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giovedì 4 maggio 2023


PINK FLOYD - THE WALL

Titolo originale: Pink Floyd - The Wall
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Regno Unito
Anno: 1982
Durata: 95 min
Genere: Drammatico, musicale, animazione 
Sottogenere: Dramma surrealista, opera rock 
Tematiche: Alienazione, solipsismo, autismo, 
    fascismo, rapporto uomo-donna 
Regia: Alan Parker
Soggetto: Roger Waters (dall'album The Wall)
Sceneggiatura: Roger Waters
Produttore: Alan Marshall
Casa di produzione: MGM 
Distribuzione: United International Pictures 
Fotografia: Peter Biziou
Montaggio: Gerry Hambling
Musiche: Pink Floyd, Bob Ezrin, Michael Kamen
Scenografia: Gerald Scarfe
Interpreti e personaggi:
    Bob Geldof: Pink
    Kevin McKeon: Pink adolescente
    David Bingham: Pink bambino
    Christine Hargreaves: La madre iperprotettiva
       e asfissiante di Pink

    Eleanor David: La moglie fulva e cornificatrice
       di Pink

    Alex McAvoy: Il maestro di scuola frustrato
       dalla moglie megera

    Bob Hoskins: Il manager
    Michael Ensign: Il direttore dell'albergo
    James Laurenson: J.A. Pinkerton, padre di Pink
    Jenny Wright: Una groupie statunitense
         senza cervello

    Margery Mason: La moglie oppressiva
         del maestro coglione

    Ellis Dale: Il medico inglese sadico
    James Hazeldine: L'amante israelita della moglie
         di Pink

    Ray Mort: Il padre al parco giochi
    Robert Bridges: Il medico statunitense
    Joanne Whalley: Una groupie senza cervello
    Nell Campbell: Una groupie senza cervello
    Emma Longfellow: Una groupie senza cervello
    Lorna Barton: Una groupie senza cervello
    Marie Passarelli: La cameriera spagnola
    Iain Owen Moor: Un testimone di nozze
    Roger Kemp: Un testimone di nozze
    Joanna Andrews: Una testimone di nozze
    Diana King: Una testimone di nozze
    Marilyn Thomas: Insegnante sadica
    Brenda Cowling: Insegnante sadica
    Michael Burrell: Insegnante sadico
    Malcolm Rogers: Insegnante sadico
    John Broughton: Insegnante sadico
    Albert Moses: La guardia che si fa fellare
        dalla sporcacciona 
    Vincent Wong: Un paramedico
    Marc Atwood: Un paramedico

    Non identificati:
       La sporcacciona succhiante *
       Neonazista autentico: Squadrista 1 
       Neonazista autentico: Squadrista 2 
       Neonazista autentico: Squadrista 3 
       Neonazista autentico: Squadrista 4 
    * Sarà compresa tra le attrici sopra riportate,
    ma non mi è stato possibile capire chi fosse.
Budget: 10-12 milioni di dollari US 
Box office: 22,3 milioni di dollari US
Premi: 
    2 BAFTA Film Awards 

Tracce musicali: 
   1) When the Tigers Broke Free 
   2) The Little Boy that Santa Claus Forgot
   3) In the Flesh? 
   4) The Thin Ice 
   5) Another Brick in the Wall, Part 1 
   6) Goodbye Blue Sky
   7) The Happiest Days of Our Lives 
   8) Another Brick in the Wall, Part 2 
   9) Mother 
   10) Empty Spaces 
   11) What Shall We Do Now?
   12) Young Lust 
   13) One of My Turns 
   14) Don't Leave Me Now
   15) Another Brick in the Wall, Part 3
   16) Goodbye Cruel World 
   17) Is There Anybody Out There 
   18) Nobody Home 
   19) Vera 
   20) Bring the Boys Back Home 
   21) Comfortably Numb 
   22) In the Flesh 
   23) Run Like Hell 
   24) Waiting for the Worms 
   25) 5:11 AM (The Moment of Clarity)
   26) Stop 
   27) The Trial 
   28) Outside the Wall 
N.B.
Rispetto all'album The Wall, è stato omesso il brano Hey You, considerato "ridondante". Avrebbe dovuto essere prima di Comfortably Numb; la scena è stata girata e poi non inclusa.


Trama:

La vita del giovane Pink è una Tragedia della Natura. Suo padre è caduto ad Anzio durante la Seconda Guerra Mondiale. Sua madre, una donna paranoide, lo ha cresciuto da sola. Un giovane Pink scopre alcune reliquie del servizio militare e della morte del padre. Un'animazione mostra la guerra e l'assoluta inutilità della morte delle persone, il cui sangue cola in un tombino e finisce nelle fogne. A scuola, Pink viene sorpreso a scrivere poesie e umiliato dall'insegnante, che legge alla classe una sua poesia affinché i bulli possano schernirlo, quindi lo punisce duramente. Tuttavia, presto si scopre che il trattamento iniquo riservato agli studenti è dovuto all'infelicità del matrimonio dell'insegnante, sposato a un'arpia ripugnante che lo tormenta senza sosta. 
A distanza di anni, Pink ricorda un sistema scolastico oppressivo, immaginando i bambini che cadono in un tritacarne, finendo macinati. I loro lineamenti sono indistinti, come quelli di pupazzi, per via delle maschere che indossano. Pink fantastica, immaginando i bambini che si ribellano e bruciano la scuola prima di gettare l'insegnante tra le fiamme. 
Da adulto, Pink ricorda la madre iperprotettiva. Ricorda il proprio matrimonio in crisi. Sua moglie, una donna dai capelli rossi come il fuoco, gli provoca immense sofferenze. Durante una telefonata, Pink si rende conto che lei lo tradisce, nel momento stesso in cui un uomo risponde al telefono. Le esperienze traumatiche del protagonista sono rappresentate come mattoni nel muro che costruisce intorno a sé e che lo separa emotivamente dalla società e dal mondo. 
Pink, diventato una rockstar depressa, torna nella stanza d'albergo con una stupida groupie. Cade in preda a un furore da berserk e distrugge ogni cosa, scagliando i mobili contro le pareti e fracassandoli. Esasperato, pensa a sua moglie che lo cornifica e si sente intrappolato nella sua stanza. Poi ricorda ogni mattone del suo muro, che si rivela finalmente completo. La sua segregazione è totale. 
Intrappolato nel suo muro, Pink non esce dalla stanza d'albergo e inizia a perdere la testa delirando di metaforici "vermi". Si rade tutti i peli del corpo, ferendosi fino a sanguinare, poi guarda la televisione, in particolare l'epico film di guerra, I guastatori delle dighe (The Dam Busters, Michael Anderson, 1955). Immerso nel delirio, il giovane Pink cerca nelle trincee, ritrovando infine se stesso adulto. Sconvolto, fugge terrorizzato e raggiunge una stazione ferroviaria, dove i soldati si riuniscono ai loro cari. Non riesce a vedere suo padre e la gente chiede che i soldati tornino a casa. Sprofonda nell'incoscienza. Infine Pink viene trovato dal suo manager nella stanza d'albergo distrutta, completamente privo di sensi. Un paramedico gli inietta dei potenti farmaci per fargli riprendere i sensi e permettergli di esibirsi. 
In questo stato di alterazione, Pink allucina di essere un dittatore fascista e plasma il suo concerto come un raduno neonazista, in cui i suoi seguaci attaccano neri, omosessuali ed ebrei. Si riuniscono in squadre d'assalto e si scatenano, portando devastazione! Compaiono i cani feroci: sono i mastini da guerra, che vengono scagliati contro gli immigrati. Scoppiano scontri tra gli squadristi e le Forze dell'Ordine. Poi il cantante organizza un raduno a Londra, dove al culmine del delirio vede con i propri occhi centinaia di giganteschi martelli da guerra incrociati che marciano al passo dell'oca tra le rovine. Quando smette di avere allucinazioni da droga ed è sconvolto da una lucidità improvvisa, urla come se gli fosse stato infilato nel cranio un aculeo incandescente: "Stop!" Prende l'inesplicabile decisione di non voler più rimanere intrappolato dietro il muro. Si rintana in una latrina, in mezzo agli escrementi, canticchiando a bassa voce mentre una guardia giurata gli passa accanto. 
Come una bambola di pezza animata e inerme, Pink si sottopone a processo infernale per "aver mostrato sentimenti di natura quasi umana". Il suo insegnante stronzo e la moglie aguzzina lo accusano e lo consigliano per le sue azioni, mentre sua madre asfissiante cerca di riportarlo a casa perché "non vuole che si metta nei guai"
Il gigantesco giudice, un cazzone moscio antropomorfo che tuona dall'orifizio urinario sopra i testicoli immensi, simili a dirigibili rosacei, condanna Pink "ad essere esposto davanti ai suoi coetanei", così dà l'ordine di abbattere il muro. Dopo un lungo silenzio, il muro viene smantellato, proprio come il Mudo li Merlino! Pink urla di terrore! Il destino finale di Pink rimane sconosciuto, ma si sa per certo che sarà ben misero, più o meno come quello di uno spurgatore di fogne nell'India profonda. Una domanda pressante: Non sarebbe stato meglio rimanere un dittatore fascista? In ogni caso si scorge un vaghissimo segno di speranza: alcuni bambini puliscono un mucchio di detriti e raccolgono mattoni, con uno di loro che svuota una molotov. Un oscuro augurio sorge a questo punto nello spettatore: possano questi bimbi diventare altrettanti Pink! 


Recensione:
Questo film ha meriti immensi. Ne vidi per la prima volta alcune sequenze in un bar non distante dalla sede di Fisica in Via Celoria, a Nuova Sodoma, pardon, a Milano. Sorgeva nei pressi del Neurologico, dove talvolta avevo l'audacia di entrare per usare il telefono pubblico. In quel bar, il cui nome era Pink Floyd, avevo trovato un rarissimo succo di frutta di banana, il cui sapore ricordo ancora. È difficilissimo ridurre la banana a un succo, per questo il prodotto è quasi irreperibile e prezioso. Mentre gustavo quel nettare, un grande schermo stava proiettando proprio Pink Floyd: The Wall. Da quel momento, per me quel film è stato una vera e propria ossessione. Spesso lo noleggiavo in videocassetta e me lo guardavo (ai tempi i mezzi tecnologici erano primitivi, rudimentali). 
Ricordo i commenti di un'anziana signora sul treno, che esprimeva la sua angoscia a un'amica: aveva visto il film di Parker e ne era rimasta sconvolta. Diceva che in quelle sequenze vedeva la negazione totale dell'essere umano, la sua degradazione, una disperazione assoluta e pervasiva. Mi è subito parso chiaro che quella donna fosse una convinta sostenitrice dell'idea teleologica dell'Uomo come fine dell'Universo, come metro e misura di tutte le cose. Un'idea data per scontata nel corso di lunghi, era stata sfidata apertamente. La cosa mi ha fatto gongolare! 
Dai banchi di memoria stagnante dell'epoca universitaria ogni tanto riemerge il ricordo di Jacopo D., figlio del più famoso Valentino D., un pittore abbastanza quotato e defunto da tempo. Jacopo D. cercava in tutti i modi di distogliermi dalle immagini mentali che saturavano il mio essere. In particolare, provava un genuino orrore per Pink Floyd - The Wall. In un'occasione mi disse che erano gli incubi di drogati. Non aveva tenuto conto di una cosa: sono uno spirito ribelle! 


Una sinistra profezia

Mia madre (RIP), quando alle medie avevo gravi problemi di socializzazione, si sentiva molto inquieta e un giorno mi disse che le sembrava che io stessi costruendo un muro tra me e il mondo. La causa di ciò erano i professori maligni, che si lamentavano della mia fortissima tendenza ad isolarmi, a chiudermi in me stesso, persino della mia incapacità di sorridere. A sentire queste canaglie, avrei dovuto stare con i bulli e farmi da loro giulivamente massacrare. Avrei dovuto essere felice di subire persecuzione! All'epoca non si parlava di autismo, era un argomento tabù. Semplicemente lo si rimuoveva. I genitori e i professori aderivano alla funesta dottrina cattolica del libero arbitrio, così davano ai perseguitati la colpa di ciò che accadeva loro. Dicevano che era necessario "modificarsi". Dentro di me brillava un solo desiderio: la vendetta! Vendetta contro il genere umano! 
Tutto ciò accadde prima dell'uscita del film di Parker, di cui mia madre non poteva sapere assolutamente nulla. Quando potei visionare la pellicola, mi resi conto all'istante del contenuto profetico delle parole che erano state da lei pronunciate! 

  
L'essenza della scuola 

Pink rivela al genere umano una delle Verità Ultime: il sistema scolastico è stato inventato da Mefistofele! La scuola semina demenza, accresce in modo esponenziale le sofferenze dei dannati che la subiscono e merita l'annientamento. Non c'è nulla di buono in tale istituzione abominevole: è un immenso meccanismo stritolatore, una vite senza fine che riduce gli studenti in poltiglia. Queste vittime, che sono come fantocci svuotati del tutto privi di ontologia, una volta ridotti a carne macinata somigliano in modo straordinario a masse di vermi. Questa è la scuola! L'ideale sarebbe colare su ogni scuola un sarcofago di cemento come quello di Chernobyl, ovviamente murandovi dentro docenti e bulli. 


L'animazione di Gerald Scarfe: 
Empty Spaces

L'essenza del rapporto tra uomo e donna è terrore, è sopraffazione, è morte ontologica! Il sesso è merda. Ne siamo attratti, certo, ma resta comunque merda. Il maschio non è il predatore, è la preda. La femmina agisce come una mantide. Ghermisce il maschio, lo annienta, lo divora, lo condanna a una vita che è come un dente cariato, una maledizione di cancrena. Il frutto di pochi attimi di piacere costa strazi indicibili. Questa raccapricciante dinamica, di cui le genti sono vittime, è illustrata in modo splendido nella famosa sequenza di animazione in cui due fiori combattono una feroce battaglia. Il fiore maschile sembra un grosso pistillo eretto che si conficca tra i petali del fiore femminile. Ha inizio una lotta tremenda e alla fine il fiore femminile si chiude sul fiore maschile e lo fagocita! A questo punto il vincitore si trasforma in un immenso dragone, nero come la pece! 


La sporcacciona succhiante  

Il protagonista cerca conforto gettandosi a capofitto in una vita all'insegna del famoso trinomio sesso-droga-rock'nroll, sperando così di obliare i suoi dolori e il suo passato di repressione. Lasciarsi dietro la moglie. Lasciarsi dietro la madre. Come facevano i Lotofagi, Pink vuole rimuovere la realtà avversa, troppo dura per essere sopportata. A un certo punto si unisce a una festa orgiastica e canta "I need a dirty woman". Il titolo del brano è Young Lust, ossia "Giovane lussuria". Arrivano le troie, si sentono i loro tacchi che battono sul corridoio mentre avanzano impettite. Una ragazza china la sua testa sull'inguine di una guardia giurata, un poderoso mandingo, e gli accoglie in bocca il glande sporco di smegma, poppandolo. Questa sequenza mi è rimasta particolarmente impressa. 
L'abbandonarsi a feste orgiastiche non è comunque di alcun aiuto: le speranze di Pink sono vane, perché il dolore ha preso dimora in lui e non lo lascia nemmeno per un istante, come un verme che rosicchia una terminazione nervosa particolarmente sensibile. Il punto è che la libertà sessuale, per com'è intesa, non è la libertà di amoreggiare, di avere relazioni soddisfacenti con donne libere (e fantomatiche): è invece la libertà di andare con le puttane. Si risolve con il pagamento delle marchette. L'istituzione del matrimonio ha rovinato i rapporti umani a tal punto da fare terra bruciata al di fuori di sé, riducendo ogni cosa allo squallore! 


L'animazione di Gerald Scarfe: 
Don't Leave Me Now  

Mentre scorrono le note di Don't Leave Me Now, ha inizio una potente animazione. Mentre Pink, sfinito dalla droga che si è iniettato, giace su una poltrona nella sua stanza spettrale e solitaria, compare dietro di lui l'ombra della moglie. La silhouette femminile avanza e muta, fino a trasformarsi in una mostruosa mantide religiosa, che si ingigantisce e si scaglia contro il cantante terrorizzato. La Moglie-Mostro ha una bocca che ha la forma di una vagina irta di zanne, pronta a dilaniare la vittima! Mentre l'assalto procede, si sovrappongono le scene dell'amante che penetra con ardore la donna! Tutto ciò è agghiacciante! Ecco la natura del rapporto uomo-donna! Ecco la natura del matrimonio! 
La mia mente è fervida e veloce. Riempie tutti i buchi narrativi dei film ogni volta che lo guardo. Questa capacità mi rivela tutti gli arcani, li mette a nudo come se fosse un potere magico. Pink veniva deriso dalla moglie perché aveva un esiguo falletto ed eiaculava troppo in fretta. Così lei lo umiliava e si rifiutava di praticargli la fellatio, concessa  invece al suo nerboruto amante, che quindi procedeva a penetrarla, ad arare il suo ventre, a zapparlo. Questo amante era un israelita: ecco il seme da cui nasce e si sviluppa l'antisemitismo furioso del futuro Signore dei Vermi. 


L'Aguzzina e la causa di tutto 

La Moglie-Predatrice ricompare durante il Processo: è uno scorpione terrificante che trafigge col suo aculeo il povero Pink, regredito a livello di feto informe, cieco e paralitico, completamente incapace di opporre la benché minima resistenza. Rievoca gli eventi passati, quando ha iniettato nel pover'uomo un potentissimo veleno ontologico, che ha innescato la sua trasformazione. Sua è la colpa di tutto ciò che è accaduto in seguito! 
L'altra figura tremenda che si mostra al Processo è la Madre.  Il suo ruolo è ancor più cruciale di quello della Moglie-Predatrice: ha procreato Pink per egoismo e ignoranza. Avrebbe potuto lasciarlo nel Ventre del Nulla, in pace, invece ho la scaraventato nella realtà sensibile, in questa fucina di colori violenti e di rumori insopportabili, in cui si viene torturati senza sosta! 


Solipsismo 

Non c'è nessuno là fuori. L'Universo, abisso infernale, è tenuto lontano da una barriera impenetrabile: il Muro. Catatonia. Autismo profondo. Bisogna imparare a cadere nel baratro interiore, se si vuole riemergere. Il mondo non è un insieme di opportunità da cogliere, come si sente dire fin troppo spesso in questa società futile. Il mondo è un luogo ostile, a cui ci si deve opporre con tutte le forze, con ogni mezzo, ma le forze mancano, non ci sono i mezzi. Resta soltanto l'inerzia assoluta. Lo splendido e commovente brano Comfortably Numb descrive questa condizione, in cui viene raggiunta la massima vicinanza con il Non Essere. Il manager, uomo gretto e avidissimo, è interessato unicamente al guadagno che potrebbe trarre dall'esibizione di Pink. Non gliene frega nulla del cantante come essere umano: se sapesse che non potrà più portargli soldi, lo lascerebbe morire. I manager sono esseri privi di scrupoli e ripugnanti, meritevoli di essere gettati in Malebolge e torturati dai diavoli con la pece incandescente, per l'Eternità! Pink sembra già trapassato, non si riesce a sentire il suo respiro. "H
ello? Is there anybody in there?", chiede il manager.


Metamorfosi, rinascita  

Come un grosso bruco, Pink si impupa. Il suo essere si dissolve in un brodo primordiale e si riorganizza. Quindi rinasce in una forma completamente rinnovata, sfarfallando dal bozzolo! Non è più inerme. Irrompe nella realtà come un genocida, il cui scopo ultimo è uno solo: annientare il genere umano, annientare la vita nel Cosmo! Come un cristallo di tenebra assoluta, irradia la Luce Nera dell'Odio Eterno. Questa è la sua seconda nascita, l'unica vera. È invulnerabile! Nell'atto di emergere dal bozzolo, egli è come il Dio della Guerra degli Aztechi, Huitzilopochtli, che scaturì dal grembo di sua madre Coatlicue già adulto e armato con una spada dai denti di ossidiana!    


Il Signore dei Vermi

Gli squadristi sono denominati "Vermi" dal loro stesso capo. Non è un insulto o un termine di dileggio, come in apparenza potrebbe sembrare. Non ha nulla a che fare con appellativi come "topi di fogna", che nel Web sono spesso rivolti ai militanti dell'estrema destra. Un cagnotto è una creatura in apparenza fragile, dal corpo molle e cedevole, ma è dotato di prodigiose mascelle, di una forza incredibile. Una massa di cagnotti spolpa con facilità l'enorme carogna di un bufalo. 
La Marcia dei Martelli procede verso una destinazione spaventosa: la Guerra Totale! Proprio quando l'ordine costituito minaccia di collassare, ecco il prodigioso "Stop!" di Pink, urlato a pieni polmoni. Roger Waters suggerisce che il Dittatore, folgorato da una visione apocalittica delle conseguenze mostruose della sua propaganda, abbia voluto fermare tutto, far ritornare indietro il tempo, annullando il proprio stesso Essere. Ciò non è possibile in un Universo dominato dall'Irreversibilità. Per l'illusione di Waters, c'è stato un prezzo da pagare...


I Fascisti di Pink

Il ruolo dei Fascisti di Pink, descritti come i devastanti Vermi che imperversano nelle strade di un Regno Unito annientato, è stato rimosso a tal punto che nel vasto Web non si riesce nemmeno a trovare i nominativi degli attori che hanno interpretato questi squadristi! Follia del politically correct? Censura? Niente di tutto questo. Sono riuscito a reperire qualche informazione soltanto dopo una lunga ricerca. 
Ebbene, molte delle comparse nelle sequenze di Run Like Hell e Waiting for the Worms erano autentici neonazisti, robusti e fanatici, scelti per garantire un alto grado di realismo. A un certo punto Gerald Scarfe si spaventò a morte, temendo che la situazione stesse degenerando: un giorno, durante le riprese, diversi di questi squadristi d'assalto si erano presentati sfoggiando con fierezza l'emblema di Pink ai lati del cranio rasato. In seguito, alla fine degli anni '80, nacque un bellicoso gruppo neonazista chiamato Hammerskins, il cui simbolo era costuito proprio dai due martelli da guerra incrociati. Grande fu la costernazione di Scarfe, Parker e Waters, le cui intenzioni erano di rendere la rappresentazione antifascista. Invece resero affascinante e travolgente la violenza organizzata, come se avessero evocato lo spirito della Sturmabteilung. Beh, non si può spargere un seme e poi cercare di rintuzzare il raccolto che ne nasce! 


Il caso di Ian Stuart  

Ian Stuart Donaldson (1957 - 1993) era un musicista e cantante britannico molto controverso, i cui generi di appartenenza erano il punk rock e il rockabilly. Era un neonazista. Era amico di Lemmy dei Motörhead. Tuttavia, Lemmy non volle più avere niente a che fare con lui quando dichiarò pubblicamente le sue simpatie hitleriane, temendo un devastante danno d'immagine. Ian Stuart arrivò a fondare un gruppo politico neonazista, Blood & Honour. Morì in seguito alle lesioni riportate in un incidente d'auto. Sul letto di morte chiese ai suoi sostenitori di rifondare la Gioventù Hitleriana. Tutto ciò ha sorprendenti analogie con le vicende di Pink. Sono convintissimo che proprio il film Pink Floyd - The Wall abbia influenzato in modo decisivo la formazione di questo singolare elemento della galassia dei fascisti inglesi


Una leva solleva il mondo 

Roger Waters ha avuto un'intuizione degna di nota: visto che i comizi incendiari sono stati banditi dalla politica e dalla vita pubblica, una personalità inquietante come Adolf Hitler potrebbe avere successo e trascinare le masse soltanto presentandosi come una rockstar. Tecnicamente parlando, il discorso è ineccepibile. Archimede disse: "Datemi una leva e vi solleverò il mondo." Facciamo un passo oltre: non è nemmeno necessario che questa rockstar esista veramente. Sarebbe tuttavia un grave errore pensare che si tratti di un problema meramente politico. Le radici sono profonde come l'Abisso
Quando nasce anche soltanto un individuo in cui si accende, per qualsiasi motivo, il desiderio di distruzione della propria specie, è come se si creasse una grave discontinuità ontologica. Nel mondo è stata immessa una scintilla mortifera che non scomparirà con la morte di quell'individuo. Troverà la sua via, in qualche modo: trasmigrerà in altri individui, si presenterà in altre forme e in altri contesti, fino a che non sarà riuscita a portare l'Estinzione. 


L'ombra di Syd Barrett 

Bob Geldof era terrorizzato dal sangue e ha trovato la scena della lametta estremamente difficile da girare. Era previsto che avrebbe dovuto radersi soltanto le sopracciglia. Sentendosi preso dal ruolo, si è galvanizzato e ha improvvisato la scena, passandosi il rasoio anche sul torace; si è però rifiutato di decalvarsi. Come gran parte dell'album The Wall, questa sequenza è stata ispirata dal fondatore dei Pink Floyd, Syd Barrett (1946 -  2006), che fu colpito da una malattia mentale e lasciò la band alla fine degli anni '60. A quanto è riportato, Barrett una volta si allontanò da una cena affollata, andò a casa, si rasò malamente la testa e tornò sanguinante alla tavolata, comportandosi come se fosse la cosa più normale del mondo. Alcune delle persone vicine a lui durante il suo straziante declino, sono uscite dal cinema quando hanno visto la scena interpretata da Bob Geldof, trovandola estremamente inquietante. 


Critica

Questo è riportato nel Lexikon des Internationalen Films (1995):  

"Grell-monströse Illustrationen zum gleichnamigen Rock-Oratorium der englischen Popgruppe Pink Floyd: Ein Rockmusiker durchlebt in einem Hotelzimmer in Los Angeles Stationen seiner tristen Kindheit, seines gescheiterten Privatlebens und seiner steilen Karriere. Die visionären Fragmente seines Deliriums fügen sich zu einer Mauer, die ihn in völliger Kommunikationsunfähigkeit einschließt. Auf optische wie akustische Reizüberflutung angelegt und mit unausgegorenen Symbolismen überladen, beeindruckt der wirre Film allein durch die konsequente Verbindung von Musik und Bild im Stil moderner Videoclip-Ästhetik." 

Traduzione: 

"Illustrazioni vistosamente mostruose per l'omonimo oratorio rock del gruppo pop inglese Pink Floyd: un musicista rock rivive le fasi della sua triste infanzia, della sua vita personale fallita e della sua fulminea carriera in una stanza d'albergo di Los Angeles. I frammenti visionari del suo delirio si combinano per formare un muro che lo rinchiude in una totale incapacità di comunicare. Progettato per una sovrastimolazione visiva e acustica e sovraccarico di un simbolismo incompleto, il film confuso colpisce solo per la sua coerente combinazione di musica e immagini nello stile dell'estetica moderna dei videoclip." 

Questo ha scritto Norbert Stresau (1983): 

"Realität und Phantasie mischen sich immer weiter ineinander: […] Ein symbolischer Abschluß […] entläßt den Zuschauer, je nach Fassungsvermögen überwältigt oder erdrückt, aus einer Flut surrealer Sequenzen […] Alan Parker praktiziert hier die Überladung der Sinne in einer Perfektion, gegen die sich Ken Russell wie ein Adept dritten Grades ausnimmt. Rapide folgen die Schnitte aufeinander, der Dialog beschränkt sich auf ein Minimum, die Songs sprechen für sich. Auch technisch nützt der Film die Ressourcen des Kinos in höchstem Maß, es ist beinahe ein Muß, The Wall in der 70-mm-Dolby-Fassung zu sehen. Die Schauspieler kommen in der Kakophonie des Lichts recht gut weg: Bob Geldof etwa, der Leadsänger der Boomtown Rats, schöpft aus eigener Erfahrung und macht Pink zu einer verstörenden Figur. […] The Wall ist auch ein Film, der beim Sezieren mit dem Kritikmesser wie eine schillernde Seifenblase zerplatzt; den man entweder als extravaganten Audiovisionstrip akzeptiert oder als sinnlosen und sinnbeleidigenden Mischmasch ablehnt. Verfilmung der gleichnamigen Pink-Floyd-LP: Ein Rockmusiker am Rande des Wahnsinns treibt in den Halluzinationen seiner Ängste, Sehnsüchte und Erinnerungen und bewältigt sie zum Schluß. Die aufgebaute Schutzmauer bricht zusammen. Eine technisch brillante Kakophonie aus Licht und Ton überschüttet hier den Zuschauer und beraubt ihn jeglicher Möglichkeit der Verarbeitung des Gesehenen. So kaschiert der Film gekonnt seinen Mangel an echter Relevanz, eine Analyse im Nachhinein versucht man besser nicht." 

Traduzione: 

"Realtà e fantasia continuano a fondersi: [...] Una conclusione simbolica [...] libera lo spettatore, sopraffatto o schiacciato, a seconda delle sue capacità, da un'ondata di sequenze surreali [...] Alan Parker pratica qui il sovraccarico sensoriale con una perfezione che fa sembrare Ken Russell un adepto di terzo grado. I tagli si susseguono rapidamente, i dialoghi sono ridotti al minimo, le canzoni parlano da sole. Anche tecnicamente, il film sfrutta al meglio le risorse del cinema; vedere The Wall nella versione Dolby 70mm è quasi d'obbligo. Gli attori si distinguono piuttosto bene nella cacofonia di luci: Bob Geldof, il cantante dei Boomtown Rats, ad esempio, attinge alle proprie esperienze e trasforma Pink in una figura inquietante. […] The Wall è anche un film che scoppia come una bolla di sapone scintillante quando viene sezionato con un coltello critico; o lo si accetta come un viaggio audiovisivo stravagante o lo si rifiuta come un miscuglio insensato e offensivo. Un adattamento cinematografico dell'omonimo LP dei Pink Floyd: un musicista rock sull'orlo della follia vaga nelle allucinazioni delle sue paure, dei suoi desideri e dei suoi ricordi e alla fine li supera. Il muro protettivo che ha costruito crolla. Una cacofonia di luci e suoni tecnicamente brillante travolge lo spettatore e lo priva di ogni possibilità di elaborare ciò che ha visto. In questo modo, il film nasconde abilmente la sua mancanza di reale rilevanza; è meglio non tentare alcuna analisi retrospettiva." 


Roger Waters e il Mudo li Merlino

Ho assistito in diretta televisiva al concerto The Wall - Live in Berlin, tenuto da Roger Waters e da numerosi artisti ospiti a Berlino il 21 luglio 1990, per commemorare la caduta di quello che l'ineffabile Luca Giurato chiamava il Mudo li Merlino - e, direi, per sancirne lo smantellamento fisico, all'epoca quasi completato. Per la precisione, l'evento ha avuto luogo in Potsdamer Platz ed è stato trasmesso in diretta in ben 52 Paesi. In Italia la trasmissione è avvenuta su Canale 5 (in leggera differita); bisogna riconoscere che persino Berlusconi pochissime cose buone in vita sua le ha pur fatte :). Sono stati momenti molto emozionanti e ho visto anche la replica su Italia 1 l'anno successivo. 
Questi sono gli ospiti che hanno partecipato: Scorpions, Ute Lemper, Bryan Adams, Cyndi Lauper, Sinéad O'Connor, Van Morrison, Joni Mitchell, Paul Carrack, The Runfunk Orchestra & Choir, The Military Orchestra of the Soviet Army, The Bleedin Heart Band, Marianne Faithfull, Albert Finney, Tim Curry, Thomas Dolby. Tramite il concerto sono stati raccolti fondi per il Memorial Fund for Disaster Relief, un'organizzazione inglese che si occupa di assistere le vittime di disastri e calamità. Sono molto scettico sulla reale efficacia di iniziative di questo genere. Chi garantisce che i soldi non finiscano in tasca a qualche malfattore? Non è fornito alcun resoconto consultabile sul loro effettivo utilizzo benefico e sui risultati ottenuti. 

giovedì 19 gennaio 2023

Naufrago 

Lontano da ogni galassia. Nessun fotone filtra attraverso il buio insondabile. In un piccolo vascello io fluttuo in questo vuoto assoluto. Soltanto un misero guscio di noce, un relitto condannato a un fato di eterna solitudine. Molto raramente, diciamo una volta ogni due o tre anni, una singola molecola d'idrogeno urta contro lo scafo, al che il rivelatore emette un suono stridulo e impulsivo che allieta la mia attesa infinita. Dov'è il quasar più vicino? Dov'è l'ormai obliato calore della luce di una stella, fosse anche così distante da colpire a malapena la mia retina atrofica con l'impressione di un vaghissimo contrasto?

Marco "Antares666" Moretti
(blog connettivista Cybergoth, 26 febbraio 2006) 

domenica 1 gennaio 2023

STORMI IN PICCHIATA 

Inghilterra. La costiera del luogo un tempo conosciuto come Diacono di Sale. Saltdean. Davanti a me, circospetto e pieno di paure, una villa romana.
I pavimenti della grande sala erano a scacchiera, un motivo davvero insolito. Lo spazio era delimitato da un colonnato arioso. Sentivo su di me l’aria gelida: gli antichi Romani non conoscevano le finestre di vetro: ogni spazio di quell’antica dimora era aperto. Gruppi di statue ornavano i vari aditi. Riconobbi motivi che neanche la mente umana più delirante aveva osato ritrarre prima. Il Cesare Caligola, scolpito nel marmo, sembrava vivo. Alcune sculture lo mostravano nell’atto di ingerire le scorie delle sue molte amanti, mentre in un pezzo davvero unico era impegnato a discorrere con un mostro marino.
Ogni passo mi sembrava una mossa cruciale su una scacchiera ontologica; se avessi indugiato oltre, sarei rimasto paralizzato come l’asino di Buridano. Panni violacei ornavano un grande letto disfatto, la cui fattura era indubbiamente moderna. Non capivo il significato di quel luogo, che non avevo mai visto in vita mia. Forse era il prodotto allucinatorio di qualche mio dimenticato furore bacchico, il residuo di un cattivo viaggio che non voleva saperne di estinguersi, riverberando all’infinito sul pelo della mia autocoscienza martoriata.
Mi sembrava che il tempo fosse congelato. Stavo vivendo, anzi vegetando tra le quinte del Tempo. Non potendone più, uscii da quell’ambiente malsano, tornando sulla via del lungomare che pareva abbracciare l’Infinito, tra massi erratici eiettati da un vulcano in epoca preistorica.
Alzai gli occhi verso la volta celeste. Un ammasso di nubi impenetrabili la rendeva assolutamente grigia, una massa di cervella infette estratte dal cranio del gigante Ymir, viranti al nero in uno scenario di decadenza apocalittica. Strali sulfurei si coglievano all’orizzonte, proprio dove il mare plumbeo moriva, risucchiato dal denso orizzonte degli eventi di un buco nero.
Camminando lungo il viottolo, contemplai per qualche ora i cavalloni del mare ruggente. Masse di acqua grigia come palta, mostruosità eruttanti che parevano sfidare lo stesso principio della mia creazione. Più il cielo si contaminava nel nero petrolifero delle sue sfumature, più le masse bianche di calcare si stagliavano nitide. Il vento spirava talmente forte da darmi fastidio. Sibilava contro i miei timpani, portando cristalli di ghiaccio meteorico sul mio volto antico e petrigno.
Mi rapì un’improvvisa ondata di stanchezza. Bagliori remoti iniziavano ad accendere le nuvole. Fuochi fatui infiammavano le chiome del Dio della Tempesta, ne coglievo l’ultimo balenare giallastro proprio dove la tenebra diurna tendeva ad accumularsi. Tale era il muro d’ombra davanti a me, che decisi di tornare sui miei passi.
Giunto di nuovo nei pressi della villa romana, tutto mi sembrava differente. Non riuscivo a raccapezzarmi: ogni muro, ogni colonna dava al contempo impressione di familiarità e di stranezza. Voltando lo sguardo verso la grande sala dove ero già stato, rimasi abbacinato dal riflesso spettrale di una ragazza bionda che guardava intenta un lungo abito bianco appeso alla parete, ritorto in molteplici pieghe come spire di serpente. Potevo guardare attraverso quella sagoma, tanto era trasparente. In breve tempo la figura scomparve, disperdendosi nel Nulla da cui si era chissà come generata.
All’improvviso mi scosse un rumore assordante proveniente dall’etere cupissimo. Alzai di colpo lo sguardo chiedendomi cosa stesse mai accadendo. Quando compresi, rimasi paralizzato dall’orrore.
Una massa di uccelli gravava su ogni cosa, facendo brulicare di ali l’alto dei cieli. Turbini rimescolavano quella marea compatta di piume brune, e io ebbi l’impressione di trovarmi sull’orlo di un ciclone di proporzioni immani. I versi disperati che provenivano da milioni di gole mi facevano gelare il sangue nelle vene. Stava accadendo qualcosa di mostruoso, portento della Natura turbata, segno della Fine dei Tempi, annientamento di ogni utopia e di ogni umano ideale. Non ebbi nemmeno il tempo di muovermi, di fuggire via, di cercare riparo nella villa romana. Le prime formazioni di uccelli impazziti cominciarono a gettarsi giù a picco. Stridendo in modo atroce, si immersero nelle acque grigie e lutulente del mare.
Una volta inghiottiti dalle onde furenti, non cercavano in alcun modo di ribellarsi, non sbattevano le ali come l’istinto di conservazione avrebbe loro imposto. Simili a missili, conservavano la loro rigidità sprofondando fin nell’abisso.
Mi colpì un mortifero vento di empatia, e sentivo dentro di me, nel midollo, le sensazioni provate da quegli infiniti suicidi. Gli animali non facevano nulla per evitare il loro fato. Accoglievano il soffocamento, facendo entrare l’acqua caustica nei polmoni e negli stomaci, fino a morire in una lenta agonia. Alcuni arrivavano ancora moribondi sul fondo, cercando follemente di scavare col becco, fino a spirare in quella liquida oscurità inospitale.
Non era finita. Avevo gli occhi fissi sulla nemesi dei volatili, cristallizzati nella contemplazione dell’epifania tanatogena. Nuove moltitudini si mossero, un nugolo dopo l’altro, imitando i loro antesignani nella brama di annichilirsi. La catastrofe sembrava ripetersi infinite volte.
Ero sicuro che sarei presto bruciato nel delirio, tanto era la mia partecipazione viscerale a quello sconfinato massacro di esseri consegnati all’asfissia. La Natura doveva essere adirata, nella sua inumana potenza, per spingere a comportamenti così perversi. Ogni morte formava un microscopico tassello di un mosaico nero che si andava componendo nel mio cranio, un tassello rovente che si conficcava nella mia materia grigia, facendo sfrigolare la rete sinaptica. Emisi un urlo che, in quell’istante ne ero certo, nessun essere umano aveva mai emesso in tutta la storia di questo infelice pianeta, mentre le ultime orde alate sciamavano verso la distruzione del respiro nell’inferno subacqueo. 

Marco "Antares666" Moretti,
pubblicato sul sito connettivista Next-Station.org (2010). 

martedì 28 giugno 2022

LA LUCERTOLA NOTTURNA

Uscito in strada, l’uomo è colto da una grande angoscia. La testa gli martella e i pensieri si confondono in rapidi deliri, stemperandosi di continuo gli uni negli altri. Il lucore malato dei lampioni si diffonde sul selciato, rendendo le ombre più nitide, più violente. Oltre il campo visivo si estende il Nulla. L’uomo febbricitante osserva qualcosa muoversi sul marciapiede, vicino al limitare delle erbacce incolori. Una lucertola. Cosa diamine può mai aver spinto quel rettile fuori dalla sua dimora ctonia? Avvicinandosi, percepisce un intenso campo di orrore emanare dalla bestiola. Ogni movimento di quelle zampette sembra irradiarsi in un etere innominabile e nero. Portento d’Abisso, la Terra ha vomitato i suoi figli, li ha espulsi dalla sua bocca! Le Tenebre degli Inferi non ospitano più le creature del Caos, e queste fuggono l’abominio senza nome che pulsa nelle viscere della Morte!

Marco "Antares666" Moretti

venerdì 24 giugno 2022

VENTO DI LIGURIA

Ricordo ancora nitidamente una violenta risonanza sensoriale, un flash che è stato per me come una finestra aperta su un diverso continuum. Mi trovavo in un periodo oscurissimo della mia miserabile esistenza, confinato mio malgrado in uno squallido paese chiamato Cardano al Campo. Camminavo per la via principale, diretto all’edicolante. Un’inaspettata ventata di Liguria onirica mi ha rapito. All’improvviso ero in un altro luogo. Vedevo portici di mattoni di pietra nuda scavati nei costoni di una montagna, con un cielo rilucente di giallo e di azzurro. Un mare di un turchese intensissimo ruggiva, i cavalloni che cercavano di raggiungere la via lastricata di selciato. L’odore di salsedine penetrava nelle mie narici, il verso dei gabbiani giungeva alle mie orecchie. Ma la cosa più sconvolgente di questa esperienza è che mentre la provavo ero un’altra persona. Avevo l’aspetto di una spia con occhiali neri e portavo con me una valigia il cui contenuto capivo essere di inestimabile valore. Quasi certamente consisteva in microfilm. Mi vedevo anche dall’esterno, come se avessi una coscienza extracorporea in grado di guardare la scena quasi fosse proiettata su un teleschermo. Il mio aspetto era molto diverso da quello che ho in realtà: ero un tipo mediterraneo, con i capelli brizzolati e la barba di due o tre giorni. Avrei potuto passare per una specie di gangster mafioso. I miei pensieri scorrevano in una lingua del tutto diversa dalla mia. In quel nido scavato all’interno di una manciata di secondi nella struttura del Tempo, ero persino ignaro di Cardano al Campo, della lingua italiana, dei miei ricordi. Poi, proprio come era venuta, quella percezione empatica si è dissolta per lasciare il posto al vuoto della mia routine. Ogni cosa mi appariva grigia in modo insopportabile, tanto che ho cercato con ogni sforzo di aggrapparmi alla memoria del mio stato alterato per recuperare quel mondo alternativo, quella Liguria con tutta la sua piena consapevolezza. Non ci sono riuscito, ma sono stato colpito da una fortissima sensazione di déjà vu: ho saputo che avevo già vissuto un’altra volta quelle stesse identiche sensazioni a Milano, mentre camminavo in Piazza del Duomo, sotto un porticato nei pressi della Rinascente. Venivo dalla galleria Vittorio Emanuele II, e nel fissare una colonna ero stato trasportato dalla tiepida brezza di sensazioni sconosciute. Anche in quell’occasione, un forellino nel sacco sensoriale si era chiuso proprio quando pensavo di essere riuscito ad impadronirmi del cronotopo e dei ricordi di questa mia esistenza parallela, impedendomi ogni altra agnizione. Poi c’era stata una specie di formattazione, di oblio. Eppure il déjà vu stesso era un canalicolo che dimostrava la natura complessa dell’evento, riportando in vita ciò che era sepolto. Adesso so per certo che un giorno riuscirò a compiere il salto, a trasferirmi fisicamente dall’altra parte. Verrà un ultimo flash, quello della discontinuità, quello del teletrasporto...

Marco "Antares666" Moretti

lunedì 20 giugno 2022

CACCIATORI DI PLESIOSAURI

Non ho ricordi chiari di ciò che mi è accaduto subito dopo la morte. So soltanto che a un certo punto ho preso coscienza del mio corpo di spirito, che doveva avere la forma di una specie di palla impalpabile fluttuante nell’aria. I sensi erano molto acuiti rispetto a quando ero in vita. Passavo per paesi e contrade, fiumi e campi coltivati, muovendomi senza che nessuno mi potesse notare.
Dopo un lungo vagabondare mi sono stancato dell’Inghilterra e ho attraversato il mare. Sono così giunto in Irlanda, nella città di Belfast. Era proprio come la ricordavo, gli anni non l’avevano mutata. Mi divertivo ad osservare la gente per le strade servendomi della mia posizione privilegiata. Potevo guardare persino sotto le gonne delle ragazze, ma la cosa per me non era importante, avendo perso ogni passione assieme al mio involucro biologico. Mi piaceva stare lì e mi ci sarei fermato a lungo. Tanto chi mi avrebbe potuto far fretta? Ero immune da ogni necessità, guidato solo da un’astratta curiosità, una specie di prurito epistemologico.
A un certo punto sono rimasto come di sasso. Ho visto Paul Newman. Che ci faceva lì? A parte il fatto che era morto da anni, lo vedevo in carne e ossa, ed era un uomo sui trent’anni. Diamine, forse era solo un sosia! Doveva essere così, ma qualcosa comunque non mi convinceva. Nel crepuscolo, Paul Newman camminava baldanzoso per Donegall Street. Incredibile. Mi sono messo in mente di seguirlo, ed eccolo entrare in un grandioso tempio indù dai colonnati di marmo bianco ingrigito da tempo. Al suo posto ricordavo l’Università. Da quando mi ero disincarnato, la memoria mi restituiva resoconti molto nitidi e privi di distorsione, non mi potevo sbagliare. Ho deciso allora di proseguire per Academy Street, arrivando fino ad una grande piazza al cui centro vi era un’edicola spagnolesca. La giovane donna che la gestiva era la magrissima e bionda Elena G., una mia compagna del liceo. A rigor di logica, quella piazza non avrebbe dovuto esistere.
Ho percorso la strada che mi restava per arrivare al mare in linea d’aria, attraversando gli edifici. Ogni volta che passavo all’interno di una casa, questa era vuota, come se in città non fosse rimasto quasi nessuno.
Quando sono arrivato allo sbocco del grande estuario del Lagan, l’ho costeggiato per un breve tratto. Qui sorgeva un grande campo di lavori forzati: numerosi galeotti vestiti interamente di jeans lavoravano nell’acqua, molti di loro erano incatenati a pilastri lignei tutti incrostati di cozze. Martellavano grosse pietre che affiorano dall’acqua. Altri condannati, impastoiati con catene che li legavano gli uni agli altri, cercavano di portare sulla spiaggia i frammenti di roccia servendosi di cesti sfondati. Al largo il mare diventava profondo.
Forse avrei fatto meglio a tornarmene in Inghilterra. Osservavo il pelo dell’acqua marina liscia come l’olio, quando a un certo punto ho udito un fischio acuto, come quello di una gigantesca pentola a pressione. Qualcosa si strava muovendo nella densa caligine, in lontananza. Determinato a veder meglio, mi sono diretto verso un molo e mi sono inoltrato sulla superficie delle acque, verso la fonte del rumore.
Scorgevo un piccolo oggetto scuro all’orizzonte, simile a un gioiello nero, che si stagliava con inattesa nitidezza tra le confuse forme di quel panorama dantesco. La luce innaturale di quella sorgente nera era come una fata morgana: nonostante mi stessi allontanando sempre più dalla terraferma, rimaneva sempre alla stessa distanza.
Dopo quello che mi è parso un tempo infinito, sono riuscito ad uscire dalla cappa nebbiosa che sembrava avvolgere il mondo. Quello che mi si è rivelato era l’oceano nel suo costante grigiore. Lo stesso cielo che si rifletteva nelle acque era grigio, anche se non c’erano nubi e si vedeva un piccolo sole pallido e biancastro, che a malapena riusciva ad confondere la sagoma della grande luna.
Una lunga barca di legno scuro che avanzava tra le onde ha attratto la mia attenzione proprio quando avevo preso la mia decisione di tornare verso la riva. A bordo c’erano alcuni uomini robusti che parlavano tra loro in un dialetto gaelico molto aspro, mai udito prima. Il loro comandante era albino e aveva occhi rossi come carboni ardenti. Somigliava un po’ a Klaus Kinski, il volto perennemente contratto in un ghigno di sfida, la lunga chioma madida di sudore che ricadeva sulle spalle, candida come neve. Era dotato di un poderoso arpione dalla lama frastagliata, simile a quelli usati dagli antichi balenieri, ma ben più micidiale. I suoi compagni impugnavano armi meno elaborate ma altrettanto letali.
Non mi risultava che appena fuori Belfast ci fossero marinai dediti alla caccia con l’arpione. Non riuscivo a comprendere il contesto. Quando mi sono avvicinato all’imbarcazione, le acque si sono agitate e l’albino ha scagliato la sua arma emettendo un urlo raggelante. Aveva colpito una gigantesca bestia proprio alla base del suo prodigioso collo, facendone schizzare un violento getto di sangue. Una volta recuperato l’arpione, si è messo a tirare con tutte le sue forze la spessa sagola legata al manico per mezzo di un anello di acciaio. Le vene erano in rilievo sulle sue tempie, come cordoni palpitanti, gli occhi infernali stravolti dal delirio. Gli altri uomini della spedizione si avventarono sui pingui fianchi dell’animale che ancora si dibatteva, lacerandolo a più riprese con le loro lame spietate. Solo allora ho capito senza possibilità di dubbio cos’era quella preda. Un plesiosauro!

Marco "Antares666" Moretti

sabato 18 giugno 2022

FULMINE DI TENEBRA VEGETALE

Il nero si estendeva, come uno squarcio e un albero al contempo. Straziava il cuore del blu violetto, imponendosi tirannicamente alle sbavature azzurrognole, stinte ciocche di capelli ispidi di una fanciulla divina trasfigurata in lucore immateriale davanti ai nostri occhi. Il ruggito del mare non dava tregua: per suo tramite echeggiavano nei nostri labirinti auricolari i lamenti di universi morti. Da eoni la decadenza regnava dovunque, fino ai limiti di quasar che la scienza delle mappature astrali non aveva ancora individuato. Il nero minacciava di sgretolare lo scoglio del Tempo. Era lì, proprio davanti a noi, ineffabile, con quella sua apparenza più solida della materia collassata di una stella a neutroni. D’altronde, non vedevamo di cosa avremmo dovuto preoccuparci: c’eravamo solo noi in tutto quello sperduto avamposto planetario. Nel cielo indistinto turbinavano sbavature di astigmatismo ontologico, pennacchi luminosi che formavano piccoli buchi neri dell’etere, senza struttura geometrica. Il tronco siderale emise un suono quantistico che poteva essere avvertito soltanto dalle nostre menti. L’avrei descritto come un criptosilenzio nato dall’Indeterminazione di Heisenberg, se non fosse stato per la mia rete sinaptica che si cullava nel gorgo di informazioni trascinato dolcemente da quel contatto intatteso. Non c’era possibilità di sfuggire al richiamo. Proprio come le Sirene della prima grande antichità dell’abbandonata Prima Terra, questa forma ci avrebbe attirati tutti nel suo maelström occulto. A fior di labbra intonai la Poesia dell’Iroha in un giapponese dimenticato. Il tronco dell’essere alieno assumeva sempre più consistenza. Allungai una mano per toccare il suo crepitio e lo scoprii caldo, vellutato e duro al contempo, come un tubo di fullerene.

Marco "Antares666" Moretti

giovedì 16 giugno 2022

IL POZZO DEI BRUCHI

Il sole è già tramontato da un pezzo. Camminando per strada, diretto alla mia dimora dopo un’estenuante giornata di lavoro, noto una macchia di bitume sulla strada. Mi fermo un attimo a fissarla, perché mi pare che abbia una forma singolare. Il mio sguardo ne viene subito catturato. All’improvviso si materializza nella mia mente l’immagine di un baratro di asfalto infero da cui emergono innumerevoli bruchi corazzati coperti di aculei, striati di giallo e di nero, senz’occhi, dotati di spaventose mandibole chitinose. Con un movimento rotatorio i bruchi catafratti si allungano dalla loro invisibile radice liquaminosa fino a raggiungere ogni recesso dei territori rocciosi sulle rive. Ne ho la certezza e tremo, sconvolto dall’orrore. Quelle crudeli larve si nutrono dell’Essere e ad ogni morso annientano una parte dell’anima delle miriadi di dannati accalcati sulle rive della gora nera, anima informe che sempre ricresce come il fegato di Prometeo, solo per essere nuovamente divorata in un gorgo di dolore tetro.

Marco "Antares666" Moretti

martedì 14 giugno 2022

PAT BENATAR NUDA

Ci sono tre soli nel cielo. Due sono gialli come quello della realtà di veglia. Uno è più chiaro, quasi bianco, ed ha la forma di una mezzaluna, come se un qualche satellite ne eclissasse la sagoma, invisibile in quel fulgore diurno. Il mare è di un turchese intenso ed è agitato da un vento fortissimo. Onde gigantesche si sollevano, sono impressionanti. Mi trovo qui, inchiodato a questa parete rocciosa, in preda a un senso di vertigine. Non vi pare che se avessi un corpo lo userei per muovermi? Purtroppo, anche il più piccolo spostamento è al di fuori della mia portata, come lo è per un cadavere alzarsi dal letto di morte per bersi un bicchier d’acqua. Solo la mia mente permane vulcanica. Sono spettatore e vittima passiva del paesaggio che mi ha inghiottito e fissato con un chiodo ontologico sulle rocce di questo dirupo. Il vento si fa più forte e mi lambisce l’anima col suo gelo interstiziale. Non dovrei sentire freddo, non vi sembra? I sensi hanno senso solo dove esiste un corpo fatto di materiale genetico, non è così? Ma allora perché sono qui, invisibile persino a me stesso? Non so neanche tramite quali occhi sto percependo questo pianeta trisolare. Sono sempre stato un uomo di buonsenso e un gran lavoratore, e adesso mi trovo imprigionato in un incubo. Nessuna religione ha mai immaginato una cosa simile, ne sono sicuro. Ecco che il vento diventa tempesta e straccia le nuvole, disperdendo quelle strutture di panna montata fino a sgombrare completamente il cielo. I tre soli mi fissano nel loro furente irradiare. Non esiste riparo dalla loro luce violenta eppur priva di ogni traccia di calore. Per un attimo un brandello di nube passa davanti al sole a mezzaluna, e un’ombra sinistra si proietta sulla mia autocoscienza. Il ruggito delle onde, dapprima subliminale, si accresce, come la colonna sonora di un film catastrofico. Mi coglie una paura assurda, che una specie di maremoto possa sradicare l’intera catena montuosa, precipitandomi negli abissi oceanici. Poi cerco di riflettere e di calmarmi. Che fondamento può mai avere la paura in questo contesto? Eppure, a dispetto di tutte le mie elucubrazioni, sono qui, inchiodato all’oggettività dei fatti. Come una lucertola crocefissa, soffro in modo atroce. Mi sembra di essere la vittima di un bambino crudele che si diverte a forare i polmoni di piccoli rettili servendosi di uno spillo e godendo di ogni loro sospiro. Mi trovo ingabbiato in questa trappola dell’Assurdo, non esiste un senso a tutto ciò che devo patire. Perché non riesco a placare la mia mente? Come ha potuto conservarsi ed accrescersi addirittura in lucidità? Quando mi sveglierò?

Marco "Antares666" Moretti

domenica 12 giugno 2022

DEFINITIVAMENTE

Ho appena assunto lo dzoroaph, e subito mi sento sfasato, come se l’intera realtà fosse fatta di cristallo liquido. Davanti a me non c’è più l’appartamento in cui vivo. Quando la vista mi si snebbia e i cristallini cominciano a lavorare in sincrono, scopro di essere in una realtà del tutto diversa da quella in cui sono nato. È tutto capovolto. Forse è soltanto la mia percezione delle cose ad essere mutata, ma sono sicuro che la terra è in alto e che il cielo è in basso. Non so neanche dare una definizione del mio corpo, sono soltanto una palla d’aria densa dotata di organi di senso invisibili e me ne sto lì, in questo cosmo capovolto, senza avere la benché minima connessione con ciò che vedo. Il suolo è un piano indefinitamente esteso, non vi noto alcuna curvatura. Si estende a perdita d’occhio – se mi si passa l’espressione, non avendo più occhi fisici definibili come tali. Appena al di sotto di questo suolo infinito si estende un cielo terso, di un azzurro nauseabondo. Mentre fisso quel colore mi rendo conto per la prima volta di essere affetto da una percezione anormale che mi permette di sentire in me il gusto dei colori. Quel turchese è talmente dolce da darmi le vertigini. In quel cielo assurdo ci sono due grandi soli, bianchi come cristallo di Qualen, talmente intensi da ferire il mio intelletto tromolante. Uno ha la forma di una mezzaluna. Mi penetrano nello spirito con i loro raggi. Mi accorgo del danno che mi provocano, una serie di microferite invisibili fatte di Nulla. Cerco di muovermi. Sarebbe infatti già un gran progresso poter vedere questo universo a me estraneo secondo le prospettive a cui sono abituato. Per quanto mi sforzi, ogni fatica compiuta è del tutto vana. Sento in me una grande ansia, equivalente in quella dimensione dell’acido lattico, ma tutto resta esattamente com’era. Solo dopo un tempo che non potrei misurare, mi rendo conto che il mio unico grado di libertà mi permette di guardare di taglio il panorama, e questo produce un cambiamento inaspettato e notevole: adesso ho davanti a me una donna nuda seduta sul terreno, le gambe piegate e distese di lato. Con una mano sfiora il terreno, mentre l’altra è adagiata sul bacino. La vedo a testa in giù, è ovvio. È anche una bella donna, che mi sovrasta immobile ed eterna. Più intensa diventa la mia attenzione su di lei, più mi pare che cresca in dimensioni, fino a diventare maestosa come un leviatano. Percepisco che lei è sempre la stessa e che questo ingigantirsi stia soltanto nella mia coscienza. Mi perdo nella sua bellezza, che sarebbe molto apprezzata da quegli idioti che mi hanno rifilato lo dzoroaph, se non fosse per la sua assenza di occhi. La vedo con la sua chioma corvina, statica come una foresta di quarzo nero. La pelle sembra anemica, ed è priva di ogni dettaglio. Neanche un neo. Quel volto, con la sua bocca scarlatta e carnosa, è innaturale, teso e senza occhi né palpebre. Liscio come la plastica. Sopra il naso inizia subito la fronte ampia, fino all’attaccatura dei capelli. Stranito, estendo la mia vista ai suoi seni, con capezzoli turgidi e scuri, e mi sposto fin quasi a toccarla tra le gambe con lo sguardo. Il pelo ispido sembra fatto di fili di ferro. È una creatura vivente o è un insieme di pixel? Non so dare una risposta a questo interrogativo, che comincia ad ossessionarmi e mi trasmette l’impressione di essere punto da un ago. Mi concentro su ciò che ho davanti, cambiando la prospettiva nel solo modo che mi è possibile, ed ecco che la donna nuda senz’occhi sparisce. Per uno sfuggevole secondo, mi accorgo che si riduce a un riflesso e intuisco la terribile realtà. Mi sposto ancora lungo il campo visivo, ed ecco di nuovo la donna statuaria davanti a me. Quell’intero mondo è un cristallo incrinato, e io posso contemplare l’ologramma che qualche demiurgo dispettoso si è divertito ad incidere nel suo reticolo molecolare. Mi trovo in un’opera d’arte. Anzi, ne sono ormai parte. L’eternità mi ha fagocitato ed assimilato a questo blocco vetroso decorato. Ma per chi sto formulando i miei pensieri, poi?

Marco "Antares666" Moretti