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venerdì 7 luglio 2023

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: DUMIA 'ORZO' - E IL VALTELLINESE DUMEGA

In romancio surmirano esiste la parola dumia "orzo". L'accento è sulla vocale -i-: dumìa. Giovan Battista Pellegrini riporta la variante dumiec, attestata in surmirano e in soprasilvano, in cui l'accento cade sulla vocale -e-. Chiarissima è la somiglianza con il vocabolo duméga "orzo decorticato", che si trova in Valtellina e a Poschiavo.  

Informazioni interessanti sono riportate da Remo Bracchi nel suo articolo Doméga l'umile orzo dei monti, pubblicato sulla rivista Orbis, numero 37, pagg. 113-127 (1994)


Questo è l'abstract

"Nel Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como dell'abate Pietro Monti, pubblicato a Milano nel 1845, incontriamo il termine domèga (p. 69), con rimando alla forma omèga (p. 164), che dunque è ritenuta dall'autore quella principale. Nello stesso lemma viene segnalata contemporaneamente la variante omìga. L'abate specifica che la voce, rimanendo all'interno dell'antica diocesi di Como, è soltanto valtellinese, e aggiunge altre notizie utili alla ricostruzione del quadro culturale. «Specie d'orzo coltivato molto in Valtellina; vi udii così chiamare anche l'orzo coltivato distico, o scandella. Brillato con certa macchina mossa dall'acqua [valt. la pila de la duméga], si cuoce in minestra». A tale minestra a Bormio si dà il nome di menešstra de mak. Il Monti riporta il bormino mak (mach) nell'accezione di «orzo ammaccato, brillato», suggerendo così la propria etimologia, e di «minestra d'orzo». La giunzione domèga de mach, non localizzata con esattezza nella valle dell'Adda, vale «orzo da minestra» (Monti 1845: 131)." 

Questa è la glossa fornita dal Monti (V.T. = Valtellina): 

OMÈGA, OMÌGA. V.T.  Specie d'orzo coltivato molto in V.T.; vi udii così chiamare anche l'orzo distico, o Scandella. Brillato con certa macchina mossa dall'acqua, si cuoce in minestra. 

Note:
- Il vocabolo doméga (duméga, varianti oméga, omìga) ha la vocale /e/ chiusa, quindi dovrebbe essere trascritto con é (con l'accento acuto). L'uso di è (con l'accento grave) non è quindi corretto, pur essendo molto comune. 
- Le varianti senza la consonante iniziale sono dovute a un fenomeno di dissimilazione: così pan de doméga è diventato pan de oméga per evitare il susseguirsi di due /d/
- Si nota che esistono attestazioni locali di significati diversi, come "avena" e "segale".

L'origine del vocabolo in questione è celtica. Questa è la protoforma ricostruibile:   

Proto-celtico: *(g)domijewā "orzo umile", "orzo di terra", 
   da *(g)dom- "terra, suolo" e *jewā "cereale"  

Il professor Guido Borghi, a cui si deve l'etimologia, utilizza la tipica grafia *[g]dŏmi̯ĕu̯ā

i) Primo membro del composto: 

Proto-indoeuropeo: *dhég'hōm "terra" 


Proto-celtico: *gdū "terra", "luogo" (gen. *gdonos
  Antico irlandese: "luogo" (gen. don)
Proto-celtico: *gdonijos "essere umano", "persona"
   Antico irlandese: duine "essere umano", "persona" 
   Medio gallese: dyn "essere umano", "persona"
   Gallico: -XTONION "degli esseri umani" (gen. pl.)
Proto-italico: *homos "terra", "suolo" 
   Latino: humus "terra" 
   Sabino: fuma "terra" 
Proto-italico: *homelis "basso", "vicino al suolo" 
   Latino: humilis "basso", "umile", "insignificante" 
Proto-italico: *hemō "essere umano", "uomo" 
   Latino: homō "essere umano", "uomo" (gen. hominis
Proto-ellenico: *khthṓn "terra", "suolo"
   Greco antico: χθών (khthṓn) "terra", "suolo" 
Proto-ellenico: *khamái "sulla terra", "al suolo" 
   Greco antico: χαμαί (khamaí) "sulla terra", "al suolo" 
Proto-ellenico: *khthamalós "basso", "vicino al suolo" 
   Greco antico: χθαμαλός (khthamalós) "basso",
       "vicino al suolo", "strisciante" 
Proto-frigio: dzemelos "essere umano" 
   Frigio: ζεμελως  (zemelōs) "agli esseri umani" (dat. pl.)
Proto-albanese: *dzō "terra", "suolo" 
   Albanese: dhe "terra" 
Proto-albanese: *dzōmjā "creatura della terra" 
   Albanese: dhemje "bruco", "cagnotto", "larva" 
Proto-balto-slavo: *źémē, *źémijā "terra" 
    Lituano: žẽmė "terra" 
    Lettone: zeme "terra"
    Proto-slavo: *zemlja "terra" 
Proto-balto-slavo: *źmijā́ˀ "serpente" 
    Proto-slavo: *zmьja "serpente", "drago" 
Proto-indoiranico: *ḍẓʰā́s "terra", "suolo" 
       (< *dhg'hms
   Sanscrito: kṣāḥ "terra", "suolo", 
       genitivo jmaḥ, gmaḥ, kṣmaḥ
       kṣamya- "terrestre" 
   Avestico: zā̊ "terra", "suolo", 
       genitivo zəmō  
Proto-tocario: *tken "terra", "suolo" 
   Tocario A: tkaṃ "terra", "suolo"
   Tocario B: keṃ "terra", "suolo"

ii) Secondo membro del composto: 

Proto-indoeuropeo: *jewos (< *jewh1-) "cereale", "chicco"; "orzo", "spelta" 


Proto-celtico: *jewornijū "orzo"  
   Medio irlandese: eórna "orzo" (genitivo eornan)
Proto-indoiranico: *jáwas "orzo" 
   Sanscrito: यव  yava "orzo"
   Avestico: yauua "orzo" 
   Persiano moderno: جو  jow "orzo"; "segale"
Proto-ellenico: *jewjā "tipo di cereale"
   Greco omerico: ζειᾱ́ (zeiā́) "piccolo farro"; "spelta" 
Proto-balto-slavo: *jawas "cereale", "chicco" 
   Lituano:
jãvas "tipo di cereale"; javaĩ "cereali" 
   Proto-slavo: *jevinъ "granaio" 
Proto-tocario: yap "miglio" 
   Tocario B: yap "miglio" 

Un'ipotesi implausibile 

Il professor Guido Borghi riporta anche una ricostruzione del tutto diversa da quella vista, in cui duméga è ricondotto a *du̯ō-moi-kā, tradotto con "bi-linea", "a due linee", con allusione a una certa caratteristica morfologica del cereale (dalle radici indoeuropee *dwoh1- "due" e *mei- "rafforzare", "legare"). La proposta si deve a Norbert Jokl (1946), il padre dell'albanologia, che considerava il vocabolo di origine illirica (all'epoca imperversava l'illiromania). L'etimologia sembra nata dalla contorsione mentale di un moderno tassonomo ed è a mio avviso priva di qualsiasi attendibilità. 

giovedì 22 luglio 2021

IL MISTERO DELLA LINGUA BANGANI

Intendo trattare la questione degli importanti resti di una lingua indoeuropea ma non indoaria, eminentemente centum, che era parlata in India settentrionale (attuale Distretto di Uttarkashi, ad est del Passo Chanshal) e di cui sopravvivono alcune parole molto interessanti nella lingua indoaria denominata Bangani (बंगाणी baṅgāṇī); il Bangani è tradizionalmente considerato come un dialetto della lingua Garhwali e si trova in condizioni di grave rischio di estinzione. Questi vocaboli di un sostrato centum sono stati raccolti negli anni '80 dello scorso secolo da Claus Peter Zoller dell'Università di Oslo, uno studioso specializzato in lingue e letterature indiane (Zoller 1988, Zoller 1989). Non m'invento nulla e posso allegare alcune letture che spero attrarranno numerosi lettori e risveglino l'interesse degli accademici, anche in Italia: 

 
 
Riporto nel seguito un elenco di parole che sono riuscito a reperire nel Web (non senza fatica) e che non dovrebbe lasciare adito a dubbi a chiunque ritenga di essere un indoeuropeista. La fonte del materiale lessicale Bangani, molto annidata nel labirinto dei siti, consiste nel lavoro sul campo dello studioso indiano Anvita Abbi della Jawaharlal Nehru University di New Delhi, che ha potuto validare gran parte dei dati raccolti da Zoller basandosi sulla testimonianza diretta di numerosi parlanti sia anziani che giovani (Abbi 1997). Una parte dei dati in questione è contenuta nel sito di Peter Hook (University of Michigan). Il materiale originale di Zoll comprendeva 59 parole, di cui 50 sono state attestate da Abbi nelle sue campagne. Purtroppo ho potuto trovare un numero minore di parole, in tutto 36. Ho normalizzato in modo minimo l'ortografia e omesso una forma che mi sembrava dubbia. 
 

 
Note ortografiche:
/ε/ e /ɔ/ sono vocali aperte;
il diacritico ~ indica nasalizzazione;
/ṇ/ è una nasale retroflessa (cacuminale).

dɔkɔ "dieci"
dɔkru "lacrima"
dukti "figlia"
ɛrkɔ "splendente" 
ɛ~rkɔ "pulce"
getu "resina"
gimia:lo "stagione fredda"
gim
ɔ~ "inverno" 
goiṇɔ "sacrificio"
gɔmbɔ, gumbhɔ (1) "molare"  
gɔmṇɔ "sacrificare"
gɔṇɔ "nato, generato"
gɔsti "ospite" 
~te:r "Creatore"
gɔ~ti "esperto"  
kairɔ "grigio, scuro, bruno; nobile"  
kapɔ, kɔpɔ "campi adiacenti che appartengono a un solo
    proprietario"  
kapuṇ "piccolo campo"
kɔlpiṇɔ "nascondersi; scomparire" 
kɔlsṇɔ "nascondere" 
kɔp "appezzamento di terra"
kɔpɔ "zoccolo" 
kɔrsṇɔ "sfregare" 
kɔsṇo "sgridare" 
kɔsta~ "storia, narrazione" 
kɔsta:r, kɔste:r "amabile, piacevole"
kɔtɔ "cento"
kɔtrɔ "battaglia" 
kɔ:~tia "centinaia; molti" 
kurɔ "forte, duro; uomo coraggioso"
lɔktɔ "latte" 
muskɔ "bicipite"
ɔgn
ɔ~ "non nato"
ɔŋkɔ "morto, cadavere"
pɔrkɔ "domanda" 
pɔ:rkɔ "l'anno scorso"
 
(1) L'aspirata -bh- sembra secondaria. 
 
Confrontiamo ora, dove immediatamente possibile, queste arcaiche parole Bangani con i corrispondenti in sanscrito (in latino, greco o tocario B dove non esistono paralleli indoarii) e con le protoforme indoeuropee ricostruibili: 
 
dɔkɔ : sanscrito daśa "dieci", IE *dek'ṃ 
dɔkru : sanscrito aśru "lacrima", IE *(d)ak'ru  
dukti : sanscrito duhitṛ "figlia", IE *dhugətēr  
εrkɔ : sanscrito arcati "splende", IE *erkw- 
ε~rkɔ : sanscrito likṣā "lendine", IE *erek-, *eregh-
getu : sanscrito jatu "lacca, gomma", IE *gwetu  
gimia:lo, gimɔ~ : sanscrito hima "inverno", IE *g'himos 
goiṇɔ : sanscrito juhoti "egli sacrifica", IE *g'hew-
gɔmbɔ : sanscrito jambha "dente", IE *g'ombhos 
gɔṇɔ : sanscrito jan- "generare", IE *g'en- 
gɔsti : latino hostis "ospite; nemico", IE *ghostis
~te:r : sanscrito janitṛ "genitore, creatore", IE g'enǝtōr 
~ti : sanscrito jña- "conoscere", IE *g'ṇtis  
kairɔ : sanscrito śāra "variegato", IE *k'oiros, *k'eiros 
kɔlpiṇɔ : greco κλέπτω (kléptō) "io rubo", IE *klep- 
kɔlsṇɔ : sanscrito śarma "rifugio", IE *k'el- 
kɔrsṇɔ : sanscrito kaṣati "egli sfrega", IE *kars- 
kɔsṇo : sanscrito śāsti "egli istruisce", IE *k'as-
kɔsta~ : sanscrito śāstra "scrittura", IE *k'as-trom   
kɔtɔ, kɔ:~tia : sanscrito śata "cento", IE *k'ṃtom 
kɔtrɔ : sanscrito śatru "nemico", IE *k'etrus  
kurɔ : sanscrito śūra "coraggioso, eroico", IE *k'ew- 
lɔktɔ : latino lac "latte", IE *g'lakt  
muskɔ : sanscrito mūṣ "topo, muscolo", mūṣa "topo", IE *mūs
ɔgnɔ~ : sanscrito aja "non nato", IE *ṇ-g'ens 
ɔŋkɔ : tocario B eṅkwe "uomo, mortale", IE *ṇk'wo-  
pɔrkɔ : sanscrito praśna "domanda", IE *p(e)rek'- 
pɔ:rkɔ : sanscrito parut "l'anno scorso", IE *peruti  

Alcune note scritte di getto. 
1) Si notano parole che non sono rappresentate nelle lingue satem, come gɔsti, lɔktɔ, etc. Queste hanno corrispondenti unicamente in lingue centum e non ci si aspetterebbe in ogni caso di trovarle in India. 
2) Tanto cristalline e chiare nella loro etimologia sono quasi tutte queste parole, che non riteniamo possibile siano frutto di fraintendimenti.  
3) Spesso, anche quando esistono corrispondenze in sanscrito, si hanno grandi differenze fonetiche; appare invece evidente che si trova una maggior somiglianza delle parole Bangani con esiti di radici indoeuropee nelle lingue dell'Occidente. 
4) Alle parole di sostrato del Bangani non si applica la legge fonetica RUKI, tipica delle lingue satem (pur con qualche eccezione), che palatalizza la sibilante s dopo le consonanti r, k, g, gh e le approssimanti y, w.

Questo è un rudimentale prospetto delle corrispondenze fonemiche che spiegano il passaggio dal protoindoeuropeo al proto-Bangani: 
 
Protoindoeuropeo > Proto-Bangani

Vocali: 
 
a > ɔ
e > ɔ, ε
i > i 
o > ɔ
u > u 
ə > ɔ 
ā > ɔ
ē > ɔ
ī > i
ō > ɔ
ū > u
 
Dittonghi 
 
ei > ai
oi > ai, oi 
eu > ɔ, o
ou > ɔ, o 
 
Sonanti: 
 
ṃ > ɔ, ɔ:~
ṇ > ɔn, ɔ~, ɔ
ṛ > ɔr, -e:r, -a:r, -i
ḷ > ɔl
 
Consonanti: 
 
bh > b
dh > d
gh > g 
g'h > g
gwh > g 
b > b
d > d
g > g
g' > g 
gw > g 
p > p
t > t
k > k
k' > k
kw > k 
m > m 
n > n, ṇ 
r > r 
l > l 
s > s 
y > y 
w > w, v
 
Alcune di queste corrispondenze sono puramente ipotetiche, dal momento che nel materiale lessicale noto non sono presenti esempi. Così l'esito delle approssimanti in Bangani non mi è affatto chiaro (abbiamo esempi di /v/ e /w/ in esiti di parole indoarie e in prestiti, come dewu "il dio" e il nome proprio femminile Sāvitrī). Le sonanti possono avere diversi esiti; in particolare è complessa la situazione della sonante rotica. Se dovessero emergere dati nuovi in grado di farmi apportare correzioni ed aggiornamenti, sarò ben lieto di farlo e di darne notizia.  
 
Ricostruzione del proto-Bangani 
 
Sono convinto che sia importante tentare di effettuare ricostruzioni a partire dalla protolingua indoeuropea, in modo tale da poter riempire le lacune create dalla Storia. Ovviamente non ci si può aspettare di ottenere risultati strabilianti. Posso cominciare con qualche semplice protoforma altamente probabile di parole non sopravvissute nel Bangani storico, ma che dovevano appartenere alla lingua d'origine: 

*bɔgu "braccio" < IE *bhāg'hus
*gɔ:~ti "egli uccide" < IE *gwhenti 
*gɔrmɔ "caldo" < IE *gwhormos 
*kɔtwɔrɔ "quattro" < IE *kwetwores
*mɔṇɔ "mente" < IE *menos
*mɔti "madre" < IE *mātēr 
*nεwɔ "nove" < IE *(e)newṃ 
*ɔkɔ "cavallo" < IE *ek'wos 
*ɔktɔ "otto" < IE *ok'tōu
*pɔŋkɔ "cinque" < IE *penkwe
*pɔti "padre" < IE *pətēr 
*sɔptɔ "sette" < IE *septṃ  
 
Queste ricostruzioni non vanno confuse con le parole realmente attestate, devono essere considerate più che altro un esercizio. Un domani potrebbero emergere documenti in grado di comprovarle e di estendere di molto la nostra conoscenza. Potrebbe tuttavia non succedere. 
 
L'importanza del proto-Bangani  
 
Ebbene, il valente Claus Peter Zoller fu perseguitato come colpevole di "eresia scientifica", perché aveva osato sfidare i dogmi dei Neogrammatici - quegli stessi che poi ricostruiscono protoforme indoeuropee anche per le scorregge e i rutti! Le sue scoperte non sono state riconosciute come valide ed è addirittura stato accusato di aver interpretato e trascritto male i suoni della lingua Bangani. Tutto questo perché queste scoperte avrebbero causato un terremoto in grado di scuotere le fondamenta di una certa religione scientista! I più accaniti negatori del sostrato centum in Bangani sono George van Driem (University of Bern) e Suhnu Ram Sharma (Deccan College Postgraduate and Research Institute). Sorprende molto che tra gli oppositori di Zoller ci sia anche Robert Beekes (1995), che pure è un valido studioso del sostrato pre-greco. 
 
Origini ultime 
 
Zoller ha riportato l'esistenza di una tradizione che fa risalire l'origine dei parlanti del Bangani a una migrazione dall'Afghanistan, ma senza fornire ulteriori dettagli. Mi sembrava importante riportarlo.   
 
L'importanza di ulteriori studi sul campo 
 
Queste sono le commoventi parole di Anvita Abbi:  
 
"Non so se il collegamento di questa lingua con qualsiasi gruppo di lingue kentum possa essere stabilito in quanto non sono un linguista storico, ma una cosa è certa: la sintassi e l'elenco delle parole di Bangani mostrano strati di strutture, alcune delle quali possono essere relitti del passato, in quanto non si adattano né a un tipico gruppo indoariano né possono essere parte di un fenomeno areale. Penso che più linguisti dovrebbero lavorare su questa lingua, soprattutto descrittivisti e sociolinguisti storici." 

Sono convinto che con nuove e approfondite indagini si possa spingere molto oltre il confine dello scibile, strappando all'Oblio informazioni estremamente utili. Trovo inconcepibile che il Web faccia di tutto per far disperdere questi studi nell'Oceano dell'Entropia.    
 
La peste della politica 
 
Purtroppo la linguistica è ben lontana dall'essere immune dalla funesta e pervasiva influenza della politica. Per mille motivi, una lingua può far paura al mondo politico anche se è morta da secoli o se ne sopravvive soltanto un pugno di parole in un contesto di estrema marginalità. I ragionamenti che stanno alla base della paura in questione sono spesso ingenui, persino banali, eppure possono fare gravi danni alla Conoscenza. Le autorità indiane, tanto per fare un esempio, potrebbero sostenere che tutto ciò che riguarda le lingue centum è connesso con l'Occidente (dimenticando il tocario) e quindi con la colonizzazione. Le parole di sostrato in Bangani potrebbero così essere negate perché a qualcuno ricordano l'Impero Britannico brutto e cattivo, o qualcosa di simile. Non intendo dire che l'Impero fosse una bella cosa e sono consapevole che Gandhi lo ha sconfitto mettendo in campo un milione di nudisti. Mi rendo però anche conto di un'altra cosa: se qualcuno sulle pendici dell'Himalaya chiama l'ospite "gɔsti" e il latte "lɔktɔ", questo non è un fatto politicamente neutro: è una mina vagante che qualcuno cercherà di disinnescare. 

giovedì 16 aprile 2020

L'IDROMELE: ALCUNE CONSIDERAZIONI FONOLOGICHE, ETIMOLOGICHE E SEMANTICHE

L'uso della parola idromele "bevanda alcolica fermentata dal miele" è tutto sommato problematico, come possiamo capire indagandone l'etimologia, in apparenza lapalissiana. Questo perché il termine greco antico ὑδρόμελι (hydrómeli) è sinonimo di μελίκρᾱτον, μελίκρητον (melíkrāton, melíkrēton), che indicava un miscuglio di acqua e miele, non fermentato, oppure un miscuglio di latte e miele offerto alle potenze degli Inferi e parimenti analcolico. Si tratta di un composto formato a partire da ὕδωρ (hýdōr) "acqua" e da μέλι (méli) "miele". L'accento cade sulla terzultima sillaba, perché l'ultima è breve, e nella lingua greca è la quantità dell'ultima sillaba a regolare la posizione dell'accento - a differenza della lingua latina, in cui la posizione dell'accento è regolata dalla quantità della penultima sillaba. 
 
La parola greca ὑδρόμελι, importata tra i Romani, scritta hydromeli e pronunciata /(h)i'dromeli, hy'dromeli/, poteva indicare anche la bevanda fermentata alcolica: ha subìto quindi uno slittamento semantico. Sarebbe utile poter accedere a una documentazione più approfondita, ma questo non è poi tanto facile. Dobbiamo notare una cosa importante: si tratta di un prestito dotto, che non fu mai accolto nella lingua del volgo e che a quanto ne so non ha mai lasciato esiti in nessuna lingua romanza. Se sarò smentito da qualche romanista che ha più dimestichezza di me con l'immensa mole di dati dell'enorme numero di varietà romanze, ben venga, ma ho ragione di credere che ciò non accadrà mai. Anche in greco moderno ὑδρόμελι indica la bevanda alcolica. Si tratta di un vocabolo tratto dall'antichità, non di un'eredità passata attraverso la genuina usura del volgo. In altre parole, appartiene alla Katharevousa, la lingua nobile. Lo si comprende all'istante, dato che nella lingua popolare, l'acqua è chiamata νερό (neró). Tra l'altro, in Grece esiste tuttora un'interessante produzione di idromele. 
 
In italiano, per ragioni etimologiche e per una pronuncia ortografica (dedotta cioè a partire dalla forma scritta letteraria senza cognizione alcuna della metrica originaria), dalla forma sdrucciola idròmele a un certo punto si passò a quella piana, idroméle, che è da considerarsi di uso generale. Questo ha creato problemi a non finire. La gente più incolta non comprende il significato della parola idromele e confonde l'augusta bevanda col sidro. La prima reazione di un analfabeta alla menzione dell'idromele e alla spiegazione di come viene preparato dal miele, è sempre di stupore: troppo forte è l'idea preconcetta di una derivazione dalle mele per via della terminazione. Alcuni addirittura tendono ad ipercorreggere la parola e a pronunciare *idromiele nel tentativo di ripristinare un'etimologia comprensibile. Inutile dire che questo *idromiele è assolutamente erroneo, cosa che noto usando l'asterisco. Eppure questo ipercorrettismo esiste e resiste. Ricordo di aver letto da giovane un fumetto in cui Ercole, venutosi a trovare a New York, in un ristorante chiamava i camerieri "schiavi" e diceva di preferire di gran lunga l'idromele alla coca cola. Il punto è che il fumettista aveva scritto la parola con una -i- di troppo.  

 
Anche se si tratta di un'impresa vana, andrebbe proposto un nobile neologismo dalle ottime basi etimologiche, che appianerebbe ogni controversia e farebbe sparire ogni dubbio: MEDO "idromele", tratto direttamente dal celtico (gallico): è attestato come medu, di genere neutro, mentre la variante maschile medus si trova come prestito nel tardo latino delle Gallie. Questo elemento Medu- è alla base dell'antroponimo gallico Medugenos "Nato dall'Idromele", attestato anche in celtiberico come MEZUKENOS e in ogamico come MEDDOGENI (al genitivo) - oltre che nell'etnonimo Medulli, che designava un popolo alpino. Nella Lusitania sono attestati i Medubrigenses, il cui nome deriva dal toponimo celtico *Medubriga "Città dell'Idromele". Nelle lingue celtiche medievali e moderne si hanno le seguenti forme, tutte dalla stessa radice protoceltica: 
 
antico irlandese: miḋ "idromele" (genitivo meḋo)
        meḋḃ "ebbro"
  irlandese moderno: miodh "idromele" 
medio gallese: medd "idromele"
       meddw "ebbro"
  gallese moderno: medd "idromele"
bretone: mez "idromele"
cornico: medh "idromele"
 
Famosa è la dea irlandese Me "Ebbra", il cui nome deriva dal protoceltico *Medwā, sostantivazione dell'aggettivo *medwos "ubriaco (di idromele)". Nella regione della Loira esiste un fiume che era chiamato Meduana, il cui nome deriva da quello della stessa divinità adorata nell'antica Irlanda precristiana.

Il sostantivo antico irlandese è di genere neutro e punta a una ricostruzione protoceltica *medu, ma esistono anche attestazioni di genere maschile, che puntano a una ricostruzione protoceltica *medus. La forma gallica di genere maschile, passata in latino, è attestata nella Epistula Anthimi uiri inlustris comitis et legatarii ad gloriosissimum Theudoricum regem Francorum de obseruatione ciborum  (VI secolo): 

Ceruisa bibendo uel medus et aloxinum quam maxime omnibus congruum est ex toto, quia ceruisa, quae bene facta fuerit, beneficium prestat et rationem habet, sicut et tesanae, quae nos facimus alio genere. tamen generaliter frigida est.
Similiter et de medus bene factum, ut mel bene habeat, multum iuuat. 
 
E ancora, più avanti nello stesso testo, troviamo una menzione dell'idromele, assieme a una preziosa testimonianza sull'intolleranza al lattosio tra i Franchi: 
 
De lactibus uero sanis hominibus; si quis crudos lactis uult bibere, mel habeant admixtum uel uinum aut medus; et si non fuerit aliquid de istis poculis, sale mittatur modicum, et non coacolat intus in hominibus; nam si purum acceptum fuerit, aliquibus coacolat intus in epar et in stomachum et solet grauiter laedere. Si tamen, quomodo mulgitur, contra calidum bibitum fuerit, si taliter, non nocet. 
 
L'autore di questo trattato, Antimo, era un medico di Bisanzio, che il Teodorico il Grande (454 - 526), Re degli Ostrogoti, inviò come rappresentante alla corte dell'omonimo Teodorico (485 - 534), Re dei Franchi e figlio di Clodoveo, della dinastia dei Merovingi. Vediamo che il vocabolo medus in questo testo non può essere un prestito dal gotico, che aveva senza dubbio *midus, con diverso vocalismo (vedi sotto). A rigor di logica potrebbe essere un prestito dalla lingua germanica dei Franchi. Notiamo però che la bevanda a base di miele non è stata inventata dai Franchi: era già ben nota ai Galli e diffusissima. Vediamo che la birra è designata col termine celtico (cisalpino) ceruisa. Anche la parola aloxinum è di origine celtica e designava una bevanda aromatizzata con assenzio: ha la stessa radice dell'inglese ale "birra" (anglosassone ealu, ealo, genitivo ealoþ). Assumo quindi che medus sia un elemento del sostrato/adstrato celtico. Il Glossario di Vienne ci testimonia che una forma tarda di gallico era senz'ombra di dubbio ancora parlata al tempo dei Franchi: la parola caio "recinto" è glossata con "breialo siue bigardio"
 
Questo nome dell'idromele, che risale alla radice indoeuropea *medhu-, si trova nelle lingue germaniche: 
 
protogermanico: *miðuz "idromele" 
norreno: mjǫðr "idromele"
   islandese moderno: mjöður "idromele"
   faroese: mj
øður "idromele"
   antico svedese: miödher, mioþer "idromele"
   svedese moderno: mjöd "idromele" 
   antico danese: mioth, miøth, møth "idromele"
   danese moderno: mjød "idromele"
antico alto tedesco: metu "idromele"
   medio alto tedesco: mete, met "idromele"
   tedesco moderno: Met "idromele"
antico sassone: medu "idromele"
   medio basso tedesco: mēde, medde "idromele"
   basso tedesco (Vestfalia): mia "idromele"
antico frisone: mede "idromele"
  frisone occidentale: mea "idromele"
medio olandese: mēde "idromele"
  olandese moderno: mede, mee "idromele"
antico inglese: meodu, meodo, medo "idromele"
   medio inglese: mede, methe(1) "idromele"
   inglese moderno: mead /mi:d/ "idromele"
   scots: mede, meid "idromele"
gotico: *midus "idromele"(2) 

(1)La variante methe si deve a influenza norrena.
(2)La forma gotica è stata presa a prestito dal lituano: midus "idromele". 
 
Torniamo dunque al greco antico. Nella lingua di Omero si trova un vocabolo discendente dall'indoeuropeo *medhu-, che non era usato altrove: μέθυ (méthy), di genere neutro, genitivo μέθυος (méthyos), tradizionalmente tradotto con "vino" o con "bevanda inebriante". Il significato originale doveva essere quello di "idromele", ma già in epoca classica questa conoscenza era andata perduta. Il navigatore massaliota Pitea (380 a.C. circa - 310 a.C. circa), che visitò la regione costiera della Norvegia, paese denominato Thule (Θούλη), affermò che le popolazioni locali facevano uso di una bevanda inebriante prodotta dal miele e dal grano, ma non usò il termine μέθυ per designarla. Se questa bevanda fosse stata conosciuta all'epoca dai Greci, non avrebbe destato grande sorpresa scoprire che era prodotta dalle genti di Thule. Il caso è davvero curioso. Sappiamo per certo da prove archeologiche che l'idromele era prodotto in epoca omerica e persino che c'era la consuetudine di aromatizzarlo col rosmarino. A quanto pare la bevanda antichissima è stata gradualmente abbandonata a causa della concorrenza del vino  d'uva, che ha finito col soppiantarla. Quando in seguito l'idromele alcolico è stato riscoperto, ha dovuto ricevere un nome nuovo.    

La radice *medhu- ha dato discendenti in molti altri rami della famiglia indoeuropea, ma sarebbe impossibile fare una trattazione dettagliata in questa sede, tanto complesso è l'argomento. Questi sono alcuni dati relativi alle lingue indoarie e iraniche: 
 
sanscrito: madhu "miele; vino"
romaní: mol "vino"
protoiranico: *madu "miele; vino" 
   avestico: maδu "vino (d'uva)"
   antico ossetico (scitico): mud "miele"
   battriano: μολο (molo) "vino"
   curdo settentrionale: mot "melassa"
   medio persiano: may "vino"
   persiano moderno: mey "vino"*
   harzani: mat "sciroppo denso, melassa"
   azero (dialetto di Urmia): mazow "sciroppo d'uva con acqua"
 
*Parola della lingua letteraria. 
 
Gli Sciti bevevano idromele e lo chiamavano mud, come il miele. Tra la maggior parte delle altre genti iraniche è subentrato una specie di tabù verso il miele, così l'antico nome dell'idromele è passato a indicare il vino d'uva. 

Persino in arabo esiste la parola maδi "vino bianco frizzante", importata direttamente dal medio persiano (prima della scomparsa della dentale intermedia); deve essere un termine colloquiale o tecnico. Sorprende la vastità del lessico enologico tra gli Arabi, con buona pace della loro religione che ha un cattivo rapporto con l'ebbrezza. 
 
In tocario B abbiamo due diverse parole: mīt "miele" e mot "bevanda inebriante". La prima parola tocaria, mīt, ha avuto un'enorme diffusione, dando origine al cinese antico 蜜 mit "miele" (cinese attuale , usato in composti come 蜂蜜 fēngmì "miele", 蜜蜂 mìfēng "ape da miele"). Dal cinese antico, mit "miele" è giunto nel giapponese divenendo mitsu "miele", e in coreano divenendo mil "miele". La seconda parola tocaria, mot "bevanda inebriante", è un prestito da una lingua iranica, con ogni probabilità il sogdiano (mwδ, mδw "vino", pron. /muð/). 
  
Anche nelle lingue baltiche e in quelle slave i discendenti di *medhu- sono ben attestati e fiorenti. Questo è un quadro delle lingue baltiche:  
 
lituano: medùs "miele"*
lettone: medus "miele; idromele"
letgallo: mads "miele"
antico prussiano: meddo "miele" 
 
*C'è anche midus "idromele", che è un chiaro prestito dal gotico. 
 
Questo è un quadro sintetico delle lingue slave
 
antico slavo ecclesiastico: медъ (medŭ) "miele"
russo: мёд /mjot/ "miele"; "idromele"
ucraino: мед /med/ "miele"; "idromele"
polacco: miód /mjut/ "miele", miód pitny "idromele"* 
ceco, slovacco: med "miele", medovina "idromele"
bulgaro: мед (med) "miele"
serbo, croato: ме̑д, mȇd "miele"
macedone: мед (med) "miele"
sloveno: méd "miele" (mẹ̑d in ortografia tonale)

*Ricordo un articolo su un vecchio quotidiano cartaceo, che parlava di una cooperativa comunista e di "miele da bere" importato dalla Polonia (hanno tradotto alla lettera miód pitny). Forse i trinariciuti non conoscevano la parola idromele o non la volevano usare per qualche loro ubbia. 

Un notevole prestito slavo in rumeno è mied "idromele" (parola del linguaggio popolare).
 
Alla luce di quanto esposto, vediamo che l'uso del neologismo MEDO in italiano restaurerebbe un'ottima tradizione, avendo un fondamento storico ineccepibile. Inoltre porrebbe fine agli inveterati fraintendimenti di cui abbiamo già discusso. Alla Festa Celtica in Val Veny, i Taurini vendono un eccellente idromele di loro produzione: ogni anno mi piazzo davanti alla loro bancarella per abbondanti libagioni. Ebbene, non sarei più costretto a sentire decine di visitatori continuare con la baggianata dell'associazione tra l'idromele e queste cazzute fantomatiche mele! 
 
Il cognome Idromele 

In Italia esistono i cognomi più bizzarri. Ve ne sono alcuni tra i più notevoli che traggono origine da nomi di bevande. Tra questi abbiamo Vino, Birra, Acquavite, Amaro, Liquori, Spiriti, Rum, Sambuca, Gin e Sidro. Come documentato dal sito www.gens.info, il rarissimo cognome Idromele è presente in due soli comuni, il primo in Piemonte, non lontano da Tortona, e il secondo nei pressi di Roma. 

lunedì 8 aprile 2019


EXISTENZ

Titolo originale: eXistenZ
Paese di produzione: Canada, Regno Unito, Francia
Anno: 1999
Lingua originale: Inglese
Durata: 97 min
Genere: Fantascienza, thriller
Regia: David Cronenberg
Soggetto: David Cronenberg
Sceneggiatura: David Cronenberg
Produttori:
    David Cronenberg
    András Hámori
    Robert Lantos
Compagnie di produzione:
    Canadian Television Fund
    Dimension Films
    Harold Greenberg Fund
    The Movie Network
    Natural Nylon
    Téléfilm Canada
    Serendipity Point Films
    UGC
Distriduzione:
    Miramax Films (US)
    Momentum Pictures (UK)
    Alliance Atlantis (CAN)
    Cecchi Gori (Italia)
Fotografia: Peter Suschitzky
Montaggio: Ronald Sanders
Effetti speciali: Jim Isaac
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Carol Spier
Interpreti e personaggi
    Jennifer Jason Leigh: Allegra Geller
    Jude Law: Ted Pikul
    Ian Holm: Kiri Vinokur
    Willem Dafoe: Gas
    Don McKellar: Yevgeny Nourish
    Callum Keith Rennie: Hugo Carlaw
    Kris Lemche: Noel Dichter
Doppiatori italiani
    Chiara Colizzi: Allegra Geller
    Riccardo Niseem Onorato: Ted Pikul
    Ettore Conti: Kiri Vinokur
    Ennio Coltorti: Gas
    Massimo Lodolo: Yevgeny Nourish
    Pasquale Anselmo: Hugo Carlaw
Riconoscimenti:
    Festival di Berlino
        Orso d'argento per l'eccezionale contributo artistico
Budget: 15 milioni di dollari USA
        (31 milioni di dollari canadesi)
Incassi al botteghino (USA): 2,9 milioni di dollari 


Trama: 

Ci troviamo in un futuro non meglio specificato, in apparenza molto simile alla realtà in cui siamo costretti a vivere, anche se appare fin dall'inizio ben più cupo e angosciante. Due compagnie produttrici di videogiochi che simulano la realtà, la Antenna Research e la Cortical Systematics, si combattono senza esclusione di colpi. La bionda Allegra Geller è una famosa creatrice di videogiochi della Antenna Research. La sua ultima creazione, eXistenZ, ha una notevole densità e permette a chi vi partecipa di calarsi in un mondo così realistico da non poter essere facilmente riconosciuto come finzione. Una sera la Geller presenta eXistenZ, offrendone una dimostrazione pratica al pubblico convenuto in una specie di auditorium, il relitto di una chiesa protestante da tempo dismessa per mancanza di fedeli. A un certo punto qualcosa va storto: irrompe un terrorista appartenente alla setta dei Realisti, un'organizzazione clandestina che si oppone alla manipolazione della realtà, combattendo entrambe le compagnie di videogiochi. L'attentatore, che si presenta col nome di Noel Dichter, colpisce la programmatrice a una spalla servendosi di una spettrale pistola organica simile a uno scafandro di pollo spolpato e bavoso. Viene abbattuto sul colpo dalla guardia del corpo, Ted Pikul, che si allontana nella notte con la ragazza. Allegra porta con sé la sua creatura, che è fatta di tessuto organico e ha l'aspetto di un osceno simbionte, chiamato "pod" in gergo. Il suo timore è che questo videogioco di carne modificata sia rimasto danneggiato nello scontro, così cerca di convincere Pikul ad aiutarla a testarlo. La posta in gioco è troppo alta. L'unico modo è caricare eXistenZ su una cavia umana e lanciarlo, ma per farlo è necessario che l'uomo si faccia installare una bioporta nella spina dorsale, dal momento che non he ha una (la sua condizione è una sorta di verginità). Tramite tale accesso al sistema nervoso, la giovane conta di inserire il cordone ombelicale del simbionte per verificare lo stato del programma. C'è soltanto un punto: Pikul non ha nessuna intenzione di rinunciare alla sua verginità spinale, anche perché in un piccolissimo numero di casi l'operazione di innesto della bioporta ha come simpatico effetto collaterale la paralisi della parte inferiore del corpo. La Geller però con la sua vocina stridula continua a martellare l'uomo fino allo sfinimento, fracassandogli gli zebedei al punto da convincerlo a fare qualsiasi cosa pur di liberarsi dall'afflizione. A questo punto si pone un altro problema: l'operazione deve avvenire in condizioni di clandestinità, dal momento che i due sono braccati sia dai terroristi che dalla Cortical Systematics. L'impianto viene quindi eseguito nell'officina meccanica di una stazione di servizio dal losco gestore, Gas, ambiguo amico della bionda e coinvolto nel mercato nero. Gli eventi precipitano: Gas rivela presto le sue intenzioni ostili e rimane ucciso da Pikul in una sparatoria. La bioporta installata si rivela difettosa e necessita di essere sostituita quanto prima. Così ha inizio una nuova sequenza ciclica di accadimenti pericolosi: la Geller porta l'uomo da un suo conoscente per sostituire la connessione neuronale difettosa. Questa volta si tratta del suo ex mentore Kiri Vinokur. Tutto sembra ripetersi, anche se le persone coinvolte e le situazioni sono diverse. Prima la coppia si immerge in un mondo virtuale per poter riparare la bioporta e curare il software, avendo subito qualche difficoltà in un ristorante cinese specializzato nel cucinare disgustosi mutanti. Uno schiavo di nome Yevgeny Nourish afferma di essere un contatto Realista, ma è difficile fidarsi di lui. Il cameriere cinese è una spia. Oppure no? Tanto finisce ucciso dallo stesso Pikul, che agisce come se fosse posseduto da una forza esterna. La ragazza si ammala a causa del pod infetto. Pikul taglia il cordone ombelicale, tentando di salvarla, ma lei si mette a sanguinare. Irrompe Nourish, che brucia il pod con un lanciafiamme, facendone scaturire nugoli di spore nere aggressive come calabroni furiosi. Poi la coppia si sveglia da tale livello di realtà infina, scoprendo che i Realisti stanno facendo irruzione nel resort sciistico di Vinokur, mitragliando a destra e a manca. Lo stesso Vinokur risulta una spia e raggiunge il cameriere cinese nell'Ade virtuale per mano della Geller, adirata perché si è accorta che egli ha approfittato del suo sonno per copiarle il gioco. Ma in sostanza, cosa cambia in tutti questi flash? Ecco pronto un nuovo loop, nella sostanza assimilabile al precedente. Ad ogni fuga per il rotto della cuffia, con l'adrenalina a mille, corrisponde l'ingresso in un incubo inatteso ma simile a quanto già vissuto, fino a giungere al finale, decisamente sconcertante. La frattura nel tessuto della realtà, introdotta da eXistenZ sembra sul punto di ricomporsi. Pikul e la Geller si risvegliano nell'Auditorium. Tutto era dunque soltanto un sogno? No, perché subito si insinua un elemento stonato e disturbante. Tra il pubblico si vede il cinese che faceva il cameriere, spaesato e delirante. Il videogame viene presentato da Nourish - e non dalla Geller, che è una semplice spettatrice - soltanto che non si chiama eXistenZ, bensì transCendenZ! Come posseduti, la ragazza e il suo compagno insorgono, agendo da terroristi Realisti, e tutto ricomincia!  

Recensione:

Un film di un onirismo potente, che non si dimentica facilmente. Alcune scene restano particolarmente impresse, come una manciata di coriandoli incandescenti e radioattivi cosparsi da una mano aliena sulle meningi. Si ha l'impressione assai nitida di essere caduti in un denso labirinto di illusioni da cui non ci si riesce a liberare. Il filo conduttore è l'imporsi universale di una Nuova Carne Tecnologica, in cui le sequenze genetiche alterate fatte di xeno-DNA sintetico si sostituiscono agli ormai desueti diodi e transistor. Senza dubbio è una Rivoluzione pervasiva, che trasforma le sequenze cromosomiche in circuiti, delegando ai mitocondri e ai nuclei cellulari ciò che i sogni del XX secolo proiettavano in un Cielo Elettronico.  


La bioporta e l'anilingus 

Il protagonista, sovraccarico e teso come un argano di balestra da campo, si trova in camera da letto con Allegra, che mette in bella mostra la sua schiena nuda. Un orifizio preternaturale spicca sulla morbida pelle della giovane donna: è la bioporta, il punto in cui le è stato installato nel midollo spinale un software di realtà virtuale tramite un'iniezione ad aria compressa. Quell'apertura è sensuale e seducente, proprio come uno sfintere anale, così il giovane, sommamente arrapato, protende la lingua verso quel ben di Dio e si mette a leccare con avidità, simulando quello che in Spagna chiamano beso negro! Lei trasale, evidentemente nessuno glielo aveva mai fatto prima. Lui emette il seme nelle mutande prima di ritrarsi sorpreso dalla propria audacia e di chiederle scusa, ne sono certo... Certo che Jude Law, con quel suo peculiare faccione ampio come la luna piena, interpreta alla perfezione il ruolo di avido leccatore di bioporte, capace di tradurre ogni fantasia in realtà! L'avessi avuto io quel somatismo bizzarro, sarei stato un autentico tombeur de femmes e non avrei sognato l'inverarsi dell'Apocalisse! 


Dare e ricevere 

Non ricordo bene il punto in cui la sequenza si colloca, ma nonostante ciò mi è rimasta impressa nei banchi di memoria stagnante. Forse per ricambiare il leccamento dell'ano preternaturale, a sua volta la bella Allegra soffia nel cordone ombelicale della sua creatura, innestata nello sfintere dorsale del suo compagno e collegato al suo sistema nervoso, simulando un rapporto orale particolarmente insano! Il suo ruolo di fellatrice non è rivolto verso il materiale genetico di Homo sapiens, bensì verso le sequenze cromosomiche artificiali del suo amato pod, da lei vezzeggiato al contempo come un amante e come un bambino partorito dal suo grembo. 


La Xenogenesi domina! 

Una lucertola bicipite guizza davanti alla bella Allegra e allo stupefatto Ted Pikul: si è formata da sé in una discarica di frammenti autoaggreganti di genomi impazziti, proprio come i pesci aberranti che il cuoco cinese cucina e serve ai clienti del suo ristorante. Se non ricordo male, la programmatrice etichettava l'animale aberrante come "salamandra" anziché come "lucertola", ma la sostanza non cambia molto, nonostante l'abisso che separa gli anfibi dai rettili, ed entrambi dalle opere della manipolazione genetica. Questa accelerazione evolutiva capace di dare nuova vita è una delle conseguenze più appariscenti della Nuova Carne Tecnologica, un dono estremo quanto grottesco delle forze vive della Xenogenesi! 

Un problema definitorio 

Come potremmo definire questo film? Ne sono convinto, si tratta di un grandissimo film olomanista. Cosa significa questa parola? Così mi chiederete, voi pochi lettori. Ecco, se avrete la pazienza di leggere il seguito, vedrete che la vostra curiosità sarà senz'altro soddisfatta.   

I princìpi dell'Olomanismo 

Nel corso della storia di questo sciagurato pianeta è emersa in alcune occasioni una strana idea, secondo cui l'intera esistenza sarebbe una creazione di chi la percepisce. Un'idea bislacca, sì, ma anche inconfutabile. Si è parlato di Idealismo o di Solipsismo. Cartesio e il suo genio beffardo, tanto per intenderci. In particolare, Solipsismo deriva dalle parole latine ipse "egli stesso" e solus "solo", per indicare una condizione di totale estraniazione dagli altri esseri viventi e più in generale dalla realtà esterna al proprio essere. Per il Solipsista, chi percepisce è il Creatore di tutto e gli altri non sono che una sua proiezione. Alcune sètte, come ad esempio la Chiesa di Satana di LaVey, percepiscono nel Solipsismo un grave pericolo per la propria sopravvivenza e quindi lo condannano duramente, con inusitata veemenza. "Il Solipsismo può essere molto pericoloso per i Satanisti", sentenziava lo stesso Anton LaVey, al punto da definirlo uno dei Nove Peccati Satanici. Poi però dava prova di intendere con Solipsismo qualcosa di poco consistente e di non comprendere bene il problema: "Proiettare le tue reazioni, risposte e sensibilità su qualcuno che è probabilmente molto meno in sintonia di te. È l'errore di aspettarsi che le persone ti prestino la stessa considerazione, cortesia e rispetto che dai loro naturalmente. Non lo faranno. Invece, i Satanisti devono sforzarsi di applicare il detto "Fai agli altri come fanno a te". È un lavoro per la maggior parte di noi e richiede una costante vigilanza affinché tu non scivoli in una comoda illusione di tutti come te. Come è stato detto, alcune utopie sarebbero ideali in una nazione di filosofi, ma purtroppo (o forse per fortuna dal punto di vista machiavellico) siamo lontani da quel punto". Il punto è che non intendo ciò che intendeva l'Organista di San Francisco. Non alludo all'aspettarsi qualcosa dalle persone, ma al negare la loro stessa esistenza, riducendole a ombre da me fatte scaturire dal mio Abisso Interiore. Termini come Solipsismo e Idealismo sono assolutamente riduttivi. Così utilizzerò una diversa parola, coniata da un carissimo e fraterno amico, che ha definito questa filosofia Olomanismo. Poi, a distanza di anni, ho scoperto che questo termine ha una chiarissima etimologia nella lingua Enochiana. Deriva infatti da OL OMAN "conosco da me stesso". OL è il pronome di prima persona singolare, mentre OM è la radice che indica l'atto di conoscere, di comprendere. Questi sono i princìpi cardinali dell'Olomanismo:

1) Io solo esisto.  
2) Tutto ciò che è al di fuori di me è solo una mia proiezione. 
3) Non esiste altro essere senziente all'infuori di me medesimo.


Questa è in estrema sintesi la narrazione mitologica su cui si fonda l'Olomanismo: 

In Principio Io ero una stella che splendeva nel Nulla Assoluto.
Nulla era all'infuori di Me.
Non potendo sopportare questa Eternità di Niente, sono caduto in uno stato di illusione.
In questa illusione ho cominciato a sognare, creando i mondi. 


Nessuno può confutare questo assunto. Non esistono argomentazioni che possano dimostrare la sua falsità. Certo, non posso provare agli altri che quanto affermo in questa occasione corrisponda al vero, ma chi ha davvero bisogno di provare qualcosa alle ombre? Nessuno, immagino. Dovrei mettermi forse a disquisire con un teatrino fatto di Nulla? In ogni caso ho la replica pronta, anche se so che non servirà a niente. Così risponderei a chi tentasse di usare violenza nei miei confronti per convincermi: "Ho sognato che un gangster mi stava uccidendo, ma poi mi sono svegliato. Il gangster non esisteva. Allo stesso modo, se verrò ucciso, mi sveglierò in un altro universo più denso, da me stesso creato e proiettato."

Si vede come il Solipsismo e l'Idealismo dei filosofi di questo mondo siano alquanto deboli in confronto all'immemsa potenza dell'Olomanismo, che mi vanto di avere introdotto nel mondo, sperando che faccia tutto il suo distruttivo corso fino a portare al genere umano la sua Nemesi! Un giorno potrebbe sempre giungere alla Casa Bianca un Presidente Olomanista, capace di lanciare in una notte l'intero arsenale nucleare degli Stati Uniti d'America. Se questo accadesse nel corso della mia esistenza terrena, ultimo ed estremo inganno dei miei sensi allucinati, allora tremerei di gioia e riderei come un Pazzo di Dio! 

Una difficile situazione linguistica 

Nonostante i nomi eminentemente anglosassoni delle aziende sfornatrici di videogames che alterano la realtà, sembrerebbe che nel mondo di Allegra Geller e di Ted Pikul si parli tedesco, o meglio una forma di neotedesco. Anche eXistenZ (Existenz) e transCendenZ (Transzendenz) sono parole tedesche dotte, di chiara origine latina. Se la guardia interpretata da Jude Law porta un nome insignificante che potrebbe avere qualunque origine, la bionda artefice di illusioni non stonerebbe nel mondo dell'Ispettore Derrick. Ma davvero il cognome Pikul è tanto irrilevante? Non ne sono del tutto sicuro. Dovrebbe essere una variante ortografica di picul, che indica un'unità di peso tipica del Sud Est asiatico, corrispondente circa a 60 kg. Non riesco ad andare più a fondo nell'analisi etimologica. Scopriamo infinte un fatto sorprendente: in tocario la parola pikul esiste e significa "anno". Si nota nel mondo costruito da Cronenberg una presenza slava considerevole: il gangsterismo russo evocato dalla pellicola sembra quasi profetizzare il dominio feudale di Putin e della sua compagine criminale. Guardando le sequenze di eXistenZ e immergendomi in quella distopia incubica, non mi sembra  proprio di trovarmi in America.

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Un interessante intervento di Elisa Battistini è comparso nel sito Quinlan.it (Rivista di critica cinematografica):  


"eXistenZ è una spirale di 92 minuti, in cui il regista riesce a compiere un viaggio attorno alla natura umana e alla sua condizione esistenziale. David Cronenberg realizza una pietra miliare del suo cinema, un grande omaggio alla fantascienza cyberpunk, uno dei suoi film più distopici e complessi. E rivisto oggi uno dei più terrorizzanti."

Anche la Chiesa Romana si interessa ad eXistenZ. Si segnala questo intervento, che combina osservazioni interessanti a conclusioni di una sconcertante banalità: 


"Nel mondo immaginato da 'eXistenZ' non ci sono 'segni' di modernità. Tutto si svolge all'interno di scenari di anonima, squallida, anche anacronistica quotidianità: la sala riunioni di una chiesa, una disordinata officina, la catena di montaggio di una fabbrica da sfruttamento tayloristico, un ristorante cinese da sconsigliare decisamente. Vi è assente, e di sicuro non a caso, l'elemento ludico che è all'origine dell'attrazione esercitata dai videogiochi".
(Francesco Bolzoni, 'Avvenire', 6 gennaio 2000) 

Sul sito Aletrium Collection si cita Edgar Allan Poe, riportando i suoi versi immortali: 

“Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo
  non è che un sogno dentro un sogno?” 
 


Nel sito si parla delle origini del film, da un'idea nata nel 1995 in seguito a un'intervista fatta dallo stesso Cronenberg allo scrittore inglese di origine indiana Salman Rushdie, che nel 1988 pubblicò il suo romanzo Versi Satanici (The Satanic Verses), attirandosi l'ira del mondo islamico. Dal Marocco all'Indonesia, orde di Haradrim inferociti friggevano dalla voglia di uccidere l'autore del testo considerato blasfemo e sacrilego. L'Ayatollah Khomeini pronunciò una fatwa, condannando a morte lo scrittore per la sua profanazione dell'Islam. Così l'indiano condannato a morte in contumacia visse per anni nascosto, comunicando col mondo esterno esclusivamente tramite computer. Questo fornì a Cronenberg lo spunto per la sua narrazione onirica. Eppure esistono nel Web moltissime foto che dimostrano l'immensa fortuna che Rushdie ebbe sempre con le donne. Nonostante il suo aspetto poco entusiasmante, le attirava come il miele attira le mosche! Evidentemente la sua miglior dote non è il suo volto grassoccio, e neppure la sua barba a cernecchi: deve essere provvisto di un poderoso, gigantesco e instancabile Schwanzstücker!