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sabato 1 aprile 2023

 
QUELLO DI CUI LA NATURA
NON HA BISOGNO
 
 
Titolo originale: More than Nature Needs: Language,
      Mind, 
and Evolution
Autore: Derek Bickerton  
Lingua originale: Inglese 
Anno: 2014  
I ed. italiana: 2022  
Genere: Saggio 
Temi: Neuroscienze, linguaggio, biologia, 
   evoluzione, lingue creole 
Editore: Adelphi  
Collana: Biblioteca Scientifica 
Numero: 66
Codice ISBN: 9788845936593 
Pagine: 477 pagg. 
Traduzione: Davide Bordini 
 
Sinossi (risvolto): 
Noto per aver formulato, in parallelo a Darwin, una teoria evoluzionistica «per selezione naturale», Alfred Wallace ne coglieva fin dall’inizio uno dei limiti principali: l’incapacità di spiegare perché la nostra specie abbia acquisito una mente «di gran lunga più potente» rispetto alle necessità adattative. Domanda ingombrante, a cui lo stesso Darwin tentava di rispondere ipotizzando che quella ridondanza cognitiva fosse l’esito «dell’uso continuo di un linguaggio perfetto». Congelato per oltre un secolo e riaffiorato solo negli ultimi anni, il «problema di Wallace» ha trovato infine una convincente soluzione in questo libro ammaliante e definitivo. Riconsiderando punti di forza e carenze delle principali teorie sull’argomento, Bickerton ricolloca il linguaggio nell’alveo evoluzionistico e in­dividua tre fasi decisive per il suo sviluppo: quella della generazione nel cervello di «rappresentazioni di unità simboliche», innescata dalla comunicazione dislocata necessaria per il reclutamento di alleati nella saprofagia conflittuale; quella della riorganizzazione neurale in rapporto alle sollecitazioni ambientali, in cui il cervello ridisegna le proprie connessioni in modo da collegare le parole ai concetti appropriati; e quella culturale, in cui un processo di elaborazione grammaticale sviluppa unità sintattiche elementari in altre più ampie. Bickerton riesce così ad attualizzare la risposta di Darwin al «problema di Wallace», delineando un nuovo orizzonte: «Linguaggio e cognizione (almeno quegli aspetti della cognizione propri degli esseri umani) sono cresciuti a partire da un’origine comune e hanno le stesse fondamenta». La locuzione Homo sapiens loquens sarebbe dunque molto più di un gioco di parole. 

L'autore: 
Derek Bickerton (1926 - 2018), eminente linguista nato in Inghilterra, ha a lungo insegnato alla University of Hawai'i a Mānoa. Basandosi sul suo lavoro sulle lingue creole in Guyana e nelle Hawaii, ha proposto che le caratteristiche delle lingue creole forniscano importanti spunti di riflessione sullo sviluppo del linguaggio sia a livello individuale che come caratteristica della specie umana. È stato l'ideatore e il principale sostenitore dell'ipotesi del bioprogramma linguistico, fondata su questa idea: la somiglianza delle lingue creole è dovuta al fatto che sono state formate da un pidgin preesistente da bambini che condividono tutti una capacità grammaticale innata universale umana.
 
Struttura del volume: 
 
1 Il problema di Wallace 
     La risposta di Darwin 
     La chiave d'accesso al problema 
     La struttura di questo libro 
2 La teoria generativa 
     Le tre fasi della grammatica generativa 
     La teoria standard (1957-1980) 
     Princìpi e parametri (1981-1994) 
     Il programma minimalista (dal 1995 a oggi) 
     Minimalismo ed empirismo 
     Minimalismo e biologia 
     Operazioni minimaliste
     Il problema di Chomsky 
     Proscritto 
3 L'«unicità» degli esseri umani 
     Un «istinto ad apprendere»? 
     L'approccio all'evoluzione in termini di «caratteristiche componenti»
     Sovrastimare la evo-devo 
     Il «patchwork» delle caratteristiche componenti 
     Risalendo la scala fino agli esseri umani 
     Primati e pressioni 
     La teoria della costruzione della nicchia 
     La costruzione della nicchia e la speciazione ominide 
     Alcune linee guida per lo studio dell'evoluzione del linguaggio
4 Dalla comunicazione animale al proto-linguaggio 
     Il paradosso della cognizione 
       Prove a favore della cognizione avanzata 
       Prove contro la cognizione avanzata 
       La soluzione del paradosso della cognizione 
     Il primo passo verso il linguaggio 
     Gli imenotteri dimenticati 
     Una nicchia per «Homo» basata sulla saprofagia? 
     Saprofagia conflittuale e dislocamento 
     La saprofagia e il problema di Wallace 
     L'importanza del dislocamento 
     Dalla cognizione preumana a quella umana 
     Quello che le parole possono fare 
     Il proto-linguaggio 
     Dopo il proto-linguaggio 
5 La grammatica universale 
    La struttura costituente e le sue implicazioni 
    L'«impossibilità» della grammatica universale 
    Il cervello dà una mano 
      Dall'inizio del proto-linguaggio 
      Un modello dell'evoluzione della sintassi come dettata dal cervello 
    Dalla stringa alla frase 
       Concatenare unità simboliche 
       Strutturare le concatenazioni 
    Un modello astratto di come il cervello gestisce la sintassi 
    Il processo di costruzione delle frasi 
       Il c-comando 
       Gli effetti-isola 
       Il riferimento delle «categorie vuote» 
    Dopo la grammatica universale
6 Variazione e cambiamento 
    Perché la variazione e il cambiamento?
    Instabilità intrinseca 
    Sotto-specificazioni che vanno specificate 
      Ordine delle parole 
      Sistemi tempo-modo-aspetto (TMA) 
    Sotto-specificazioni che non richiedono di essere specificate 
      Grammaticizzazione delle relazioni tra parole 
      Grammaticizzazione delle relazioni verbo-argomento
      Grammaticizzazione dei confini tra sintagmi e clausole 
    Cause del cambiamento 
    Obiezioni a questo modello 
      Un'obiezione particolare: categorie funzionali
      Un'obiezione generale: la teoria dei parametri 
7 L'«acquisizione» della lingua 
   Un'alternativa al consenso 
   Il linguaggio infantile è un proto-linguaggio? 
   La fase della parola singola 
   La fase delle due parole 
   Il «discorso telegrafico» 
   La distinzione causativo/non causativo 
   La negazione in francese e in inglese 
   Acquisire le forme interrogative 
   L'«errore» come fonte di comprensione
8 Creolizzazione 
   Il «continuum» delle lingue creole  
   Il ciclo della piantagione 
   Critiche al programma innato 
      Adulti e bambini 
      L'influenza delle lingue di sostrato 
      Creolizzazione «graduale» 
      Negazione del pidgin 
      Differenze nel creolo 
   Lo sranan e il saramaccano: origini comuni o indipendenti? 
      La storia degli albori del Suriname 
      Il lessico dello sranan e del saramaccano  
   La creolizzazione alla Hawaii 
      Lo stato della generazione G2 
      G2 e le lingue dei genitori
   Le lingue creole e l'argomento universalista
9 «Homo sapiens loquens» 
   Le tre stanze e la scala mobile
   L'«uso continuo» e il fattore Joyce 
   Il fattore Joyce 
   Perché non abbiamo bisogno di capacità ulteriori
   Alcune conseguenze di queste proposte 
       Quanto erano probabili gli esseri umani?
       Innatismo contro empirismo 
Conclusione 
Bibliografia
 
Recensione:  
Il problema dell'origine del linguaggio umano è ben lungi dall'essere risolto, con buona pace di quanto affermano il contrario (ad esempio i sostenitori della grammatica generativa di Noam Chomsky). Questo ponderoso testo di Bickerton è certo affascinante, ma tutt'altro che "definitivo" e non fornisce comunque alcuna spiegazione convincente del mistero che è il fondamento della nostra stessa esistenza come creature pensanti. Per quanto il risvolto presenti l'opera come il compimento supremo dell'impresa di ridurre il linguaggio "nell'alveo dell'evoluzionismo", direi piuttosto che lo colloca nel letto di Procuste, tagliando ciò che sporge e stirando ciò che manca. Gli sforzi fatti dall'autore sono senza dubbio eroici e lodevoli, ma credo che ci sia ancora molta strada da percorrere. 

Un'osservazione cruciale 

Questo scrisse nel 1869 il naturalista e geografo britannico Alfred Russel Wallace (1823 - 1913), intendendo con "selvaggi" coloro che vivevano in una società senza scrittura (agrafa) e pre-industriale: 

"La selezione naturale avrebbe potuto dotare i selvaggi di un cervello di poco superiore a quello di una scimmia, mentre essi possiedono un cervello che è di poco inferiore a quello di un membro medio delle nostre società scolarizzate."

Ai frequentatori compulsivi di Facebook il nome di Wallace dirà ben poco. Basti ricordare che fu il cofondatore della teoria dell'evoluzione per selezione naturale, assieme al più noto Charles Darwin (1809 - 1882). Bickerton ci fa capire l'enormità delle conseguenze di quanto Wallace aveva compreso:

"Un cervello leggermente migliore di quello di una scimmia sarebbe comunque bastato per superare in intelligenza qualsiasi altra cosa si muovesse su due o quattro zampe e raggiungere così la cima della catena alimentare. I primi umani non avevano bisogno di occuparsi di matematica, di costruire barche, di comporre musica o di avere idee circa la natura dell’universo per poter fare tutte le cose che in concreto facevano. Il fatto che, all’improvviso, scoprissero di essere dotati di un cervello che potenzialmente avrebbe potuto renderli capaci di tutte queste cose era già abbastanza notevole. Ma ancor più straordinario era che quegli stessi cervelli avrebbero reso capaci coloro che li possedevano di ricoprire il mondo intero delle proprie opere, di immergersi negli abissi più profondi degli oceani e addirittura (meno di mezzo secolo dopo la morte di Wallace) di lasciarsi alle spalle la Terra." 
 
Una singolare contraddizione di Darwin  

Bickerton riporta 
quanto scrisse Darwin nel 1871 (pag. 101, trad. it. pag. 106), in risposta alle argomentazioni del suo connazionale Wallace

"Se si potesse provare che alcuni elevati poteri mentali, come la formazione di concetti generali, l’autocoscienza, ecc. sono assolutamente peculiari all’uomo, il che sembra estremamente dubbio, non sarebbe improbabile che queste qualità apparissero come il risultato incidentale di altre facoltà intellettuali altamente avanzate e queste ancora principalmente il risultato dell’uso continuo di un linguaggio perfetto." 

Se la logica è il prodotto dell'uso continuo di una lingua perfetta, come ebbe a dire Darwin, come si spiega allora l'origine di questa perfezione? Come si è formata la lingua perfetta? Il problema è che Darwin non lo chiarisce affatto, in qualche modo si tira fuori dalla scomoda discussione. Soltanto pochi anni prima, egli avrebbe affermato quanto segue: "La lingua perfetta è stata data all'essere umano dal Creatore". In altre parole, il dono del Logos sarebbe qualcosa di acosmico, quindi non soggetto alle regole dell'evoluzione per selezione naturale. Qualcosa di non scandagliabile dalla stessa mente umana che ne fa uso. Proprio questa è la risposta data da Wallace, che postulava la necessità di un intervento soprannaturale, in grado di conferire alla specie umana la sua unicità rispetto agli altri viventi. In un'altra occasione, sempre nel 1871 (pag. 57, trad. it. pag. 79), Darwin si era contraddetto, affermando quanto segue: 

"[...] i poteri mentali in alcuni primi progenitori dell’uomo devono essere stati più altamente sviluppati che in ogni scimmia esistente, anche prima che la più imperfetta forma di discorso fosse entrata nell’uso."

Mettiamo dunque assieme quanto affermato da Darwin: 
 
I) Pag. 57: le facoltà logiche preesistevano al linguaggio articolato.
II) Pag. 101: le facoltà logiche sono la conseguenza dell'uso del linguaggio articolato. 

Si applica il principio di non contraddizione: le proposizioni I e II non possono essere entrambe vere
 
Bickerton fa notare che i creazionisti, sostenitori del cosiddetto Disegno Intelligente, non hanno sfruttato questo bug. Quindi riporta dichiarazioni di un'estrema gravità e importanza: 

"Il divario cognitivo tra umani e nonumani è il tallone d’Achille dell’evoluzione. Il problema di Wallace è reale, e gli evoluzionisti lo hanno semplicemente ignorato oppure hanno cercato di dare delle spiegazioni che lo facessero scomparire. A quanto ne so, l’unico che ha provato a riaffermarlo è David Premack (1986, p. 133), il quale ha fatto notare che «il linguaggio umano è fonte di imbarazzo per la teoria evoluzionista, perché è molto più potente di quanto si possa spiegare nei termini delle forze selettive»."

Il nascondimento è sempre indice di disonestà intellettuale. A maggior ragione in questo caso, così delicato. Più che di fronte a un'onesta comunità scientifica, vediamo gli effetti deleteri di quella che ha tutte le parvenze di una camorra e di una camarilla. 

Deprivazione linguistica

In buona sostanza, Bickerton ammette che non è facile dedurre qualcosa di utile dalle normali condizioni in cui avviene l'apprendimento di lingue ben consolidate, come ad esempio l'inglese e lo spagnolo. Occorre quindi studiare circostanze in cui l'input linguistico dato ai bambini presenta carenze e distorsioni. Per ragioni etiche, l'autore rifiuta la possibilità di utilizzare metodi sperimentali, che comporterebbero la crescita di bambini "con qualche grado di deprivazione degli input". Restano quindi soltanto due situazioni "naturali" utili: quella dei ragazzi selvaggi e quella in cui hanno origine le lingue creole. Si noterà che in passato ci sono stati studiosi che non hanno avuto scrupoli a tentare esperimenti di deprivazione linguistica, pur con risultati scarsi e assai dubbi. A quanto ci narra Erodoto, il Faraone Psammetico I (... - 610 a.C.), della XXVI dinastia, fece crescere due bambini da un pastore, in modo tale che non gli fosse insegnato a parlare. Quando questi bambini videro per la prima volta il sovrano, pronunciarono la parola "bekos", che in frigio significa "pane". Il Faraone dovette quindi ammettere la maggior antichità dei Frigi rispetto agli Egizi. L'Imperatore Federico II di Svevia (1194 - 1250) decise di far crescere alcuni bambini senza che fosse insegnato loro a parlare. Lo Stupor mundi era convinto che gli infanti si sarebbero messi a parlare in ebraico, ritenuto per motivi religiosi la prima lingua del genere umano - quella in cui Adamo avrebbe dato nome a tutte le cose esistenti, su comando di Dio. Questa convinzione biblica si dimostrò fallace: certamente nessuno dei bambini si mise mai a parlare, in ebraico o in qualsiasi altra lingua. Anzi, finirono col morire a causa della salute cagionevole. Sappiamo che i ragazzi selvaggi, bambini cresciuti senza contatti con adulti (o con scarsi contatti), hanno insormontabili problemi ad acquisire anche soltanto l'uso di poche parole. Bickerton non tratta di questi casi nel volume, ritenendoli irrilevanti e concentrandosi invece sul problema delle lingue creole, che costituisce la sua idée fixe. A parer mio ha commesso un grave errore. Una cosa mi è subito saltata agli occhi: i ragazzi selvaggi, che non hanno il linguaggio articolato, non hanno il tabù degli escrementi. In altre parole, prima che apparisse il linguaggio articolato, la coprofagia doveva essere una condizione normale tra gli antenati degli esseri umani! Ciò pone problemi a non finire, perché il tabù degli escrementi esiste presso i macachi, che pure non hanno il linguaggio articolato. Le fonti? Si trovano nel Web filmati in cui viene porto un escremento a un macaco, che reagisce con furia, soffiando e minacciando, per poi allontanarsi. 

Pidgin e lingue creole

È necessario a questo punto dare alcune definizioni per capire meglio il fumoso mondo delle lingue ibride. Un mondo che è stato ben poco studiato, anche a causa di pregiudizi. Senza dubbio il lavoro sul campo fatto da Bickerton è molto meritorio.

1) I pidgin 

Un
pidgin è una lingua che nasce dalla mescolanza di lingue di popolazioni differenti, venute a contatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni e relazioni commerciali, che non è tuttavia la lingua madre di alcuna generazione. I pidgin si apprendono in età adulta; sono caratterizzati da strutture non codificate e fortemente semplificate, sia nella struttura sia nel vocabolario. 
 
2) Le lingue creole 

Una lingua creola nasce dall'ibridazione di due o più lingue esistenti, diventando la lingua madre di una nuova generazione di parlanti che non hanno imparato una delle lingue di origine. In sostanza è una lingua stabilita, con una propria struttura grammaticale e vocabolario, che si sviluppa quando i parlanti di diverse lingue entrano in contatto e devono interagire. Si chiama lessificatore principale la lingua (in genere europea, con alcune eccezioni) da cui proviene la maggior parte del vocabolario.

3) Creolizzazione dei pidgin 

Un pidgin che comincia ad essere appreso dai bambini di una nuova generazione, diventa una lingua creola, ossia subisce un processo di creolizzazione

4) Decreolizzazione dei creoli 

Una lingua creola subisce un processo di decreolizzazione man mano che si riducono le differenze con il suo lessificatore principale. Alla fine di questo processo, si può arrivare ad avere un dialetto del lessificatore.  

Due lingue creole:
Sranan e Saramaccano
 

In Suriname sono parlate tuttora due lingue creole molto singolari: lo Sranan e il Saramaccano. Lo Sranan (più propriamente Sranan tongo) è parlato da circa 500.000 persone ed è formato soprattutto da parole inglesi, con prestiti portoghesi e olandesi, oltre a un significativo sostrato africano. Il Saramaccano è parlato da circa 58.000 persone in Suriname e da 25.000 in Guyana Francese; il suo lessico è formato per il 30% da parole inglesi, per il 20% da parole portoghesi e per il 50% da parole africane (Fongbe, Akan, Twi, Kikongo, etc.). Si trovano anche tracce di parole di origine Carib. 
Queste ed altre simili lingue creole hanno avuto origine da un pidgin informe, non documentato, formatosi in tempi rapidi nel corso della seconda metà del XVII secolo nelle piantagioni. La creolizzazione del pidgin originario (dalla fine del XVII secolo) è avvenuta in circostanze diverse, che hanno portato alla divergenza delle lingue derivate. I parlanti dello Sranan sono i discendenti degli schiavi rimasti nelle piantagioni, mentre i parlanti del Saramaccano sono i discendenti dei cimarroni, schiavi fuggiaschi che si sono rifugiati nelle foreste. 
A questo punto riporto una tabella con alcuni dati lessicali relativi allo Sranan e al Saramaccano. In particolare ho aggiunto a quanto mostrato da Bickerton alcune parole del vocabolario di base e qualche altra voce relativa alla fauna. Ho inoltre cercato di evidenziare non soltanto la grande differenza tra i due creoli, ma anche la presenza di importanti lessemi in comune ("io", "acqua", "fiume", "piede", oltre agli articoli determinativi). 

Glossa italiana

Sranan

Saramaccano

il, lo, la

da

di

i, gli, le

den

dee

io

mi

mi

tu

yu

i

noi

unu, wi

u

voi

unu

un

chi

suma

ambé

che cosa

faa, san

andí

quando

oten

na unten

dove

ope, pe

ka, naase

quale

sortu

un

perché

sanede

andi-mbei

in

ini

a

con

psa

langalanga

dentro

ini

dendu

sopra

tapu

liba

sotto

ondro

basu

e

e, nanga

ku

se

efu

ee

acqua

watra

wata

fiume

liba

lio

montagna

bergi

kúnunu

cielo

loktu

gaangadu

fuoco

faya

faja

uomo

kel, man, mansma

womi

donna

frow, uma

mujee

bocca

mofo, smuru

buka

mano

anu

máun

piede

futu

futu

lucertola

lagadisi, lagadisa

kaluwá

alligatore

kaiman 

akalé, gandí, káima 

formica

mira

hansi


Si riconoscono facilmente le origini di numerose parole, solo in pochi casi trattate nel volume di Bickerton. Ecco alcune etimologie trasparenti: 

Saramaccano liba "sopra" < Portoghese arriba "su" 
Sranan watra "acqua" < Inglese water 
Saramaccano wata "acqua" < Inglese water 
Sranan liba "fiume" < Portoghese arriba "scoglio"
Saramaccano lio "fiume" < Portoghese rio 
Sranan faya, Saramaccano faja < Inglese fire 
Samaraccano womi "uomo" < Portoghese homem
Sranan uma "donna" < Inglese woman 
Saramaccano mujee "donna" < Portoghese mulher 
Sranan mofo "bocca" < Inglese mouth 
Saramaccano maun "mano" < Portoghese mão 
Sranan, Saramaccano futu "piede" < Inglese foot 
Sranan mira "formica" < Olandese mier 
Saramaccano hansi "formica" < Inglese ants "formiche" 

Si notano alcune parole africane, ben incastonate nella parte più importante del lessico: 

Saramaccano: ambé "chi" < Fongbe    
Saramaccano: andí "che cosa" < Fongbe àni 
Samaraccano: i "tu" < Fongbe ye 
Sranan: unu "voi" < Igbo únù
Samaraccano: un "voi" < Fongbe un 

Tra le poche parole di origine amerindiana, possiamo citare senza dubbio queste, derivate da una lingua di ceppo Carib: 

Samaraccano: kaluwá "lucertola"  
Samaraccano: akalé "alligatore" 
Sranan: kaiman; Samaraccano: káima "alligatore"  

Bickerton, che ha il merito di aver confrontato per la prima volta il lessico Sranan a quello Saramaccano, è dell'idea che non esista un proto-Sranan-Samaraccano ricostruibile, perché le due lingue creole si sarebbero formate in modo del tutto indipendente. 

La teoria della saprofagia organizzata

Bickerton sostiene che le caratteristiche peculiari della nicchia ecologica dell'uomo primitivo abbiano permesso questo passaggio da un sistema di comunicazione animale al linguaggio articolato. Cita il fatto che circa due milioni di anni fa i nostri antenati si facevano strada verso la cima di una piramide di spazzini, accedendo alle carcasse della megafauna prima di altri predatori, che tenevano a bada lavorando in gruppi coordinati. Imitando un animale, come un mammut, un membro poteva tentare di comunicare informazioni su tali fonti di cibo. Sebbene tale segnalazione imitativa mantenesse un carattere iconico piuttosto che completamente simbolico, implicava un atto di spostamento nella comunicazione, poiché il corpo poteva trovarsi a chilometri di distanza ed essere scoperto ore prima. Col tempo, i suoni che significavano qualcosa come un mammut sarebbero stati decontestualizzati e avrebbero finito per assomigliare a qualcosa di molto più simile a una parola. Questo spostamento è la caratteristica distintiva del linguaggio. 
Sempre secondo Bickerton, queste parole permettevano la formazione di concetti, piuttosto che delle semplici categorie di cui anche gli animali sono capaci. Le parole hanno avuto origine come un sistema di ancoraggio per le informazioni sensoriali e i ricordi relativi a un animale o un oggetto specifico. Una volta che il cervello aveva a disposizione le parole, poteva creare concetti che si assemblavano in un "protolinguaggio". Il protolinguaggio rimase molto simile a un pidgin per un milione di anni o più, per poi passare dal modello linguistico "a perline su un filo" a una struttura gerarchica tramite combinazione di stringhe. 

Un punto debole

Il problema è che né i pidgin né i creoli sono davvero "lingue primitive": derivano dalla degradazione e dalla ricombinazione di lingue già esistenti. A quanto si sa, non esistono lingue simili a pidgin e creoli, 
ma nate dal nulla (o meglio, da precedenti forme di comunicazione non linguistica, non articolata, animale). Quindi si sta lavorando facendo ipotesi in assenza di dati misurabili. In sintesi, non sono affatto sicuro che la pidginizzazione e la creolizzazione descrivano il processo di formazione degli antenati delle lingue naturali a noi note. 

L'inesistenza delle "lingue primitive" o "pre-lingue"

Purtroppo manca qualsiasi attestazione di lingue umane che possano essere chiamate "primitive" o "rudimentali". Con ogni probabilità saranno esistite, ma nessuna è riuscita a sopravvivere tanto a lungo da poter essere documentata. Qualcuno parla di "pre-lingue" o "protolingue assolute", ma il concetto è lo stesso - per quanto ritenga che la seconda locuzione sia un po' impropria. Trovo ragionevole pensare che una pre-lingua dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: 

i) una fonologia semplice, con poche consonanti e soltanto sillabe aperte 
ii) un lessico poverissimo, che consiste di un centinaio o al massimo di poche centinaia di vocaboli; 
iii) assenza di numerali 
iv) assenza di pronomi personali 
v) assenza di mezzi grammaticali, in particolare: 
   - assenza di suffissi e di prefissi, 
   - assenza di parole composte, 
   - assenza di qualsiasi modificazione delle parole;  
vi) frasi telegrafiche, costituite da semplice giustapposizione di vocaboli; 
vii) assenza di paratassi (frasi coordinate) e di ipotassi (frasi subordinate). 

Si noti che esistono nel mondo diverse lingue anumeriche, come quelle degli Andamanesi e di alcuni popoli dell'Amazzonia (Pirahã, Nambiquara, etc.). La lingua Pirahã ignora l'ipotassi e ha preso in prestito i pronomi personali da una lingua Tupí. Eppure tutte le lingue di questi popoli sono sufficientemente complesse, ricche nel lessico e dotate di mezzi grammaticali sviluppati (composti, morfologia, etc.). Sarebbe interessante cercare di capire se antiche lingue rudimentali scomparse possano aver contribuito alla formazione delle lingue in questione, ad esempio fornendo elementi di sostrato. 

L'immaginario collettivo

Nonostante non ci sia attestazione di "lingue primitive", sembra che il genere umano abbia un'idea ben precisa di come queste dovrebbero essere. In realtà, ne esce qualcosa di più complesso ed "evoluto" rispetto alle caratteristiche della proto-lingua assoluta sopra menzionate. La frase "Io Tarzan, tu Jane" mostra già una rudimentale paratassi e la capacità di servirsi di pronomi personali per indicare la contrapposizione tra il parlante (Tarzan) e un altro essere (Jane). I sostenitori dell'innatismo considererebbero questo fatto come una prova dell'esistenza di una natura intrinsecamente sintattica e grammaticale dell'essere umano. In altri termini, secondo costoro le parole sarebbero nate assieme alla sintassi, alle strutture grammaticali. Non sono affatto convinto che questo sia vero. 

Anelli mancanti?

Bickerton ha sempre dato prova di essere ben consapevole di questi problemi: 

"Se vi sono innumerevoli specie dotate di capacità a metà strada tra quelle di una lampreda e quelle di uno scimpanzé, dovrebbero esserci anche molte specie intermedie tra esseri umani e scimpanzé. Come mai, allora, non ci sono animali dotati di una piccola o moderata quantità di autocoscienza, né c’è un aumento graduale della capacità di innovazione o della creatività, né ci sono livelli diversi di produzioni artistiche (anche solo in una singola arte o in due), o per lo meno un linguaggio rudimentale? Il mero asserire che non vi è nessuna «differenza fondamentale» non è (e non avrebbe potuto essere, neppure al tempo di Darwin) un pronunciamento scientifico. Era ed è una pura e semplice dichiarazione di fede."

L'unico modo di risolvere la questione sarebbe la scoperta, in qualche densissima foresta dell'Indonesia o della Papua Nuova Guinea, di una specie di ominide diversa da Homo sapiens, qualcosa come l'Uomo di Flores (Homo floresiensis), che sia sopravvissuta nell'isolamento e che ci permetta finalmente di gettare un po' di luce sul nostro passato più oscuro. 

Il pericolo della presunzione dogmatica 

Riporto a questo proposito quanto scritto qualche tempo fa dal professor Fabio Calabrese. Sono parole che condivido appieno, perché esprimono molto bene il mio profondo disagio verso ogni tentativo di fondare una "religione scientista", con sostituzione di dogmi preconcetti alla ricerca della Conoscenza: 

"Una volta invitai alla mia scuola a tenere una conferenza ai ragazzi, un esponente del CICAP triestino, perché ritenevo l'opera di questa associazione nello smascheramento di guru e ciarlatani, assolutamente meritoria. Me ne fece pentire. Iniziò facendo un disegno alla lavagna, un castello incompleto in una parte del muro in basso e in una parte della merlatura. Disse che quello rappresentava l'edificio della conoscenza, ormai completo, tranne qualcosa che non sappiamo del mondo subatomico, e qualcosa che non sappiamo delle lontane galassie. Trovai il suo atteggiamento indisponente, e irritante la presunzione che "ormai sappiamo tutto", o "sappiamo quasi tutto".
Secondo me, una scienza che smette di porsi domande, è una scienza morta." 

martedì 28 febbraio 2023


WHATEVER THAT HURTS 

Gruppo: Tiamat 
Album: Wildhoney 
Anno: 1994 
Paese: Svezia  
Lingua: Inglese 
Genere: Gothic Metal, Death Metal 
Formato: CD 
Etichetta: Century Media 
Formazione: 
  Johan Edlund - voce, chitarra
  Johnny Hagel - basso
  Lars Sköld - batteria
  Magnus Sahlgren - chitarra solista
  Waldemar Sorychta - tastiere
  Birgit Zacher - voce addizionale 
Etimologia del nome del gruppo: da Tiāmat, nome accadico della Dea degli Abissi, Madre del Cosmo (cfr. ebraico Tehōm "Abisso")
Link: 


Testo in inglese: 

Whatever that hurts

Decoction of Jimsonweed
Slimy trailing plants distil
Claustrophobia and blood mixed seed
Cursed downstairs against my will
Cobweb sticks to molten years
Cockroaches served with cream
I wipe the silver bullet tears
And with every tear a dream
With every tear a dream..
Honey tea, psilocybe larvae
Honeymoon, silver spoon
Psilocybe tea
Energy trickles with the tide
Masterminds and the suicide squad
Drink acid water by my side
Stake the saviour of their daily fraud
Overfilled toothpaste tubes
Sleepless and timeless faces
Drippety drop on sugarcubes
The one eyed's eye twinkles and gazes
Twinkles and gazes...
Honey tea, psilocybe larvae
Honeymoon, silver spoon
Psilocybe tea 

Traduzione: 

Qualsiasi cosa dia fastidio 

Decozione di stramonio 
Piante rampicanti viscide distillano
Semi di claustrofobia mista a sangue 
Maledetto piano inferiore 
Contro la mia volontà 
La ragnatela si attacca 
Agli anni fusi 
Scarafaggi serviti con panna 
Asciugo le lacrime del proiettile d'argento 
E con ogni lacrima un sogno... 
Tè al miele, larve di psilocybe  
Luna di miele, cucchiaio d'argento 
Tè alla psilocybe 
L'energia scorre con la marea
I cervelloni e la squadra suicida
Bevono acqua acida al mio fianco
Perfora col palo il salvatore della loro frode quotidiana 
Tubetti di dentifricio stracolmi
Volti insonni e senza tempo
Goccia gocciolante su zollette di zucchero
L'occhio del guercio brilla e guarda... 
Tè al miele, larve di psilocybe
Luna di miele, cucchiaio d'argento
Tè alla psilocybe 

Recensione: 
Il brano è semplicemente esaltante. Il video è uno spettacolare viaggio allucinatorio in un Inferno psichedelico. I colori sono abbacinanti, quasi esplosivi. Si scorgono forme transeunti, vorticose, in cui volti oscuri si ridefiniscono istante dopo istante, sfaldandosi, frammentandosi, ricomponendosi. Un pupazzo si contorce, il suo capo è fatto con una sigaretta mezza combusta. Si contorce, danzando come gli spettri di stelle morenti sul margine di un Orizzonte degli Eventi che annienta l'Essere! Un Buco Nero ontologico! Un burattinaio agita le dita di legno rossiccio, cercando di stringere un pupazzo che è una specie di mosca plasmata da un Demiurgo folle! Intanto dall'alto colano fiotti di un miele allucinogeno, tossico, che uccide i viventi. 

San Isidro o la carne degli Dei 

La Psilocybe cubensis (Earle) Singer, 1948 è un fungo basidiomicete della famiglia delle Strophariaceae. Ha poteri psichedelici, contenendo il principio attivo detto psilocibina. Questo fungo, noto anche con il sinonimo scientifico di Stropharia cubensis, in Messico è denominato San Isidro, che in spagnolo significa "San Isidoro". Gli Aztechi ne facevano largo uso e lo chiamavano teōnacatl, ossia "carne degli Dei" (più precisamente "fungo degli Dei", da teōtl "divinità" e nanacatl "fungo", alla lettera "quasi-carne", forma reduplicata di nacatl "carne"). Francamente non so se sia infestato da larve o se queste si siano prodotte nella mente frenetica del cantante dei Tiamat. Nemmeno so se con questo fungo ci facciano del tè, se lo mettano in infusione. Molti anni fa mi capitò di conoscere in chat un pazzoide che ci faceva delle fritture. Poi parlava di Rettiliani e delle opere di Carlos Castaneda.

sabato 29 ottobre 2022

ETIMOLOGIA DI MEZCAL, MESCAL 'DISTILLATO DI AGAVE'

In Messico si produce attualmente una bevanda distillata a base di succo di agave, che spesso è confusa con la tequila. Si tratta del mezcal (adattamento in italiano: mescal; talvolta scritto mescal anche in inglese). A differenza della tequila, che è prodotta distillando unicamente il succo dell'agave blu (Agave tequilana), il mezcal è prodotto a partire dal succo di più di trenta specie delle circa 200 presenti naturalmente nel territorio messicano. Quasi tutta la produzione avviene nello Stato di Oaxaca. Qui in Italia, questa bevanda è nota soprattutto per lo splendido verme che si trova sul fondo della bottiglia. Secondo alcune fonti, l'aggiunta in alcune bottiglie del tipico verme (in spagnolo gusano, in Nāhuatl ocuilin) sarebbe una trovata pubblicitaria abbastanza recente (Salzstein, 2009). In realtà si tratta di un parassita temibile, che infesta l'agave e riduce notevolmente la qualità del succo estratto. Ci sono due tipi di vermi del mezcal. Il primo è la larva del lepidottero Comadia redtenbacheri (detta gusano rojo, ossia "verme rosso"), il secondo è invece la larva del coleottero Scyphophorus acupunctatus (volgarmente chiamato picudo del agave, ossia "punteruolo dell'agave"). La prima di queste larve, che tecnicamente parlando è una tarma, è considerata più pregiata della seconda. Molti sono pronti a giurare che il verme contribuisce all'aroma della bevanda, cosa che trovo difficile da credere. Ho bevuto più volte il mezcal, mangiando anche il verme, senza riscontrare un aroma attribuibile a questa singolare aggiunta. Il sapore del distillato non è a mio avviso molto diverso da quello della tequila. 

Alcune note etimologiche:

In epoca coloniale, la parola mezcal indicava il succo fermentato di agave, così il distillato che se ne ricavava  era chiamato vino de mezcal. La stessa denominazione era attribuita alla tequila. L'etimologia è dalla lingua Nāhuatl:   

   mexcalli /meʃ'kalli/
     
1) "tipo di succo fermentato d'agave";
      2) "foglie cotte di agave" 
      Si tratta di un composto derivato dai seguenti sostantivi:
      metl /met͡ɬ/ "agave" 
      ixcalli /iʃ'kalli/ "decozione" (*) 
            dal verbo ixca "cuocere al forno" 
   Derivati: 
   mexcalmetl "tipo di agave" (da cui si estrae il mexcalli

(*) Da non confondersi con l'omofono ixcalli "finestra". 

Alcune note fonetiche: 

La consonante -x- è usata per trascrivere il suono palatale scritto -sh- in inglese (è come sc- dell'italiano scia). In genere nelle parole Nāhuatl passate in spagnolo, viene adattato in una fricativa velare scritta come -j-, più raramente come -x-. Il caso dell'esito sibilante in mezcal è un'eccezione, dovuta alla presenza della consonante velare seguente. In epoca coloniale si scriveva mexcal, plurale mexcales.  

Il Mezcal nella Settima Arte:

Famosissimo in Italia è il bandito Mezcal, quello che massacrava a sganassoni i Mormoni, pretendendo che gli servissero il vino e l'arrosto anziché le odiose minestre insipide! Evidentemente aveva tratto il soprannome dalla  sua predilezione per il distillato d'agave di Oaxaca. L'attore, il robusto Remo Capitani, definiva il suo stesso personaggio "un messicano scaciato, un zozzone bono a gnente". In realtà credo che sia una figura da rivalutare. Tutti ricorderanno il film di cui sto parlando: Lo chiamavano Trinità (1970), diretto da Enzo Barboni (pseudonimo E.B. Clucher). 

Altre specie vegetali: 

Anche se non so bene spiegarmi il motivo, è invalso l'uso di chiamare mescal un vegetale che non ha nulla a che fare con l'agave e con i suoi prodotti: è il peyote (nome scientifico Lophophora williamsii; Nāhuatl peyōtl), un piccolo cactus carnoso e senza spine, notissimo per le sue proprietà psicoattive. Da questa bizzarra pianta succulenta prende il nome la mescalina (inglese mescaline, mescalinmezcalin; nome scientifico 3,4,5-trimetossi-β-fenetilammina), che è l'alcaloide psichedelico in essa contenuto. Si devono evitare le confusioni: la bevanda distillata dal succo di agave non ha proprietà allucinogene!

Esiste anche un altro omofono: è il mescal, nome di una pianta della famiglia delle Fabacee (nome scientifico Dermatophyllum secundiflorum), molto comune nel Messico e in alcuni territori degli Stati Uniti (Nuovo Messico, Texas). Si presenta come un arbusto o albero sempreverde, alto da 1 a 15 metri, con fiori azzurrognoli tendenti al violetto, profumati. Ha foglie pennate, coriacee e glabre, lunghe da 6 a 15 centimetri.  I suoi semi, arancioni e sgargianti, hanno elevato valore ornamentale. Il suo legno, rossiccio, ha scarso valore commerciale. Cresce molto lentamente e predilige i luoghi solatii. È una pianta mellifera, da cui le api bottinano nettare e producono miele; è velenosa in tutte le sue parti. Si segnala l'uso dei suoi semi come intossicanti presso le popolazioni native. Si tratta di una pratica assai rischiosa. Infatti anche il consumo di un singolo seme può essere sufficiente ad uccidere un adulto, dato che oltre al principio psicoattivo allucinogeno è contenuto un alcaloide fortemente tossico, la citosina. Proprio da questa consuetudine di intossicarsi con i semi del mescal hanno preso il loro nome gli Apache Mescaleros. Attualmente questi semi sono stati soppiantati dal peyote come "sostanza ricreativa". 
Nomi scientifici alternativi: 

  Agastianis secundiflora (Ortega) Raf. 
  Broussonetia secundiflora Ortega
  Calia erythrosperma Terán & Berland 
  Calia secundiflora (Ortega) Yakovlev
  Calia secundiflora f. xanthosperma (Rehder) Yakovlev 
  Calia secundiflora subsp. albofoliolata Yakovlev
  Cladrastis secundiflora (Ortega) Raf. 
  Dermatophyllum speciosum Scheele 
  Sophora secundiflora (Ortega) Lag. ex DC. 
  Sophora secundiflora f. xanthosperma Rehder 
  Sophora speciosa (Scheele) Benth. 
  Virgilia secundiflora (Ortega) Cav. 

ETIMOLOGIA DI TEQUILA

La parola tequila "tipo di distillato di agave" è tradizionalmente associata al toponimo Tequila, nome di una cittadina nello Stato di Jalisco. In quel luogo si processa il succo dell'agave blu (nome scientifico: Agave tequilana), producendo così la famosissima bevanda superalcolica. Il nome scientifico della pianta è ovviamente recente, essendo l'epiteto "tequilana" formato proprio a partire dal nome del distillato. 
Il toponimo Tequila viene in genere derivato dal Nāhuatl Tequitlān /te'kit͡ɬa:n/ "Luogo di (duro) lavoro", a sua volta da tequitl /'tekit͡ɬ/ "lavoro" con il tipico suffisso locativo -tlān /-t͡ɬa:n/ (che non ha esistenza come parola indipendente). Il nome dello Stato di Jalisco trae origine dal Nāhuatl Xālīxco, composto da xālli "sabbia" e da īxtli "occhio; faccia", donde "superficie". Quindi significa "Luogo di superficie sabbiosa". 

Sono convinto che la realtà sia più complessa di come viene descritta. Deve essere avvenuto un incrocio tra due voci simili. Oggigiorno, gli studiosi della lingua Nāhuatl sono inclini a ritenere il toponimo Tequila come un derivato di Tequillān "Luogo delle erbe delle pietre", un regolare composto di tetl /tet͡ɬ/ "pietra", quilitl /'kilit͡ɬ/ "erba (commestibile)" e del suffisso locativo -tlān /-t͡ɬa:n/, che potremmo tradurre con "luogo di", con assimilazione di -tl- in -l- a causa della consonante liquida precedente. Si cita nel Web l'esistenza di una tribù selvaggia della regione, il cui nome sarebbe stato Tiquili. Purtroppo non sono stato in grado di trovare conferma dell'esistenza dell'etnonimo in questione. Potrebbe anche essersi avuta un'etimologia popolare, con interpretazione fallace in chiave Nāhuatl di una parola non Nāhuatl e di origine sconosciuta. 

Personalmente sono convinto che il nome del liquore debba essere stato fin dall'inizio una parola del lessico comune, di origine non toponomastica, derivante dal Nāhuatl tequitlān /te'kit͡ɬa:n/ "officina, laboratorio artigianale", a sua volta derivato da tequitl /'tekit͡ɬ/ "lavoro" con il tipico suffisso locativo -tlān /-t͡ɬa:n/. Questo è stato il naturale slittamento semantico: 

officina, laboratorio artigianale =>
liquore prodotto in un laboratorio artigianale => 
liquore artigianale => 
tequila

Purtroppo la mia personale opinione non ha potere risolutore. A complicare le cose, c'è sempre la possibilità che il toponimo Tequila sia stato in origine proprio un plurale/collettivo del sostantivo comune tequitlān "officina, laboratorio artigianale", così chiamato per le attività di produzione del distillato. Quindi non sarebbe la tequila a trarre il suo nome dal toponimo Tequila, bensì l'inverso. Per chiarire una volta per tutte quale sia la corretta etimologia Nāhuatl, sarebbe necessario cercare nei documenti coloniali, la cui consultazione non è però assolutamente facile. La confusione deve essersi imposta tra la popolazione ispanofona quando la lingua dell'Impero Azteco ha cominciato ad essere dimenticata. Sarebbe molto utile fare un'indagine linguistica sul nome della tequila nelle lingue di ceppo Nāhuatl che sono ancora parlate in Messico da oltre un milione e mezzo di persone (purtroppo una piccola parte della popolazione totale del Paese).  

Per comprendere meglio la situazione, trovo che sia necessario citare qualcosa sul contesto coloniale. 

Ai tempi dell'Impero Azteco, esistevano leggi draconiane che vietavano l'ubriachezza. Le punizioni aumentavano in modo congravescente al crescere del rango sociale. Gli schiavi e i contadini se la cavavano con una specie di gogna, essendo esposti al pubblico ludibrio col cranio rasato; i nobili erano condannati a morte e veniva organizzata una specie di pantomina: si fingeva di perdonare il reo, facendogli festa e gettandogli al collo una ghirlanda di fiori, che però nascondeva una garrota con cui lo si strangolava! 
Quando la gloriosa città di Mēxihco-Tenōchtitlan cadde nelle mani degli Spagnoli dopo un furioso assedio, ne erano rimasti quasi soltanto ruderi. I nuovi padroni la fecero ricostruire secondo i loro canoni architettonici. Nacque così e si sviluppò quella che oggi è conosciuta come Ciudad de Mexico. La massa della popolazione nativa, sottomessa alla Corona di Spagna e al Cattolicesimo Romano, continuò a parlare il Nāhuatl, che fu lingua ufficiale e amministrativa del Vicereame della Nuova Spagna. Ci fu un bizzarro sincretismo tra pratiche indigene, come la produzione di bevanda fermentata dal succo di agave (octli poliuhqui "succo d'agave troppo fermentato", da cui pulque) e la tecnologia importata della distillazione, da cui ebbe origine un liquore superalcolico, molto potente. In un simile contesto, l'alcolismo conobbe uno sviluppo prodigioso. Questa deve essere considerata un'innovazione culturale di somma importanza!  

lunedì 17 ottobre 2022

ETIMOLOGIA DI YANKEE

Tutti conoscono bene la parola Yankee "Americano", "Statunitense" (plurale Yankees). Spesso si trova sui muri la scritta "Yankees go home!", ossia "Americani tornatevene a casa!", manifestazione di una diffusa insofferenza. Si noterà che in origine Yankee si riferiva soltanto agli abitanti del New England. Negli Stati del Sud, è tuttora considerato un termine dispregiativo nei confronti delle genti del Nord (i Nordisti). Esiste anche la forma abbreviata Yank (plurale Yanks). 
La situazione può essere riassunta in questo breve componimento:  

To Foreigners, a Yankee is an American.
To Americans, a Yankee is a Northerner.
To Northerners, a Yankee is an Easterner.
To Easterners, a Yankee is a New Englander.
To New Englanders, a Yankee is a Vermonter.
And in Vermont, a Yankee is somebody who eats pie for breakfast.  
(Elwyn Brooks White)

Traduzione: 

Per gli americani, uno yankee è un nordista.
Per i nordisti, uno yankee è un orientale.
Per gli orientali, uno yankee è un abitante del New England.
Per gli abitanti del New England, uno Yankee è un abitante del Vermont.
E nel Vermont, uno yankee è qualcuno che mangia torta salata a colazione.

Possiamo aggiungere che per un abitante della Louisiana, uno yankee è un individuo discendente da anglo-americani, in contrapposizione ai discendenti di franco-americani. Appurato ciò, qual è l'origine di questa bizzarra parola? Esistono diverse opinioni sull'argomento, che è considerato controverso.   

L'etimologia più diffusa, e proprio per questo altamente sospetta, è quella che fa risalire Yankee al nome proprio olandese Janke, alla lettera "Giovannino", "Gianni", diminutivo di Jan "Giovanni". Quando ero un moccioso, alle scuole medie avevo un compagno di classe, a dire il vero mitissimo, il cui cognome era Jäneke. Era figlio di un imprenditore tedesco, che non gli aveva insegnato la propria lingua materna. Venni poi a sapere che la città di origine della sua famiglia era Amburgo. L'etimologia del cognome, che si pronuncia /'jεnəkə/ (ma egli stesso aveva adottato la pronuncia ortografica /'janeke/), è la stessa di quella dell'ipocoristico olandese Janke "Giovannino", "Gianni". 

Incapaci di comprendere l'esistenza del suffisso diminutivo -ke in una lingua diversa dalla loro, alcuni hanno escogitato uno stratagemma che a detta loro avrebbe spiegato meglio la sillaba finale di Yankee: si sono inventati una derivazione dall'olandese Jan Kees, ritenuta una variante di Jan Kaas, ossia "Gianni Formaggio". Questo perché spesso i nomi di scherno attribuiti a uomini di nazionalità ostili traevano origine dal cibo preferito. Così Jean Farine era il francese tipico, alla lettera "Gianni Farina", mentre l'inglese tipico era etichettato come Jack Pudding, ossia "Gianni Budino". In modo simile, moltissimi italiani si sono visti appioppare dai francesi il nomignolo Macaroni, ossia "maccheroni, spaghetti". Per i tedeschi, specie per quelli di simpatie neonaziste, un italiano è descritto con la parola Spaghetti-freßer, ossia "divoratore di spaghetti" (si noterà che il verbo freßenfressen "mangiare, divorare" è usato per riferirsi ad animali). Tuttavia, va detto che nemmeno i figli della Germania sono stati immuni dalla derisione e dallo scherno più grossolano: spesso si sono sentiti chiamare Hanswurst, ossia "Gianni Salsiccia"! 
Per cercare di far fronte alla ridicola ipotesi di "Gianni Formaggio", nel vasto Web è saltata fuori anche l'interpretazione di Kees come ipocoristico di Cornelius, nome che in effetti era abbastanza comune in Olanda. Tempo fa mi sono imbattuto in qualcuno, ancor più ottuso, che è giunto a ipotizzare che Jan e Kees fossero i nomi di due fratelli, inventandosi ex post un mito. Non sono più riuscito, per somma fortuna, a trovare traccia di un simile scempio! Infine, c'è anche chi vorrebbe ricondurre le radici di Yankee al bucaniere olandese Jan Willems (morto nel 1688), noto anche come Janke o Yankey Willems.  

Il bibliotecario, editore e musicologo americano Oscar Sonneck (1873 - 1928), nella sua opera Report on "The Star-Spangled Banner", "Hail Columbia", "America", "Yankee Doodle" (1909), ha confutato una falsa etimologia romanzata secondo cui la parola sarebbe provenuta da una tribù che si faceva chiamare Yankoos, il cui nome avrebbe significato "Invincibili". La risibile storiella affermava che gli abitanti del New England avevano sconfitto questa tribù dopo una sanguinosa battaglia; i restanti indiani Yankoos avrebbero trasferito il loro nome ai vincitori. Sonneck ha notato che diversi scrittori americani dal 1775 avevano ripetuto questa narrazione come un fatto, nonostante fosse piena zeppa di lacune. Secondo Sonneck, non è mai stata tradizione di nessuna tribù indiana trasferire il proprio nome ad altri popoli, né alcun colono aveva mai adottato un nome indiano per descrivere se stesso. Sonneck ne conclude che non è mai esistita una tribù chiamata Yankoos

Il Dizionario Merriam Webster considera le origini della parola Yankee nel modo più deprimente: ETIMOLOGIA SCONOSCIUTA. Esiste una leggenda abbastanza diffusa, secondo cui la parola Yankee deriverebbe dal Cherokee eankke "codardo" o "schiavo". All'origine di questo pacchetto memetico ci sarebbe l'ufficiale britannico Thomas Anburey.  Per contro, sembra che William Gordon abbia dichiarato che la stessa parola avrebbe avuto il significato opposto: "eccellente". Il condizionale, come al solito, è d'obbligo. Resta il fatto che nella lingua dei nobilissimi Cherokee tale vocabolo non si trova, né col senso di "codardo", né con quello di "eccellente". In altre parole, è una fabbricazione, nemmeno tanto ingegnosa!   

Il bandolo della matassa

Non esiste un motivo chiaro che spieghi il successo di trovate tanto grossolane, radicatissime persino in ambito accademico. Anche se la specie umana si sta avviando rapidamente alla demenza più completa, persistono comunque alcune scintille di Scienza e di Verità, che è mio dovere indefettibile evidenziare a pubblica edificazione. 

Nel lontano 1994, Claudio R. Salvucci ha scritto quanto segue (i grassetti sono miei): 


Regarding the etymology of "yankee", someone mentioned that it was a term for the Dutch, which is confirmed in some dictionaries. 
However, there are quite a few 19th century scholars who derive it from an Algonquian (Lenape) attempt to pronounce "English" (The actual Algonquian form given is "Yengwe", later anglicized to "Yankee". I don't know if modern etymological studies have disproved this, but so goes the theory in the 1800's (i think by Rev. John Heckewelder) 

Traduzione: 

Per quanto riguarda l'etimologia di "yankee", qualcuno ha detto che era un termine olandese, cosa che è confermata in alcuni dizionari. 
Tuttavia, ci sono parecchi studiosi del XIX secolo che lo fanno derivare da un tentativo algonchino (Lenape) di pronunciare "English" (l'attuale forma algonchina data è "Yengwe", successivamente anglicizzato in "Yankee". Non so se moderno gli studi etimologici hanno smentito questo, ma così va la teoria nell'800 (penso dal Rev. John Heckewelder) 

Non sono riuscito a reperire altri messaggi di questo interessantissimo thread. Sono però convinto che il Reverendo John Gottlied Ernestus Heckewelder (1743 - 1823) avesse ragione da vendere! Nella buona sostanza, lo Yankee è proprio l'Inglese passato attraverso alla genuina usura fonetica del volgo tra gli Algonchini. 

English => Yeng(w)e => Yankee

1) English è stato assimilato come Yengwe in algonchino; 
2) Yeng(w)e è tornato in inglese americano ed è stato assimilato come Yankee

Questo è un caso lampante di effetto boomerang

“Yengees. This name they now exclusively applied to the people of New England, who, indeed, appeared to have adopted it, and were, as they still are, generally through the country called Yankees, which is evidently the same name with a trifling alteration.” 
(Rev. John Heckewelder) 

Traduzione: 

“Yengees. Questo nome ora lo applicavano esclusivamente al popolo del New England, che, in effetti, sembrava averlo adottato, e si trovavano, come lo sono ancora, generalmente attraverso il paese chiamato Yankees, che evidentemente è lo stesso nome con una piccola alterazione.” 

James Fenimore Cooper (1789 - 1851) è pienamente d'accordo con Heckewelder. Sia ne L'uccisore di daini (Deerslayer: or The First Warpath, 1841) che nel più noto L'ultimo dei Mohicani (Last of the Mohicans, 1826), usa il termine "Yengee" per riferirsi ai coloni inglesi. Sarebbe quindi ora di mandare finalmente al macero tutte le stronzate su Gianni Formaggio et similia!