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lunedì 19 settembre 2022

ETIMOLOGIA DELLO SPAGNOLO BRUJO 'STREGONE', BRUJA 'STREGA'

Il professor Fabio Calabrese, persona di cui ho la massima stima, molto spesso si diverte a fare battute argute fondate su assonanze. In una di queste, la parola spagnola brujo "stregone" è considerata omofona dell'italiano bruco "larva di lepidottero". In realtà la pronuncia non è proprio identica. L'omofonia è molto approssimativa: in spagnolo c'è una fricativa velare /x/, mentre in italiano c'è una semplice occlusiva velare /k/. In altre parole, -j- in brujo ha un suono simile a quello di -ch- del tedesco Achtung. Mi rendo conto che per un parlante della lingua italiana non sia facile distinguere suoni a cui non è abituato. Detto questo, sorge una domanda. Qual è l'etimologia delle parole spagnole brujo "stregone" e bruja "strega"? 

L'idea dei romanisti, che sono inclini a spiegare Omero con Omero, è che il brujo sia proprio un bruco, ossia una larva di lepidottero, intesa come manifestazione demoniaca. La parola viene quindi ricondotta al greco βροῦχος (brûkhos) "tipo di locusta senza ali", passato in latino tardo come brūchus, da cui per l'appunto l'italiano bruco. La parola greca, presente in liste di vocaboli di epoca bizantina, è attestata anche la variante βροῦκος (brûkos), senza consonante aspirata; Esichio ci riporta per Creta la variante βρεῦκος (brêukos). L'origine ultima è sconosciuta, anche se si riconosce il suo aspetto non indoeuropeo. Un possibile lontano parente potrebbe essere il latino ērūca "bruco", con la variante ūrūca (potremmo ricostruire una protoforma *ewrouka). L'idea evocata è quella di una masticazione immonda, di un rosicchiare magico che indurrebbe il maleficio, provocando un danno ai viventi - esseri umani o animali che siano.  

I romanisti in questione non tengono conto del fatto che la parola in analisi non è presente soltanto in spagnolo, ma anche in altre lingue romanze occidentali (in cui -x- ha il suono "palatale" /ʃ/, come sc- nell'italiano scia): 

Galiziano: bruxa "strega"
Portoghese: bruxa "strega"
Catalano: bruixa "strega"
Occitano: bruèissa "strega" 

Non tengono nemmeno conto del fatto che al tempo dei Conquistadores, anche j in spagnolo aveva lo stesso suono palatale /s/, del tutto dissimile dall'attuale aspirazione: bruja era pronunciato /ʃ/ e in italiano sarebbe trascritto come *bruscia. La parola non può avere nulla a che fare col bruco. Si tratta di una parola preromana sopravvissuta come elemento di sostrato. 

Ecco la protoforma ricostruibile:  

Proto-celtico: *bruχtijā "strega"  
  Celtiberico: *brūχsā "strega" 
  Note: 
Si è avuta un'assibilazione e la vocale tonica si è allungata per compenso. La forma proto-romanza evolutasi da queste premesse è *brùissa, da cui si sono originate le forme documentate nelle varie lingue della Penisola Iberica. 

Proto-celtico: *briχto-, *briχtu-, *briχtijā "magia" 
   Gallico: brictom, brixtia "magia" 
       (bnanom brictom "la magia delle donne", Piombo
       di Larzac; brixtia anderon "con la magia delle donne", 
       Piombo di Chamalières)
   Antico irlandese: bricht "incantesimo, formula magica"
        (gen. brechtobrechta
      Gaelico d'Irlanda: briocth "incantesimo"; "amuleto"
   Medio gallese: bryth-, -frith "magia"
         (brythron "bacchetta magica"; lledfrith "illusione",
         lett. "mezza magia")
      Gallese moderno: lledrith "illusione"  



L'etimologia ultima è incerta. Secondo alcuni potrebbe essere una variante di una ben nota radice di origine indoeuropea, comune al proto-germanico: 

Proto-celtico: *berχtos "splendido" 
   Antico irlandese: -bertach "splendido" 
      (Flaithbertach "Splendido Principe", antroponimo)
   Medio gallese: berth "bello"; "prospero, ricco"
      Gallese moderno: berth "bello"; "prospero, ricco" 
   Medio bretone: berz "prosperità" 
      Bretone moderno: berzh "prosperità" 


Proto-indoeuropeo: *bherg'h- "splendere", 
        *bherg'h-tó-s "splendente" 
   Proto-germanico: *berχtaz "splendente" 
      Gotico: bairhts "splendente" 
      Antico alto tedesco: beraht "splendente" 
      Norreno: bjartr "splendente" 
    etc.

La semantica non è affatto soddisfacente e sono incline a rigettare questo collegamento. L'idea più sensata è a parer mio quella di considerare il nome proto-celtico della magia un residuo preindoeuropeo oppure un resto di una forma di indoeuropeo preceltico ancora da chiarire. Siamo davanti a un percorso in salita! 

Esisterebbe un'altra possibilità, che non è priva di problemi fonologici. La semantica sarebbe connessa alla visione sfocata, all'inganno allucinatorio della magia. 
 
Proto-gallo-britannico: *briχtos "maculato, screziato" 
   Antico gallese: brith, glossa latina pictam 
     Medio gallese: brith "maculato, screziato" 
     Gallese moderno: brith "maculato, screziato"; "grigio"
         (detto di capelli)
   Medio bretone: briz "maculato, screziato" 
      Bretone moderno: brizh "maculato, screziato"
   Antico cornico: bruit "screziato, striato"
      Cornico: brith, bryth "screziato, striato"; "tartan" 
 
Il punto è che la forma proto-celtica da cui deriva ha *mr-

Proto-celtico: *mriχtos "maculato, screziato" 
   Antico irlandese: mrecht "maculato, screziato" 


Così in antico irlandese abbiamo mrecht "maculato" contro bricht "incantesimo, formula magica": due forme ben distinte tra loro e non assimilabili.

Esistono altre teorie alternative, a parer mio meno plausibili di quella sopra esposta. Le esporrò in questa sede per sommi capi. 

1) Il nome spagnolo della strega deriverebbe dal nome di un'antica divinità femmilile. Il significato sarebbe diventato negativo per via del processo di cristianizzazione. 

Proto-celtico *Brigantī "Somma Dea" 
   (gen. *Brigantijās "della Somma Dea") 
       Antico irlandese: Brigit
          Gaelico d'Irlanda: Bríd
          Gaelico di Scozia: Brìghde, Brìde
           Manx: Breeshey
Note: 
Il nome divino femminile è ben conosciuto. Ne deriva anche il nome della Brianza, ossia "(Terra) della Somma Dea". La radice è molto produttiva e ne è attestato un derivato notevole: 

Proto-celtico: *brigantīnos "capo", "sovrano"
  Antico bretone: brientin, brientinion "sovrano"
    Medio cornico: brentyn, bryntyn "sovrano"
    Medio gallese: brenhin "sovrano" 
      Gallese moderno: brenin "sovrano"
Note: 
In passato questi vocaboli sono stati erroneamente creduto l'etimologia del nome di Brenno.


Proto-indoeuropeo: *bherg'h- "elevare, ascendere"; "essere elevato"  


2) Il nome spagnolo della strega deriverebbe dal nome celtico dell'erica e della brughiera. 

Proto-celtico *wroikos "erica", "brughiera" 
Le parole attestate si sarebbero formate da un composto con un suffisso sibilante: 
maschile *wroiχsos, femminile *wroiχsā  
Significato postulato: "abitante della brughiera".
Dalla stessa radice deriva la parola italiana brughiera, oltre al desueto brugo "erica". Lo stregone, la strega, sarebbero gli abitanti della brughiera. 


Sono propenso a scartare queste etimologie per motivi fonetici. 

Conclusioni 

Spero che questo mio trattatello possa dare un'idea anche vaga di quanta ricchezza culturale è andata perduta per colpa di secolari pregiudizi portati avanti dai romanisti!

sabato 16 ottobre 2021

LE VERE CAUSE DELLA SCOMPARSA DELLA DECLINAZIONE LATINA

Nel pestilenziale ed afflittivo social network Quora, ci sono utenti che si domandano con insistenza come mai la lingua italiana non abbia le declinazioni, pur derivando dal latino. 


Joseph G. Mitterer ha dato questa risposta: 

"Ci sono varie spiegazioni. Generalmente si può dire che in tutte le lingue indoeuropee c'è la tendenza di "semplificare" la morfologia nominale. Sono pochissime le lingue che hanno conservato tutti gli otto casi del proto-indoeuropeo. Il processo di cui parliamo non è, dunque, un fenomeno propriamente romanzo o italiano, ma era già cominciato nel latino (in latino ne sono un documento le molte funzioni dell'ablativo e i resti ancora presenti del locativo) e si osserva anche oggi in altre lingue, come ad esempio nel tedesco il cui genitivo è in via d'estinzione."
 
E ancora: 
 
"Se però parliamo delle ragioni, un motivo fondamentale era lo sviluppo fonologico del latino. Nel latino classico le forme rosa, rosam, rosā erano pronunciate in modo diverso. Poi però le quantità vocaliche sono scomparse, appunto come la -m finale, cosicché le parole succitate si sono tutte frammischiate in un'unica forma rosa. Per ristabilire le informazioni grammaticali che erano andate perse così si è serviti di preposizioni e di una sintassi più regolata."

Una volta identificato in modo sicuro il processo di confusione delle terminazioni, si dovrebbe insistere sulle sue cause fisiche e sulla sua immensa portata. Invece Mitterer enuncia una teoria a mio avviso bizzarra, che inverte il nesso causa-effetto. Non riesco bene a comprendere se il motivo di questa interpretazione dei fatti sia di natura ideologica oppure se debba la sua formazione a un semplice fraintendimento. Così prosegue: 
 
"Tipicamente le spiegazioni finiscono qui. Conviene però aggiungere che ci sono anche altri motivi per questo sviluppo e che, forse, i mutamenti fonologici non erano la ragione ma (forse!) una conseguenza di altri sviluppi. Infatti, come ho detto inizialmente, c'è una tendenza di "semplificazione" nelle lingue indoeuropee. Questa "semplificazione" non si manifesta soltanto nella morfologia nominale, bensì in tanti altri campi della lingua. Per essere più precisi, il fenomeno di cui stiamo parlando non è veramente una "semplificazione", ma una tendenza verso strutture analitiche, cioè una tendenza di dividere parole nelle sue singole funzioni. Ecco cosa avviene se invece di dire uscire si dice andare fuori, se invece di scripsi si dice ho scritto, se invece di altior diciamo più alto ecc. Le ragioni di questo sviluppi hanno, probabilmente, a che fare con la psicologia dei parlanti e con la tendenza di voler fare trasparenti le funzioni degli elementi linguistici, e anche di esprimere tali funzioni con concetti nozionali, "concreti", invece di usare soltanto morfemi grammaticali ormai completamente opachi."

Queste sono le conclusioni a cui giunge: 
 
"Credo che questo aspetto sia ancora sottovalutato nella linguistica, e soprattutto lo sono le possibili conseguenze, come appunto la perdita di distinzioni fonematiche dovuta ai suddetti processi (e non viceversa)."
 
Sono convinto, pace Mitterer, della natura puramente fisica del fenomeno. I suoni emessi da gole umane giungono deboli alle orecchie di chi li ascolta. In particolare, giunge debole la parte finale di ogni pacchetto sonoro trasmesso al cervello dai nervi acustici. Per questo motivo, le code delle parole diventano naturalmente deboli col passar del tempo, finendo per scomparire completamente. Il processo è attestato già nella lingua dei Sumeri, in cui le consonanti finali diventavano mute e nuove consonanti finali si producevano dall'indebolimento di vocali - un po' come è successo in francese: 
 
bid "ano" è diventato bi
dili "singolo, unico" è diventato dil;
dug "parlare", "discorso" è diventato du;
gig "malattia" è diventato gi;
gud "bue", "toro" è diventato gu;
gun "terra", "regione" è diventato gu;
ḫada "secco", "bianco" è diventato ḫad;
itud "luna", "mese" è diventato itu e poi it;
lul "mentitore", "menzogna" è diventato lu;
nad "letto, giaciglio" è diventato na;
pab, pap "padre", "fratello" è diventato pa
siki "capelli" è diventato sig;
taka "toccare" è diventato tak, tag e poi ta
tila "vita" è diventato til e poi ti;
tumu "portare" è diventato tum;
tumu "vento", "punto cardinale" è diventato tum e poi tu;
 
Queste evoluzioni della pronuncia sono documentate dalla scrittura di quel popolo glorioso, senza possibilità di dubbio, nel corso dei secoli. Un simile processo ha dato origine a un gran numero di ambiguità e di equivoci: solo per fare un esempio, a un certo punto lul "mentitore", "menzogna" si pronunciava lu, proprio come lu "uomo". Sono convinto che ciò abbia posto le basi per il declino del sumerico come lingua parlata; come lingua scritta (rituale e scientifica) si è conservato molto più a lungo grazie all'ingegno degli scribi. 

I parlanti non si rendono conto di questo processo ineluttabile di degradazione dei fonemi, non lo comprendono perché credono eterno l'istante. Proiettano il presente all'infinito nel passato e nel futuro. Nella loro stoltezza presentacea, credono che le cose siano immutabili. Una simile usura fonetica delle code delle parole porta alla perdita delle capacità di contrasto tra forme diverse, che finiscono così col collassare. Cosa accade se dalla capacità di distinguere alcuni suoni finali di parola dipende la grammatica stessa della lingua? Semplice: accade che vengono a collassare declinazioni e coniugazioni. I paradigmi perdono la loro efficacia, alimentando una grande confusione. Per ovviare a questo problema, la lingua giocoforza si riorganizza, tenta di costruire nuovi schemi che siano funzionanti, in grado di permettere la comprensione tra i parlanti. Quando un paradigma grammaticale si indebolisce e muore, un altro sorge per rimpiazzarlo. 
 
Pestilenziali utenti di Facebook  

Su Facebook, in un gruppo sulle lingue locali e minoritarie dell'Italia, è esploso un flame a causa di M., una professoressa del liceo la cui cultura era autoreferenziale. Costei aveva appreso l'ABC del mondo e credeva fermamente che al di fuori di queste nozioncine non potesse esistere alcunché. Non considerava le declinazioni del latino una realtà di una lingua che secoli fa viveva ed era soggetta ai mutamenti: per lei erano invece schemi ieratici ed assoluti, incisi sulle tavole di pietra di una cabala in cui la lingua scritta doveva per decreto divino precedere quella parlata. Non capiva come i Romani avrebbero potuto esprimere la differenza tra il soggetto e il complemento oggetto se le desinenze della declinazione non avessero avuto proprio la pronuncia insegnata a scuola, che impone di distinguere -um da -u. Solo per fare un esempio, ignorava che già sussisteva nella lingua classica l'impossibilità di operare la distinzione tra il soggetto e il complemento oggetto in parole di genere neutro! Non capiva che i suoi paradigmi a un certo punto sono andati a farsi fottere, o l'italiano avrebbe le parole con fortissime -m finali! Forse non sapeva neppure che le lingue romanze derivano dal latino volgare. Possibile che ci sia ancora chi crede che in latino si pronunciassero delle -m finali possenti come muggiti di bovini?! Il concetto espresso da M. era questo: se qualcosa non rientra nel programma scolastico delle superiori, significa che non esiste. Filologia romanza? Un libro chiuso. Epigrafia latina? Un libro chiuso. Grammatici antichi? Un libro chiuso. Se si dovesse ragionare così con la fisica, Rovelli sarebbe considerato un perditempo. Non mi stancherò mai di stigmatizzare le mostruosità prodotte dal sistema scolastico italiano. Potrei parlare delle iscrizioni di Pompei, delle occorrenze di parole senza -m attestate già in epoca antica, di Augusto che diceva "da mi aqua calda". Piaccia o no, le cose stanno così. Il defunto professor C. si era spinto al punto da affermare che la -m finale i Romani non la pronunciavano. Bisognerebbe comprendere bene di quale epoca stiamo parlando. In ogni caso, sembra proprio che sia stato un suono assai debole fin dal principio e che si sia perso presto. Non sono mancati tentativi di restaurazione dotta. Dioscoride trascriveva la -m finale, avendola con ogni probabilità sentita pronunciare pienamente da qualcuno, ma doveva trattarsi della lingua aulica, molto artificiosa e distante da quella del volgo. A che servirebbe andare avanti? Facebook è una colossale perdita di tempo.

La lingua d'oc e la lingua d'oïl 
 
Uno schema ridotto, derivato dalla II declinazione del latino, ha continuato a vivere per secoli nelle lingue romanze parlate nel territorio un tempo conosciuto come Gallia Transalpina. Eccolo: 
 
Singolare
Nominativo: -s < *-us 
Obliquo (accusativo): - < *-u(m)
 
Plurale
Nominativo: - < *-ī
Obliquo (accusativo): -s < *-ōs 
 
Riporto un esempio dalla lingua d'oc (antico provenzale).  
Questa è la declinazione di cavals "cavallo", che deriva direttamente dal latino caballus "cavallo da fatica", "cavallo da tiro" (che nella lingua volgare ha sostituito equus "cavallo").
 
Singolare 
Nominativo: lo cavals 
   < ille caballus 
Obliquo: lo caval 
   < illu(m) caballu(m)
 
Plurale  
Nominativo: li caval 
   < illī caballī 
Obliquo: los cavals 
  < illōs caballōs 

Riporto un esempio dalla lingua d'oïl (antico francese). La pronuncia non è quella del francese moderno: le sibilanti finali -s si pronunciavano. Questa è la declinazione di veisins "vicino", che deriva direttamente dal latino vīcīnus (aggettivo sostantivato). 
 
Singolare  
Nominativo: li veisins 
   < ille vīcīnus
Obliquo: le veisin 
   < illu(m) vīcīnu(m)  

Plurale
Nominativo: li veisin 
   < illī vīcīnī 
Obliquo: les veisins
   < illōs vīcīnōs

Come potete vedere, in Francia, Provenza e Linguadoca esisteva ancora in pieno Medioevo uno schema di declinazione ben funzionante, per quanto ridotto rispetto a quello del latino classico. In francese, discendente della lingua d'oïl, la declinazione ha cominciato a non funzionare più quando le sibilanti finali -s si sono indebolite e sono cadute, a partire dalla metà del XIV secolo. Nella lingua moderna, nella maggior parte dei casi è prevalsa la forma obliqua, anche se ci sono numerose eccezioni. 
 
Il caso della Dacia 
 
Il latino volgare della Dacia, ossia l'antenato del rumeno, aveva indebolito le consonanti finali di parola, fino a perdere non soltanto -m, ma anche -s, com'è avvenuto in Italia. Nonostante ciò, l'agglutinazione dell'articolo derivato da un pronome dimostrativo, ha permesso alla declinazione di conservarsi. 
 
Per analogia con il dativo singolare cūi del pronome relativo, si sono formati i dativi *ūnūi e *illūi, da cui in rumeno si sono avuti unui (articolo indeterminativo) "a un", "di un" e il suffisso -lui (articolo determinativo) "al", "del". I genitivi plurali maschili/neutri ūnōrum e illōrum hanno dato origine a unor (articolo inteterminativo) "ad alcuni", "di alcuni" e al suffisso -lor (articolo determinativo) "ai", "dei". In altre parole, si può dire che si è costruita una nuova declinazione dalla destrutturazione di quella antica. 

Singolare
om < homō 

Nominativo/accusativo: 
   indeterminato: un om "un uomo" 
   determinato: omul "l'uomo"
     < homō ille

Genitivo/dativo
  indeterminato: unui om "di un uomo"/"a un uomo"
  determinato: omului "dell'uomo"

Vocativo: omule "o uomo"

Plurale 
oameni < hominēs

Nominativo/accusativo 
  indeterminato: nişte oameni "alcuni uomini"
  determinato: oamenii "gli uomini"
     < hominēs illī

Genitivo/dativo
  indeterminato: unor oameni "di alcuni uomini"/"ad alcuni
       uomini"
  determinato: oamenilor "degli uomini" 
    < hominum illōrum 

Vocativo: oamenilor "o uomini" 
 
Come si può vedere, si è conservato qualcosa dell'antico paradigma latino, ma è altrettanto vero che molto è stato rifatto.

La decadenza del genitivo in tedesco 

Nel tedesco odierno il genitivo è in forte decadenza, essendo sempre più spesso sostituito dalla preposizione von con il dativo. Eppure, ancora nella prima metà del XX secolo, il genitivo era in uso abbastanza rigoglioso. Ecco alcune testimonianze di questo declino, che pare inarrestabile.


"Il caso genitivo è il quarto, ultimo e meno utilizzato caso tedesco. È quasi completamente sostituito dal caso dativo nel parlato e nella scrittura di tutti i giorni." 
 
"Quindi, quello che devi sapere è che non devi imparare il caso genitivo: puoi gestire benissimo le situazioni quotidiane anche senza di esso."
 
"Il caso genitivo in tedesco è uno strano fenomeno al giorno d'oggi. Attualmente è in fase di cancellazione dalla lingua... ma nel frattempo a volte viene ancora utilizzato." 
 
"Il suo strano status di moribondo significa che il genitivo è usato raramente nel tedesco comune e quotidiano; ma è ancora appeso con le unghie nel mondo accademico e in altri registri formali." 

"A meno che tu non sia a un certo punto nei tuoi studi sul tedesco, in cui non riesci a pensare a un’altra benedetta cosa su cui lavorare oltre al caso genitivo, in realtà per ora consiglierei di continuare a ignorarlo."

"A seconda dei tuoi studi o del tuo lavoro, potresti non aver mai bisogno di usare effettivamente il genitivo stesso (a parte forse alcune frasi facili da memorizzare)."

"Ma se scegli di imparare il caso genitivo, probabilmente capirai meglio le notizie, i documenti legali e la letteratura... e c'è qualcosa (di utile) in questo!"

Questo è un caso molto singolare in cui si è sviluppato un processo di autolisi grammaticale non necessaria, avente come risultato la distruzione della lingua e dell'identità. Il genitivo funzionava benissimo, non c'era alcun indebolimento fonetico delle terminazioni caratteristiche. A mio avviso le motivazioni del disastro sono innanzitutto politiche e ideologiche: tutto ciò è stato innescato dall'autorazzismo!

Latino e lituano: un rapido confronto
 
L'usura delle code delle parole non colpisce tutte le lingue con la stessa velocità. Per questo il lituano ha conservato molto bene la declinazione ereditata dall'indoeuropeo, mentre il latino volgare l'ha consumata fino alla scomparsa completa. Riportiamo alcuni esempi significativi per illustrare meglio il concetto. 
Questa è la declinazione del sostantivo výras "uomo" in lituano, derivato dalla stessa radice indoeuropea che ha dato il latino vir "uomo": 
 
Singolare 
 
nominativo: výras
genitivo: výro 
dativo: výrui 
accusativo: výrą 
strumentale: výru 
locativo: výre 
vocativo: výre 

Plurale 

nominativo: výrai 
genitivo: výrų 
dativo: výrams
accusativo: výrus
strumentale: výrais
locativo: výruose
vocativo: výrai 

Questa è la declinazione del corrispondente vocabolo nel latino classico: 

Singolare 

nominativo: vir
genitivo: virī
dativo: virō
accusativo: virum 
vocativo: vir
ablativo: virō

Plurale

nominativo: virī
genitivo: virōrum, virum
dativo: virīs 
accusativo: virōs 
vocativo: virī
ablativo: virīs 
 
Senza entrare troppo nei dettagli, si riescono ancora oggi a individuare le forme simili, derivate da un identico prototipo indoeuropeo (IE).  
 
Dat. sing. virō = Dat. sing. výrui 
   < IE: -ōi
 
Acc. sing. virum = Acc. sing. výrą 
   < IE: -om
 
Voc. sing. vir = Voc. sing. výre 
  < IE: -e
Nota: 
In latino la terminazione -e è scomparsa nei nomi in -r della II declinazione, ma è presente in quelli che conservano -us al nominativo. 

Abl. sing. virō = Strum. sing. výru 
   < IE: -ōd 
 
Nom./voc. pl. virī =  Nom./voc. pl. výrai 
   < IE: -oi  

Gen. pl. virum = Gen. pl. výrų 
  < IE: -ōm
Note: questo genitivo latino continua la forma più antica, poi sostituita da virōrum < *wirōzōm

Acc. pl. virōs = Acc. pl. výrus
   < IE: -ons 

Dat./abl. pl. virīs = Strum. pl. výrais
   < IE: -ois 
 
Come spiegare queste discrepanze? Le genti baltiche sono rimaste in una condizione di grande isolamento dal mondo esterno in cambiamento tumultuoso. Giusto per fare un esempio, hanno adottato il Cristianesimo molto tardi, soltanto verso la fine del XIV secolo. Non ne sono ancora del tutto sicuro, ma credo che i sistemi grammaticali più complessi abbiano la tendenza a trovarsi tra i popoli più isolati. La questione merita di certo ulteriori approfondimenti. Sarò lieto di trattare molti altri casi di semplificazione, scomparsa e ristrutturazione della declinazione in numerose lingue di cui ho qualche rudimento.  

martedì 8 dicembre 2020

I DOPPIONI NELLA LINGUA ITALIANA

In linguistica l'allotropia (o fenomeno allòtropo) è un insieme di parole che si sono originate dalla stessa matrice, come ad esempio la lingua latina, seguendo però vie diverse. Le allotropie più interessanti sono quelle in cui si ha l'opposizione tra la trafila popolare e la trafila dotta. Nel primo caso una parola è giunta fino a noi dalla lingua d'origine tramite la genuina usura fonetica ad opera del volgo, spesso subendo anche notevoli slittamenti semantici (ossia cambiamenti di significato), mentre nel secondo caso la stessa parola è stata introdotta artificialmente nella lingua viva per intervento dei letterati, degli accademici, degli ecclesiastici, delle istituzioni politiche e via discorrendo. Una parola passata per la trafila popolare è detta anche voce ereditaria o voce patrimoniale. Una parola passata per la trafila dotta è detta anche voce colta o cultismo. Non sempre le cose sono così semplici. Se una parola è stata presa a prestito da un'altra lingua imparentata, come ad esempio il francese, è voce ereditaria di tale lingua: la trafila popolare è avvenuta nella lingua donatrice. Spesso le allotropie sono chiamate doppioni o doppietti, consistendo delle due forme sopra descritte. Si insiste sul fatto che una voce ereditaria debba essere stata trasmessa tramite tradizione ininterrotta, senza aver subito discontinuità e successivi ripristini. Nel caso dell'italiano, questo percorso non si è svolto necessariamente sempre in Toscana, ma anche in altre regioni della Penisola, con diverse tradizioni linguistiche (è questo il caso di alcune parole di origine genovese o veneziana).
  
Riporto alcuni notevoli doppioni che si trovano nella lingua italiana. Non amando parlare di "triploni" o di "quadruploni", quando ci sono più di due forme derivate dalla stessa voce latina, in genere le risolvo in più doppioni. Molte voci, sia ereditarie che colte, sono oggi estinte: in questo caso le marchiamo con una croce (). In un'epoca in cui l'Idiozia Artificiale impera, si fa una fatica enorme a trovare nel Web un elenco completo di questo tipo di allotropi. Cerco per quanto possibile di sopperire alla mancanza, pur non avendo la presunzione di trattare in modo esauriente l'argomento.
 

Forma volgare

Forma dotta

Origine latina

abate

†abbate

abba:te(m)

acquaio

acquario

aqua:riu(m)

†adoltero, †adoltro

adultero

adulteru(m)

agevole

agibile

agibile(m)

Agosto

Augusto

Augustu(m)

agro

acre

acre(m)

†agumine

acume

acu:men

aia

area

a:rea(m)

aitante

aiutante

adiu:tante(m)

†aitare

aiutare

adiu:tare

aiuola

areola

a:reola(m)

†Alemagna,
†Lamagna

Alemannia

Alemannia(m)

allegro

alacre

alacre(m)

alloro

lauro

lauru(m)

†alma

anima

anima(m)

angoscia

angustia

angustia(m)

annale

annuale

annua:le(m)

†ànsima

asma

asthma

aria

àere

aëra, aëre(m)

†asciolvere

assolvere

absolvere

ascoltare

auscultare

ausculta:re

†assempio

esempio

exe:mplu(m)

attimo

atomo

atomu(m)

baccello

bacillo

bacillu(m)

bacìo

opaco

*opa:ci:vu(m),
opa:cu(m)

badia

abbazia

abba:tia(m)

befana

Epifania

epiphania(m)

Benito

benedetto

benedictu(m)

bestemmia

blasfemia

blasphe:mia(m)

biasimo

blasfemo

blasphe:mu(m)

bieco

obliquo

obli:quu(m)

biscia

bestia

be:stia(m)

Borgogna

Burgundia

Burgundia(m)

borgognone

burgundo

burgundio:ne(m), burgundu(m)

bottega

apoteca

apothe:ca(m)

bravo

pravo

pra:vu(m)

brutto

bruto

bru:tu(m)

Bucintoro

bucentauro

bu:centauru(m)

cagione

occasione

occa:sio:ne(m)

caglio, †quaglio

coagulo

coa:gulu(m)

caldo

†calido

calidu(m)

†carrobbio

quadrivio

quadriviu(m)

cavo “fune”

capo

caput

ceppo

cippo

cippu(m)

cerchio

circolo

circulu(m)

cerusico

chirurgo

chi:ru:rgu(m)

Chiara

Clara

Cla:ra(m)

chiavica

cloaca

cloa:ca(m)

chierico

clerico

cle:ricu(m)

chiosa

glossa

glo:ssa(m)

chiostro

claustro

claustru(m)

chiusura

clausura

clausu:ra(m)

civaia

cibaria

ciba:ria

cinghiale

singolare

singula:re(m)

cirnèco “tipo di
cane”

cirenaico

cy:re:naicu(m)

còllera

coléra

cholera(m)

colto

culto

cultu(m)

coltura

cultura

cultu:ra(m)

comprare,
comperare

comparare

compara:re

conio

cuneo

cuneu(m)

contado

comitato

comita:tu(m)

contare

computare

computa:re

conte

†còmito

comite(m)

coppia

copula

co:pula(m)

corazza

coriacea

coria:cea(m)

coricare

collocare

colloca:re

cosa

causa

causa(m)

costare

constare

co:nsta:re

†credevole

credibile

cre:dibile(m)

cresima

crisma

chri:sma

desco

disco

discu(m)

†desiare, †desirare

desiderare

desi:dera:re

†desìo, †desìro

desiderio

desi:deriu(m)

ditale

digitale

digita:le(m)

doge

duce

duce(m)

dritto, diritto

diretto

di:rectu(m)

ergere

erigere

e:rigere

†ermo

eremo

ere:mu(m)

†etterno

eterno

aeternu(m)

favola, fiaba, fola

†fabula

fa:bula(m)

feccia

feci

*faecea, feaece:s

fermare

firmare

firma:re

fiaccola

facola, facula

facula(m)

fiato

flato

fla:tu(m)

fievole

flebile

fle:bile(m)

fiotto

flutto

fluctu(m)

foce

fauci

fauce(m), fauce:s

foga

fuga

fuga(m)

foia

furia

furia(m)

frazzo

fracido

fracidu(m)

†frale

fragile

fra:gile(m)

frode

†fraude

fraude(m)

freddo

frigido

fri:gidu(m)

gabbia

cavea

cavea(m)

gallinaccio

gallinaceo

galli:na:ceu(m)

ghianda

glande

*glanda(m), glande(m)

†giacchio “tipo di
rete”

†iaculo “dardo; tipo di serpente”

iaculu(m)

giaggiolo

gladiolo

gladiolu(m)

giogante

gigante

gigante(m)

giorno

diurno

diurnu(m)

giuoco

gioco

iocu(m)

giustezza

giustizia

iu:stitia(m)

gomito

cubito

cubitu(m)

granchio

cancro

cancru(m)

grasso

crasso

crassu(m)

grotta

cripta

crypta(m)

guaina

vagina

vagi:na(m)

inchiostro

encausto

encaustu(m)

†inchiudere

includere

inclu:dere

intero

integro

integru(m)

†inveggia

invidia

invidia(m)

iscrivere

inscrivere

inscri:bere

ladino

latino

lati:nu(m)

†lattovaro “tipo di farmaco”

elettuario

e:lectua:riu(m)

lavezzo “pietra ollare”

lapideo

lapideu(m)

leggenda

legenda

le:genda

†liofante, †lionfante

elefante

elephante(m)

lode

†lauda, †laude

laude(m)

†lòico

logico

logicu(m)

Lombardia

Longobardia, Langobardia

Longobardia(m),
Langobardia(m)

lombardo

longobardo

longobardu(m),
langobardu(m)

†lonza “tipo di belva”

lince

*luncea(m), lynce(m)

lordo

lurido

lu:ridu(m)

lulla “lunetta di una botte”

lunula

lu:nula(m)

macchia

†macola, macula

macula(m)

macchiato

†macolato, maculato

macula:tu(m)

†macìa

macerie

ma:cerie(m)

macina

macchina

ma:china(m)

macinare

macchinare

ma:china:ri:

magione

mansione

ma:nsio:ne(m)

malinconia

†melancolia, melanconia

melancholia(m)

manfruito

ermafrodito

hermaphrodi:tu(m)

†manicare, †manucare

†manducare

manduca:re

manovale

manuale

manua:le(m)

marcio

marcido

marcidu(m)

Maremma

marittima

maritima(m)

†martòro, †martìro

martirio

martyriu(m)

mattino

mattutino

matu:ti:nu(m)

matto

madido

madidu(m)

†menomo

minimo

minimu(m)

meraviglia, †maraviglia

mirabilia

mi:ra:bilia

mestiere

ministero

ministeriu(m)

mezzano

mediano

media:nu(m)

mezzo

medio

mediu(m)

micragna “miseria”

emicrania

he:micrania(m)

milanese

mediolanense

mediola:ne:nse(m)

†minugia “budello”

minuzia

minu:tia(m)

moggio

modio

modiu(m)

netto

nitido

nitidu(m)

†notomìa

anatomia

anatomia(m)

novero

numero

numeru(m)

†nodrire

nutrire

nu:tri:re

nuvola

nube

nu:bila, nu:be(m)

oliato

oleato

olea:tu(m)

†olifante “corno da caccia”

elefante

elephante(m)

onorevole

onorabile

hono:ra:bile(m)

†orrevole

onorabile

hono:ra:bile(m)

ospedale

ospitale

hospita:le(m)

oste

ospite

hospite(m)

†ozìaco “funesto”

egizìaco

aegyptiacu(m)

pabbio “tipo di graminacea”

pabulo

pa:bulu(m)

padrone

patrono

patro:nu(m)

pagare

†pacare

pa:ca:re

†palagio

palazzo

pala:tiu(m)

pania

pagina

pa:gina(m)

†parlesìa

paralisi

paralysi(m)

†parletico

paralitico

paralyticu(m)

parmigiano

parmense

*parme:nsia:nu(m), parme:nse(m)

parola

parabola

parabola(m)

pazzo

paziente

patie:ns, patiente(m)

pellegrino

peregrino

peregri:nus

pesare

pensare

pe:nsa:re

pidocchio

pediculo

*pe:duculu(m) pe:diculu(m)

piega

plica

plica(m)

pieve

plebe

ple:be(m)

pigione

pensione

pe:nsio:ne(m)

†piuvico

pubblico

pu:blicu(m)

piva

pipa

pi:pa(m)

podere

potere

*pote:re

podestà

potestà

potesta:te(m)

poggio

podio

podiu(m)

pollo

pullo

pullu(m)

posa

pausa

pausa(m)

posare

pausare

pausa:re

pregio

prezzo

pretiu(m)

†prence, †prince

principe

princeps, principe(m)

prete

presbitero

presbyteru(m)

Provenza

provincia

pro:vincia(m)

provenzale

provinciale

pro:vincia:le(m)

†quadroppio

quadruplo

quadruplu(m)

ratto “veloce”

rapido

rapidu(m)

razza “tipo di
pesce”

raia

raia(m)

razzo, raggio

radio

radiu(m)

reale

regale

re:ga:le(m)

†reddenza

redenzione

redemptio:, redemptio:ne(m)

reggia

regia (agg.)

re:gia(m)

Reggio

regio

re:giu(m)

†reina

regina

re:gi:na(m)

ressa

rissa

rixa(m)

ricoverare

recuperare

recupera:re

rio “fiume”

†rivo, rivolo

ri:vu(m), ri:vulu(m)

†rio “malvagio”

reo

reu(m)

ristorare

restaurare

restaura:re

ristoratore

restauratore

restaura:to:re(m)

ristorazione

restaurazione

restaura:tio:ne(m)

rione

regione

regio:ne(m)

†rocchio

rotolo

rotulu(m)

roco

rauco

raucu(m)

†romita

eremita

ere:mi:ta(m)

rovesciare

riversare

reversa:re

rovescio

riverso

reversu(m)

†ruga “bruco”

eruca

eru:ca(m)

Romagna

Romània

Ro:ma:nia(m)

saetta

†sagitta

sagitta(m)

†sagrifizio

sacrificio

sacrificiu(m)

sanguigno

sanguineo

sanguineu(m)

†sceda

scheda

scheda(m)

scempio
“atto crudele”

esempio

exe:mplu(m)

scempio
“non doppio”

semplice

simplex,
simplice(m)

scialare

esalare

ex(h)a:la:re

sciame

esame

exa:men

scrivano

scriba

scri:ba(m)

secchia, secchio

situla

situla(m)

†secchio “cinque anni”

secolo

saeculu(m)

segare

†secare “tagliare”

seca:re

sego, †sevo

sebo

se:bu(m)

selce

silice

silice(m)

senza

assenza

absentia:, absentia(m)

serpe

serpente

serpe:ns, serpente(m)

servigio

servizio

servitiu(m)

sodo, saldo

solido

solidu(m)

soldo

solido

solidu(m)

spada

spata “tipo di foglia”

spatha(m)

spasimo

spasmo

spasmu(m)

spazzare

spaziare

spatia:re

spazzo “suolo”

spazio

spatiu(m)

specchio

specolo

speculu(m)

spicchio, spigolo

†spiculo

spi:culu(m)

†spirto

spirito

spi:ritu(m)

spremere

esprimere

exprimere

†staggio, stazza

stadio

stadiu(m), stadia

stagione, †stazzone

stazione

statio:ne(m)

stelo

stilo

stilu(m)

†sterpare, strappare

estirpare

extirpa:re

sterpo

stirpe

*stirpu(m), stirpe(m)

†stoggio “lusinga”

studio

studiu(m)

stra-

extra-

extra:-

strano

estraneo

extra:neu(m)

stremo

estremo

extre:mu(m)

†strolomìa, †storlomìa

astronomia

astronomia(m)

teglia, tegghia

tegola

te:gula(m)

topo

talpa

*talpu(m), talpa(m)

torchio

tòrcolo

torculu(m)

†tòsco “veleno”

tossico

toxicu(m)

†trebbio “incrocio di
tre vie”

trivio

triviu(m)

†tremuoto, tremòto

terromoto

terrae mo:tu(m)

udire

†aldire, †audire

audi:re

ufficio, uffizio

opificio

opificiu(m)

uopo

opera

opus, opera

urlare

ululare

ulula:re

uscio

ostio “orifizio”

o:stium

†utonno

autunno

autumnu(m)

†vagellare

vacillare

vacilla:re

vaio

vario

variu(m)

vangelo

evangelo, evangelio

evangeliu(m)

vergogna

verecondia

verecundia(m)

vernaccia “tipo di vino”

vernacola (agg.)

verna:cula(m)

vescovado

episcopato

episcopatu(m)

vescovo

†episcopo

episcopu(m)

vezzo

vizio

vitiu(m)

vezzoso

vizioso

vitio:su(m)

vogare

†vocare

vo:ca:re

zampogna

sinfonia

symphonia(m)

zimbello

cembalo

cymbalu(m)

zotico

idiotico

idio:ticu(m)

 
 
A volte una forma dotta non è genuina, bensì il risultato di analogia o ipercorrettismo: avrà l'aspetto di una forma più fondata e nobile di quella popolare, pur non essendolo. 
 
Forma volgare: dugento                   
Forma artificiosa: duecento                    
 
Forma volgare: secento
Forma artificiosa: seicento  
 
Le forme dugento e secento sono tuttora usate in Toscana. L'aggettivo secentesco è presente anche nella lingua standard.
Per contro, le forme duecento e seicento sono ricostruzioni fondate sull'analogia, da due + cento e sei + cento: non provengono direttamente dalla lingua latina, che ha rispettivamente ducenti e sescenti
 
Una forma popolare può essere un prestito da altre lingue romanze, soprattutto dal provenzale e dal francese, la cui influenza sull'italiano fu considerevole in epoca medievale. Così provengono dalla lingua provenzale le parole artiglio, periglio, viaggio, etc., mentre provengono dalla lingua d'oïl le parole ceffo, ostello, etc. Si noterà che ostello è usato già da Dante, come ognuno ben sa (Ahi serva Italia, di dolore ostello, Purgatorio, canto VI). 

Forma volgare mediata

Forma dotta

Origine latina

Lingua mediatrice

artiglio

articolo

articulu(m)

provenzale

azienda

faccenda

facienda(m)

castigliano

caviglia

clavicola

cla:vi:cula(m)

provenzale

ceffo

capo

caput

lingua d’oïl

congedo

commiato

commea:tu(m)

lingua d’oïl

coniglio

cunicolo

cuni:culu(m)

provenzale

cretino

cristiano

chre:stia:nu(m), chri:stia:nu(m)

lingua d’oïl

cugino

consobrino

consobri:nu(m)

lingua d’oïl

mangiare

†manducare

manduca:re

lingua d’oïl

ostello

ospitale

hospita:le(m)

lingua d’oïl

paladino

palatino

pala:ti:nu(m)

lingua d’oïl

periglio

pericolo

peri:culu(m)

provenzale

periglioso

pericoloso

peri:culo:su(m)

provenzale

selvaggio

selvatico

silva:ticu(m)

provenzale

sembrare,
sembiare

simulare

simila:re,
simula:re

provenzale

vegliare

vigilare

vigila:re

provenzale

ventriglio

ventricolo

ventriculu(m)

provenzale

viaggio

viatico

via:ticu(m)

provenzale

 
 
Si hanno poi casi di doppioni recenti in cui una forma è genuinamente italiana, esistendone un'altra di identica etimologia ma di provenienza francese, inglese o anglolatina. In altri casi entrambe le forme allotropiche sono prestiti francesi o inglesi, ma uno è recente e non assimilato, mentre l'altro è assimilato. Come c'è da aspettarsi, il significato delle parole che formano un doppione di questo tipo può essere molto divergente (o non si sarebbe avvertita la necessità del prestito). Questi sono alcuni esempi:
 

Prestito
non assimilato

Lingua d’origine

Prestito assimilato o forma ereditaria

austerity

inglese

austerità

beige

francese

bigio “grigiastro”

boutique

francese

bottega

bow-window

inglese

†bovindo

chef

francese

ceffo

computer

inglese

computatore

condom

inglese

goldone

cult

inglese

culto

hobby

inglese

†ubino “pony”

hôtel

francese

ostello

jazz

inglese

†giazzo

jet

inglese

getto

maître

francese

maestro

plus

anglolatino

più

restaurant

francese

ristorante

rosé

francese

rosato

solarium

anglolatino

solaio

sport

inglese

diporto

supportare
“sostenere”

inglese

sopportare


 
A mio avviso l'introduzione del verbo supportare può essere attribuita a Berlusconi: a quanto ricordo - mi si corregga se sbaglio - ha cominciato a comparire dopo la sua entrata in politica. 
 
Come ci ricorda Grandgent, i parlanti del latino volgare non avvertivano il bisogno di avere molti aggettivi a loro disposizione. Quindi accadde che numerosissime formazioni, tipiche del linguaggio aulico, finirono con l'essere dimenticate. Quando furono recuperate, dopo secoli, il loro aspetto fonetico dava testimonianza chiara della discontinuità. Ecco alcuni esempi:  
 

Forma volgare

Aggettivo dotto

Origine latina

albero

arboreo

arboreu(m)

aria

aereo

a:ëreu(m)

avorio

eburneo

eburneu(m)

Bibbia

biblico

biblicu(m)

Campidoglio

capitolino

capito:li:nu(m)

cervello

cerebrale

cerebra:le(m)

diamante

adamantino

adamanti:nu(m)

diavolo

diabolico

diabolicu(m)

fiele

felleo

felleu(m)

fiore

floreale

flo:rea:le(m)

fiume

fluviale

flu:men, fluvia:le(m)

ghiaccio

glaciale

glacia:le(m)

Ivrea

eporediese

epore:die:nse(m)

legge

legale

le:ga:le(m)

luogo

locale

loca:le(m)

madre

materno

ma:ternu(m)

maestro

magistrale

magistra:le(m)

meriggio

meridiano

meri:dia:nu(m)

mese

mensile

me:nsi:le(m)

moglie

muliebre

muliebre(m)

nebbia

nebuloso

nebulo:su(m)

neve

niveo

niveu(m)

nozze

nuziale

nuptia:le(m)

occhio

oculare

ocula:re(m)

orecchio

auricolare

auricula:re(m)

oro

aureo

aureu(m)

orso

ursino

ursi:nu(m)

padre

paterno

paternu(m)

piazza

plateale

platea:le(m)

pioggia

pluviale

pluvia:le(m)

piombo

plumbeo

plumbeu(m)

più

plurale

plu:ra:le(m)

pomeriggio

pomeridiano

postmeri:dia:nu(m)

pontefice

pontificio

pontificiu(m)

re

regale

re:ga:le(m)

saetta

sagittabondo

sagittabundu(m)

smeraldo

smaragdino

smaragdi:nu(m)

specchio

speculare

specula:re(m)

toro

taurino

tauri:nu(m)

Trento

tridentino

tridenti:nu(m)

Vangelo

evangelico

evangelicu(m)

veleno

venefico

vene:ficu(m)

vescovo

episcopale

episcopa:le(m)

 
 
Come si può ben vedere, l'aggettivo latino non ha dato esiti nella lingua volgare, così è stato ripristinato dai letterati nella forma originaria. Questo processo affina le possibilità di espressione del pensiero, ma presenta il gravissimo svantaggio di oscurare la lingua. I dotti avevano una buona conoscenza della lingua latina letteraria, quindi ai loro occhi non era presente alcuna idiosincrasia. I problemi iniziano quando a parlare italiano sono persone che del latino non hanno la benché minima nozione. Non è una piaga recente. Ne I promessi sposi di Alessandro Manzoni, l'impetuoso Renzo interrompe don Abbondio con queste parole: "Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?" Sempre nella stessa opera, Agnese parla di "matrimonio gran destino" anziché "matrimonio clandestino": ha applicato un'etimologia popolare a una parola che le sembrava aliena!

Non dobbiamo mai dimenticare che Dante Alighieri fu un vero e proprio "conlanger". Egli creò una lingua letteraria e poetica tramite interventi del suo genio nella scelta dei vocaboli esistenti e nella produzione di neologismi. Provando allergia per la parola beninanza, di chiara importazione provenzale, decise di sostituirla artificiosamente con benignità, vocabolo da noi tuttora usato. Francamente preferirei dire beninanza, ma se lo facessi finirei in un reparto di psichiatria. Dante introdusse nel linguaggio della Commedia crudi latinismi come audivi "udii", viro "uomo" e appulcrare "abbellire" (altri li definiscono in modo più anodino "latinismi solenni"). Se io li usassi nel parlato quotidiano, sarei considerato un pazzo - con buona pace di quanti dicono che la nostra lingua sarebbe proprio quella dell'Alighieri.  
 
Si può tracciare un quadro abbastanza impietoso della lingua italiana. È simile a un edificio pieno di crepe e di voragini, che nel corso dei secoli sono state riparate tramite la calce del latino. Come sempre accade, c'è chi vorrebbe abolire lo studio del latino, reputandolo inutile e intendendo sostituirlo con l'inglese manageriale. Se non ci fosse la conoscenza del latino, si potrebbero scorgere nell'italiano soltanto vocaboli inspiegabili e alternanze fonetiche capricciose. Si sarebbe privati per sempre di ogni possibilità di comprendere ciò che diciamo. La lingua italiana non è affatto indipendente dal latino. La lingue inglese è messa anche peggio dell'italiano: è ancor più dissociativa. 
 
Pur deprecando le orride innovazioni linguistiche introdotte dal berlusconismo e dal renzismo, devo riconoscere che un certo purismo è qualcosa di sommamente ingenuo e illusorio. Non esiste al mondo una sola lingua che sia priva di prestiti lessicali. Per una finzione di natura ideologica, i latinismi pullulanti in italiano non sono considerati vocaboli d'importazione. Non lo erano nemmeno ai tempi del Ventennio fascista, quando Mussolini mutilava a colpi d'ascia le consonanti finali delle odiate parole straniere per assimilarle, oppure aggiungeva imbarazzanti vocali paragogiche. Se poi facessimo un'analisi approfondita, scopriremmo che diversi vocaboli di origine latina oggi in uso sono in realtà calchi semantici dall'inglese o dal francese (es. depressione, implementare, etc.). Ora, ogni volta che diamo un'occhiata a un qualsiasi dizionario della lingua latina, scopriamo la presenza di numerosissimi prestiti dalla lingua greca. Molti sono evidenti nelle liste di parole che ho riportato in questo mio contributo. Non sembra che ci siano mai state lamentele per questo fiume di atticismi, a quanto mi risulta: l'antica Roma riteneva l'Ellade fonte di ispirazione e di cultura. Non esistono lingue monolitiche. Sarebbe anche ora di porre fine alle oscene pagliacciate retoriche imperanti nel sistema scolastico italiano!