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sabato 12 settembre 2020

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA NATURA DEL TEMPO: LA NATURA DEL PASSATO

Propongo un semplice tentativo di formulazione matematica del presentismo legato alla freccia del tempo. Mi rendo conto di usare un formalismo rudimentale. Credo tuttavia che queste note possano avere una qualche utilità. 
 
Immaginiamo quattro eventi in successione d'ordine: 
 
a, a', a'', a''' 
 
L'evento a''' è successivo all'evento a'', che è successivo all'evento a', che è successivo all'evento a.

Immaginiamo di trovarci in un istante b, successivo a tutti i quattro eventi sopra menzionati.  

Definizione 1 
Il passato è costituito da proiezioni che appartengono al presente b e possono essere così definite: 

fb(a), fb(a'), fb(a''), fb(a''') 

La funzione è f, mentre il pedice b indica che dipende dall'istante b in cui compiamo la misura, ossia l'osservazione. Se l'osservazione è compiuta in un altro istante successivo, poniamo c, le proiezioni saranno ancora diverse:

fc(a), fc(a'), fc(a''), fc(a''')  
 
Nella pratica, ai fini della nostra discussione, possiamo anche trascurare questa dipendenza dall'istante dell'osservazione, omettendo l'indice e descrivendo così le proiezioni degli eventi passati:  
 
f(a), f(a'), f(a''), f(a''') 
 
Il passato non esiste di per sé. Il passato non ha un'esistenza separata dalla misura quantistica chiamata presente, ossia dalla nostra esperienza presentacea. Esistono solo le proiezioni degli eventi passati, come abbiamo descritto sopra.

Definizione 2
La freccia del tempo è una serie ordinata di misure quantistiche, da cui il passato si può eliminare, perché non ha alcuna definizione indipendente dal presente. 
 
In altre parole, le proiezioni di misure precedenti, che definiscono il nostro concetto di passato, sono fossili che appartengono al presente. Il destino della misura che definisce il presente è quello di fossilizzarsi. Errano coloro che accusano questa visione della realtà temporale di essere una "strategia del trasferimento" (relocation strategy), come Ingthorsson et al., a cui raccomando la lettura del mio contributo. Perché si possa trasferire qualcosa, questa deve innanzitutto esistere come realtà indipendente. Così non è. Non si trasferisce nulla perché non c'è nulla da trasferire.  

La conoscibilità del passato

A questo punto si possono enunciare i princìpi essenziali della conoscibilità del passato. Immaginiamo di scoprire le proiezioni di vecchie serie di misure (fossili, archivi, etc.): si trovano le proiezioni f(x), f(x'), f(x''), f(x''') di istanti passati x, x', x'', x''', di cui si ignorava del tutto l'esistenza. L'indagine di queste proiezioni si può fare unicamente attraverso processi cognitivi.

Domanda: Che cosa succede quando un essere appartiene al passato? 
Risposta: Questo essere non esiste più. Esistono soltanto le sue tracce nella nostra dimensione presentacea.

Natura delle proiezioni del passato 

Le proiezioni f(a), f(a'), f(a''), f(a'''), etc., hanno le dimensioni di dettagli spaziali, conoscibili non con la misura quantistica che ha generato gli eventi a, a', etc., ma con processi allocati nello spazio oltre che nel tempo: il lavorio cognitivo delle sinapsi. 

Esempi:
Giulio Cesare non viene pugnalato in eterno durante le Idi di Marzo come supposto da Penrose in un delirio degno di Caligola nel suo più furioso attacco di demenza: tutto ciò che rimane di Giulio Cesare è allocato nello spazio, è esplorabile tramite osservazione con gli organi di senso. Osservo la piazza di Lodi da cui si dice che Giulio Cesare sia partito per la sua spedizione nelle Gallie. Sfoglio e leggo una copia del De bello Gallico in latino e nella sua traduzione in italiano. Ne memorizzo i contenuti, almeno in parte. Osservo statue di Giulio Cesare e la ricostruzione della sua fisionomia, che è stata tentata da alcuni studiosi. Leggo biografie di Giulio Cesare, antiche e moderne. Mi faccio idee e opinioni su Giulio Cesare. 

Analisi delle proiezioni = Illusione di esistere

Si perde parte della struttura, nelle proiezioni si perdono i dettagli. Le proiezioni si disgregano. La loro disgregrazione è ineluttabile. Questo perché l'esperienza presentacea è impermanente: ogni misura quantistica che definisce il presente diventa all'istante passato, finisce nell'Oceano delle Proiezioni. 
 
Esempi: 
Io trovo un'iscrizione antica, ma tutto ciò che riguarda il suo significato deve essere indagato col processo cognitivo; si è perso tutto sul contesto di tale relitto, non si ha più notizia dello scriba e della sua esistenza, etc.

La proiezione f(a) ha meno dettagli di f(a') che a sua volta ha meno dettagli di f(a''), etc., ad infinitum. 
Questo definisce e misura la disgregazione ontologica.

L'ontodimamica e i suoi princìpi 
 
Possiamo enunciare una legge di "termodinamica temporale", che potremmo chiamare  ontodinamica:
Non si può avere una proiezione f(a) con una quantità di dettagli pari alla misura a che l'ha generata. 
Quello che noi chiamiamo "passato", ossia le tracce di configurazioni non più attuali, è votato alla dispersione e all'annientamento della sua ontologia, in netto contrasto con quanto affermano le religioni monoteiste, secondo le quali ogni istante sarebbe eterno ed eternamente presente agli occhi di Dio. Più vicina al vero è la filosofia dei popoli Indiani d'America, sintetizzabile in queste affermazioni: 

UNA COSA ESISTE SOLO FINCHÉ QUALCUNO LA RICORDA.

UNA COSA ESISTE SOLO FINCHÉ QUALCUNO LA SA RICONOSCERE.
 
Chiunque può osservare le prove di questa usura, di questo attrito ontologico che distrugge ogni cosa. Dell'eternità postulata da Penrose nessuno ha mai potuto osservare la benché minima prova: è il semplice prodotto del fumo di quantità colossali di cannabis. 

I princìpi dell'ontodinamica sono analoghi a a quelli della termodinamica. Esiste un'impressionante somiglianza, che spero sarà approfondita da studiosi con più mezzi di me. In particolare possiamo affermare quanto segue:

1) Non è possibile fabbricare una macchina in grado di determinare il collasso della funzione d'onda temporale prima che questo sia avvenuto.

2) Non è possibile fabbricare una macchina in grado di estrarre dalla proiezione f(a) la conoscenza piena dell'evento a che l'ha generata, da f(a') la conoscenza piena dell'evento a' che l'ha generata, etc. 

Qualcuno dirà che ho dimostrato l'inesistenza del tempo. Possibile. C'è però qualcosa che non è corretto in questa affermazione. L'inesistenza del Tempo di Newton è già stata dimostrata da Albert Einstein. Nessuno si sogna più di ritenere il tempo una dimensione assoluta, ossia un contenitore degli eventi, in grado di esistere anche senza eventi. Esiste però il tempo come ordine degli eventi. La nostra realtà è legata a questo ordine ed è intrinsecamente tensionale. Penrose e altri sostenitori dell'eternismo non tensionale negano la differenza ontologica tra presente, passato e futuro, sostenendo un Universo simile all'Iperuranio platonico, il che porta a insanabili contraddizioni. Anche se ora della fine affermo la natura illusoria dell'Esistenza, ciò che osservo mi porta a formulare la non equivalenza ontologica del presente col passato. In altre parole, la nostra esperienza presentacea è un'Illusione di cui siamo prigionieri, non è possibile dominarla. Della natura del futuro tratteremo in altra sede.

mercoledì 1 gennaio 2020

 
FRIGYES KARINTHY E LA SUA OPERA
 
Lo scrittore e linguista ungherese Ferenc Karinthy (Budapest, 1921 - Budapest, 1992) è l'autore del romanzo surreale Epepe, più conosciuto nel mondo anglosassome come Metropole.
 
 
Il padre di Ferenc, Frigyes Karinthy (Budapest, 1887 - Siófok, 1938), non era affatto uno sconosciuto. Nato da una famiglia borghese di origine ebraica, si distinse per il suo grande ingegno e per la sua vena satirica: fu poliglotta, scrittore, drammaturgo, parodista, umorista, utopista, poeta, giornalista e traduttore in ungherese. Non smise mai di studiare e accumulò un’immensa mole di conoscenze sia umanistiche che scientifiche, cosa molto rara tra gli scrittori di quei tempi. Alcune delle sue traduzioni sono tuttora in circolazione. Tradusse opere di Charles Dickens, Heinrich Heine, H.G. Wells (The Sea Lady, The Country of the Blind), Stephen Leacock, A. A. Milne (Winnie-the-Pooh, reso con Micimackó), Christian Morgenstern, Luigi Pirandello (Sei personaggi in cerca d'autore), Jonathan Swift (I viaggi di Gulliver), Mark Twain (Tom Sawyer), Metta V. Victor e Franz Wedekind. 
 
Particolare attenzione merita il suo rapporto con H.G. Wells, e non soltanto in relazione alla letteratura fantastica: la traduzione in lingua magiara delle opere dello scrittore britannico comportò modifiche di non poco conto, e in alcuni casi una vera e propria propria riscrittura. 
 
L'influenza di Wells si nota anche in due interessantissimi romanzi fantascientifici e utopistici di Karinthy padre: Viaggio a Faremido (Utazás Faremidóba, in inglese Voyage to Faremido, 1916) e il suo seguito Capillaria (Capillária, 1921). Viaggio a Faremido è strutturato come un seguito de I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift e preconizza l'intelligenza artificiale. Un pilota si addentra in un paese sconosciuto i cui abitanti hanno corpi costituiti da materiali inorganici e si esprimono in un linguaggio musicale: si tratta di veri e propri robot dotati di intelletto e indipendenti dagli umani. Una visione notevole per gli inizi del XX secolo e certamente profetica.  

In Capillaria è descritto un mondo sottomarino abitato soltanto da donne, mentre i maschi sono ridotti a esserini residuali chiamati bullpop, poco più che genitali deambulanti. Il tema del feroce contrasto tra i sessi e della servitù sessuale è portato ai suoi limiti estremi: il maschio debole è descritto come un "piccolo verme ripugnante", ignorato dalla società femminile sia come mantenitore che come propagatore della specie, condannato quindi a una morte vergognosa. Anche questo è un tema di scottante attualità. 
 
 
Il contributo di Frigyes Karinthy alla Scienza è stato notevole, avendo introdotto un concetto completamente nuovo che si è dimostrato di grande utilità nella matematica, nella sociologia, nella fisica, nella cibernetica e nella teoria delle reti. Si tratta dell'idea dei sei gradi di separazione, che compare nel suo racconto Catene (Láncszemek, 1929), inedito in Italia e parte dell'antologia Ogni cosa è diversa (in inglese Everithing is different). Secondo questo cruciale concetto, ogni persona è connessa a tutte le altre da un piccolo numero di passaggi, che è sempre minore o uguale a sei. L'assunto di Karinthy è semplice: il mondo si sta contraendo a causa dell'accresciuta connettività tra gli individui. Nonostante le persone vivano separate da grandi distanze, la loro crescente densità sul globo porta inevitabilmente a una riduzione delle distanze sociali. Così scrisse nel racconto in questione: 
 
"Comunque, dalla discussione venne fuori un'idea interessante. Uno di quelli che vi partecipava propose un gioco per dimostrare che gli abitanti del globo terrestre sono molto più vicini l'uno all'altro, sotto molti punti di vista, di quanto lo siano stati nel passato. Dato un individuo qualunque tra il miliardo e mezzo di abitanti della terra, che vive in un posto qualsiasi, lui sosteneva di riuscire a mettersi in contatto con quell'individuo al massimo attraverso cinque altri individui che si conoscessero tra loro personalmente." 
 
 
Possiamo renderci conto di questo fatto nella nostra quotidianità. Ho avuto occasione di sperimentare che le distanze che mi separano da diversi personaggi famosi (nel bene o nel male) sono molto minori di quanto possa sembrare. Solo per fare un esempio, a quanto ho potuto appurare, George W. Bush è separato da me da solo tre gradi: un amico di un mio amico lo ha conosciuto alla Casa Bianca, dove ha lavorato per un certo periodo. Questo significa che numerosissimi politici statunitensi sono separati da me al massimo da quattro gradi. Tra questi possiamo enumerare Bill Clinton e sua moglie Hillary, Barack Obama e Donald Trump. Non è affatto escluso che un domani possa darsi la dimostrazione che il mio vero numero di gradi di separazione con ciascuno di questi individui è ancora minore. Un caso ancora più sorprendente è quello di Moana Pozzi: anche se è defunta, i gradi di separazione sono due, dato che mi sono imbattuto in ben tre uomini che l’hanno conosciuta direttamente. Questo fa sì che ci siano soltanto tre gradi di separazione tra me e un numero enorme di attrici e di attori di film hard, vivi e trapassati. 
 
Veniamo infine a una questione davvero singolare. Frigyes Karinthy era un ardente sostenitore dell'esperanto, partecipava ai congressi degli esperantisti e dal 1932 fu a capo dell'Associazione Esperantista Ungherese (Hungaria Esperanto-Asocio). È tuttavia riportato che non parlava affatto tale lingua. Non sono in grado di fornire un'adeguata spiegazione, dal momento che l'esperanto è una lingua di apprendimento molto facile, che non avrebbe dovuto scoraggiare un valente poliglotta. Forse si trattava di una peculiare idiosincrasia che gli impediva di memorizzare le parole? Ancora più strano che un uomo che nutre passione per qualcosa poi mostri una tale difficoltà ad apprenderla.

domenica 23 dicembre 2018

NOTE SUL LAVORO DI COOPER

Peter D. Cooper (Australian National University, Australia, ricercatore invitato) è l'autore dell'articolo The Multiverse Paradox: Infinite Parallel Universes Are Impossible  (Il paradosso del multiverso: infiniti universi paralleli sono impossibili), pubblicato su Cosmology, 2015, Vol. 19. pagg. 62-68 (sito web Cosmology.com, 2015). Il lavoro può essere consultato e scaricato comodamente in formato .pdf a questo indirizzo url:


Questo è l'abstract, da me tradotto:

Ogni universo parallelo in un Multiverso infinito dovrebbe essere non meno improbabile del nostro universo incredibilmente implausibile. La probabilità che un tale Multiverso esista per caso eguaglia il prodotto di un numero infinito di valori inferiori all'unità, che è zero. È discusso brevemente il concetto che la Coscienza possa essere una dimensione di un Universo addizionale alle tre dimesnioni spaziali e al tempo.

L'autore tratta il problema delle sei costanti fisiche universali da cui dipende l'esistenza della biologia sulla Terra, e quindi anche del genere umano. Così esse sono descritte nell'articolo, spero che nessuno mi lincerà se il linguaggio non è rigoroso: 

   1) N: esprime l'importanza relativa della gravità e delle forze elettrostatiche nella materia ordinaria. Se la gravità fosse troppo forte, l'universo sarebbe troppo piccolo e il tempo troppo breve per l'evoluzione. Se la gravità fosse troppo debole, l'universo sarebbe troppo vasto e il tempo troppo lungo per l'evoluzione.
   2) Ɛ: riguarda l'energia legata alla massa (E = mc2) nei legami interni dei nuclei atomici e l'energia rilasciata in un'esplosione atomica. Al di fuori di certi limiti, le stelle non potrebbero produrre atomi necessari per la vita.
  3) Ω: numero cosmico, che misura la quantità di materia nell'Universo espressa come frazione di una massa critica. Se questo numero fosse maggiore o uguale a 1, l'Universo sarebbe collassato da lungo tempo; se invece fosse molto minore di 1, le galassie non si sarebbero potute formare. 
   4) λ: costante cosmologica. Funziona da antigravità cosmica, che restringe il tasso di espansione cosmica. 
  5) Q: rapporto di energia richiesto per disperdere un grande ammasso galattico alla sua energia totale calcolata come E = mc2. Governa la trama (irregolarità) o il tessuto dell'Universo: se il suo valore fosse più piccolo, l'Universo sarebbe inerte e senza struttura. Se fosse più grande, l'Universo sarebbe così violento che le galasse e le stelle non potrebbero sopravvivere.
   6) 3: è esattamente il numero di dimensioni spaziali del nostro Universo. 

Cooper inizia subito a presentare queste cose come manifestazioni di miracolismo prodotte da quella che chiama Mente Creativa Cosmica, ovviamente ritenuta "benigna". Siamo ancora una volta di fronte all'argomento del fine-tuning (regolazione fine), che già abbiamo avuto la ventura di dover affrontare. Ecco l'articolo in questione:


L'inconsistenza dell'argomento di Cooper è manifesta. Come tutti i sostenitori del creazionismo cristiano tanto popolare nel mondo anglosassone, egli applica a sproposito i concetti della matematica e della fisica. Il suo ragionamento è abbastanza semplice. Siccome il Multiverso è una collezione di infiniti universi, ciascuno dei quali è caratterizzato da propri parametri definitori di per sé improbabili, ne consegue che la sua probabilità è nulla. Questo perché la probabilità del Multiverso è data dal prodotto delle infinite probabilità piccolissime di tutti gli universi che lo compongono. Quando si parla di probabilità, occorre sempre fare una certa attenzione, per non prendere cantonate sesquipedali. In un certo senso Cooper si mostra abbastanza simile al greco Zenone, che non era in grado di comprendere come la somma di infiniti termini potesse essere un numero finito, condannando Achille e una povera tartaruga alla paralisi eterna. Il punto è che nella teoria da cui il Bottaio d'Australia trae spunto, i fattori decisivi per ciascun universo sono soltanto sei numeri, non infinità di configurazioni subatomiche inconoscibili. I nostri stessi corpi sono il prodotto di molte improbabilità, eppure - dal momento che esistono - la loro natura non è in discussione: è piuttosto un punto di partenza per ogni ulteriore filosofare.

L'esempio che userò per mostrare le mie perplessità ha un netto sapore scatologico. Il nostro buco del culo è di per sé il prodotto di un'accurata opera di fine-tuning. Se anche solo un parametro definitorio fosse fuori posto, ci troveremmo tra le chiappe un fetidissimo calderone di pus e di decomposizione che ci renderebbe la (breve) vita un inferno insopportabile, facendoci perire di setticemia tra sofferenze atroci. Puzzeremmo come carogne a distanza di metri, e non varrebbe cura igienica per mitigare tale sfacelo. Invece vediamo che nella nostra realtà fisica esiste un equilibrio tra la flora batterica delle feci e quella della regione anale, tale da impedire le infezioni e da permettere una rapida rimarginazione delle lesioni. Certi buchi del culo poi sono così attraenti e belli che si prova il desiderio di leccarli con voluttà. Ecco, senza il fine-tuning anale, potrebbe il deretano della fulva Faye Reagan essere come un bocciolo di rosa? No di certo. Vediamo dunque all'opera le meraviglie della Creazione! Il Creatore avrebbe potuto privarci della bellezza di quella fanciulla dalle chiome rosse e del desiderio di baciarla là dove il sol tace.   

Conclusioni:

Evidentemente il Multiverso, se esiste, non può esistere per caso. Questo però non è una prova delle dottrine monoteiste. In altri termini, se anche fosse provata l'esistenza di un'infinita collezione di universi paralleli, questa mostruosità sarebbe un prodotto artificiale di origine inconoscibile; non sarebbe per necessità la fabbricazione di un'entità benevola. Anzi, ci appare in tutta la sua aberrazione come l'opera di un'entità infinitamente beffarda e maligna, a cui possiamo dare l'attributo di Boia Cosmico. Conclusione che di certo lascia esterrefatti i biofili sostenitori di Pangloss, dimostrando - se ancora ce ne fosse bisogno - l'assoluta insufficienza dell'intelletto umano di fronte al funesto mistero dell'esistenza che lo intrappola.

Cosa di per sé abbastanza bizzarra, esiste un quasi omonimo di Peter D. Cooper, certo Barry Cooper, anche lui un accademico che tra le altre cose si interessa del problema del multiverso. È un matematico inglese di Leeds, dal volto pingue, con i capelli fluenti e chiarissimi che gli conferiscono una vaga somiglianza con il patrono del Regno Unito, Sir Jimmy Savile.

sabato 22 dicembre 2018

NOTE SUL LAVORO DI BEICHLER

James "Jim" E. Beichler (ricercatore indipendente) è l'autore del saggio To Die For: The physical reality of conscious survival, pubblicato nel 2008. Su Academia.edu è presente un estratto del capitolo 6, The Nature of Death. Questo è il link: 


Questo è il breve abstract, da me tradotto: 

La Scienza, per come definisce se stessa, non accetterà mai il paranormale e i fenomeni correlati, per non parlare della possibilità di un aldilà, non importa quante evidenze sono raccolte e non importa quanto convincenti esse sian, perché la Scienza non ha mai sviluppato gli strumenti concettuali e intellettuali o il vocabolario per maneggiare simili possibilità. La Scienza accetterà il paranormale e la possibilità di un aldilà solo quando emergerà una nuova teoria della realtà fisica, come un'unificazione della relatività generale e della teoria quantistica nella fisica, che implica direttamente e logicamente l'esistenza di queste cose come sue proprietà fondamentali.

Questo è l'indice dell'opera:

Introduction   4-5

Chapter 01 Some things never change (some things do)
   The boy cried   6-10
   Science, Religion and Nature   10-18
   Science does mind   17-24

Chapter 02 Supernatural Perspectives of Death
   The religious pot of stew   25-28
   Eastern Religious Perspectives   28-33
   Western Religious Perspectives   33-44
   The religious stew boiled down   44-49

Chapter 03 Natural Perspectives of Death
   The road not so well traveled   50-54
   From Thanatology to NDEs   54-63
   The nature of consciousness   63-70

Chapter 04 Paranormal Perspectives of Death
   Science beyond the normal   71-75
   The spirit of science   75-85
   The loss of soul and spirit   85-98
   Apparitions and Ghosts R Us   98-107
   Small, Mediums and Large   107-112
   There and back again   112-117

Chapter 05 The SOFT Life
   That’s Life   118-120
   Physical Reality   120-124
   Imagining the un-imaginable   124-129
   Our five-dimensional Life   129-138
   LIFE: The body inside out   139-143
   Memories are made of this   143-154

Chapter 06 The Nature of Death
   Irimi - Entering Death   155-158
   We enter death SOFTly   158-164
   SOFT NDEs   164-171
   Post NDE SOFT landings   171-179
   NDLEs   179-187
   ‘Where’ is death?   187-191

Chapter 07 A Universe of Purpose
   Everything that has a beginning has an end   192-195
   Natural Purpose  196-203
   Some things never change and some things do   203-209
   To live and let die   209-213

Chapter 08 Epilogue: (Some things never change, but …) Some things do
   Play it again Sam   215-221
   What goes around, comes around   221-225
   And goes around again   225-231
   Solving the Universe   231-240
   Buddha, Jesus, Human Enlightenment, and the dawn of the
         MYSPHYTS   240-248
   The Kaballah – a Warning   248-250
   The Boy Cried   250

Bibliography   251-255

Il libro è un ambizioso tentativo di comprendere la natura della Morte, che non riesce tuttavia a convincere il lettore e ad aiutarlo a risolvere l'atavico problema del rapporto che l'essere umano ha con la propria cessazione. Va precisato che Beichler non è un semplice guru propalatore di baggianate New Age a buon mercato: è un fisico teorico con un curriculum accademico di tutto rispetto, che a un certo punto è stato isolato dai colleghi per le sue idee eterodosse. Il suo interesse principale è infatti lo studio della parafisica, che consiste nel tentativo di applicare la fisica ai fenomeni paranormali, esplorando la possibilità teorica della sopravvivenza dell'essere oltre la morte. Il fondamento della parafisica beichleriana è di per sé rivoluzionario, in quanto consiste nella derivazione diretta dell'autocoscienza e dell'immortalità dello spirito umano dalle leggi fisiche che governano l'Universo. Riporto il link a un'intervista in cui Beichler risponde a numerose domande sulle sue idee e sul suo lavoro, poste da Michael E. Tymn:


La parafisica è una scienza?

Luigi Pirandello affermò che se vogliamo capire la vita, i lumi ci devono venire da ciò che sta al di fuori della vita stessa, ossia dalla Morte. Il problema è che nessuno è mai riuscito a inviare sonde nei tenebrosi abissi del Tartaro. Allo stesso modo, nessuna sonda è mai giunta a noi da quelle spaventose profondità. Secoli prima un altro grande, Galileo Galilei, ebbe a raccomandare di misurare ogni cosa e di rendere misurabile ciò che non è misurabile. La pietra d'inciampo è ancora una volta la Morte. Possiamo rendere misurabile tutto, anche lo sterco, ma ciò che è connesso con la cessazione della vita continua a sfuggirci. Alla domanda se la parafisica sia o non sia una scienza, non posso rispondere in modo netto e immediato senza aver prima analizzato il materiale disponibile. Dobbiamo ammettere che gli intenti della parafisica sono di certo quanto di più nobile possa esistere. Tuttavia gli intenti non sono sufficienti a rendere scientifico qualcosa. Il mio sospetto è che ci vorrà ancora molto tempo per fare della parafisica una scienza vera e propria. Al di là delle solite fumisterie sulla quantistica, come al solito estesa al dominio macroscopico, non vedo una sola definizione di osservabile fisica che serva a chiarire i problemi in causa. Il modello teorico sviluppato da Beichler si fonderebbe a suo dire su un continuum spaziotemporale di Einstein-Kaluza a cinque dimensioni. Uso il verbo al condizionale perché non ho visto da nessuna parte nemmeno una singola equazione utile. Non sono stato in grado di reperire informazioni dettagliate e chiare sulla teoria, e soprattutto su come implicherebbe in automatico la natura immortale della consapevolezza umana. Su Academia.edu si trovano  alcuni contributi dell'insigne parafisico, ma nessuno è dotato del necessario rigore scientifico. Si parla soprattutto delle seguenti amenità: Tao, nuovo paradigma, unificazione della fisica occidentale col misticismo orientale, prana, chakra, etc. In una presentazione viene mostrata in modo provocatorio un'equazione, senza alcuna spiegazione, con la scritta ironica "For those who need an equation". La matematica beichleriana non semba molto robusta. Più oltre, scorrendo le slide, si trovano figure relative alla teoria del campo unificato, finendo poi per scivolare nella New Age, con il corpo materiale descritto come "curvatura quantizzata o schema materia/energia" e a destra della strana figura gli organi interni (intestino, fegato, cuore, cervello, etc.) che prendono forma come "paranormale o input del sesto senso". A questo punto il fetore della New Age mi satura già le narici e monta in me la furia. Una slide dopo, ecco il flusso Chi dell'agopuntura e i chakra. Non ci credete? Si trova tutto qui:  


Per il resto, dovunque nel Web si trovano soltanto descrizioni giornalistiche, a mio avviso prive di qualsiasi valore. Questa, per esempio:


La mia conclusione, stando così le cose, è che tutto questo materiale si collochi nel vasto campo della pseudoscienza. 

Reazioni controproducenti 

Di fronte a questi argomenti parafisici scatta in genere la furibonda reazione degli inquisitori dello scientismo materialista. Strepitando come gallinacci, urlano e pestano i piedi, affermando che tutto si spiega con il Dio Cervello e con l'Evoluzione. Essendo stato sfidato un dogma, essi intervengono. Entra in campo il CICAP per difendere e imporre l'Ortodossia. Eppure tutti questi sforzi sono vani e non sortiscono l'effetto sperato. A me destano soltanto irritazione per la loro natura essenzialmente religiosa. Quello che invece si deve fare è analizzare ogni teoria per evidenziarne contraddizioni intrinseche. Il punto è che emergono numerose incoerenze sia nelle teorie parafisiche che in quelle materialistiche. Il mondo accademico dovrebbe poi occultare con somma verecondia le baggianate di Roger Penrose sui microtubuli quantistici, proprio come un soldato ha il dovere di nascondere alla vista dei civili un commilitone ubriaco.  

Il problema delle NDE 

Lo stesso Beichler afferma di aver sperimentato nella sua vita un'esperienza di pre-morte (near death experience, NDE) che gli avrebbe permesso di sfuggire al disastro di Ramstein e all'incidente aereo di Lockerby. Aggiunge che quanto gli è capitato non è l'origine del suo interesse per la parafisica, semmai ha soltanto rinforzato una fede che già possedeva. Anche le NDE presentano problemi non indifferenti, che non possono essere aggirati, essendo pertinenti all'ontologia. Se restassi al confine tra la vita e la morte e vedessi la figura di un angelo con l'aspetto di una donna bellissima, mi porrei alcune domande. Tale angelo è fatto di materia? Ha un corpo fisico? A cosa gli servono le sue fattezze fisiche e gli organi di senso? A che gli serve, per esempio, la bocca? Per parlare? Per mangiare? Per fellare? Capite il problema? Se l'angelo parla, diffonde onde acustiche nell'atmosfera, fatte di variazioni di densità dell'aria circostante, che propagano a una data velocità giungendo fino alle mie orecchie, venendo convertite in onde elettriche dal mio cervello e interpretate. Se l'angelo mangia, significa che esiste un ciclo biologico che costringe a ingerire sostanze biologiche, destinate ad essere digerite e defecate. Quindi anche l'aldilà sarebbe un mondo imperfetto fondato sui princìpi della termodinamica. Se l'angelo pratica la fellatio, significa che è un individuo facente parte di una specie dotata di sessualità. Quindi una specie i cui individui nascono, crescono, si accoppiano, decadono e muoiono. Una specie che può essere dotata delle più svariate parafilie. Come diceva Lautréamont, aspettatevi di trovare in Cielo le stesse aberrazioni che imperversano sulla Terra! Un'amica affermava anni fa di aver vissuto una NDE e di aver visto i verdi pascoli di cui parlano le Scritture. Bene, se ci sono valli e montagne coperte di erba, significa che siamo su un pianeta dotato di ciclo dell'acqua, con mari e fiumi, evaporazione e pioggia. Un mondo fisico con cicli biologici complessi, che comportano la crescita di vegetazione, la presenza di animali che se ne nutrono, che ingurgitano e defecano. Quindi ancora una volta un mondo imperfetto, materiale, tutto fuorché spirituale! Ricordo il caso di un neurochirurgo americano, Eben Alexander, che sosteneva di aver avuto una NDE durante un coma durato sette giorni, mentre il suo cervello non registrava la benché minima attività. In queste condizioni Alexander avrebbe visto un mondo bellissimo, con un'incredibile numero di farfalle e una fanciulla incantevole dai grandi occhi, che gli avrebbe rivelato i misteri più reconditi dell'Universo. Il tutto è stato descritto nel suo libro, Milioni di farfalle (2013). Quando ho letto questa notizia, ho subito pensato che un mondo con milioni di farfalle è un mondo con milioni di bruchi!

giovedì 16 agosto 2018


PI GRECO - IL TEOREMA DEL DELIRIO

Titolo originale: Π
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 1998
Durata: 84 min
Dati tecnici: B/N
Genere: Thriller
Regia: Darren Aronofsky
Soggetto: Darren Aronofsky, Sean Gullette, Eric
     Watson
Sceneggiatura: Darren Aronofsky
Produttore: Darren Aronofsky, Eric Watson, Scott
     Vogel
Fotografia: Matthew Libatique
Montaggio: Oren Sarch
Musiche: Clint Mansell
Animazione: Dan Moss
Costumi e guardaroba: Eric "Shorty" Meyerson
Interpreti e personaggi:
    Sean Gullette: Maximillian Cohen
    Mark Margolis: Sol Robeson
    Ben Shenkman: Lenny Meyer
    Pamela Hart: Marcy Dawson
    Stephen Pearlman: Rabbino Cohen
    Samia Shoaid: Devi
    Ajay Naidu: Farrouhk
    Kristyn Mae-Anne Lao: Jenna (la bambina)
    Espher Lao Nieves: La madre di Jenna
    Joanne Gordon: La Signora Ovadia
    Lauren Fox: Jenny Robeson
    Stanley B. Herman: L'uomo senza baffi
    Clint Mansell: Fotografo
    Tom Tumminello: Ephraim
    Henri Falconi: Studente della Kabbalah
    Iisaac Fried: Studente della Kabbalah
    Ari Handel: Studente della Kabbalah
    Oren Sarch: Studente della Kabbalah
    Lloyd J. Schwartz: Studente della Kabbalah
    Richard Lifschutz: Studente della Kabalah
    David Strahlberg: Studente della Kabbalah
    Peter Cheyenne: Brad
    David Tawil: Jake
    J.C. Islander: Uomo che presenta la valigia
    Abraham Aronofsky: Uomo che consegna la
         valigia
    Ray Seiden: Vigile
    Scott Franklin: Voce del Vigile
    Chris Johnson: Guidatore di Limousine
    Sal Monte: Re Nettuno
Doppiatori italiani:   
    Massimo Rossi: Maximillian Cohen
    Enrico Di Troia: Lenny Meyer
    Anna Cesareni: Marcy Dawson
Colonna sonora:    
    Clint Mansell - πr2
    Orbital - P.E.T.R.O.L.
    Autechre - Kalpol Introl
    Aphex Twin - Bucephalus Bouncing Ball
    Roni Size - Watching Windows
    Massive Attack - Angel
    Clint Mansell - We Got The Gun
    David Holmes - No Man's Land
    Gus Gus - Anthem
    Banco de Gaia - Drippy
    Psilonaut - Third from the Sun
    Spacetime Continuum - A Low Frequency
          Inversion Field
    Clint Mansell - 2πr
Premi:
1) Thessaloniki Film Festival - premio FIPRESCI con menzione speciale (1998)
2) Sundance Film Festival - Premio alla regia (1998)
3) Málaga International Week of Fantastic Cinema - Premio come menzione speciale (1999)
4) Independent Spirit Awards 1999: miglior sceneggiatura d'esordio
5) Independent Spirit Awards - Miglior film di debutto
6) Gotham Awards - Premio Open Palm al regista (1999)
7) Gijón International Film Festival - Grand Prix Asturia al regista (1999)
8) Florida Film Critics Circle Awards - premio FFCC rivelazione dell'anno al regista (1999) 

9) Fant-Asia Film Festival - terzo posto come miglior film internazionale (1999)
10) Deauville Film Festival - Candidato come Grand Special Prize (1999)
11) Chlotrudis Awards - candidato al premio Chlotrudis Award come miglior film

Budget: 68.000 dollari USA
Incassi al botteghino: 3.221.152 dollari USA

Trama:
Quando era bambino, Maximilian Cohen fu sempre avvertito dalla madre, che gli diceva in continuazione di non fissare mai il sole. A sei anni disobbedì, fissò a lungo l'astro diurno e ne ebbe un grave trauma. Fu invaso dalla luce solare diretta e sperimentò una cecità temporanea. Riacquistò la vista, ma fu cambiato per sempre: da allora i suoi pensieri ebbero un corso diverso, che lo separava dal resto del genere umano. Si ritrovò capace di compiere calcoli complicatissimi col solo aiuto della sua mente. Cominciò a soffrire di emicranie atroci. Per mitigare l'insopportabile dolore, acquisì l'abitudine di assumere dosi massicce di antidolorifici di ogni tipo. Crescendo divenne un genio della matematica, ma a causa delle allucinazioni e dei lampi di dolore che gli laceravano il cranio, ebbe la vita di un sociopatico paranoico, ai confini con la pazzia furiosa. In queste condizioni lo vediamo già nelle scene iniziali della pellicola, immerso in una tenebra densa e assoluta. La vita di Max Cohen è dominata da un'ossessione che non gli concede un solo attimo di respiro, privandolo anche del sonno. Egli è convinto che ogni singolo evento, ogni singolo ente nel vasto Universo sia codificato tramite il linguaggio della matematica: a questo punto basterebbe comprendere gli schemi numerici che emergono dall'analisi di qualsiasi situazione per avere la Conoscenza suprema. Non essendo religioso, il protagonista si dedica a qualcosa di molto concreto e materiale: la predizione delle quotazioni di Wall Street. Frustrato dal suo insuccesso, il matematico si reca in un bar, dove si imbatte in un ebreo ortodosso della setta dei Chassidim, che lo intrattiene con alcuni semplici giochetti numerici volti a dimostrare che la Torah è un codice che contiene tutti i segreti della Creazione. Prima di collassare, il suo computer vomita una sequenza di 216 cifre, senza alcun significato discernibile. Molti si interessano a questa scoperta. L'unica persona che possa aiutare Max è l'attempato amico Sol Robeson, anch'egli un matematico. Preoccupato per la salute mentale del giovane, Sol cerca di convincerlo ad abbandonare ogni tentativo di trovare schemi nell'Universo; eppure gli confida di essersi imbattuto nello stesso numero di 216 cifre da giovane, nel corso delle sue ricerche. A questo punto i Chassidim rapiscono Max, conducendolo al cospetto del loro capo, un rabbino che di cognome fa Cohen proprio come il nostro matematico. A questo punto viene svelato l'arcano: il numero di 216 cifre rappresenta il Vero Nome di Dio, la cui conoscenza permetterebbe alla setta di studiosi della Kabbalah di ricostruire il Tempio di Gerusalemme e di ripristinare l'Ebraismo sacerdotale, arrivando quindi a dominare il mondo. Disgustato da questi deliri, Max Cohen riesce a fuggire. Ritiratosi nel suo bagno si perfora il cranio con un trapano.     

Recensione:  
Nonostante questo film sia stato prodotto con grande scarsità di mezzi, lo trovo senz'alcun dubbio eccellente. La scelta del bianco e nero proietta in un universo di disperazione, in cui nemmeno una singola particella di luce può trovare la sua via senza perdersi negli Inferi. Come rivelazioni agghiaccianti, compaiono immagini di un cervello nudo e zeppo di coaguli, finito in mezzo all'immondizia, poi nel lavandino, le sinapsi e i neuroni agonizzanti eppure incapaci di morire! La materia grigia viene dilaniata, quasi una premonizione del trapano che penetrerà in una tempia del protagonista. La matematica, con gli inquietanti misteri delle infinite cifre del Pi greco e della sequenza di Fibonacci, è la vera protagonista di questo thriller scientifico che a quanto ne so non ha precedenti nella storia del cinema. Proprio la matematica si dimostra capace di squarciare il tessuto stesso della realtà, aprendo una fessura da cui fa la sua irruzione il Mostro della Follia. Non per niente Sean Gullette, l'attore che ha interpretato Max Cohen, è stato segnato dalle riprese e ha dichiarato che il film è "una storia di Faust digitale".       

Il Nome di Dio

Se la sequenza di cifre mostrata nel film fosse davvero il Vero Nome di Dio, a rigor di logica, seguendo i princìpi della Kabbalah, potremmo convertirlo in lettere - ossia in consonanti dell'alfabeto ebraico. Questo dovrebbe essere immediato, dato che ad ogni consonante dell'alfabeto ebraico è associato un valore numerico univoco. Una volta compiuta quest'opera, dovremmo vocalizzare le 216 lettere così ottenute. Non dovrebbe essere un'impresa molto difficile. A questo punto, dato che i cultori della Kabbalah chiamano Dio l'Artefice di questo mondo, sapremmo come bestemmiarlo al meglio, coprendo il suo Vero Nome di maledizioni senza fine, ogni volta che ci alziamo e ogni volta che ci corichiamo. Perché, vedete, sarebbe proprio a quella sequenza di sillaba che potremmo attribuire ogni Male, ogni abominazione, ogni aberrazione che costituisce la sostanza di questo mondo schifoso. Questo sarebbe il nome cifrato del Boia Cosmico: 

94 143 243 431 512 659 321 054 872 390 486 828 512 913 474 876 027 671 959 234 602 385 829 583 047 250 165 232 525 929 692 572 765 536 436 346 272 718 401 201 264 314 754 632 945 012 784 726 484 107 562 234 789 626 728 592 858 295 347 502 772 262 646 456 217 613 984 829 519 475 412 398 501

A parte il fatto che sono 218 cifre, non 216, vediamo che c'è una difficoltà non da ridere. Lo zero non era concepibile quando l'alfabeto cananeo fu inventato. La conversione dei numeri in lettere non è così banale: occorre fare il calcolo delle unità, delle decine, delle centinaia e delle migliaia partendo dalla fine del numero, tanto grande da non poter avere radici nell'intuizione umana. A un certo punto nel film vediamo sullo schermo di un computer antidiluviano alcune sequenze numeriche convertirsi in brani della Torah in caratteri della scrittura rabbinica quadrata, con tanto di vocalizzazione masoretica delle parole. Non sembra però trattarsi della stessa sequenza numerica identificata con il Nome di Dio, che vediamo vomitata dalla macchina poco dopo, in un punto successivo del film. Ovviamente Aronofsky ha inventato tutti questi numeri di sana pianta, sarebbe vano cercarvi significati profondi.  

Discontinuità ineliminabile 

Il protagonista si chiama Cohen, parola che in ebraico significa "sacerdote". Lo stesso cognome, comunissimo tra gli Israeliti, è portato dal Rabbino Capo, che sogna la restaurazione del culto officiato dai Kohanim, i Sacerdoti, nel Tempio di Gerusalemme. Nonostante la grande diffusione del cognome Cohen, i segreti dell'Ebraismo sacerdotale sono andati perduti con la distruzione del Secondo Tempio ad opera di Tito nel 70 d.C.: l'Ebraismo rabbinico non ne è la continuazione diretta. Ciò che i Cabalisti possono fare è soltanto esercitarsi in costruzioni esoteriche in apparenza sorprendenti, ma in realtà fondate su una logica estremamente fragile. In pratica il loro lavoro consiste nel cavare sangue dalle rape. Il sogno messianico dei settari cultori della Kabbalah che vediamo nel film è irrealizzabile. È una futile velleità, proprio come il sogno dei Neopagani, che negli ultimi secoli si illudono di poter ripristinare gli antichi culti politeisti. Solo per fare un esempio, in Islanda e altrove esiste una congrega chiamata Ásatrú, che afferma di avere una continuità diretta con la religione precristiana. Tuttavia vediamo che questi non sono veri devoti degli Asi: sono persino incapaci di sacrificare un ariete a Thor! Il loro è un panteismo di sapore New Age, che considera gli Dei manifestazioni simboliche dell'Uno-Tutto, concetto che gli Islandesi non avevano. Tra le genti del Nord, Thor era concepito come un essere reale fatto di carne e di ossa, che ingurgitava montagne di cibo e defecava producendo masse di stronzi fumanti, un essere dotato di un colossale fallo in grado di penetrare e di eiaculare. Un essere che esigeva sangue di vittime, anche umane. Senza i blót, ossia i sacrifici, la religione antica non ha il benché minimo senso. Cosa sono dunque questi pseudopagani che si cagano addosso dalla paura di fronte alla furia isterica degli animalisti? Nonostante gli Israeliti siano molto rigorosi nel separarsi dai Gentili e dai culti idolatrici, il ragionamento che si può applicare loro non è affatto diverso da quello appena esposto. Se un rito, quale che esso sia, non è tramandato da persona di carne a persona di carne, è privo di qualsiasi valore. La trasmissione diretta è irrinunciabile. Non si può rabberciare qualcosa a partire da testi antichi o meno antichi, pretendendo poi di aver rifondato un culto estinto. Se il fuoco del Santuario di Vesta è stato spento, il culto di Roma è estinto. Se il Secondo Tempio è stato distrutto, non si può edificare il Terzo Tempio profetizzato da Ezechiele. Inutili sono i sogni pantocratici di futuribili Kohanim. Se l'Eterno risiedeva nel Primo Tempio, com'è possibile che Nabucodonosor abbia raso al suolo una così augusta dimora? Nabucodonosor mangiava e smerdava, era un semplice uomo di carne. Se l'Eterno risiedeva nel Secondo Tempio, com'è possibile che Tito abbia raso al suolo una così augusta dimora? Tito mangiava e smerdava, era un semplice uomo di carne. La verità è ben chiara: l'Eterno non può far tornare liquido un uovo rassodato o far rivivere un fuoco estinto, come non lo può fare Thor, come non lo può fare Vesta.

L'illusione della Ghematria

I miti biblici come quello della Torre di Babele sono soltanto creazioni di uomini che vissero millenni fa. L'ebraico è una lingua derivata, come tutte le altre lingue di questo mondo, antiche e moderne. Non contiene codici preferenziali in grado di codificare numericamente la realtà: qualsiasi schema vi si trovi ha la stessa consistenza della pareidolia che mi fa vedere i teschi nei disegni caotici delle venature del marmo. L'ebraico è una lingua cananea come il fenicio, è un parente stretto della lingua di Cartagine. In pratica i Moabiti e gli Ammoniti, mortali nemici di Israele, parlavano dialetti dell'ebraico. Le sue vocali hanno subìto una rotazione, alcune sue consonanti finali si sono affievolite e sono scomparse, altre consonanti sono mutate secondo regole ben precise. Ecco una lista di parole ebraiche con le protoforme semitiche ricostruite su basi solidissime, da cui vediamo come i trucchetti ghematrici e cabalistici cessino di funzionare non appena andiamo un po' indietro nel tempo:

'abh "padre" deriva dalla protoforma *ɁABBU
'em "madre" deriva dalla protoforma *ɁIMMU 
yeled "bambino" deriva dalla protoforma *WALDU
'el "Dio" deriva dalla protoforma *ɁILHU 
'eloah "Dio" deriva dalla protoforma *ɁILA:HU
yayin "vino" deriva dalla protoforma *WAINU
shor "bue" deriva dalla protoforma *ΘAURU
shalom
"pace" deriva dalla protoforma *ŠALA:MU
kerem
"vigna" deriva dalla protoforma *KARMU 

Come può dunque una lingua derivata essere la cifra la Creazione? Semplice: non può. Guardate bene, se non ci credete. La consonante iniziale w- è diventata y-: ebr. yayin "vino" deriva da una protoforma semitica *WAINU-, che è molto simile a quella che troviamo in indoeuropeo occidentale, *WOINO-. Evidentemente si tratta di un prestito (con ogni probabilità protosemitico e protoindoeuropeo occidentale hanno preso la parola da una terza lingua non identificata). Così vediamo che la fricativa postalveolare Š del protosemitico e la fricativa interdentale Θ si sono confuse in Š nell'ebraico. La protoforma semitica ΘAURU "bue" è molto simile a quella che troviamo in indoeuropeo occidentale, *TAURO- / *(S)TEURO- "toro". Evidentemente si tratta di un prestito (con ogni probabilità protosemitico e protoindoeuropeo occidentale hanno preso la parola da una terza lingua non identificata). La potenza della filologia smaschera i Cabalisti! 

NDE

Il trapano che buca la scatola cranica di Max Cohen non è la fine di tutto. Almeno non del film. Il matematico si ritrova con la figlia di una vicina di casa, una vivace bambina che lo tedia senza requie chiedendogli di eseguire a mente una moltiplicazione. Con sua grande sorpresa, la sua mente, un tempo acutissima, è ridotta all'impotenza. Non gli riesce nemmeno più di fare operazioni banali. Un silenzio assoluto è calato su di lui come un maglio dal cielo. La sua afflizione lo abbandona, così riesce a sorridere, per la prima volta nel corso della sua infernale esistenza. Queste sensazioni sono forse le ultime reazioni dei neuroni morenti? Il film si conclude con un ultimo quesito della bambina invadente e molesta: quanto fa 748 diviso per 238. Il risultato non viene rivelato, ma è proprio il Pi greco!

Cineforum Fantafilm

Il presente film di Aronofsky è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 10 ottobre 2005. Purtroppo non sono riuscito ad esserci in quell'occasione e ho potuto vedere il film soltanto nell'agosto 2018.

domenica 8 luglio 2018

CONTRO L'ABUSO DEL RASOIO DI OCCAM

I nostri avversari che professano idee materialistiche usano opporre alle nostre argomentazioni il cosiddetto Rasoio di Occam, uno strumento logico escogitato dal teologo inglese Guglielmo da Ockham (1288-1349), dell’Ordine di Francesco d’Assisi. Questo principio logico può essere formulato in diversi modi, che elenchiamo nel seguito:

1) A parità di fattori, la spiegazione più semplice è da preferire
2) Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem (Gli elementi non devono essere moltiplicati più del necessario)
3) Pluralitas non est ponenda sine necessitate (La pluralità non deve essere considerata se non è necessaria)
4) Frustra fit per multa quod fieri potest per pauciora (È inutile fare con più cose ciò che può essere fatto con meno cose)

In altre parole, se di un evento esistono diverse spiegazioni possibili, non deve essere scelta quella più più ingenua o che affiora alla mente in modo spontaneo, bensì quella più ragionevolmente vera e che non richiede inutili complicazioni tramite aggiunta di altri elementi causali. Si tratta di una forma di economia di pensiero: se per spiegare un fenomeno non occorre postulare un determinato ente, è ragionevole non postularlo, essendo logico scegliere la soluzione più plausibile e semplice. Ad esempio, se si può descrivere il meccanismo di formazione dei temporali a partire dalle caratteristiche delle nubi e dell’atmosfera, questo è preferibile all’idea di ammettere l’esistenza del dio Thor dalla barba rossa che scaglia folgori con un martello chiamato Mjöllnir.

Il francescano inglese ha sistemato logicamente qualcosa che era già noto al pensiero scientifico del Medioevo, impostando la sua critica sulla concezione volontarista della Creazione. In contrasto con Tommaso d’Aquino, che riteneva il mondo creato da Dio sulla base di volontà e intelletto, Guglielmo di Ockham credeva che la Creazione fosse unicamente un atto di volontà. Per questo motivo egli ha enunciato il Rasoio, per eliminare i concetti relativi a regole e leggi naturali, come ad esempio la Sostanza e gli Universali.

I molti usi illegittimi del Rasoio di Occam

Naturalmente, Frate Guglielmo da Ockham non sarebbe stato affatto contento dell’uso che i moderni fanno del suo strumento logico. Infatti esso viene applicato in modo assolutamente dissennato, senza nemmeno operare un controllo sull’effettiva necessità della sua applicazione. Esso viene utilizzato come metodo per risolvere qualsiasi questione filosofica ritenuta insolubile. Esiste Dio? Non esiste, dicono i materialisti, perché non serve: il Rasoio di Occam dimostra che non è necessaria la sua esistenza per spiegare il mondo. Esiste l’anima immortale? Esiste lo Spirito? Non esistono queste cose, dicono i materialisti, perché sono del tutto inutili: il Rasoio di Occam dimostra che un corpo funziona bene anche senza qualcosa di metafisico che lo faccia muovere.

Ad essere criticabile è proprio l’uso disinvolto del Rasoio di Occam, che dimostra la pochezza intellettuale di chi lo compie. Infatti di questi tempi esso è interpretato falsamente ed enunciato in questo modo:

1) La spiegazione più semplice è da preferire
2) Entia non sunt multiplicanda (Gli elementi non devono essere moltiplicati)
3) Pluralitas non est ponenda (La pluralità non deve essere considerata)
4) Frustra fit per multa aliquid (È inutile fare qualsiasi cosa con più cose)

Come si può osservare, è stato tralasciato qualcosa di fondamentale. Per quanto Frate Guglielmo sia stato chiaro ed abbia usato un linguaggio comprensibile, questo è ciò che di lui è arrivato ai contemporanei. Non viene compiuta quindi alcuna verifica sull’effettiva necessità di applicazione del Rasoio. Se si ignora il grado di complessità dell’argomento che si sta trattando, si corre il concreto rischio di eliminare informazioni cruciali.

Alcuni esempi dallo studio delle lingue

Nella lingua olandese esistono due interessanti parole: “Schande”, che significa “vergogna”, e “Schandaal”, che significa “scandalo”. Applicando il Rasoio di Occam senza disporre di altre informazioni, è naturale dedurre che “Schandaal” sia un derivato di “Schande”, che le due parole siano cioè imparentate tra loro. Questo non è tuttavia vero. Mentre “Schande” è un termine di origine germanica, “Schandaal” è derivato dal Greco del Nuovo Testamento “skandalon”, che significa “pietra d’inciampo”. Questo è un esempio di uso errato del Rasoio di Occam.

Nella lingua tedesca la parola “arm” significa “povero”. Così si dice “Dieser Mensch ist arm”, che significa “Quest’uomo è povero”. Orbene, in alcuni dialetti della stessa lingua esiste anche la parola “Armosen”, che significa “elemosina”, e che nell’idioma standard suona invece “Almosen”. Stando ai materialisti, se si considerasse soltanto l’ambito di un dialetto che ha “Armosen”, chi oserebbe negare che le due parole abbiano la stessa origine, visto che indicano entrambe qualcosa che ha a che fare con il concetto di povertà? Semplicità vorrebbe che questo “Armosen” sia un figlio naturale di “arm”, così come “Spirituosen”, che significa “alcolici” è un figlio naturale di “Spirit”, che significa “alcool”. Stesso suffisso, stessa procedura di derivazione: non possono esserci dubbi. Invece non è così, come già risulta evidente considerando la variante “Almosen”. È dimostrato che queste parole sono derivazioni del Greco del Nuovo Testamento “eleēmosynē”, che significa “questua”, e che deriva dal verbo ellenico “eleéō”, che significa “ho compassione”.

Esiste in Messico una città che è chiamata Cuernavaca. Nulla di più naturale che vedervi una derivazione dalle parole spagnole “cuerno”, ossia “corno”, e “vaca”, ossia “vacca”, entrambe di chiara origine romanza e derivate dal Latino “cornu” e “vacca” rispettivamente. Per chi considera la lingua spagnola parlata in Messico come un sistema isolato, questa etimologia sarà ineccepibile. Invece il toponimo deriva dal Nahuatl “Cuauhnahuac”, che significa “Vicino agli Alberi”: nella lingua parlata dagli Aztechi “cuahuitl” significa “legno” e “albero”, mentre “nahuac” è un suffisso che indica il concetto di vicinanza. Una persona che ignora la lingua Nahuatl, applicando il Rasoio di Occam in modo improprio e superficiale, arriva senza dubbio a proferire il falso.

Esite una tradizione radicata quanto falsa che attribuisce ai Rom e ai Sinti origini egiziane. Per questo tali genti hanno ricevuto il nome di Gitani, ossia Egiziani. Orbene, il termine che essi usano per designare l’uomo della propria etnia è “rom”. Sapendo che nella lingua Copta, che è erede dell’Antico Egizio, uomo si dice “rōme”, un osservatore superficiale potrebbe essere tentato di ritenere la consonanza significativa, e applicando il Rasoio di Occam ritenere inutile ogni ulteriore discussione. Ma noi sappiamo, conoscendo qualcosa di più del lessico della lingua dei Rom e di quella Copta, che il modo simile di indicare l’uomo è frutto di mera coincidenza. Basti allo scopo un breve elenco. In Romani “pani” significa “acqua”, che in Copto è “mou”. In Romani “iag” significa “fuoco”, che in Copto è “krōm”. In Romani “phu” significa “terra”, che in Copto è “to”. In Romani “kham” significa “sole”, che in Copto è “rē”. In Romani “chhon” significa “luna”, che in Copto è “iooh”. In Romani “kasht” significa “legno”, che in Copto è “she”. In Romani “phral” significa “fratello”, che in Copto è “son”. In Romani “rat” significa “sangue”, che in Copto è “snof”. In Romani “me” significa “io”, che in Copto è “anok”. In Romani “oi” significa “egli” o “ella”, mentre in Copto “egli” è “ntof” e “ella” è “ntos”. È diversa a fonetica, è diversa la grammatica, sono diversi i vocaboli, i pronomi, i numerali: non esiste nulla in comune.

Un esempio dallo studio della matematica superiore

Esistono rapporti tra numeri che non danno esito definito, e per questo sono conosciuti col nome di “forme di indecisione”. Così ad esempio, se si divide una quantità tendente a zero per un’altra quantità tendente essa stessa a zero, non si ottiene alcun risultato determinabile eseguendo il suo limite. Allo stesso modo se si divide una quantità tendente a infinito per un’altra quantità tendente essa stessa a infinito.

Esiste uno strumento matematico noto come Teorema di De l’Hôpital, che permette in alcuni casi di risolvere queste forme di indecisione. Verificate certe condizioni sulle funzioni in questione, quando hanno forma di quoziente, detto teorema stabilisce che se si applica una procedura chiamata “derivazione” al numeratore e al denominatore del quoziente analizzato, si ottiene un numero che è eguale al quoziente del numeratore e del denominatore di partenza. Così, se con usando il Teorema di De l’Hôpital si ottiene un numero finito, ecco che la forma di indecisione può dirsi risolta.

Per queste sue caratteristiche in grado di trarre dall’imbarazzo il matematico in certe occasioni, ecco che il Teorema di De l’Hôpital ha acquisito fama immeritata ed è diventato tra gli studenti di Fisica e Matematica una specie di bacchetta magica, una panacea a loro detta in grado di risolvere ogni problema. Dall’uso si è giunti presto all’abuso: ecco studenti pronti ad utilizzare De l’Hôpital per risolvere i limiti di qualsiasi quoziente di funzioni, anche dove non esiste forma di indecisione – ed è dimostrato che in simili casi il numero fornito applicando tale teorema non è necessariamente quello corretto.

Riporto qui il caso di un professore ingegnoso che metteva alla prova gli studenti spingendoli ad usare al posto di De l’Hôpital uno strumento in apparenza difficile ma sicuro: lo sviluppo di Taylor di una funzione. Egli insegnava ad usare la testa, ma era visto come una specie di carnefice dagli studenti, che si sentivano defraudati della sicurezza offerta dal Dogma di De l’Hôpital. Il professore dava come problemi da risolvere quozienti di funzioni in cui usando De l’Hôpital si passava con gran fatica da una forma di indecisione ad un’altra, senza ottenere nulla. Così, andando in marasma, i candidati sbagliavano sempre nell’appicare gli sviluppi di Taylor, decomponendo le funzioni del problema in un numero troppo basso di addendi. Trascurando addendi importanti, in grado di svolgere una funzione determinante sull’approssimazione, ecco che fallivano miseramente, ottenendo numeri errati. Uno studente introverso, foruncoloso e schernito come “nerd”, ha capito – solo tra tutti – che se si scomponevano le funzioni in un gran numero di addendi, superiore ad esempio a dieci, non si sbagliava mai: si otteneva sempre il corretto limite, il numero richiesto.

Ecco come l’applicazione di un teorema in modo troppo disinvolto può traviare e condurre lontano dal Vero. 

Sono da preferire le teorie che spiegano più fatti

1) Immaginiamo di avere due teorie X e Y, in grado di spiegare quanto avviene nei due domìni A e B. La teoria X spiega ciò che avviene in A, la teoria Y ciò che avviene in B. La teoria X è più semplice della teoria Y, ma il dominio A è più piccolo del dominio B ed è in esso contenuto. Ossia, la teoria Y, più complessa di X, non solo spiega tutto ciò che ricade nel dominio A, ma anche altri fenomeni che X non può spiegare, perché B contiene A. La teoria Y, per quanto più complessa di X, deve essere preferita, perché rende conto di quanto accade nel dominio più vasto. Per poter applicare il Rasoio di Occam si deve avere parità di fattori.

2) Immaginiamo di avere n teorie a, b, c, …, che spiegano quanto avviene nei domini A, B, C,… Queste teorie sono, presa una per una, estremamente semplici, ma non hanno nulla in comune tra loro, in quanto pretendono di spiegare fatti diversi tra loro ricorrendo a cause dissimili. Immaginiamo ora di avere una teoria X, complessa ma capace di spiegare tutto ciò che avviene nei domini A, B, C, …, riducendo ogni fenomeno ivi studiato ad un’unica causa. Ecco che la teoria X, per quanto sia più complessa delle teorie a, b, c,…, deve essere ad esse preferita.

Non è possibile comprendere un sistema stando al suo interno

Si dice che gli antichi adoratori di Mithra ritenessero che i loro templi sotterranei, detti Mitrei, altro non fossero che raffigurazioni dell’Universo visto dall’esterno. Così in ognuna di queste cripte vi era una stele commemorativa che rappresentava il Dio Mithra in forma di giovane soldato in atto di uccidere un grande toro bianco, dando origine al Cosmo. Dal sangue scaturente dal dorso del Toro Cosmico trafitto dalla spada si formavano così spighe di grano, e i rivoli di fluido venivano lappati da un cane e da un serpente, mentre uno scorpione attaccava i genitali della vittima. Un corvo stava accanto al Dio, mentre i due Portatori di Torce, Cautes e Cautopates, rappresentavano rispettivamente il sole nascente e quello tramontante. Molte di queste reliquie della religione di Mithra possono tuttora essere viste, perché dopo l’epoca di Costantino le cripte sono state murate allo scopo di impedire saccheggi e si sono così conservate fino ai nostri giorni.

Hanno forse i materialisti una visuale privilegiata dell’Universo fisico? Guardano forse essi il mondo dall’esterno? No di certo. Usano forse essi parole di un altro Universo per spiegare le miserie di questo? No di certo. Non possono farlo. Quando si chiede loro cosa significhi “vedere”, essi possono soltanto rispondere che “vedere” equivale a “percepire la realtà circostante servendosi degli occhi, dei nervi ottici e dell’area del cervello preposta al senso della vista”. Spiegano cioè la “zuppa” definendola “pan bagnato”. La realtà del fenomeno che si chiede loro di descrivere non è minimamente spiegata. Possono essi spiegarla davvero ricorrendo a molte parole dove nella vita quotidiana se ne usa una sola? No di certo: la loro spiegazione fa riferimento – come ogni spiegazione concepibile – a mattoni fondamentali che sfuggono a ogni ulteriore analisi. Atomi di pensiero, dove la parola “atomo” deve essere intesa nella sua etimologia greca che rimanda al concetto di “indivisibile”.

Non è possibile dirimere una questione di cui si ignorano i fattori

Non è affatto lecito utilizzare il Rasoio di Occam allo scopo di risolvere questioni a cui la Scienza dei materialisti non è stata in grado di trovare una risposta. Il fatto che la risposta non sia stata trovata applicando il Metodo Scientifico significa che non sono state trovate prove irrefutabili capaci di decidere la questione. Così si deve ammettere che non si conoscono i fattori, e che pertanto il Rasoio non può essere applicato. Se non si è in grado di dare una definizione di ‘autocoscienza’, non si può pretendere che questa sia generata dal cervello e dalla sua neurochimica. Ora per quanto i materialisti si sforzino, non esiste nessuno tra loro che sia capace di definire l’oggetto delle questioni insolubili che affliggono la filosofia. Cos’è l’esistenza? Non essendo possibile dare una definizione dell’esistenza stando all’interno di ciò che esiste in questo universo, come potrà essere stabilito che non è necessaria una causa per l’universo stesso? Cos’è la percezione? Ogni possibile risposta si trova per necessità nell’ambito stesso della percezione. Pertanto, tutto ciò che i materialisti possono affermare a questo proposito pertiene alla sfera del metalinguaggio.

Il materialista e il televisore

Immaginiamo uno scienziato materialista in un remoto pianeta ove si trova un gigantesco televisore. Questo apparecchio ha uno schermo incastrato in una grande parete nera, tanto che nessuna sua componente interna è visibile a coloro che visitano il pianeta. Il televisore trasmette film e telegiornali di lontane galassie, ma il materialista non può comprendere quale sia la sorgente delle trasmissioni. Per noi, tutto è chiaro: il televisore è alimentato da corrente elettrica che viene prodotta in qualche recesso del pianeta e che alimenta l’apparecchio tramite una presa e dei cavi, in grado di far funzionare lo schermo. Senza questo flusso di corrente elettrica, il televisore non può funzionare. Allo stesso modo, esiste da qualche parte una sorgente di onde elettromagnetiche che il televisore riceve e decodifica, convertendole in immagini sul video e in parole che escono dal microfono. Senza la stazione che invia segnali video e audio, e senza un decodificatore, il televisore non potrebbe in alcun modo funzionare, seppur alimentato correttamente con il flusso di corrente elettrica: il video sarebbe nero e nessun suono intellegibile uscirebbe dall’altoparlante. Il materialista, non potendo indagare sull’origine della corrente elettrica che mantiene acceso il televisore, né tanto meno sul campo elettromagnetico oscillante che codifica immagini e parole, arriverebbe alla conclusione che l’apparecchio genera da sé la propria capacità di funzionare. In nome del Rasoio di Occam, ecco che i lontani generatori e la rete elettrica non sono necessari, ne viene dunque dichiarata l’inesistenza. Ecco che coloro che assemblano i programmi e li trasmettono nello spazio siderale sono mera fantasia, perché ammetterne l’esistenza è cosa troppo complicata. Dato però che il televisore esiste e che trasmette immagini e suoni la cui esistenza non può essere negata – in quanto oggetto dei sensi – ecco che il suoi funzionamento è dichiarato un prodotto del caso o della selezione naturale di elementi dapprima inerti che hanno acquisito un’inesplicabile animazione senza alcuna causa riconoscibile. Così se un uomo saggio spiega al materialista che antichi uomini hanno portato sulla desolata superficie del pianeta quella macchina, e che una civiltà di un lontano mondo madre tuttora trasmette film e documentari che vengono captati, ecco che il materialista insorge, pieno di furia, dichiarando ‘folle’ il saggio. I limitati sensi del materialista non scorgono le parti che costituiscono il televisore, e parimenti egli non ha nozione della civiltà che diffonde le trasmissioni, così dichiara entrambe le cose inesistenti – anche se esse sono dotate di una concreta esistenza a dispetto di ogni dissennato giudizio.

Le obiezioni dei nostri avversari materialisti a un simile argomento sono numerose. Essi dicono ad esempio che il cervello deve essere la sorgente prima dell’autocoscienza, perché se un suo qualsiasi componente subisce danno, la percezione stessa si altera o scompare del tutto, mutandosi la coscienza del paziente colpito in uno stato crepuscolare o in coma. A questa obiezione possiamo facilmente controbattere, affermando che il cervello è qualcosa che permette l’autocoscienza, che le rende possibile dimorare nel corpo, ma che non è la sua causa prima. Se infatti un componente di un televisore, di un computer o di altra simile macchina va in avaria, tale macchina smetterà di funzionare. Eppure è sotto gli occhi di tutti che tale macchina è solo un mezzo e non l’origine di quanto compie. I materialisti confondono l’utente di un televisore o di un computer con l’apparecchio da lui usato. Il fatto che un componente di un televisore o di un elaboratore si rompa non significa che la rete elettrica è venuta meno, né che a subire il danno sia stato l’utente stesso.

Corpi senz’anima e falsi uomini di Scienza

Può il materialista enunciare in modo chiaro il problema che affligge la Scienza e si vuole risolvere in questa sede? No. Si vede soltanto totale ignoranza del problema stesso. Come si può pretendere di radere la complessità e di ridurre ogni cosa alla spiegazione più elementare se non si conoscono neanche le ipotesi? Abbiamo a che fare con falsi uomini di Scienza, che non seguono alcuna logica rigorosa e che pretendono di sentenziare senza neppure enunciare i termini del problema. Cos’è necessario? Cos’è superfluo? Essi dicono: “Un corpo senz’anima funziona altrettanto bene di un corpo dotato di anima, quindi non è necessario avere un’anima perché un corpo funzioni”. Se però si chiede loro di definire il concetto di anima e di spiegare come il funzionamento di un corpo avviene in concreto, non sono in grado di farlo. Noi vediamo che a un televisore o a un computer è necessaria corrente elettrica per funzionare, altrimenti abbiamo solo inutili carcasse metalliche e plastiche senza barlume di attività propria. Questo perché i televisori e i computer che utilizziamo sono stati costruiti dalla nostra civiltà e conosciamo a grandi linee i principi secondo cui funzionano. Come possiamo quindi, messi di fronte a macchinari costruiti e concepiti da altri, dichiarare con arroganza che non esiste la fonte del loro funzionamento, alimentandosi essi da sé ed essendo stati plasmati senza causa? Prima di far agire il Rasoio di Occam noi dobbiamo investigare ciò che compone l’oggetto del nostro studio e trovare una serie di possibili risposte ai nostri interrogativi – da vagliare con attenzione. I materialisti non agiscono in questo modo: usano uno pseudo-Rasoio di Occam con arroganza e fanatismo, come crociati in una guerra di religione, e reagiscono in modo furioso ad ogni critica. Questo loro modo di procedere si è ormai consolidato in una vera e propria medodologia stereotipa.

Enti complessi devono avere cause complesse

Qualcuno obietterà che non si può paragonare un essere umano a un televisore o a un computer, in quanto si tratta di realtà completamente dissimili che non funzionano allo stesso modo. Infatti le persone nascono dall’accoppiamento di altre persone di sessi diversi, perdendosi la genealogia nella notte dei tempi, mentre le macchine sono assemblate da artefici umani a partire da componenti fatti di materia inanimata. In altre parole, un essere vivente sarebbe il naturale prodotto delle leggi dell’Evoluzione, mentre il manufatto è artificiale e non avrebbe in Natura alcuna esistenza. Tuttavia si vede che un essere vivente, come ad esempio una persona umana, è infinitamente più complesso di un televisore o di un computer. Essendo i viventi tanto complessi, devono per necessità avere cause complesse, che non è facile determinare seguendo filosofia o metodo scientifico. Pertanto, dato che le cause sono complesse e che ci sfuggono i fattori che le definiscono, risulta provata una volta di più l’illegittimità dell’uso del Rasoio di Occam come strumento risolutore.

Non si può usare il Rasoio di Occam per negare che un evento abbia una causa

Molti nostri avversari, che hanno nome di materialisti, sostengono che la creazione dell’universo fisico abbia avuto luogo a partire da un evento simile in tutto a un’immensa deflagrazione, a cui attribuiscono il nome di Big Bang. Tuttavia, quando essi sono interrogati sulla natura esatta di tale evento cosmico, rispondono che non ha avuto causa alcuna, e che anzi non ha senso domandarsi cosa ci fosse prima di detta deflagrazione. Essi sostengono che dal Big Bang hanno avuto origine le leggi fisiche, oltre a tutti i parametri matematici e le caratteristiche geometriche che definiscono in mondo in cui viviamo, e che sono uguali in ogni luogo del Cosmo, dalla Terra fino ai quasar più remoti. Seguendo quanto Aristotele ci insegna, tutto ciò deve per necessità avere una causa. Eppure i materialisti, per non dover ammettere la necessità di un Artefice, sorprendentemente affermano che tutte queste leggi fisiche si sono formate senza alcuna necessità di una causa qualsiasi. Interrogati sull’argomento ed esortati a fornire informazioni più approfondite, essi sostengono che il Rasoio di Occam è proprio ciò che rade la necessità del Fattore del Cosmo, in quanto le leggi fisiche, nate da sé senza causa dal Big Bang, spiegherebbero altrettanto bene il funzionamento di ogni cosa, visibile ed invisibile. Purtuttavia, se una legge fisica si trova ad operare nel mondo sensibile, e il suo funzionamento esatto è provato dall’applicazione del Metodo Scientifico, come possiamo concepire che la sua esistenza non scaturisca da sorgente alcuna? Possiamo noi definire detta legge “priva di causa” solo perché il Metodo Scientifico stesso non ci consente ancora di esplorare il suo universo d’origine? I nostri organi di senso e i nostri strumenti di indagine non possono sondare ciò che vigeva prima del Big Bang, ma affermare che da questa impossibilità derivi l’inesistenza è pura e semplice stoltezza. Anzi, l’idea dei materialisti viene ora ad assomigliare molto a quella di coloro che ammettono per dogma la Creazione dal Nulla ad opera di Dio, visto che essi pensano di risolvere il problema dell’assenza di causa chiamando “Dio” una particella che a loro detta causerebbe la coesione di tutta la materia e l’energia del Cosmo. Altri di loro affermano che debba invece chiamarsi “Dio” l’insieme delle leggi fisiche, scaturite appunto dal Big Bang, ingannando così le genti con un ambiguo metalinguaggio. Etichettando eventi e prodotti di una causa sconosciuta, di cui negano l’esistanza, con il nome fittizio di “Dio”, che i Monisti attribuiscono a detta causa, credono così di aver risolto ogni problema. Questo occorre riconoscere, che a un simile imbroglio verbale e a una simile insipienza non si deve dare il nome di Metodo Scientifico, dacché si tratta invece di un grave abuso delle facoltà razionali dell’essere umano. Si dovrà una volta di più chiamare Arroganza l’uso dello pseudo-Rasoio di Occam volto a negare l’esistenza delle cause degli eventi.

Compendio del Dualismo Anticosmico, cap. 5 - Obiezioni al Dualismo, loro confutazione