La Val Camonica, in provincia di Brescia, trae il suo nome dall'antica popolazione dei Camuni (latino Camunni, greco Καμοῦνοι), artefice della più vasta collezione di incisioni rupestri dell'intero pianeta. Sono state classificate dall'UNESCO ben 140.000 opere, ma ne vengono scoperte sempre di nuove. Il loro numero potrebbe arrivare alla sorprendente cifra di 300.000. Le più antiche manifestazioni artistiche risalgono alla fine del Paleolitico e si distinguono svariati periodi nel corso dei millenni. Si segnalano alcune raffigurazioni stupefacenti di soggetti che non ci si aspetterebbe, come ad esempio la lotta tra due "astronauti" e addirittura un "brontosauro", roba che farebbe impazzire i complottisti. Molti sarebbero sorpresi se venissero a sapere che la tradizione petroglifica dei Camuni non si è mai veramente interrotta fino a tempi abbastanza recenti. Le varie epoche storiche hanno comportato la sovrapposizione di molteplici strati: le istoriazioni più moderne venivano ad essere eseguite accanto a quelle precedenti, creando a volte anacronismi sbalorditivi. In alcuni periodi le incisioni rupestri sono scarse, come se l'arte fosse entrata in stato di quiescenza. Così è accaduto con la conquista da parte dei Romani (I secolo a.C.): soltanto con la decadenza dell'Impero si è avuta una graduale ripresa della produzione di petroglifi. Dopo un nuovo periodo di scarsa attività, si sono avute successive incisioni in epoca moderna, postmedievale. Con buona pace di chi dice che esiste soltanto ciò che si trova in Google con qualche pressione di un tasto, devo dire che non è sempre facile reperire informazioni valide. Ancor più arduo è ottenere fotografie di alcune iscrizioni recenti.
Iscrizioni antiche in lingua camuna
I primi tentativi di traslitterare le iscrizioni camune redatte nell'alfabeto encoriale sono stati abbastanza fuorvianti. Si vedano a questo proposito gli studi di Maria Grazia Tibiletti Bruno e di Alberto Mancini. All'epoca in cui mi interessai per la prima volta a questo argomento, si aveva l'impressione che il camuno fosse una lingua completamente isolata, senza somiglianza con qualsiasi altra lingua del pianeta e del tutto impenetrabile. In fondo la cosa poteva anche sembrare logica: un popolo simile, con una cultura tanto peculiare, residuo di una preistoria inconoscibile, avrebbe ben potuto parlare una lingua priva di parentele determinabili. Tuttavia, una volta decifrato correttamente l'alfabeto, numerose iscrizioni sono risultate redatte in una lingua affine all'etrusco, tanto che alcune possono essere comprese con un certo grado di sicurezza. Era bastata la lettura erronea di pochi caratteri per oscurare ogni cosa. Riporto nel seguito alcuni interessanti esempi di testi etruscoidi.
asθ "colpisci" (1)
enesau "del nostro" (2)
mi ruas "io sono del fratello" (3)
munθau "dell'ordinatore" (4)
nuni "prega" (5)
pueia is "rapisci la donna" (6)
ren "con la mano" (7)
ril "età" (8)
seh manals "figlia dal ricordo" (9)
sele useu "sole allo zenit" (10)
tine "nel giorno" (11)
tiu ulu "luna crescente" (12)
θiu "dell'acqua" (13)
uahθ raseu "nella formula dell'uomo" (14)
un "a te" (15)
unsθ "in voi" (16)
unu "voi" (17)
unus "di voi" (18)
zeriau "del rito" (19)
(1) Cimbergo, Roccia 49
(2) Berzo-Demo, Roccia 2
(3) Piancogno, Roccia delle Spade
(4) Foppe di Nadro, Roccia 6
(5) Berzo-Demo, Roccia 2
(6) Bedolina
(7) Zurla, Roccia 22
(8) Berzo-Bemo, Roccia 2
(9) Piancogno, Roccia delle Spade
(10) Foppe di Nadro
(11) Crap di Luine, Roccia 6
(12) Crap di Luine, Roccia 6
(13) Foppe di Nadro, Verdi, Roccia 2
(14) Piancogno, Roccia della Biscia
(15) Foppe di Nadro, Roccia 27
(16) Crap di Luine, Roccia 6
(17) Berzo-Demo, Roccia 3
(18) Berzo-Demo, Roccia 2
(19) Seradina
In camuno l'antica consonante liquida *-l finale di parola è spesso diventata -u, velarizzandosi completamente. L'idea è stata enunciata anni fa dal canadese Glen Gordon e mi sono reso conto che è molto produttiva. Questa velarizzazione non sembra invece essersi applicata all'interno delle parole, davanti a consonante ed esiste comunque qualche possibile eccezione anche in posizione finale.
Elementi morfologici camuni ed etruschi:
-au, uscita del genitivo, corrisponde all'etrusco -al
-als, uscita dell'ablativo, corrisponde all'etrusco -alas
-s, uscita del genitivo, corrisponde all'etrusco -s, -ś
-θ, uscita del locativo, corrisponde all'etrusco -θ, -θi
-u, uscita del genitivo, corrisponde all'etrusco -l
Lessico camuno ed etrusco:
asθ "colpisci" corrisponde all'etrusco asθ "colpisci"
(scritto su una glans missilis)
enesau "del nostro" corrisponde all'etrusco enas "di noi",
enesci "nel nostro"
manals "dal ricordo" corrisponde all'etrusco manim "monumento; ricordo"
mi "io" corrisponde all'etrusco mi "io"
munθau "dell'ordinatore" corrisponde all'etrusco munθ
"ordinatore"
nuni "prega" corrisponde all'etrusco nuna "preghiera"
pueia "donna" corrisponde all'etrusco puia "moglie"
raseu "dell'uomo" ha la stessa radice dell'etrusco rasna
"etrusco"
ren "con la mano" corrisponde all'etrusco rens "della
mano", rinuś "delle mani", rinuθ "nelle mani"
ril "età" corrisponde all'etrusco ril "età"
ruas "del fratello" corrisponde all'etrusco ruva "fratello"
seh "figlia" corrisponde all'etrusco seχ, sec "figlia"
sele "allo zenit" corrisponde all'etrusco seleita-, seleta
"massimo" (*)
tine "nel giorno" corrisponde all'etrusco tinśi "nel giorno"
tiu "luna" corrisponde all'etrusco tiu, tiv "luna"
θiu "dell'acqua" corrisponde all'etrusco θi "acqua"
uahθ "nella formula" corrisponde all'etrusco vacal, vacl
"formula, preghiera"
un "a te" corrisponde all'etrusco un "te", une "a te"
unsθ "in voi" corrisponde all'etrusco unuθ "in voi"
unu "voi" corrisponde all'etrusco unu "voi", unum "voi,
vi" (acc.)
unus "di voi" corrisponde all'etrusco unuse "a voi"
useu "sole" corrisponde all'etrusco usil "sole"
zeriau "del rito" corrisponde all'etrusco zeri "rito"
(*) La traduzione, opera di Giulio Mauro Facchetti, mi pare molto verosimile. Questa radice sel- potrebbe avere corrispondenze in anatolico: hittita šēr "sopra", lidio serli- "somma autorità".
Si ha qualche notevole prestito indoeuropeo. In un petroglifo (Bedolina) si vedono chiaramente un lupo, un serpente e un cerchio. Come evidenziato da Adolfo Zavaroni, accanto al lupo compare la scritta ulk e accanto al serpente compare la scritta anki. Il cerchio riporta invece la scritta uka. Nonostante le interpretazioni di Zavaroni siano nella maggior parte dei casi fallaci, in quanto dettate da un'applicazione incongrua e aprioristica del metodo etimologico, in questo caso sono da considerarsi verosimili, perché abbiamo a che fare con figure parlanti - un fenomeno riscontrabile spesso anche tra gli Etruschi.
anki "serpente" (IE *ang(h)wi-, latino anguis "serpente")
uka "unione (IE *jeug- / *jug- "unire")
ulk "lupo" (IE *wḷkw- "lupo")
Abbiamo poi un'importante radice indoeuropea documenta in un'iscrizione sinistrorsa i cui caratteri somigliano a quelli dell'alfabeto latino (Castelliere di Dos dell'Arca, Capo di Ponte):
DIEV
Esiste anche un'altra attestazione più antica e assimilata alla fonologia dellingua nativa, derivata dalla stessa protoforma (Naquane, Roccia 60):
ties "di Giove"
Si tratta evidentemente di un genitivo sigmatico della stessa parola.
Gli autori antichi erano ben consapevoli dell'esistenza di un vero e proprio etrusco alpino. Fondandosi sull'autorità di Catone il Censore, Plinio il Vecchio riporta che gli Euganei si suddividevano nelle tre stirpi: Camuni, Triumpilini e Stoni. Era evidente la loro somiglianza con i Reti, oltre all'origine linguistica comune con gli Etruschi.
Raetos Tuscorum prolem arbitrantur a Gallis pulsos duce Raeto. Verso deinde in Italiam pectore Alpium Latini iuris Euganeae gentes, quarum oppida XXXIIII enumerat Cato. ex iis Trumplini, venalis cum agris suis populus, dein Camunni conpluresque similes finitimis adtributi municipis.
(Plinio il Vecchio, Naturalisi Historia, Libro III, paragrafi 133-134)
"Si ritiene che i Reti siano di stirpe etrusca, scacciati dai Galli e guidati da Reto Voltandoci verso l'Italia, [incontriamo] i popoli euganei delle Alpi sotto la giurisdizione romana, dei quali Catone elenca trentaquattro insediamenti. Fra questi i Trumplini, resi schiavi e messi in vendita assieme ai loro campi e, di seguito, i Camunni molti dei quali [furono] assegnati ad una città vicina."
Tito Livio ci trasmette un'importante opinione sulla lingua di queste genti.
Alpinis quoque ea gentibus haud dubie origo est, maxime Raetis, quos loca ipsa efferarunt ne quid ex antiquo praeter sonum linguae nec eum incorruptum retinerent.
(Tito Livio, Ab Urbe Condita, Libro V, paragrafo 33)
"Anche le popolazioni alpine hanno senza dubbio origine da questa gente [gli Etruschi], soprattutto i Reti, che i luoghi stessi hanno reso selvaggi, non conservando nulla del passato, salvo il suono della lingua e neppure questo incontaminato."
Spesso si trova sonum linguae tradotto in modo fuorviante con "inflessione della parlata", come se si trattasse di un semplice accento. Non ci sono dubbi che Tito Livio alludesse invece alla concreta somiglianza dei vocaboli oltre che alla fonetica. L'allusione alla "contaminazione" è un indizio del fatto che si percepivano non sono somiglianze con l'etrusco, ma anche differenze, dovute anche a prestiti lessicali da altre lingue.
Le iscrizioni in alfabeto latino
Nonostante la scarsità sostanziale di petroglifi camuni di età romana, sono noti due alfabetari latini incisi sulle rocce a Piancogno e a Redondo. Si trovano anche alcune iscrizioni in latino. Interessante è il caso di un antroponimo bizzarro, leggibile a Crap di Luine (Boario), sulla Roccia 10:
MVCRO
In latino la parola mucro (genitivo mucrōnis) indicava una pietra liscia e appuntita o una punta di pietra. Si tratta di un vocabolo non indoeuropeo, molto probabilmente preso a prestito dagli Etruschi.
A Foppe di Nadro, sulla Roccia 29, si trova un'iscrizione latina:
SCAB(O) / LVCIVS
La vocale (O) è in realtà non è visibile. Zavaroni fa notare che la A si SCAB(O) è di tipo falisco, simile a una R. Per questo motivo sono in passato state date interpretazioni fuorvianti, leggendo SCRB iupu o SCRB upui (Mancini, 1980).
A Cimbergo, sulla Roccia 5, si trova un'iscrizione latina destrorsa:
IOVIS
Nonostante sia un chiarissimo genitivo del nome della divnità celeste ("di Giove"), alcuni autori hanno interpretato il testo come un'abbreviazione di IOVI S(ACRUM) "sacro a Giove" (Buonaparte, 1985; Valvo, 1992).
Un'iscrizione rupestre destrorsa trovata a Bedolina, su una roccia vicina a una baita, è redatta in lingua camuna ma in caratteri latini. La lunghezza complessiva è di 6,2 centimetri. Questo è il testo:
SILAV TOSSIAI ACILAV
Si vede subito che ACILAV è corradicale dell'etrusco acil "opera". Possiamo tradurlo con "dell'opera", data la presenza della tipica desinenza camuna -au, corrispondente all'etrusco -al. La lettura di questa iscrizione ha una storia molto tormentata. Si pensi che Altheim nel 1937 aveva letto la sequenza come TITOSAN.QUUOS, cosa in apparenza sensata, se non fosse che la prima lettera T- era nata da un suo arbitrio, non sopportando egli la lettura IITOSAN.QUUOS. Prosdocimi per contro si contentò di una ricostruzione mutila, ?]TOS[x]NQ[xx]O[?, dove x indica un carattere illeggibile. La restaurazione della corretta lettura del testo si deve a Zavaroni, con l'aiuto di Priuli.
Scene venatorie ed erotiche
Nell'antichità preromana erano diffusissime raffigurazioni connesse con la caccia, ma anche con la zooerastia, ovvero col sesso con animali: questa pratica era diffusa tra i Camuni. A Còren del Valento si trova un notevole petroglifo, databile 10.000 anni fa (inizi del Neolitico), che illustra un guerriero intento a copulare con un equino infilandogli il mazzone gigantesco nell'ano, scavando morbosamente nell'intestino retto.
La fantasia era sfrenata fin dall'inizio: in petroglifi del Mesolitico, in diversi casi si vede un cane intento a leccare lo sfintere anale di un cervo! Si noterà che il cane leccatore, il cervo leccato e il cacciatore hanno tutti e tre il fallo eretto fino a scoppiare. Mi accingo ad enunciare un'ipotesi assai ardita, che molti troveranno stupefacente. I Camuni devono aver selezionato una particolare varietà di segugi addestrati specificamente per infilare la lingua nel buco del culo ai cervi. Il cervo maschio, nel sentirsi lambire la parte più intima, con insistenza, doveva provare un grandissimo piacere. Così il fiero animale cadeva facile preda delle imboscate dei cacciatori, che prima lo trafiggevano con le lance e poi lo sodomizzavano, scaricando lo sperma nel budello, tra le feci ancora calde. Questi dovevano essere i segreti degli antichi Clan di cacciatori Camuni! Non so cosa darei per poter avere una macchina del tempo e studiare questo popolo così bizzarro. Senza dubbio dovevano imperare virus e parassiti molto inconsueti, a causa di costumanze sodomitiche così fantasiose! Pure nessun Dio ha mai mandato una pioggia di fuoco e di zolfo sulle fiere genti di quella valle e sfido qualunque cultore delle Scritture a provarmi il contrario.
Petroglifi e iscrizioni dell'Età
Medievale e Moderna
Alle Campanelle di Cimbergo ci sono opere petroglifiche molto interessanti, di epoca decisamente più tarda di quelle del periodo più glorioso della storia dei Camuni. L'opinione generale degli accademici vorrebbe queste testimonianze ispirate a uno spirito non religioso, "laico", mentre non gode più di grande credito l'idea che si siano avuto l'intento di risacralizzare tramite simboli cristiani i precedenti luoghi di culto pagani. Tale interpretazione semplicistica non tiene conto del fatto che i valligiani istoriavano ciò che vedevano nella loro vita di tutti i giorni e ciò che costituiva il loro immaginario. Non esiste "vandalismo", come certi neopagani si ostinano ad affermare con una certa dose di rabbia: tutto contribuisce alla sedimentazione dei fossili della Storia e ha il suo interesse. Abbondano incisioni che rappresentano impiccagioni con tanto di boia, a volte cancellate a colpi di scalpello, certo per paura superstiziosa. Altre opere petroglifiche rappresentano torri con vedette provviste di stendardo, aquile imperiali e soldati armati del cosiddetto spiedo friulano, una specie di alabarda usata dagli eserciti delle Venezie nei secoli XIV-XV (Sansoni, 1996). Troviamo anche numerose manifestazioni di religiosità (Cominelli, 2006), non soltanto ortodosse: oltre a raffigurazioni di chiavi, bare e monaci, si notano anche simboli esoterici come il Nodo di Salomone e persino quelle che sembrano prove dell'esistenza di una rudimentale forma di Satanismo.
Questo testo è in apparenza un imperativo piissimo:
Ambula in via D(omi)ni
Ed ecco qualcosa che non ci si aspetterebbe:
666
Il Numero Satanico precede una scritta in lingua romanza, non completamente comprensibile, anche se è senza alcun dubbio un'allusione al fulmine, assai temuto dai montanari:
Quan che il folgora se bussa [?] una […][…]che risa [?]
Un'altra iscrizione romanza, poco sopra, allude al frumento:
N[…] compr[…] c[]na formet vago del plan d[…] cimberc en sac […]
Il vocabolo formet /for'met/ è proprio il frumento (latino frūmentum). Vicino si trova quella che dovrebbe essere la firma di uno scalpellino:
[.]DO DE FRANZO A SCHRITO IN QVESTO PREDO
Ci vorrebbe un'enciclopedia per esporre in dettaglio tutto lo scibile sulla cultura e sulla storia della Val Camonica. Tanto per rendere l'idea dell'ambiente singolare, basterà citare un episodio grottesco risalente alla metà del XVIII secolo: i protagonisti sono dei fratacchioni che in una chiesa facevano crapule, ingurgitando quantità ingenti di vino e di ostie!
Il Diavolo con la mandragola
Sempre a Cimbergo si trova una sorprendente raffigurazione del Demonio, ritratto come un umanoide paffuto. Si noti la caratteristica itifallica: l'organo sessuale del Diavolo è eretto ma penzolante, proprio come nei guerrieri antichi dipinti nell'atto di cacciare i cervi. Il cranio del Principe delle Tenebre è massiccio e sferico, l'espressione è grifagna e due piccolissime corna sporgono sull'ossatura parietale. Una coda non troppo pronunciata pare ravvisarsi su un fianco della figura diabolica. Nel complesso lo stile può sembrare molto involuto, addirittura rudimentale, eppure credo che questa raffigurazione meriti di essere ricordata e commentata. Vicino al Diavolo itifallico si vede uno stranissimo vegetale, un po' somigliante ad una rapa: è una mandragola, pianta dal notorio potere afrodisiaco, sicuramente associata all'atto sessuale. Molto interessante è l'articolo di Carlo Cominelli, Angelo Giorgi, Salvatore Lentini e Pier Paolo Merlin, Per una storia della mandragora nell'immaginario della Valcamonica (Italia settentrionale), pubblicato su Eleusis - Piante e composti psicoattivi (2004). Riporto il link:
https://www.samorini.it/doc1/alt_aut/ad/
cominelli-storia-mandragora-immaginario-
valcamonica.pdf
L'uomo bisognoso e il pappone
Non lontano dal luogo dove è incisa la figura del Diavolo con la mandragola, è presente un'altra sorprendente testimonianza di vita quotidiana della Valcamonica. Questo è il testo dell'iscrizione, in lingua romanza:
Roro, dam una bella pula de foter che la tolirò ades ades de quelli de Cim[bergo] la più
L'interpretazione è chiarissima:
"Roro, dammi una bella ragazza da fottere che la prenderò or ora da quelli di Cimbergo di più"
Lo stravagante antroponimo Roro è verosimilmente un ipocoristico di Roberto o di Rodolfo.
Il termine pula indica alla lettera una giovane gallina e potrebbe ben tradursi con "pollastra" o "pollastrella". Soltanto un ritardato avrebbe difficoltà a capire che la parola allude a una ragazza in un contesto sessuale.
Il verbo foter /'foter/ "fottere" è notevole per la conservazione della terminazione -er dell'infinito, che nelle parlate attuali è scomparsa. Compare lo stesso verbo sessuale, inciso nella roccia, in altre due occasioni, segno dell'estremo interesse delle genti camune per la sessualità sfrenata.
Pur di evitare di ammettere la scandalosa esistenza di uno stravagante pappone di nome Roro, i romanisti si sono inventati interpretazioni fantomatiche. Innanzitutto si sono concentrati sull'osceno verbo foter, facendolo passare a viva forza per un'improbabile contrazione del sostantivo forahter "forestiero", anche se il risultato non è grammaticalmente sensato! Questo caso grottesco mi richiama alla memoria l'interpretazione surreale che un archeologo ha dato di un bassorilievo sumerico in cui un uomo è raffigurato nell'atto di penetrare una donna more ferarum: secondo lui quella sarebbe stata la raffigurazione di un tentativo di salvataggio di una povera donzella dalle acque dell'Eufrate!
L'epilogo
L'ultima testimonianza nota dell'arte petroglifica camuna è a quanto pare una scritta novecentesca di argomento religioso:
W IL S. PADRON
Se il genere umano sopravvivrà, non è escluso che al libro dei petroglifi camuni possano aggiungersi nuove pagine.