era solito dire: "Ci sono aspetti del Medioevo che non ci saranno mai noti, non li potremo mai conoscere." Ecco, mi pare che l'etimologia di Boemondo sia tra questi misteri. Quello che mi pare incredibile, è la totale assenza di interesse da parte del mondo accademico. 

mercoledì 24 maggio 2023

CRIPTOZOOLOGIA IN MADAGASCAR: L'EPIORNITE E IL ROC

I miti sono costruiti attorno a un nucleo di verità ormai resa oscura dalle stratificazioni di secoli, dal rumore di fondo e dalla potenza dell'Oblio. Esistono tuttavia alcuni casi in cui è possibile scrostare la maschera che ricopre questa antica essenza, riuscendo infine a farla rifulgere. Sono più rari di quanto vorremmo, è vero, ma non dobbiamo disperare. Quando la logica permette di arrivare a una conclusione sensata, ogni cosa converge: paleontologia, zoologia, folklore, storia, linguistica. 


L'epiornite o uccello elefante
 

In Madagascar è esistita fino ad epoca abbastanza recente una specie di uccello colossale, l'epiornite (Aepyornis maximus), appartenente alla famiglia degli uccelli elefante. La sua estinzione dovrebbe essere avvenuta nel XVI secolo, forse nel XVII, tanto che se ne conservano resti di esemplari allo stato subfossile. 
Alti fino a 3 metri, questi uccelli inadatti al volo potevano arrivare a pesare mezza tonnellata. Le loro uova potevano avere una circonferenza di oltre 1 metro e un'altezza di oltre 30 centimetri: il volume, pari a circa 8 litri, equivaleva a quello di 160 uova di gallina. Le loro ossa erano prive di midollo. Gli epiorniti potrebbero essere gli uccelli più grandi mai esistiti. 
Esistevano anche alcune specie appartenenti allo stesso genere. ma di dimensioni minori (Aepyornis hildebrandti, Aepyornis gracilis, Aepyornis medius). Si deve però notare che la classificazione esatta è tuttora controversa. Secondo alcuni studiosi, potrebbe trattarsi di sottospecie da ricondursi all'unica specie Aepyornis maximus. Un altro uccello elefante era il Mullerornis modestus, che poteva raggiungere un peso di soli 80 kg. 
Il nome scientifico Aepyornis deriva dal greco αἰπύς (aipys) "alto", "a picco", "scosceso" e ὄρνις (ornis) "uccello". La parola αἰπύς non ha origini indoeuropee ed è un elemento del sostrato pre-greco. La parola ὄρνις "uccello" è invece di chiara origine indoeuropea e ha paralleli in germanico, in celtico, in balto-slavo, in armeno, in albanese e nelle lingue anatoliche.  


Il resoconto di Étienne de Flacourt

L'Ammiraglio Étienne de Flacourt (1607 - 1660), Governatore Francese del Madagascar, nel 1658 pubblicò un'opera importante, intitolata Histoire de la Grande Isle de Madagascar, in cui descrisse in modo sorprendentemente accurato diverse specie di animali dell'isola, di cui tre sono subfossili. Tra questi ultimi spicca il vorompatra, il cui nome significa "uccello degli Ampatri", ossia "uccello delle paludi". Queste sono le parole dell'Ammiraglio:  

"Vouronpatra, un grand oiseau qui hante les Ampatres et pond des œufs comme l'autruche ; afin que les habitants de ces lieux ne le prennent pas, il recherche les endroits les plus solitaires." 

Traduzione: 

"Vouronpatra, un grande uccello che infesta gli Ampatri e depone le uova come lo struzzo; affinché gli abitanti di quei luoghi non lo prendano, cerca i posti più solitari." 

Come si può capire a colpo occhio, il nome vorompatra è un composto. Il primo membro è la parola malgascia vorona, che significa "uccello". Il secondo membro è il toponimo Ampatra (francesizzato in "Ampatres"), che significa "luoghi paludosi" e si riferisce a una regione dell'Androy, un distretto situato nell'estremo meridione del Madagascar. 

Protoforma ricostruibile: *vorona-ampatra 
Esito storico: vorompatra 
Varianti ortografiche: vouronpatra, voroupatra
Sinonimi: vorombe, vorombazoho  

La robustezza delle tradizioni orali dei Malgasci relative a questi uccelli giganti, documentata dallo studioso francese, è comprovata anche dalle sopravvivenze lessicali. Se anche ammettessimo che nessun esemplare di epiornite fosse sopravvissuto all'epoca del resoconto, sarebbe oltremodo interessante questa occasione di studiare gli effetti di un'estinzione recente: le genti del luogo non si sarebbero rese conto della scomparsa di un animale di notevoli dimensioni, continuando a mantenerlo in vita nell'immaginario collettivo. In ogni caso, il perdurare di testimonianze nei secoli successivi non può essere trascurato. 

Testimonianze più recenti

Anche se il resoconto di Flacourt non fu creduto, le voci sulla presenza di uccelli giganteschi persistettero fino alla metà del XIX secolo. Nel frattempo, le foreste paludose e le zone umide del Madagascar si erano gravemente impoverite. 
John Joliffe, chirurgo a bordo della HMS Gesyer, scrisse un diario in cui è riporta una conversazione risalente al 1848 con un commerciante francese di nome Dumarele, il quale sosteneva che i commercianti malgasci di Port Leven conservassero il rum in enormi uova, che a loro dire si trovavano talvolta nelle foreste e nei canneti, deposte da un uccello gigantesco che si vedeva molto raramente nelle foreste più fitte.
Ferdinand von Hochstetter (1829 - 1884) registrò indipendentemente la stessa affermazione, sebbene nel suo resoconto i commercianti avessero visitato l'isola olandese di Mauritius. Alfred Grandidier (1836 - 1921) scoprì in seguito che i Tandroy di Androy riconoscevano ancora il termine vorompatra, anche se il suo informatore, il capo Tsifanihy di Capo St. Mary, non aveva mai visto in vita sua uno di questi uccelli, pur ritenendoli "ben noti ai suoi antenati". Tsifanihy riuscì a condurre Grandidier in una palude vicina dove scoprì resti subfossili di un uccello elefante.
Roy P. Mackal scrisse nel 1980 che alcuni informatori locali insistevano sul fatto che una specie più piccola di uccello elefante (identificabile con Mullerornis) sopravvivesse ancora in foreste molto remote, dove il suo habitat paludoso e boscoso si era ridotto, ma non era scomparso. Diverse voci più recenti spinsero l'ufficiale inglese per la conservazione Barry Ingram a tentare una ricerca di uccelli elefante addirittura nel 1997 o nel 1998. Anche Ivan Mackerle condusse una ricerca più o meno nello stesso periodo. Le premesse sono buone: mi auguro che presto si potrà fotografare un autentico epiornite vivente! 


Marco Polo e l'uccello grifone 

Marco Polo (1254 - 1324) ha parlato di un uccello portentoso e immenso, chiamato ruc, che sarebbe vissuto proprio in Madagascar. Riporto un estratto della sua opera (Milione, Capitolo 186, Dell'isola di Madegascar): 

"
Ancora sappiate che quelle isole che sono cotanto verso il mezzodí, le navi non vi vanno voluntieri per l’acqua che corre cosí forte. Dicomi certi mercatanti che vi sono iti, che v’à uccelli grifoni, e questi uccelli apaiono certa parte dell’anno, ma non sono cosí fatti come si dice di qua, cioè mezzo uccello e mezzo lione, ma sono fatti come aguglie, e sono grandi com’io vi dirò. Egli pigliano l’alifante e pòrtallo su in aire, e poscia il lasciano cadere, e quelli si disfa tutto, poscia si pasce sopra lui. Ancora dicono quelli che l’ànno veduti, che l’alie sue sono sí grandi che cuoprono 20 passi, e le penne sono lunghe 12 passi, e sono grosse come si conviene a quella lunghezza. Quello ch’io n’ò veduto di questi uccelli, io il vi dirò in altro luogo.

E ancora: 

"Lo Grande Kane vi mandò messaggi per sapere di que]le cose di quell’isola, e preserne uno, sicché vi rimandò ancora messaggi per fare lasciare quello. Questi messaggi recarono al Grande Kane uno dente di porco salvatico che pesòe 14 libbre. 
Elli ànno sí divisate bestie e uccelli ch’è una maraviglia. Quelli di quella isola sí chiamano quello uccello ruc, ma per la grandezza sua noi crediamo che sia grifone."

Certo che no, gli abitanti del Madagascar non chiamavano ruc l'uccello gigante, con buona pace del Veneziano. Il nome dovette essere un articolo d'importazione; allo stesso modo fu importato in Occidente, dove prevalse la forma roc. La fonte non è sconosciuta. Questa misteriosa creatura compare due volte nella celebre raccolta di racconti orientali Le mille e una notte (arabo: ألف ليلة وليلة‎?, ʾAlf layla wa layla; persiano: هزار و یک شب‎, Hezār-o yek šab), realizzata nel X secolo, di varia ambientazione storico-geografica e composta da differenti autori. 


Madagascar e Mogadiscio:
pretese difficoltà di identificazione

A noi lettori moderni, a volte sembra proprio che Marco Polo avesse le idee piuttosto confuse. Già avevo notato che descriveva il Madagascar come un paese di religione maomettana, quando ci si sarebbe aspettati che dicesse dei Malgasci "È sono idoli" (ossia "Essi sono idolatri"), essendo politeisti fino a tempi recenti. Il Cristianesimo è penetrato nell'isola abbastanza tardi: ancora nel corso del XIX secolo aveva notevoli difficoltà, essendo perseguitato aspramente nel corso del regno della Regina Ranavalona I, che durò dal 1828 al 1861. Va detto che in Madagascar è esistita nel corso dei secoli un'antica e radicata presenza musulmana, rappresentata soprattutto da mercanti e da loro discendenti (gli Antemoro e gli Antanosy), eppure il Veneziano non si sarebbe sbagliato in modo così grossolano trascurando le diffuse pratiche idolatriche. Dunque è sorto in alcuni studiosi il dubbio che con il toponimo Madagascar, l'autore del Milione intendesse in realtà Mogadiscio, che è ed era già all'epoca un paese di religione maomettana. Questa obiezione è comunque del tutto implausibile, proprio perché nel Capitolo 186 del Milione, il Madagascar è descritto al di là di ogni dubbio come un'isola di proporzioni eccezionali! 

"Mandegascar si è una isola verso mezzodí, di lungi da Scara intorno da 1.000 miglia. Questi sono saracini ch’adorano Malcometo; questi ànno 4 vescovi - cio(è) 4 vecchi uomini -, ch’ànno la signoria di tutta l’isola. E sapiate che questa è la migliore isola e la magiore di tutto il mondo, ché si dice ch’ella gira 4.000 miglia. È vivono di mercatantia e d’arti. Qui nasce piú leofanti che in parte del mondo; e per tutto l’altro mondo non si vende né compera tanti denti di leofanti quanto in questa isola ed in quella di Zaghibar. E sapiate che in questa isola non si mangia altra carne che di camelli, e mangiavisene tanti che non si potrebbe credere; e dicono che questa carne di camelli è la piú sana carne e la migliore che sia al mondo." 

Come si può vedere, abbiamo a che fare con un miscuglio incredibile di cose vere (il Madagascar è un'isola immensa) e di cose false (il Madagascar è pieno zeppo di elefanti e di cammelli, è governato da quattro anziani saraceni, etc.).

Una soluzione dell'enigma

L'epiornite probabilmente fu avvistato da qualche viaggiatore e creduto essere il pulcino di un uccello volante e rapace ben più grande, il roc per l'appunto. Le foglie della pianta Raphia scambiate per piume di roc, unitamente alle alette atrofiche dell'uccello elefante, dovettero rafforzare questa credenza allucinatoria. Tutto dovette nascere per via di un uccello rapace effettivamente esistito ed estinto nel XVI secolo: l'aquila coronata malgascia (Stephanoaetus mahery), di proporzioni leggermente maggiori rispetto a quelle dell'aquila coronata africana (Stephanoaetus coronatus). Nulla di paragonabile all'epiornite, ovviamente: si parla di un rapace del peso massimo stimato di circa 7 kg. In certe condizioni la fantasia umana può galoppare, così qualcuno è arrivato a concepire l'idea di un animale volante titanico, fisicamente impossibile. 


Etimologia di Roc 

La parola roc (variante ruc) deriva dal persiano رخ rokh (trascritto anche rukh o ruk), che designa un uccello immane dal piumaggio bianco, di tali dimensioni da permettergli di uccidere gli elefanti per cibarsi della loro carne. Il termine persiano non deve essere confuso con l'omofono رُخ rokh (rukh), che significa "carro" e che entrò nelle lingue europee nel contesto degli scacchi (antico francese roc, italiano arrocco, inglese rook). 

L'ipotesi più probabile è che rokh derivi dal nome del mitico uccello سیمرغ Sīmurgh (trascritto anche Simorgh, Simorg, Simurg, Simoorg, Simorq, Simourv), dal medio persiano Sēnmurw (trascritto anche Senmurv), a sua volta da un più antico Sēnmuruγ. Nei testi in scrittura Pazend si ha Sīna-mrū. In avestico era noto come mərəγō Saēnō, ossia "Uccello Saēna". Il nome in origine indicava un'aquila, un rapace: in sanscrito si ha la parola imparentata श्येन śyenaḥ significa "aquila", "falco", "rapace, uccello predatore". Dal medio persiano, il nome Sēnmuruγ è passato come prestito in armeno, dando սիրամարգ siramarg "pavone". 
La trafila che ha portato da Sēnmuruγ a rokh è ipotizzabile in questi termini: 

sēnmuruγ => *senəmruk => *mruk => ruk 

Dal persiano la parola rokh è poi passata in arabo come لرُخّ ar-ruḫḫ

mercoledì 19 aprile 2023

 
GANDAHAR 

Titolo originale: Gandahar
Lingua originale: Francese
Paese di produzione: Francia, Corea del Nord 
Anno: 1988
Durata: 82 min 
Formato - colore: 1,33:1 - Dolby
Genere: Animazione, fantasy, fantascienza  
Sottogenere: Fantascienza per adulti 
Regia: René Laloux
Soggetto: René Laloux 
    Ispirato al romanzo di Jean-Pierre Andrevon,
    Les Hommes-machines contre Gandahar (1969)
Sceneggiatura: Raphael Cluzel
Produttore: Jean-Claude Delayre, Henri Rollin
Casa di produzione: Acteurs Auteurs Associés,
    Miramax Films 
(edizione americana)
Montaggio: Christine Pansu
Animatori: Studio SEK (Pyongyang) 
Direzione dell'animazione: Li Ha Gyu
Colori: Madeleine Camolli 
Fotografia: Pierre Biecher 
Slogan originale: Les Années lumière 
Titoli in altre lingue: 
    Inglese: Light Years 
Doppiatori originali: 
    Sylvain: Pierre-Marie Escourrou 
    Airelle: Catherine Chevallier 
    Metamorphis: Georges Wilson 
    Ambisextra: Anny Duperey 
    Blaminhor / Blaminhoe: Jean-Pierre Ducos 
    Portavoce del Consiglio: Christine Paris 
    Uomo di Metallo: Olivier Cruveiller 
Voci addizionali (francese): 
    Zaïra Benbadis 
    Claude Degliame 
    Olivier Cruveiller 
    Jean-Pierre Jorris 
    Dominique Maurin-Collignon
    Jean-Jacques Scheffer 
    Jean Saudray 
    Frédéric Witta 
    Philippe Noël 
    Philippe Duclos 
    Joël Barbouth 
    Michel Charrel 
    Roland Lacoste 
Doppiatori (in inglese): 
    Sylvain: John Shea
    Airelle: Jennifer Grey
    Metamorphis: Christopher Plummer
    Ambisextra: Glenn Close
    Blaminhor / Blaminhoe: Earl Hammond
    Portavoce del Consiglio: Sheila McCarthy 
    Maxum / Capo dei Deformi: Earle Hyman 
    Capo dei Deformi: Penn Jillette, Earle Hyman  
    Shayol: David Johansen 
    Voce collettiva: Terrence Mann 
    Apod, l'Uomo di Metallo: Alexander Marshall 
    Optiflow: Paul Shaffer 
    Octum: Joseph Teller 
    Gemmen: Charles Busch 
Voci addizionali (inglese):
    Dennis Predovic
    Bridget Fonda
    Chip Bolcik
    Sheila McCarthy
    Kevin O'Rourke
    Ray Owens 
    Jill Haworth 
Budget: 5,5 milioni di dollari US
Box office: 370.698 dollari US
 
Trama: 
Il pacifico popolo del pianeta Gandahar, che vive in perfetta armonia con la Natura, subisce l'improvviso attacco di orde di automi, gli "Uomini di Metallo", che portano devastazione nei villaggi, pietrificando le loro vittime. Le statue di pietra vengono poi raccolte e trasferite nella base degli invasori. A Jasper, capitale di Gandahar, il Consiglio delle Donne ordina all'agente Sylvain di investigare. Nel corso del suo difficile viaggio, egli incontra i Deformi, membri di una razza di mutanti creata accidentalmente dagli scienziati di Gandahar nel corso di perigliosi esperimenti genetici. Anche se nutrono odio eterno verso i loro Creatori, questi Deformi offrono il loro aiuto a Sylvain, perché comprendono di essere essi stessi minacciati dagli Uomini di Metallo. 
Sylvain in seguito salva Airelle, una donna gandahariana. Insieme scoprono la base degli Uomini di Metallo, dove le persone rapite e congelate vengono trasportate attraverso un immenso portale, finendo inesorabilmente assimilate agli invasori, da cui diventano indistinguibili. I due riescono a nascondersi in una vicina imbarcazione che si dirige verso il centro dell'Oceano, dove incontrano Metamorphis, un cervello gigantesco di aspetto glandiforme. Sylvain e Airelle vengono catturati e affrontati dal mostruoso Metamorphis, che rivela loro cose importanti: sebbene gli Uomini di Metallo credano che lui sia il loro capo, non li ha creati né ha ordinato il loro attacco. In modo molto ambiguo, l'abnorme massa cerebrale afferma di non voler vedere la caduta di Gandahar e di aver bisogno di tempo per capire il collegamento esistente tra lui e gli Uomini di Metallo. Dopo aver dato queste notizie, utili quanto le feci di uno stercorario, riporta Sylvain e Airelle alla capitale Jasper. Qui i due apprendono che Metamorphis, proprio come i Deformi, era il frutto abominevole di un esperimento di scienziati gandahariani, abbandonato nell'Oceano a causa della sua rapida crescita e del suo comportamento sempre più violento. A Sylvain viene quindi ordinato di uccidere Metamorphis con una siringa speciale. Sylvain torna da Metamorphis, che si proclama innocente, pur rivelando che gli Uomini di Metallo provengono dal futuro attraverso il portale che Sylvain aveva visto in precedenza. Quindi lo esorta a ucciderlo tra mille anni, poiché la siringa nel presente non avrebbe alcun effetto su di lui. Sylvain, anche se scettico, si lascia abbindolare e acconsente alla richiesta stravagante di Metamorphis, che lo mette in stasi. 
Mille anni dopo, Sylvain si risveglia proprio come era stato concordato. Incontra i Deformi, che gli spiegano la vera natura degli Uomini di Metallo: a causa dell'età avanzata di Metamorphis, le sue cellule non possono più rigenerarsi, il che lo ha spinto a creare gli Uomini di Metallo e a ordinare loro di tornare indietro nel tempo per catturare i Gandahariani, così da poter assorbire le loro cellule e continuare a vivere, uccidendoli nel processo. Il metallo proviene dalle cellule morte di Metamorphis che si metallizzano con il tempo. I Deformi, tuttavia, sono stati abbandonati perché considerati indesiderabili. Così concordano con Sylvain di collaborare. I Deformi combattono gli Uomini di Metallo e salvano i Gandahariani rimasti, mentre Sylvain affronta Metamorphis da solo. I Deformi distruggono il serbatoio che rifornisce il cervello titanico di nuove cellule, distraendolo abbastanza a lungo da permettere a Sylvain di iniettare la siringa nella materia grigia, provocandone la morte. Svolto il suo compito, Sylvain, insieme ai Deformi e ai Gandahariani, fugge attraverso il portale, riuscendo a tornare nel cronotopo di origine. 
 
 
Recensione: 
Mi pare un'opera ottima e molto originale, che è riuscita a costruire un mondo fantasy sognante, quasi dunsaniano. L'Oscuro Potere che irrompe nel reame incantato ricorda quello di Sauron: orde di metallo e di morte che minacciano tutto ciò che di bello l'immaginazione umana può concepire. Certo, ci si può aspettare che un film alla cui produzione ha collaborato la Corea del Nord possa essere classificato come politico. Tuttavia non vedo grandi componenti retoriche in questa pellicola. Sembra presente soprattutto una tenue tematica antisessista e femminista: il Paese di Gandahar è un regime matriarcale, caratterizzato da una condizione di privilegio femminile, anche se molto tollerante e non oppressivo, quasi utopico - anche se dotato di un lato oscuro come la pratica dell'eugenetica, con conseguente esclusione sociale dei reietti. Qualche farneticante identificherà gli Uomini di Metallo con il Fascismo, è ovvio: identificherebbero in questo modo anche le formiche. In tutto questo panorama concettuale ci sono incoerenze quasi patetiche. Vorrei vedere chi avrebbe il coraggio di andare nella Corea del Nord a parlare di queste tematiche. In particolare, dubito che già all'epoca nella nazione socialista asiatica sarebbe stata apprezzata la democrazia gandahariana. Troppo carente di gerarchia e di culto del capo semidivino! E che ne direbbero del sesso libero, quando a Pyongyang è prevista la pena di morte già soltanto per la detenzione di immagini pornografiche? 
Le reazioni della critica sembrano tra loro contraddittorie. Alcuni lodano l'originalità estrema dell'animazione, mentre altri la considerano datata e poco fluida, quasi ingessata, scarsamente mobile: non reggerebbe il confronto con standard più moderni, come quelli dello Studio Ghibli o di film come Akira (Katsuhiro Ōtomo, 1988). Molto apprezzata da tutti è stata invece la colonna sonora originale, che fonde assieme elementi di rock progressivo, psichedelia e free jazz. Il design dei personaggi in genere è considerato valido. Mi sono però imbattuto in molti commenti di navigatori che stigmatizzano la trama come prevedibile, addirittura scontataLe contraddizioni non finiscono qui: alcuni hanno ritenuto le scene di battaglia inferiori a quelle mostrate in produzioni televisive più economiche. A prescindere da tutte queste fisime tecniche, direi che il film di Laloux andrebbe riscoperto, che ne andrebbe promossa la diffusione. La trovo una necessità prioritaria, soprattutto in questi tempi in cui le idee si sono inaridite e dominano pavoni che sembrano più che altro in grado di copiare senza neppure riconoscere i crediti.  


Produzione 

La produzione di Gandahar iniziò in Francia nel 1977, dopo che René Laloux creò uno studio di animazione ad Angers in collaborazione con André-Marc Delocque-Fourcaud e il produttore Michel Gillet. René Laloux contattò lo scrittore Jean-Pierre Andrevon per proporgli un adattamento cinematografico animato del suo romanzo Les Hommes-machines contre Gandahar, pubblicato nel 1969. Andrevon, che aveva inizialmente immaginato Gandahar come un fumetto prima di trasformarlo in un romanzo, fu immediatamente interessato a un adattamento. René Laloux opzionò quindi i diritti di adattamento del libro e scelse di contattare l'illustratore Philippe Caza, che accettò di lavorare con lui al film. Il regista fece quindi leggere in fretta e furia ad Andrevon una versione praticamente definitiva della sceneggiatura, che l'autore considerò molto fedele al romanzo. Successivamente, Andrevon non fu più coinvolto nel resto del progetto; Caza, suo amico, lo tenne comunque informato mostrandogli regolarmente i suoi schizzi preparatori. 
Il progetto prese inizialmente la forma di un episodio pilota, Les Hommes-machines, prodotto ad Angers. Questo cortometraggio a colori fu la prima collaborazione tra Laloux e Caza; le scenografie furono create da Philippe Adamov e la colonna sonora utilizzava musiche di Brian Eno. La resa visiva era piuttosto diversa dalla forma che avrebbe poi assunto per lo stesso lungometraggio, e l'intero film durava circa sette minuti. 
L'episodio pilota raccontava l'inizio delle avventure di Sylvain nel paese di Gandahar, in un'atmosfera che Caza descrisse come piuttosto "hippie". L'episodio pilota non riuscì a convincere i produttori e il progetto non andò avanti a causa della mancanza di finanziamenti sufficienti.
Dieci anni dopo, il produttore Léon Zuratas, amico di René Laloux, venne a conoscenza tramite la società di produzione COL-IMA-SON dell'esistenza di studi di animazione in Corea del Nord che avrebbero potuto realizzare il film a costi più bassi: il progetto fu quindi rilanciato e l'intera produzione si svolse in Corea del Nord. 

 
Etimologia di Gandahar 

A mio avviso Gandahar rimanda immediatamente al nome di un antico regno che sorgeva nel territorio di quello che ai nostri tempi è conosciuto come Afghanistan orientale e Pakistan settentrionale: il Gandhara (Sanscrito गन्धारः Gandhāraḥ). L'etimologia dell'antico toponimo Gandhāra ha il suo fondamento nel concetto di fragranza della terra. Infatti deriva con ogni probabilità dalla parola sanscrita gandha, che significa "profumo" e da un elemento āra- che significa tra le altre cose "luogo, posto". Quindi il significato letterale sarebbe "Terra di Fragranze". Questo perché la regione storica ha un'inveterata reputazione di produrre beni profumati e di essere molto fertile. L'origine ultima del Sanscrito gandha "profumo" è pre-indoeuropea e ignota. In ultima analisi, è da questa stessa fonte che ha tratto origine il cognome Gandhi
Un diverso toponimo che ricorda Gandahar, è senza dubbio l'afghano Kandahar, a cui tutti siamo abituati da anni di angoscianti cronache dei quotidiani ("il luogo da cui nessun occidentale è mai uscito vivo!", tuonano i giornalisti). In realtà non esiste alcuna connessione tra i due nomi di luogo. Kandahar deriva in ultima analisi dal greco Ἀλεξάνδρεια (Alexandreia), nome di una città dell'Aracosia così chiamata dal suo fondatore, Alessandro il Grande (Ἀλέξανδρος). La naturale evoluzione del greco Alexandreia ha portato al persiano Iskandar, quindi al Pashtun Kandahar
Analizzando bene la semantica, mi sento abbastanza sicuro che Laloux abbia tratto Gandahar da Gandhara, volendo dare l'idea di una terra felice e molto prospera. 


I Blemmi di Gandahar

Viene ripreso il mito dei Blemmi, esseri umanoidi privi di testa ma con la faccia situata proprio nel mezzo del torace. Sembra che il nome di queste creature fantomatiche derivi da quello di un popolo realmente esistito - e ovviamente di membra del tutto normali: i Blemmi (latino Blemmyae, greco Βλέμυες, copto Belhmou), che abitavano in Nubia. L'etnonimo copto, che doveva suonare /belh'mu:/, è proprio la forma originale da cui sono derivate quelle riportate nei documenti in greco e in latino. Questi Blemmi erano eroici guerrieri che in epoca tarda, nel VI secolo d.C., difesero con grande valore i Templi di Iside a File dai ripetuti assalti dei Cristiani. Nel film di Laloux compare la stessa radice nell'antroponimo Blaminhor, evidentemente formato dal nome dello strenuo popolo nubiano. 


La versione in inglese 

Una versione in lingua inglese fu diretta da Harvey Weinstein (proprio lui, quello grassoccio degli scandali sessuali) e prodotta da Bob Weinstein tramite la Miramax Films, con la revisione della traduzione curata da Isaac Asimov (il padre dell'insabbiato David, amico dell'infanzia). Il titolo in inglese, Light Yars, è una traduzione letterale dello slogan originale "Les Années lumière" (ossia "Gli anni luce"), come si vede sul manifesto in francese. Evidentemente il suono della parola Gandahar non piaceva molto al famigerato Clan dei Weinstein - non riesco ad immaginare per quale motivo. 
La versione inglese non contiene la maggior parte della colonna sonora di Yared per la versione originale del film. Per alcune sequenze è stata prodotta una nuova musica, frutto della collaborazione di Jack Maeby, Bob Jewitt e Jim Klein. Una scena è stata tagliata per motivi di natura sessuale: è quella in cui Airelle e Sylvain si trovano nel nido immane di un essere simile a un carnosauro. Nella versione integrale, Sylvain viene mostrato mentre si toglie la maglietta; più avanti, lui e Airelle sono sdraiati nudi nel nido, di notte, evidentemente dopo aver consumato un rapporto sessuale. Trovo davvero comico e grottesco che un figuro processato per aver immerso la faccia nel cunnus di una ganza che non voleva, poi faccia il moralista per un paio di poppe e qualche curva!

Cineforum Fantafilm 

Il film di René Laloux è stato proiettato il 7 marzo 2011 al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro. Purtroppo non ero riuscito ad essere presente all'evento. Resta nel Web una traccia debolissima, nel sito Fantascienza.com:  


Riporto il riassunto contenuto nella sinossi preparata all'epoca da Andrea in formato cartaceo e contenuta nella pagina di cui sopra; i refusi li ho indicati con (sic).

"Gandahar è un mondo utopico di rara bellezza e tranquillità, il risultato di una mutazione e sperimentazione genetica. Ma la pace perfetta va in pezzi quando una forza malvagia e misteriosa invade questa serenità idilliaca, attaccando i suoi abitanti con raggi che li trasformano in pietra. Il Consiglio delle Donne si riunisce e decide di inviare Sylvain, figlio della regina Ambisextra, in missione per distruggere il nemico. Insieme alla bella e avventurosa Arielle (sic), Sylvian (sic) scoprirà il segreto del suo nemico, il cui nome è Metamorphis..." 

giovedì 29 dicembre 2022

ETIMOLOGIA CELTICA DEL TOPONIMO LIPOMO

Lipomo (in dialetto comasco Lipòmm /li'pɔm/) è un comune italiano della provincia di Como in Lombardia, con circa 5.900 abitanti (anno 2022), situato all'altitudine di 384 metri sul livello del mare.

Converrete anche voi che come toponimo è a dir poco singolare. Il suo aspetto fonologico, con quella sua terminazione in -omo, non è cosa in cui ci si possa facilmente imbattere. Quale sarà la sua origine? Ebbene, mi sono occupato dell'etimologia di Lipomo fin dal primo momento in cui ne ho avuto notizia, tanto mi è parso esotico il suo nome. 

Riporto alcune suggestioni etimologiche, o meglio paretimologiche, reperite nel Web (i grassetti sono miei). La fonte delle parti tra virgolette è il sito del Comune di Lipomo. Le riporto nel testo per spirito di chiarezza, anche perché la pagina web sembra piuttosto fragile.


1) Etimologia grecizzante 
"Sul toponimo sono state formulate tre ipotesi: la prima ne ricerca l’origine nelle parole greche «lipo» (da «leipo», mancare) e «omoios», «simile»: quindi diseguale, non uniforme, in relazione al terreno irregolare e a balze caratteristico della zona."
Nota: 
A parte il fatto che il greco ὅμοιος va traslitterato hómoios (la vocale iniziale ha lo spirito aspro), una simile formazione è quanto di più implausibile esista. La semantica ipotizzata è insensata. Tuttavia, il verbo greco λείπω (léipō) "mancare" è realmente imparentato con la radice celtica da cui deriva il toponimo (vedi nel seguito).

2) Etimologia francesizzante
"Meno attendibile, un seconda ipotesi sostiene invece una derivazione dal francese: «lieu-pommes», ossia luogo delle mele, con riferimento alla coltivazione di questi frutti, oppure luogo delle patate («pommes de terre»)." 
Nota:
La natura grossolana di questa falsa etimologia lascia di ghiaccio. 

3) Etimologia mitologica 
"Una terza e più convincente ipotesi fa invece riferimento al poema del cosiddetto «Anonimo Cumano», che canta la decennale guerra fra Como e Milano. Nel testo curato dal padre somasco Giuseppe Maria Stampa si fa riferimento a Lepomum e Leppomum, anche se probabilmente è un errore di scrittura nel riportare l’originale Leponium. Quest’ultimo sembrerebbe derivare da Laeponius, il nome del comandante della postazione militare negli avamposti di Como. Al valoroso militare sarebbe stata assegnata una villa o un fondo nella zona dell’attuale Comune di Lipomo." 
Nota: 
Lepomum e Leppomum non sono errori per *Leponium, semmai il contrario. Tuttavia il nome Laeponius esiste realmente e ha la stessa radice celtica da cui deriva il toponimo (vedi nel seguito). 
4) Etimologia romanistica 
"Può essere interpretato come una forma equivalente di "i pomi", alludendo alla presenza di tali piante in loco." 
Nota: 
Questa proposta etimologica è per così dire la versione ufficiale del mondo accademico. Sembra collegarsi con l'etimologia 2), ma in realtà non è identica. 

La vera etimologia celtica 

Latino: *Lippomagus < protoceltico *Lēpomagos,
      *Lippomagos
  significato: Campo dell'Abbandonato 
  tardo celtico: *LEPPOMO, *LIPPOMO
  forma latinizzata: LEPOMUM, LEPPOMUM  
  evoluzione romanza: LIPOMM, LIPOMO 
Nota: 
Per l'evoluzione dell'elemento *magos in -mo nei composti toponomastici, si confrontino i numerosi esempi della Gallia Transalpina: 

*Rotomagos (Rotomagus) => Rothomao =>
=> Rothomo => Rouen 

Questo mutamento è avvenuto a causa della lenizione della consonante -g-, che è scomparsa. 

1) Primo membro del composto: 

Protoceltico: *lēpos, *lippos < *leikwos 
Significato: abbandonato 
Note: 
Dalla stessa radice deriva il nome dei Leponzi (Lēpontiī). 

Protoindoeuropeo: *leikw- 
Significato: lasciare, abbandonare 
Note: 
Ha dato origine al latino linquō e al greco antico λείπω.


Xavier Delamarre è l'autore dell'ottimo articolo Enfants abandonnés gaulois et la souche LĒP-, LIP-, LIPPO-, LĒP-ONT-  (2019), consultabile su Academia.edu: 


Abstract: 

"There is a recurring root of the Gaulish onomastics which forms the stems Lipo-, Lipuco-, lepont-, and, with the spelling <ae > rendering ē, Laepo-, Laepico-, Laeponio-, that has been linked to the I.-E. root *leikw- 'to leave, to quit'. Two funerary inscriptions of proconsular Africa contain the names of two children : Maculipus in Mactar and Maportulip (us) in Dougga. These are two Gaulish names which must be read *Magu-lipo-s 'abandoned child' and *Mapo-ritu-lipo-s ' son abandoned on a passway', given by Gaulish groups, probably demobilized soldiers settled localy."  

Traduzione: 

"C'è una radice ricorrente dell'onomastica Gallica che forma i temi Lipo-, Lipuco-, Lepont-, e, con l'ortografia <ae> che rende ē, Laepo-, Laepico-, Laeponio-, che è stato collegato alla radice indoeuropea *leikw- 'lasciare, abbandonare'. Due iscrizioni funerarie dell'Africa Proconsolare contengono i nomi di due bambini: Maculipus a Mactar e Maportulip(us) a Dougga. Questi sono due nomi Gallici che devono essere letti *Magu-lipo-s 'bambino abbandonato' e *Mapo-ritu-lipo-s 'figlio abbandonato su una via di passaggio', dati da gruppi Gallici, probabilmente soldati smobilitati stanziati localmente."

2) Secondo membro del composto: 

Protoceltico: *magos 
Genere: neutro 
Significato: campo, pianura 

Declinazione: 

Singolare: 
nominativo: *magos 
vocativo: *magos 
accusativo: *magos 
genitivo: *magesos 
dativo: *magesī 
strumentale: *magesī 
locativo: *mages 

Plurale: 
nominativo: *magesā 
vocativo: *magesā 
accusativo: *magesā 
genitivo: *mageson 
dativo: *magesbo(s)  
strumentale: *magesbi(s)  

Duale: 
nominativo: *magese 
vocativo: *magese 
accusativo: *magese 
genitivo: *magesous 
dativo: *magesbon 
strumentale: *magesbin 

In gallico la sibilante intervocalica -s- è caduta: 
gen. sing. *magesos > *magios
nom./voc./acc. plurale *magesā > *magiā
etc. 

L'adattamento in latino, diffusissimo nei toponimi, è -magus, che è passato al genere maschile, II declinazione:
genitivo: -magī 
dativo: -magō
accusativo: -magum.

Dal protoceltico *magos deriva direttamente antico irlandese maġ "campo; pianura" (irlandese moderno mamagh). 

Declinazione: 

Singolare: 
nominativo: maġ n-
vocativo: maġ n-
accusativo: maġ n-
genitivo: maiġe 
dativo: maiġ, muiġ 

Plurale:
nominativo: maiġe 
vocativo: maiġe 
accusativo: maiġe 
genitivo: maiġe n-
dativo: maiġiḃ 

Duale: 
nominativo: maġ n-
vocativo: maġ n-
accusativo: maġ n-
genitivo: maiġe 
dativo: maiġiḃ 
Una nota scatologica

Ho appreso che gli abitanti di Lipomo sono tradizionalmente denominati Merdée, epiteto poco eulogistico che ha a che fare con le feci. Soltanto gli abitanti di un paese hanno un epiteto più infamante: sono le genti di Longone al Segrino, dette Süscia bügnun, ossia "succhiatori di foruncoli". Il sego e il pus sono peggio della merda! Riporto il link a un documento in formato che contiene una lista di nomignoli attribuiti agli abitanti di molti comuni. 


Il nome Merdee proviene direttamente da un aggettivo del latino volgare: merdārius "stercorario, fecale".

Si può cercare di ricostruire l'origine di questa designazione non proprio piacevole. Gli abitanti di Lipomo conservavano una lingua neoceltica e i culti pagani in un'epoca in cui Como era stata pienamente romanizzata e cristianizzata. Così venivano considerati paria e denigrati in modo atroce. Anche quando la lingua neoceltica è sparita e la cristianizzazione è stata completa, la discriminazione è continuata e si è tramandata per secoli. Sono cose poco piacevoli, me ne rendo conto, ma nasconderle non giova a nessuno. 

Conclusioni 

Stabilita la genuina etimologia celtica di Lipomo, notiamo che il toponimo ha qualcosa di eccezionale: a quanto mi risulta, in Lombardia sarebbe l'unico esito moderno di un composto derivato dal protoceltico *magos. A quanto mi consta, nella toponomastica dell'Insubria di epoca romana sono attestati soltanto due composti formati allo stesso modo: Bardomagus (non lungi da Milano) e Cameliomagus o Comillomagus (nei pressi dell'attuale Broni, provincia di Pavia). Mi piace pensare che se questi toponimi fossero sopravvissuti, oggi avremmo i comuni di Bardomo e di Camillomo. Per contro, in Gallia Transalpina simili formazioni sono numerosissime.