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domenica 13 giugno 2021

 
LA LEGGENDA VICHINGA 
 
Titolo originale: The Saga of the Viking Women and Their 
     Voyage to the Waters of the Great Sea Serpent 
Aka: Viking Women and the Sea Serpent;
       Le donne vichinghe e il dio serpente
Lingua: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1957
Durata: 66 min
Colore: B/N
Rapporto: 1,85:1
Genere: Avventura, fantastico
Regia: Roger Corman
Soggetto: Irving Block
Sceneggiatura: Lawrence L. Goldman
Produttore: Roger Corman
Produttore esecutivo: Samuel Z. Arkoff, James H. Nicholson 
Casa di produzione: Malibu Productions 
Direttore artistico: Robert "Bob" Kinoshita
Fotografia: Monroe P. Askins
Effetti speciali: Irving Block, Louis DeWitt, Jack Rabin
Musiche: Albert Glasser
Costumi: Gwen Fitzer
Trucco: Harry Ross 
Fonico: Herman Lewis
Interpreti e personaggi:
    Abby Dalton: Desir
    Susan Cabot: Enger
    Bradford "Brad" Jackson: Vedric
    June Kenney: Asmild
    Richard Devon: Stark
    Betsy Jones-Moreland: Thyra
    Jonathan Haze: Ottar
    Jay Sayer: Senya
    Lynette "Lynn" Bernay: Dagda
    Sally Todd: Sanda
    Gary Conway: Jarl
    Michael "Mike" Forest: Zarko 
    Herman Hack: Cavaliere Grimault 
    Signe Hack: Donna Grimault
    Wilda Taylor: Danzatrice Grimault 
    Ross Sturlin: Guerriero Grimault 
Titoli in altre lingue: 
    Spagnolo (Spagna): Las mujeres vikingo y la serpiente del mar
    Spagnolo (Messico): La serpiente del averno 
    Spagnolo (Perù): Mujeres vikingos  
    Spagnolo (Venezuela): La leyenda de las vikingas y su viaje
         a las aguas del gran dios serpiente 
    Russo: Сага о женщинах-викингах и об их путешествии
         по водам Великого Змеиного Моря 
    Serbo: Saga o vikinškim ženama i njihovom putovanju
        do voda Velike morske zmije
Budget: 65.000 dollari US
 
Trama: 
In una fantomatica terra nordica chiamata Stannjold tumultua senza sosta un gruppo di donne guidate dalla splendida Desir. Sono autentiche virago. I loro uomini sono scomparsi e devono essere ritrovati ad ogni costo, giusto per essere randellati a dovere. Il clima di Stannjold è tropicale, vi splende perennemente il solleone e tutte vanno in giro mezze nude. Desir e le sue seguaci salpano su una lunga nave e in seguito a un vortice marino fanno naufragio in una terra sconosciuta, oltre il Mare Sconosciuto. Qui trovano i loro uomini imprigionati nelle miniere da guerrieri di un popolo crudele che somiglia per aspetto fisico e per costumi agli Unni. Sono i Grimault, crudeli e dai capelli corvini. Sono governati dal tiranno Stark. Dopo mille peripezie, le donne vichinghe riescono a liberare i loro uomini, il cui capo è Vedric, raggiungendo così la costa. Qui avviene un drammatico confronto con i Grimault. Il figlio effeminato del tiranno Stark viene colpito da Thor, che lo uccide con la folgore. Gli uomini e le donne di Stannjold riescono a impadronirsi di un'imbarcazione, prendendo il largo. Affrontano una gigantesca lucertola gommosa scaturita da un immane gorgo, piena di creste che paiono condilomi venerei acuminati, e la uccidono servendosi di una minuscola spada, la cui punta non è certo acuminata. Secondo l'idea del regista, anche un coltellino svizzero sarebbe bastato a squarciare quella massa gelatinosa! Prima di spirare per l'esigua puntura, il mostro marino distrugge con le sue convulsioni la barca dei Grimault lanciata all'inseguimento dei Vichinghi gloriosi. Evidentemente i Grimault erano un popolo piccolissimo: il potere di Stark è distrutto nell'incidente e non giungono altre minacce. Così gli eroici Vichinghi e le loro robuste compagne riescono a raggiungere la torrida patria.
 
Recensione:  
Questo film è un autentico escremento di celluloide, come a volte sono i prodotti di Corman (altri sono invece notevoli). Non penso che esista una sola ragione al mondo perché si debbano vedere simili porcherie. A spingermi deve essere il mio innato masochismo. Qui siamo addirittura a livelli di autolesionismo. Certo, la sensibilità era molto diversa all'epoca in cui la pellicola cormaniana fu distribuita. Senza dubbio lo era anche la mia: non ero ancora nato! 

 
L'onirostorico Paese di Stannjold 
 
All'inizio della pellicola viene mostrata una mappa con la geografia del Nord tropicale cormaniano. Si nota all'istante una cosa stravagante: quella che ora è la Danimarca è invece denominata "Stonjold", mentre "Land of the Danes" (ossia "Terra dei Danesi") indica la costa meridionale del Mar Baltico. Il regista immagina che in seguito quattro o cinque Danesi sarebbero migrati a nord, stanziandosi nella terra di Stannjold e imponendosi sui quattro o cinque nativi, cambiando il nome alla nazione. Secondo l'idea di Corman e di Goldman, tutti i popoli dell'antico Settentrione sarebbero stati talmente esigui come consistenza numerica da poter essere spazzati via da una semplice epidemia di raffreddore! Non ci si possono aspettare idee realistiche sulle antiche migrazioni da individui con una conoscenza tanto limitata. Non mancano gli anacronismi, che sono abbastanza gratuiti e insensati. Vediamo che i Grimault hanno un immenso castello dotato di merli, come se potessero servirsi di una tecnologia assai avanzata e di una grandissima abbondanza di manodopera, ma questo non risulta: sono quattro gatti! Il Re Harald Dente Azzurro non avrebbe potuto concepire nulla di simile, pur essendo la Danimarca tanto popolosa e potente da inviare spedizioni a devastare l'Inghilterra. Se la narrazione del film di Corman è un'ucronia, non siamo in grado di determinare il Punto di Divergenza. Non siamo in grado perché non c'è. Si tratta di un delirio onirostorico, quale può essere concepito in un sogno provocato dall'eccessiva quantità di formaggio ingerito prima di coricarsi.  

 
Una profonda ignoranza del norreno 

Chiaramente Corman non conosceva l'antico nordico. Nemmeno Goldman ne sapeva granché. Probabilmente non avevano la benché minima natura di che lingua fosse. Se qualcuno avesse detto loro che parole inglesissime come big, black, window, fellow, skipper, they, take, call, cast, get e molte altre sono in realtà prestiti dalla lingua dei Vichinghi, ne sarebbero rimasti sconvolti. In ogni caso, il regista e lo sceneggiatore sono riusciti a escogitare alcune cose notevoli, anche se a tratti grottesche. Forse ce l'hanno fatta per puro caso.     
L'antroponimo femminile Desir sembra semplicemente un prestito dall'antico francese desire, che significa "Desiderio". C'è anche un'altra possibilità. In norreno esiste la parola Dísir che indica alcune divinità femminili minori invocate soprattutto in occasione della morte. La forma singolare è dís, il suffisso -ir indica il plurale. In norreno non si hanno forme plurali usate come antroponimi, cosa che già di per sé rende questa etimologia implausibile. I problemi fonetici potrebbero risolversi facilmente se pensassimo che lo sceneggiatore abbia trascritto con una -e- la vocale lunga /i:/ del norreno. 
L'antroponimo femminile Dagda corrisponde al teonimo maschile irlandese Dagda. Come il nome della divinità Dagda è dal protoceltico *dago-dēwos "Buon Dio", Corman ha escogitato un femminile Dagda, la cui protoforma sarebbe *dago-dēwā "Buona Dea". Non sembra difficile né irrazionale, anche se questo nome non risulta attestato. Non credo che lo sceneggiatore conoscesse le lingue celtiche e la loro origine: è più facile pensare che abbia preso il nome a caso da qualche scritto sull'antica Irlanda, scegliendolo soltanto per via della sua sonorità.
L'antroponimo femminile Enger ha una terminazione tipica di un nome maschile. Dovrebbe derivare dal norreno engr "stretto", ma non ha alcuna corrispondenza nella reale antroponimia della Scandinavia: ha tutta l'aria di essere stato inventato di sana pianta. Non ha alcun senso pensare che possa essere derivato da engi "nessuno; nulla" (negazione di einn "uno" tramite il suffisso -gi). 
L'antroponimo femminile Thyra è una latinizzazione del nome della madre del Re Harald Dente Azzurro (Haraldr Blátǫnn), Thurvi (antico danese Þurvi). In islandese moderno è Þuri. Si nota che la vocale tonica è breve. L'etimologia è incerta. Gli accademici concordano nel considerare il nome un derivato del teonimo Thor (Þórr). In effetti si potrebbe ricostruire una protoforma *Þunra-wīχō "Consacrata a Thor" (cfr. gotico weihs "santo", weiha "prete"). La fonetica è altamente irregolare. 
L'antroponimo femminile Asmild viene dal norreno áss (ǫ́ss) "divinità della stirpe degli Asi" (pl. Æsir "gli Asi"), dal protogermanico *ansuz. Il secondo membro del composto viene dall'aggettivo mildr "mite" (femminile mild), che corrisponde all'inglese mild "mite". Non ho presenti attestazioni di questo nome nelle saghe, ma in Danimarca esistono famiglie il cui cognome è Asmild.  
L'antroponimo maschile Ottar (norreno Óttarr) è ben attestato e deriva regolarmente da una protoforma *Ōχti-χarjaz "Esercito del Terrore". La somiglianza di Ottar col norreno otr "lontra" è soltanto casuale. 
L'antroponimo maschile Jarl significa "Conte" ed è una parola norrena ben conosciuta, che deriva dalla protoforma *irilaz "nobiluomo". Più che altro è un titolo, anche se a rigor di logica potrebbe benissimo essere usato come nome proprio di uomo. 
L'antroponimo maschile Vedric pare più che altro di origine celtica. Lo faccio facilmente derivare dal protoceltico *Widu-rīks "Re dei Boschi", nonostante la leggera anomalia del vocalismo. In norreno ci aspetteremmo *Viðrekr, la cui trasposizione cormaniana attesa sarebbe stata *Vidric anziché Vedric. In Norvegia esiste una fattoria chiamata Vidringstad, il cui nome può essere derivato proprio dall'antroponimo *Viðrekr, che ha un perefetto corrispondente nell'antico alto tedesco Witrih
Il nome del tiranno Stark è trasparente e ben comprensibile: è derivato dal norreno sterkr "forte" (anche starkr), a sua volta dal protogermanico *starkuz / *starkjaz. Dalla stessa radice è stato formato il nome dell'eroe Starkaðr, che non temeva alcuna potenza soprannaturale eccetto il Dio Thor. 
Due nomi dei Grimault risultano assolutamente privi di connessioni col norreno: Zarko e Senya. Un verbo to zark, sinonimo di to fuck "fottere", è stato coniato dallo scrittore, sceneggiatore e umorista britannico Douglas Noel Adams, autore della famosa Guida galattica per autostoppisti (The Hichhicker's Guide to the Galaxy), romanzo del 1978 - molto dopo il film di Corman. L'imperativo zark off "fottiti" suona quasi come Zarko. Non so se Adams abbia preso l'idea dall'antroponimo goldmaniano; non si può escludere, anche se mi sembra piuttosto improbabile. Cosa curiosa, in armeno zark significa "colpire, battere" e potrebbe essere la fonte sia del neologismo di Adams che del nome del personaggio del film di Corman. Forse il tramite di queste bizzarre creazioni lessicali è stato un discendente di immigrati armeni, la cui identità ci sarà sconosciuta per sempre.  
Per il resto non ci sono dubbi: la lingua nativa dei Grimault non è il norreno. Il tiranno Stark afferma in un'occasione di aver imparato qualche parola dai prigionieri, anche se risulta che non ci siano difficoltà di comprensione tra lui e le donne vichinghe. Questa è una cosa ben stravagante. Da che mondo è mondo, sono i prigionieri ad imparare per necessità qualche parola della lingua dei loro carcerieri, non il contrario. Le comunicazioni sono spesso difficili quando i prigionieri non hanno alcuna conoscenza della lingua del paese in cui sono detenuti. Si riporta il caso di un danese che fu imprigionato dai Franchi di Carlomagno. Paolo Diacono fu incaricato dal Re di comunicare con questo vichingo, perché nessuno comprendeva le sue parole, nessuno riusciva a farsi capire. Non funzionavano né la lingua germanica del sovrano e della sua corte, né la lingua protofrancese dei sudditi. Paolo Diacono cercò di farsi capire usando il longobardo e il latino, senz'altro risultato che il riconoscimento dei nomi di due divinità adorate dal danese, riportati come Waten (ossia Odino) e Thonar (ossia Thor) - e solo perché erano simili alle corrispondenti forme longobarde. Per ulteriori dettagli di questa vicenda poco conosciuta si rimanda al datato ma interessantissimo Des Paulus Diaconus Leben und Schriften (Dahn, 1876). 
 
 
 
Etimologia di Stannjold 
 
Il fantatoponimo Stannjold (variante Stonjold) non ha alcuna etimologia credibile. Forse lo sceneggiatore voleva suggerire un'origine dall'inglese stone "pietra", anglosassone stān, il cui corrispondente in norreno è però steinn. In ultima analisi tutte le forme storiche provengono dal protogermanico *stainaz attraverso mutamenti molto facili da comprendere. All'origine delle elucubrazioni di Goldman doveva esserci l'idea di una lingua germanica settentrionale diversa dal norreno, poi perduta nel tumulto della Storia, che avesse *stánn, *stónn "pietra" anziché steinn. Anche senza considerate che la Danimarca non è un paese di rupi e scogliere (né lo era nemmeno in epoca antica), resta il fatto che l'elemento -jold sembra privo di qualsiasi parentela discernibile. Non è plausibile una sua connessione col norreno jól "metà inverno", dato che non si spiegherebbe la terminazione -d e non ne verrebbe fuori alcuna semantica credibile. La vera atrocità in questa creazione deforme è senz'altro la pronuncia: Stannjold suona /'stɔndʒold/, con un'orrida consonante postalveolare! 
 

Etimologia di Grimault
 
L'origine dell'etnonimo Grimault è dal norreno grimmr "crudele", a sua volta dal protogermanico *grimmaz "crudele, severo". Potrebbe essere in qualche modo l'equivalente dell'aggettivo grimm-úðigr "feroce". La terminazione richiama il tipico suffisso accrescitivo e peggiorativo -ault, tipico dell'antico francese, di origine germanica (*-waldaz, che in norreno ha dato origine all'elemento antroponimico -(v)aldr). Meno plausibile mi pare una proposta di derivazione da gríma "maschera, travestimento che nasconde il capo". La pronuncia di Grimault nella versione originale del film dovrebbe essere /'gɹɪmoʊlt/. Si registrano nel Web un paio di varianti ortografiche dell'etnonimo: Grimolt e Grimold.
 
Vino d'uva per i Grimault  

Nel corso dell'improbabile festa in onore delle donne vichinghe giunte dal Sud, una rozza serva dei Grimault porta loro una brocca piena di vino rosso. Si tratta certamente di succo d'uva fermentato, non possono esserci dubbi al riguardo. Si direbbe che la Terra immaginata da Corman e da Goldman si trovasse in un periodo interglaciale, caldissimo, in grado di far crescere l'uva anche nelle regioni polari più impervie.  
 

Thor e l'omosessualità
 
Verso il finale del film Thor fulmina un arga. Senya, il gracile e inetto figlio del Re dei Grimault, è evidentemente un omosessuale effeminato che assume ruoli passivi con i guerrieri, comportandosi come una giumenta con gli stalloni (era questo il modo di dire usato nella Scandinavia pagana per descrivere la situazione). Per questo motivo Senya è odiato dalla divinità uranica dei Vichinghi, che lo abbatte senza pietà scagliandogli contro i suoi strali. Qual è il motivo di questo odio, che al giorno d'oggi sarebbe definito "omofobia"? Semplice: Thor era adorato come divinità dei fenomeni celesti e della fertilità. Era diffusa tra le genti del Nord l'assurda convinzione che il sesso anale, anche tra uomini, potesse essere fecondo e portare alla nascita di sventurati. Si credeva nella reale esistenza del parto anale. Ovviamente Thor, che benediceva gli sposi e favoriva la procreazione, era offesissimo dalla generazione di bambini tramite l'intestino. La reazione era prevedibile: scagliava la folgore! Nella mitologia esiste il caso di Loki, che ha ingerito il cuore ancora caldo della gigantessa Angrboða appena bruciata sul rogo, rimanendo in un innaturale stato di gravidanza. I frutti di tale orrida fecondazione erano mostri: il lupo Fenrir, il Serpente del Mondo (Jǫrmungandr) e la Signora degli Inferi, Hel. Con un altro parto anale Loki ha dato alla luce il cavallo Sleipnir, dotato di otto zampe, che è diventato il destriero di Odino. Per concepirlo, l'ambiguo Loki si era trasformato in una giumenta, venendo montato da uno stallone eccitato. Quando aveva la forma di una cavalla, l'ambigua divinità era dotata di una fica. Ritornato nella sua forma naturale, questa fica era scomparsa e restava soltanto l'intestino retto come unica risorsa per far uscire la vita che era stata concepita nel ventre. A differenza delle molte inconsistenze mostrate nelle sequenze della pellicola di Corman, questa trovata di Thor che fulmina Senya sembra abbastanza verosimile e dotata di buone basi filologiche. 

 
Altre assurdità e incongruenze 
 
Il culto di Thor mostrato nel film è amministrato dalla bruna Enger, che ne è la sacerdotessa, cosa già di per sé abbastanza anomala. Inoltre è pieno zeppo di concetti cristiani, come ad esempio un'altisonante quanto vana menzione della rinuncia ai piaceri della carne. Ciò è di una palese assurdità, visto che nella mitologia nordica Thor è descritto come un formidabile mangiatore e bevitore! Un'altra assurdità è un'invocazione pronunciata da Vedric nell'atto di scagliare la sua spada dalla punta smussata contro il mostro marino: "Che Thor abbia pietà delle nostre anime!" C'è stata una fase di commistione tra il Cristianesimo e il culto degli antichi Dei, cosa che può essere ben documentata da molte fonti storiche attendibili, eppure sono certo che le cose non siano andate come le ha descritte Corman.  
 
 
Curiosità varie 

Il regista in un'occasione ebbe a dire: "Il titolo completo è The Saga of the Viking Women and Their Voyage to the Waters of the Great Sea Serpent. Non siamo riusciti a trovare un modo per mettere il titolo in due o tre parole, quindi ho detto "andiamo all'altro estremo e diamo loro il titolo più lungo che abbiano mai visto per poi usare il più grande cliché nelle immagini storiche dell'epoca, che è quello di aprire con un libro di pelle incisa, una mano che entra e apre la copertina del libro, e c'è il titolo del film." Avevo un vago sospetto che il geniale cineasta facesse uso di sostanze pregiate. Dopo aver letto queste sue considerazioni stravaganti, ne ho l'assoluta certezza. 
 
A quanto pare Senya, il principe arga, nella versione in inglese ha un fortissimo accento di Brooklyn, cosa grottesca che ha portato un commentatore a schernire il film ("I didnt' realize that the Grimolts originally hailed from Brooklyn"). Un'irrisione giustissima, ci tengo a precisare.  

Conclusioni 

In sostanza, l'unico aspetto positivo di quest'opera di Corman sono le sensualissime creature femminili!

giovedì 8 aprile 2021

ETIMOLOGIA DI NERONE E UN'INASPETTATA SOPRAVVIVENZA ITALICA

L'etimologia del nome Nerone non è affatto banale come potrebbe sembrare a prima vista. Molti tenderanno naturalmente ad associare il nome dell'inclito Imperatore all'aggettivo nero, cosa assurda per chiunque abbia anche una minima conoscenza della lingua latina. 
Famoso a questo proposito è un gioco di parole che ricordo fin da quando ero un moccioso: la frase latina "Cane Nero" significa "Canta, Nerone". È un ingegnoso trabocchetto usato per scherzi e indovinelli, che si è formato tra gli studenti di latino, anche se non è facile tracciarne con esattezza l'origine. Ne esiste anche una versione estesa, "Cane Nero magna bella Persica", che in latino significa "Canta, Nerone, le grandi guerre persiane", mentre il romanesco ha tutt'altro senso, parlando banalmente di un cane nero che mangia una bella pesca. 
Detto questo, Nerone non ha nulla a che fare con il colore nero, che in latino è niger (femminile nigra, neutro nigrum). Il glorioso cognomen romano Nerō (gen. Nerōnis), la cui origine è con ogni probabilità sabina, significa "Forte, Valente". Deriva dall'antica radice italica *ner-, di chiarissima origine indoeuropea, che significa "virile, forte".

Mirate tutti la potenza della Scienza linguistica! Da cose oscure e poco note, tramite le attestazioni e la forza delle ricostruzioni, fondate sulla Logica, in molti casi è in grado di illuminare l'Oscurità del passato, rendendo perfettamente comprensibile ciò che non si capiva. Riporto in questa sede ciò che serve allo scopo che mi sono prefisso. Certo, si tratta di cose acclarate da tempo. Eppure credo che sia sommamente utile divulgarle. 
 
Protindoeuropeo: *(a)ner- "uomo" 
Ricostruzione glottalica: h2nḗr "uomo; potere, forza, energia vitale" 

Anatolico: Ittita innarawatar "potere vitale", innarawant- "forte"; Luvio annar-ummi- "forte" (vedi Tischler); lidio nãrs "virtù, valore".

Sanscrito: nṛ́,
nár- "uomo, eroe", nára- (m.) "uomo; persona", nā́rī (f.) "donna, moglie"; nárya- "virile, umano"; sū-nára- "giovane uomo; giovanile".

Iranico: avestico , nar- "uomo, persona", nāirī "donna"; nairya- "virile"; curdo; ossetico næl "maschio"; persiano moderno nar /nær/ "virile, maschio; marito, stallone", nari "pene".

Armeno: ayr "uomo, persona" (gen. aṙn); aru "virile".
 
Frigio: αναρ (anar) "marito".
 
Greco antico: ἀνήρ (anḗr) "uomo", gen. ἀνδρός (andrós), acc. ἄνδρα (ándra), acc. epico ἄνέρα (anéra); epico ὴνοαέη (ǟnoréǟ) "virilità"; δυσ-ᾱ́νωρ (dus-ā́nōr) "che ha un cattivo marito".
 
Latino: neriōsus "forte, vigoroso; resistente" (di origine sabina); Nerō "Nerone" (antroponimo).
 
Altro italico: Osco niir, ner /ne:r/ "uomo", gen. pl. nerum; umbro acc. pl. nerf, dat. nerus "primi cittadini, nobili, prìncipi" (Tabole Iguvine); sud piceno nír "uomo", acc. pl. nerf  "uomini" (vedi Zamponi).
 
Celtico: *nerto-m "forza, virilità": gallico Esu-nertus, Nerto-marus, Nertacus (antroponimi), celtiberico Nerto-briga (nome di città); antico irlandese nert "forza, virilà"; gallese nerth "forza, virilità", cornico nerth "forza, virilità", medio bretone nerz "forza", bretone moderno nerzh "forza"; 
*nero-s "eroe": gallese nêr "eroe"; antico irlandese ner "cinghiale" (simbolo della virilità); celtiberico Neri (una tribù celtica della Galizia).
 
Albanese: njeri "uomo, persona" (antico albanese njer, proto-albanese *nera). 

Un'inaspettata sopravvivenza italica: 
la nerchia
 
La radice ner- "forte, virile" è sopravvissuta come relitto nella parola nerchia "pene, membro virile", molto diffusa nel Lazio (ad esempio si trova a Viterbo). Si può ricostruire una protoforma italica *ner-tlā- "pene, membro virile": con buona pace delle femministe convulsionarie, questo nome fallico è di genere grammaticale femminile - come spesso accade (vedi anche verga e minchia). Il Dizionario Treccani riporta la voce nerchia soltanto come una delle tante glosse di vocaboli fallici ma non la tratta, si trincera dietro il silenzio dell'ignoto. Molta gente, in modo stolto, ritiene che nerchia sia semplicemente una variante di minchia (da latino mentula "pene"), cosa impossibile per motivi fonetici. A sostenere questa pretesa derivazione di nerchia da minchia ci sono i fallocefali di Quora, è ovvio. Come di costume, stigmatizzo e fustigo i romanisti, che non hanno dedicato nemmeno mezza parola su una così importante testimonianza di un sostrato preromano indoeuropeo! Per loro, tutto ciò che non può essere ricondotto al vocabolario di latino che usavano al liceo, deve essere di "etimologia sconosciuta" o di "origine incerta". Per fortuna abbiamo trovato nel Web il meritorio sito di Aracne Editrice, in cui l'utente Nessuno ha pubblicato un interessante contributo, riportando l'etimologia di nerchia dalla radice italica *ner- e confermando la diffusione del vocabolo anche in Calabria, terra degli antichi Bruzi: 
 

L'etimologia è inclusa in un volume dello studioso John Bassett Trumper: Geostoria linguistica della Calabria (2016). Questa è la sinossi: 
 

"L’attuale divisione geopolitica della Calabria non corrisponde certo con esattezza alla terza Regio romana; non è quindi utile descrivere le centinaia di parlate singole della regione che oggi chiamiamo Calabria, spesso molto diverse tra loro, unite solo perché hanno una comune origine nel tardo latino. Questa regione non ha mai avuto, nella sua lunga storia, alcun centro dominante in senso culturale, politico–economico e soprattutto linguistico, nessun luogo, o luoghi, identificabile con un centro urbano, o un agglomerato consistente, che livellasse e koinizzasse l’intera area. Storicamente, il punto d’inizio sarà l’“italicizzazione” dell’odierna Italia nel periodo 3200–2800 a.C., discutendo la formazione di un gruppo italico Umbro–Sabino–Sudpiceno–Osco e considerando se una denominazione quale Enotro/Enotria sia riferita a uno stadio antico di questo stesso gruppo. L’autore si è concentrato principalmente sullo studio dei rapporti (biculturali) tra i microgruppi sabellici più meridionali e i Dori; è notevole che, mentre i Campani e gli Osci si alfabetizzano tramite le rivisitazioni etrusche dell’alfabeto greco, con la formazione dell’alfabeto detto “osco nazionale”, gli Osci più meridionali – che si chiamino Brettii o Enotri, non ha eccessiva rilevanza – ricevono l’alfabeto direttamente dai Dori, con lievi adattamenti."

domenica 25 marzo 2018

NOTE SUL LAVORO DI JACQUES

Guillaume Jacques (Centre des Recherchers Linguistiques sur l’Asie Orientale, Paris) e Johann-Mattis List (Max Planck Institute for the Science of Human History, Jena) sono gli autori del lavoro Save the Trees: Why We Need Tree Models in Linguistic Reconstruction (and When We Should Apply Them). Il manoscritto degli autori è consultabile al seguente link:


L'articolo è etichettato come "Authors manuscript" (sic). Si precisa altresì che "This article will appear in the Journal of Historical Linguistics in 2018, Volume 8".

Questa è la traduzione dell'abstract:

"Lo scetticismo verso il modello ad albero ha una lunga tradizione nella linguistica storica. Anche se gli studiosi hanno enfatizzato che il modello ad albero e la sua teoria concorrente, la teoria dell'onda, non sono necessariamente incompatibili, ha sempre goduto di una certa popolarità l'opinione secondo cui gli alberi genealogici non sono realistici e dovrebbero essere abbandonati completamente dalla linguistica storica. Questo scetticismo si è ulteriormente accresciuto con la tecnica, recentemente proposta, per una visualizzazione dei dati che sembra confermare che possiamo studiare la storia delle lingue senza gli alberi genealogici. Mostriamo che gli argomenti concreti addotti a favore dei modelli di onda anacronistica non reggono. Confrontando il fenomeno dell'ordinamento del lignaggio incompleto (incomplete lineage sorting) in biologia con i processi in linguistica, mostriamo che i dati che non sembrano risolvibili in alberi genealogici, possono essere ben spiegati senza rivolgersi alla diffusione. Nello stesso tempo, i limiti metodologici nella ricostruzione storica possono facilmente portare a una sovrastima della regolarità, che può a sua volta emergere come schemi conflittuali quando si tenta di ricostruire una filogenesi coerente. Illustriano con diversi esempi come gli alberi genealogici possono portare beneficio alla comparazione linguistica, ma facciamo anche notare i loro svantaggi nel modellizzare le lingue miste. Mentre riconosciamo che non tutti gli aspetti della storia della lingua sono rappresentabili con alberi genealogici, e che i modelli integrati che catturano le relazioni sia verticali che laterali di una lingua possono dipingere la storia della lingua in modo più realistico, concludiamo che sono essenzialmente erronei tutti i modelli che sostengono che le relazioni verticali di una lingua possono essere del tutto ignorati, sia che essi ancora usino implicitamente gli alberi genealogici, o che forniscano uno schema statistico di dati e quindi falliscano la modellizzazione degli aspetti temporali della storia della lingua." 

Dendrofobia e dendrofilia in linguistica 

L'autore fa una panoramica sull'origine dei modelli linguistici ad albero e delle reazioni scettiche che questi hanno generato. Il primo studioso che divulgò l'idea di classificare le lingue in alberi genealogici fu August Schleicher (1821-1866), da non confondersi con il fantomatico Egon Schleicher inventato da George Steiner. Egli partì dall'assunzione che il modo migliore per rappresentare la nascita e lo sviluppo delle lingue consistesse nell'usare l'immagine di un albero ramificato. Grazie a lui divenne comune l'uso del termine Stammbaum in linguistica. Le prime critiche giunsero da Johannes Schmidt (1843-1901) e da Hugo Schuchardt (1842-1927). Il primo di questi studiosi rimase molto sul vago, mentre il secondo cominciò a far notare che nelle varie lingue indoeuropee sono presenti distribuzioni molto irregolari di vocaboli. Le mappe delle isoglosse lessicali presentano lacune e solo poche caratteristiche sono presenti in tutte le lingue indoeuropee contemporaneamente. Da una stima fatta, risulterebbe che il greco antico e il sanscrito hanno in comune il 39% di parole imparentate, mentre si arriverebbe al 53% considerando il greco antico e il latino. Per quanto riguarda il latino e il sanscrito, la percentuale scende addirittura all'8%. Le percentuali reali possono essere più basse, dato che esistono etimologie fallaci da molti considerate valide (es. latino cālīgō "oscurità" - sanscrito kāla- "nero" sono falsi parenti). Come conseguenza, il modello ad alberi genealogici andò in crisi. Nacquero modelli alternativi che in realtà non spiegano nulla. Prevalse l'idea delle convergenze multiple che avrebbero portato realtà dissimili ad assomigliarsi per mutua influenza nel corso dei secoli. Tra l'altro, solo per fare un esempio, l'influenza dei sostrati preindoeuropei era gravemente sottostimata. Gli attuali dendrofobi hanno diversa origine: sono convinti che partendo col considerare una lingua come un organismo biologico si arrivi ineluttabilmente al darwinismo sociale e al razzismo. Il presupposto politico è l'associazione degli alberi genealogici con la genetica. Rimando all'articolo per un'approfondita disamina del moderno dibattito sugli alberi linguistici e sulla necessità di salvare il modello in questione dagli attacchi di studiosi ipercritici. 

L'identificazione delle innovazioni

Per identificare le innovazioni del lessico ereditato e distinguerle da prestiti recenti, il metodo della glottometria storica usa un criterio che non dovrebbe essere controverso: le etimologie i cui riflessi seguono corrispondenze fonetiche regolari sono da considerarsi ereditate (François, 2014). Così, quando una protoforma comune può essere postulata per un particolare insieme di parole in numerose lingue e può essere derivata dall'applicazione meccanica di leggi fonetiche, è considerata parte del vocabolario ereditato. Tuttavia in questo modo non si tiene conto di un fatto molto importante: il criterio di attribuzione sopra enunciato riguarda una condizione necessaria, ma non sufficiente. Questo perché esistono prestiti e prestiti nativizzati.

Prestiti non identificabili  

Jacques riporta esempi molto interessanti per mostrare come non sia sempre possibile discriminare tra lessico ereditato e lessico preso a prestito. Un caso già noto nel tardo XIX secolo riguarda i prestiti iranici in armeno. Nel 1897, Hübschmann scriveva: "In casi isolati, le forme iraniche e quelle armene genuine coincidono foneticamente, e la questione se si tratti di prestiti [o di eredità comune] deve essere decisa da un punto di vista non linguistico". In una tabella contenuta nell'articolo, sono riportati alcuni esempi, già evidenziati da Hübschmann ai suoi tempi, poi confermati da Martirosyan e da Martzloff nel XXI secolo. 

Armeno naw "barca" - Proto-iranico *nāw-
Armeno mēg "nebbia" - Proto-iranico *maiga-
Armeno mēz "orina" - Proto-iranico *maiza-
Armeno sar "testa" - Proto-iranico *sarah-
Armeno ayrem "bruciare" - Proto-iranico *Haid-

Anche nelle lingue Pama-Nyungan, che costituiscono gran parte delle lingue aborigene australiane, si notano tanti e tali casi di sospetti prestiti, da spingermi a pensare che il gruppo linguistico in questione possa non essere valido. Gli idiomi in questione hanno così poche innovazioni fonologiche che il riconoscimento dei prestiti si presenta davvero complesso - se non impossibile. Aggiungerò un esempio che ho potuto trovare nel corso dei miei vagabondaggi nel Web (Alpher, 2004). La radice proto-Pama-Nyungan *ngulu- dovrebbe significare "fronte". In una moltitudine di lingue derivate troviamo parole che sarebbero ottimi derivati da tale radice, se non fosse per la varietà dei significati: "fronte", "faccia", "guancia", "testa", "nuvola", "tuono", "pene", "copulare", "primo", "presto", "suolo", "creta", "scogliera", "montagna", "cielo". Ciò implicherebbe una serie di slittamenti semantici a volte abbastanza discutibili, con buona pace di Alpher e di altri: è chiaro che alcuni dei significati sono difficilmente compatibili, anche se si potrebbe dire che la parola per "nuvola" venga da qualcosa come "fronte nuvoloso", mentre la parola per "pene" potrebbe essere da un equivalente aborigeno del nostro "testa di cazzo". Sarà, comunque non mi convince.

Nativizzazione dei prestiti

Quando una lingua contiene un cospicuo strato di prestiti da un'altra lingua, i parlanti bilingui possono sviluppare l'intuizione delle corrispondenze fonologiche tra i due idiomi, applicandole a parole prese a prestito di recente. Jacques discute due esempi di questo fenomeno, noto come nativizzazione dei prestiti:  

1) Ci sono casi ove prestiti recenti dal finnico al Saami presentano corrispondenze indistinguibili da quelle del lessico ereditato, come barta "cabina", dal finnico pirtti, a sua volta dal russo dialettale pert' "un tipo di cabina", che mostra la stessa corrispondenza vocalica CiCi : CaCa della parola per "nome" (finnico nimi : Saami namma) e di altre simili. Ancora una volta, l'origine straniera della parola è una chiara indicazione che barta "cabina" non può aver subìto la serie di cambiamenti fonetici regolari che hanno portato dal proto-ugrofinnico *CiCi al Saami CaCa, e che invece la comune corrispondenza CiCi : CaCa è stata applicata al finnico pirtti.

2) La nativizzazione dei prestiti può occorrere tra lingue senza parentela genetica. Un chiaro esempio è il caso del basco e dello spagnolo (Trask 2000, Aikio 2006). Una corrispondenza ricorrente è quella tra spagnolo -ón e basco -oi in fine parola. Il protoromanzo *-one (< latino -ōnem) dà in spagnolo -ón. Tuttavia nei prestiti protoromanzi nel basco, questa uscita ha subìto la regolare perdita della *-n- intervocalica (un mutamento fonetico interno al basco): *-one ha dato *-oe e quindi -oi. Un esempio di questa corrispondenza è fornito dallo spagnolo razón e dal basco arrazoi "ragione", entrambi dal protoromanzo *ratsone, a sua volta dall'accusativo latino ratiōnem. Questa corrispondenza comune è stata applicata a prestiti recenti dallo spagnolo, come kamioi "camion" e abioi "aereo" (da camión e da avión risp.). Questo adattamento non ha giustificazione fonetica, visto che parole uscenti in -on sono attestate in basco, e può essere spiegato solo con l'iper-applicazione della corrispondenza -oi : -ón. È chiaro che in proto-basco all'epoca di Cesare non esistevano *kamione e *abione!

Posso citare altri casi. Un'anziana cugina di Milano, tumulata da tempo, in un'occasione disse: "L'altréer u tòlt un rüm inscì bun al süper", ossia "L'altro ieri ho preso un rum così buono al supermercato". Il termine rüm ha ricevuto la vocale bemollizzata -ü- /y/ a partire da corrispondenze come italiano muro - milanese mür; italiano culo - milanese ; italiano venuto - milanese vegnü. Allo stesso modo supermercato è stato adattato in süpermercàa e quindi abbreviato in süper. Nel comune di Valmadrera mi capitò di udire l'anziano R., già all'epoca quasi decrepito e ormai defunto, dire menü per indicare il menù - inteso come lista di desiderata. Lì per lì rimasi basito. "Caspita", pensai, "sembra un vecchietto così poco istruito e conosce il francese". Subito dopo sentii che chiamava ÜSL /yzl/ la USSL (ossia Unità Socio-Sanitaria Locale: all'epoca le ASL avevano questo nome). Si trattava di nativizzazione dei prestiti, così spinta da intaccare persino le sigle pronunciate come se fossero parole. È chiaro che nel latino volgare diffuso in Insubria non esistevano *rūmu(m), *sūpperu(m) e *ūsle(m)!

Il problema delle lingue miste

Esistono casi di inapplicabilità del modello ad albero genealogico. Ciò accade quando una lingua risulta dalla fusione di due lingue tra loro mutuamente inintelligibili (non importa se siano o meno tra loro imparentate). In questi casi, il lignaggio della lingua ibrida dovrà essere rappresentato da due radici. Jacques riporta il caso del Michif, una lingua di contatto basata sul francese del Canada e sul Cree. I parlanti sono detti Métis e sono discendenti di franco-canadesi che si sono uniti in matrimonio con donne native Cree e di altre nazioni native come gli Ojibway. Un parlante Michif che non conoscesse altra lingua, non sarebbe in grado di comprendere né il francese né il Cree. I sostantivi sono in prevalenza presi dal francese. I verbi e la grammatica sono invece per lo più di origine nativa, a parte i verbi "essere" e "avere", presi dal francese con tutta la loro coniugazione irregolare. Nell'articolo sono riportate due frasi, con le parole di origine francese in grassetto:

1) o-pâpa-wa êtikwenn kî-wîkimê-yiw onhin la fâm-a "suo padre evidentemente ha sposato quella donna".
2) stit=enn pchit orfelin "lei era una piccola orfanella".

Numerose altre frasi in questa lingua possono essere raccolte nel Web, con un po' di pazienza.  Jacques, sconsolato, afferma che "l'applicabilità del modello ad albero genealogico su scala globale dipende in modo cruciale dalla rarità di lingue come il Michif". La vedrei in un modo un po' meno drammatico. In qualsiasi modo si formi una lingua, a partire dalla sua piena definizione, la sua evoluzione è in ogni caso descritta da un albero, quali che siano le sue radici. Questo perché appena qualcuno la parli, la lingua prende ad evolvere naturalmente, cambiando, dando vita a nuove varietà, prendendo a prestito parole da altre lingue, etc. Anche se una lingua nuova fosse creata da uno stregone che porta agli uomini la voce degli Spiriti, nel momento in cui cominciasse a essere la lingua parlata da un gruppo, diverrebbe una lingua naturale ed evolverebbe dando origine a lingue discendenti, a diramazioni.

lunedì 12 settembre 2016

I LIMITI INTRINSECI DEL PALLOTTINISMO

Una caratteristica comune tra gli archeologi è il pretendere di pronunciarsi su questioni linguistiche e rifiutare ogni confronto con gli interlocutori che hanno competenze diverse: l'archeologia appare fin troppo spesso come setta dogmatica che di fronte ad avverse argomentazioni ne nega l'esistenza e si chiude nell'autismo. A quanto pare manca alla maggior parte degli archeologi il metodo scientifico e tale carenza risulta ben evidente ogni volta che essi cercano di dedicarsi all'indagine linguistica.

Massimo Pallottino giustamente ha cercato l'etimologia etrusca di lemmi latini problematici: in un lampo di felice intuizione è riuscito a trovare nell'etrusco tus "letto" il corrispondente e l'antenato del latino torus "letto". Poi non è stato in grado di proseguire. Non ha infatti potuto comprendere che tus - torus dimostra la presenza del rotacismo in proto-latino: *tozos > torus - o meglio, non ha potuto capire le conseguenze cruciali e altamente produttive di questa assunzione, che non si limitano certo a una sola parola. Non ha capito che è possibile che anche altri vocaboli latini con -r- intervocalica risalgano a parole etrusche con -s-, e ha cercato in modo sistematico corrispondenti etruschi con -r-. Per contro Pallottino ha suggerito forme etrusche con -r- anche quando la corrispondente voce è attestata in latino arcaico e mostra invece -s-, fallendo in modo grossolano. Ad esempio ha cercato erroneamente nella base etrusca lar- il prototipo del latino Lares, nonostante il Carmen Arvale dimostri che anticamente si diceva Lases - il che prova che l'antenato etrusco di Lares era il teonimo Lasa e non la radice lar-.

La metodologia da applicare è la seguente:
1) individuare un lemma latino problematico, sospettato di essere di origine etrusca;
2) cercare la forma latina arcaica attestata (anche nell'antroponimia);  
3) cercare un termine etrusco (anche nell'antroponimia) che sia adatto a spiegare il lemma latino in questione.

Un'incompleta applicazione del metodo scientifico può portare a risultati simili a quelli prodotti dal Pallottino per il caso Lares. Così vediamo etimologie difettose proposte da Massimo Pittau, che pure è un linguista e che ha vigorosamente attaccato l'approccio degli archeologi agli studi etruschi. Prendiamo ad esempio il lemma etrusco fanu (con i suoi derivati). Come già Pallottino, anche Pittau è incline a vedere in esso l'antenato del latino fanum /'fa:num/ "tempio, luogo santo". Eppure sappiamo che il latino arcaico aveva fasnom. La forma etrusca corrispondente al vocabolo latino in questione non potrebbe mai essere fanu, in quanto in etrusco l'antico nesso -sn- non diventa -n- come in latino. Dovremmo avere semmai *fasnu o *faśnu, posto che f- sia un corrispondente corretto - il che non è detto. Infatti considerazioni etimologiche ci permettono di far risalire il latino antico fasnom a una forma con *dh-, da paragonare a greco θεός (thes) < *thesos, e all'armeno dik' "divinità pagane". L'origine ultima di questa radice è sconosciuta: è tradizionalmente considerata indoeuropea perché presente in alcune lingue di ottima tradizione indoeuropea: greco, armeno, latino e osco. Anche i dettagli dei singoli esiti di questa radice non sono esenti da problemi: ad esempio la vocale -a- del latino fanum rispetto alla vocale breve -e- del greco θεός, alla vocale lunga del latino fe:stus, fe:ria, e alla vocale lunga -ii- dell'osco fiisnam (acc.). La parola latina ha un vocalismo che è come un pugno in un occhio e che ha portato alcuni a postulare una variante della protoforma con una vocale indistinta (schwa) -ə-.

Siccome in caso di isoglosse tra etrusco e indoeuropeo, a forme IE con *dh- corrispondono forme etrusche in θ-, dovremmo aspettarci di trovare come parallelo una parola etrusca *θasnV o *θaśnV (V indica una vocale non determinabile), al momento non attestata. Sarà esistita? Non sarà esistita? Per ora nessuno lo sa, ma se il latino fanum ha avuto un corrispondente etrusco genuino (non dovuto a prestito), dovrebbe essere quello da me ricostruito.

In sintesi ci sono queste possibilità:

1) *fasnV o *faśnV - se è stato l'etrusco a prendere il lemma dall'italico (latino arcaico, etc.); 
2) *θasnV o *θaśnV - se è stato l'italico a prendere il lemma dall'etrusco (che a sua volta potrebbe aver preso a prestito il lemma da una lingua IE in una fase più antica); 
3) le forme in questione non esistono, la radice non ha avuto origine dalla lingua etrusca e non vi è mai giunta come prestito.

La questione non può ancora essere decisa con gli scarsi dati a nostra disposizione. Occorre attendere tempi migliori.

L'etrusco fanu invece è un participio passato passivo formato con il classico suffisso -u che si trova in moltissimi altri casi. Il significato deducibile dal contesto delle iscrizioni è "dichiarato". Giulio Facchetti sostiene questa interpretazione esplicitamente. Per quanto mi riguarda, concordo appieno con le sue conclusioni, anche se non ho una chiara idea sull'origine ultima della radice. Oltre a questo, egli ha identificato nella forma finora enigmatica zarfneθ che ricorre nel Liber Linteus un composto che contiene questo fan- in forma foneticamente ridotta. Il primo membro del composto è corradicale di zeri "rito", così zar-fn-eθ "che dichiara rituale". Forse la radice etrusca fan- corrisponde in qualche modo alla forma IE *bha:- che si trova nel latino for, fa:ris, fa:tus sum, fa:ri: "dire", con l'aggiunta di un'estensione in consonante nasale. Sergei Starostin nel suo database The Tower of Babel riporta i discendenti di questa radice nelle seguenti lingue: sanscrito, armeno, greco antico, slavo, proto-germanico, latino, osco. Rimando al sito per una trattazione più approfondita.  

Proto-IE: *bhā-
Meaning: to say

   Old Indian: sa-bhā́ f. `assembly, congregation'
   Armenian: ban, gen. -i `Wort, Rede, Vernunft, Urteil, Sache'; bay, gen. bayi `Wort, Ausdruck' (*bhǝti-s)
   Old Greek: phǟmí `sage', pháskō, inf. att. phánai̯, hom. phámen, ipf. éphǟn, inf. phásthai̯, aor. phǟ̂sai̯, pf. m. péphatai̯, ipv. pephásthō, va. pható- `sagen, erklären, behaupten'; phǟ́mǟ f. `Ausspruch, Kundgebung, Gerücht, Ruf, Rede'; phǟ̂mi-s, -ios f. `Rede, Gerede', pl. phḗmata = rhḗmata, phásmata Hsch., hüpo-phǟ́tǟ-s m. `Deuter, Ausleger', hüpo-, pro-phǟ́tōr m. `id.', pháti-s f. `Ausspruch, Gerücht, Kunde', phási-s `id.', phátǟ-s `pseústēs' Hsch., phōnǟ́ f. `Laut von Menschen und Tieren, Ton, Stimme, Aussprache, Rede, Sprache, Äusserung'
    Slavic: *bā́jātī, *bā́jǭ; *bāsnь; *bālьjь
    Germanic: *bō-n-ī(n-) f., *ba-nn-a- vb., *ba-nn-a- m., etc.
    Latin: for (Gramm.), fārī, fātus sum `sprechen', fācundus, -a `redegewandt', fātum, -ī n. `Schicksalsspruch, Orakel, Weissagung; Schicksal, Geschick', fāma f. `Sage, Gericht, Kunde; öffentliche Meinung (Gerede der Leute); Ruf, Leumund; guter und schlechter Ruf', fābula f. `Rede, Gerücht; (erdichtete) Erzählung, Sage, Fabel; Theaterstück'; fateor, fatērī, fassus sum `zugestehen, einraumen; bekennen, kundtun'; fās n. (indecl.) `das göttliche Recht'; nefās `Unrecht, Sünde'; fascinum n., fascinus, -ī m. `Behexung'; īnfāns, -antis `wer noch nicht sprechen kann'
    Other Italic: Osk faamat `ēdīcit', faammant `ēdīcunt', famatted `ēdīxīt, iussit'; fatíum `fārī'

L'origine ultima della radice è oscura. Il fatto stesso che la forma proto-indoeuropea sia ricostruibile con una vocale -a:- depone a favore di un antichissimo prestito. Come si vede le cose non sono tanto semplici: è un ginepraio che non può essere facilmente districato. Per giungere a conclusioni sicure sono necesari studi molto lunghi e complessi che difficilmente potrebbero essere portati a compimento da una sola persona. Le competenze di Pallottino in materia di lingue indoeuropee diverse dal latino erano abbastanza labili e ben lontane da quanto richiesto per esplorare un vasto paesaggio di rovine sprofondate nell'Oblio. Tale esplorazione tra l'altro all'archeologo romano non interessava minimamente, dato che era uno studioso politicizzato, cosa che lo portà a decretare la sostanziale illiceità di ogni seria ricerva volta a determinare l'origine degli Etruschi e la natura della loro lingua.

sabato 13 febbraio 2016

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: MASCILLA PER MAXILLA

La parola latina maxilla ha numerosi parenti in altre lingue indoeuropee, che possono essere consultati agevolmente nel database The Tower of Babel di Sergei Starostin: 

Proto-IE: *smakr- (IndoIr. -k'-)
Meaning: beard, chin
Hittite: zamangur, zamakur n. 'Bart' (Friedrich 259),
     samankurwant- 'bärtig' (180)
Old Indian: śmáśru n. `beard, moustache'
Armenian: maurukh, mōrukh `Bart'
Baltic: *smakr-a-, -ia- c., -ā̂ f.
       Meaning: chin
       Lithuanian: smakr̀a-s `Kinn', dial. smakrà `id.'
       Lettish: smakrs, smakre, smakris, smakars
           `Kinn, Gaumen'
Germanic: *smáxr-ia- m.
       Meaning: lip
       Old English: smǟre, -es m. `lip'
Latin: māla f. `Kinnbacke, Kinnlade; Wange; Bart', dem.
      maxilla
`Kinnbacke; Kinn'
Celtic: Ir smech `Kinn'
Albanian: mjekrɛ Kinn, Bart 

Come già visto nel caso di axilla, diventato ascilla e quindi italiano ascella, anche in questo caso si è avuta una metatesi. La forma maxilla, che è un diminutivo di ma:la < *maksla, ha prodotto la variante mascilla semplicemente invertendo /k/ e /s/. Solo in epoca tarda ha subito palatalizzazione, sviluppandosi poi nell'esito italiano. Coloro che postulano i suoni palatali (postalveolari) della pronuncia ecclesiastica ab aeterno, sono assolutamente incapaci di spiegare l'accaduto.