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sabato 16 ottobre 2021

LE VERE CAUSE DELLA SCOMPARSA DELLA DECLINAZIONE LATINA

Nel pestilenziale ed afflittivo social network Quora, ci sono utenti che si domandano con insistenza come mai la lingua italiana non abbia le declinazioni, pur derivando dal latino. 


Joseph G. Mitterer ha dato questa risposta: 

"Ci sono varie spiegazioni. Generalmente si può dire che in tutte le lingue indoeuropee c'è la tendenza di "semplificare" la morfologia nominale. Sono pochissime le lingue che hanno conservato tutti gli otto casi del proto-indoeuropeo. Il processo di cui parliamo non è, dunque, un fenomeno propriamente romanzo o italiano, ma era già cominciato nel latino (in latino ne sono un documento le molte funzioni dell'ablativo e i resti ancora presenti del locativo) e si osserva anche oggi in altre lingue, come ad esempio nel tedesco il cui genitivo è in via d'estinzione."
 
E ancora: 
 
"Se però parliamo delle ragioni, un motivo fondamentale era lo sviluppo fonologico del latino. Nel latino classico le forme rosa, rosam, rosā erano pronunciate in modo diverso. Poi però le quantità vocaliche sono scomparse, appunto come la -m finale, cosicché le parole succitate si sono tutte frammischiate in un'unica forma rosa. Per ristabilire le informazioni grammaticali che erano andate perse così si è serviti di preposizioni e di una sintassi più regolata."

Una volta identificato in modo sicuro il processo di confusione delle terminazioni, si dovrebbe insistere sulle sue cause fisiche e sulla sua immensa portata. Invece Mitterer enuncia una teoria a mio avviso bizzarra, che inverte il nesso causa-effetto. Non riesco bene a comprendere se il motivo di questa interpretazione dei fatti sia di natura ideologica oppure se debba la sua formazione a un semplice fraintendimento. Così prosegue: 
 
"Tipicamente le spiegazioni finiscono qui. Conviene però aggiungere che ci sono anche altri motivi per questo sviluppo e che, forse, i mutamenti fonologici non erano la ragione ma (forse!) una conseguenza di altri sviluppi. Infatti, come ho detto inizialmente, c'è una tendenza di "semplificazione" nelle lingue indoeuropee. Questa "semplificazione" non si manifesta soltanto nella morfologia nominale, bensì in tanti altri campi della lingua. Per essere più precisi, il fenomeno di cui stiamo parlando non è veramente una "semplificazione", ma una tendenza verso strutture analitiche, cioè una tendenza di dividere parole nelle sue singole funzioni. Ecco cosa avviene se invece di dire uscire si dice andare fuori, se invece di scripsi si dice ho scritto, se invece di altior diciamo più alto ecc. Le ragioni di questo sviluppi hanno, probabilmente, a che fare con la psicologia dei parlanti e con la tendenza di voler fare trasparenti le funzioni degli elementi linguistici, e anche di esprimere tali funzioni con concetti nozionali, "concreti", invece di usare soltanto morfemi grammaticali ormai completamente opachi."

Queste sono le conclusioni a cui giunge: 
 
"Credo che questo aspetto sia ancora sottovalutato nella linguistica, e soprattutto lo sono le possibili conseguenze, come appunto la perdita di distinzioni fonematiche dovuta ai suddetti processi (e non viceversa)."
 
Sono convinto, pace Mitterer, della natura puramente fisica del fenomeno. I suoni emessi da gole umane giungono deboli alle orecchie di chi li ascolta. In particolare, giunge debole la parte finale di ogni pacchetto sonoro trasmesso al cervello dai nervi acustici. Per questo motivo, le code delle parole diventano naturalmente deboli col passar del tempo, finendo per scomparire completamente. Il processo è attestato già nella lingua dei Sumeri, in cui le consonanti finali diventavano mute e nuove consonanti finali si producevano dall'indebolimento di vocali - un po' come è successo in francese: 
 
bid "ano" è diventato bi
dili "singolo, unico" è diventato dil;
dug "parlare", "discorso" è diventato du;
gig "malattia" è diventato gi;
gud "bue", "toro" è diventato gu;
gun "terra", "regione" è diventato gu;
ḫada "secco", "bianco" è diventato ḫad;
itud "luna", "mese" è diventato itu e poi it;
lul "mentitore", "menzogna" è diventato lu;
nad "letto, giaciglio" è diventato na;
pab, pap "padre", "fratello" è diventato pa
siki "capelli" è diventato sig;
taka "toccare" è diventato tak, tag e poi ta
tila "vita" è diventato til e poi ti;
tumu "portare" è diventato tum;
tumu "vento", "punto cardinale" è diventato tum e poi tu;
 
Queste evoluzioni della pronuncia sono documentate dalla scrittura di quel popolo glorioso, senza possibilità di dubbio, nel corso dei secoli. Un simile processo ha dato origine a un gran numero di ambiguità e di equivoci: solo per fare un esempio, a un certo punto lul "mentitore", "menzogna" si pronunciava lu, proprio come lu "uomo". Sono convinto che ciò abbia posto le basi per il declino del sumerico come lingua parlata; come lingua scritta (rituale e scientifica) si è conservato molto più a lungo grazie all'ingegno degli scribi. 

I parlanti non si rendono conto di questo processo ineluttabile di degradazione dei fonemi, non lo comprendono perché credono eterno l'istante. Proiettano il presente all'infinito nel passato e nel futuro. Nella loro stoltezza presentacea, credono che le cose siano immutabili. Una simile usura fonetica delle code delle parole porta alla perdita delle capacità di contrasto tra forme diverse, che finiscono così col collassare. Cosa accade se dalla capacità di distinguere alcuni suoni finali di parola dipende la grammatica stessa della lingua? Semplice: accade che vengono a collassare declinazioni e coniugazioni. I paradigmi perdono la loro efficacia, alimentando una grande confusione. Per ovviare a questo problema, la lingua giocoforza si riorganizza, tenta di costruire nuovi schemi che siano funzionanti, in grado di permettere la comprensione tra i parlanti. Quando un paradigma grammaticale si indebolisce e muore, un altro sorge per rimpiazzarlo. 
 
Pestilenziali utenti di Facebook  

Su Facebook, in un gruppo sulle lingue locali e minoritarie dell'Italia, è esploso un flame a causa di M., una professoressa del liceo la cui cultura era autoreferenziale. Costei aveva appreso l'ABC del mondo e credeva fermamente che al di fuori di queste nozioncine non potesse esistere alcunché. Non considerava le declinazioni del latino una realtà di una lingua che secoli fa viveva ed era soggetta ai mutamenti: per lei erano invece schemi ieratici ed assoluti, incisi sulle tavole di pietra di una cabala in cui la lingua scritta doveva per decreto divino precedere quella parlata. Non capiva come i Romani avrebbero potuto esprimere la differenza tra il soggetto e il complemento oggetto se le desinenze della declinazione non avessero avuto proprio la pronuncia insegnata a scuola, che impone di distinguere -um da -u. Solo per fare un esempio, ignorava che già sussisteva nella lingua classica l'impossibilità di operare la distinzione tra il soggetto e il complemento oggetto in parole di genere neutro! Non capiva che i suoi paradigmi a un certo punto sono andati a farsi fottere, o l'italiano avrebbe le parole con fortissime -m finali! Forse non sapeva neppure che le lingue romanze derivano dal latino volgare. Possibile che ci sia ancora chi crede che in latino si pronunciassero delle -m finali possenti come muggiti di bovini?! Il concetto espresso da M. era questo: se qualcosa non rientra nel programma scolastico delle superiori, significa che non esiste. Filologia romanza? Un libro chiuso. Epigrafia latina? Un libro chiuso. Grammatici antichi? Un libro chiuso. Se si dovesse ragionare così con la fisica, Rovelli sarebbe considerato un perditempo. Non mi stancherò mai di stigmatizzare le mostruosità prodotte dal sistema scolastico italiano. Potrei parlare delle iscrizioni di Pompei, delle occorrenze di parole senza -m attestate già in epoca antica, di Augusto che diceva "da mi aqua calda". Piaccia o no, le cose stanno così. Il defunto professor C. si era spinto al punto da affermare che la -m finale i Romani non la pronunciavano. Bisognerebbe comprendere bene di quale epoca stiamo parlando. In ogni caso, sembra proprio che sia stato un suono assai debole fin dal principio e che si sia perso presto. Non sono mancati tentativi di restaurazione dotta. Dioscoride trascriveva la -m finale, avendola con ogni probabilità sentita pronunciare pienamente da qualcuno, ma doveva trattarsi della lingua aulica, molto artificiosa e distante da quella del volgo. A che servirebbe andare avanti? Facebook è una colossale perdita di tempo.

La lingua d'oc e la lingua d'oïl 
 
Uno schema ridotto, derivato dalla II declinazione del latino, ha continuato a vivere per secoli nelle lingue romanze parlate nel territorio un tempo conosciuto come Gallia Transalpina. Eccolo: 
 
Singolare
Nominativo: -s < *-us 
Obliquo (accusativo): - < *-u(m)
 
Plurale
Nominativo: - < *-ī
Obliquo (accusativo): -s < *-ōs 
 
Riporto un esempio dalla lingua d'oc (antico provenzale).  
Questa è la declinazione di cavals "cavallo", che deriva direttamente dal latino caballus "cavallo da fatica", "cavallo da tiro" (che nella lingua volgare ha sostituito equus "cavallo").
 
Singolare 
Nominativo: lo cavals 
   < ille caballus 
Obliquo: lo caval 
   < illu(m) caballu(m)
 
Plurale  
Nominativo: li caval 
   < illī caballī 
Obliquo: los cavals 
  < illōs caballōs 

Riporto un esempio dalla lingua d'oïl (antico francese). La pronuncia non è quella del francese moderno: le sibilanti finali -s si pronunciavano. Questa è la declinazione di veisins "vicino", che deriva direttamente dal latino vīcīnus (aggettivo sostantivato). 
 
Singolare  
Nominativo: li veisins 
   < ille vīcīnus
Obliquo: le veisin 
   < illu(m) vīcīnu(m)  

Plurale
Nominativo: li veisin 
   < illī vīcīnī 
Obliquo: les veisins
   < illōs vīcīnōs

Come potete vedere, in Francia, Provenza e Linguadoca esisteva ancora in pieno Medioevo uno schema di declinazione ben funzionante, per quanto ridotto rispetto a quello del latino classico. In francese, discendente della lingua d'oïl, la declinazione ha cominciato a non funzionare più quando le sibilanti finali -s si sono indebolite e sono cadute, a partire dalla metà del XIV secolo. Nella lingua moderna, nella maggior parte dei casi è prevalsa la forma obliqua, anche se ci sono numerose eccezioni. 
 
Il caso della Dacia 
 
Il latino volgare della Dacia, ossia l'antenato del rumeno, aveva indebolito le consonanti finali di parola, fino a perdere non soltanto -m, ma anche -s, com'è avvenuto in Italia. Nonostante ciò, l'agglutinazione dell'articolo derivato da un pronome dimostrativo, ha permesso alla declinazione di conservarsi. 
 
Per analogia con il dativo singolare cūi del pronome relativo, si sono formati i dativi *ūnūi e *illūi, da cui in rumeno si sono avuti unui (articolo indeterminativo) "a un", "di un" e il suffisso -lui (articolo determinativo) "al", "del". I genitivi plurali maschili/neutri ūnōrum e illōrum hanno dato origine a unor (articolo inteterminativo) "ad alcuni", "di alcuni" e al suffisso -lor (articolo determinativo) "ai", "dei". In altre parole, si può dire che si è costruita una nuova declinazione dalla destrutturazione di quella antica. 

Singolare
om < homō 

Nominativo/accusativo: 
   indeterminato: un om "un uomo" 
   determinato: omul "l'uomo"
     < homō ille

Genitivo/dativo
  indeterminato: unui om "di un uomo"/"a un uomo"
  determinato: omului "dell'uomo"

Vocativo: omule "o uomo"

Plurale 
oameni < hominēs

Nominativo/accusativo 
  indeterminato: nişte oameni "alcuni uomini"
  determinato: oamenii "gli uomini"
     < hominēs illī

Genitivo/dativo
  indeterminato: unor oameni "di alcuni uomini"/"ad alcuni
       uomini"
  determinato: oamenilor "degli uomini" 
    < hominum illōrum 

Vocativo: oamenilor "o uomini" 
 
Come si può vedere, si è conservato qualcosa dell'antico paradigma latino, ma è altrettanto vero che molto è stato rifatto.

La decadenza del genitivo in tedesco 

Nel tedesco odierno il genitivo è in forte decadenza, essendo sempre più spesso sostituito dalla preposizione von con il dativo. Eppure, ancora nella prima metà del XX secolo, il genitivo era in uso abbastanza rigoglioso. Ecco alcune testimonianze di questo declino, che pare inarrestabile.


"Il caso genitivo è il quarto, ultimo e meno utilizzato caso tedesco. È quasi completamente sostituito dal caso dativo nel parlato e nella scrittura di tutti i giorni." 
 
"Quindi, quello che devi sapere è che non devi imparare il caso genitivo: puoi gestire benissimo le situazioni quotidiane anche senza di esso."
 
"Il caso genitivo in tedesco è uno strano fenomeno al giorno d'oggi. Attualmente è in fase di cancellazione dalla lingua... ma nel frattempo a volte viene ancora utilizzato." 
 
"Il suo strano status di moribondo significa che il genitivo è usato raramente nel tedesco comune e quotidiano; ma è ancora appeso con le unghie nel mondo accademico e in altri registri formali." 

"A meno che tu non sia a un certo punto nei tuoi studi sul tedesco, in cui non riesci a pensare a un’altra benedetta cosa su cui lavorare oltre al caso genitivo, in realtà per ora consiglierei di continuare a ignorarlo."

"A seconda dei tuoi studi o del tuo lavoro, potresti non aver mai bisogno di usare effettivamente il genitivo stesso (a parte forse alcune frasi facili da memorizzare)."

"Ma se scegli di imparare il caso genitivo, probabilmente capirai meglio le notizie, i documenti legali e la letteratura... e c'è qualcosa (di utile) in questo!"

Questo è un caso molto singolare in cui si è sviluppato un processo di autolisi grammaticale non necessaria, avente come risultato la distruzione della lingua e dell'identità. Il genitivo funzionava benissimo, non c'era alcun indebolimento fonetico delle terminazioni caratteristiche. A mio avviso le motivazioni del disastro sono innanzitutto politiche e ideologiche: tutto ciò è stato innescato dall'autorazzismo!

Latino e lituano: un rapido confronto
 
L'usura delle code delle parole non colpisce tutte le lingue con la stessa velocità. Per questo il lituano ha conservato molto bene la declinazione ereditata dall'indoeuropeo, mentre il latino volgare l'ha consumata fino alla scomparsa completa. Riportiamo alcuni esempi significativi per illustrare meglio il concetto. 
Questa è la declinazione del sostantivo výras "uomo" in lituano, derivato dalla stessa radice indoeuropea che ha dato il latino vir "uomo": 
 
Singolare 
 
nominativo: výras
genitivo: výro 
dativo: výrui 
accusativo: výrą 
strumentale: výru 
locativo: výre 
vocativo: výre 

Plurale 

nominativo: výrai 
genitivo: výrų 
dativo: výrams
accusativo: výrus
strumentale: výrais
locativo: výruose
vocativo: výrai 

Questa è la declinazione del corrispondente vocabolo nel latino classico: 

Singolare 

nominativo: vir
genitivo: virī
dativo: virō
accusativo: virum 
vocativo: vir
ablativo: virō

Plurale

nominativo: virī
genitivo: virōrum, virum
dativo: virīs 
accusativo: virōs 
vocativo: virī
ablativo: virīs 
 
Senza entrare troppo nei dettagli, si riescono ancora oggi a individuare le forme simili, derivate da un identico prototipo indoeuropeo (IE).  
 
Dat. sing. virō = Dat. sing. výrui 
   < IE: -ōi
 
Acc. sing. virum = Acc. sing. výrą 
   < IE: -om
 
Voc. sing. vir = Voc. sing. výre 
  < IE: -e
Nota: 
In latino la terminazione -e è scomparsa nei nomi in -r della II declinazione, ma è presente in quelli che conservano -us al nominativo. 

Abl. sing. virō = Strum. sing. výru 
   < IE: -ōd 
 
Nom./voc. pl. virī =  Nom./voc. pl. výrai 
   < IE: -oi  

Gen. pl. virum = Gen. pl. výrų 
  < IE: -ōm
Note: questo genitivo latino continua la forma più antica, poi sostituita da virōrum < *wirōzōm

Acc. pl. virōs = Acc. pl. výrus
   < IE: -ons 

Dat./abl. pl. virīs = Strum. pl. výrais
   < IE: -ois 
 
Come spiegare queste discrepanze? Le genti baltiche sono rimaste in una condizione di grande isolamento dal mondo esterno in cambiamento tumultuoso. Giusto per fare un esempio, hanno adottato il Cristianesimo molto tardi, soltanto verso la fine del XIV secolo. Non ne sono ancora del tutto sicuro, ma credo che i sistemi grammaticali più complessi abbiano la tendenza a trovarsi tra i popoli più isolati. La questione merita di certo ulteriori approfondimenti. Sarò lieto di trattare molti altri casi di semplificazione, scomparsa e ristrutturazione della declinazione in numerose lingue di cui ho qualche rudimento.  

mercoledì 10 febbraio 2021

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE E SUL GIUDIZIO DEI ROBOT

L'Intelligenza Artificiale (IA, in inglese AI) è l'intelligenza dimostrata dalle macchine, opposta all'intelligenza naturale degli animali, umani inclusi. La ricerca dell'Intelligenza Artificiale è stata definita come il campo di studi degli agenti intelligenti, che si riferisce a qualsiasi sistema che percepisce il suo ambiente e intraprende azioni che massimizzando le sue possibilità di raggiungere un obiettivo. Il termine "intelligenza artificiale" è stato usato per descrivere macchine che imitano le capacità cognitive associate alla mente umana, come l'apprendimento e la risoluzione dei problemi ("problem-solving"). Questa definizione è stata in seguito rigettata dai più grandi ricercatori in questo campo, che ora descrivono l'intelligenza artificiale in termini di razionalità e di azione razionale, cosa che non limita il modo in cui l'intelligenza può essere articolata (Russell, Norvig).
Fonte: Wikipedia in inglese
 
 
Kurzweil e la natura del'intelligenza 
 
Il tecnocrate Raymond Kurzweil (1948 - non ancora defunto) ha una convinzione molto peculiare: crede con fede granitica che non esista alcuna differenza qualitativa tra un essere umano e una macchina. La differenza, a suo dire, sarebbe unicamente quantitativa e dovuta a un fattore magico che egli chiama computing power, ossia "potenza di calcolo". Egli ha profetizzato il rapido avvento della Singolarità Tecnologica, capace di rendere le macchine esseri senzienti e spirituali. Molti tecnofeticisti accolgono questo concetto della potenza di calcolo come Verità Assoluta. Per contro, io reagisco con fermezza a queste ideologie abominevoli. Non dobbiamo mai dimenticarcelo: un simile presupposto kurzweiliano implica la superiorità della macchina rispetto al suo stesso artefice e sta già avendo conseguenze luttuose per l'intero genere umano. Mi accingo ad illustrarne alcune nel seguito.  

Come ben sappiamo, gli Americani sono affetti da una feroce germanofobia. Odiano tutto ciò che è tedesco o che anche solo appare tale. Così hanno trovato un sistema per esorcizzare il loro terrore per la Germanità in ogni sua forma: deturpano la pronuncia dei nomi di origini teutoniche (yiddish incluso), anglizzandola su base ortografica. Gli esiti di questo processo di assimilazione non sono sempre logici e prevedibili. Anche se diversi siti del Web riportano la pronuncia corretta, trascrivendola come Koorts-vile, questa non è necessariamente la norma. Ecco quindi che nella Terra dei Liberi il cognome Kurzweil viene pronunciato da alcuni come Kurz Evil. L'ho sentito con le mie orecchie: una bionda studiosa americana diceva /kə:ɹts 'i:vəl/ anziché /'kʊʁtsvaɪl/. Kurz il Malvagio. Oppure il Male-Kurz. Certo, la sintassi non è quella usuale della lingua inglese, ma rende l'idea. Sarà una coincidenza? Ne dubito. 
 
 
Politica robotica
 
Anni fa ero convinto che fosse possibile un proficuo utilizzo degli androidi per sostituire l'intera classe politica e religiosa, evitando i gravi problemi causati dalla natura umana, per sua stessa ontologia incline alla corruzione. Se Philip K. Dick aveva scritto i romanzi I simulacri (The Simulacra, 1964) e L'androide Abramo Lincoln (We Can Build You, 1972), io intendevo scriverne uno analogo ma adattato ai tempi moderni e alla specifica realtà del nostro Paese: L'androide Sergio Mattarella. Per me il Presidente della Repubblica appariva come la quintessenza della natura robotica, infinitamente placida, immune da qualsiasi compromissione col Male. Un androide non mangia, non dorme, non ha alcun bisogno, non è avido, agisce sempre in modo assolutamente razionale e disinteressato. L'idea portante del romanzo L'androide Sergio Mattarella, di cui poi non ho scritto neanche una riga, era stata ispirata da alcune percezioni organolettiche in apparenza allucinatorie, come l'aspetto quasi irreale dei capelli dell'illustre statista, che sembravano di plastica argentea e che non si bagnavano neppure sotto la pioggia battente. La mia fantasia ingenua si fondava in ogni caso sull'intuizione che il simulacro dickiano fosse una specie di automa settecentesco, funzionante per mezzo di schede perforate. Non certo un automa kurzweiliano! Infine mi sono reso conto che un meccanismo automatico funzionante a schede perforate non sarebbe in grado di gestire alcunché. Kurz Evil insisterà fin che volete con la sua potenza di calcolo, ma le cose non cambiano di un iota. Un meccanismo, simulacro, androide o intelligenza artificiale, è per sua definizione privo di empatia. Non può capire in nessun modo la natura umana. Non potrà mai farlo, nemmeno se studiasse per diecimia anni senza interruzione. Se chiamata a giudicare un essere fatto di carne e di ossa, una macchina sarebbe capace di infliggergli condanne spropositate per motivi incomprensibili quanto futili e irrilevanti. 
 

Facebook e il sesso oro-anale
 
L'Intelligenza Artificiale non è in grado di comprendere la natura del desiderio sessuale. Il suo giudizio sugli utenti della Rete e sui loro atti erotici, compiuti o anche soltanto sognati, è quindi per necessità distorto, fuorviante, semplicemente assurdo. Non credo che sia un mistero: Zuckerborg mi perseguita da tempo. I miei commenti su Facebook non vengono sottoposti a un team formato da esseri umani in carne ed ossa, bensì da un'Intelligenza Artificiale. Le conseguenze sono a dir poco paradossali. Ognuno di noi nasconde qualcosa di inconfessabile. È inutile quest'opera di occultamento, tanto prima o poi salta sempre fuori tutto ciò che si vuole celare alla vista delle genti. Quindi non userò mezzi termini. Ho una passione erotica sfrenata per la bellissima Bettie Page. Ogni volta che penso a lei, sono preso dal desiderio di metterle la faccia in mezzo alle natiche, di leccarle avidamente lo sfintere anale infilandole dentro la lingua. Qualcuno ha fatto notare che è molto improbabile che si troveranno erotica di Pierre Teilhard de Chardin. Ebbene, i miei erotica invece saranno trovati e si vedrà che non sono affatto elogi del "sesso vaniglia"! Orbene, ogni volta che ho messo un commento a una foto della sensualissima Bettie Page, palesando la mia bramosia, sono stato bloccato. L'accusa che mi è stata mossa dall'Intelligenza Artificiale è sorprendente: "HARASSMENT, BULLYISM". Ma come? Se io voglio leccare l'ano a una donna, sarei un molestatore e un bullo? Bene, abbiamo capito che per una macchina, il sesso oro-anale non è un atto di adorazione: è bullismo. Nessun essere umano darebbe un giudizio simile, nemmeno chi non farebbe mai ciò per cui io ardo di desiderio. Persino un pastore evangelico al massimo etichetterebbe tale pratica come "peccaminosa", "sodomitica" o "diabolica". Non come "bullismo". Penso quindi di aver provato al di di ogni dubbio che i blocchi su Facebook sono inflitti da robot, non da persone viventi. Inutile cercare delatori o traditori che segnalano post e commenti, come fanno molti. È soltanto una perdita di tempo
 

La Legge di Caino 

Cos'ha in comune l'Intelligenza Artificiale dei social network con Grendel? Semplice. L'appartenenza alla Stirpe di Caino! La mia esperienza su Facebook e su Quora mi ha insegnato una verità molto amara. Quando si viene insultati da uno stramaledetto troll e si reagisce rispondendogli a tono, è inutile aspettarsi giustizia per il danno morale ricevuto. L'imperativo delle gelide macchine è il seguente: "Nessuno tocchi Caino". Linciare chi viene aggredito e osa difendersi, attribuendogli tutte le colpe, è il modo di agire comune dei giudici robotici. Tra Abele e Caino, l'Intelligenza Artificale sceglie immancabilmente il secondo come modello etico e umilia il primo. Chi aggredisce senza motivo non può essere in alcun modo osteggiato, la sua iniquità deve prevalere e non ci si popporre, non si può contrattaccare, né si può compiere alcuna vendetta, alcuna pur legittima e sacrosanta ritorsione.

Conclusioni 
 
Bisogna combattere, o ci si ritroverà come scimmie imprigionate in una cella all'interno di un laboratorio di vivisezione! Possa sorgere lo Spirito di Ned Ludd!