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martedì 26 maggio 2020

LA SFINGE, UN RACCONTO BREVE DI EDGAR ALLAN POE

 
La sfinge (The Sphinx) è un racconto di Edgar Allan Poe, pubblicato per la prima volta nel gennaio del 1846, sulla rivista Arthur's Ladies Magazine di Filadelfia. Fu ripubblicato nel 1859 nel secondo volume (Poems and Tales) della raccolta postuma The Works of the late Edgar Allan Poe (editore: Blakeman & Mason). Fu pubblicato dopo la raccolta Racconti del terrore e dell'incubo, del 1845, così non vi è incluso. Tuttavia in seguito le case editrici hanno pubblicato tra i Racconti del terrore e del grottesco questo e altri testi scritti tra il 1846 e il 1849 (anno della scomparsa dell'autore). Direi che l'attribuzione più ragionevole è ai Racconti dell'incubo. Per alcuni sarebbe invece da classificarsi tra i Racconti di tema vario


Traduzioni del titolo:
  Italiano: La sfinge
  Tedesco: Die Sphinx
  Francese: Le Sphinx
  Spagnolo: La esfinge
  Rumeno: Sfinxul 
 
Elenco completo delle edizioni italiane:  

Traduzioni in italiano: 
Maria Gallone
Fernanda Pivano, A.C. Rossi, Aldo Traverso, Virginia Vaquer
M. Carla Solomeni, Vincenzo Brinzi
Carla Apollonio  
Maria Gallone  
Giorgio Manganelli  
Daniela Palladini
Daniela Palladini e Isabella Donfrancesco 

Traduzione in francese:
William Little Hughes (1822 - 1887). 
Questo è uno dei 25 racconti di Poe che non furono tradotti da Charles Baudelaire. La traduzione di Hughes compare nel volume Contes inédits, pubblicato da Hetzel nel 1862.  
 
Trama: 
Una violenta epidemia di colera imperversa, devastando New York. Il narratore viene invitato da un parente a trovare rifugio nel suo cottage sulle rive del fiume Hudson, nelle vicinanze di una collina franata. Nonostante i buoni propositi di dedicarsi alle passeggiate e alle attività di diporto, il tempo sembra non passare mai. Prevale lo sfinimento e non c'è molto da fare, a parte attendere notizie luttuose dalla città. A un certo punto il narratore, dopo essere rimasto a lungo immerso nella lettura, guarda dalla finestra e crede di vedere un mostro spaventoso che si precipita giù dalla collina per poi scomparire all'improvviso. Per un po' l'uomo non ne fa parola per paura di essere ritenuto folle. Vince le sue paranoie soltanto dopo diversi giorni di conflitto interiore. Il proprietario del cottage è più incline alla razionalità e ascolta con estrema attenzione la descrizione della bestia favolosa; quando la situazione si ripete mentre i due si trovano nella stessa stanza, guarda dalla finestra e afferma di non riuscire a vedere alcun mostro. Quindi apre un libro di filosofia naturale e mostra al suo compare l'esatta descrizione della mirabile creatura, una falena detta sfinge testa di morto, a sua detta piccolissima. 
 
Testo originale e traduzioni: dettagli 
 
Si nota subito che New York è scritto con il trattino (hyphen): New-York. Un uso stravagante che di questi tempi lascia allibiti. Il testo originale ha cottage ornée, con esibizione di francesismo, come andava di moda nella Boston snob del XIX secolo. Tuttavia va specificato questo: cottage non è una parola francese genuina, essendo stata importata dall'inglese. La pronuncia /kɔ'taʒ/ è francesizzata ortograficamente. Il genere del sostantivo è maschile, così si dovrebbe dire cottage orné, non cottage ornée, dato che ornée è la forma femminile. Finora mi sono sempre imbattuto in traduzioni italiane in cui questo aggettivo è stato obliterato. Il corsivo usato da Poe dimostra che la parola cottage era considerata francese dai Bostoniani. Con ogni probabilità nei salotti si pronunciava /kɔ'taʒ ɔR'ne/. L'ironia di tutto questo è che la parola inglese cottage /'kɔtɪdʒ/ proviene a sua volta dall'antico francese cote "capanna", a sua volta dal norreno kot "capanna". Sia sempre benedetta la santa Scienza dei prestiti lessicali, che ci permette di provare un vero e proprio edonismo spirituale! 
 
Interpretazione 

La vulgata corrente considera questo racconto come una descrizione dell'emozione della paura e del suo potere di neutralizzare le menti suggestionabili. Esiste anche un'altra opinione abbastanza diffusa: l'allucinazione del protagonista sarebbe un'allegoria della natura ingannevole delle apparenze. Simili banalità non spiegano l'orrore che si prova nel leggere il breve testo, la cui ontologia abissale non è riducibile al meccanicismo neopositivista del pierangelismo. La sfinge è come un buco nel cielo, una voragine di un nero assoluto che si apre all'improvviso dove non dovrebbe esserci. Le radiazioni che fanno la loro irruzione da quel sinistro pertugio sono l'eco di un altro Universo, atrocemente più vasto di quello in cui conduciamo le nostre vane esistenze. 

 
Distorsione percettiva  

Nel Mito della Caverna, narrato da Platone, si descrive il processo di liberazione dell'uomo tenuto prigioniero nelle tenebre fin dalla nascita. Quando egli giunge alla luce del sole, che rappresenta il Bene, riesce a comprendere la vera natura delle cose. Il suo è un processo di anabasi. Per contro, Poe descrive un processo di catabasi. Una discesa agli Inferi. I sensi allucinati dell'uomo trasformano la spettrale falena in un immane leviatano. Siamo poi così sicuri che si tratti soltanto di un'illusione? Certo, per le genti del mondo è senza dubbio così: quanto vede un allucinato non può avere forma né sostanza alcuna. E se invece egli avvertisse, anche solo per pochi attimi, il tocco di qualcosa che viene dall'Esterno? E se non si trattasse di un riflesso di un'emozione, bensì di qualcosa che ha un'ontologia propria e funesta? Ecco come il narratore descrive la spaventosa apparizione:
 
"Cercando di valutare la mole della creatura, in rapporto al diametro dei grandi alberi presso i quali passava, – i pochi giganti della foresta che erano sfuggiti alla furia della frana – conclusi che doveva essere più grande di qualsiasi nave di linea in attività. Dico nave di linea perché la sagoma del mostro ne suggeriva l’idea, – lo scafo di uno dei nostri «settantaquattro» può dare un’idea abbastanza esatta del suo profilo. La bocca dell’animale era posta all’estremità di una proboscide lunga una ventina di metri, e grossa come il corpo di un comune elefante. Vicino alla radice di questa escrescenza si vedeva un’immensa quantità di arruffati peli neri – molti più di quelli che avrebbero potuto fornirne le pelli di una mandria di bufali; da questo pelame sporgevano, sui lati all’in giù, due zanne scintillanti, non diverse da quelle di un cinghiale, solo infinitamente più grandi. Protesa, parallelamente alla proboscide e da ogni lato di essa, c’era una gigantesca asta lunga una diecina di metri, apparentemente di puro cristallo, a forma di perfetto prisma; essa rifletteva nel modo più fantastico i raggi del declinante sole. La proboscide era a forma di cuneo con il vertice diretto verso terra. Da essa si aprivano verso l’esterno due coppie di ali – ogni ala raggiungeva la lunghezza di quasi un centinaio di metri – in ogni coppia un’ala era piazzata sopra l’altra e tutte erano ricoperte da spesse scaglie di metallo; ogni scaglia aveva apparentemente un diametro di oltre tre metri. Osservai che ogni ala superiore era unita alla corrispondente inferiore da una robusta catena. Ma la peculiarità principale di questa cosa orribile, era la raffigurazione di una Testa di Morto, che copriva quasi interamente la superficie del suo petto, e che era tracciata con precisione in uno scintillante color bianco sul fondo nero del corpo, come se fosse stata disegnata con grande cura da un artista. Mentre guardavo il terrificante animale e più specialmente l’immagine sul suo petto, con un senso di orrore e di timore – misti a una sensazione di sciagura incombente, che mi riusciva impossibile colmare malgrado ogni sforzo della ragione, vidi le enormi mascelle all’estremità della proboscide, spalancarsi all’improvviso; ne usci un suono così forte e pauroso, che colpì i miei nervi come un rintocco funebre. Quando il mostro scomparve ai piedi della collina, caddi svenuto al suolo."
 
Portenti e presagi 

Il ragionamento dei meccanicisti è abbastanza lineare: se l'emozione nasce nel sistema limbico ed è prerazionale, il sentimento è qualcosa che presuppone la consapevolezza, venendo ad esistere solo quando la mente focalizza la sua attenzione sull'emozione. Il protagonista è dominato dal terrore che il Tristo Mietitore possa giungere fino a lui, ma quando pensa ai presagi passa dall'emozione al sentimento. Cerca di dare un'interpretazione a quanto gli accade, ma siccome la sua mente è limitata, non agisce come un perfetto orologio cartesiano. Invito questi materialisti a maggior rispetto nei confronti dei portenti e dei presagi, che non sono meri simboli della superstizione o ubbie generate dall'ignoranza del popolino. Usando l'interpretazione dei segni, un aruspice etrusco predisse l'esatta durata del potere di Roma. Osservando il volo degli avvoltoi e contandoli, predisse con esattezza il declino e la fine dell'Urbe. Innumerevoli sono gli esempi che si possono citare. Sono diverticoli del Labirinto su cui irradia il Sole Nero della Morte dell'Essere. 
 
Edgar Allan Poe e la coprofilia 
 
È stato detto che nelle opere di Edgar Allan Poe è presente una larvata necrofilia. Credo che nessuno si sognerebbe di mettere in discussione questa verità. Ebbene, La sfinge ci mostra una larvata coprofilia sovrapposta all'onnipresente necrofilia. Il Bostoniano era un grande, in grado di far collassare interi universi concentrandoli in poche parole. Così ha scritto: "L'aria stessa del Sud ci sembrava recare odore di morte" (The very air from the South seemed to us redolent with death). Morte mista agli escrementi! Per quasi tutti gli attuali lettori, il colera è soltanto una reminiscenza letteraria. È soltanto una parola. La sola possibile eccezione a me nota è un tale che si era recato in India durante un'epidemia di colera e aveva praticato l'anilingus a una prostituta, salvo poi struggersi in mille paure ipocondriache. Poe sapeva bene cosa scriveva: l'epidemia di colera che aveva devastato New York avvenne nel 1832, mentre lui era in vita. Cercherò quindi di trasmettere ciò che sentiva, usando parole vivide. Culi sporchi di merda. Orifizi laidi, duramente provati da continue scariche di diarrea acquosa e caustica. La flora batterica dell'intestino è ormai un lontano ricordo: anche le sue ultime tracce sono state evacuate. Coliche atroci e scorregge crepitanti, mentre sembra di avere il piombo fuso nel ventre teso. Vomito che non dà requie. Ormai lo stomaco non riesce a trattenere più nulla e non è sopportabile nemmeno il pensiero di ingurgitare qualcosa. Tremore che scuote le membra gelide per l'ipotermia. Delirio. La coscienza che sprofonda in un'oscurità solida, compatta, fino a spegnersi del tutto. Se ci riuscite, provate a immaginarvi centinaia, migliaia di persone in simili condizioni. Perché questa è un'epidemia di colera. Al giorno d'oggi non ci siamo più abituati. Il colera nasce dalla contaminazione fecale. Si trasmette tramite rapporti oro-fecali e oro-anali. Il suo imperversare è favorito dove sono comuni gli atti di coprofagia, consapevole o inconsapevole. Ci sono state vittime illustri. Ormai pochi ricordano che Giacomo Leopardi morì di colera. Lo aveva contratto da un gelataio che preparava i sorbetti senza essersi lavato le mani dopo aver smerdato. Il Poeta di Recanati si recava nella gelateria ogni giorno, e si divertiva ad osservare le giovani della Napoli Bene, quelle che - parole sue - "vendevano la gola". Morì tra spasmi atroci. Il suo corpo fu gettato in una fossa comune e cosparso di calce. Recuperato da amici e sepolto in una chiesa, il cadavere fu poi rubato e profanato dai necrofili.  
 
Acherontia atropos  
 
La sfinge testa di morto (Acherontia atropos) è una farfalla notturna di notevoli dimensioni. È a dir poco eccezionale e nota a tutti per il caratteristico disegno che ricorda un teschio umano. Pochi sanno che è anche la sola farfalla a possedere una laringe e ad emettere suoni. Il suo verso è raggelante, sembra a metà strada tra il gracchiare di una cornacchia, la risata di una iena e il lamento di un moribondo. Può essere udito a molti metri di distanza. A produrlo è l'aria eiettata contro una lamina posta all'imboccatura della laringe, che la fa vibrare. A quanto ho saputo, anche il bruco è capace di emettere lo stesso lugubre verso. Mi è capitato di imbattermi sia in adulti che in larve di questa specie, ma sfortunatamente non ho mai potuto udire il loro repertorio sonoro. Mi sono rifatto ascoltando registrazioni reperite in rete e devo dire che mi affascina molto. Non si tratta di un richiamo: la falena infera lo usa per scacciare i predatori, quando si sente minacciata. Le sue abitudini sono assai singolari. Si introduce negli alveari, dove riesce a neutralizzare le difese utilizzando una sostanza il cui odore mima quello degli acidi grassi delle api. Con la possente spiritromba buca gli opercoli cerosi dei favi e ingurgita incredibili quantità di miele. Talvolta è così satolla da non potersi muovere: le api operaie la identificano, le si ammassano addosso fino a soffocarla, quindi la ricoprono di propoli per impedire che la putrefazione della carcassa ammorbi l'alveare.     
 
I meandri della tassonomia 
 
Poe utilizza la classificazione entomologica di Latreille. I Crepuscularia sono la seconda famiglia dei Lepidoptera; le sfingi o falene, che corrispondono al genere linneano Sphinx, sono divise a loro volta in quattro sezioni: Hesperisphinges, Sphingides, Sesiasides e Zygænides, che corrispondono rispettivamente ai generi fabriciani Castnia, Sphinx, Sesia e Zygæna. Nella denominazione attualmente in uso, il genere Sphinx appartiene alla tribù degli Sphingini, a sua volta parte della sottofamiglia delle Sphinginæ, appartenente alla famiglia delle Sphingidæ. Tanto per dare un'idea dell'estrema varietà di queste forme di vita, basterà riportare che la tribù degli Sphingini comprende in tutto 39 generi (di cui uno estinto), per un totale di 275 specie. Gli antichi Romani, sempre molto pragmatici, chiamavano la sfinge testa di morto con un nome secco e preciso: papilio feralis, ossia "farfalla mortifera".   
 
Razionalismo distorcente
 
La cosa bizzarra è che Poe descrive Acherontia atropos come un insetto piccolissimo, grande al massimo un millimetro e mezzo (about the sixteenth of an inch in its extreme length). La conversione fatta nella traduzione in italiano è corretta: 1/16 di pollice = 0,0625 pollici = 1,5875 millimetri.  In realtà la sfinge testa di morto è una delle falene di dimensioni più grandi, con un'apertura alare di 90-130 millimetri. L'addome, grassissimo e sensuale, è anch'esso di lunghezza notevole. Il bruco è grosso come un salsicciotto. Trovo ugualmente assurdo che l'insetto possa essere distante un millimetro e mezzo dalla pupilla dell'occhio dell'osservatore (and also about the sixteenth of an inch distant from the pupil of my eye). Si può quindi affermare che l'amico razionale del protagonista abbia a sua volta commesso un grave errore di valutazione delle distanze, rimpicciolendo la creatura anziché ingigantirla! Non trovo alcun commentatore che si sia accorto di questo importante particolare. Forse a causa del racconto di Poe, nell'immaginario collettivo americano è impressa l'idea che la farfalla sfinge sia di proporzioni minuscole. Nella celebre locandina del film Il silenzio degli innocenti (The Silence of Lambs), di Jonathan Demme (1991), si può vedere un esemplare di Acherontia sulla bocca di una ragazza. Il disegno del teschio è sostituito da un'immagine tratta da un dipinto di Salvador Dalì, con alcune donne nude che sembrano formare un teschio. Il punto è che le dimensioni del lepidottero sono piccolissime!
 
Rosso: areale permanente
Arancione: areale estivo

Un notevole errore 
 
Una cosa davvero interessante è la distribuzione territoriale della falena Acherontia atropos. Per farla breve: in America questo lepidottero non esiste. Il suo areale di diffusione include l'Europa, l'Africa e parte dell'Asia occidentale. Certo, esistono altre due specie simili, Acherontia styx ed Acherontia lachesis, ma sono entrambe tipiche dell'Asia. Quindi non è fisicamente possibile che qualcuno abbia potuto vedere una sfinge testa di morto nel territorio dell'Hudson. Si tratta di un clamoroso errore, che può soltanto saltare all'occhio di chi si diletta di entomologia. Con ogni probabilità lo scrittore di Boston aveva visto esemplari di Acherontia atropos durante il suo soggiorno in Inghilterra e ne aveva tratto ispirazione per scrivere il suo racconto. Certo, a un genio come lui si perdona questo ed altro!  
 
Demiurgia e aneddotica 
 
Poe ha nutrito il nostro spirito. Ha contribuito con le sue creazioni a fare di noi ciò che siamo. Ogni tratto della sua scrittura disegna un intero Cosmo, governato da leggi soltanto in apparenza simile a quelle che conosciamo. Ha potuto dar vita a un intero Universo di orrore e di percezioni distorte perché è vissuto in un'epoca in cui era riconosciuta la preminenza dell'aneddotica. Scriveva in modo febbrile, senza nemmeno provare a verificare la precisione di ogni singolo dettaglio. Così troviamo numerose bizzarrie e incongruenze nei suoi testi. Non si tratta di difetti, come si potrebbe pensare a prima vista, bensì di gemme. Certo, erano tempi diversi. Esisteva ancora un pubblico pronto a riconoscere la grandezza dell'artista, dell'evocatore. Il presente è sterile. I grandi come Poe sono ancora apprezzati, ma solo perché sono giunti come fossili da un passato ormai esaurito. Oggi non sarebbe più possibile il sorgere di un uomo simile. Non ne sarebbe riconosciuta la grandezza e non andrebbe da nessuna parte. Ogni sua minima affermazione sarebbe accolta con una domanda stizzosa: "Fonti?" 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 

Segnalo giusto due recensioni. La prima è di Giovanni Sacchitelli: 
 

La seconda è di Federico "Dragonstar" Passarella:
 

mercoledì 21 novembre 2018


COME CE LA CAVAMMO QUANDO IL PASSATO SE NE ANDÒ 

Autore: Robert Silverberg
Anno: 1969
Titolo originale: How It Was When the Past Went Away
Aka: Quando il passato se ne andò
Lingua: Inglese
Tipologia narrativa: Romanzo breve 
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Innerspace SF, fantareligione, fantascienza
     apocalittica e post-apocalittica
1a edizione it: 1970
2a edizione it.: 1984
Editore (it.): Arnoldo Mondadori Editore
Edizioni italiane (antologie):
     1970: La fabbrica dei flagelli, Urania 551
     1984: Catastrofi!, Oscar 1767 
Traduttori:
     Beata della Frattina (1970),
     Giuseppe Lippi (1984)
Dettagli dell'antologia Catastrofi!:
   Titolo originale: Catastrophes!
   Curatore: Isaac Asimov
   Sezione:
Catalogo Vegetti: 


Trama:

Un soggetto particolarmente interessante, Haldersen, è definito "psicotico" dalle autorità sanitarie. Preso da un'ispirazione divina, tenta un esperimento che ritengo meritorio e benefico in sommo grado. Egli trova il modo di rilasciare nell'acquedotto di San Francisco una droga che cancella la memoria. Coloro che si abbeverano con l'acqua del rubinetto, subiscono una rimozione di parti dei loro archivi mnemonici o vengono addirittura formattati completamente. Si segnala il caso di un nocivo guitto, che intratteneva il pubblico con esercizi di memoria e che, trovatosi privato delle sue facoltà, opta per un dignitoso suicidio. Innumerevoli sono gli effetti positivi di questa cancellazione della memoria tra le masse: in questo modo ogni ferita viene sanata, ogni cuore infranto rinasce e rifiorisce rigoglioso, ritorna l'ispirazione di chi ne era da tempo rimasto privo, tutti i debiti vengono cancellati, le fauci dell'usura vengono spezzate, decenni di bassezze politiche e di similare immondizia si avviano alla formattazione definitiva rilasciando al contempo una benefica folata di aria purissima, tutte le determinazioni delle logge massoniche si dissolvono e via discorrendo. Haldersen fonda così una nuova religione, la Chiesa dell'Oblio, che si basa su fatti concreti e non su futili dispute dottrinali: grazie alla cancellazione di ogni memoria, essa offre una Salvezza concreta, facendo tornare i sofferenti al Vuoto beato in cui stavano prima di essere gettati in questo mondo di aberrazioni!

Recensione:

Grande Silverberg! La Chiesa dell'Oblio è un concetto geniale che meriterebbe proprio di essere tradotto in pratica! Un santo lavacro in grado di ripulire una volta per tutte la Terra dalle infinite storture dei suoi abitanti! È davvero grande la mente dello scrittore ashkenazita, che irradia lampi di purissimo genio.

L'amnesia può essere molto pericolosa e insidiosa quando colpisce una singola persona, perché pone la sua vittima in uno stato di assoluta debolezza, gettandola inerme in balia di un mondo in cui il "prossimo" è un lupo vorace e un diavolo. Senza dubbio la cancellazione della memoria ha sempre colpito l'immaginazione popolare e suscitato il massimo interesse, come anche la sua simulazione - basti pensare al caso del cosiddetto Smemorato di Collegno. Meno facile è immaginare cosa accadrebbe se ad essere colpita dalla perdita della memoria fosse un'intera comunità o - perché no? - addirittura l'intero pianeta! Ebbene, proprio Silverberg si è cimentato nell'impresa con ottimi risultati. 

Posso azzardarmi a ipotizzare qualcosa sul funzionamento della droga utilizzata da Haldersen per formattare i banchi di memoria delle genti di San Francisco: con ogni probabilità attacca i corpi mammillari, di fatto agendo come la sindrome di Wernicke-Korsakoff. Oliver Sacks nel suo libro L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello descrive un caso molto interessante nel capitolo Il marinaio perduto. Questo militare, distrutto dall'etilismo, non riusciva a ricordare alcunché degli ultimi 30 anni della sua vita passata e, a complicare le cose, anche la sua memoria a breve termine era stata aggredita: i ricordi gli si dissolvevano già a distanza di poche ore o addirittura di pochi minuti. Eppure Sacks fu colpito da un comportamento religioso del paziente e discrisse con quale "piena, intensa e tranquilla disposizione d'animo, con quale calma di una concentrazione e di attenzione assolute, egli si accostò e partecipò alla Santa Comunione. Era totalmente trattenuto, assorbito da un sentimento. In quel momento non c'era smemoratezza, non c'era sindrome di Korsakoff, né la loro esistenza pareva possibile o immaginabile". Non posso fare a meno di notare la somiglianza con il rito della Chiesa dell'Oblio fondata da Haldersen, in cui l'Eucarestia è proprio l'assunzione della pozione che dona l'Oblio. Luis Buñuel, citato dallo stesso Sacks, scrisse: "La memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, persino il nostro agire. Senza di essa non siamo nulla". Verissimo. Va però precisato che non siamo nulla in ogni caso. 

Biblioteca galattica

Questa è la pagina della Biblioteca Galattica dedicata al romanzo breve, con annessa valutazione:


Un interessante progetto 

A quanto ho appreso, la Focus Features ha acquisito i diritti di quest'opera di Silverberg e ne progetta l'adattamento cinematografico. Questa pagina del sito Comingsoon.net risale al 2014: 


Questo è quanto è riportato sul sito Cineblog.it:

"La Focus Features adatterà il romanzo sci-fi di Robert Silverberg How It Was When the Past Went Away, inizialmente pubblicato nel 1969 con l'antologia "Three of Tomorrow". Alex e David Pastor si occuperanno dello script, per una storia che si svolgerà all'indomani di un evento che causa la perdita di memoria di massa. Tutta colpa di un folle, che mette dell'anfetamina nell'acqua di San Francisco, con la città che lentamente inizia a cadere a pezzi. Gli abitanti non sanno più chi sono, con chi vivono, dove lavorano e senza memoria. Effetti devastanti della droga, per una storia raccontata come 'disaster movie'. Tra i produttori Wyck Godfrey e Marty Bowen della saga Twilight."  

Per raggiungere il frammento sopra riportato, anch'esso abbastanza datato, sono giunto su una pagina che riportava il nome di Ben Stiller, così ho pensato che il ruolo di Haldersen sarebbe stato assegnato a quell'attore - che ricordo soprattutto perché in un film rifiutava un pompino da una milf.

Nonostante l'adattamento di How It Was When the Past Went Away sia stato annunciato anni fa, dalle informazioni raccolte nel Web, sembra che il progetto non sia stato portato a compimento. Il mio timore è che possa andare alla deriva, come spesso accade alle cose in questo universo in sfacelo. 

BENEDIZIONE OSCURA

Autore: Walter M. Miller Jr.
Anno: 1951
Titolo originale: Dark Benediction
Lingua: Inglese
Tipologia narrativa: Romanzo breve
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Fantascienza apocalittica e post-
       apocalittica, fantareligione, clerical SF,
       fantapatologia, fantaerotismo
1a edizione it.: 1964
2a edizione it.: 1984
3a edizione it.: 1988
4a edizione it.: 1992
Editori (it.):
     Arnoldo Mondadori Editore (1984, 1988),
     Zillitti Editore (1964),
     Interno Giallo (1992) 
Edizioni italiane (antologie):    
    1964: Umani a condizione, Futuria 4
    1984: Catastrofi!, Oscar 1767 
    1988: Un cantico per Leibowitz - Benedizione
             oscura - Umani a condizione - Il mattatore
,
             I massimi della Fantascienza 17
    1992:
Il grande libro della fantascienza. Società
             del futuro. Romanzi brevi degli anni '50
,
             EdgarMammut 3.44
Traduttori:
     Arianna Rossi Livenzev (1964, 1988, 1992),
     Giuseppe Lippi (1984)
Dettagli dell'antologia Catastrofi!:    
    Titolo originale:
 Catastrophes!
    Curatore: Isaac Asimov
    Sezione: Distruzione dell'umanità 
Catalogo Vegetti:


Nota: Segnalo l'errato titolo originale nel Catalogo Vegetti: Dark Benedition (sic.). Manca la -c- di Benediction, come appare evidente a chiunque abbia anche soltanto una parvenza di dimestichezza col lessico inglese dotto di origine latina.

Trama: 

L'umanità è condannata a causa di una malattia che si propaga senza che nulla valga a frenarla. Le persone colpite mostrano vistose alterazioni della cute, su cui compaiono macchie grigiastre destinate ad estendersi e caratterizzate da un pullulare di terminazioni nervose ipersensibili che acuiscono i sensi. Per questo il morbo è stato battezzato neurodermatite (neuroderm). I contagiati sono chiamati volgarmente "pellaccia". Considerati immondi dalle persone sane, che li assimilano ai lebbrosi, questi "pellaccia" sono dominati dalla bramosia irresistibile di espandere il contagio. Sono dotati di papule erogene sui polpastrelli delle dita, simili alle formazioni perlacee che spesso si trovano sulla corona del glande. In pratica, è come se le dita di ogni "pellaccia" terminassero con un glande tumefatto, perennemente eccitato. Ne nasce una forma di erotismo perverso, bizzarro e macabro: questi individui mutati concupiscono le persone sane e cercano di consumare un atto di libidine palpando morbosamente ogni parte del loro corpo, traendone un indescrivibile piacere e propagando al contempo l'infezione tra le genti. In questo scenario di autolisi della società umana, il giovane Paul Harris Oberlin, non contagiato dal morbo, si innamora di Willow (Willie, in realtà sta per Wilhelmina), una ragazza che ha sviluppato la malattia. La salva da Georgelle, un dittatore genocida che vuole attuare lo sterminio di tutti i "pellaccia", pensando così di risanare l'umanità. Volendo trovare un modo per guarirla da uan ferita, Paul conduce Willie a Galveston, rendendosi presto conto di essere finito in una comunità religiosa costituita interamente da "pellaccia", guidata da monaci e suore. Qui incontra il dottor Seevers, un biochimico che gli rivela la vera natura della neurodermatite: si tratta di un'infezione causata da un parassita di origine extraterrestre, inviato sulla Terra da una lontana civiltà aliena. Paul comprende, anche se all'inizio non è facile, che si tratta di una condizione benefica, perché porta all'espansione dei sensi e a facoltà cognitive del tutto nuove. Il crollo della civiltà non è la fine del genere umano, bensì l'inizio di una nuova specie più dotata. Dopo mille esitazioni il giovane vince la sua repulsione per le condizione dei "pellaccia" e si abbandona all'amore con Willie, donando alle sue dita frementi il proprio corpo nudo e facendosi così contagiare.

Recensione:

A quanto pare Walter M. Miller Jr. (1923-1996) era fissato con un tema davvero inconsueto: la salvezza del genere umano ad opera del clero - aspetto non sfuggito a Giuseppe Lippi nella sua introduzione all'antologia. Non a caso è l'autore del famosissimo romanzo Un cantico per Leibowitz (A Canticle for Leibowitz), pubblicato per la prima volta nel 1959, che è incentrato sulla descrizione dell'opera civilizzatrice della Chiesa Romana su un mondo post-apocalittico ripiombato in una spaventosa barbarie e avvolto nelle dense tenebre dell'ignoranza. Tuttavia Benedizione oscura ha in sé anche qualcosa di profetico quanto sinistro: i ripugnanti "pellaccia", avidissimi palpatori di corpi nudi di ragazzini e di ragazzine, sembrano quasi far trasparire un simbolismo della pedofilia che infesta la Chiesa Romana! Tale piaga, che ora sappiamo connaturata al clero cattolico, all'epoca in cui Miller scrisse era qualcosa di cui non si poteva assolutamente parlare, nemmeno in un paese come gli Stati Uniti d'America, per tradizione caratterizzato da un grande pluralismo religioso e non privo di componenti fortemente antipapiste. Le ossessioni religiose di Miller non lo hanno salvato da una grave depressione: poco dopo la morte della moglie, che gli aveva dato quattro figli, terminò volontariamente la sua infelice esistenza con un colpo di fucile.  

Un medico pieno di antinomie

Quando ho letto il racconto, molti anni fa, sono rimasto particolarmente colpito dalla figura dello scienziato "pellaccia". Il dottor Seevers è una persona animata da un altissimo senso morale e al contempo un groviglio di contraddizioni insanabili. Se da una parte riconosce qualcosa di benefico nel morbo che ha annientato la civiltà e condannato la specie umana in quanto tale, come mai poi si astiene con ferreo rigore dal trasmettere tale condizione ad altri? In un passo egli rivela di sottoporsi a un doloroso quanto inutile trattamento, cauterizzandosi le papule erogene sui polpastrelli, lamentandosi della loro continua formazione e affermando la sua determinazione a non conoscere mai le delizie date dalla palpazione della pelle di persone sane. Pensa che, non sapendo cosa si perde, non avrà mai rimpianti. Si professa ateo, ma in realtà a guidarlo sembra essere la dottrina cattolica dell'abnegazione e del rifiuto del piacere, considerato peccaminoso in quanto tale - nei laici ovviamente, essendo il suo esercizio permesso invece ai membri del clero, sia pure tra mille ipocrisie e nascondimenti. Probabilmente gli effetti dell'immersione in un ambiente impregnato di religosità cattolica ha del tutto riplasmato il biochimico, senza che nemmeno se ne accorgesse.

Inquietanti interrogativi

Nonostante il giovane Paul abbia infine accettato la rivelazione del dottor Seervers sulla nascita di una nuova specie dalle ceneri dell'umanità, qualcosa in lui agita ripugnanza e dubbi spaventosi su ciò che è umano e su ciò che non lo è.

"Ma la pelle grigia... i palpi gustativi nelle dita... micro-organismi alieni che scavavano nei nervi e nel cervello umano... tutto ciò gli metteva i brividi. L'Uomo, trasformato per soddisfare i gusti di un pugno di parassiti "benevoli", era ancora Uomo? O era qualcos'altro? Piccoli agricoltori batterici sepolti nella pelle che coltivavano cellule nervose come l'uomo coltiva il grano... piccoli divoratori che mangiano uno e piantano due, che seminano nuovi sensi e rimpastano le fibre gustose del cervello..."

Mentre il protagonista è preso da queste riflessioni mortificanti, la dura realtà dei fatti non ne è minimamente toccata: la minaccia del genocida Georgelle non è scongiurata e incombe su Galveston.

Note di linguistica lippiana

Trovo divertente l'uso della parola ghenga per indicare una banda di delinquenti o come sinonimo di "feccia". Ormai il vocabolo non sembra essere più molto comune in questa lingua italiana che presenta sempre più evidenti segnali di sofferenza e che appare meno incline all'assimilazione fonetica dei barbarismi. Ecco il passo in questione: 

"Le uniformi gli ricordavano quelle delle ghenghe di teppistelli negli slum: anche loro usavano maglioni di un colore speciale e parole d'ordine."

Penso sia in ogni caso utile far notare che ghenga ha un'origine trasparente: è l'adattamento dell'inglese gang "banda, gruppo di delinquenti", da cui deriva gangster "criminale membro di una banda", formato con lo stesso suffisso -ster che si trova anche nel sinonimo mobster, oltre che in alcune formazioni come youngster "giovanotto" e songster "musicista vagabondo". Vediamo che nella traduzione di Lippi figura, non tradotta, la parola slum, che negli anni ottanta era già popolare. Non mi risulta che ci siano mai stati tentativi di adattamenti fonetici all'italiano. La traduzione lippiana ci mostra stratificazioni lessicali e sedimentazioni da cui spuntano gemme di svariati tipi.   

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giovedì 15 novembre 2018


SEMI DEL CREPUSCOLO

Autore: Raymond Z. Gallun
Anno: 1938
Titolo originale: Seeds of Dusk
Lingua: Inglese
Conlang(s): Itorloo
Tipologia narrativa: Racconto lungo 
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Xeno SF, fantabotanica, fantabiologia,
    fantapatologia, fantascienza apocalittica  
1a edizione it.: 1979
2a edizione it.: 1984
Editori (it.): Editrice Nord (1979),
Arnoldo
     Mondadori Editore (1984)

Edizione italiana (antologie):
     1979: Avventure nel tempo e nello spazio, Grandi
          Opere Nord 5
     1984: Catastrofi!, Oscar 1767
Traduttori:
     Giuseppe Lippi (1984),
     Rita Botter Pierangeli (1979)
Dettagli dell'antologia Catastrofi!
    Titolo originale: Catastrophes!
    Curatore: Isaac Asimov
    Sezione: Distruzione dell'umanità  
Catalogo Vegetti: 



Trama:

La Terra è ormai moribonda. Le specie più evolute che vi si trovano sono gli umanoidi Itorloo, discendenti del genere umano, e un tipo di corvi altamente sociali in grado di parlare. In questo scenario, già di per sé non troppo allegro, fa la sua comparsa qualcosa di imprevisto quanto letale: sono le spore aliene provenienti da Marte. Per la verità, nemmeno Marte era il luogo d'origine di questi temibilissimi agenti infestanti. Prima di prosperare sul Pianeta Rosso, avevano infestato Ganimede. Quando gli Itorloo si accorgono del flagello, è già troppo tardi: i tentativi di disinfestazione risultano fallimentari. Le piante aliene, dotate di prodigiose capacità di adattamento e di grandissima intelligenza, fabbricano e diffondono un patogeno studiato a bella posta per annientare gli Itorloo. Una febbre mortale divora gli eredi dell'umanità, proprio quando fervono i preparativi per la loro migrazione su Venere.  

Recensione: 

Un angosciante racconto di xenobiologia. Del resto, se un autore che tratta di xenobiologia non scrivesse cose angoscianti, farebbe meglio a occuparsi dei Puffi! Il geniale fondamento della narrazione di Seeds of Dusk è una pianta infestante i cui semi vagano tra gli spazi interstellari, cullati dai venti cosmici, programmati per attecchire su pianeti adatti e uccidere tutti i viventi autoctoni che vi si trovano. Una pianta mostruosa dotata tra l'altro di raffinati organi di senso e di una potente memoria epigenetica, essendo persino in grado di riconoscre le sagome degli umanoidi e i loro veicoli, avendone visti di simili innumerevoli altre volte in passato. Quando lessi da giovane quest'opera di Gallun ero febbricitante e sentii in me il comando del genoma che mi imponeva di sopravvivere all'infezione, proprio come Zar, il sanguigno protagonista Itorloo, che si imponeva di lottare anche quando ormai era contaminato e condannato. Adesso, a distanza di tempo, sono convinto che l'annientamento dell'umanità ad opera di una pandemia sarebbe una cosa quanto mai auspicabile, in grado di cancellare definitivamente ogni problema e ogni sofferenza. Sarebbe una delle soluzioni migliori, anche se lì per lì si soffrirebbe un po'. Ognuno di noi forse reagirebbe come Zar, che non voleva arrendersi per nessun motivo, che con i suoi ultimi barlumi di forze ancora sognava una stagione di piaceri brutali su Venere, avventure anche erotiche che non ci sarebbero mai state. Questa tensione genetica è descritta e comunicata in modo magistrale. La cosa davvero notevole è che Seeds of Dusk fu scritto nel lontano 1938, eppure non dimostra la sua età, anche se certi concetti come l'abitabilità di Venere sono ormai da tempo obsoleti.

Dinamiche involutive

Gli Itorloo, chiamati "i freddi, crudeli, astuti esserini che discendevano dagli uomini" (the cold, cruel, cunning little beings who were the children of men), sembrano il concentrato di ogni aspetto deteriore della nostra specie. Quelle che furono le doti dell'umanità si sono da lungo tempo dissolto, perché gli accoppiamenti hanno favorito i peggiori energumeni. Non è stata tanto l'intelligenza a svilupparsi, quanto la furbizia, la capacità di nuocere con l'inganno - anche se va detto che la tecnologia ereditata si è conservata abbastanza bene. Per gli Itorloo l'empatia è inesistente, la violenza anche sessuale è una somma virtù e la tortura è un genere voluttuario. Le dimensioni del corpo si sono ridotte rispetto a quelle degli antenati umani, con ogni probabilità per via della diminuzione delle risorse e dell'ostilità dell'ambiente. 

La lingua degli Itorloo

L'autore pianta i semi di una conlang che però non sviluppa. La frase "Itorloo loaaah!", pronunciata da un corvo in grado di parlare, significa "Itorloo, pericolo!"; già sappiamo che Itorloo è l'endoetnico degli epigoni degenerati dell'antica umanità (voce di etimologia incerta). Per coincidenza o per cosciente intenzione dell'autore, il termine loaaah "pericolo" richiama nella forma grafica al nome degli spiriti della religione Voodoo di Haiti e della Louisiana, anche se chiaramente il significato attribuito non ha connessione alcuna con quello del vocabolo pseudo-africano. In realtà la pronuncia è senz'altro diversa: nel linguaggio del Voodoo, loa suona /lwa/ e deriva dal francese le lois "la legge". Possiamo supporre che proprio questo termine religioso sia stato all'origine dell'ispirazione di Gallun. 

La ricerca onirica dell'Antico Kolum

Gli Itorloo compaiono in un racconto di Jordan S. Bassior, The Dream-Quest of Old Kolum, del 2013, di cui si può leggere il primo capitolo in questo blog:  


Non sono riuscito a trovare i capitoli seguenti. Il titolo dimostra un citazionismo spinto che trovo abbastanza fastidioso. Dell'autore non so praticamente nulla e quanto ho letto lo trovo poco avvincente.  

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STELLE, VOLETE NASCONDERMI?

Autore: Ben Bova
Anno: 1966
Titolo originale: Stars, Won't You Hide Me?
Lingua: Inglese
Tipologia narrativa: Racconto
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Fantascienza apocalittica, Space opera,
     fantacosmologia
Edizione it.: 1984
Editore (it.): Arnoldo Mondadori Editore 
Edizione italiana (antologia):
   
Catastrofi!, Oscar 1767
Traduttore: Giuseppe Lippi
Dettagli dell'antologia:    
    Titolo originale: Catastrophes!
    Curatore: Isaac Asimov
    Sezione: Distruzione dell'Universo

Catalogo Vegetti:



Trama: 

L'umanità è stata annientata dalla specie aliena degli Altri, che è riuscita ad uccidere ogni singolo individuo con l'unica eccezione di Holman, a tutti gli effetti il Superstite. In fuga sulla sua astronave, Holman apprende da un alieno della specie degli Osservatori l'origine e la cronistoria di questa guerra genocidaria. In origine il genere umano si era espanso tra le stelle e aveva subìto epurazione da parte degli Altri, che l'avevano confinato sulla Terra, causando una spaventosa era glaciale per impedirgli ogni nocivo progresso. Tuttavia la glaciazione era finita e una nuova ondata di espansione cosmica dell'umanità era iniziata, provocando una nuova rappresaglia da parte degli Altri, questa volta più radicale. Qual era l'origine di tutto questo? Semplice: gli umani avevano trovato il modo di rendersi immortali tramite il genocidio di una specie aliena indifesa, il Popolo dei Fiori. Per ogni persona immortale, un individuo del Popolo dei Fiori doveva morire. Così la voce dell'Osservatore spiega al Superstite che anche durante la prima espansione cosmica l'umanità aveva individuato in un popolo alieno pacifico una fonte di composti dell'immortalità, avviandone l'annientamento. A questo punto l'Osservatore tace. Un rappresentante degli Altri si manifesta con la propria voce prendendo possesso del computer dell'astronave e afferma la necessità della totale estinzione della specie umana: ucciso Holman, il compito sarà concluso. Giudice, giuria e boia al contempo, l'araldo degli Altri sta per eseguire la sentenza, quando all'improvviso la sua voce tace. Si manifesta una catastrofe improvvisa: l'universo collassa di colpo in totale spregio della relatività gemerale. Sbalzata fuori dal cosmo, l'astronave di Holman è l'unico oggetto sopravvissuto alla forza stritolatrice della gravità. L'ultimo uomo dell'universo urla di gioia e di trionfo: egli è il peccatore che in modo del tutto inatteso è riuscito a sfuggire al Giudizio.  

Recensione: 

La natura conflittuale e aberrante della specie Homo sapiens non è davvero messa in discussione in questo racconto, nonostante le molte pecche insanabili che sono rinfacciate al Superstite, suo ultimo rappresentante, prima dalla voce di un Osservatore e poi da quella di uno degli Altri. Anche se Holman rimane in preda allo shock di fronte alla rivelazione del progetto genocidario nei confronti del Popolo dei Fiori per creare umani immortali, scatta alla fine in lui un orgoglio tipico dell'americano medio: affermare come un vanto ogni aberrazione. La sentenza degli Altri è chiara: "Appartieni a una razza maledetta. Una razza di assassini. La vostra punizione è l'estinzione. Estinzione totale. Per tutta l'umanità. Tutta. Non hai il diritto di resistere. La tua razza è malvagia." Di fronte a parole tanto chiare e condivisibili, Holman reagisce con il solito crogiolo di baggianate, facendo il panegirico di un'umanità viva e vitale, la cui natura comprende aspetti creativi e assassini indissolubilmente legati, che avrebbe quindi diritto di propagarsi a qualsiasi costo. 

Un ritmo apocalittico 

Il racconto è inframmezzato dai versi di un canto religioso di un certo interesse. Ne riporto il testo:

O peccatore, dove pensi di nasconderti 
O peccatore, dove pensi di nasconderti
 
O peccatore, dove pensi di nasconderti 
Quando sarà venuto il giorno? 
 
Ti nasconderai sulla luna: o luna, vuoi nascondermi?
Ma disse il Signore: O peccatore, la luna sanguinerà
Quel giorno.

Correrai verso il mare: o mare, mi nasconderai?
Ma il Signore disse: O peccatore, il mare sarà prosciugato
Quel giorno.

Ti nasconderai presso il Signore: O Signore, vuoi nascondermi?
Ma il Signore dice: O peccatore, dovrai a lungo pregarmi
Quel giorno. 

Ti nasconderai presso Satana: O Satana, vuoi nascondermi?
E Satana risponde: O peccatore, tira dritto
Perché è venuto il giorno.

Ti nasconderai fra le stelle: Stelle, volete nascondermi?
Ma il Signore disse: O peccatore, le stella cadranno
Quel giorno. 

Angoscia assoluta, senso di inesorabilità, Morte Eterna che incombe: il testo è un autentico capolavoro poetico. Si tratta di Sinner Man (Sinnerman), un tradizionale spiritual afroamericano, interpretato negli anni '50 da Les Baxter, the Swan Silverstones, the Weavers e altri, e nel 1965 da Nina Simone in una versione estesa. Diversi testi che ho trovato nel Web sono un po' diversi da quello riportato da Ben Bova. L'originale più aderente a quello usato dall'autore deve essere il seguente: 


(Refrain)
O sinner-man, where are you going to run to?
O sinner-man, where are you going to run to?
O sinner-man, where are you going to run to
     All on that day?

Run to the moon: O moon, won't you hide me?
Run to the moon: O moon, won't you hide me?
Run to the moon: O moon won't you hide me
     All on that day?

The Lord said : O sinner-man, the moon'll be a-bleeding,
The Lord said : O sinner-man, the moon'll be a bleeding,
The Lord said : O sinner-man, the moon'll be a-bleeding
     All on that day.

(Refrain: O sinner-man, etc.)
Run to the stars: O stars, won't you hide me? etc.
The Lord said : O sinner-man, the stars'll be a-falling, etc.
(Refrain: O sinner-man, etc.)

Run to the sea: O sea, won't you hide me? etc.
The Lord said : O sinner-man, the sea'll be a-sinking, etc.
(Refrain: O sinner-man, etc.)

Run to the rocks: O rocks, won't you hide me? etc.
The Lord said : O sinner-man, the rocks'll be a-rolling, etc.
(Refrain: O sinner-man, etc.)

Run to the Lord : O Lord, won't you hide me? etc.
The Lord said : O sinner-man, you ought to been a-praying, etc.
(Refrain: O sinner-man, etc.)

Sinner-man says: Lord, l've been a-praying, etc.
The Lord said : O sinner-man, you prayed too late, etc.
(Refrain: O sinner-man, etc.)

Run to Satan: O Satan, won't you hide me? etc.
Satan said : O sinner-man, step right in, etc.
(Refrain: O sinner-man, etc.)

Come si può vedere, nel racconto mancano soltanto le pietre e le stelle sono messe per ultime.

Le opinioni di Giuseppe Lippi sul racconto

Queste sono le parole del traduttore dell'antologia Catastrofi! nella sua introduzione, Le catastrofi liriche, a proposito del singolare racconto di Ben Bova:

"Parliamo della morte, allora, per differirla, per farne un oggetto di burla. Ben Bova sembra addirittura tentato di negarla: il genere umano uscirà sempre e comunque vincitore, in una visione del mondo che non fa pensare tanto a Prometeo quanto a John Campbell e ai Berretti Verdi. La morte sono gli Altri, gli alieni spietati e invisibili, mentre noi siamo "all right" anche di fronte al collasso dell'universo."

Quale nuovo inizio?

In effetti è un racconto di grande arroganza. Merita di essere segnalato per la sua natura mostruosa. Alla fine, di fronte al Big Crunch, una catastrofe cosmica che fa collassare tutte le galassie in un punto, ecco il superstite che giubila, tremando di esaltazione per essere riuscito a sottrarsi chissà come alla spaventosa forza gravitazionale. Sicuro della cessazione definitiva della minaccia degli Altri, subito pensa di poter dare un nuovo inizio al genere umano, anche in condizioni tanto avverse ed estreme. Sì, certo, tramite parto anale!

Fissismo linguistico

Notiamo un gravissimo difetto che ricorre in un numero immenso di opere fantascientifiche: la lingua dell'umanità, l'inglese americano, è considerata immutabile nei millenni e addirittura nei milioni, nei miliardi di anni. Manca la consapevolezza del mutamento linguistico, nonostante sia sotto gli occhi di tutti che l'inglese di Beowulf è tanto diverso da quello di Obama e di Trump da essere irriconoscibile. Se una lingua è tanto cambiata in poco più di un millennio, a quali stravolgimenti andrebbe incontro in tempi più lunghi? Ve lo dico io: nel giro di diecimila anni, se questo sciagurato genere umano potesse sopravvivere tanto - e mi auguro che così non sia - la lingua inglese darebbe origine a un gran numero di discendenti tra loro mutuamente inintelligibili, lontani da tutto quello che oggi conosciamo come il francese è lontano dal turco. 

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VIA DAL FUOCO 

Autore: Harry Harrison
Anno: 1975
Titolo originale: Run from the Fire
Lingua: Inglese
Tipologia narrativa: Racconto
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Realtà parallele, viaggi nel tempo,
     ucronie, fantascienza apocalittica  
Edizione it.: 1984
Editore (it.): Arnoldo Mondadori Editore
Edizione italiana (antologia):
    Catastrofi!, Oscar 1767
Traduttore: Giuseppe Lippi
Dettagli dell'antologia:    
    Titolo originale: Catastrophes
    Curatore: Isaac Asimov
    Sezione: Distruzione del sole

Catalogo Vegetti:


Trama:

Mark Greenberg è un avvocato ashkenazita newyorkese che viene avvicinato da Arinix, un agente di un'organizzazione in grado di viaggiare tra le linee temporali. Di colpo viene messo di fronte a una realtà sconvolgente. Esistono infiniti universi paralleli e in molti di questi esiste una copia della Terra. In moltissimi di questi pianeti gemelli non si è mai sviluppata la vita, in altri la vita è presente ma non esiste la specie umana, in altri ancora invece esiste, ma il corso storico è stato molto diverso dal nostro. Cosa inquietante, anzi, spaventosa, è il fatto che la maggior parte di queste Terre è accomunato da un evento catastrofico: il sole ha la tendenza a subire una trasformazione esiziale. Nel gergo degli astronomi e dei fisici, si definisce così il fenomeno: il sole abbandona la sequenza principale, nel suo nucleo si innesca il ciclo dell'elio (reazione di Salpeter) e avviene così l'evoluzione in una stella gigante rossa. A causa di questo, il sole si espande e la sua radiazione crescente comincia a diventare una minaccia per la vita. I viaggiatori tra gli universi paralleli provengono da un pianeta chiamato Odio, perché sfigurato dal sole mutato. Un individuo geniale di quel mondo ha trovato il modo per compiere viaggi in altre linee temporali, così ne è nata un'organizzazione votata al salvataggio del maggior numero possibile di esseri umani dalla furia del mostro solare. Arinix rivela a Mark il motivo della scelta: è dovuta al solo fatto che parla la lingua degli Oneida, essendo cresciuto tra loro. In una linea temporale in cui il sole è destinato a mutare entro la fine del secolo, l'Europa è sprofondata in una perenne preistoria a causa di religioni granitiche, la cui superstizione impedisce di uscire dal Neolitico. L'America non è mai stata raggiunta e la Lega delle Nazioni Civili Irochesi è la massima potenza sul globo. Il precedente inviato tra gli Oneida, il Mohawk Joseph Wing, è stato ucciso per essersi mostrato un po' troppo esuberante con una fanciulla, così è necessario qualcuno che, avendo le necessarie conoscenze linguistiche, possa sostituirlo. Mark si reca così nel mondo alternativo descritto, col compito di trasferire gli Irochesi in un mondo vergine, tuttora popolato dalla megafauna pleistocenica e privo di esseri umani, il cui sole è tranquillo.   

Recensione:

Un capolavoro esaltante, che mi ha profondamente colpito quando l'ho letto per la prima volta e che ha lasciato in me un segno: nel corso degli anni non l'ho mai dimenticato. All'epoca in cui venni a conoscenza di Via dal fuoco ero giovane e simili narrazioni mi aprivano la mente, proiettandola nell'Infinito, erano come boccate di ossigeno che mi mantenevano in vita, impedendomi di avvizzire nel grigio mondo che mi circondava. Bizzarramente per me l'autore, Harry Harrison (1925-2012), è finora rimasto per me soltanto un nome. Non ho mai approfondito la sua ricchissima bibliografia, che include un gran numero di romanzi e di racconti, né ho letto altre sue opere oltre a quella in analisi. Una mancanza a cui intendo porre quanto prima rimedio. Del resto non faccio mistero del fatto che la mia cultura fantascientifica è abbastanza erratica e piena zeppa di lacune che per molti appassionati sarebbero inconcepibili. Quello a cui guardo è la sostanza delle cose, che cerco di indagare con ogni mezzo, e mi faccio beffe dell'isterismo delle comunità di lettori idolatri e della limitatezza estrema dei loro intelletti.

Problemi ontologici

L'ontologia temporale presupposta dal racconto è complessa e sembra implicare l'esistenza di infiniti universi sviluppatisi a partire da un singolo evento primordiale. Non è tuttavia un multiverso del tipo presupposto dal fisico americano Hugh Everett III (1939-1982), in cui i corsi temporali si dipartono ad ogni collasso della funzione d'onda quantistica in ogni singolo universo a partire da ogni singolo evento - modello questo che è fortemente critico, come ho mostrato a suo tempo in un articolo sul problema degli infiniti eruttivi. Le linee temporali descritte da Harrison sono universi paralleli nel senso più letterale del termine: in condizioni naturali, senza influenze esterne, evolvolo l'uno accanto all'altro senza la benché minima interazione reciproca. Il passaggio da uno di questi universi all'altro, operato dagli agenti del pianeta Odio, non comporta la benché minima violazione di regole di selezione e non ha effetti deleteri sull'universo in cui i viaggiatori arrivano, né su quello da cui sono partiti. Tutto ciò è suggestivo e oltremodo interessante, anche se non privo di difficoltà concettuali. Per ottenere due universi, caratterizzati entrambi dall'esistenza della Terra e da corsi storici tra loro abbastanza simili, con entità riconoscibili come il Cristianesimo, gli Stati Uniti d'America, il Sudafrica e via discorrendo, sarebbero necessari lunghissimi periodi in cui le interazioni tra ogni singola particella sono assolutamente identiche nei due contesti, per poi cambiare a un certo punto - che possiamo chiamare Punto di Divergenza, anche se mi rendo conto che questa designazione è abbastanza arbitraria. Oppure dovremmo supporre che i due universi, pur avendo corsi storici confrontabili, si siano prodotti a partire da stati iniziali molto diversi tra loro, senza un vero Punto di Divergenza, nel qual caso le somiglianza sarebbero il prodotto di una serie di enigmatiche convergenze. Come definire i rapporti tra gli eventi nei diversi universi paralleli? Oppure dobbiamo ammettere l'esistenza di un'Entità esterna, un Cosmocratore, un Demiurgo, una spaventosa forza che ha modellato consapevolmente queste diverse linee cosmiche per far sì che assumessero un dato aspetto, insito in un progetto predefinito e per noi inconoscibile? Domande a cui per ora non c'è risposta, né sono sicuro che lo stesso autore del racconto si sia posto questi problemi filosofici. 

Note etimologiche

Nel racconto di Harrison è riportato il termine amerindiano orenda, che indica una forza soprannaturale che possiede un individuo e gli fa compiere miracoli, ossia azioni portentose, impossibili a un comune essere umano. Il concetto è diffusissimo tra le tribù del Nordamerica. L'orenda di uno sciamano determina il suo grande potere magico, la sua capacità di profetare e di leggere la sorte. L'orenda di un cacciatore determina la sua capacità di avere successo nel catturare o abbattere selvaggina. L'orenda delle nazioni determina l'esito della guerra. Anche la Natura ha orenda, ad esempio il termine è usato in riferimento a fenomeni in cui si scatena la forza bruta degli elementi, come le tempeste. Si può dire che l'orenda sia una forza panteista che innerva ogni cosa, che si manifesta dovunque, ma che è distinta dalla vita, dallo spirito delle persone e dai fantasmi. Le nazioni Mohawk, Oneida e Cayuga pronunciano la parola orenna o karenna. In Tuscarora la forma in uso è urente, presso gli Uroni (Wyandot) è - o meglio era - orenda o iarenda. In Lakota è chiamato wakd o mahopa, nelle lingue Algonchine è chiamato manitowi (è il famoso Manitou tradotto come "Grande Spirito"), nel remoto Shoshone è chiamato pokunt. La parola irochese per indicare un uso malvagio, letale e distruttivo dell'orenda è otgon.


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Considerazioni finali

A quanto pare c'è stata un'unica edizione italiana di questo splendido e meritorio racconto. Questo ci dice il Catalogo Vegetti. Trovo che sia senz'altro il caso di riproporre Via dal fuoco: trovo inconcepibile che una simile gemma possa scivolare nell'Oblio.