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venerdì 26 maggio 2023

CRIPTOZOOLOGIA IN MADAGASCAR: IPPOPOTAMI NANI, LEMURI GIGANTI E UN CARNIVORO

Sono attestati numerosi racconti relativi a diversi criptidi presenti in Madagascar. Abbiamo a che fare con specie sorprendenti: un ippopotamo nano, svariati lemuri giganti e un fossa gigante. Queste narrazioni non sono state partorite dalla fantasia di qualche cultore degli allucinogeni fissato con i Rettiliani, quali se ne trovano nei diverticoli del Web. I criptidi in questione sono animali ben noti ai paleontologi e non è così improbabile che ne possano sopravvivere esemplari nelle regioni più impervie dell'isola. 


1) Il kilopilopitsofy

Il kilopilopitsofy è descritto come una specie di ippopotamo di dimensioni ridotte. Potremmo definirlo ippopotamo pigmeo del Madagascar. Sappiamo che fino a tempi non troppo remoti esistevano nell'isola due diverse specie di ippopotami pigmei. Nella metà del XX secolo, il naturalista ed esploratore francese Alfred Grandidier esumò circa 50 esemplari da un terreno palustre, in un luogo chiamato Ambolisatra, non lungi dal Canale del Mozambico (forse è l'attuale Ambolisaka). In seguito a una revisione del materiale, sono state identificate due diverse specie, a cui sono stati attribuiti i nomi scientifici di Hippopotamus madagascariensisHippopotamus lemerlei (Stuenes, 1989). Sulla costa orientale dell'isola sono stati rinvenuti altri resti, risultati appartenere a una terza specie, denominata Hippopotamus laloumena, poco più piccola dell'ippopotamo comune (Faure, Guerin, 1990). Da ulteriori analisi è risultata la somiglianza di Hippopotamus madagascariensis con l'ippopotamo pigmeo dell'Africa Occidentale (Choeropsis liberiensis). L'estinzione degli ippopotami del Madagascar potrebbe essere avvenuta dopo il XVI secolo o poco più tardi. Alcune ossa mostrano segni inequivocabili di macellazione, segno che questi animali venivano attivamente cacciati a scopo alimentare. Come in molti altri casi, queste pratiche venatorie eccessive devono aver portato al tracollo le specie. Anche se il kilopilopitsofy viene considerato un animale immaginario, è notevole la forza delle tradizioni orali malgasce, che insistono sulla sua esistenza contemporanea. 

Una notevole testimonianza 

Nel villaggio di Belo sur Mer (sur Mer è ovviamente francese, "sul mare"), negli anni '90 del XX secolo, il paleobiologo David A. Burney raccolse i racconti degli abitanti, in modo tra loro indipendente, che descrivevano un animale entrato in più occasioni nell'abitato. Questo essere bizzarro era grande all'incirca come una vacca, aveva colorazione scura e grugniva incessantemente; in caso di minaccia correva, si tuffava e scompariva sott'acqua. Dall'analisi delle ossa, risulta che gli ippopotami malgasci erano più agili di quelli continentali e che le loro abitudini potrebbero essere state non completamente acquatiche. Accadde che un uomo del villaggio, a cui fu chiesto di imitare il verso del misterioso animale, emise un grugnito che somigliava in modo straordinario a quello dell'ippopotamo comune (Hippopotamus amphibius). Questo individuo, di nome Jean Noelson Pascou, era un abile imitatore di versi di animali, in vita sua non era mai stato fuori dal Madagascar e non aveva mai visto un ippopotamo. 

Note etimologiche 1/2

La traduzione di kilopilopitsofy dovrebbe essere "orecchie flosce", anche se finora non sono riuscito a trovare un'analisi accettabile della parola. Sembra che la parola pitsofy significhi "soffio", mentre non sono riuscito a trovare una traduzione per la prima parte del composto, kilopilo-. La segmentazione da me tentata potrebbe essere erronea. A un certo punto ho cominciato ad avere forti dubbi sulla validità della glossa tradizionale "orecchie flosce". Dopo qualche ricerca sono approdato a un risultato interessante. In lingua malgascia sofina è la parola che significa "orecchio": mi sono reso conto che la sua radice potrebbe essere presente nella parte finale del composto, -sofy (essendo -na un comune suffisso). Quello che mi appare evidente è l'assenza di un vocabolario etimologico della lingua malgascia, che sembra essere tra le meno studiate dell'intero pianeta. 

Note etimologiche 2/2

Un sinonimo di kilopilopitsofy è tsungaomby (variante tsy-aomby-aomby), traducibile come "non vacca". Sappiamo che la parola omby "vacca" è di origine Bantu e che deve essere stata importata in Madagascar in epoca non troppo remota dall'Africa continentale. Per la formazione di tsungaomby, cfr. Kiswahili si "non" e n'gombe "vacca".
Più semplice il sinonimo omby-rano, traducibile come "vacca d'acqua": in malgascio rano significa "acqua".
Si noterà che lalomena (trascritto secondo l'uso francese come laloumena) è un altro nome malgascio dell'ippopotamo. L'etimologia è al momento sconosciuta, forse a causa dell'esiguità delle informazioni a mia disposizione.  

Nel mondo accademico sono pochi gli studiosi che si sbilanciano. La maggior parte nutre un grande terrore di una possibile smentita, così si mantiene prudente. Così c'è chi ha pensato che l'ippopotamo di Belo sur Mer fosse un normalissimo esemplare di Hippopotamus amphibius che avrebbe attraversato a nuoto il Canale del Mozambico, partendo dall'Africa continentale ed approdando sulle coste del Madagascar. Anche se tecnicamente la cosa non sarebbe impossibile, una simile proposta appare come una solenne baggianata: l'attraversamento di un così vasto braccio di mare sarebbe un evento eccezionale, contrastante con la costanza degli avvistamenti del kilopilopitsofy. Un'altra strategia comune tra i detrattori della criptozoologia è quella di affermare la possibilità di "inquinamento" da parte di conoscenze moderne: anche gli indigeni di terre lontane leggono e fruiscono dei media. Peccato che questo non possa valere per i secoli passati. 


2) il kidoky 

Il kidoky ha tutte le caratteristiche tipiche di un lemure gigante. Il paleobiologo David A. Burney e l'archeologo malgascio Ramilisonina hanno intervistato alcuni anziani nativi nel corso di una spedizione nel 1995, venendo a conoscenza di questo criptide. Queste sono le parole di Burney:  

"This animal's description is decidedly lemur-like. It was compared to the sifaka by all the interviewees who described it, although all insisted that it was not the same animal... It is much larger...perhaps 25 kg. It is usually encountered on the ground and may flee on the ground rather than taking to the trees...Its whooping call is suggestive of an indri." 

Traduzione per gli anglofobi non anglofoni:

"La descrizione di questo animale è decisamente simile a quella di un lemure. È stato paragonato al sifaka da tutti gli intervistati che lo hanno descritto, sebbene tutti abbiano insistito sul fatto che non si trattasse dello stesso animale... È molto più grande... forse 25 kg. Di solito lo si incontra a terra e potrebbe fuggire lì piuttosto che rifugiarsi sugli alberi... Il suo verso stridulo ricorda quello di un indri."

Lo stesso Jean Noelson Pascou, che aveva imitato il verso dell'ippopotamo pigmeo, disse di aver osservato da vicino un esemplare di kidoky nel 1952: era un animale timidissimo e notturno, grande come una bambina di 7 anni, aveva la pelliccia scura, con una grande macchia bianca sulla fronte e sotto la bocca. Se spaventato non si arrampicava sugli alberi, ma fuggiva correndo a quattro zampe. L'attribuzione più probabile dei kidoky è al genere Archaeolemur. Sono noti resti subfossili di due specie, scomparse in seguito all'arrivo dell'uomo sull'isola: Archaeolemur edwardsi e Archaeolemur majori. Il peso stimato è di 20-25 kg. A giudicare dalla dentatura, la dieta era onnivora. Il parente conosciuto più prossimo è l'indri (Indri indri). Ovviamente, qualora si riuscisse a fotografare un esemplare di kidoky, sarebbe possibile saperne di più. 


3) il tratratratra 

Il tratratratra (trascritto in francese come trétrétrétré) è descritto come un lemure gigante dall'aspetto oltremodo spettrale: il corpo somiglia a quello di un grosso babbuino obeso, la coda è corta, mentre il volto è perfettamente riconoscibile come umano! Così l'ottimo Étienne de Flacourt lo descrive nella sua opera seminale, Histoire de la Grande Isle del Madagascar (1658): 

"Tretretretre ou Tratratratra, c’est un animal grand comme un veau de deux ans qui a la tête ronde et une face d’homme, les pieds de devant comme un singe et les pieds de derrière aussi. Il a le poil frisoté, la queue courte et les oreilles comme celles d’un homme. Il ressemble au Tanacht décrit par Ambroise Paré. Il s’en est vu un proche de l’étang de Lipomami aux environs duquel est son repaire. C’est un animal fort solitaire, les gens du pays en ont grand-peur et s’enfuient à sa vue tout comme lui aussi d’eux."  

Traduzione per i francofobi non francofoni:

"Il Tretretretre o Tratratratra è un animale grande quanto un vitello di due anni, con testa rotonda e volto umano, zampe anteriori e zampe posteriori da scimmia. Ha il pelo riccio, una coda corta e orecchie da uomo. Assomiglia al Tanacht descritto da Ambroise Paré. Un esemplare è stato avvistato vicino allo stagno di Lipomami, dove si trova la sua tana. È un animale molto solitario; la gente del posto ne ha molta paura e scappa alla sua vista, così come lui scappa da loro."

Non si riescono a trovare specie subfossili che si possano identificare in modo plausibile con il tratratratra. Si rimarca che generi come Paleopropithecus e Megadalapis non hanno caratteristiche compatibili. 
 
Peccato che non si possano vedere esemplari viventi di questa mirabile specie: il loro volto umano potrebbe servire a dare una forte scossa a scienze languenti come la filosofia e la teologia! Se esistesse un animale che ha lo stesso sembiante di un uomo, come si potrebbe negare che sia stato fatto a immagine e somiglianza di Dio? Secoli fa qualcuno disse che osservare una scimmia gli provocava mortificanti riflessioni. Non ricordo chi sia stato, non gettatemi la croce addosso. Ricordo però una cosa. Asimov commentò tali parole dicendo che le "mortificanti osservazioni" dovevano essere di questo tenore: "L'essere umano può essere considerato una scimmia più grossa e con meno peli". Benissimo. Che avrebbe detto quel tale se avesse visto un tratratratra

Note etimologiche
 
L'origine della parola tratratratra è con ogni probabilità onomatopeica. Deve essere l'adattamento fonetico del verso emesso dal lemure, considerato dai nativi una terrificante apparizione spettrale. Secondo le superstizioni malgasce, nei lemuri si reincarnano gli spiriti dei morti, in particolare in quelli di abitudini notturne e dotati di grandi occhi.  


4) l'antamba 

L'antamba è descritto come una specie simile al fossa (Cryptoprocta ferox) ma di proporzioni più grandi, che occupava la nicchia biologica predatoria dei grandi felini. Il fossa appartiene alla famiglia degli Eupleridi (Eupleridae) ed è strettamente imparentato con lo zibetto malgascio (Fossa fossana). Così l'ottimo Étienne de Flacourt descrive l'antamba nella sua opera seminale, Histoire de la Grande Isle del Madagascar (1658): 

"Antamba, c’est une bête grande comme un grand chien qui a la tête ronde, et au rapport des Nègres, elle a la ressemblance d’un léopard, elle dévore les hommes et les veaux. Elle est rare et ne demeure que dans les lieux des montagnes les moins frequentez."

Traduzione per i francofobi non francofoni: 

"L'Antamba è una bestia grande come un grosso cane, con la testa rotonda e, secondo i Negri, simile a un leopardo, che divora uomini e vitelli. È raro e vive solo nelle zone montuose meno frequentate."  

Alla luce di queste descrizioni, è possibile identificare l'antamba con il fossa gigante (Cryptoprocta spelea), di cui sono stati trovati resti subfossili. Si noti che ancora oggi i nativi sono convinti dell'esistenza di due diverse specie di fossa: il fossa rosso (fosa mena) e il fossa nero (fosa mainty). Quest'ultimo sarebbe quello di corporatura maggiore, probabilmente corrisponde al criptide. In tal caso, fosa mainty sarebbe un sinonimo di antamba.  

Negli anni '30, il cacciatore francese Paul Cazard ricevette segnalazioni di leoni giganti che vivevano nelle caverne in zone remote dell'isola, dove uccidevano sia il bestiame che esseri umani. È plausibile che si trattasse di antamba e che le descrizioni esagerate degli animali come "leoni giganti" fossero il frutto di una potente miscela di terrore, superstizione ed ignoranza. Nel novembre 1999, venuto a conoscenza di insistenti voci sulla presenza dell'antamba, il biologo conservazionista Luke Dollar guidò una spedizione nel Parco nazionale di Zahamena, ma non ebbe successo. 

Etimologia di antamba 

Stavo quasi arrendendomi. Ero convinto che non mi fosse possibile reperire nulla a proposito dell'etimologia del malgascio antamba. Invece ho insistito e qualcosa ho trovato. In un raro vocabolario online della lingua malgascia, la parola in questione è trattata. La glossa è "animal mystérieux, sorte de chat sauvage", ossia "animale misterioso, sorta di gatto selvatico". Si specifica anche qual è il significato originale e primario: "calamità, grande sfortuna". Riporto un estratto del testo e il link.  


"Ce mot a le sens général de calamité ; grand malheur. Il désigne aussi Clerodendrum alboviolaceum Moldenke (Lamiaceae). Petit arbre rare, localisé sur les sols basaltiques et qui a la réputation de porter malheur. Dans le Sud-Est, malgré la mauvaise réputation de ces arbres, les Clerodendrum (Lamiaceae), on donnerait une tisane des feuilles en cas de perte d'appetit."

Traduzione: 

"Questa parola ha il significato generale di calamità; grande sfortuna. Si riferisce anche al Clerodendrum alboviolaceum Moldenke (Lamiaceae). Un piccolo albero raro che cresce su terreni basaltici, si dice che porti sfortuna. Nel sud-est, nonostante la cattiva reputazione di questi alberi, si dice che un infuso a base di foglie di Clerodendrum (Lamiaceae) venga somministrato in caso di inappetenza." 

Evidentemente si tratta di una denominazione eufemistica e tabuistica. 

Etimologia di fossa 

Protoforma ricostruibile: *pusa 
Significato originale:
    1) donnola dai piedi nudi (Mustela nudipes
    2) gatto 
Esiti attestati: 
   Malgasy: fosa "Cryptoprocta ferox"
   Iban (Borneo): posa "gatto" 
   Malese: pusa "gatto" 
   Malese (dialettale): pusa "donnola dai piedi nudi" 
   Malese (Sarawak): pusak "gatto" 
   Tetum: busa "gatto" 
   Tagalog: pusa "gatto" 
   Ilocano: pusa "gatto" (pl. puspusa

L'origine ultima della protoforma *pusa è con ogni probabilità onomatopeica (potrebbe essere un tentativo di imitare le fusa del gatto o il verso della donnola). 

Una curiosità scatologica 

Il fossa ha una particolarità anatomica: l'ano è nascosto da una sacca anale, che contiene grosse ghiandole le cui secrezioni fortemente odorose servono a marcare il territorio. Per questo motivo il suo nome scientifico è Cryptoprocta, che alla lettera significa "ano nascosto". Non so che odore emani questo affascinante animaletto e non ho notizia di alcuno che sia andato ad annusarlo.

sabato 1 aprile 2023

 
QUELLO DI CUI LA NATURA
NON HA BISOGNO
 
 
Titolo originale: More than Nature Needs: Language,
      Mind, 
and Evolution
Autore: Derek Bickerton  
Lingua originale: Inglese 
Anno: 2014  
I ed. italiana: 2022  
Genere: Saggio 
Temi: Neuroscienze, linguaggio, biologia, 
   evoluzione, lingue creole 
Editore: Adelphi  
Collana: Biblioteca Scientifica 
Numero: 66
Codice ISBN: 9788845936593 
Pagine: 477 pagg. 
Traduzione: Davide Bordini 
 
Sinossi (risvolto): 
Noto per aver formulato, in parallelo a Darwin, una teoria evoluzionistica «per selezione naturale», Alfred Wallace ne coglieva fin dall’inizio uno dei limiti principali: l’incapacità di spiegare perché la nostra specie abbia acquisito una mente «di gran lunga più potente» rispetto alle necessità adattative. Domanda ingombrante, a cui lo stesso Darwin tentava di rispondere ipotizzando che quella ridondanza cognitiva fosse l’esito «dell’uso continuo di un linguaggio perfetto». Congelato per oltre un secolo e riaffiorato solo negli ultimi anni, il «problema di Wallace» ha trovato infine una convincente soluzione in questo libro ammaliante e definitivo. Riconsiderando punti di forza e carenze delle principali teorie sull’argomento, Bickerton ricolloca il linguaggio nell’alveo evoluzionistico e in­dividua tre fasi decisive per il suo sviluppo: quella della generazione nel cervello di «rappresentazioni di unità simboliche», innescata dalla comunicazione dislocata necessaria per il reclutamento di alleati nella saprofagia conflittuale; quella della riorganizzazione neurale in rapporto alle sollecitazioni ambientali, in cui il cervello ridisegna le proprie connessioni in modo da collegare le parole ai concetti appropriati; e quella culturale, in cui un processo di elaborazione grammaticale sviluppa unità sintattiche elementari in altre più ampie. Bickerton riesce così ad attualizzare la risposta di Darwin al «problema di Wallace», delineando un nuovo orizzonte: «Linguaggio e cognizione (almeno quegli aspetti della cognizione propri degli esseri umani) sono cresciuti a partire da un’origine comune e hanno le stesse fondamenta». La locuzione Homo sapiens loquens sarebbe dunque molto più di un gioco di parole. 

L'autore: 
Derek Bickerton (1926 - 2018), eminente linguista nato in Inghilterra, ha a lungo insegnato alla University of Hawai'i a Mānoa. Basandosi sul suo lavoro sulle lingue creole in Guyana e nelle Hawaii, ha proposto che le caratteristiche delle lingue creole forniscano importanti spunti di riflessione sullo sviluppo del linguaggio sia a livello individuale che come caratteristica della specie umana. È stato l'ideatore e il principale sostenitore dell'ipotesi del bioprogramma linguistico, fondata su questa idea: la somiglianza delle lingue creole è dovuta al fatto che sono state formate da un pidgin preesistente da bambini che condividono tutti una capacità grammaticale innata universale umana.
 
Struttura del volume: 
 
1 Il problema di Wallace 
     La risposta di Darwin 
     La chiave d'accesso al problema 
     La struttura di questo libro 
2 La teoria generativa 
     Le tre fasi della grammatica generativa 
     La teoria standard (1957-1980) 
     Princìpi e parametri (1981-1994) 
     Il programma minimalista (dal 1995 a oggi) 
     Minimalismo ed empirismo 
     Minimalismo e biologia 
     Operazioni minimaliste
     Il problema di Chomsky 
     Proscritto 
3 L'«unicità» degli esseri umani 
     Un «istinto ad apprendere»? 
     L'approccio all'evoluzione in termini di «caratteristiche componenti»
     Sovrastimare la evo-devo 
     Il «patchwork» delle caratteristiche componenti 
     Risalendo la scala fino agli esseri umani 
     Primati e pressioni 
     La teoria della costruzione della nicchia 
     La costruzione della nicchia e la speciazione ominide 
     Alcune linee guida per lo studio dell'evoluzione del linguaggio
4 Dalla comunicazione animale al proto-linguaggio 
     Il paradosso della cognizione 
       Prove a favore della cognizione avanzata 
       Prove contro la cognizione avanzata 
       La soluzione del paradosso della cognizione 
     Il primo passo verso il linguaggio 
     Gli imenotteri dimenticati 
     Una nicchia per «Homo» basata sulla saprofagia? 
     Saprofagia conflittuale e dislocamento 
     La saprofagia e il problema di Wallace 
     L'importanza del dislocamento 
     Dalla cognizione preumana a quella umana 
     Quello che le parole possono fare 
     Il proto-linguaggio 
     Dopo il proto-linguaggio 
5 La grammatica universale 
    La struttura costituente e le sue implicazioni 
    L'«impossibilità» della grammatica universale 
    Il cervello dà una mano 
      Dall'inizio del proto-linguaggio 
      Un modello dell'evoluzione della sintassi come dettata dal cervello 
    Dalla stringa alla frase 
       Concatenare unità simboliche 
       Strutturare le concatenazioni 
    Un modello astratto di come il cervello gestisce la sintassi 
    Il processo di costruzione delle frasi 
       Il c-comando 
       Gli effetti-isola 
       Il riferimento delle «categorie vuote» 
    Dopo la grammatica universale
6 Variazione e cambiamento 
    Perché la variazione e il cambiamento?
    Instabilità intrinseca 
    Sotto-specificazioni che vanno specificate 
      Ordine delle parole 
      Sistemi tempo-modo-aspetto (TMA) 
    Sotto-specificazioni che non richiedono di essere specificate 
      Grammaticizzazione delle relazioni tra parole 
      Grammaticizzazione delle relazioni verbo-argomento
      Grammaticizzazione dei confini tra sintagmi e clausole 
    Cause del cambiamento 
    Obiezioni a questo modello 
      Un'obiezione particolare: categorie funzionali
      Un'obiezione generale: la teoria dei parametri 
7 L'«acquisizione» della lingua 
   Un'alternativa al consenso 
   Il linguaggio infantile è un proto-linguaggio? 
   La fase della parola singola 
   La fase delle due parole 
   Il «discorso telegrafico» 
   La distinzione causativo/non causativo 
   La negazione in francese e in inglese 
   Acquisire le forme interrogative 
   L'«errore» come fonte di comprensione
8 Creolizzazione 
   Il «continuum» delle lingue creole  
   Il ciclo della piantagione 
   Critiche al programma innato 
      Adulti e bambini 
      L'influenza delle lingue di sostrato 
      Creolizzazione «graduale» 
      Negazione del pidgin 
      Differenze nel creolo 
   Lo sranan e il saramaccano: origini comuni o indipendenti? 
      La storia degli albori del Suriname 
      Il lessico dello sranan e del saramaccano  
   La creolizzazione alla Hawaii 
      Lo stato della generazione G2 
      G2 e le lingue dei genitori
   Le lingue creole e l'argomento universalista
9 «Homo sapiens loquens» 
   Le tre stanze e la scala mobile
   L'«uso continuo» e il fattore Joyce 
   Il fattore Joyce 
   Perché non abbiamo bisogno di capacità ulteriori
   Alcune conseguenze di queste proposte 
       Quanto erano probabili gli esseri umani?
       Innatismo contro empirismo 
Conclusione 
Bibliografia
 
Recensione:  
Il problema dell'origine del linguaggio umano è ben lungi dall'essere risolto, con buona pace di quanto affermano il contrario (ad esempio i sostenitori della grammatica generativa di Noam Chomsky). Questo ponderoso testo di Bickerton è certo affascinante, ma tutt'altro che "definitivo" e non fornisce comunque alcuna spiegazione convincente del mistero che è il fondamento della nostra stessa esistenza come creature pensanti. Per quanto il risvolto presenti l'opera come il compimento supremo dell'impresa di ridurre il linguaggio "nell'alveo dell'evoluzionismo", direi piuttosto che lo colloca nel letto di Procuste, tagliando ciò che sporge e stirando ciò che manca. Gli sforzi fatti dall'autore sono senza dubbio eroici e lodevoli, ma credo che ci sia ancora molta strada da percorrere. 

Un'osservazione cruciale 

Questo scrisse nel 1869 il naturalista e geografo britannico Alfred Russel Wallace (1823 - 1913), intendendo con "selvaggi" coloro che vivevano in una società senza scrittura (agrafa) e pre-industriale: 

"La selezione naturale avrebbe potuto dotare i selvaggi di un cervello di poco superiore a quello di una scimmia, mentre essi possiedono un cervello che è di poco inferiore a quello di un membro medio delle nostre società scolarizzate."

Ai frequentatori compulsivi di Facebook il nome di Wallace dirà ben poco. Basti ricordare che fu il cofondatore della teoria dell'evoluzione per selezione naturale, assieme al più noto Charles Darwin (1809 - 1882). Bickerton ci fa capire l'enormità delle conseguenze di quanto Wallace aveva compreso:

"Un cervello leggermente migliore di quello di una scimmia sarebbe comunque bastato per superare in intelligenza qualsiasi altra cosa si muovesse su due o quattro zampe e raggiungere così la cima della catena alimentare. I primi umani non avevano bisogno di occuparsi di matematica, di costruire barche, di comporre musica o di avere idee circa la natura dell’universo per poter fare tutte le cose che in concreto facevano. Il fatto che, all’improvviso, scoprissero di essere dotati di un cervello che potenzialmente avrebbe potuto renderli capaci di tutte queste cose era già abbastanza notevole. Ma ancor più straordinario era che quegli stessi cervelli avrebbero reso capaci coloro che li possedevano di ricoprire il mondo intero delle proprie opere, di immergersi negli abissi più profondi degli oceani e addirittura (meno di mezzo secolo dopo la morte di Wallace) di lasciarsi alle spalle la Terra." 
 
Una singolare contraddizione di Darwin  

Bickerton riporta 
quanto scrisse Darwin nel 1871 (pag. 101, trad. it. pag. 106), in risposta alle argomentazioni del suo connazionale Wallace

"Se si potesse provare che alcuni elevati poteri mentali, come la formazione di concetti generali, l’autocoscienza, ecc. sono assolutamente peculiari all’uomo, il che sembra estremamente dubbio, non sarebbe improbabile che queste qualità apparissero come il risultato incidentale di altre facoltà intellettuali altamente avanzate e queste ancora principalmente il risultato dell’uso continuo di un linguaggio perfetto." 

Se la logica è il prodotto dell'uso continuo di una lingua perfetta, come ebbe a dire Darwin, come si spiega allora l'origine di questa perfezione? Come si è formata la lingua perfetta? Il problema è che Darwin non lo chiarisce affatto, in qualche modo si tira fuori dalla scomoda discussione. Soltanto pochi anni prima, egli avrebbe affermato quanto segue: "La lingua perfetta è stata data all'essere umano dal Creatore". In altre parole, il dono del Logos sarebbe qualcosa di acosmico, quindi non soggetto alle regole dell'evoluzione per selezione naturale. Qualcosa di non scandagliabile dalla stessa mente umana che ne fa uso. Proprio questa è la risposta data da Wallace, che postulava la necessità di un intervento soprannaturale, in grado di conferire alla specie umana la sua unicità rispetto agli altri viventi. In un'altra occasione, sempre nel 1871 (pag. 57, trad. it. pag. 79), Darwin si era contraddetto, affermando quanto segue: 

"[...] i poteri mentali in alcuni primi progenitori dell’uomo devono essere stati più altamente sviluppati che in ogni scimmia esistente, anche prima che la più imperfetta forma di discorso fosse entrata nell’uso."

Mettiamo dunque assieme quanto affermato da Darwin: 
 
I) Pag. 57: le facoltà logiche preesistevano al linguaggio articolato.
II) Pag. 101: le facoltà logiche sono la conseguenza dell'uso del linguaggio articolato. 

Si applica il principio di non contraddizione: le proposizioni I e II non possono essere entrambe vere
 
Bickerton fa notare che i creazionisti, sostenitori del cosiddetto Disegno Intelligente, non hanno sfruttato questo bug. Quindi riporta dichiarazioni di un'estrema gravità e importanza: 

"Il divario cognitivo tra umani e nonumani è il tallone d’Achille dell’evoluzione. Il problema di Wallace è reale, e gli evoluzionisti lo hanno semplicemente ignorato oppure hanno cercato di dare delle spiegazioni che lo facessero scomparire. A quanto ne so, l’unico che ha provato a riaffermarlo è David Premack (1986, p. 133), il quale ha fatto notare che «il linguaggio umano è fonte di imbarazzo per la teoria evoluzionista, perché è molto più potente di quanto si possa spiegare nei termini delle forze selettive»."

Il nascondimento è sempre indice di disonestà intellettuale. A maggior ragione in questo caso, così delicato. Più che di fronte a un'onesta comunità scientifica, vediamo gli effetti deleteri di quella che ha tutte le parvenze di una camorra e di una camarilla. 

Deprivazione linguistica

In buona sostanza, Bickerton ammette che non è facile dedurre qualcosa di utile dalle normali condizioni in cui avviene l'apprendimento di lingue ben consolidate, come ad esempio l'inglese e lo spagnolo. Occorre quindi studiare circostanze in cui l'input linguistico dato ai bambini presenta carenze e distorsioni. Per ragioni etiche, l'autore rifiuta la possibilità di utilizzare metodi sperimentali, che comporterebbero la crescita di bambini "con qualche grado di deprivazione degli input". Restano quindi soltanto due situazioni "naturali" utili: quella dei ragazzi selvaggi e quella in cui hanno origine le lingue creole. Si noterà che in passato ci sono stati studiosi che non hanno avuto scrupoli a tentare esperimenti di deprivazione linguistica, pur con risultati scarsi e assai dubbi. A quanto ci narra Erodoto, il Faraone Psammetico I (... - 610 a.C.), della XXVI dinastia, fece crescere due bambini da un pastore, in modo tale che non gli fosse insegnato a parlare. Quando questi bambini videro per la prima volta il sovrano, pronunciarono la parola "bekos", che in frigio significa "pane". Il Faraone dovette quindi ammettere la maggior antichità dei Frigi rispetto agli Egizi. L'Imperatore Federico II di Svevia (1194 - 1250) decise di far crescere alcuni bambini senza che fosse insegnato loro a parlare. Lo Stupor mundi era convinto che gli infanti si sarebbero messi a parlare in ebraico, ritenuto per motivi religiosi la prima lingua del genere umano - quella in cui Adamo avrebbe dato nome a tutte le cose esistenti, su comando di Dio. Questa convinzione biblica si dimostrò fallace: certamente nessuno dei bambini si mise mai a parlare, in ebraico o in qualsiasi altra lingua. Anzi, finirono col morire a causa della salute cagionevole. Sappiamo che i ragazzi selvaggi, bambini cresciuti senza contatti con adulti (o con scarsi contatti), hanno insormontabili problemi ad acquisire anche soltanto l'uso di poche parole. Bickerton non tratta di questi casi nel volume, ritenendoli irrilevanti e concentrandosi invece sul problema delle lingue creole, che costituisce la sua idée fixe. A parer mio ha commesso un grave errore. Una cosa mi è subito saltata agli occhi: i ragazzi selvaggi, che non hanno il linguaggio articolato, non hanno il tabù degli escrementi. In altre parole, prima che apparisse il linguaggio articolato, la coprofagia doveva essere una condizione normale tra gli antenati degli esseri umani! Ciò pone problemi a non finire, perché il tabù degli escrementi esiste presso i macachi, che pure non hanno il linguaggio articolato. Le fonti? Si trovano nel Web filmati in cui viene porto un escremento a un macaco, che reagisce con furia, soffiando e minacciando, per poi allontanarsi. 

Pidgin e lingue creole

È necessario a questo punto dare alcune definizioni per capire meglio il fumoso mondo delle lingue ibride. Un mondo che è stato ben poco studiato, anche a causa di pregiudizi. Senza dubbio il lavoro sul campo fatto da Bickerton è molto meritorio.

1) I pidgin 

Un
pidgin è una lingua che nasce dalla mescolanza di lingue di popolazioni differenti, venute a contatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni e relazioni commerciali, che non è tuttavia la lingua madre di alcuna generazione. I pidgin si apprendono in età adulta; sono caratterizzati da strutture non codificate e fortemente semplificate, sia nella struttura sia nel vocabolario. 
 
2) Le lingue creole 

Una lingua creola nasce dall'ibridazione di due o più lingue esistenti, diventando la lingua madre di una nuova generazione di parlanti che non hanno imparato una delle lingue di origine. In sostanza è una lingua stabilita, con una propria struttura grammaticale e vocabolario, che si sviluppa quando i parlanti di diverse lingue entrano in contatto e devono interagire. Si chiama lessificatore principale la lingua (in genere europea, con alcune eccezioni) da cui proviene la maggior parte del vocabolario.

3) Creolizzazione dei pidgin 

Un pidgin che comincia ad essere appreso dai bambini di una nuova generazione, diventa una lingua creola, ossia subisce un processo di creolizzazione

4) Decreolizzazione dei creoli 

Una lingua creola subisce un processo di decreolizzazione man mano che si riducono le differenze con il suo lessificatore principale. Alla fine di questo processo, si può arrivare ad avere un dialetto del lessificatore.  

Due lingue creole:
Sranan e Saramaccano
 

In Suriname sono parlate tuttora due lingue creole molto singolari: lo Sranan e il Saramaccano. Lo Sranan (più propriamente Sranan tongo) è parlato da circa 500.000 persone ed è formato soprattutto da parole inglesi, con prestiti portoghesi e olandesi, oltre a un significativo sostrato africano. Il Saramaccano è parlato da circa 58.000 persone in Suriname e da 25.000 in Guyana Francese; il suo lessico è formato per il 30% da parole inglesi, per il 20% da parole portoghesi e per il 50% da parole africane (Fongbe, Akan, Twi, Kikongo, etc.). Si trovano anche tracce di parole di origine Carib. 
Queste ed altre simili lingue creole hanno avuto origine da un pidgin informe, non documentato, formatosi in tempi rapidi nel corso della seconda metà del XVII secolo nelle piantagioni. La creolizzazione del pidgin originario (dalla fine del XVII secolo) è avvenuta in circostanze diverse, che hanno portato alla divergenza delle lingue derivate. I parlanti dello Sranan sono i discendenti degli schiavi rimasti nelle piantagioni, mentre i parlanti del Saramaccano sono i discendenti dei cimarroni, schiavi fuggiaschi che si sono rifugiati nelle foreste. 
A questo punto riporto una tabella con alcuni dati lessicali relativi allo Sranan e al Saramaccano. In particolare ho aggiunto a quanto mostrato da Bickerton alcune parole del vocabolario di base e qualche altra voce relativa alla fauna. Ho inoltre cercato di evidenziare non soltanto la grande differenza tra i due creoli, ma anche la presenza di importanti lessemi in comune ("io", "acqua", "fiume", "piede", oltre agli articoli determinativi). 

Glossa italiana

Sranan

Saramaccano

il, lo, la

da

di

i, gli, le

den

dee

io

mi

mi

tu

yu

i

noi

unu, wi

u

voi

unu

un

chi

suma

ambé

che cosa

faa, san

andí

quando

oten

na unten

dove

ope, pe

ka, naase

quale

sortu

un

perché

sanede

andi-mbei

in

ini

a

con

psa

langalanga

dentro

ini

dendu

sopra

tapu

liba

sotto

ondro

basu

e

e, nanga

ku

se

efu

ee

acqua

watra

wata

fiume

liba

lio

montagna

bergi

kúnunu

cielo

loktu

gaangadu

fuoco

faya

faja

uomo

kel, man, mansma

womi

donna

frow, uma

mujee

bocca

mofo, smuru

buka

mano

anu

máun

piede

futu

futu

lucertola

lagadisi, lagadisa

kaluwá

alligatore

kaiman 

akalé, gandí, káima 

formica

mira

hansi


Si riconoscono facilmente le origini di numerose parole, solo in pochi casi trattate nel volume di Bickerton. Ecco alcune etimologie trasparenti: 

Saramaccano liba "sopra" < Portoghese arriba "su" 
Sranan watra "acqua" < Inglese water 
Saramaccano wata "acqua" < Inglese water 
Sranan liba "fiume" < Portoghese arriba "scoglio"
Saramaccano lio "fiume" < Portoghese rio 
Sranan faya, Saramaccano faja < Inglese fire 
Samaraccano womi "uomo" < Portoghese homem
Sranan uma "donna" < Inglese woman 
Saramaccano mujee "donna" < Portoghese mulher 
Sranan mofo "bocca" < Inglese mouth 
Saramaccano maun "mano" < Portoghese mão 
Sranan, Saramaccano futu "piede" < Inglese foot 
Sranan mira "formica" < Olandese mier 
Saramaccano hansi "formica" < Inglese ants "formiche" 

Si notano alcune parole africane, ben incastonate nella parte più importante del lessico: 

Saramaccano: ambé "chi" < Fongbe    
Saramaccano: andí "che cosa" < Fongbe àni 
Samaraccano: i "tu" < Fongbe ye 
Sranan: unu "voi" < Igbo únù
Samaraccano: un "voi" < Fongbe un 

Tra le poche parole di origine amerindiana, possiamo citare senza dubbio queste, derivate da una lingua di ceppo Carib: 

Samaraccano: kaluwá "lucertola"  
Samaraccano: akalé "alligatore" 
Sranan: kaiman; Samaraccano: káima "alligatore"  

Bickerton, che ha il merito di aver confrontato per la prima volta il lessico Sranan a quello Saramaccano, è dell'idea che non esista un proto-Sranan-Samaraccano ricostruibile, perché le due lingue creole si sarebbero formate in modo del tutto indipendente. 

La teoria della saprofagia organizzata

Bickerton sostiene che le caratteristiche peculiari della nicchia ecologica dell'uomo primitivo abbiano permesso questo passaggio da un sistema di comunicazione animale al linguaggio articolato. Cita il fatto che circa due milioni di anni fa i nostri antenati si facevano strada verso la cima di una piramide di spazzini, accedendo alle carcasse della megafauna prima di altri predatori, che tenevano a bada lavorando in gruppi coordinati. Imitando un animale, come un mammut, un membro poteva tentare di comunicare informazioni su tali fonti di cibo. Sebbene tale segnalazione imitativa mantenesse un carattere iconico piuttosto che completamente simbolico, implicava un atto di spostamento nella comunicazione, poiché il corpo poteva trovarsi a chilometri di distanza ed essere scoperto ore prima. Col tempo, i suoni che significavano qualcosa come un mammut sarebbero stati decontestualizzati e avrebbero finito per assomigliare a qualcosa di molto più simile a una parola. Questo spostamento è la caratteristica distintiva del linguaggio. 
Sempre secondo Bickerton, queste parole permettevano la formazione di concetti, piuttosto che delle semplici categorie di cui anche gli animali sono capaci. Le parole hanno avuto origine come un sistema di ancoraggio per le informazioni sensoriali e i ricordi relativi a un animale o un oggetto specifico. Una volta che il cervello aveva a disposizione le parole, poteva creare concetti che si assemblavano in un "protolinguaggio". Il protolinguaggio rimase molto simile a un pidgin per un milione di anni o più, per poi passare dal modello linguistico "a perline su un filo" a una struttura gerarchica tramite combinazione di stringhe. 

Un punto debole

Il problema è che né i pidgin né i creoli sono davvero "lingue primitive": derivano dalla degradazione e dalla ricombinazione di lingue già esistenti. A quanto si sa, non esistono lingue simili a pidgin e creoli, 
ma nate dal nulla (o meglio, da precedenti forme di comunicazione non linguistica, non articolata, animale). Quindi si sta lavorando facendo ipotesi in assenza di dati misurabili. In sintesi, non sono affatto sicuro che la pidginizzazione e la creolizzazione descrivano il processo di formazione degli antenati delle lingue naturali a noi note. 

L'inesistenza delle "lingue primitive" o "pre-lingue"

Purtroppo manca qualsiasi attestazione di lingue umane che possano essere chiamate "primitive" o "rudimentali". Con ogni probabilità saranno esistite, ma nessuna è riuscita a sopravvivere tanto a lungo da poter essere documentata. Qualcuno parla di "pre-lingue" o "protolingue assolute", ma il concetto è lo stesso - per quanto ritenga che la seconda locuzione sia un po' impropria. Trovo ragionevole pensare che una pre-lingua dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: 

i) una fonologia semplice, con poche consonanti e soltanto sillabe aperte 
ii) un lessico poverissimo, che consiste di un centinaio o al massimo di poche centinaia di vocaboli; 
iii) assenza di numerali 
iv) assenza di pronomi personali 
v) assenza di mezzi grammaticali, in particolare: 
   - assenza di suffissi e di prefissi, 
   - assenza di parole composte, 
   - assenza di qualsiasi modificazione delle parole;  
vi) frasi telegrafiche, costituite da semplice giustapposizione di vocaboli; 
vii) assenza di paratassi (frasi coordinate) e di ipotassi (frasi subordinate). 

Si noti che esistono nel mondo diverse lingue anumeriche, come quelle degli Andamanesi e di alcuni popoli dell'Amazzonia (Pirahã, Nambiquara, etc.). La lingua Pirahã ignora l'ipotassi e ha preso in prestito i pronomi personali da una lingua Tupí. Eppure tutte le lingue di questi popoli sono sufficientemente complesse, ricche nel lessico e dotate di mezzi grammaticali sviluppati (composti, morfologia, etc.). Sarebbe interessante cercare di capire se antiche lingue rudimentali scomparse possano aver contribuito alla formazione delle lingue in questione, ad esempio fornendo elementi di sostrato. 

L'immaginario collettivo

Nonostante non ci sia attestazione di "lingue primitive", sembra che il genere umano abbia un'idea ben precisa di come queste dovrebbero essere. In realtà, ne esce qualcosa di più complesso ed "evoluto" rispetto alle caratteristiche della proto-lingua assoluta sopra menzionate. La frase "Io Tarzan, tu Jane" mostra già una rudimentale paratassi e la capacità di servirsi di pronomi personali per indicare la contrapposizione tra il parlante (Tarzan) e un altro essere (Jane). I sostenitori dell'innatismo considererebbero questo fatto come una prova dell'esistenza di una natura intrinsecamente sintattica e grammaticale dell'essere umano. In altri termini, secondo costoro le parole sarebbero nate assieme alla sintassi, alle strutture grammaticali. Non sono affatto convinto che questo sia vero. 

Anelli mancanti?

Bickerton ha sempre dato prova di essere ben consapevole di questi problemi: 

"Se vi sono innumerevoli specie dotate di capacità a metà strada tra quelle di una lampreda e quelle di uno scimpanzé, dovrebbero esserci anche molte specie intermedie tra esseri umani e scimpanzé. Come mai, allora, non ci sono animali dotati di una piccola o moderata quantità di autocoscienza, né c’è un aumento graduale della capacità di innovazione o della creatività, né ci sono livelli diversi di produzioni artistiche (anche solo in una singola arte o in due), o per lo meno un linguaggio rudimentale? Il mero asserire che non vi è nessuna «differenza fondamentale» non è (e non avrebbe potuto essere, neppure al tempo di Darwin) un pronunciamento scientifico. Era ed è una pura e semplice dichiarazione di fede."

L'unico modo di risolvere la questione sarebbe la scoperta, in qualche densissima foresta dell'Indonesia o della Papua Nuova Guinea, di una specie di ominide diversa da Homo sapiens, qualcosa come l'Uomo di Flores (Homo floresiensis), che sia sopravvissuta nell'isolamento e che ci permetta finalmente di gettare un po' di luce sul nostro passato più oscuro. 

Il pericolo della presunzione dogmatica 

Riporto a questo proposito quanto scritto qualche tempo fa dal professor Fabio Calabrese. Sono parole che condivido appieno, perché esprimono molto bene il mio profondo disagio verso ogni tentativo di fondare una "religione scientista", con sostituzione di dogmi preconcetti alla ricerca della Conoscenza: 

"Una volta invitai alla mia scuola a tenere una conferenza ai ragazzi, un esponente del CICAP triestino, perché ritenevo l'opera di questa associazione nello smascheramento di guru e ciarlatani, assolutamente meritoria. Me ne fece pentire. Iniziò facendo un disegno alla lavagna, un castello incompleto in una parte del muro in basso e in una parte della merlatura. Disse che quello rappresentava l'edificio della conoscenza, ormai completo, tranne qualcosa che non sappiamo del mondo subatomico, e qualcosa che non sappiamo delle lontane galassie. Trovai il suo atteggiamento indisponente, e irritante la presunzione che "ormai sappiamo tutto", o "sappiamo quasi tutto".
Secondo me, una scienza che smette di porsi domande, è una scienza morta." 

lunedì 14 novembre 2022

ETIMOLOGIA DELL'INGLESE AFROAMERICANO TO DIG 'CAPIRE', 'APPREZZARE'

Tutti ormai sanno che in inglese il verbo to dig significa "scavare" (deriva dal medio inglese diggen). Solo pochi sanno che nell'inglese degli States è presente anche un verbo omonimo dal significato del tutto diverso: to dig "capire", "apprezzare". Tipicamente afroamericana, questa parola ha conosciuto giorni di gloria. A quanto pare, ormai è considerata alla stregua di slang datato, obsoleto. Quale ne è l'origine? Provvediamo ad indagare a fondo l'interessante questione. 

Partiamo dai dati disponibili:

to dig 
Uso: verbo 
III persona sing. indicativo presente: digs 
Participio presente: digging 
Passato semplice/participio passato: dug 
Significato: 
1) capire, comprendere 
2) apprezzare
3) mostrare interesse in qualcosa 
Contesto: mondo del jazz 
Diffusione del termine: anni '50 e '60 del XX secolo  

Questo è un derivato: 

to dig on "essere attratto" 

(Etimologia 2) 

Questi sono alcuni esempi dell'uso del verbo to dig

1) "capire", etc.

You dig? "capisci?"

McCord has blown. Mitchell has blown. No tap on my telephone / Halderman, Ehrlichman, Mitchell, and Dean / It follows a pattern if you dig what I mean
(Gil Scott-Heron, "H2Ogate Blues, 1974)

2) "apprezzare"

Baby, I dig you "piccola, mi piaci" 

"And dig her!" yelled Dean, pointing at another woman. "Oh, I love, love, love women! I think women are wonderful! I love women!"
(Jack Kerouac, On the Road, 1947) 

Oh, but California / California, I'm coming home / I'm going to see the folks I dig
(Joni Mitchell, Blue, "California", 1971) 

Louie said, "I dig this Theo. I'm gonna learn Swahili and rap with him."
Saul Bellow, Humboldt’s Gift, 1976 

Etimologia: 

Nella lingua degli Wolof si riesce a trovare facilmente una parola adatta a spiegare l'origine della parola afroamericana. Eccola:

Wolof: déega "udire"; "capire"   
Ortografie alternative:
déglu, dégă "entendre" (Dictionnaire Français-Wolof et Wolof-Français, 1855)
Ortografie inesatte trovate in Wikipedia:
dëgg, dëgga, degu 

Un esempio di frase Wolof contenente questo verbo: 
Déega naa la bu baax "ti sento molto bene" 

Questa è la trafila fonetica ricostruibile: 

Wolof déega => 
neo-Wolof afroamericano *deig /dɪ:g/ => 
inglese afroamericano dig /dɪg/ 

La semantica si è conservata quasi immutata. Infatti è stato perso il significato di "udire" pur essendosi conservato quello di "capire". Si notino i singolari sviluppi fonetici. 

Altre proposte etimologiche: 

1) Il verbo to dig "capire" sarebbe derivato dal Gaelico d'Irlanda tuig "capire", "comprendere", dall'antico irlandese ·tucci, forma protonica di do·uccai "capire" - a sua volta dal proto-celtico *unketi.  
2) Secondo un'altra scuola di pensiero, non ci sarebbe necessità alcuna di postulare un'etimologia per il verbo to dig "comprendere": si tratterebbe di un puro e semplice uso gergale del verbo inglese to dig "scavare": 

"scavare in qualcuno" => "capire qualcuno"
"scavare in qualcosa" => "capire qualcosa" 

I sostenitori di questa teoria, a mio avviso banalizzante, pensano che si tratti di un'abbreviazione di un precedente to dig into one's spirit "scavare nel proprio spirito", con riferimento ad un contesto che poneva la massima enfasi sulla comprensione personale e sulla consapevolezza. Inoltre fanno notare che il verbo è forte (irregolare), dato che la forma del passato semplice e il participio passato è dug, proprio come nel verbo to dig "scavare". Questa caratteristica grammaticale renderebbe difficile pensare a un vocabolo importato.  

Curiosità: 

Si trova questo verbo come prestito gergale in alcune lingue della Scandinavia: norvegese digge "apprezzare, amare" e finlandese digata "apprezzare, amare". Si tratta di articoli di importazione, radicatisi in epoca non troppo remota, dovuti alla diffusione dell'interesse per la musica jazz e per la subcultura correlata.  

Conclusioni: 

Sostengo a spada tratta la teoria Wolof, pur essendo stata ritenuta "improbabile" da molti, Wikipediani inclusi. C'è chi fa notare che la parola emerge molto tardi nel complesso contesto degli slang americani. C'è chi fa notare, numeri alla mano, che il popolo Wolof, residente in Senegal, in Gambia e in Mauritania, sarebbe stato toccato poco dal traffico di schiavi. Eppure resto dell'idea che gruppi di Wolof, trasferiti in Nordamerica, siano riusciti a sopravvivere per qualche tempo e a trasmettere alcuni elementi linguistici della loro eredità.