Visualizzazione post con etichetta estinzione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta estinzione. Mostra tutti i post

martedì 31 gennaio 2023


SPRINGTIME DEPRESSION
 

Gruppo: Forgotten Tomb 
Album: Springtime Depression  
Paese: Italia 
Regione: Emilia-Romagna 
Città: Piacenza
Lingua: Inglese
Anno: 2003 
Genere: Depressive black metal
Tematiche: Disperazione, Vuoto, Annientamento,
     Solitudine  
Etichetta: Adipocere Records
Link: 


Formazione:
  Ferdinando Marchisio (Herr Morbid) - voce, chitarra
  Alessandro Comerio (Algol) - basso
  Gianmarco "Kyoo Nam" Rossi (Asher) - batteria
Ex componenti: 
  Andrea Ponzoni (A.) - chitarra
  Tiziano Scassa (Razor SK) - chitarra
  Torment - basso
  Gabriele Minuti (Wudang) - chitarra turnista
  Henrik Björkk (Nordvargr) - effetti 

Tracklist: 
  Todestrieb – 8:50
  Scars – 7:12
  Daylight Obsession – 7:22
  Springtime Depression – 4:50
  Colourless Despondency – 7:02
  Subway Apathy – 11:30

Colourless Despondency

Testo: 

Kill me - Take me to the place
where my cries will stop forever
And where my memories
will drown in the sickness of dusk
The shadows of the noose on the wall
crosses that of my neck
The weight of this sorrow
The need to end it now
This useless existence
The will to end every shadow of my past
A life drowned in misery
A life stained by nausea
No other reason to hang on
to a life without a meaning
Every dream has fallen to ashes
At one with despondency
Alive but so far away
Left alone in a shallow life
Without remorse - without a reason
All my happiness now disappeared
My soul descends into darkness
As Her distant smile appears through the fog
No one was here to dry my tears
No one will cry
A colourless reflection of despondency 

Traduzione: 

Sconforto incolore 

Uccidimi - Portami nel posto
dove i miei pianti si fermeranno per sempre
E dove i miei ricordi
annegheranno nella malattia del crepuscolo
Le ombre del cappio sul muro
attraversano quella del mio collo
Il peso di questo dolore
La necessità di porvi fine ora
Questa esistenza inutile
La volontà di porre fine a ogni ombra del mio passato
Una vita annegata nella miseria
Una vita macchiata dalla nausea
Nessun'altra ragione per aggrapparsi
a una vita senza senso
Ogni sogno è caduto in cenere
Tutto insieme allo sconforto
Vivo ma così lontano
Lasciato solo in una vita superficiale
Senza rimorso - senza una ragione
Tutta la mia felicità ora è scomparsa
La mia anima scende nell'oscurità
Mentre il suo sorriso lontano appare attraverso la nebbia
Nessuno era qui per asciugare le mie lacrime
Nessuno piangerà
Un riflesso incolore dello sconforto

Subway Apathy 

Testo: 

As a desolated subway
As an empty city street
It takes me a way
Towards oceans of concrete

A grey walk into the void
Through faceless humans
Nauseating melancholy
Suburban distress

Lifeless as your jaded eyes...

Pitch black misery
Dead leaves in rainy afternoons
Cold - Cold sidewalks at night
Frozen by bleak neon lights

Lifeless as your jaded eyes

Our sight is broken by a train
This time I know it will be at last one
A reflection of the subway
inside your eyes
Waiting for the last train
of this endless night

Lifeless as your jaded eyes...

To fade into the dark
To run away towards another
Grey - Another greay suicidal day
Subway Apathy crawls in me
Subway Apathy crawls in me

Blackness
Pale grey walls
Dark landscapes of iron
Deep inside my soul

Traduzione: 

Apatia della metropolitana 

Come una metropolitana desolata
Come una strada di città vuota
Mi ci vuole una strada
Verso oceani di cemento

Una camminata grigia nel vuoto
Attraverso umani senza volto
Malinconia nauseante
Disagio suburbano 

Senza vita come i tuoi occhi stanchi...

La miseria nera come la pece
Foglie morte nei pomeriggi piovosi
Freddo: marciapiedi freddi di notte
Congelati da luci al neon cupe 

Senza vita come i tuoi occhi stanchi 

La nostra vista è interrotta da un treno
Questa volta so che sarà finalmente l'una
Un riflesso della metropolitana
dentro i tuoi occhi 
Aspettando l'ultimo treno
di questa notte senza fine 

Senza vita come i tuoi occhi stanchi...

Per svanire nel buio
Per scappare verso un altro 
Grigio — Un altro grigio giorno suicida
L'apatia della metropolitana striscia in me 
L'apatia della metropolitana striscia in me 

L'oscurità
Pareti grigio chiaro
Oscuri paesaggi di ferro
Nel profondo della mia anima 

Recensione: 

Un Abisso assoluto, Tenebra totale in cui non riesce a fare il suo corso nemmeno una singola particella di Luce. I fotoni emessi da qualsiasi sorgente luminosa si disperdono, si ammalano di Morte Ontologica e si sfaldano, si annichiliscono, scompaiono nel Nulla. Un Nulla che non è la semplice negazione dell'Esistenza! Siamo in una dimensione di alterità totale, indescrivibile con le parole di qualsiasi lingua concepibile da mente umana, ineffabile come ciò che si trova oltre l'orizzonte degli eventi di un buco nero divoratore di macrogalassie!  

Dante Alighieri descrisse l'Inferno, dotandolo di una complessa struttura di gironi e bolge. Eppure, i dannati che egli incontrò nel suo viaggio abissale conservavano un privilegio di non poco conto: avevano intatta la loro identità e la memoria della loro esistenza terrena. Quando il Fiorentino incontrava qualcuno e gli chiedeva chi fosse, questi sapeva rispondergli come se fosse ancora vivo e aveva ben chiara la propria natura. Invece, nell'universo dei Forgotten Tomb il destino è infinitamente peggiore: non è un semplice danno sensoriale inflitto a chi è in grado di conservare integra la memoria e la definizione. L'Annientamento dell'Essere è un morbo sempiterno, quantistico, multidimensionale! 

domenica 29 gennaio 2023


CSÖNDBEN 

Gruppo: Öröm 
Album: Dolmen 
Paese: Ungheria 
Contea: Borsod-Abaúj-Zemplén 
Città: Kazincbarcika
Lingua: Ungherese 
Anno: 2003 
Genere: Dark Ambient, Gothic, Doom Metal 
Tematiche: Vuoto, Disperazione, Evocazione dei Demoni 
Formato: CDr, EP, Enhanced, Limited Edition
Etichetta: l'album è stato autoprodotto 
Link: 

   Vízió (chitarra, basso, narratore)
   Holdh (tastiere, programmazione) 
   Myst (tastiere)

Tracklist:  
   1. Vágyódás - 1:55
   2. Csöndben - 9:28
   3. A Tó - 4:50 
   4. Hangok - 9:32
   5. Mélyel legbelül - 10:12
   6. Betejesedés - 6:45
   Video  Csöndben - 8:52

Testo: 

CSÖNDBEN 

Egy tisztáson ülve... s várva
Lelkemben tél... s mély csend
Körös körül a nyugalom lágy hangja
Az elmúlás megérintett
A távolból hallom kiszáradt patakok, elfeledett csobogását
Haldokló testem néma sikoltását
És érzek valamit magamban legbelül
Idegen érzés mely a testemben elvegyül
S közben árnyak násztáncát látom, és a hó csak hull... és hideg
Egy test a tisztáson ülve... s várva
Vár az elbomlásra
Lelkemben tél... s mély csend, És semmi... körös körül 

Traduzione: 

NEL SILENZIO 

Seduto in una radura... e in attesa
Inverno nella mia anima... e silenzio profondo
Il dolce suono della calma circonda tutto 
La scomparsa mi ha toccato
In lontananza sento il mormorio dimenticato dei ruscelli secchi
L'urlo silenzioso del mio corpo morente
E sento qualcosa dentro di me
Una strana sensazione che si mescola nel mio corpo
Intanto vedo la danza nuziale delle ombre, e la neve continua a cadere... e fa freddo
Un corpo seduto nella radura... in attesa
In attesa di crollare
Inverno nella mia anima... e silenzio profondo,
E niente... tutt'intorno 

Glossario ungherese-italiano 

A távolból "in lontananza", "da lontano"
az "il", "che" 
árnyak "ombre" 
csak "soltanto" 
csend "silenzio" 
  csöndben "nel silenzio" 
  -ben è il suffisso del locativo 
csobogását "balbettando" 
egy tisztáson "in una radura" 
  egy "uno" 
  tisztás "radura" 
elbomlásra "decadere" 
elfeledett "dimenticato" 
elmúlás "morendo" 
elvegyül "si mescola"
érzek "sento", "percepisco" 
érzés "sensazione" 
és "e" 
haldokló "moribondo" 
hallom "sento", "odo"  
hangja "la sua voce" (hang "voce, suono") 
hideg "freddo" 
"neve"  
hull "cade" 
idegen "strano", "estraneo", "straniero"
kiszáradt "prosciugato", "disseccato"   
körös körül "tutto intorno" 
  körül "in giro" 
lágy "morbido" (sinonimo: puha
látom "vedo" 
legbelül "nel profondo" 
lelkemben "nella mia anima" 
  lelkem "la mia anima" 
  lélek "anima" 
  -m è il suffisso possessivo di I pers. sing. 
magamban "in me stesso" 
  -ban è il suffisso del locativo (cfr. -ben)
megérintett "mi ha toccato" 
mely "quale"
mély "profondo" 
násztáncát "danza nuziale" 
néma "attutire" 
nyugalom "calma, tranquillità" 
patakok "flussi", "ruscelli" 
semmi "niente" 
sikoltását "il suo grido" 
s közben "e nel frattempo" 
test "corpo" 
  testem "il mio corpo" 
  testemben "nel mio corpo" 
tél "inverno" 
ülve "seduto" 
valamit "qualcosa" 
vár "in attesa", "aspettare" 
  s várva "in attesa" 

Curiosità: 

La parola ungherese öröm significa "gioia". Un nome piuttosto inatteso per un gruppo di questo genere. Cosa ancor più bizzarra, in mongolo esiste una parola che ha lo stesso suono, öröm, ma il significato è molto diverso: indica un latticino cremoso.  

Gli Öröm non vanno confusi con i quasi omonimi Korai Öröm, un gruppo ungherese del tutto dissimile, che fa musica definita come psichedelica e progressiva.

Recensione: 

Un mondo grigio, in cui il sole è soltanto un vago chiarore incapace di penetrare le nubi sempiterne, compatte. Non ci sono colori. Due evocatori di demoni camminano sotto la pioggia finissima, in un bosco infestato, il cui suolo esala una foschia densa, pervasiva, che entra nelle ossa. I necromanti procedono sul tappeto di foglie cadute e macerate. Quando si fermano, irrompe una manifestazione del Nero Assoluto. Poi riprendono la loro marcia, fino a fermarsi davanti ai resti di un altare che conserva i resti pietrificati del sangue sacrificale di vittime sconosciute, il cui nome non può essere pronunciato. Posso quasi avvertire in me i pensieri dei due officianti, formulati in una lingua dimenticata da millenni. Pensieri che sono in grado di comprendere, come se fossi l'unico superstite di quella realtà spettrale, ridotta al brusio di un Nulla vibrante, remotissimo eppure più solido del nucleo di una stella collassata di neutroni! 

venerdì 27 gennaio 2023


CYANIDE
 

Gruppo: Deathstars 
Album: Termination Bliss 
Paese: Svezia 
Contea: Västra Götaland 
Città: Strömstad 
Lingua: Inglese 
Anno: 2006 
Genere: Industrial metal 
Tematiche: Suicidio, Genocidio 
Formato: CD 
Etichetta: Nuclear Blast 
Produzione: Nightmare Industries 
Registrazione: BlackSyndicate Studios,
      Stoccolma, Svezia 
Link: 

Formazione: 
   Whiplasher Bernadotte – voce 
         (vero nome: Andreas Bergh) 
   Nightmare Industries – chitarre, tastiere, elettronica 
         (vero nome: Emil Nödtveidt)
   Skinny Disco – basso 
         (vero nome: Jonas Kangur) 
   Bone W. Machine – batteria 
         (vero nome: Ole Öhman)
   Cat Casino - chitarra 
         (vero nome: Eric Bäckman) 
Ospite: 
   Ann Ekberg - voce femminile 
Membri precedenti: 
   Beast X Electic - chitarra ritmica
        (vero nome: Erik Halvorsen) 


Tracklist: 
    1. Tongues - 3:45
    2. Blitzkrieg - 4:04
    3. Motherzone - 4:06
    4. Cyanide - 3:55 
    5. Greatest Fight on Earth - 3:53 
    6. Play God - 4:09 
    7. Trinity Fields - 4:22
    8. The Last Ammunition - 4:07
    9. Virtue to Vice - 3:42
    10. Death in Vogue - 4:15
    11. Termination Bliss - 3:43  

Cyanide

Testo:  

Cyanide
Drink the Cyanide

This is the hand that will blind your eyes
And split your spine
This is the blade that'll visit your flesh
And release the wine

Play
You play with toys that have triggers
And you hear how the led moves near
Play
You play with razors and it hurts, it hurts
As you face your fears

So face the dark
And I'll teach you about fire
In the blink of an eye
(Now drink the Cyanide)
The worlds collide and you know
It's pure filth
That I hide

On these plains there's a burning ruin
That must be found
On these plains there's a demon that sleeps
It must be unbound

Run
You run for the borders
Where epistles burn in the arms of man
Run
You run among bodies and they scream
They scream to bite God's hand

So face the dark
And I'll teach you about fire
In the blink of an eye
(Now drink the Cyanide)
The worlds collide and you know
It's pure filth
That I hide

So face the dark
And I'll teach you about fire
In the blink of an eye
(Now drink the Cyanide)
The worlds collide and you know
It's pure filth
That I hide

So face the dark
And I'll teach you about fire
And the blink of an eye

When the dark does what the dark does best
It's darkness
Let the dark do what the dark does best
Let there be darkness
So face the dark
And I'll teach you about fire
In the blink of an eye
(Now drink the Cyanide)

The worlds collide and you know
It's pure filth
That I hide 

Traduzione: 

Cianuro 
Bevi il cianuro 

Questa è la mano che accecherà i tuoi occhi 
e spaccherà in due la tua spina dorsale  
Questa è la mano che visiterà la tua carne 
e rilascerà il vino (1).
 
Gioca
Tu giochi con giocattoli che hanno grilletti
Gioca 
Tu giochi coi rasoi e ciò fa male, fa male 
Non appena affronti le tue paure

Quindi affronta l'oscurità 
E ti insegnerò riguardo il fuoco
In un batter d'occhio
(Ora bevi il cianuro) 
I mondi si scontrano e tu sai
che è pura sozzura 
ciò che nascondo. 

In queste pianure c'è una rovina in fiamme 
Che deve essere trovata 
In queste pianure c'è un demone che dorme
Dev'essere liberato

Corri
Corri fino ai confini
Dove le epistole bruciano nelle braccia dell'uomo 
Corri
Corri tra i corpi che urlano
Essi urlano per mordere la mano di Dio 

Quindi affronta l'oscurità 
E ti insegnerò riguardo il fuoco
In un batter d'occhio
(Ora bevi il cianuro) 
I mondi si scontrano e tu sai
che è pura sozzura 
ciò che nascondo. 

Quindi affronta l'oscurità 
E ti insegnerò riguardo il fuoco
In un batter d'occhio
(Ora bevi il cianuro) 
I mondi si scontrano e tu sai
che è pura sozzura 
ciò che nascondo. 

Quindi affronta l'oscurità 
E ti insegnerò riguardo il fuoco
In un batter d'occhio
(Ora bevi il cianuro) 

Quando l'oscurità fa ciò che fa meglio,
È la Tenebra 
Lascia che l'oscurità faccia ciò che fa meglio,
Lascia che ci sia la Tenebra 
Quindi affronta l'oscurità 
E ti insegnerò riguardo il fuoco
In un batter d'occhio
(Ora bevi il cianuro) 

I mondi si scontrano e tu sai
che è pura sozzura 
ciò che nascondo. 

(1) Id est cruor: è il sangue. 

Recensione: 

Fa piacere sapere che qualcuno si è occupato di quest'opera della band svedese a livello non brutalmente tecnico (songmeanings.com). Più volte è stato detto che questo brano parla di qualcuno che gioca con l'idea di suicidarsi (SoulRapist, 2006; lakajj, 2007). Secondo altri, i Deathstars si sono scagliati contro gli Emo e le loro manie pseudo-suicidarie da poser (Lordofabortion, 2010). Secondo altri ancora, ci sarebbero connessioni più o meno simboliche con l'Uomo di Braunau, Adolf Hitler, in qualche modo impersonato dal cantante (sydneysomething, 2007; killerbob665, 2007). I Deathstars, va specificato, non aderiscono ai dogmi del Nazionalsocialismo tedesco e non sono adoratori del figlio di Klara Pölzl (ThePsychoticWolf, 2009). Credo che tutte queste interpretazioni reperibili nel Web possano essere considerate assolutamente riduttive, perché i commentatori non hanno la benché minima capacità di comprendere cosa sia l'Inumano. In realtà, lasciandomi pervadere dalla musica e dalle parole martellanti del testo urlato, ho la certezza assoluta di ciò che esprimono: la necessità furiosa di annientamento del genere umano!

Curiosità: 

Il nome del gruppo, formatosi nel 2000, non ha nulla a che vedere con la cosiddetta Morte Nera (in inglese Deathstar, ossia "Stella della Morte") di Star Wars. La coincidenza è dovuta a una stravagante sincronicità. 

Lo pseudonimo di Andreas Bergh, Whiplasher Bernadotte mi incuriosisce. Non ho idea della sua origine, anche se posso azzardare un'ipotesi: Bernadotte potrebbe essere il suo cognome materno. Se così fosse, egli sarebbe un discendente del generale napoleonico Jean-Baptiste Jule Bernadotte (Pau, 1763 - Stoccolma, 1844), Principe di Pontecorvo, diventato Re di Svezia come Carlo XIV Giovanni e Re di Norvegia come Carlo III Giovanni. 
Il Web non mi è molto utile; trovo lodevole l'usanza latino-americana del doppio cognome, paterno e materno, che aiuta a capire subito con chi si ha a che fare. 

mercoledì 25 gennaio 2023


LA VITA FA SCHIFO POI MUORI 

Gruppo: Antisexy 
Album: La Vita Fa Schifo Poi Muori 
Paese: Italia 
Regione: Veneto 
Città: Padova 
Lingua: Italiano 
Anno: 2006 
Genere: Punk, Hardcore, Thrashcore, Powerviolence 
Tematiche: Asocialità, Nichilismo, Morte  
Formato: CD, Album 
Etichetta: Accidia Hc, Shootin' Your Knees Records,
      Porrozine; Here and Now!
Link: 


Formazione: 
   Ciccio (basso) 
   XEnriX (chitarra) 
   Lorenz (batteria) 
   Enri Junior (batteria)*
   Mirco (voce) 

*Stando alle poche informazioni estrapolabili dal Web, Enri Junior dovrebbe aver sostituito Lorenz. 

Tracklist: 
    1. PxDxMx - 1:23
    2. Asociale - 2:06
    3. Freddy - 1:25
    4. Killer seriale - 1:32
    5. Cinico e spietato - 1:22
    6. Apparenza - 1:15
    7. Fight For - 1:28
    8. Partecipazione - 2:25
    9. Thug Boy - 1:14
    10. Oltre per te non c'è niente - 1:39
    11. Expectations (Youth of Today Cover) - 2:21

Citazione: 

"Capirai, mia madre scopa con un cadavere da 30 anni e io lo chiamo babbo" (Thug Boy)

Un po' di confusione nasce dal fatto che il brano intitolato La vita fa schifo poi muori è in realtà contenuto in un album successivo: Split with ENDLESS STRUGGLE (2007). 
Tracklist
   1.La vita fa schifo poi muori - 1:15
   2. FxUxNx - 0:53 
   3. Il punk è morto e tu sei il prossimo - 1:03
   4.Nessuna restrizione - 1:13
   5. Iconoclastic deth - 1:05
   6. Guilty of being white (MINOR THREAT cover) - 1:16  

La vita fa schifo poi muori 

Testo

Non cercare qualcosa in cui credere. non cercare un motivo per vivere. nessun futuro di nessun presente.
non puoi vincere, sei solo un perdente. vite prudenti, morti sicure. scelte obbligate. destino segnato.
tutto questo non ha senso. la vita fa schifo poi muori. niente per niente. niente per nessuno.
tutto si perde. solo una guida: la mia dedizione. senza una verita': nessuna direzione.
tutto per niente. niente per nessuno. life sucks then you die. 

Recensione: 

La vita fa schifo poi muori! Quando uno è come me, un condannato dal tribunale della Natura e del Destino, ha una sola possibilità: sentire in ogni fibra ogni sillaba di questi componimenti punk, come il sigillo del Fallimento Supremo. Il mio nome è stato scritto nel Libro dei Reietti all'Inizio dei Tempi. 
Intorno a me c'è un fossato invalicabile, colmo di veleno ardente, che mi impedisce di sfuggire alla mia condanna.  
Non posso fare altro che maledire la Vita, bramando il ricongiungimento al Grembo del Nulla. 
Il dolore è connaturato alla complessità. I parameci e le amebe, che sono forme di vita elementari, non soffrono: non hanno nemmeno un sistema nervoso centrale.
Il passaggio alla vita pluricellulare è stata una sciagura tremenda. Beati i microrganismi, che non hanno necessità di accoppiarsi! Non interagiscono tra loro come noi vertebrati, non sono costretti a subire strutture incredibilmente complesse come la società. 

lunedì 23 gennaio 2023

Viaggio in Eschaton 

Sono solo in una navicella progettata per resistere a qualsiasi aggressione astrale. Lo scafo è stato plasmato in una lega biometallica di un vivo color carminio. I motivatori e i motori non sono composti da parti distinte e funzionano seguendo principi fisici sconosciuti a qualsiasi civiltà umana. Attraverso un oblò osservo rapito l'orrore esterno. Gli Alberi di Gonostra fioriscono di bruchi. Gemmano nella tenebra, rischiarandola con i loro colori sgargianti. Seguendo funzioni di accrescimento frattale, le larve germogliano voraci espandendosi come cancri dai tronchi. Crescendo divorano le spore che galleggiano nell'etere nero, e producono altre larve dal loro dorso. Si generano strutture simili a mostruose chiome di gorgoni, che arrivano ad essere grandi come galassie. Giunti al limite estremo, questi esseri si spaccano, si scindono spargendo i loro piccolissimi semi per milioni di anni luce, iniziando nuovi cicli di colonizzazione. 

Marco "Antares666" Moretti 
(blog connettivista Cybergoth, 21 ottobre 2006)  

sabato 21 gennaio 2023

Occhi di falena 
  
Il robot ibrido si muove con lentezza esasperante, destando non poco nervosismo nei torvi scienziati giapponesi accalcati nel laboratorio... 
Un sottile velo di ormoni femminei fa all'improvviso palpitare le antenne biologiche dell'organismo cibernetico, connesse tramite fibre ottiche a un microchip che codifica l'impulso sessuale. Il processore si mette in moto... Le membra meccaniche insettoidi si muovono con crescente prontezza, e inizia l'inseguimento della preda. Il Signor Okahata ammicca soddisfatto ai suoi collaboratori. Rabbrividisco. La mia mente si volge ancora una volta agli Abissi di Abyabp, matrice di Pseudovita... 

Marco "Anares666" Moretti 
(blog connettivista Cybergoth, 22 luglio 2006) 

giovedì 19 gennaio 2023

Naufrago 

Lontano da ogni galassia. Nessun fotone filtra attraverso il buio insondabile. In un piccolo vascello io fluttuo in questo vuoto assoluto. Soltanto un misero guscio di noce, un relitto condannato a un fato di eterna solitudine. Molto raramente, diciamo una volta ogni due o tre anni, una singola molecola d'idrogeno urta contro lo scafo, al che il rivelatore emette un suono stridulo e impulsivo che allieta la mia attesa infinita. Dov'è il quasar più vicino? Dov'è l'ormai obliato calore della luce di una stella, fosse anche così distante da colpire a malapena la mia retina atrofica con l'impressione di un vaghissimo contrasto?

Marco "Antares666" Moretti
(blog connettivista Cybergoth, 26 febbraio 2006) 

martedì 17 gennaio 2023

La Caverna delle Scimmie 

È un luogo abominevole in cui ogni speranza in una umana utopia svanisce, scardinata dalla brutale evidenza della vera origine della Vita. L'archeologo incespica, incapace di reggersi in piedi per lo spettacolo raccapricciante che appare alla sua vista non appena illumina quei diabolici recessi con la sua torcia. Un immenso cimitero di primati... Montagne di scimmie morte in vari stadi di decomposizione si innalzano dovunque come macabre stalagmiti. Tutto è mescolato alla rinfusa, dallo scheletro al cadavere di pochi giorni. Le specie rappresentate sono molteplici: scimpanzé, gorilla, babbuini, ma anche varietà sconosciute, che nessun tassonomo ha mai studiato. È un incubo ad occhi aperti. Dalle masse di carne marcescente si levano lezzi infernali e nuvole di mosche, e i reflui colano confluendo in veri e propri ruscelli di putredine scura. Il fetore è tale da impedire l'esplorazione degli antri più interni. Procedendo tra cagnotti e carcasse, lo studioso arriva fino al centro di quel sacrario maledetto. Lì si estende un lago nero. Sulla riva uno scimpanzé si muove seguendo ritmi ipnotici davanti a una colossale locusta di pietra, e dai suoi gesti sembra che sia in adorazione della mostruosa statua. La debole luce proiettata dalla torcia permette di distinguere la sua sagoma come in un teatrino cinese degli orrori. Attende la morte pregando il Demiurgo del Morbo, colpito da una forma di inesplicabile furore mistico... 

Marco "Antares666" Moretti 
(blog connettivista Cybergoth, 30 settembre 2006)

domenica 15 gennaio 2023

Un luogo orribile

Chiamato Nodaaums. Mi ci trovo senza sapere perché, come se vi fossi stato trasportato in una notte illune, rapito attraverso una porta dimensionale. Il cielo sembra fatto di inchiostro. La sola luce si diffonde da alcune fioche lampade al neon, ed è aggredita dalla tenebra. Sono nudo e confuso, su un molo spettrale. A poco a poco i miei occhi si abituano a quell'oscurità, quel tanto che basta per vedere il mare: una distesa di un liquido nero e denso che sembra petrolio. Sono colto da tremende vertigini nell'osservare le onde imponenti e pesanti che agitano la superficie di veleno. Un forte vento si alza, gelido. Sono del tutto indifeso. Percepisco qualcosa di malvagio in quell'improvviso fortunale. Cerco inutilmente un riparo e mi dirigo verso la terraferma. Scorgo le rovine di un edificio cubico fatto di grandi blocchi di marmo. Dal suo interno emana ORRORE. Rotaie arrugginite mi fanno pensare che un tempo potesse essere una stazione. Il vento aumenta ancora e trascina via cumuli di rifiuti. Le mie capacità empatiche mi fanno precipitare nel panico, come se miliardi di vite umane stroncate dal ferro urlassero simultaneamente in me. 

Marco "Antares666" Moretti
(blog connettivista Cybergoth, 25 settembre 2006)

venerdì 13 gennaio 2023

Il lato oscuro della Luna 

Impenetrabile e duro nero punteggiato di stelle, che come piccoli pugnali trafiggono le retine... I tre astronauti procedono con grande cautela in avanscoperta di quel desolato e sconosciuto scenario. Potenti fari fendono la tenebra del mondo morto e senz'atmosfera. All'improvviso vicino al cratere si rivela al campo visivo un dettaglio inaspettato. Gli astronauti compiono grandi balzi, favoriti dalla gravità lunare, ma ben presto si accasciano a terra, soverchiati da un indicibile campo d'orrore... È come se da quelle rocce irradiasse tutto l'abominio dell'universo... Una sensazione di atroce desolazione li divora, li getta nel panico senza che ci sia una spiegazione plausibile... Fattisi coraggio, i tre riescono alla fine a vincere quel soprannaturale senso di oppressione e raggiungono il punto che ha attratto la loro attenzione. Con incredibile stupore scorgono qualcosa di IMPOSSIBILE: i raggi dei loro fari illuminano la spettrale sagoma del relitto di un caccia bombardiere tedesco della II Guerra Mondiale... 

Marco "Antares666" Moretti 
(blog connettivista Cybergoth, 17 dicembre 2005)

mercoledì 11 gennaio 2023

Due scimmie decapitate 

Giacciono sul tavolo operatorio. Lo scienziato getta nell'inceneritore la testa di una e il corpo acefalo dell'altra. Poi immerge le due parti rimaste in una soluzione vitale che impedisce ai tessuti di decomporsi, mantenendoli vivi a livello cellulare, pur essendo ogni loro sinapsi inattiva. Nessun impulso elettrico attraversa le ramificazioni dendritiche. La testa di scimmia e la scimmia acefala prescelte per l'Esperimento sono a detta di tutti morte. Nessuna autorità religiosa osa sostenere il contrario, e un notaio attesta legalmente la cosa con un sigillo di ceralacca. Ecco che dopo un anno lo scienziato ritorna su questo insano progetto, determinato a distruggere una volta per tutte la Teoria Tomistica della Sostanza... così monta la testa mozzata sul busto dell'altro animale, saldando con pazienza ogni singola terminazione nervosa e rigenerando le cicatrici neurali con flussi dosati di nanorobot. Poi inietta il sangue artificiale nelle arterie, nelle vene, e con un elettrostimolatore dà la scocca fatale al cuore... Pochi istanti dopo la scimmia ibrida APRE GLI OCCHI, e il suo sguardo abissale è animato da aliene scintille di ODIO... 

Marco "Antares666" Moretti
(blog connettivista Cybergoth, 15 dicembre 2005) 

lunedì 9 gennaio 2023

CHIOME IN FIAMME 

La Cometa d’Orrore è in massimo avvicinamento. Emana bagliori di morte azzurrognola dal suo cuore che come un secondo sole bianco acceca le genti, facendo impallidire ogni altra luminaria celeste. Le folle sono in fermento, e ognuno ode nel profondo della sua anima un sinistro stridore di dannazione. La coda di quel messaggero di devastazione è triplice e la sua lunghezza occupa metà della volta celeste, seminando veleno. L’aria tremola, una fatamorgana che impedisce di focalizzare bene i dettagli del mondo visibile. Palazzi fatui vibrano in quella densa atmosfera alterata dal mortifero portento cosmico. Il cuore dei coraggiosi e dei temerari diviene all’improvviso vile. Il cuore dei vili scompare, ed essi supplicano di ricongiungersi ai vermi nel terriccio. Tutte le donne incinte abortiscono. Tutti i sacerdoti si suicidano dopo aver urlato la vanità della loro fede, capendo di colpo chi è il vero Signore dell’Universo. Tutti i potenti battono i denti in preda al terrore, e baratterebbero un’eternità di cancro pur di sfuggire al presente. Dzadara viene! Dzadara è adirato! Il Regno del Caos avvolge tutto con i suoi tentacoli, portando la dissoluzione di ogni struttura sociale nel fango della Cosmonemesi. Nulla potrà sottrarsi alla Morte Cometaria, all’estremo strale sidereo! Il chiarore innaturale dissolve le nubi come effimera neve estiva, riducendole a cernecchi sfilacciati in una lettiera di carboni ardenti. Un rombo lontano echeggia nel labirinto e nei cunicoli uditivi delle masse come un urlo arcano, un tremendo clamore che preme su milioni di timpani, simile a un martello assassino su un’incudine dolorante.  Non sono suoni, ma fluttuazioni che si propagano dalla ferita nel tessuto stesso dell’universo, dal Continuum oscenamente lacerato. Fili di flogisto indaco si dipartono da ogni cosa, richiamando esili saette screziate, finché a tutti è chiaro cosa sta accadendo. I capelli della gente cominciano a prendere fuoco! Lingue di un rosso mai visto prima a memoria d’uomo lambiscono ogni testa nello sfrigolio di una frusta neuronica permanente! I peli bruciano incapaci di consumarsi in quell’infernale etere, parassiti di plasma che agiscono su ogni centro del dolore amplificandone la follia fino al parossismo prigoginico. Come vermi incorruttibili su una stufa al calor bianco, le membra delle genti si contorcono in quell’apoteosi di aberrazione, in quella dilatazione del flusso temporale in una fornace sempiterna. Le urla salgono al cielo, salgono fino al cuore della Cometa come fulmini che danzano su un oceano di crani! Mani ritorte e contratte in crampi cercano in tutti i modi di strapparsi la pelle, di liberarsi di quel supplizio, senza riuscire a trovare la presa. Artigli che scavano invano nelle carni, volti contratti in abominevoli maschere orrorifiche. Fiori incandescenti si muovono al ritmo di tempeste di raggi X durissimi, corpuscoli trascinati nell’Orizzonte degli Eventi di un buco nero che divora miliardi di galassie moribonde. Si possono distinguere tutte le sfumature di un caleidoscopio cromatico alieno in un’orgia sinestetica di disperazione che filtra in ogni singolo quanto di materia. Poltiglia quarkionica vibrante nello stato di massima entropia. Gli esseri umani sono nudi, tuffati nelle profondità solari senza poter morire! Cosa resterà quando il Principe della Cometa sarà passato? Una distesa di cenere inerte? Il brodo primordiale scomposto nei suoi costituenti prebiotici? Un mare senza confini di basalto fuso? Oppure gli stessi elementi senza vita rimarranno intrappolati per sempre in quell’atrocità escatologica, in quella metànoia satanica, in quello straziante Cantico dell’Assurdo? 

Sulla cima dell’arido e pietroso monte Aramonth, l’Eremita osserva la Consumazione dei Secoli, lo scatenarsi delle Forze di Maspigand, distinguendo ogni dettaglio del mondo come se fosse fornito di una vista telescopica. Lui che è stato rifiutato dalla società degli umani, ora gode di un privilegio inatteso, ora gongola nello spettacolo capace di dare senso a un’intera esistenza di privazioni e di umiliazione. Avvolto da un’aureola di fuoco, l’Uomo di Dio si lascia trasportare da un’ebbrezza infinita che trasforma il dolore della combustione in gioia selvaggia. Ogni istante della sua gioventù nella Città dell’Edonismo gli ritorna alla memoria, e sente i risolini di scherno delle giovani donne copulanti. Sente l’egoista felicità delle coppie che ostentavano le loro effusioni nei bistrot e sulle camminate lungo i navigli adorni di fiori variopinti e di afrodisiache fragranze. Percepisce nella sua empatia espansa ogni attimo del piacere di quei petali e di quei pistilli in umido congiungimento, mentre a lui tutto è stato sempre negato. Portatore di un’antica lebbra, erede di una cultura perseguitata, non gli era rimasta altra alternativa che cercare rifugio nelle caverne per sfuggire all’eccessivo dolore. Ora sa finalmente di aver seguito la via giusta, quella che così a lungo gli era parsa soltanto un percorso di dannazione su accidentati dirupi. I suoi piedi nudi si erano tante volte lacerati su quegli spuntoni rocciosi del Deserto senz’Acqua! Ora tocca all’Acqua bruciare! Quelle puttane, quei corrotti che le insozzano, adesso si consumano insieme nel tormento! Invidioso, così lo hanno chiamato innumerevoli volte mentre lo vedevano vagare avvolto in abiti laceri. Inetto, perdente, questo gli dicevano, scientemente crudeli. Lo definivano uno sconfitto nella lotta della biologia, nell’agone spermatico per propagare questa corrotta prigionia nel lurido carapace carnale. Così è sempre stato definito da uomini di affari e politici. Quei boia non facevano questo in quanto spinti da profonde convinzioni filosofiche, ma soltanto perché pareva loro di sentirsi vivi, soltanto avendo qualcuno da disprezzare e da tagliuzzare con oscuro sarcasmo. Mostravano denti e contraevano i diaframmi, ratti glabri e immondi che si sollazzano nella fogna della vita gaudente. Così l’Eremita intona la sua canzone della rivincita contro il genoma brulicante: “Finalmente la loro base è sradicata, il loro seme cancellato! La loro arroganza è un guscio vuoto sotto il calcagno del Giusto! Dzadara avvolge i miei antichi aguzzini nel suo abbraccio crematorio! Questo istante non è solo il più felice della mia intera esistenza terrena, ma di milioni e milioni di vite passate migrando da un involucro corporale all’altro, umano o animale! Questo è il punto terminale della mia Caduta dai Cieli! Questo è il Giorno del Ritorno! Nessuno potrà più farmi pentire di esistere sfoggiando le sue immonde vesti di muscoli, di ossa e di sangue”. Quasi in risposta alle sue turbolente correnti dell’anima, il Buco nel Cielo si apre. Ha l’aspetto di un uomo di ferro, talmente nero che gli stessi fotoni vi affondano senza speranza di poterne uscire. Sembra calare su ogni cosa, anche se i contorni nitidissimi sono immobili. Gelido, inumano, duro nel suo manto metallico di nero stellare, è l’uscio ipergeometrico che dà su un piano di esistenza di una vastità atroce e non euclidea. Quella sfida alla luce è la sua meta, il nero astro che spezzerà ogni suo limite, ogni suo vincolo termodinamico. Fiducioso, l’anacoreta esiliato vi ascende fiammeggiante e in esaltazione, lasciandosi ogni cosa alle spalle senza rimorsi né rimpianti. Anche il grido delle città dannate gli è giunto a noia, perché ha cose più importanti da fare. Sotto la sua ombra fluttuante le chiome sono torce inesauribili e i grattacieli miraggi, ma lui non se ne cura affatto, perché quello è il Momento Perfetto: dopo aver vissuto il respiro degli Eoni sta per tornare a casa. 

Marco "Antares666" Moretti 

sabato 7 gennaio 2023

L’ARTIGLIO DEL NULLIFICO 

Discendo da una casata nobiliare che ha sempre sostenuto la religione dei Ferengal. A causa delle frequenti unioni tra consanguinei che si sono succedute nel corso dei secoli, ho ereditato un carattere ipereccitabile, lunatico e incline alla paranoia. Dato l’obbligo di nascondere la propria professione religiosa alle potenze del mondo, la mia stirpe è sempre vissuta in uno stato di costante angoscia. In passato il Re perseguitava i Ferengal e i loro credenti con tale acrimonia da condannarli ad essere bruciati vivi a fuoco lento; per fortuna da secoli questo non è più il costume, ma sanzioni pesanti sono ancora in vigore. La più grave delle condanne è l’Intoccabilità. Se filtrasse qualcosa al di fuori delle mura domestiche, tutto sarebbe perduto. Lo stato feudale, le nostre ricchezze, la nostra rispettabilità sociale. Mia madre, mio padre, i miei zii, mia sorella, i miei primi cugini, tutti diventerebbero degli Agoth, evitati e disprezzati persino dai servi. Per quanto mi riguarda, la maledizione non potrebbe arrecarmi un così grave pregiudizio, essendo io già sepolto in questa tomba segreta e traendo il poco fiato a me necessario da una cannuccia fatta passare in un’intercapedine invisibile dall’esterno. 
Dovrei andare con ordine nel narrare le mie disgrazie a beneficio dei soli spiriti dell’Etere: nessun essere vivente di figura anche vagamente umana potrebbe ora raccogliere la mia eredità. Ma esiste sempre la speranza che il rantolo della mia agonia possa trasmigrare in un altro universo, ripetuto dalle voci delle larve dei morti per essere finalmente captato da un apparecchio elettromagnetico, trascritto e consegnato ai posteri. 

Ricordo il laboratorio del dottor Ansinaskar, in cui avvenivano quei pericolosi esperimenti mesmerici che mi hanno condannato. Quel luogo sinistro era da anni il funto focale di tutta una comunità di cosiddetti Spiriti Liberi, gente che riteneva ogni forma di religione una cariatide della preistoria e che si adoperava per la sua sostituzione con un panteismo indifferenziato. Dal canto mio, cercavo nelle sedute ipnotiche del dottor Ansinaskar la soluzione di un arduo enigma intellettuale: anche se non potevo farne esplicita menzione, intendevo trovare prove che confermassero o smentissero la dottrina della reincarnazione tipica della Fede dei miei Padri. 
Avrei dovuto ascoltare gli ammaestramenti dei miei e tenermi alla larga da un simile covo di empietà, ma all’epoca ero spinto dagli ardori di una gioventù scapestrata e ribelle, cosicché ogni volta che mi si ammoniva io ero spinto a far tutto l’opposto. 
Durante una seduta particolarmente drammatica, fui sottoposto al fluido mesmerico e qualcosa entrò in me. Vidi un’ombra scorrere vicino alle imponenti lampade di peltro che emanavano la loro lugubre luce nella grande sala. Seguendo i movimenti di quell’entità spettrale, ebbi l’impressione di assistere a una caccia. Un predatore stava balzando sulla preda. Quando il concetto fu chiaro nella mia mente, compresi che la preda ero proprio io: quella cosa entrò dentro di me. Cominciai a parlare… 
Rammento ancora ogni dettaglio di quella cruciale esperienza, con una precisione sconosciuta ai ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza. Avevo cessato di essere nel mondo che aveva visto la mia nascita. La mia identità era diversa. Pensavo e parlavo con la massima naturalezza in una lingua sconosciuta, le cui bizzarre parole sono riuscito a trattenere nella mia mente. Il mio nome era Edgar Allan Poe. 
All’improvviso fui certo di avere un corpo fisico, potei toccare il mio volto con mani che non riconoscevo come mie. Una nebbia impenetrabile rendeva invisibile ogni cosa intorno a me. Camminavo senza meta, barcollando in preda a un orrendo delirio. Mi sembrava di aver bevuto fin quasi a morirne un qualche liquore intossicante che a tratti mi ritornava in bocca con aspri rigurgiti. Le articolazioni mi dolevano, come se qualcuno mi avesse colpito a randellate e fossi a malapena riuscito a sfuggire a gravi fratture. Non ne potevo più del sordo dolore che gravava sulle mie membra martoriate. Le forze mi stavano venendo meno. Mentre pensavo qualcosa, accadde un fatto che mi lasciò sconvolto. Un vento gelido soffiò via la nebbia, mostrando un cielo alieno, atroce, con una luminaria bianca che brillava nel manto nero della notte come un teschio ghignante. 
Ritornai in me urlando come un ossesso. E forse ero proprio questo: un posseduto dai demoni. Un dolore simile a quello di una pugnalata mi squarciò il cranio, solo a fatica riuscii a riconoscere le persone che mi stavano intorno. Dissero che avevo a lungo delirato in una lingua composta prevalentemente da parole brevi e impastate, una favella incomprensibile mai udita da orecchio umano. 
Quando ci si desta da un sogno, ogni dettaglio tende a sfocarsi e alla fine svanisce nel nulla. Solo eccezionalmente si riesce ad imprimere qualche vicenda onirica nella memoria. Ancor più raro è che parole udite tra le brume oniriche possano conservarsi per più di qualche istante alla luce della coscienza vigile. Invece a me accadeva di poter parlare, sapevo come identificare correttamente ogni oggetto servendomi di quell’idioma astruso. Di più, cominciai a farmi portare fogli di carta e ad esercitarmi a scrivere. Che assurdità: quella lingua non si scriveva come la nostra, tramite alcune centinaia di geroglifici, ma servendosi soltanto di ventisei semplici caratteri, più o meno corrispondenti ai suoni emessi dalla glottide. Una cosa davvero stravagante. Cercai di parlarne con mio cugino Khlarn, che mi derise sonoramente. Temendo di esser preso per folle, non feci più menzione ad alcuno di quello che rimase il mio segreto. Dipinsi con inchiostro nero i caratteri che formavano il mio nome arcano. Non senza fatica tracciai su un foglio color crema tre parole: “Edgar Allan Poe”. 
Avevo vissuto i peggiori istanti della vita terrena di un uomo che ora si confondeva con il mio essere. “Ne sono certo”, pensai, “Esistono innumerevoli mondi abitati da umani, come il nostro”. Qualche dettaglio emerse dall’oscurità. Mi vedevo intento a scrivere un racconto intitolato “The Black Cat”, ossia “Il gatto nero”. Era una storia terribile che parlava di un uomo che in preda all’ebbrezza finiva con l’uccidere sua moglie a colpi d’ascia per poi murarla insieme a un gatto nero in una cripta. 
Cercai di trascrivere il racconto, ma fui colto dalla confusione ed accantonai ben presto il progetto. La mia fronte bruciava di febbre. Non stavo affatto bene, così decisi di mettermi a letto. Fu quello l’inizio di una lunga malattia. Il medico di famiglia disse che era una febbre maligna e che molto difficilmente l’avrei superata. Per quanto il mio corpo sudasse e ribollisse, non per questo la mia mente smetteva di funzionare. Anzi, nella compressione e nell’infiammazione dell’encefalo, raggiungevo una saggezza mai vista prima tra le genti. Ogni tanto, quando le forze me lo permettevano, mi mettevo a sedere sul letto e trascrivevo alcune delle mie illuminazioni. 
Questo ad esempio scrissi nel giorno 257 dell’anno 1758 dalla Grande Unificazione: “Il nostro oscuro mondo, che i miei simili stoltamente reputano essere il solo esistente, non possiede luminarie celesti visibili come il mondo di origine di Edgar Allan Poe. Di giorno, un vago chiarore rischiara le eterne coltri di nubi, di notte regna incontrastato l’Abisso. Un anno si definisce come il tempo che intercorre tra il Giorno del Drago, il più lungo del ciclo e il Giorno del Lupo, in cui quasi non c’è luce. Il motivo di questi cicli era però finora un mistero imperscrutabile. Ora so quello che tutti i sapienti ignorano: c’è una grande lampada oltre quelle nubi grigie a volte calme e a volte vorticose che intristiscono e consumano gli umori dell’umanità.” 
Quando i miei venivano a trovarmi, nascondevo con cura i miei scritti sotto il cuscino. Ma tanto a loro non interessavano i miei vaneggiamenti. Mia zia mi disse che pregava il Vero Dio, Balagon, affinché confondesse i demoni che mi stavano divorando. Per i Ferengal tutto l’universo fisico è opera del Demonio, Beylghilflar, e il Vero Dio non ha alcun potere sugli elementi terreni; si dice però che in alcune circostanze possa proteggere gli Spiriti caduti nella prigionia della materia. 
Sempre avvolta nel suo nero abito da Perfetta, mia zia usciva molto raramente dalla sua cella, e sentiva che presto avrebbe abbandonato la vita terrena astenendosi da ogni cibo. Mi salutò, dicendomi che probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta in cui qualcuno l’avrebbe vista viva. Rimasi molto scosso dalle sue parole. 
Contro ogni previsione, accadde che proprio nel Giorno del Lupo di quell’anno di sciagure, cominciassi a stare meglio. Il nuovo ciclo del tempo coincise con la mia convalescenza. Diminuirono febbri e sudori, e nel giro di dodici giorni fui in grado di riprendere le mie attività. 
Con più folle audacia che buon senno, ripresi a frequentare il laboratorio del dottor Ansinaskar. Non volevo ammettere con me stesso che stavo giocando con il fuoco, che stavo sfidando quegli stessi demoni che molto a malincuore avevano mollato la presa dei loro artigli, lasciandomi indebitamente libero. Non seppi essere grato al Vero Dio della recuperata salute, anzi, sfidai lo Spirito immischiandomi con gente sacrilega e materialista. Fu in una delle prime sedute di quell’anno 1759 che conobbi una bellissima fanciulla. Mi colpì tanto la sua eterea bellezza che decisi di farne la mia sposa. Si chiamava Vlensild, ed era la figlia del Duca di Kutughar. Fui subito attratto dalle sue chiome bionde, lunghissime e lisce, dai suoi occhi cerulei, dalle sue membra delicate ed esili, dal candore marmoreo della sua pelle tanto sottile da lasciar intravedere l’azzurro delle vene. 
Cominciai a corteggiare la nobildonna. Bruciavo d’amore per lei, tanto che ogni giorno senza di lei mi sembrava un supplizio. Contavo di chiederla presto in sposa, anche se non sapevo come far mandare giù questo amaro boccone alla mia famiglia. Tutti erano infatti concordi nel definire il matrimonio meretricio, lupanare infetto e opera di Beylghilflar. L’unione carnale era possibile solo all’interno della stirpe e al solo scopo di trasmettere la Fede dei Ferengal fino alla Fine dei Tempi. Stando a questa logica, avrei dovuto unirmi a una mia cugina o meglio ancora a mia sorella. Era inammissibile un matrimonio d’amore, perché proprio l’amore era riconosciuto come Male Assoluto. Inoltre il padre di Vlensild, il Duca Hasturk, odiava mortalmente i Ferengal, e i suoi antenati ne avevano bruciati vivi molti. La religione dell’eterea Vlensild era quella del Regno Unificato, la ripugnante Om Bohokhrift, ossia un culto idolatra dei demoni e dei vampiri. 
Se avessi continuato nella mia insana passione per una donna della stirpe di Kutughar, discendente proprio dai più feroci carnefici dei miei correligionari, mi sarei macchiato di una tale infamia che sarei stato rinnegato ed escluso dal Sacramento del Fuoco. Persino mia madre mi avrebbe maledetto, e stando ai dogmi dei Ferengal sarei stato dannato in eterno. Come fare? 
Preso in una morsa, scisso e conteso tra le mie necessità e quelle della mia famiglia, non osai prendere la decisione di far morire la cosa sul nascere, come avrei invece dovuto fare. Continuai a blandire la mia adorata, e presto arrivai ad avere da lei il permesso di poterle baciare le mani. Accostare le mie labbra a quella pelle mi faceva quasi svenire dall’emozione: non avevo mai potuto toccare una donna una sola volta in vita mia prima di allora. 
I miei sospettavano che le mie continue uscite notturne nascondessero qualcosa di turpe. Quasi prevedendo un futuro nefasto, mio padre mi ammonì, dicendo che avrebbe ricevuto con minor pena la notizia della mia morte, piuttosto che quella di una mia azione disonesta. Mi disse altresì che se proprio non potevo fare a meno di peccare, meglio sarebbe stato giacersi con una donna prezzolata che con una prostituta legittima: nel primo caso il male non sarebbe durato oltre l’avventura. 
Non diedi ascolto a nessuno di questi saggi consigli e insistei con il mio amore proibito per la figlia del Duca Hasturk. Era una cosa grossa, se appena ci avessi pensato avrei capito che non aveva il minimo senso bramare di unirmi nella carne a lei: sarebbe stato come copulare con l’assassina dei miei cari. 
Il profumo della pelle di Vlensild mi inebriava e mi faceva perdere ogni cognizione. Così accadde che una notte, appena usciti dalla riunione nel laboratorio di Ansinaskar, lei mi prese da parte e mi baciò in bocca. Sentii la sua lingua e la assaporai. Tutto accadde come per automatismo. Lei si spogliò, mostrandomi qualcosa che non avevo mai visto. Non potei resistere. Mi guidò all’atto con mille impudicizie, così fornicai con lei e finii con l’emettere il mio seme nel suo ventre. 
Stavo tornando a casa in carrozza, quando un dolore insopportabile mi annientò. Era come se mi avessero conficcato una lama all’interno della scatola cranica per poi scoperchiarmi e mettere a nudo il cervello. Ebbi la sensazione che un corvo si fosse posato sulla mia fronte per immergere il becco nella materia grigia sanguinolenta. Vedendo in che stato ero, il cocchiere mi sorresse, non senza fatica, e mi trascinò fino al castello. Quello che sarebbe seguito non potevo far altro che accettarlo. 
Sapevo di non poter evitare la riunione di famiglia. Con il mio comportamento stravagante avevo troppo spesso minacciato di valicare i limiti ultimi dei tabù che gravavano sulla mia stirpe. Le mie frequentazioni non erano passate inosservate, così mia madre aveva riunito il parentado al completo per tenermi una predica. Forse mentre ero privo di sensi avevo rivelato qualcosa di cruciale, perché quando entrai nella grande sala, vidi che le espressioni di tutti erano funeree come non le avevo mai viste. Mio zio Gasthn, che era l’Anziano dei Perfetti, mi fissò a lungo. Non leggevo commiserazione nei suoi occhi, ma qualcosa di molto più tremendo. Se fossi morto, in fondo sarebbero stati felici per me: avrei abbandonato l’involucro corporale e avrei potuto conseguire una migliore rinascita. No, quello non era il mio funerale. Mi guardavano come se avessi subìto la Condanna Eterna. 
Mia madre prese la parola. Mi disse, col tono più grave, che quanto avevo fatto era tanto perverso ed infame che nulla poteva purificarmi. Il mio commercio carnale con la figlia di un persecutore comportava una colpa tremenda e rivelava in pieno la mia natura diabolica. Non ero un Figlio della Luce, ma un Figlio di Beylghilflar. Non avrei potuto perciò abitare più nella dimora avita, non avrei più potuto turbare la santità di quei luoghi che avevano dato ai Ferengal tanti Perfetti. Fu così che fui allontanato, ma con tutte le garanzie che il mio rango terreno comportava davanti agli occhi dei principi di questo mondo. Non avrei avuto di che lamentarmi. Mi fu concesso di abitare nel castello di Altoghand e mi fu assegnata una notevole rendita, purché conducessi la mia esistenza lontano dagli altri membri della famiglia. 
Altoghand si trovava oltre un territorio desolato. Era un luogo impervio e isolato, in cui sorgeva un’imponente dimora turrita costituita da enormi blocchi di basalto nero. In passato l’avamposto era servito ai Ferengal come rifugio dalle persecuzioni. La strada per raggiungere la fortezza si prestava a trappole micidiali e poteva essere interrotta in più punti, tagliando fuori ogni tentativo di invasione. Io sapevo i sentieri segreti che mi avrebbero permesso un viaggio relativamente sicuro, evitando le morene e i punti più franosi. In attesa di ultimare i preparativi per il trasloco, andai ad abitare in una locanda che si trovava non lontano dal laboratorio del dottor Ansinaskar. Passò qualche mese senza che potessi rivedere la mia amata Vlensild. Mi fu detto che non stava bene e che il suo augusto genitore le aveva revocato il permesso di uscire come aveva saputo che frequentava il Circolo dei Mesmeristi. 
Sentivo che prima o poi mi sarei imbattuto in un ostacolo insormontabile. Quando finalmente lei si fece viva, una notte in cui il gracchiare dei corvi sembrava rivelare sintomi di natura turbata, per poco non persi i sensi dalla gioia. Mi disse che era fuggita eludendo la sorveglianza delle guardie ducali e che di certo i suoi l’avrebbero presto cercata. Quello che aggiunse mi diede un tremito ancora maggiore. La fornicazione che c’era stata tra noi l’aveva resa gravida. Se l’avessi presa con me, si sarebbe concessa in matrimonio e saremmo vissuti insieme per il resto delle nostre vite. Con il cuore che mi palpitava in gola accettai. 
Andammo in un tempio della religione Om Bohokhrift e giurammo fedeltà reciproca davanti a uno dei suoi stregoni. Una cerimonia riservata che si svolse in gran fretta e col favore della notte per paura che i sicari del Duca potessero rintracciarci. Quando il sacerdote benedisse la nostra unione aspergendoci di sangue sacrificale, potei finalmente baciare la sposa. Sollevai il suo velo nero e accostai le mie labbra alle sue. Ora che la mia Vlensild era incinta avevo un’immane responsabilità. Le credenze ereditate dai miei stabilivano infatti che una donna morta in quello stato sarebbe stata destinata ad ardere in eterno nel fuoco nero degli Inferi. Anche se contemplando i suoi bellissimi occhi e il suo radioso sorriso non potevo credere che quanto asserivano i Ferengal fosse vero, non sapevo trovare un solo argomento razionale per escluderne a priori la possibilità. Pensai che troppe volte le cose più incredibili accadono. Chi l’avrebbe mai detto che le diavolerie faalu del dottor Ansinaskar mi avrebbero reso incerto persino della mia identità? Eppure era accaduto. Non potevo correre rischi. 
Il grigio lucore del giorno iniziava appena a filtrare dalla coltre di nubi chiamata cielo, quando partimmo in carrozza per Altoghand. Non c’era più il cocchiere della mia famiglia, e anche il veicolo non era lo stesso. Mio cugino Khlarn non aveva esitato ad accaparrarsi dei beni tanto importanti, così avevo comperato una carrozza nuova, più modesta ma funzionale, e avevo affittato un conducente tramite il gestore della locanda in cui alloggiavo. 
Il viaggio proseguì per tre giorni e tre notti, con soste limitate al minimo indispensabile per cambiare i cavalli. Raggiunti i confini della pietraia, ci toccò proseguire a piedi. La strada non era abbastanza larga perché un veicolo potesse percorrerla. Mia moglie propose di assoldare una guida, ma io sapevo di non poter rivelare la strada che intendevo percorrere. Se lo avessi fatto, sarei stato costretto ad uccidere la guida una volta arrivati. La cosa mi ripugnava al punto che opposi alla richiesta di Vlensild un netto rifiuto. Le dissi che sarei bastato io per difenderla da ogni insidia, e cha avrebbe dovuto togliersi quel ridicolo abito nuziale che ancora indossava. Lei si limitò a sistemarsi la veste in modo che non desse troppo fastidio e ribatté che avrei dovuto condurla nel castello così addobbata, come da tradizione Om Bohokhrift. Mio malgrado fui costretto a cedere. Nonostante la mia baldanza, dovetti riconoscere che la strada fu lunga e difficile. In certi punti vidi distintamente ombre guizzanti che si agitavano. Mi parve anche di sentire dei versi strazianti che lì per lì non fui capace di interpretare. In ogni caso erano inquietanti e mi fecero venire la pelle d’oca. Non erano lupi, sembravano più felini. 
Mentre procedevamo, meditai amaramente sulla mia breve esistenza. Avremmo dovuto restarcene tagliati fuori dal mondo per molto tempo, e non era garantita la nostra sopravvivenza. A quanto ne sapevo restava nella dimora di Altoghand un solo custode assai in là con gli anni. Non era possibile avere alcuna assistenza medica. Ogni malattia poteva condurci alla morte. Quello che non volevo ammettere era che non avevamo alcuna scelta. Esplorai il mondo alternativo da cui tanto avevo imparato, per vedere se le conoscenze di Edgar Allan Poe avrebbero potuto essermi d’aiuto. Niente da fare. L’Edgar Allan Poe che ero diventato mi evocava una gran quantità di vicende turbinose e confuse. Per quanto potessi capire, il mondo dalle grandi luminarie celesti era più complesso del nostro, ma nella sostanza non troppo diverso. “La stessa gretta miserabile umanità dovunque”, sogghignai sardonico. 
Quando giungemmo al castello di Altoghand sospirai di sollievo. Dopo tanta sofferenza avevamo il nostro nido d’amore a portata di mano. Ci ero stato soltanto una volta, quando ero ancora un infante. Adesso le mura del maniero mi sembravano ancor più scure e minacciose, forse perché la decadenza era nel frattempo proseguita apportando nuove corrosioni. Un muschio grigio nerastro si insinuava dovunque, intaccando i blocchi di roccia, che pure avrebbero dovuto essere incorruttibili. Dovunque volgessi gli occhi notavo asperità lebbrose e rivoli di umidità. 
Percorsi il ponte sul fossato dall’acqua zeppa di fetide alghe. Mi feci coraggio e sollevai il pesante batacchio che serviva ad avvisare della presenza di visitatori. Lo mollai, facendolo cozzare contro una spessa lastra di bronzo che ornava il portone. Il suono rimbombò a lungo, diffondendosi in echi spettrali. Dopo pochi minuti di attesa, il custode venne ad aprire e ci accolse degnamente. 
Presi Vlensild e la sollevai, piegandomi alle costumanze della sua religione. La sua corporatura era tanto esigua che non mi fu difficile farle attraversare la soglia senza toccare terra. Ci rinfrescammo e ci rifocillammo, ma lei non volle sentire ragioni: pretendeva di indossare quell’osceno sudario pagano durante l’accoppiamento. Avrei dovuto spiegarle che tanto, visto che avevano commesso peccato e che lei portava in grembo un demonio, il matrimonio poteva dirsi già più che consumato. Invece assecondai la sua immonda lascivia. Dopo che si fu lavata, si denudò completamente e si rimise l’abito nuziale. Io non vedevo l’ora di possederla. Siccome si trovava in stato di gravidanza, mi pregò di prenderla da dietro, per non urtare troppo i miei preconcetti sulla procreazione. Solo l’idea mi produsse una violenta eccitazione. In cambio la presi di nuovo tra le braccia e la sollevai. Le avrei fatto varcare la stanza nuziale senza il minimo contatto col pavimento. Il custode prese una torcia da una parete e ci fece strada. 
Vlensild non si aspettava che la stanza fosse in realtà una cripta. Era naturale che fosse così: essendo ogni forma di sesso detestata dai Ferengal, doveva essere consumato nel sottosuolo, dove Balagon non avrebbe mai potuto assistere alle sconcezze dei suoi figli caduti dal Cielo. La luce tremolante della torcia illuminava le pareti di quell’inferno ctonio, mettendo in evidenza ogni tanto delle strutture ad arco fatte di mattoni e di calce. Non potevo dire alla mia sposa che lì dentro erano state murate vive delle persone. Quando ero un bambino, mia zia mi raccontava sempre che spesso ad Altoghand si sentivano i lamenti dei morti, anime dannate rinchiuse in recessi angusti per le loro innominabili colpe. Sarà stata la suggestione, ma proprio mentre ci pensavo udii un verso raccapricciante. Adesso lo riconobbi: era l’urlo di un felino rabbioso. 
Chiesi a Vlensild e al custode se avessero sentito nulla, ma loro negarono. 
La camera da letto sembrava in tutto e per tutto un sepolcro. Il grande letto era tutto nero e coperto da un baldacchino dello stesso colore. Ai quattro angoli della stanza c’erano altrettanti sarcofagi in marmo massiccio, ornati da sculture di scheletri grotteschi. Le macabre figure sembravano modellate nel burro, tanta era la maestria con cui erano state intagliate. Dalle orbite dei teschi l’oscurità sembrava irradiare, il nero del marmo era come una lampada che divorasse la luce. Alzai gli occhi al soffitto. Sembrava di essere in un ossario: tutto era stata ricoperto da resti umani ripuliti. Persino i lampadari erano formati da spine dorsali e da decine di teschi deformi. 
Una torcia ardeva ad ogni angolo della camera, assicurando una fioca illuminazione. Non perdemmo tempo. Mia moglie si mise sul letto sulle ginocchia e sui gomiti dopo aver alzato la nera veste nuziale. Mi parve di vedere un’ombra guizzare, ma non ci feci caso. Ero pieno di libidine, così misi allo scoperto la mia virilità e iniziai a possederla come lei desiderava. Ancora quel dannato, indescrivibile verso! Era evidente che l’anziano servitore aveva permesso a qualche gatto di vivere nel castello. Adesso gli infelici animali erano in calore e si dilaniavano. Nonostante la paura e il disagio che quelle bestie mi mettevano, il mio ardore non diminuiva. Vlensild gemeva di piacere. L’indomani avrei dato disposizioni perché quelle bestie immonde fossero cacciate via o uccise. Meglio uccise, conclusi. 
Un rumore nuovo mi vece balzare sul chi vive. Questa volta sembrava che un grande vaso fosse caduto e si fosse rotto in mille pezzi. Ancora i gatti. Accidenti a loro, così non potevo andare avanti. Mi tirai fuori dalla mia adorata e mi incamminai verso l’ingresso. Presi una torcia e mi affacciai al corridoio. Uscii per vedere cosa stava succedendo. Proprio in quel momento accadde la sciagura. Un sibilo intensissimo, come una freccia di acciaio che fendesse l’aria. Poi l’urlo agghiacciante di Vlensild. Fortissimo, senza fine. Entrai e quando vidi ciò che stava accadendo i capelli mi si rizzarono come gli aculei di un istrice. Un piccolo gatto nero come la notte era balzato sul volto di mia moglie, dilaniandolo crudelmente con i suoi artigli affilati come rasoi! Aveva la testa piccolissima, con le orbite scavate al cui interno non si vedevano gli occhi, quasi fossero nere ferite nel bitume. Il corpo inarcato mostrava il pelo eretto, gli artigli scavavano negli occhi e nel volto di Vlensild, che ormai era del tutto cieca. Non riuscivo a reagire, ero paralizzato dal terrore, i muscoli mi erano diventati talmente rigidi che mi sembrava di essermi trasformato in un blocco basaltico. Il felino demoniaco era solido, ma al contempo sembrava che la sua sostanza fosse ombra condensata. Non era un essere naturale! Quando potei assumere di nuovo il controllo sul mio corpo, la mia Vlensild amatissima era stata uccisa. Ciò che seguì, avvenne in una frazione di secondo. Il gatto dell’Inferno girò il muso verso di me, preparandosi a balzare. Non avevo tempo di pensare, scattai e fuggii a precipizio per il corridoio, stando bene attento a non mollare la torcia. Corsi ed urlai fino ad esaurire il fiato nei polmoni. Mi accorsi che il custode non c’era: aveva pensato bene di dileguarsi, o forse Beylghilflar se lo era preso prima di esigere mia moglie in tributo. Le ombre balzavano dietro di me, i versi dei felini crebbero in intensità e in numero. Mi girai per un attimo indietro, solo per vedere la piccola figura di uno di quel mostri catapultarsi a mo’ di proiettile. Aprii un portone e lo chiusi, mentre i miei persecutori si accanivano contro l’inatteso ostacolo. Mi fermai a riposare un po’. 
Proprio quando sembrava tutto finito, con orrore mi resi conto che c’era un altro felino che saliva da una rampa di scale. Mi precipitai in un corridoio laterale, fino a giungere a un vasto salone dove si trovavano le catacombe. Nelle pareti erano scavati molti loculi in cui potei distinguere di sfuggita resti di ossa e di marciume. Il tanfo dei secoli mi avvolse e mi saturò. Come se la mia mano fosse guidata da una potenza soprannaturale, puntai la torcia verso il centro della stanza, scoprendo una botola che conduceva nel sottosuolo. Mi infilai dentro e mossi la pesante lastra quadrata di marmo per occludere il passaggio. Ero in una tomba. Dovetti sdraiarmi, perché non c’era molto spazio. La fiamma morente illuminò i corpi consunti di alcuni uomini rinsecchiti, di cui si erano conservate alla perfezione le barbe canute. Cercai in tasca e trovai qualcosa di molto utile: la cannuccia che mi serviva per inalare i vapori delle erbe aromatiche. Vidi una crepa nei pressi della lastra marmorea e vi infilai la cannuccia, quindi estinsi in tutta fretta il fuoco. Ecco, avevo trovato la mia ultima dimora. Fuori centinaia di felini impazziti cozzavano contro la botola nel tentativo di entrare: non potevano smettere, semplicemente non potevano. 

Così concludo questa narrazione, sapendo che viaggerà a lungo nell’Ade prima di giungere a destinazione. Per quello che mi riguarda, è solo questione di tempo e avrò la Cattiva Fine che mi sono meritato. Nel terrore assoluto, fino all’ultimo. 

Marco "Antares666" Moretti,
pubblicato nell'antologia del concorso letterario Una Penna per Poe (2010), indetto dal blog edgarallanpoe.it e dal sito La Tela Nera. 
L'ebook, non più disponibile, era scaricabile gratuitamente a questa pagina: