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martedì 10 agosto 2021

ALCUNE NOTE SUI PETROGLIFI E SULLE ISCRIZIONI DELLA VAL CAMONICA

La Val Camonica, in provincia di Brescia, trae il suo nome dall'antica popolazione dei Camuni (latino Camunni, greco Καμοῦνοι), artefice della più vasta collezione di incisioni rupestri dell'intero pianeta. Sono state classificate dall'UNESCO ben 140.000 opere, ma ne vengono scoperte sempre di nuove. Il loro numero potrebbe arrivare alla sorprendente cifra di 300.000. Le più antiche manifestazioni artistiche risalgono alla fine del Paleolitico e si distinguono svariati periodi nel corso dei millenni. Si segnalano alcune raffigurazioni stupefacenti di soggetti che non ci si aspetterebbe, come ad esempio la lotta tra due "astronauti" e addirittura un "brontosauro", roba che farebbe impazzire i complottisti. Molti sarebbero sorpresi se venissero a sapere che la tradizione petroglifica dei Camuni non si è mai veramente interrotta fino a tempi abbastanza recenti. Le varie epoche storiche hanno comportato la sovrapposizione di molteplici strati: le istoriazioni più moderne venivano ad essere eseguite accanto a quelle precedenti, creando a volte anacronismi sbalorditivi. In alcuni periodi le incisioni rupestri sono scarse, come se l'arte fosse entrata in stato di quiescenza. Così è accaduto con la conquista da parte dei Romani (I secolo a.C.): soltanto con la decadenza dell'Impero si è avuta una graduale ripresa della produzione di petroglifi. Dopo un nuovo periodo di scarsa attività, si sono avute successive incisioni in epoca moderna, postmedievale. Con buona pace di chi dice che esiste soltanto ciò che si trova in Google con qualche pressione di un tasto, devo dire che non è sempre facile reperire informazioni valide. Ancor più arduo è ottenere fotografie di alcune iscrizioni recenti. 
 
 
Iscrizioni antiche in lingua camuna 
 
I primi tentativi di traslitterare le iscrizioni camune redatte nell'alfabeto encoriale sono stati abbastanza fuorvianti. Si vedano a questo proposito gli studi di Maria Grazia Tibiletti Bruno e di Alberto Mancini. All'epoca in cui mi interessai per la prima volta a questo argomento, si aveva l'impressione che il camuno fosse una lingua completamente isolata, senza somiglianza con qualsiasi altra lingua del pianeta e del tutto impenetrabile. In fondo la cosa poteva anche sembrare logica: un popolo simile, con una cultura tanto peculiare, residuo di una preistoria inconoscibile, avrebbe ben potuto parlare una lingua priva di parentele determinabili. Tuttavia, una volta decifrato correttamente l'alfabeto, numerose iscrizioni sono risultate redatte in una lingua affine all'etrusco, tanto che alcune possono essere comprese con un certo grado di sicurezza. Era bastata la lettura erronea di pochi caratteri per oscurare ogni cosa. Riporto nel seguito alcuni interessanti esempi di testi etruscoidi.  
 
asθ "colpisci" (1)  
enesau "del nostro" (2)  
mi ruas "io sono del fratello" (3)  
munθau "dell'ordinatore" (4) 
nuni "prega" (5) 
pueia is "rapisci la donna" (6) 
ren "con la mano" (7)
ril "età" (8)
seh manals "figlia dal ricordo" (9)  
sele useu "sole allo zenit" (10) 
tine "nel giorno" (11) 
tiu ulu "luna crescente" (12) 
θiu "dell'acqua" (13)
uahθ raseu "nella formula dell'uomo" (14) 
un "a te" (15)
unsθ "in voi" (16)
unu "voi" (17) 
unus "di voi" (18) 
zeriau "del rito" (19)

(1) Cimbergo, Roccia 49
(2) Berzo-Demo, Roccia 2 
(3) Piancogno, Roccia delle Spade
(4) Foppe di Nadro, Roccia 6  
(5) Berzo-Demo, Roccia 2  
(6) Bedolina 
(7) Zurla, Roccia 22 
(8) Berzo-Bemo, Roccia 2
(9) Piancogno, Roccia delle Spade 
(10) Foppe di Nadro 
(11) Crap di Luine, Roccia 6 
(12) Crap di Luine, Roccia 6  
(13) Foppe di Nadro, Verdi, Roccia 2 
(14) Piancogno, Roccia della Biscia 
(15) Foppe di Nadro, Roccia 27 
(16) Crap di Luine, Roccia 6
(17) Berzo-Demo, Roccia 3 
(18) Berzo-Demo, Roccia 2 
(19) Seradina

In camuno l'antica consonante liquida *-l finale di parola è spesso diventata -u, velarizzandosi completamente. L'idea è stata enunciata anni fa dal canadese Glen Gordon e mi sono reso conto che è molto produttiva. Questa velarizzazione non sembra invece essersi applicata all'interno delle parole, davanti a consonante ed esiste comunque qualche possibile eccezione anche in posizione finale. 

Elementi morfologici camuni ed etruschi: 
 
-au, uscita del genitivo, corrisponde all'etrusco -al  
-als, uscita dell'ablativo, corrisponde all'etrusco -alas 
-s, uscita del genitivo, corrisponde all'etrusco -s,  
, uscita del locativo, corrisponde all'etrusco , -θi  
-u, uscita del genitivo, corrisponde all'etrusco -l 

Lessico camuno ed etrusco: 
 
asθ "colpisci" corrisponde all'etrusco asθ "colpisci" 
      (scritto su una glans missilis
enesau "del nostro" corrisponde all'etrusco enas "di noi", 
      enesci "nel nostro"
manals "dal ricordo" corrisponde all'etrusco manim 
      "monumento; ricordo" 
mi "io" corrisponde all'etrusco mi "io"  
munθau "dell'ordinatore" corrisponde all'etrusco munθ 
      "ordinatore"
nuni "prega" corrisponde all'etrusco nuna "preghiera" 
pueia "donna" corrisponde all'etrusco puia "moglie" 
raseu "dell'uomo" ha la stessa radice dell'etrusco rasna 
      "etrusco"  
ren "con la mano" corrisponde all'etrusco rens "della
      mano", rinuś "delle mani", rinuθ "nelle mani"
ril "età" corrisponde all'etrusco ril "età"
ruas "del fratello" corrisponde all'etrusco ruva "fratello"
seh "figlia" corrisponde all'etrusco seχ, sec "figlia"
sele "allo zenit" corrisponde all'etrusco seleita-, seleta 
      "massimo" (*) 
tine "nel giorno" corrisponde all'etrusco tinśi "nel giorno" 
tiu "luna" corrisponde all'etrusco tiu, tiv "luna"  
θiu "dell'acqua" corrisponde all'etrusco θi "acqua"
uahθ "nella formula" corrisponde all'etrusco vacal, vacl 
      "formula, preghiera"  
un "a te" corrisponde all'etrusco un "te", une "a te" 
unsθ "in voi" corrisponde all'etrusco unuθ "in voi" 
unu "voi" corrisponde all'etrusco unu "voi", unum "voi, 
      vi" (acc.) 
unus "di voi" corrisponde all'etrusco unuse "a voi"
useu "sole" corrisponde all'etrusco usil "sole" 
zeriau "del rito" corrisponde all'etrusco zeri "rito" 

(*) La traduzione, opera di Giulio Mauro Facchetti, mi pare molto verosimile. Questa radice sel- potrebbe avere corrispondenze in anatolico: hittita šēr "sopra", lidio serli- "somma autorità". 

Si ha qualche notevole prestito indoeuropeo. In un petroglifo (Bedolina) si vedono chiaramente un lupo, un serpente e un cerchio. Come evidenziato da Adolfo Zavaroni, accanto al lupo compare la scritta ulk e accanto al serpente compare la scritta anki. Il cerchio riporta invece la scritta uka. Nonostante le interpretazioni di Zavaroni siano nella maggior parte dei casi fallaci, in quanto dettate da un'applicazione incongrua e aprioristica del metodo etimologico, in questo caso sono da considerarsi verosimili, perché abbiamo a che fare con figure parlanti - un fenomeno riscontrabile spesso anche tra gli Etruschi.

anki "serpente" (IE *ang(h)wi-, latino anguis "serpente") 
uka "unione (IE *jeug- / *jug- "unire")  
ulk "lupo" (IE *wḷkw- "lupo") 

Abbiamo poi un'importante radice indoeuropea documenta in un'iscrizione sinistrorsa i cui caratteri somigliano a quelli dell'alfabeto latino (Castelliere di Dos dell'Arca, Capo di Ponte):
 
DIEV  

Esiste anche un'altra attestazione più antica e assimilata alla fonologia dellingua nativa, derivata dalla stessa protoforma (Naquane, Roccia 60): 

ties "di Giove" 

Si tratta evidentemente di un genitivo sigmatico della stessa parola.

Gli autori antichi erano ben consapevoli dell'esistenza di un vero e proprio etrusco alpino. Fondandosi sull'autorità di Catone il Censore, Plinio il Vecchio riporta che gli Euganei si suddividevano nelle tre stirpi: Camuni, Triumpilini e Stoni. Era evidente la loro somiglianza con i Reti, oltre all'origine linguistica comune con gli Etruschi.

Raetos Tuscorum prolem arbitrantur a Gallis pulsos duce Raeto. Verso deinde in Italiam pectore Alpium Latini iuris Euganeae gentes, quarum oppida XXXIIII enumerat Cato. ex iis Trumplini, venalis cum agris suis populus, dein Camunni conpluresque similes finitimis adtributi municipis.  
(Plinio il Vecchio, Naturalisi Historia, Libro III, paragrafi 133-134)

"Si ritiene che i Reti siano di stirpe etrusca, scacciati dai Galli e guidati da Reto Voltandoci verso l'Italia, [incontriamo] i popoli euganei delle Alpi sotto la giurisdizione romana, dei quali Catone elenca trentaquattro insediamenti. Fra questi i Trumplini, resi schiavi e messi in vendita assieme ai loro campi e, di seguito, i Camunni molti dei quali [furono] assegnati ad una città vicina." 

Tito Livio ci trasmette un'importante opinione sulla lingua di queste genti.
 
Alpinis quoque ea gentibus haud dubie origo est, maxime Raetis, quos loca ipsa efferarunt ne quid ex antiquo praeter sonum linguae nec eum incorruptum retinerent. 
(Tito Livio, Ab Urbe Condita, Libro V, paragrafo 33

"Anche le popolazioni alpine hanno senza dubbio origine da questa gente [gli Etruschi], soprattutto i Reti, che i luoghi stessi hanno reso selvaggi, non conservando nulla del passato, salvo il suono della lingua e neppure questo incontaminato." 
 
Spesso si trova sonum linguae tradotto in modo fuorviante con "inflessione della parlata", come se si trattasse di un semplice accento. Non ci sono dubbi che Tito Livio alludesse invece alla concreta somiglianza dei vocaboli oltre che alla fonetica. L'allusione alla "contaminazione" è un indizio del fatto che si percepivano non sono somiglianze con l'etrusco, ma anche differenze, dovute anche a prestiti lessicali da altre lingue.  

 
Le iscrizioni in alfabeto latino 

Nonostante la scarsità sostanziale di petroglifi camuni di età romana, sono noti due alfabetari latini incisi sulle rocce a Piancogno e a Redondo. Si trovano anche alcune iscrizioni in latino. Interessante è il caso di un antroponimo bizzarro, leggibile a Crap di Luine (Boario), sulla Roccia 10:

MVCRO
 
In latino la parola mucro (genitivo mucrōnis) indicava una pietra liscia e appuntita o una punta di pietra. Si tratta di un vocabolo non indoeuropeo, molto probabilmente preso a prestito dagli Etruschi. 
 
A Foppe di Nadro, sulla Roccia 29, si trova un'iscrizione latina: 
 
SCAB(O) / LVCIVS  

La vocale (O) è in realtà non è visibile. Zavaroni fa notare che la A si SCAB(O) è di tipo falisco, simile a una R. Per questo motivo sono in passato state date interpretazioni fuorvianti, leggendo SCRB iupu o SCRB upui (Mancini, 1980). 

A Cimbergo, sulla Roccia 5, si trova un'iscrizione latina destrorsa: 
 
IOVIS 
 
Nonostante sia un chiarissimo genitivo del nome della divnità celeste ("di Giove"), alcuni autori hanno interpretato il testo come un'abbreviazione di IOVI S(ACRUM) "sacro a Giove" (Buonaparte, 1985; Valvo, 1992).
 
Un'iscrizione rupestre destrorsa trovata a Bedolina, su una roccia vicina a una baita, è redatta in lingua camuna ma in caratteri latini. La lunghezza complessiva è di 6,2 centimetri. Questo è il testo:

SILAV TOSSIAI ACILAV 

Si vede subito che ACILAV è corradicale dell'etrusco acil "opera". Possiamo tradurlo con "dell'opera", data la presenza della tipica desinenza camuna -au, corrispondente all'etrusco -al. La lettura di questa iscrizione ha una storia molto tormentata. Si pensi che Altheim nel 1937 aveva letto la sequenza come TITOSAN.QUUOS, cosa in apparenza sensata, se non fosse che la prima lettera T- era nata da un suo arbitrio, non sopportando egli la lettura IITOSAN.QUUOS. Prosdocimi per contro si contentò di una ricostruzione mutila, ?]TOS[x]NQ[xx]O[?, dove x indica un carattere illeggibile. La restaurazione della corretta lettura del testo si deve a Zavaroni, con l'aiuto di Priuli. 

 
Scene venatorie ed erotiche 
 
Nell'antichità preromana erano diffusissime raffigurazioni connesse con la caccia, ma anche con la zooerastia, ovvero col sesso con animali: questa pratica era diffusa tra i Camuni. A Còren del Valento si trova un notevole petroglifo, databile 10.000 anni fa (inizi del Neolitico), che illustra un guerriero intento a copulare con un equino infilandogli il mazzone gigantesco nell'ano, scavando morbosamente nell'intestino retto. 
 
 
La fantasia era sfrenata fin dall'inizio: in petroglifi del Mesolitico, in diversi casi si vede un cane intento a leccare lo sfintere anale di un cervo! Si noterà che il cane leccatore, il cervo leccato e il cacciatore hanno tutti e tre il fallo eretto fino a scoppiare. Mi accingo ad enunciare un'ipotesi assai ardita, che molti troveranno stupefacente. I Camuni devono aver selezionato una particolare varietà di segugi addestrati specificamente per infilare la lingua nel buco del culo ai cervi. Il cervo maschio, nel sentirsi lambire la parte più intima, con insistenza, doveva provare un grandissimo piacere. Così il fiero animale cadeva facile preda delle imboscate dei cacciatori, che prima lo trafiggevano con le lance e poi lo sodomizzavano, scaricando lo sperma nel budello, tra le feci ancora calde. Questi dovevano essere i segreti degli antichi Clan di cacciatori Camuni! Non so cosa darei per poter avere una macchina del tempo e studiare questo popolo così bizzarro. Senza dubbio dovevano imperare virus e parassiti molto inconsueti, a causa di costumanze sodomitiche così fantasiose! Pure nessun Dio ha mai mandato una pioggia di fuoco e di zolfo sulle fiere genti di quella valle e sfido qualunque cultore delle Scritture a provarmi il contrario.  

 
Petroglifi e iscrizioni dell'Età
Medievale e Moderna 

 
Alle Campanelle di Cimbergo ci sono opere petroglifiche molto interessanti, di epoca decisamente più tarda di quelle del periodo più glorioso della storia dei Camuni. L'opinione generale degli accademici vorrebbe queste testimonianze ispirate a uno spirito non religioso, "laico", mentre non gode più di grande credito l'idea che si siano avuto l'intento di risacralizzare tramite simboli cristiani i precedenti luoghi di culto pagani. Tale interpretazione semplicistica non tiene conto del fatto che i valligiani istoriavano ciò che vedevano nella loro vita di tutti i giorni e ciò che costituiva il loro immaginario. Non esiste "vandalismo", come certi neopagani si ostinano ad affermare con una certa dose di rabbia: tutto contribuisce alla sedimentazione dei fossili della Storia e ha il suo interesse. Abbondano incisioni che rappresentano impiccagioni con tanto di boia, a volte cancellate a colpi di scalpello, certo per paura superstiziosa. Altre opere petroglifiche rappresentano torri con vedette provviste di stendardo, aquile imperiali e soldati armati del cosiddetto spiedo friulano, una specie di alabarda usata dagli eserciti delle Venezie nei secoli XIV-XV (Sansoni, 1996). Troviamo anche numerose manifestazioni di religiosità (Cominelli, 2006), non soltanto ortodosse: oltre a raffigurazioni di chiavi, bare e monaci, si notano anche simboli esoterici come il Nodo di Salomone e persino quelle che sembrano prove dell'esistenza di una rudimentale forma di Satanismo. 
 
Questo testo è in apparenza un imperativo piissimo: 
 
Ambula in via D(omi)ni 
 
Ed ecco qualcosa che non ci si aspetterebbe: 
 
666 
 
Il Numero Satanico precede una scritta in lingua romanza, non completamente comprensibile, anche se è senza alcun dubbio un'allusione al fulmine, assai temuto dai montanari: 
 
Quan che il folgora se bussa [?] una […][…]che risa [?]  
 
Un'altra iscrizione romanza, poco sopra, allude al frumento: 

N[…] compr[…] c[]na formet vago del plan d[…] cimberc en sac […] 

Il vocabolo formet /for'met/ è proprio il frumento (latino frūmentum). Vicino si trova quella che dovrebbe essere la firma di uno scalpellino: 
 
 [.]DO DE FRANZO A SCHRITO IN QVESTO PREDO 

Ci vorrebbe un'enciclopedia per esporre in dettaglio tutto lo scibile sulla cultura e sulla storia della Val Camonica. Tanto per rendere l'idea dell'ambiente singolare, basterà citare un episodio grottesco risalente alla metà del XVIII secolo: i protagonisti sono dei fratacchioni che in una chiesa facevano crapule, ingurgitando quantità ingenti di vino e di ostie!
 
 
Il Diavolo con la mandragola 
 
Sempre a Cimbergo si trova una sorprendente raffigurazione del Demonio, ritratto come un umanoide paffuto. Si noti la caratteristica itifallica: l'organo sessuale del Diavolo è eretto ma penzolante, proprio come nei guerrieri antichi dipinti nell'atto di cacciare i cervi. Il cranio del Principe delle Tenebre è massiccio e sferico, l'espressione è grifagna e due piccolissime corna sporgono sull'ossatura parietale. Una coda non troppo pronunciata pare ravvisarsi su un fianco della figura diabolica. Nel complesso lo stile può sembrare molto involuto, addirittura rudimentale, eppure credo che questa raffigurazione meriti di essere ricordata e commentata. Vicino al Diavolo itifallico si vede uno stranissimo vegetale, un po' somigliante ad una rapa: è una mandragola, pianta dal notorio potere afrodisiaco, sicuramente associata all'atto sessuale. Molto interessante è l'articolo di Carlo Cominelli, Angelo Giorgi, Salvatore Lentini e Pier Paolo Merlin, Per una storia della mandragora nell'immaginario della Valcamonica (Italia settentrionale), pubblicato su Eleusis - Piante e composti psicoattivi (2004). Riporto il link: 

https://www.samorini.it/doc1/alt_aut/ad/
cominelli-storia-mandragora-immaginario-
valcamonica.pdf


L'uomo bisognoso e il pappone 
 
Non lontano dal luogo dove è incisa la figura del Diavolo con la mandragola, è presente un'altra sorprendente testimonianza di vita quotidiana della Valcamonica. Questo è il testo dell'iscrizione, in lingua romanza: 
 
Roro, dam una bella pula de foter che la tolirò ades ades de quelli de Cim[bergo] la più

L'interpretazione è chiarissima:

"Roro, dammi una bella ragazza da fottere che la prenderò or ora da quelli di Cimbergo di più"
 
Lo stravagante antroponimo Roro è verosimilmente un ipocoristico di Roberto o di Rodolfo
Il termine pula indica alla lettera una giovane gallina e potrebbe ben tradursi con "pollastra" o "pollastrella". Soltanto un ritardato avrebbe difficoltà a capire che la parola allude a una ragazza in un contesto sessuale.  
Il verbo foter /'foter/ "fottere" è notevole per la conservazione della terminazione -er dell'infinito, che nelle parlate attuali è scomparsa. Compare lo stesso verbo sessuale, inciso nella roccia, in altre due occasioni, segno dell'estremo interesse delle genti camune per la sessualità sfrenata.  

Pur di evitare di ammettere la scandalosa esistenza di uno stravagante pappone di nome Roro, i romanisti si sono inventati interpretazioni fantomatiche. Innanzitutto si sono concentrati sull'osceno verbo foter, facendolo passare a viva forza per un'improbabile contrazione del sostantivo forahter "forestiero", anche se il risultato non è grammaticalmente sensato! Questo caso grottesco mi richiama alla memoria l'interpretazione surreale che un archeologo ha dato di un bassorilievo sumerico in cui un uomo è raffigurato nell'atto di penetrare una donna more ferarum: secondo lui quella sarebbe stata la raffigurazione di un tentativo di salvataggio di una povera donzella dalle acque dell'Eufrate!  
 
 
L'epilogo 
 
L'ultima testimonianza nota dell'arte petroglifica camuna è a quanto pare una scritta novecentesca di argomento religioso: 
 
W IL S. PADRON   

Se il genere umano sopravvivrà, non è escluso che al libro dei petroglifi camuni possano aggiungersi nuove pagine.

domenica 1 agosto 2021

LE MISTERIOSE ISCRIZIONI SULLA STATUA DELLA VERGINE DELLA CANDELARIA

Già parlammo della singolare mitologia connessa con la Vergine della Candelaria e con il suo culto, popolarissimo nell'arcipelago canario e in molti altri luoghi. Secondo la leggenda, una statua della Vergine Maria col Bambinello in braccio e una candela in mano fu rinvenuta da due pastori Guanche sulla spiaggia di Chimisay a Güímar, nell'isola di Tenerife, quasi un secolo prima della conquista di quella terra ad opera degli Spagnoli. L'anno del rinvenimento secondo alcuni è il 1392. Dopo varie vicissitudini, il simulacro fu riconosciuto come un oggetto divino e venerato dalla popolazione indigena. La figura femminile fu dapprima identificata con la Madre degli Dei, Chaxiraxi, e il bambino con suo figlio Chijoraji. Questo finché un nativo dell'isola, che era stato rapito in gioventù ed era cresciuto in Spagna, riconobbe l'immagine della Vergine e convinse il sovrano a trasferirla in una grotta non condivisa con idoli di divinità pagane. Quest'uomo, noto come Antón Guanche, in seguito fece da traduttore per i missionari che catechizzarono le genti di Tenerife. Tracce dell'antico sincretismo persistono tuttavia fino ai nostri giorni.
 

Riporto la descrizione dell'originale simulacro mariano, fatta da un religioso dell'Ordine Domenicano
, Frate Alonso de Espinosa (1543 - 1616), poi ripresa da un personaggio conosciuto con lo pseudonimo di Frate Juan Abréu Galindo (1535 - ?), dell'Ordine dei Frati Minori. Questo è il testo in spagnolo: 
 
La imagen es de más o menos 5 palmos de altura (aproximadamente 1 metro), contando con la peana en que apoyaba los pies. Su posición era de pie, con la cabeza recta y mirando al frente, teniendo en el brazo derecho al Niño Dios, desnudo, las piernecitas dobladas y los brazos también. Aprisionaba por las alas un dorado pajarito de moñita o peineta, y por último, la Imagen del Niño tenía la cabeza ladeada a la derecha y miraba a algo que estaba a los pies de la Madre. El brazo izquierdo de la Virgen, en posición inverosímil, sostenía al Niño, y en la mano izquierda, que se presentaba en posición cerrada y muy natural, tenía un trozo de vela como un jeme de color verde, que daba a entender podía aumentarse con otro, a voluntad, y por último apoyaba las plantas de los pies sobre una tabla redonda o peana, como de cuatro centímetros de alto, pintada de color encarnado, descubriendose la parte externa del pie izquierdo que salía un poco del diámetro de la peana. La indumentaria constituíala una túnica dorada, imitando el color amarillo, desde el cuello hasta los pies, haciendo el talle un cinturón cerrado, azul, como de dos centímetros de altura. El manto, también azul obscuro, salpicado de flores de color de oro, calíale desde los hombros por uno y otro lado del cuerpo, sujetándolo sobre el pecho una traba cuerda encarnada. La parte del pie que se dejaba ver por los bajos de la túnica, presentaba calzado un chaplín cerrado, de color encarnado. La cabeza de la Santa Imagen adornába la hermosa cabellera partida a la mitad, cayendo sobre los hombros en seis ramales tendidos por la espalda. El rostro muy proporcionado a la estatura, era ligeramenmte ovalado, adornado por rasgados ojos, boca pequeña y bien plegada y con unas hermosas rosas en las mejillas. La Imagen esta adornada en el cuello del vestido, cinturón en los extremos de las mangas y al pie de la túnica con unas letras, que aún en la actualidad, no ha podido entenderse su significado. 
 
Traduzione in italiano: 
 
"L'immagine è alta più o meno 5 spanne (circa 1 metro), compresa la base su cui poggiava i piedi. La sua posizione era in piedi, con la testa dritta e lo sguardo davanti a sé, tenendo il Dio Bambino, nudo, sul braccio destro, le gambette piegate e anche le braccia. Imprigionava per le sue ali un uccellino d'oro con arco o pettine, e infine l'Immagine del Bambino aveva la testa inclinata a destra e guardava qualcosa che stava ai piedi della Madre. Il braccio sinistro della Vergine, in una posizione inverosimile, reggeva il Bambino, e nella mano sinistra, che si presentava in una posizione chiusa e molto naturale, aveva un pezzo di candela di circa una spanna, di colore verde, che lasciava intendere potesse essere aumentata con un altro, a piacere, ed infine poggiava la pianta dei piedi su una tavola o base rotonda, alta circa quattro centimetri, dipinta di rosso, lasciando intravedere la parte esterna del piede sinistro che fuoriusciva un po' dal diametro della base. L'abbigliamento costituiva una tunica dorata, imitante il colore giallo, dal collo ai piedi, formante una cintura azzurra chiusa intorno alla vita, alta circa due centimetri. Il mantello, anch'esso blu scuro, punteggiato di fiori color oro, scendeva dalle spalle ai lati del corpo, tenendolo sul petto con un cordone cremisi. La parte del piede che era visibile attraverso l'orlo della tunica, aveva una scarpetta chiusa, di colore rosso. La testa della Sacra Immagine ornava i bei capelli divisi nel mezzo, che ricadevano sulle spalle in sei ciocche tese lungo la schiena. Il viso era molto proporzionato all'altezza, era leggermente ovale, ornato da occhi a mandorla, bocca piccola e ben piegata e belle rose sulle guance. L'Immagine è ornata sul collo della veste, sulla cintura all'estremità delle maniche e ai piedi della tunica con alcune lettere, il cui significato non è stato ancora compreso."

Vergine della Candelaria, forse opera di Nicolás de Medina Villavencio
(XVIII sec.). Si notano in rosso le lettere misteriose.

 
Nel 1826 la statua scomparve in una tempesta. L'anno seguente fu realizzata allo scultore neoclassico Fernando Estévez una sua copia, che è quella che ancor oggi si può vedere nella grotta dietro la Basilica della Candelaria. La cosa che ha subito destato il mio interesse sono senza dubbio le lettere sulla tunica del manufatto originale, trascritte dallo stesso Frate Alonso de Espinosa e da altri autori. Non mi risulta che siano visibili sul manufatto attuale. 

Queste sono le enigmatiche iscrizioni: 
 
1) Sul bavero:

(E)TIEPESEPMERI
 
2) Sulla manica sinistra:

LPVRINENIPEPNEIFANT

3) In fondo alla veste:

EAFM IPNINI FMEAREI

4) Sulla cintura:

NARMPRLMOTARE

5) Sul mantello, sul braccio destro:

OLM INRANFR TAEBNPEM REVEN NVINAPIMLIFINIPI NIPIAN 

6) Sul bordo della mano sinistra: 
 
EVPMIRNA ENVPMTI EPNMPIR VRVIVINRN APVI MERI PIVNIAN NTRHN
 
7) Sul retro della tunica:

NBIMEI ANNEIPERFMIVIFVE 
 
Esiste qualche incertezza nella trascrizione di queste sequenze di lettere. Ad esempio, alcuni riportano ETIEPESEPMERI, con E- iniziale, molti altri invece hanno TIEPESEPMERI o TIEPFSEPMERI. Allo stesso modo c'è chi legge EVPMIRNA e chi legge FVPMIRNA. La perdita del manufatto originale rende molto difficile appurare quali siano le forme corrette.  
 
Dipinto del XVIII sec. che mostra l'apparizione della Vergine ai Guanche.
Anche qui si notano le lettere misteriose in rosso.

Non appena sono venuto a conoscenza di questo materiale, subito mi sono posto alcune domande. Che lingua è mai questa? Possibile che nessuno abbia mai studiato la questione? 
 
Tentativi infruttuosi 
 
In realtà le iscrizioni della Candelaria sono state studiate da diversi autori. Prima che qualcuno arrivasse a identificare la lingua misteriosa con una forma di Guanche, sono stati fatti numerosi tentativi di decrittazione a partire dal latino e da altre lingue estranee ai primi abitatori dell'Arcipelago. Tutti questi tentativi sono insipienti e noiosissimi. Sono stati elencati e descritti da Vicente Jara Vera e Carmen Sánchez Ávila (2016, 2017, 2020). Li riporto, li riassumo e li commento brevemente in questa sede. 
 
1) Gonzalo Argote de Molina (1548–1596) interpretava le iscrizioni come acronimi di formule devozionali mariane in latino. Solo per fare un paio di esempi, forniva questa spiegazione allucinatoria della scritta TIEPFSEPMERI, risolvendola in "Illustrata Es Patri Filio Spíritu-santo Et Pia Mater Eiusdem Redemptoris Iesu", mentre NARMPRLMOTARE era interpretato addirittura come "Nostrum Altissimum Regem Maria Peperit Reddidit Libertatem Maria Omnibus Tortis A Rege Erebia". Fantasie a dir poco malate. Tra l'altro, il codice non si adatta bene: non è spiegata ad esempio l'iniziale T- della prima formula. (Abréu Galindo, 1676)

2) Athanasius Kircher (1602 - 1680), il famoso gesuita egittologo, se ne è uscito con altre inconsistenze criptiche dello stesso tenore: spiegava TIEPESEPMERI come "Insignes Matris / Tipus Matris", mentre NARMPRLOTARE è stato ridotto a viva forza a un grottesco "Pro nobis ora, vel advocatio / Pro novis ora, vel advocate" - mutilando un certo numero di lettere. (de Andrade 1664; de Béthencourt Massieu 2004; Núñez de la Peña 1676; Vera, 2016)

3) Bartolomé García Ximénez (1622 - 1690) insisteva con queste assurde chiavi di lettura: spiegava ETIEPESEPMERI come "Eccleciae Triumfantis In Excelsis {Preposita/Praeposita} Electa Sanctorum Et Patrona Militantis Ecclesiae Romanae {Infal<l>ibilis / Indefectibilis}", mentre NARMPRLMOTARE è stato ridotto a viva forza a un grottesco "Non Ambio Regnorum Magna Palatia Requiro Litora Maris Oceani {Thenerifensis / Thenerifensia} Ad Rusticos Edocendos". (Moure, 1991; Vera, 2016)

4) John Campbell (1840 - 1904) ha applicato alle iscrizioni la metodologia dei cosiddetti traduttori magici, utilizzando come chiave di lettura una lingua che gli era praticamente ignota: il basco. TIEPFSEPMERI è stato ridotto a un implausibile "ko i en tu po no en tu me ne ra au", ossia "Koi entu pono entu Menera au", tradotto come "Fa sì che la (dea) Menera ascolti la preghiera, ascolti il dolore". NARMPRLMOTARE è stato ridotto a un implausibile "mi ra er mi to ri se me ma gu re er en", ossia "mira erimi etorri seme etna gure erren", tradotto come "Venendo a far allestire uno spettacolo, per dare al figlio la nostra compassione". (Campbell, 1901; Vera, 2016)

5) Antonio María Manrique (1837 - 1907) è partito dal presupposto che le iscrizioni nascondessero una non meglio specificata lingua semitica. I contenuti sarebbero passaggi biblici devozionali. In quest'ottica, TIEPFSEPMERI è stato interpretato come "Maria, piena di grazia", mentre NARMPRLMOTARE è stato interpretato come "Dio Unico e Padre per tutti". Di certo sono "traduzioni" più sobrie di quelle di Campbell, il che non basta a garantirne la plausibilità. (Manrique, 1898; Vera, 2016)

6) Alonso Ascanio y Negrín (1855–1936) ha proposto una combinazione sincretica di spagnolo, portoghese e italiano. Così (E)TIEPFSEPMERI è stato chissà come ridotto a ME SOBRA O GAJE, mentre NARMPRLMOTARE è stato manipolato fino a diventare EVIIOJ DE NOVIA. Addirittura ci sarebbe la datazione dell'opera: NBIMEI ANNEIPERFMIVIFVE ha dato per misteriosa distorsione LA FIXE SINESIVJ ZEA MCCXLIX. Mi domando come qualcuno abbia potuto sprecare del tempo a leggere simile spazzatura concettuale. (Negrín, 1899; Vera, 2016)

7) Fidel Fita Colomé (1845–1918) ipotizza una trasposizione di caratteri di un latino molto modificato in senso biblico. Va detto che egli ha proposto una spiegazione soltanto per la prima stringa ETIEPFSEPMERI, considerata un anagramma di SEPI ET ERIPE ME ("proteggimi e liberami"). Fornisce alcuni riferimenti biblici, scelti perché si parla di una torre, da lui identificata con la protezione soprannaturale: Cantico dei Cantici, 4, 4 e Isaia, 5, 2. Quindi connette questa simbologia della torre con l'epiteto Turris eburnea, ossia Torre d'Avorio, attribuito alla Vergine nelle Litanie Lauretane. Tutto ciò è molto labile. (Moure, 1991; Tveedale, 2005)

8) José Hernández Morán (1922 - vivente) continua imperterrito la tradizione degli pseudo-acronimi multipli ottenuti in modo ingegnoso quanto vano da frasi latine e spagnole. Prende spunto dal gesuita Kircher (Morán, 1957; Vera, 2016), giungendo ad interpretare TIEPFSEPMERI in due modi diversi quanto incompatibili: il primo, TI-E-PE-SEP-MERI "Tú eres por siempre María" (ossia "Tu sei per sempre Maria"), il secondo TI-ERES-EP-MERI "Tú eres espejo de madre" (ossia "Tu sei specchio di madre"). Non so dare indicazioni su quanta bamba abbia inalato per concepire assurdità sesquipedali come queste, ma sembra verosimile che abbia rielaborato le interpretazioni di Kircher.  

Mi sono imbattuto, navigando nel Web, in un ulteriore tentativo di spiegare le iscrizioni misteriose, questa volta ricorrendo al catalano parlato nelle Baleari. Non sono più riuscito a ritrovare il documento e non ricordo il nome dell'autore. Il suo argomento portante era di questo tenore: siccome l'originale statua della Vergine della Candelaria somigliava a quella della Vergine di Montserrat, la sua provenienza doveva essere balearica e le iscrizioni dovevano essere derivate da una serie di abbreviazioni di parole catalane (es.: dove ricorreva l'arduo gruppo consonantico FM, leggeva femella "donna", o qualcosa del genere). Forse spinto dalla vergogna, questo autore ha in seguito fatto scomparire ogni traccia della sua opera dilettantesca. Non c'è alcuna logica in queste illazioni. Se un uomo delle Baleari avesse voluto scrivere qualcosa, non avrebbe fatto ricorso a una forma di scrittura così smozzicata, soltanto per risultare incomprensibile a tutti! 
 
La crittografia non funziona    
 
La dimostrazione dell'assurdità delle interpretazioni criptiche è abbastanza lineare. 
i) Se fosse esistita una tradizione criptica nella Chiesa Cattolica, in grado di formare complessi codici a partire da frasi devozionali in latino, ne saremmo al corrente: ce ne sarebbero moltissime testimonianze in tutto il mondo. Invece è riconosciuto che le iscrizioni della Candelaria sono uniche
ii) Gli ecclesiastici stessi dicono chiaramente che le lettere sulla tunica mariana sono sconosciute nel loro significato e avanzano soltanto ipotesi tenui a questo proposito. 
iii) Nessuno avrebbe usato un linguaggio criptico, che non sarebbe stato compreso neppure dai religiosi. A chi sarebbe stato rivolto? A pochi iniziati? Conosciamo bene l'avversione mostrata dalla Chiesa Romana per ogni forma di conoscenza esoterica, fin dal suo inizio. 
 
Si nota la volontà di annientare la cultura nativa dei Guanche negando alla radice la stessa esistenza della loro lingua. In altre parole, l'idea di interpretare in modo criptico le iscrizioni sarebbe in tutto e per tutto un atto politico, volto a far cadere nell'oblio persino il vago ricordo dell'esistenza di qualunque cosa non fosse ispanica. 
 
Il lavoro di Reyes García 

Il primo ad effettuare una comparazione tra le iscrizioni della Candelaria, le lingue Guanche e le lingue berbere continentali è stato Ignacio Reyes García (2010. La Madre del Cielo: Estudio de Filología Ínsuloamazighe; 2011. Diccionario Ínsuloamaziq. Islas Canarias: Fondo de Cultura Ínsuloamaziq).
 
 
Ecco in breve i risultati ottenuti dallo studioso:  

TIEPFSEPMERI
<Ti yebb f sab Meri> 
"Il Padre sotto la protezione della Vergine Maria."
 
NARMPRLMOTARE
<Narəm əbər ghər muttar>
"Condividere (il cibo) è un dovere verso i poveri."

LPVRINENIPEPNEIFANT
<Lbu rinni bab nə afa ənt> 
"Sii misericordioso nella vittoria, Signore della Luce Eterna."  

OLM INRANFR IAEBNPFM RFVEN NVINAPIMLIFINVIPI NIPIAN 
<Ul-m yən ǎr anfər Iaeb ənubi f-m ǎr fwen. Nwi-ina bib am əliffi n wibbib. Ni bi-an> 
"Il tuo cuore ospita i più importanti tesori, il Bambino Yahveh su di te, tesoro splendente. Un peso sulla nostra coscienza è come una catasta sulle nostre spalle. Controlla quel peso."  

FVPMIRNA ENVPMTI EPNMPIR VRVIVINRN APVIMFRI PIVNIAN NTRHN 
<Ffu b-mirna. Nubi am ti ewen am bir ur wiwi-n rn, abu i mǝfri. Bib-wǝn ǝyyan nut ǝrγ un>
"Albeggia, grande potere. Il figlio, come il padre e la via della perfezione, evitano la malattia, sono un balsamo per la persona che soffre. Il tuo unico peso deve essere una candela luminosa."

EAFM IRENINI FMEAREI 
<Ê af-m irenni f-əme arey>
"Oh, la tua scoperta aumenta la protezione contro la superstizione"
 
NBIMEI ANNEIPERFMIVIFVE 
<Nəbbi y əməyyi. An-năy əberref mi əwif Uf>
"Diamo rifugio a colui che ignora. Perdoneremo l'offesa quando è causata dalla paura di Dio"

Da queste elucubrazioni è possibile comporre un esiguo glossario, che purtroppo sembra altamente ipotetico. Eccolo:  
 
ENVP "figlio" 
MERI "Maria"
MOTARE "poveri" 
NARM "condividere" 
OLM "il tuo cuore" (f.)
SEP "vergine"
TI "padre" 
 
Si segnala l'enorme divergenza nella fonologia tra la lingua di queste iscrizioni e le lingue dei Guanche documentate.  
 
Il lavoro di Jara Vera e Sánchez Ávila
 
Un altro tentativo di decrittazione basato sulle lingue berbere continentali è quello di Vicente Jara Vera e Carmen Sánchez Ávila dell'Università Politecnica di Madrid. Il loro articolo Linguistic Decipherment of the Lettering on the (Original) Carving of the Virgin of Candelaria from Tenerife (Canary Islands) (2017), è consultabile al seguente link: 


Ecco in breve i risultati ottenuti:
 
TIEPFSEPMERI
[T·Y]-[F·G]-[S·P]-[M·R]
/ti-effeg-ăsap-amər-i/
=> /ti-epef-sep-meri/
"Dio Padre ha trovato in me, la Vergine, la grazia"

NARMPRLMOTARE
[M]-[R]-[M]-[F·R]-[M·Ṭ]-[R]
/m-er-m-ffer-el-məṭṭuti-ar-e/
"Sei stata benedetta con unicità tra l'intero genere delle donne"

LPVRINENIPEPNEIFANT  
[L·F]-[R]-[N]-[N·F·(Y)]-[N·T]
/əlpu-ăr-in-inifif-ən-ăy-if-ent/

"Coloro che riempiono il cuore e la vita d'amore, sono in Me"

OLM
[H·L]-[M] 
/all-m/ 
"Ti preghiamo"

INRANFR
[M·R]-[F·R]
/imran-ffer/
 
     => /inranfr/
"Proteggi il territorio" 

IAEBNPFM 
[Y]-[B·B]-[N·B·Γ]-[G·M]
/i-ebb-ənbəγ-ğəm/
     => /i-eb-npγ-ğəm/ 
"Egli è l'Autore e il Signore che fa germogliare e crescere"
 
RFVEN 
[R]-[F]-[W·N]
/ere-af-wen/ 
    => /rfuen/
"Fortunato è chi la trova" 
 
NVINAPIMLIFINVIPI 
[N]-[NḌ]-[ML]-[FNWT]
/ănnu-inaḍ-imli-fənəwwət-i/ 
"Si propone di concedere autorità ai buoni piuttosto che essere eccessivamente orgogliosi"
 
NIPIAN 
[M]-[F]-[YN]
/mi-if-əyyăn/ 
"Chi è come il Signore?"
 
FVPMIRNA 
[F]-[W·F]-[R·N]
/f-ewef-mərna/ 
"Trionfo sul terrore e sulla paura"
 
ENVPMTI 
[N·B·(W)]-[N·T]-[T·Y]
/ənubi-ent-ti/ 
"Il Figlio è lo stesso del Padre"
 
EPNPMIR 
[B·D]-[N·N]-[T·Y]-[R]
/əbdəd-ənnun-tteyr/ 
"Egli esalta l'umile e abbassa il malvagio"
 
VRVIVINRN 
[R·W]-[Y]-[W·Y]-[N]-[RN]
/uru-i-iwi-n-renni/ 
"Questa ha generato Colui che ci guida verso la vittoria (i.e. verso la Salvezza)"
 
APVIMFRI 
[A]-[F]-[N·F·R]
/a-effu-anfər-i/ 
"Questa è colei che mi illumina completamente"
 
PIVNIAN 
[F·Y]-[W]-[N·Y]-[N]
/fi-iw-ənəy-ăn/ 
"Questo qui è il Figlio nato dall'Onnipotente"
 
NTRHN 
[N·T]-[R·H]-[H·N]
/ent-arəh-ehən/
"Casa fondata sulla roccia"
 
EAFM 
[H]-[F]-[M]
/əh-af-əm/ 
"Venga il tuo Regno"
 
IRENINI 
[Y·R]-[M·N·Y]
/ayur-emnəymənəy/ 
"Tu sei come la Luna splendente"
 
FMEAREI 
[F·N]-[R·Y]
/afna-arey/ 
"Liberaci dal Male"
 
NBIMEI 
[N·D]-[N·Y]
/əndu-ənəy/ 
"La tua saggezza è perfetta"
 
ANNEIPERFMIVIFVF  
[M]-[Y]-[FRG]-[F]-[GW]-[WF]
/anna-i-ferg-f-iməggiwa-əwəf/
"Tu sei la Madre che protegge dal fallimento e dalla paura"
 
Da queste elucubrazioni possiamo comporre un breve glossario di voci selezionate a colpo d'occhio. Questo glossario purtroppo sembra altamente ipotetico - e spesso in netto contrasto con quello ottenuto da Reyes García. 

AFM "il tuo regno" (f.)
ENINI "splendente" 
ENVP "figlio"
INRAN "territorio" 
IR "luna"
LPV "accumulare"
MERI "grazia"
MOT "donne"
OLM "ti chiediamo" 
SEP "vergine" 
TI "padre" 
 
Devo essere franco. Non possiamo farcene molto. 

Problemi e criticità 
 
A molti potrebbe anche sembrare che la difficile questione sia stata risolta. Non possiamo tuttavia fare a meno di esprimere alcune importanti considerazioni. 
 
1) Le lingue Guanche avevano un vocalismo pieno, con cinque vocali /a/, /e/, /i/, /o/, /u/. Le lingue berbere continentali hanno un vocalismo ridotto, quasi rudimentale. 
2) Le lingue Guanche avevano un sistema consonantico simile a quello delle lingue romanze, non particolarmente ricco. I viaggiatori e i cronisti concordavano col dire che il loro suono era melodioso. Le lingue berbere continentali hanno un consonantismo ricchissimo. Chi le ha udite concorda col dire che il loro suono è aspro
3) Le lingue berbere continentali sono il prodotto di un "collo di bottiglia": la protolingua ricostruita dovrebbe corrispondere a una lingua parlata all'epoca dell'Impero Romano. Questo protoberbero ha fatto scomparire una grande varietà di lingue preesistenti (Blench, 2018). Le lingue Guanche appartengono a questa varietà di lingue più antiche; si sono separate prima della formazione del protoberbero di cui sopra.  
4) Nel database compilato da Alexander Militarev e contenuto nel sito The Tower of Babel sono riportate 515 protoforme berbere ricostruite a partire da vocaboli documentati delle lingue documentate - tra cui prevalgono in modo netto quelle attualmente parlate. Ci sono soltanto 19 etimologie canarie (circa il 3,7% del totale) e 3 etimologie di parole dell'antico libico (circa lo 0,6% del totale). Peggio ancora, poche tra le 19 etimologie canarie hanno corrispondenze in altre lingue trattate nel database delle etimologie berbere. Alcune poi sono scarsamente consistenti. 
 
 
5) Esistono contraddizioni tra le ricostruzioni di García e di Vera-Sánchez Ávila e le parole realmente attestate nelle isole. Ho identificato subito un esempio. Nel lavoro di Jara Vera-Sánchez Ávila MOT significa "donne", ma nel Guanche di Tenerife la parola per dire "donna" era CHAMATO. Chiaramente la radice è la stessa, ma è assai improbabile che si tratti di testimonianze di un'unica lingua. Un altro esempio: il termine IR dovrebbe significare "luna" e corrispondere al berbero continentale ayur "luna". Tale parola non è tuttavia documentata nelle Canarie. A Tenerife la luna era chiamata cel, da tutt'altra radice.
6) Potrebbe essere un gravissimo errore ritenere le lingue berbere moderne come un punto fisso di riferimento in base a cui decrittare qualsiasi attestazione delle lingue Guanche. In altre parole, sia Reyes García che Jara Vera e Sánchez Ávila potrebbero essere caduti nel tranello delle traduzioni magiche.  

Una credenza ideologica 

Alla base degli errori alla base dei lavori sopra riportati sta un presupposto dettato da ragioni essenzialmente politiche: l'idea folle secondo cui lo strano aspetto fonetico delle parole e dei nomi Guanche di cui abbiamo documentazione sia dovuto all'incapacità dei conquistatori (Spagnoli, Genovesi, Normanni, etc.) di trascrivere i suoni della lingua nativa, che di per sé sarebbero stati identici a quelli delle lingue della Barberia. Finché non si farà piazza pulita di questo terribile malinteso, non si arriverà da nessuna parte.

Conclusioni 

La mia paura è che gli studi di Reyes García e di Jara Vera-Sánchez Ávila siano da buttar via. Credo che ci vorranno ancora molti anni di indagini per arrivare a qualcosa di sicuro, possibilmente con l'aiuto della scoperta di nuovo materiale. Non si potrà purtroppo fare molto finché durerà il funesto influsso della politica, che è interessata a far sì che le lingue canarie siano perdute per sempre. Che soluzione dare al mistero? La statua si è spiaggiata recando già le iscrizioni in caratteri rossi? E in questo caso, da dove proveniva? Oppure qualcuno ha eseguito le iscrizioni in seguito? Chi era costui? Qualche missionario animato dal nobile intento di insegnare ai Guanche di Tenerife a leggere e a scrivere nella loro lingua? Sono domande al momento destinate a rimanere senza risposta.