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mercoledì 31 marzo 2021

 
THE CORPSE OF ANNA FRITZ 
 
Titolo originale: El cadáver de Anna Fritz 
Titolo internazionale: The Corpse of Anna Fritz 
Titolo italiano: Il corpo di Anna Fritz  
Anno: 2015
Paese: Spagna 
Lingua originale: Spagnolo
Durata: 76 min
Genere: Orrore, drammatico, thriller 
Sottogenere: Necrofilia, claustrofobico 
Regia: Hèctor Hernández Vicens 
Sceneggiatura: Hèctor Hernández Vicens, Isaac P. Creus 
Soggetto: Hèctor Hernández Vicens, Isaac P. Creus 
Produttore: Marta Carbó, Lara Cireira, Cristian Valencia
Produttore esecutivo: Alberto Aranda, Xavier Atance 
Produttore associato: Daniel Aser, Isaac P. Creus, Luis de Madrid  
Produzione: Columbus Films / A Contraluz Films / Benecé 
    Produccions / Buena Vida Films / Corte y Confección de 
    películas  / Generalitat de Catalunya / Playtime Movies / 
    Seitofilms / Silendum Films / Televisió de Catalunya
Distribuzione: Primer Plano Film Group / Splendor Films / 
    Invincible Pictures / Prime Wave / Capelight Pictures / Alive 
    Vertrieb und Marketing
Montaggio: Alberto Bernad 
Musiche: Tolo Prats 
Effetti speciali: Negrete Films 
Trucco: Cristina Pellisé, Eliseo Medina  
Fotografia: Ricard Canyellas 
Scenografia: Zeroquatre
Interpreti e personaggi: 
   Alba Ribas: Anna Fritz 
   Bernat Saumell: Javi 
   Cristian Valencia: Ivan
   Albert Carbó: Pau 
   Nico Avila: Il dottore  
   Belén Frabra: Prima infermiera 
   Montserrat Miralles: Seconda infermiera  
   Henry Morales: Guardia 
   Daniel Aser: Guardia 
   Julia Lara: Inserviente del bar  
   Ricard Méndez:  Reporter
Titoli in altre lingue: 
   Catalano: El cadàver d'Anna Fritz 
   Tedesco: Die Leiche der Anna Fritz 
   Rumeno: Cadavrul Anna Fritz 
   Russo: Труп Анны Фритц  
   Finlandese: Anna Fritzin ruumis
   Turco: Ölüm ve Ötesi 
   Arabo: جسد آنا فریتس 
   Tagalog: Ang Bangkay ni Anna Fritz 
   Cinese: 安娜·弗里茨的尸体
Box office: 360.000 dollari US 

Trama: 
Siamo nella Spagna di un futuro prossimo. Una Spagna piena zeppa di cocaina, nevosa, dove tutti tirano chili di bamba fino ad andare fuori di testa. In questo contesto accade un fatto del tutto inatteso: la bellissima attrice Anna Fritz, per la cui fica l'intero mondo sbava, è morta all'improvviso, stroncata da un malore in una suite d'albergo, molto probabilmente a causa di un'overdose da droga. Il venusto cadavere finisce nell'obitorio di un ospedale. Pau, il giovane e timido custode, avverte subito i suoi amici Ivan e Javi, prospettando loro la possibilità di contemplare il corpo nudo e di penetrare il vaso procreativo della splendida Anna. Questi arrivano. Ivan, che è un giornalista spavaldo, è esaltato e sta inalando la Neve della Morte a tutto spiano: pregusta il coito col corpo della celebre defunta, ancora caldo e morbidissimo. Invece Javi ha qualche dubbio ed è disgustato all'idea di commettere un atto di necrofilia. Accade così che Ivan si fa avanti, estrae il cazzone e lo infila dentro alla morta, stantuffando e iniettandole dentro il materiale genetico. Quando ha finito di consumare la copula sacrilega, Javi rifiuta la stravagante occasione ed è Pau ad accingersi a stuprare il cadavere della ragazza. A questo punto accade qualcosa di imprevisto, che nessuno si sarebbe mai potuto immaginare. Mentre il ragazzo sta per giungere all'orgasmo, la povera Anna apre gli occhi! È l'inizio di un incubo spaventoso da cui non sembra esserci via di uscita! Un incubo assoluto, zombesco!  
 
Sequenze memorabili: Pau che sfiora con languida voluttà il sensualissimo pancino della ragazza estinta! Per qualche attimo si vede che gioca con un dito nell'ombelico di seta, come se fosse una cavità sessuale. Poi procede nella squallida posizione del missionario: va però capito che difficilmente un cadavere potrebbe essere collaborativo e prestarsi a posizioni diverse.
 
 
Recensione:  
L'idea è senza dubbio originale e innovativa. Anzi, direi che è una delle poche cose interessanti che abbia visto in questi tempi di totale disgregazione della Settima Arte. La Rete pullula di moralisti che si dichiarano stomacati: costoro affermano di aver fatto un'immensa fatica ad andare oltre i primi dieci minuti. Io mi sono guardato la pellicola catalana mentre mi ingozzavo di cioccolatini e bevevo un cicchetto di anice dopo l'altro, senza nemmeno l'ombra di una punta di disgusto. Poi i moralisti disgustati sono quelli che fanno volontariato e che rimorchiano nei gerontocomi e negli ospedali, mentre io mi trascino nella solitudine e nella disperazione, disprezzando la società e le sue stronzate ipocrite.   
 
Il film è disponibile soltanto in spagnolo e in inglese. A quanto ho appreso è stato girato in catalano ma doppiato in spagnolo. Non esiste una versione in italiano. Sono tuttavia reperibili versioni sottotitolate. Sono convinto che tra il materiale di ispirazione di quest'opera possa essere incluso Erodoto. Il celebre storico di Alicarnasso, definito "Padre della Storia" da Cicerone, riportò infatti un caso di estremo interesse. Un imbalsamatore egiziano era stato sorpreso nell'atto di congiungersi carnalmente col cadavere di una donna bellissima. Il Faraone, sconvolto dall'accaduto, col suo potere illimitato cambiò la Legge, stabilendo che i corpi estinti di donne di aspetto gradevole dovessero essere consegnati agli imbalsamatori soltanto dopo la comparsa dei segni della putrefazione. Non sono sicuro che queste ingenue precauzioni abbiano disincentivato i necrofili! 

Interpretazione 

La domanda non è banale come può sembrare a prima vista. Anna Fritz è davvero morta? Se il suo fosse soltanto uno stato di morte apparente, non ci sarebbero troppi problemi: persino gli atti di necrofilia non sarebbero realmente tali, se non nelle intenzioni di chi li ha compiuti. Si tratterebbe soltanto dell'errore di un medico necroscopo, che avrebbe destinato la ragazza all'obitorio anziché alle cure nell'ospedale. Ammettendo la morte apparente di Anna Fritz si razionalizzerebbe la narrazione, che sarebbe però in qualche modo banalizzata. Sarebbe un tentativo di rimuovere un tabù, dicendo che è stato tutto un fraintendimento, perché lei sembrava morta ma non lo era, il suo corpo era vivente e non un cadavere. La cosa ricorderebbe il caso di quei film che prima mostrano un amore incestuoso tra fratello e sorella, per poi rivelare l'assenza di parentela tra gli amanti: ne sono rimasto sempre molto deluso, perché non si trattava mai di incesto genuino. Tornando a noi, il punto è che Anna Fritz era proprio morta stecchita quando è giunta nella squallida morgue. Il suo risveglio nell'atto di ricevere lo spermodepositore turgido di Pau non è la cessazione di uno stato di coma o di catalessi. Siamo di fronte a uno zombie! Il tema del Ritornante, il morto che dall'Ade giunge al reame dei viventi, è diffuso fin dal Paleolitico. Costituisce per il genere umano una vera ossessione e una fonte di terrore assoluto. Nessuno di noi vorrebbe aver a che fare con un morto redivivo, è quanto di peggio potrebbe capitare! Il film di Hernández Vicens non indaga sul perché e sul percome. Non interessa al regista stabilire come sia stata possibile la spontanea rianimazione di un cadavere, quale ne sia stata la causa (indagine che avrebbe assegnato la pellicola al dominio della fantascienza). Qualcuno dirà che in genere gli zombie non parlano e non fuggono per salvare la propria pseudo-vita. Verissimo. Nell'universo di celluloide non si vedono molto spesso morti viventi in grado di articolare suoni comprensibili. Il fenomeno non sarebbe comunque impossibile. Un morto che si risveglia potrebbe accedere alle funzionalità del cervello, se il decesso non è avvenuto da troppo tempo, attingendo ai propri ricordi, ai banchi di memoria e ai circuiti logici. Nel finale tutto appare chiaro. Ivan, il giornalista stronzesco, è convinto di aver ucciso la ragazza rianimata. Eppure le cose non vanno come aveva preventivato. Lo zombie, immortale e animato dalla bramosia di vendetta, ritorna in posizione eretta e uccide entrambi i suoi stupratori servendosi delle cesoie! Il sangue degli uccisi, questi sì senza possibilità di rivivere, le cola lungo il collo mentre dai suoi occhi spiritati fuoriescono le lacrime. 

Alcuni commenti sui titoli in varie lingue 
 
1) Il titolo russo Труп Анны Фритц (Trup Anny Fritz) mi ha subito destato ricordi spiacevoli: la parola труп (trup) "cadavere" è comune all'ucraino e alla lettera significa "tronco" (di albero o di corpo). Nel gergo delle badanti indica la persona anziana che hanno in cura. 
2) Il titolo turco Ölüm ve Ötesi significa "Morte e Oltre", che corrisponde all'inglese "Death and Beyond". La parola ölüm "morte" deriva dalla radice proto-altaica *öl- "morire". Doveva suonare in modo molto simile nella lingua di Attila.   
3) Il titolo cinese 安娜·弗里茨的尸体 è traslitterato così: Ānnà·fú lǐ cí de shītǐ. In cinese, lingua fondata sui monosillabi, si trova una grande abilità nel ridurre i nomi stranieri in catene di sillabe a scopo meramente fonetico, il cui significato risultante è semplicemente ignorato: si tratta di un ingegnoso artificio di adattamento. 

ān "installare" 
"bello, grazioso" 
"essere contrario" 
"villaggio; vicinato" 
"rovo" 

Così Anna Fritz per un cinese sarebbe "Installa-Bella-Contraria-Villaggio-Rovo". 

 
Necrofilia in Turchia o nelle Filippine?
 
Secondo quanto riportato nel sito IMDB.com, in Turchia il film ha riscosso un successo strepitoso, essendo scaricato illegalmente per più di 5 milioni di volte! Questo è il testo originale:
 
"This film was very popular in Turkey sparking illegal downloading of it 5-7 million times."
 
Si direbbe che moltissimi Turchi siano affascinati in modo morboso dagli atti di necrofilia: il perno di questa attrazione sarà forse l'idea di poter possedere una donna che non può opporre resistenza alcuna alla penetrazione brutale. Il punto è che la notizia potrebbe essere un fake nato da un equivoco: secondo altre fonti non sarebbe la Turchia ad aver registrato una simile ondata di download, bensì le Filippine. Questo è quanto riporta Wikipedia in inglese: 
 
"In February 2016, director Hèctor Hernández Vicens discovered that his film was popular in the Philippines, where it was illegally viewed or downloaded between 5 and 7 million times via outlets such as Facebook and YouTube. This prompted the film crew to seek out legal counsel in an attempt to stop the illegal distribution. They have since managed to get an upload of the film deleted from YouTube. Due to the film's popularity overseas, the film's crew and producers are seeking to launch an advertising and screening campaign in the Philippines." 
 
Traduzione in italiano: 
 
"Nel febbraio del 2016, il direttore Hèctor Hernández Vicens scoprì che il suo film era popolare nelle Filippine, dove era stato visionato o scaricato illegalmente tra 5 e 7 milioni di volte tramite punti di download come Facebook o YouTube. Ciò ha spinto la troupe cinematografica a cercare un consulente legale nel tentativo di fermare la distribuzione illegale. Da allora sono riusciti a ottenere da YouTube la cancellazione di un caricamento del film. A causa della popolarità del film all'estero, la troupe del film e i produttori stanno cercando di lanciare una campagna pubblicitaria e di proiezione nelle Filippine." 
 
Le cifre delle visualizzazioni o download illegali sono identiche a quelle riportate da IMDB.com per la Turchia. In un articolo comparso sul quotidiano spagnolo El Diario, intitolato El extraño caso de la película española sobre necrofilia que triunfa en Filipinas, è riportata la notizia del grande successo del film di Hernández Vicens nell'arcipelago orientale: 

 
Per contro, non ho trovato alcuna documentazione sulla Turchia. Possibili cause del fake: qualche americano ignorante avrà confuso le Filippine con la Turchia! Perché proprio un americano? Perché nella Terra dei Liberi c'è una particolare idiosincrasia verso la geografia. Moltissimi americani sono incapaci di identificare il loro Paese su un mappamondo muto. Non mancano dementi che confondono i Portoghesi con gli Arabi, pensando che parlino la stessa lingua. 

 
Altre recensioni e reazioni nel Web  
 
Riporto alcuni estratti di interventi mediocri e abbastanza banali pubblicati sul sito Filmtv.it (i refusi e le punteggiature aberranti sono degli autori): 
 
 
L'utente scapigliato ha scritto:

"Film realmente inquietante e disturbante. Non tanto per la violazione dell’inerme cadavere di una fotomodella arrivato nella camera mortuaria di un anonimo ospedale, bensì per lo scenario autodistruttivo che lo spettatore già sa che andrà palesandosi di minuto in minuto. L’angoscia sale ad ogni scena e nonostante l’improbabilità delle svolte narrative e della situazione generale, lo spettatore è realmente catapultato in un incubo ad occhi aperti e coinvolto più che emotivamente per le sorti di tutti e quattro i protagonisti: i tre amici violatori del corpo della ragazza, e la ragazza stessa." 

L'utente ezio ha scritto: 

"Il cinema vive di deviazioni,che sfociano in imperscrutabili traiettorie,sospese tra questo e l'altro mondo.La necrofilia piu' che un tabu' per molti pare essere una attrattiva e questo film non ne e' esente.E l'attrice Alba Ribas che interpreta la morta e' discretamente bella ,fisico snello e proporzionato,perfettamente adatta al ruolo.A chi consiglio questo film ?...ai fans della necrofilia,agli amanti del genere ,il film e' girato quasi esclusivamente in una camera mortuaria,che diventa un buco infernale,titpica locations da rape e revenge.La durata e' minima quindi si puo' vedere comodamente....e i requisiti non mancano." 

L'utente Mulligan71 ha scritto: 

"Di cadaveri che tornano in vita, ormai, c'è una vera inflazione, ma, per fortuna, almeno sotto questo punto di vista, l'esordiente regista spagnolo sceglie di distinguersi. Il cadavere in questione, quello di una famosissima e bellissima attrice, torna sì in vita, ma da una morte apparente. Il film inizia muovendosi su traiettorie malate, tipiche di certo horror anni settanta, in cui la necrofilia la fa da padrona, suscitando più di un turbamento, ma Vicens non ha coraggio e quindi, dopo lo scontato "colpo di scena", il film scivola sulla china di un thriller piuttosto banale e recitato peggio. Di horror, qui, c'è solo la location, un obitorio, che diventa il set principale per tutti i settanta minuti della pellicola, piuttosto breve e snella, altro punto a favore."

Francamente non so perché raccolgo simili mozziconi dagli angiporti del Web per poi fumarli in una pipa su questo blog ormai inutile. Trovo che sia molto meglio spaccarmi il fegato con etanolo quasi puro.

domenica 22 novembre 2020

 
ARRIVAL 
 
Titolo originale: Arrival
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2016
Durata: 116 min
Genere: Fantascienza, drammatico
Regia: Denis Villeneuve
Soggetto: Ted Chiang (libro)
Sceneggiatura: Eric Heisserer
Produttore: Dan Levine, Shawn Levy, David Linde,
      Karen Lunder, Aaron Ryder
Produttore esecutivo: Glen Basner, Dan Cohen,
      Eric Heisserer, Tory Metzger, Milan Popelka, Stan
      Wlodkowski
Casa di produzione: Lava Bear Films, 21 Laps
     Entertainment, FilmNation Entertainment
Distribuzione in italiano: Warner Bros.
Fotografia: Bradford Young
Montaggio: Joe Walker
Musiche: Jóhann Jóhannsson
Scenografia: Patrice Vermette
Interpreti e personaggi:
    Amy Adams: Louise Banks
    Jeremy Renner: Ian Donnelly
    Forest Whitaker: colonnello Weber
    Michael Stuhlbarg: agente David Halpern
    Tzi Ma: generale Shang
    Mark O'Brien: capitano Marks
    Frank Schorpion: Dr. Kettler
Doppiatori italiani:
    Ilaria Latini: Louise Banks
    Roberto Gammino: Ian Donnelly
    Massimo Corvo: colonnello Weber
    Massimo De Ambrosis: agente David Halpern
    Haruhiko Yamanouchi: generale Shang
    Davide Perino: capitano Marks
    Sergio Lucchetti: Dr. Kettler 
Budget: 47 milioni di dollari US 
Box office: 203,4 milioni di dollari US 

Trama: 
La linguista Louise Bank racconta la tediosa storia della figlia, morta a dodici anni per una forma di leucemia incurabile. Mentre sta tenendo una lezione all'università, accade un fatto epocale: dodici astronavi aliene compaiono all'improvviso, librandosi su vari punti della Terra. Sembrano immensi sigari di metallo. Date le sue competenze, la studiosa viene invitata dai militari statunitensi a far parte di una squadra speciale il cui scopo è quello di cercare un modo per comunicare con gli sconosciuti esseri giunti dallo Spazio Esterno. È un'occasione estemporanea che non si ripeterà: Louise lo sa bene e decide di coglierla al volo. Da quel momento passa il suo tempo a cercare di comunicare con gli alieni, che si rivelano essere enormi polpi scorreggianti! Sono chiamati "Eptapodi" (Heptapods in inglese) perché hanno sette tentacoli. Durante l'opera di apprendimento di una forma di scrittura geroglifica che gli alieni disegnano nell'aria per mezzo delle flatulenze, la studiosa si rende conto di avere delle angoscianti visioni del proprio futuro. Infatti l'apprendimento della lingua scritta degli Eptapodi, la comprensione della sua intima natura, si rivela in grado di indurre una percezione non lineare del tempo. I nodi giungono al pettine: il suo uomo la lascia quando si rende conto che lei ha deciso di dare alla luce una bambina pur essendo consapevole di votarla a un atroce destino di malattia. Quando lui capisce che nella sua compagna l'impulso a dare la vita è talmente forte da vincere ogni considerazione razionale, ne ha un orrore insondabile. Non è difficile immaginare il seguito della sua vita: orribilmente disilluso, decide di rompere ogni rapporto col gentil sesso, andando alla ricerca di uomini irsuti con cui darsi a pratiche sodomitiche.  
 

Recensione: 
Questo film è stato tratto dal racconto di Ted Chiang Storia della tua vita (Story of Your Life), facente parte dell'antologia Storie della tua vita (Stories of Your Life and Others) e pubblicato per la prima volta nel 1998. Il libro in questione mi era stato vivamente raccomandato dall'amico Andrea "Jarok" Vaccaro, che me lo aveva anche prestato. Lo avevo letto, anche se ero talmente pieno di whisky che ben poco di Storia della tua vita è rimasto fissato nei miei banchi di memoria stagnante. Ricordo però che avevo trovato abbastanza originali e interessanti le mirabolanti teorie su una lingua aliena esposte in quel racconto. Bizzarramente, mi è invece rimasto impresso un altro racconto che mi parve orribile, quello dell'uomo che amava Dio a tal punto da non mutare i propri sentimenti nemmeno quando si ritrova condannato all'Inferno per l'eternità - e per giunta senza alcun motivo logico. Ho poi qualche vaga reminiscenza di uno scritto grottesco in cui alcuni studenti si masturbavano fino allo sfinimento, raccogliendo un bacile pieno zeppo di spermatozzi e riuscendo a usare quel liquame per plasmare un homunculus. In ogni caso dissi ad Andrea che l'antologia di Chiang mi era piaciuta, più per cortesia che per altro. Qualche anno dopo, ritrovarmi alle prese con Arrival mi ha provocato un rigurgito acido. Tra tutti i registi, Villeneuve era proprio il meno adatto per cimentarsi in un'impresa del genere. Quello che non riesco a capire è perché sia così adorato dalla critica, che mostra addirittura scomposte reazioni di fanatismo quando non si accettano le sue opinioni dittatoriali. Sarò forse il solo nel Web a combattere contro questa funesta idolatria villeneuviana! 
 
 

Polpi che scorreggiano con le estremità! 

Gli alieni mostrati da Villeneuve sono incredibilmente grotteschi. Appena abbozzati e realizzati in maniera quasi artigianale, i molluschi tentacolati sono poco più che sagome immerse in una densa nebbia, studiata ad arte per celare al pubblico le loro fattezze. La forma di comunicazione da loro usata ha dell'incredibile. Producono cospicui peti dalla punta dei loro tentacoli, emettendo una specie di denso gas nero che va aggregandosi fino a disegnare forme complesse. Geroglifici flatulenti! Mentre nel racconto di Chiang, Storia della tua vita, si dava una dettagliata spiegazione logica dei princìpi fondanti della scrittura degli Eptapodi e del confronto con la loro lingua parlata, nel film si trova soltanto qualche traccia rudimentale di tutto questo. Il regista si limita a giocare su un equivoco comunicativo (la storia della scrittura aliena come "arma", fraintesa dai militari ottusi e ritenuta una dichiarazione di guerra da parte degli extraterrestri). Mostra poi gli ideogrammi che si formano nell'aria e una serie di fotografie, ma non ricordo nemmeno un abbozzo di indicazione sul rapporto tra il valore semantico dei segni e la loro forma. Diciamo che un trattatello di fantalinguistica, certamente originale e con notevoli possibilità di sviluppo, è stato banalizzato in modo irrimediabile. 
 
 
Una scrittura semasiografica 
 
Riporto in questa sede quanto viene detto nella pellicola villeneuviana sul peculiare sistema di scrittura usato dagli Eptapodi, trascritto verbatim ab origine
 
«Come comunicano? Qui Louise ci sta facendo vergognare. La prima svolta è stata scoprire che non c'è correlazione tra quello che un eptapodo dice e quello che un eptapodo scrive. A differenza di tutte le lingue umane scritte, la loro scrittura è semasiografica: veicola un significato, non rappresenta un suono. Forse per loro la nostra forma di scrittura è un'occasione sprecata, perché tarata a un secondo canale di comunicazione. Dobbiamo ringraziare gli amici pakistani per lo studio su come scrivono gli Eptapodi. A differenza del linguaggio, un logogramma è svincolato dal tempo. Come la loro astronave e i loro corpi, la loro lingua scritta non ha una direzione in avanti o indietro. I linguisti la chiamano "ortografia non lineare", il che solleva il quesito: "È così che pensano?" Immaginate di voler scrivere una frase usando due mani a partire da entrambi i lati. Dovreste già sapere ogni parola che vorreste usare, oltre a quanto spazio andrebbe ad occupare. Un eptapodo sa scrivere una frase complessa in due secondi, senza sforzo. Noi ci abbiamo messo un mese per una semplice risposta. Prossimo passo: ampliare il vocabolario. Secondo Louise potremmo metterci un altro mese per essere pronti.»
 
Vengono mostrati in rapida sequenza i segni che esprimono i seguenti concetti, nell'ordine: 
 
mother
planet
life
man
star
heptapod
child
woman
earth
human
walk
time
death
system
technology
solar system
home
number
write 
 
I semagrammi fotografati e riprodotti tramite computer sembrano il risultato delle eiaculazioni del Seme Nero del Caprone Primigenio. Le figure sono troppo sfuggenti per impressionarsi sulla retina dello spettatore, ma anche fermando l'immagine non si ottiene alcuna informazione utile. Non c'è la possibilità di analizzare queste forme, di scomporle in unità significative comprensibili e maneggevoli, anche se in alcuni fotogrammi si notano intricate serie di linee tracciate allo scopo di dare un ordine razionale a ciò che sembra figlio del Caos.

Nella biblioteca realizzata dalla studiosa e dalla sua équipe, visualizzata sullo schermo di un computer, sono visualizzate le seguenti parole in inglese, senza però che sia mostrato il corrispondente geroglifico degli Eptapodi:

see
find
understand
think
query
ask
truth
land
perch
ground
hold
choose
pick
take
accept
search 
 
Si evidenziano subito alcune difficoltà concettuali. Come può il linguaggio eptapodico scritto essere davvero universale? Come può accomunare tutti gli esseri senzienti, indipendentemente dalle peculiarità della loro biologia e del loro ambiente? Faccio pochi esempi per esporre le mie perplessità. Immaginiamo una civiltà aliena di esseri simili a balene che vivono in un oceano planetario. Che significato avrebbero per loro segni per esprimere cometti come "terra", "terreno", "suolo", "aria"? Come hanno fatto gli Eptapodi ad elaborare segni per concetti come "madre", "donna", "bambino"? Un gigantesco polpo senziente potrebbe avere una biologia riproduttiva del tutto diversa da quella di un mammifero. Per fissare le idee, le cose potrebbero andare in questo modo: 
1) la femmina depone le uova in una vasca;
2) il maschio al ritorno dal lavoro scarica lo sperma sulle uova e le fertilizza; 
3) se il maschio manca all'appuntamento e rincasa il giorno dopo, la femmina cucina le uova in insalata e se le mangia. 
Adesso ditemi che senso avrebbe per una simile specie parlare di "madre", o anche soltanto comprendere il significato dell'idea di "madre" per un popolo umano. 
 
 
Scrittura eptapodica e natura del tempo 
 
Non si capisce come i segni possono essere indipendenti dallo scorrere del tempo, se devono rendere possibile la trascrizione di qualsiasi concetto. Come si potrebbe scrivere in semagrammi eptapodici atemporali un trattato sulla storia della Germania? Non si potrebbe nemmeno specificare che Hitler è venuto dopo Rindfleisch, o che la banda Baader-Meinhof è venuta dopo Hitler? Se non si può trovare il modo di esprimere la relazione d'ordine che definisce l'esistenza dei viventi nella freccia temporale termodinamica, allora tutto è vano: non è nemmeno possibile utilizzare concetti implicanti la nozione di irreversibilità, come "nascita", "morte", etc. Tutto ciò accade perché Villeneuve non ha ben compreso i contenuti dell'opera di Chiang, come spiegato nel seguito.  

Ideogrammi e semagrammi 
 
Le scritture ideografiche a noi più familiari sono due: quella degli antichi Egizi e quella cinese. Il problema è che non si tratta di vere e proprie scritture ideografiche. I segni non esprimono idee. La scrittura geroglifica egiziana è un complesso sistema di rebus fonetici: un gran numero di segni rappresenta una o più consonanti e vengono utilizzati per trascrivere parole che contengono gli stessi suoni, indipendentemente dal significato; molti altri segni sono determinanti che non corrispondono ad alcun suono e servono soltanto a specificare il contesto semantico delle parole, evitando ambiguità ed errori. La scrittura cinese è fondata sulla trascrizione di sillabe, unità semantiche minime della lingua, a cui corrispondono diversi significati a seconda del contesto e dell'intonazione. Queste sillabe vengono poi utilizzate per il loro valore fonetico, indipendentemente dal significato, anche per trascrivere nomi e parole provenienti da altre lingue. Così ad esempio Marx in cinese viene adattato come 马克思 (trascrizione: MǍ-KÈ-SĪ), il cui significato letterale sarebbe qualcosa come "cavallo-vincere-pensare". Altre scritture comunemente etichettate come ideografiche, come quella dei Maya, hanno anch'esse natura fonetica. I complessi geroglifici Maya si sono rivelati composti da segni che rappresentano il valore fonetico delle sillabe e non il significato. Non c'è nulla di realmente ideografico. Come conseguenza di tutto questo, non si può scrivere in geroglifici egiziani senza conoscere la lingua degli antichi Egizi, né si può scrivere in ideogrammi cinesi senza conoscere la lingua cinese su cui si fondano, etc.
 
Glottopoiesi villeneuviana e altre futilità 
 
A quanto ho letto nel vasto Web, Villeneuve si sarebbe impegnato assieme allo sceneggiatore Eric Heisserer nella creazione di un vero e proprio vocabolario di semagrammi eptapodici, circa un centinaio in tutto. Solo alcune decine di questi segni sono visibili nel film, seppur per pochi istanti. Come già accennato, non viene data alcuna vera spiegazione delle unità significative che li formano, né viene fatto cenno della logica con cui queste sono state aggregate. Se quanto riportato fosse vero, saremmo di fronte all'ennesimo spreco del grande e munifico Re Adim, che col suo tocco magico trasforma in merda ogni cosa toccata, anche l'oro! Santo Cielo, mi dico, a cosa può servire fare un complesso "lavoro glottoteta" su un centinaio di semagrammi se poi tutto ciò viene messo in un cassetto e dimenticato? Comunque sia, nessuno può provare, al di là dei gossip mediatici, che i semagrammi mostrati non siano altro che chiazze d'inchiostro generate casualmente, come quelle usate nel test di Rorschach. Mi immagino la reazione dei fan se un giorno si dovesse scoprire che l'artista in realtà era uno scimpanzé che si è divertito a pasticciare!
 
La critica e le sue idiozie  

Secondo la maggior parte dei commentatori nel Web, il film villeneuviano avrebbe come idea centrale la stronzata suprema della "mistica della diversità", tanto cara ai radical shit e ai fautori del politically correct. Mentre i migliori capolavori della Fantascienza sono fondati sull'idea di uno scontro tra civiltà, qui viene affermato un isterico appello alla cosiddetta "inclusività", volta ad abbracciare anche i molluschi all'interno del campo smisurato dell'empatia umana. Ecco l'ossessione che ne nasce: l'idea di trovare un'utopica lingua universale che possa accomunare tutti gli esseri senzienti dell'Universo. Questa lingua comune, "inclusiva", non può essere una lingua parlata. Le lingue parlate si fondano su modi di vedere l'esistenza che sono diversissimi tra loro e spesso incompatibili. Una lingua scritta che si fondi sui princìpi della logica e della matematica, che sono oggettivi, dovrebbe invece poter essere appresa e utilizzata da tutti, indipendentemete dalla lingua parlata. È ancora l'idea della matematica come linguaggio cabalistico di Dio, sulle cui lettere sarebbe fondata la struttura stessa della sua Creazione. Eppure, stando al racconto di Chiang, emerge che una simile interpretazione è completamente errata, come posso dimostrare con argomenti solidissimi. Si tratta dell'ennesimo abuso villeneuviano.  
 

Storie della tua vita: una rilettura dopo anni 

Per poter fare un confronto più efficace col film di Villeneuve, ho recuperato l'antologia di Chiang e ho riletto il racconto Storia della tua vita. Ho subito notato non poche differenze significative. 
1) La figlia di Louise Banks nel film muore a dodici anni a causa della leucemia. Nel racconto la figlia di Louise Banks muore a venticinque anni a causa di una caduta durante la scalata di una montagna.
2) Nel racconto gli Eptapodi non sono molto simili a polpi, avendo un corpo dalla forma di un barile con sette occhi disposti in modo radiale. Hanno due orifizi: quello superiore che serve loro per respirare e per parlare, mentre quello inferiore, dotato di denti, serve loro per mangiare e per defecare. Una vera e propria bocca-ano! Inoltre gli arti sono rigidi e non hanno l'aspetto di tentacoli.
3) Nel racconto la comunicazione tra gli studiosi e gli Eptapodi avviene tramite meccanismi simili a specchi che sono stati lasciati dalle astronavi in diversi punti della Terra. Nessuno sale mai su un veicolo alieno. Villeneuve ha stravolto tutto, per rendere le sequenze più sensazionali, portando la squadra scientifica all'interno di un'astronave. Si è anche inventato di sana pianta la trovata del passeraceo chiuso in una gabbia per saggiare la respirabilità dell'aria.  
4) Nel racconto gli Eptapodi non scrivono scorreggiando con le estremità: infilano un arto nel piedistallo di un congegno simile a uno schermo, facendo comparire i semagrammi. 
5) La lingua parlata, l'eptapode A, nel film è ritenuta del tutto priva di interesse e non ne viene fornita alcuna descrizione, mentre nel racconto viene studiata in modo approfondito e con un certo successo. Viene menzionato l'uso di suffissi per marcare il soggetto e l'oggetto di un'azione, nonché l'uso di prefissi per modificare il significato delle radici verbali.
6) Non sta scritto da nessuna parte nel racconto che i semagrammi eptapodici siano stati donati al genere umano come un sistema di scrittura universale. Non si fa nessun riferimento alla cosiddetta "arma" e agli equivoci scaturiti da un'errata interpretazione. Il motivo della venuta degli alieni rimane inspiegato, avvolto nel più fitto mistero.  
7) Nel racconto si descrive in dettaglio la fisica degli Eptapodi, che si fonda su concetti quasi agli antipodi di quelli della fisica del genere umano. Le grandezze che noi esprimiamo come integrali sono considerate fondamentali dagli Eptapodi, che basano tutta la teoria sul concetto inanalizzabile di "azione" anziché sul nesso causa-effetto a noi familiare. Le grandezze che per noi sono fondamentali sono invece considerate derivate dagli Eptapodi. Villeneuve non parla di tutto ciò. 

Un corollario che fa capolino nel racconto di Chiang è la negazione della grammatica generativa di Noam Chomsky. Purtroppo ci è difficile trattare in questa sede tutte queste affascinanti tematiche, così rimandiamo a successivi approfondimenti. 

L'origine della baggianata dei polpi alieni 

Periodicamente viene rilanciata dai media la notizia dell'origine aliena dei polpi (ordine Octopoda, genere Octopus), che sarebbero giunti sulla Terra congelati in una cometa, schiantatasi nell'oceano in epoca remotissima. In fondo i polpi sono abbastanza strani: hanno tre cuori, hanno il sangue blu a causa dell'enocianina (una proteina basata sul rame, che ha le stesse funzioni della nostra emoglobina), emettono inchiostro, sono intelligentissimi, etc. Anche se i molluschi del racconto di Chiang e del film di Villeneuve hanno 7  tentacoli, mentre i polpi ne hanno 8, si comprende bene che questa persistente fake news ha il suo fondamento proprio in Arrival. Le prime testimonianze della stronzata dei polpi venuti dallo spazio esterno risalgono al 2017, l'anno successivo all'uscita della pellicola di cui stiamo trattando. La falsa notizia si è diffusa in modo pervasivo nel 2018, anno in cui hanno cominciato a circolare anche le prime smentite da parte della comunità scientifica. Nel Web questa storiella memetica è stata fin dall'inizio ridicolizzata da moltissimi navigatori. La reazione più comune all'idea dei polpi originari di un altro pianeta era un commento lapidario, ripetuto infinite volte come per istinto: "Si mangiano con le patate!"  

giovedì 16 aprile 2020

L'IDROMELE: ALCUNE CONSIDERAZIONI FONOLOGICHE, ETIMOLOGICHE E SEMANTICHE

L'uso della parola idromele "bevanda alcolica fermentata dal miele" è tutto sommato problematico, come possiamo capire indagandone l'etimologia, in apparenza lapalissiana. Questo perché il termine greco antico ὑδρόμελι (hydrómeli) è sinonimo di μελίκρᾱτον, μελίκρητον (melíkrāton, melíkrēton), che indicava un miscuglio di acqua e miele, non fermentato, oppure un miscuglio di latte e miele offerto alle potenze degli Inferi e parimenti analcolico. Si tratta di un composto formato a partire da ὕδωρ (hýdōr) "acqua" e da μέλι (méli) "miele". L'accento cade sulla terzultima sillaba, perché l'ultima è breve, e nella lingua greca è la quantità dell'ultima sillaba a regolare la posizione dell'accento - a differenza della lingua latina, in cui la posizione dell'accento è regolata dalla quantità della penultima sillaba. 
 
La parola greca ὑδρόμελι, importata tra i Romani, scritta hydromeli e pronunciata /(h)i'dromeli, hy'dromeli/, poteva indicare anche la bevanda fermentata alcolica: ha subìto quindi uno slittamento semantico. Sarebbe utile poter accedere a una documentazione più approfondita, ma questo non è poi tanto facile. Dobbiamo notare una cosa importante: si tratta di un prestito dotto, che non fu mai accolto nella lingua del volgo e che a quanto ne so non ha mai lasciato esiti in nessuna lingua romanza. Se sarò smentito da qualche romanista che ha più dimestichezza di me con l'immensa mole di dati dell'enorme numero di varietà romanze, ben venga, ma ho ragione di credere che ciò non accadrà mai. Anche in greco moderno ὑδρόμελι indica la bevanda alcolica. Si tratta di un vocabolo tratto dall'antichità, non di un'eredità passata attraverso la genuina usura del volgo. In altre parole, appartiene alla Katharevousa, la lingua nobile. Lo si comprende all'istante, dato che nella lingua popolare, l'acqua è chiamata νερό (neró). Tra l'altro, in Grece esiste tuttora un'interessante produzione di idromele. 
 
In italiano, per ragioni etimologiche e per una pronuncia ortografica (dedotta cioè a partire dalla forma scritta letteraria senza cognizione alcuna della metrica originaria), dalla forma sdrucciola idròmele a un certo punto si passò a quella piana, idroméle, che è da considerarsi di uso generale. Questo ha creato problemi a non finire. La gente più incolta non comprende il significato della parola idromele e confonde l'augusta bevanda col sidro. La prima reazione di un analfabeta alla menzione dell'idromele e alla spiegazione di come viene preparato dal miele, è sempre di stupore: troppo forte è l'idea preconcetta di una derivazione dalle mele per via della terminazione. Alcuni addirittura tendono ad ipercorreggere la parola e a pronunciare *idromiele nel tentativo di ripristinare un'etimologia comprensibile. Inutile dire che questo *idromiele è assolutamente erroneo, cosa che noto usando l'asterisco. Eppure questo ipercorrettismo esiste e resiste. Ricordo di aver letto da giovane un fumetto in cui Ercole, venutosi a trovare a New York, in un ristorante chiamava i camerieri "schiavi" e diceva di preferire di gran lunga l'idromele alla coca cola. Il punto è che il fumettista aveva scritto la parola con una -i- di troppo.  

 
Anche se si tratta di un'impresa vana, andrebbe proposto un nobile neologismo dalle ottime basi etimologiche, che appianerebbe ogni controversia e farebbe sparire ogni dubbio: MEDO "idromele", tratto direttamente dal celtico (gallico): è attestato come medu, di genere neutro, mentre la variante maschile medus si trova come prestito nel tardo latino delle Gallie. Questo elemento Medu- è alla base dell'antroponimo gallico Medugenos "Nato dall'Idromele", attestato anche in celtiberico come MEZUKENOS e in ogamico come MEDDOGENI (al genitivo) - oltre che nell'etnonimo Medulli, che designava un popolo alpino. Nella Lusitania sono attestati i Medubrigenses, il cui nome deriva dal toponimo celtico *Medubriga "Città dell'Idromele". Nelle lingue celtiche medievali e moderne si hanno le seguenti forme, tutte dalla stessa radice protoceltica: 
 
antico irlandese: miḋ "idromele" (genitivo meḋo)
        meḋḃ "ebbro"
  irlandese moderno: miodh "idromele" 
medio gallese: medd "idromele"
       meddw "ebbro"
  gallese moderno: medd "idromele"
bretone: mez "idromele"
cornico: medh "idromele"
 
Famosa è la dea irlandese Me "Ebbra", il cui nome deriva dal protoceltico *Medwā, sostantivazione dell'aggettivo *medwos "ubriaco (di idromele)". Nella regione della Loira esiste un fiume che era chiamato Meduana, il cui nome deriva da quello della stessa divinità adorata nell'antica Irlanda precristiana.

Il sostantivo antico irlandese è di genere neutro e punta a una ricostruzione protoceltica *medu, ma esistono anche attestazioni di genere maschile, che puntano a una ricostruzione protoceltica *medus. La forma gallica di genere maschile, passata in latino, è attestata nella Epistula Anthimi uiri inlustris comitis et legatarii ad gloriosissimum Theudoricum regem Francorum de obseruatione ciborum  (VI secolo): 

Ceruisa bibendo uel medus et aloxinum quam maxime omnibus congruum est ex toto, quia ceruisa, quae bene facta fuerit, beneficium prestat et rationem habet, sicut et tesanae, quae nos facimus alio genere. tamen generaliter frigida est.
Similiter et de medus bene factum, ut mel bene habeat, multum iuuat. 
 
E ancora, più avanti nello stesso testo, troviamo una menzione dell'idromele, assieme a una preziosa testimonianza sull'intolleranza al lattosio tra i Franchi: 
 
De lactibus uero sanis hominibus; si quis crudos lactis uult bibere, mel habeant admixtum uel uinum aut medus; et si non fuerit aliquid de istis poculis, sale mittatur modicum, et non coacolat intus in hominibus; nam si purum acceptum fuerit, aliquibus coacolat intus in epar et in stomachum et solet grauiter laedere. Si tamen, quomodo mulgitur, contra calidum bibitum fuerit, si taliter, non nocet. 
 
L'autore di questo trattato, Antimo, era un medico di Bisanzio, che il Teodorico il Grande (454 - 526), Re degli Ostrogoti, inviò come rappresentante alla corte dell'omonimo Teodorico (485 - 534), Re dei Franchi e figlio di Clodoveo, della dinastia dei Merovingi. Vediamo che il vocabolo medus in questo testo non può essere un prestito dal gotico, che aveva senza dubbio *midus, con diverso vocalismo (vedi sotto). A rigor di logica potrebbe essere un prestito dalla lingua germanica dei Franchi. Notiamo però che la bevanda a base di miele non è stata inventata dai Franchi: era già ben nota ai Galli e diffusissima. Vediamo che la birra è designata col termine celtico (cisalpino) ceruisa. Anche la parola aloxinum è di origine celtica e designava una bevanda aromatizzata con assenzio: ha la stessa radice dell'inglese ale "birra" (anglosassone ealu, ealo, genitivo ealoþ). Assumo quindi che medus sia un elemento del sostrato/adstrato celtico. Il Glossario di Vienne ci testimonia che una forma tarda di gallico era senz'ombra di dubbio ancora parlata al tempo dei Franchi: la parola caio "recinto" è glossata con "breialo siue bigardio"
 
Questo nome dell'idromele, che risale alla radice indoeuropea *medhu-, si trova nelle lingue germaniche: 
 
protogermanico: *miðuz "idromele" 
norreno: mjǫðr "idromele"
   islandese moderno: mjöður "idromele"
   faroese: mj
øður "idromele"
   antico svedese: miödher, mioþer "idromele"
   svedese moderno: mjöd "idromele" 
   antico danese: mioth, miøth, møth "idromele"
   danese moderno: mjød "idromele"
antico alto tedesco: metu "idromele"
   medio alto tedesco: mete, met "idromele"
   tedesco moderno: Met "idromele"
antico sassone: medu "idromele"
   medio basso tedesco: mēde, medde "idromele"
   basso tedesco (Vestfalia): mia "idromele"
antico frisone: mede "idromele"
  frisone occidentale: mea "idromele"
medio olandese: mēde "idromele"
  olandese moderno: mede, mee "idromele"
antico inglese: meodu, meodo, medo "idromele"
   medio inglese: mede, methe(1) "idromele"
   inglese moderno: mead /mi:d/ "idromele"
   scots: mede, meid "idromele"
gotico: *midus "idromele"(2) 

(1)La variante methe si deve a influenza norrena.
(2)La forma gotica è stata presa a prestito dal lituano: midus "idromele". 
 
Torniamo dunque al greco antico. Nella lingua di Omero si trova un vocabolo discendente dall'indoeuropeo *medhu-, che non era usato altrove: μέθυ (méthy), di genere neutro, genitivo μέθυος (méthyos), tradizionalmente tradotto con "vino" o con "bevanda inebriante". Il significato originale doveva essere quello di "idromele", ma già in epoca classica questa conoscenza era andata perduta. Il navigatore massaliota Pitea (380 a.C. circa - 310 a.C. circa), che visitò la regione costiera della Norvegia, paese denominato Thule (Θούλη), affermò che le popolazioni locali facevano uso di una bevanda inebriante prodotta dal miele e dal grano, ma non usò il termine μέθυ per designarla. Se questa bevanda fosse stata conosciuta all'epoca dai Greci, non avrebbe destato grande sorpresa scoprire che era prodotta dalle genti di Thule. Il caso è davvero curioso. Sappiamo per certo da prove archeologiche che l'idromele era prodotto in epoca omerica e persino che c'era la consuetudine di aromatizzarlo col rosmarino. A quanto pare la bevanda antichissima è stata gradualmente abbandonata a causa della concorrenza del vino  d'uva, che ha finito col soppiantarla. Quando in seguito l'idromele alcolico è stato riscoperto, ha dovuto ricevere un nome nuovo.    

La radice *medhu- ha dato discendenti in molti altri rami della famiglia indoeuropea, ma sarebbe impossibile fare una trattazione dettagliata in questa sede, tanto complesso è l'argomento. Questi sono alcuni dati relativi alle lingue indoarie e iraniche: 
 
sanscrito: madhu "miele; vino"
romaní: mol "vino"
protoiranico: *madu "miele; vino" 
   avestico: maδu "vino (d'uva)"
   antico ossetico (scitico): mud "miele"
   battriano: μολο (molo) "vino"
   curdo settentrionale: mot "melassa"
   medio persiano: may "vino"
   persiano moderno: mey "vino"*
   harzani: mat "sciroppo denso, melassa"
   azero (dialetto di Urmia): mazow "sciroppo d'uva con acqua"
 
*Parola della lingua letteraria. 
 
Gli Sciti bevevano idromele e lo chiamavano mud, come il miele. Tra la maggior parte delle altre genti iraniche è subentrato una specie di tabù verso il miele, così l'antico nome dell'idromele è passato a indicare il vino d'uva. 

Persino in arabo esiste la parola maδi "vino bianco frizzante", importata direttamente dal medio persiano (prima della scomparsa della dentale intermedia); deve essere un termine colloquiale o tecnico. Sorprende la vastità del lessico enologico tra gli Arabi, con buona pace della loro religione che ha un cattivo rapporto con l'ebbrezza. 
 
In tocario B abbiamo due diverse parole: mīt "miele" e mot "bevanda inebriante". La prima parola tocaria, mīt, ha avuto un'enorme diffusione, dando origine al cinese antico 蜜 mit "miele" (cinese attuale , usato in composti come 蜂蜜 fēngmì "miele", 蜜蜂 mìfēng "ape da miele"). Dal cinese antico, mit "miele" è giunto nel giapponese divenendo mitsu "miele", e in coreano divenendo mil "miele". La seconda parola tocaria, mot "bevanda inebriante", è un prestito da una lingua iranica, con ogni probabilità il sogdiano (mwδ, mδw "vino", pron. /muð/). 
  
Anche nelle lingue baltiche e in quelle slave i discendenti di *medhu- sono ben attestati e fiorenti. Questo è un quadro delle lingue baltiche:  
 
lituano: medùs "miele"*
lettone: medus "miele; idromele"
letgallo: mads "miele"
antico prussiano: meddo "miele" 
 
*C'è anche midus "idromele", che è un chiaro prestito dal gotico. 
 
Questo è un quadro sintetico delle lingue slave
 
antico slavo ecclesiastico: медъ (medŭ) "miele"
russo: мёд /mjot/ "miele"; "idromele"
ucraino: мед /med/ "miele"; "idromele"
polacco: miód /mjut/ "miele", miód pitny "idromele"* 
ceco, slovacco: med "miele", medovina "idromele"
bulgaro: мед (med) "miele"
serbo, croato: ме̑д, mȇd "miele"
macedone: мед (med) "miele"
sloveno: méd "miele" (mẹ̑d in ortografia tonale)

*Ricordo un articolo su un vecchio quotidiano cartaceo, che parlava di una cooperativa comunista e di "miele da bere" importato dalla Polonia (hanno tradotto alla lettera miód pitny). Forse i trinariciuti non conoscevano la parola idromele o non la volevano usare per qualche loro ubbia. 

Un notevole prestito slavo in rumeno è mied "idromele" (parola del linguaggio popolare).
 
Alla luce di quanto esposto, vediamo che l'uso del neologismo MEDO in italiano restaurerebbe un'ottima tradizione, avendo un fondamento storico ineccepibile. Inoltre porrebbe fine agli inveterati fraintendimenti di cui abbiamo già discusso. Alla Festa Celtica in Val Veny, i Taurini vendono un eccellente idromele di loro produzione: ogni anno mi piazzo davanti alla loro bancarella per abbondanti libagioni. Ebbene, non sarei più costretto a sentire decine di visitatori continuare con la baggianata dell'associazione tra l'idromele e queste cazzute fantomatiche mele! 
 
Il cognome Idromele 

In Italia esistono i cognomi più bizzarri. Ve ne sono alcuni tra i più notevoli che traggono origine da nomi di bevande. Tra questi abbiamo Vino, Birra, Acquavite, Amaro, Liquori, Spiriti, Rum, Sambuca, Gin e Sidro. Come documentato dal sito www.gens.info, il rarissimo cognome Idromele è presente in due soli comuni, il primo in Piemonte, non lontano da Tortona, e il secondo nei pressi di Roma. 

lunedì 15 luglio 2019


SEROTONINA

Autore: Michel Houellebecq
Titolo originale: Sérotonine
Anno: 2019
Lingua: Francese
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Distopico, esistenziale 
Editore: La nave di Teseo
Collana: Oceani
Traduzione (in italiano): Vincenzo Vega
Traduzione (in inglese): Shaun Whiteside
Codice EAN: 9788893447393 

Sinossi (da Googlebooks):
Florent-Claude Labrouste è un quarantaseienne funzionario del ministero dell'Agricoltura, vive una relazione oramai al tramonto con una torbida donna giapponese, più giovane di lui, con la quale condivide un appartamento in un anonimo grattacielo alla periferia di Parigi. L'incalzante depressione induce Florent-Claude all'assunzione in dosi sempre più intense di Captorix, grazie al quale affronta la vita, un amore perduto che vorrebbe ritrovare, la crisi della industria agricola francese che non resiste alla globalizzazione, la deriva della classe media. Una vitalità rinnovata ogni volta grazie al Captorix, che chiede tuttavia un sacrificio, uno solo, che pochi uomini sarebbero disposti ad accettare.


Recensione: 
Il sacrificio a cui Florent-Claude Labrouste si sottopone è lo stesso che Giulio Cesare, magistralmente interpretato da John Wayne, in un vecchio film storico rinfaccia a un astronomo egiziano. In poche parole, si tratta della castrazione. Una castrazione chirurgica, nel caso dell'uomo di Scienza della corte di Cleopatra. Una castrazione chimica, ma non meno efficace, nel caso del dipendente del Ministero dell'Agricoltura. Impotenza assoluta indotta dal farmaco. Il Captorix, per l'appunto. Quando una cantante bionda e prosperosa si inginocchia davanti al protagonista nel corso di un incontro dopo tanti anni di separazione - e gli prende in bocca l'uccello - ecco che lo spermodepositore flaccidissimo non mostra segni di vita. Dopo qualche minuto d'insistenza, la fellatrice smette di lavorare il glande con le labbra e con la lingua: capisce che non c'è più niente da fare. Gli ex amanti si lasciano quindi come se tra di loro ci fosse sempre stato soltanto il più mortificante tra i possibili rapporti tra maschio e femmina: ciò che con infame eufemismo è denominato "amicizia". Com'è risaputo, l'animale che le donne più odiano è il camoscio: se si imbattono in un esemplare, serbano rancore per tutta la vita. Il teatrino mi è parso davvero buffo. Nella mia fantasia mi sono immaginato la donna con tratti simili a quelli di una melomane e grandissima cornificatrice, che ha ornato il cranio del marito di palchi colossali, da fare invidia a un cervo gigante della megafauna pleistocenica. Labrouste non è soltanto quello che il Necchi chiamava "un non trombante". Il Captorix, inutile girarci intorno, è uno strumento di lobotomia chimica. Dovrebbe limitarsi a stimolare la produzione di serotonina (l'ormone della felicità). Il sospetto è che in pratica lesioni il lobo frontale. Ecco perché impedisce di sentirsi avvolti dal nero e oleoso tocco della depressione. Così Houellebecq definisce la pillola magica partorita dal suo ingegno:      

«È una piccola compressa bianca, ovale, divisibile. Non crea né trasforma; interpreta. Ciò che era definitivo, lo rende passeggero; ciò che era ineluttabile, lo rende contingente.»

E ancora:
«non dà alcuna forma di felicità, e neppure di vero sollievo, ma trasformando la vita in una serie di formalità aiuta gli uomini a vivere, o almeno a non morire, per qualche tempo.» 

L'impotenza assoluta è un effetto collaterale che nessuno a quanto pare sa spiegarsi, un'ironia del Diavolo. Lo scrittore francese tenta persino un abbozzo di spiegazione pseudoscientifica o, meglio, di pseudospiegazione scientifica. Lo stravagante dottor Azote, il cui cognome significa "Senza Vita", rivolge queste parole al suo paziente: 

«Comunque vorrei che facesse un prelievo di sangue, per controllare il tasso di testosterone. Di norma dovrebbe essere bassissimo, la serotonina prodotta per mezzo del Captorix inibisce la sintesi del testosterone, contrariamente alla serotonina naturale, non mi chieda come mai perché non se ne sa niente.» 

Eppure, anche seguendo questa terapia, il misero travet è ben lungi dall'essere diventato un puffo! Continua a vedere il mondo come l'ammasso escrementizio che è.

«In Occidente nessuno sarà più felice, pensava ancora, mai più, oggi dobbiamo considerare la felicità come un’antica chimera, non se ne sono più presentate le condizioni storiche.» 

Una lucida quanto annichilente disamina della nostra condizione. Apparteniamo a una civiltà moribonda, il cui exitus non è lontano. Crolleremo sotto il peso di infinite criticità. Senza contare una cosa che forse potrà apparire banale ma non lo è. Chi ha detto che abbiamo il diritto di essere felici?    

Una nipponica antropofaga e genocida    

Il protagonista ha un crollo esistenziale quando scopre la verità sulla sua compagna, la giapponesina di nome Yuzu. La donna d'Oriente ha lasciato traccia delle sue imprese erotiche in alcuni densi filmati in formato mp3, che inviava alle sue amiche. Praticava le gangbang spermatiche: decine di uomini si masturbavano intorno a lei nuda e inginocchiata, per poi scaricarsi a turno nella sua bocca e sulla sua faccia. Lei ingurgitava il liquame seminale, uccidendo milioni di spermatozoi nell'acido del suo stomachino, per poi avviarli con la peristalsi alle fetide caverne del suo ventre serico, finendo col trasformarli tutti in merda! Prendeva l'essenza stessa di ogni uomo, ciò che contiene tutte le istruzioni per replicarne una copia, un clone, quindi con un'operazione di Magia Nera degradava tale codice genetico, riducendolo a scoria, a schifosissima abominazione. Quando un amante si accingeva a leccare l'ano di Yuzu, sul roseo sfintere c'erano particelle microscopiche che recavano traccia della degradazione stercorale degli homunculi inghiottiti! Questi esserini agonizzanti, destinati a morire asfissiati già al loro scaturire nella bocca della donna, dopo qualche ora fuoriuscivano come terriccio pastoso dall'orifizio tanto desiderato da altri uomini ansiosi di sburrare, rinnovando il ciclo del sacrificio a Moloch! Non basta. La giapponesina non si limitava ad amanti umani. Si faceva possedere carnalmente da grossi cani! Mentre ciucciava la rubizza virilità di un esemplare robusto, credo un pitbull, un altro animale nerboruto, se non erro un alano, faceva scivolare i suoi corpi cavernosi nella vagina accogliente della ninfomane nipponica. Alla fine usciva il materiale genetico canino. Anche in questo caso gli spermatozoi eiettati nel cavo orale venivano trangugiati a boccate e condotti nel loro luogo di digestione, verso la nemesi dell'assimilazione e del rifiuto. I caldi girini che inondavano il vaso procreativo, nell'impossibilità di fecondare un ovulo, morivano tutti soffocati, lentamente, in un'agonia estenuante. E pensare che Labrouste è sempre stato perplesso dalla complessità e dalla stranezza della vulva della sua compagna. Per questo motivo preferiva consumare la sua vita di coppia intrudendo il fallo nel retto femminile ben lubrificato. Le papule sul glande subivano lo sfregamento con le aspre superfici degli stronzi formati nell'ultimo tratto intestinale e già pronti all'evacuazione. Scavando nell'anfratto merdoso, ecco che il miracolo si ripeteva ogni volta: una marea di seme invadeva la spelonca stercoraria, tingendosi di bruno da candida che era, contaminandosi e consumandosi in un'ecatombe inenarrabile di creature uccise. Crema di aborti mista a bruttura fecale! Ovviamente mi faccio beffe della dottrina dell'homunculus, professata dai tristi fetolatri di Verona: reputo il seme un po' di muco che esce da un budellino. Ho però dimostrato che è possibile utilizzare la morte degli spermatozzi (sic) per produrre bizzarre creazioni letterarie, che dovrebbero far meditare sulla nullità della natura umana. Tra i pochi lettori capitati qui per caso, spero che qualcuno abbia avuto un'erezione leggendo queste righe morbose.

Etimologia di Captorix 

Trovo davvero bizzarro l'aspetto fonetico del nome del farmaco houellebecquiano, che ricorda i famosi antroponimi celtici in -rīx "Re". Possiamo ricostruire un antroponimo gallico *Caχtorīx "Re dei Prigionieri" (-χ- trascrive una forte aspirazione): la cosa è ancor più sorprendente dal momento che *caχtos "prigioniero; schiavo" (antico irlandese cacht, gallese caeth) è proprio la naturale evoluzione di un precedente *captos, che troviamo anche nel latino captus "preso" e captīvus "prigioniero". L'antroponimo gallico trascritto come Moenicaptus dimostra che il gruppo -pt- era conservato in qualche variante della lingua: ecco che *Captorīx diventa un nome del tutto credibile! Sarà un purissimo caso? Non mi si dica che Houellebecq conosce il gallico! Come mai anche in autori che non sembrano avere conoscenze di lingue antiche, paiono emergere frammenti di nozioni occulte che hanno tutta l'aria di provenire da mondi perduti? Caso? Coincidenze? Sincronicità junghiana? Entanglement quantistico? Oppure queste cose accadono perché la vita che viviamo non è altro che un incubo delirante? Ne sono sempre più convinto: quest'ultima è la spiegazione giusta. Forse un giorno mi sveglierò e capirò tutto!

L'istinto del leone 

A un certo punto, allo scopo di riconquistare una sua vecchia fiamma, Labrouste è preso da una forza irresistibile quanto aberrante. Vuole uccidere il figlio piccolo della donna, un'affascinante morettina, sperando assurdamente di poter indurre in lei il calore e di poterla così fare nuovamente sua. Studia tutto nei minimi particolari: si reca in un albergo abbandonato che si trova non lontano dalla casa in cui la sua amata vive col figlio, per poter colpire il giovanissimo con un fucile di precisione e stroncare la sua vita. Proprio quando l'orrido piano sembra scattare e andare in porto, subentra un tremore della mano che lo fa fallire. L'uomo è preso da una subitanea onda d'orrore e si ritrae. La forza inumana che lo aveva posseduto fino a pochi istanti prima si è ormai dileguata per sempre. È proprio quella stessa forza che spinge i maschi dei leoni a trucidare i cuccioli che la leonessa ha generato in precedenti relazioni! Cosa sperava di ottenere in realtà? Credeva davvero che tutto si sarebbe aggiustato se avesse compiuto l'infame delitto? Non si rendeva neanche più conto di essere impotente a causa del Captorix? In realtà lui voleva vendicarsi. Voleva punire la donna che lo aveva abbandonato per concepire un figlio con uno sconosciuto, agendo spinta dal Genio della Specie. Con questa scelta, lei aveva rifiutato il suo ex amante, dichiarandone il fallimento biologico. Lo aveva marchiato con un epiteto che brucia anche dopo decenni: SFIGATO.

L'estinzione del ceto medio 

Serotonina non è soltanto un affresco a tinte foschissime di questo malaugurato presente: è anche un geroglifico di un futuro ben più spaventoso che incombe su tutti noi. Descrive un fatto che può essere considerato un portento funesto per l'intero Occidente: il declino del ceto medio. Questa classe sociale di grande importanza langue sempre più in situazioni critiche e si avvia verso l'annientamento. Credo che la cosa sia sotto gli occhi di tutti. Molti anni fa lessi su un libro di storia romana qualcosa che mi colpì in modo profondo. Secondo l'autore, Carlo Bornate (1871 - 1959) uno dei segni del declino dell'Impero Romano fu la scomparsa dell'ordine equestre. Proprio gli Equites, ossia i Cavalieri, costituivano il ceto medio di Roma. Si collocavano a metà strada tra i plebei e i patrizi, costituendo una specie di cuscinetto che attutiva le frizioni sociali. Era proprio l'ordine equestre a permettere l'esistenza e la tenuta dell'ascensore sociale, quel mirabile meccanismo che evita la stagnazione con tutte le sue funeste conseguenze. Fame, tumulti, tirannia e peste! Possiamo ben capire che dal blocco dell'ascensore sociale scaturisce sempre la rovina: poveri sempre più poveri e senza garanzia alcuna di potersi sostentare, plutocrati sempre più ricchi e strapotenti. Piove sul bagnato e altrove imperversa la peggiore siccità. I Gilets jaunes non sono poi così diversi dai Bagaudae dell'epoca imperiale, dal momento che si sono formati dallo stesso ribollente calderone di insicurezza e di disperazione. Ora come allora la causa ultima del disastro è soltanto una: la globalizzazione.  

Un goffo predatore sessuale 

Tra le tante cose strane, Houellebecq descrive un esemplare di paedoraptor. Non si tratta di un rettile preistorico come il velociraptor che tutti abbiamo visto nella saga di Jurassic Park. A prima vista il predatore è in tutto e per tutto simile a un professore tedesco sulla quarantina, che fa sfoggio di un certo lusso. Labrouste si imbatte in lui nel corso di una vacanza nel Cotentin. Non fa la sua conoscenza di persona, certo, si limita a guardarlo da lontano col binocolo. Così scopre che ogni giorno il paedoraptor accoglie nel suo bungalow una bambina sui dieci anni. La giovinetta dà l'impressione di essere avvezza a questo tipo di rapporti. Evidentemente ha appreso come fare qualche soldo manipolando gli uccelli. Così Labrouste approfondisce le indagini, fino ad approfittare dell'uscita del predatore, penetrando così nel suo bungalow, che era stato lasciato aperto. Qui si mette alla tastiera del computer, ovviamente non protetto da password alcuna, accedendo così al materiale pedoporno come se nulla fosse. Il professore tedesco rientra in quel mentre e trova l'intruso, ma non può ovviamente far valere il proprio diritto alla privacy. Labrouste biascica che non parlerà, che non lo denuncerà, approfittando della sorpresa dell'altro per fuggire via a gambe levate. Di lì a poco il pedosauro balza sulla macchina e fugge via con addosso un terrore folle. Si converrà che tutto l'impianto narrativo è a dir poco implausibile.    

Un gravissimo errore 

Vantando la sua smisurata cultura musicale ed elargendola con generosità ai bibliofagi, il geniale Houellebecq scivola su un grosso pezzo di sterco. Per la precisione si tratta di una gigantesca torta di vacca. Certo, non sarà appetitosa come i grassi e unti dolciumi di Gianni M., ma comunque meglio non calpestarla. Unico in tutto il Web ad aver notato la marchiana incongruenza è l'amico C., ossia Cesare Buttaboni. In poche parole riassumo l'accaduto. Quando Labrouste incontra dopo tanti anni il suo compagno di sventure universitarie, il gagliardo normanno Aymeric Florent, i loro discorsi virano sulla musica. A un certo punto il protagonista descrive la passione del nobile per i Pink Floyd e menziona Ummagumma come "il disco della mucca". Cosa c'è di sbagliato? In fondo tutti noi ricordiamo un famoso disco dei Pink Floyd con una bella mucca pezzata in copertina. Il punto è che quel disco non si intitola Ummagumma. Come giustamente il Buttaboni mette in evidenza, è sulla copertina di Atom Heart Mother che compare il famigerato bovino dal manto bianco e nero, dotato di smisurate ghiandole lattifere! Ecco a voi la recensione buttaboniana, la cui lettura raccomando vivamente a tutti:


La domanda che mi pongo è questa: davvero un sapiente come Houellebecq ha potuto commettere un simile svarione? A parer mio, anche se non ne ho prova alcuna, lo ha fatto apposta. Ha ingannato volutamente i lettori. Il motivo non è difficile da comprendere. Noi viviamo ormai un'intera esistenza navigando nel Web ma non sappiamo davvero nulla. Sono passati da un pezzo i tempi in cui la conoscenza la si doveva sudare! Internet è diventato una protesi del nostro cervello, ma il suo funzionamento è fallace. Questo ci vuole insegnare Houellebecq: "Io posso inserire un'informazione falsa, ad esempio posso dire che I miserabili è un romanzo di Alexandre Dumas padre, perché tanto ciò che ho scritto se lo berranno tutti, come una fellatrice spermatofaga manda giù una boccata di sburra da uno sconosciuto in un glory hole!"  

Etimologia di Yuzu  

Mark Montagna di Zucchero, col suo solito paternalismo, ha provveduto a rendermi edotto sull'origine del nome della giapponesina spermatofaga e bestialista erotica. Mi è infatti apparsa, un giorno, la pagina di un sushi bar milanese che pubblicizzava un sake assai peculiare, il cui nome era proprio Yuzu. Si spiegava che yuzu in giapponese è il nome dato a un agrume simile al bergamotto e alla leggera bevanda alcolica che se ne ottiene. La parola in questione, scritta ユズ o 柚子, è un prestito dal coreano yuja (유자), che a sua volta proviene dal cinese yòuzi (柚子) "pomelo". Il peculiare agrume, il cui nome scientifico è Citrus junos, sarebbe originario della Cina centrale e del Tibet, dove cresce anche allo stato selvatico. Sarebbe un ibrido tra il mandarino (Citrus reticulata) e il limone di Ichang (Citrus ichangensis). Durante la dinastia Tang (618 - 907 d.C.) fu introdotto in Corea e quindi in Giappone. Proprio nel Paese del Sol Levante sono state selezionate alcune varietà della pianta, a fini ornamentali Una di queste varietà è chiamata yukô (日本語) e non si trova altrove; lo yuzu fiorito (hana yuzu, 花柚子) è coltivato per i suoi fiori, belli e profumati, mentre lo yuzu leone (shishi yuzu, 獅子柚子) ha frutti con una spessa scorza nodosa.

Microrecensioni e reazioni nel Web

Sul sito www.ibs.it numerosi lettori hanno espresso le loro opinioni. Ce ne sono davvero tante e sono piuttosto eterogenee, mi limito a riportarne alcune: 

Raffaele ha scritto: 

"Libro che divide. O si ama, o si odia."

Simone ha scritto: 

"Houellebecq ha perso mordente. Certo, la sua scrittura asciutta e dissacrante riesce ad evitare la noia, e tutto sommato si legge bene. Però non succede nulla. Ma veramente nulla, nonostante per tutto il tempo ci si attenda un qualcosa che sembra essere nell'aria. Evitabile, a meno che non si sia realmente suoi fan. Ed io lo sono."

Ruud ha scritto:

"La lettura di Houellebecq è sempre spiazzante e disturbante: al di là del continuo e costante indugiare sul sesso, le storie dello scrittore francese costituiscono una veritiera rappresentazione delle nevrosi dell'uomo occidentale moderno, anche ripetutamente profetica per certi versi." 

Antonio Iannone ha scritto: 

"La depressione deprime, per utilizzare una tautologia, ovvero: costringe gli uomini a osservare, non con il nichilismo divertito che tanti consensi brandisce, bensì con la crudezza di un “cuore messo a nudo” l’annientamento di qualsiasi prospettiva. Florent-Claude sopprime una-per-una tutte le possibilità della vita; quelle che non sopprime, sopprimono lui. Il lamento si fa ecolalico, diviene a tutti gli effetti allarme del male. «Non bisogna lasciar crescere la sofferenza oltre un certo livello», confida. Non resta che la fuga, geografica, psichica: romanzesca. "Serotonina" è forse l'opera più narrativa di Houellebecq." 

Carmine ha scritto: 

"Romanzo depresso e deprimente, senza trama nè struttura, una manciata di argomenti buttati dentro a caso (pedofilia, quote latte, psicofarmaci) ma che non hanno la forza di essere provocatori. Un protagonista sempre sull'orlo del suicidio che a un certo punto sarebbe auspicabile, soprattutto quando vorrebbe uccidere un bambino (cosa totalmente senza senso, anche all'interno di un contesto già abbastanza privo di senso). Serotonina è un capolavoro? No, semplicemente Houellebecq non ha più niente da dire, il suo pensiero era già tutto nei romanzi precedenti. Solo con dei contorsionismi intellettuali è possibile attribuire un significato a questo brutto romanzo."

Lorenzo ha scritto:

Sarà ormai ripetitivo, quello che volete, ma un libro di Houellebecq rimane un libro di Houellebecq: da leggere.