Melqart (fenicio Mlqrt /mil'qart/) è il nome della divinità tutelare della città fenicia di Tiro. Si hanno anche le trascrizioni Melkart, Melkarth e Melgart, meno precise; la forma accadica è Milqartu. L'etimologia del teonimo è trasparente. Melqart significa "Re della Città": deriva da mlk /milk/ "re" e da qrt /qart/ "città". La cosa più degna di nota a questo riguardo è il risultato dello scontro tra il fonema /k/ di /milk/ e il fonema /q/ (occlusiva uvulare) di /qart/: il primo scompare, assorbito dal secondo, in modo tale da evitare ogni cacofonia. Il fenicio mlk "re" corrisponde all'ebraico מֶלֶךְ melekh "re", mentre qrt "città" corrisponde all'ebraico קִרְיָה qiryāh "città; accampamento" (stato costrutto קִרְיַת־ qiryath-; plurale קְרָיוֹת qərāyōth). Il corrispondente vocabolo arabo è قَرْيَة qarya "città".
Melqart aveva l'epiteto Bʽl Ṣr /baˁal 'tsˀu:r/ "Signore di Tiro". I Greci lo hanno identificato con Eracle. Per i Romani egli era Ercole di Tiro. L'interpretatio graeca e l'interpretatio romana avevano il loro fondamento nelle caratteristiche salienti della divinità in questione, di cui ogni anno si festeggiava il risveglio, chiamato in greco ἔγερσις (égersis), in corrispondenza del mese di febbraio - e non del solstizio d'inverno. Il ciclo vita-morte-resurrezione era il significato profondo di questa festa, in occasione della quale i marinai di Tiro si abbandonavano a danze vorticose e a sfrenatezze.
Alcune citazioni interessanti
Così scrisse Erodoto (Storie, libro 2, 44):
[1] καὶ θέλων δὲ τούτων πέρι σαφές τι εἰδέναι ἐξ ὧν οἷόν τε ἦν, ἔπλευσα καὶ ἐς Τύρον τῆς Φοινίκης, πυνθανόμενος αὐτόθι εἶναι ἱρὸν Ἡρακλέος ἅγιον. [2] καὶ εἶδον πλουσίως κατεσκευασμένον ἄλλοισί τε πολλοῖσι ἀναθήμασι, καὶ ἐν αὐτῷ ἦσαν στῆλαι δύο, ἣ μὲν χρυσοῦ ἀπέφθου, ἣ δὲ σμαράγδου λίθου λάμποντος τὰς νύκτας μέγαθος. ἐς λόγους δὲ ἐλθὼν τοῖσι ἱρεῦσι τοῦ θεοῦ εἰρόμην ὁκόσος χρόνος εἴη ἐξ οὗ σφι τὸ ἱρὸν ἵδρυται. [3] εὗρον δὲ οὐδὲ τούτους τοῖσι Ἕλλησι συμφερομένους: ἔφασαν γὰρ ἅμα Τύρῳ οἰκιζομένῃ καὶ τὸ ἱρὸν τοῦ θεοῦ ἱδρυθῆναι, εἶναι δὲ ἔτεα ἀπ᾽ οὗ Τύρον οἰκέουσι τριηκόσια καὶ δισχίλια. εἶδον δὲ ἐν τῇ Τύρῳ καὶ ἄλλο ἱρὸν Ἡρακλέος ἐπωνυμίην ἔχοντος Θασίου εἶναι: [4] ἀπικόμην δὲ καὶ ἐς Θάσον, ἐν τῇ εὗρον ἱρὸν Ἡρακλέος ὑπὸ Φοινίκων ἱδρυμένον, οἳ κατ᾽ Εὐρώπης ζήτησιν ἐκπλώσαντες Θάσον ἔκτισαν: καὶ ταῦτα καὶ πέντε γενεῇσι ἀνδρῶν πρότερα ἐστὶ ἢ τὸν Ἀμφιτρύωνος Ἡρακλέα ἐν τῇ Ἑλλάδι γενέσθαι. [5] τὰ μέν νυν ἱστορημένα δηλοῖ σαφέως παλαιὸν θεὸν Ἡρακλέα ἐόντα, καὶ δοκέουσι δέ μοι οὗτοι ὀρθότατα Ἑλλήνων ποιέειν, οἳ διξὰ Ἡράκλεια ἱδρυσάμενοι ἔκτηνται, καὶ τῷ μὲν ὡς ἀθανάτῳ Ὀλυμπίῳ δὲ ἐπωνυμίην θύουσι, τῷ δὲ ἑτέρῳ ὡς ἥρωι ἐναγίζουσι.
"Volendo io su questi fatti sapere qualche cosa di preciso da coloro che potevano esserne informati, feci vela anche per Tiro di Fenicia, essendo a conoscenza che colà c'era un venerato santuario di Eracle. E vidi il tempio riccamente adorno di molti doni votivi, tra l'altro c'erano due stele, una d'oro puro, l'altra di smeraldo, che nella notte emanava intensi bagliori. Venuto a colloquio con i sacerdoti del dio, chiesi loro da quanto tempo era stato innalzato il santuario. Ma trovai che neppure quelli s'accordavano con i Greci poiché assicuravano che la costruzione del tempio era stata contemporanea alla fondazione di Tiro e Tiro era abitata già da 2300 anni. Siccome, poi, a Tiro avevo visto un altro tempio di Eracle, detto Tasio, mi recai anche a Taso e vi trovai il santuario di Eracle fondato dai Fenici, i quali, messisi in mare per ricercare Europa, avevano colonizzato Taso: e ciò era avvenuto ben cinque generazioni umane prima che, in Grecia, venisse alla luce Eracle, figlio di Anfitrione. Le mie ricerche, dunque, dimostrano all'evidenza l'antichità del dio Eracle. E a mio parere, fanno molto bene quei Greci che hanno santuari eretti a due Eracli: a uno, che chiamano Olimpio, offrono sacrifici come a un dio; all'altro onori funebri come a un eroe."
Flavio Giuseppe scrisse quanto segue su Hiram I, Re di Tiro (circa 965 a.C. - 935 a.C.), citando come fonte Menandro, che tradusse testi dal fenicio al greco (Antichità giudaiche, libro VIII, 144-146):
[144] Μέμνηται τούτων τῶν δύο βασιλέων καὶ Μένανδρος ὁ μεταφράσας ἀπὸ τῆς Φοινίκων διαλέκτου τὰ Τυρίων ἀρχεῖα εἰς τὴν Ἑλληνικὴν φωνὴν λέγων οὕτως· ‘τελευτήσαντος δὲ Ἀβιβάλου διεδέξατο τὴν βασιλείαν παρ᾽ αὐτοῦ υἱὸς Εἴρωμος, ὃς βιώσας ἔτη πεντηκοντατρία ἐβασίλευσε τριάκοντα καὶ τέσσαρα. [145] οὗτος ἔχωσε τὸ Εὐρύχωρον τόν τε χρυσοῦν κίονα τὸν ἐν τοῖς τοῦ Διὸς ἀνέθηκεν· ἔτι τε ὕλην ξύλων ἀπελθὼν ἔκοψεν ἀπὸ τοῦ ὄρους τοῦ λεγομένου Λιβάνου εἰς τὰς τῶν ἱερῶν στέγας· [146] καθελών τε τὰ ἀρχαῖα ἱερὰ καὶ ναὸν ᾠκοδόμησε τοῦ Ἡρακλέους καὶ τῆς Ἀστάρτης, πρῶτός τε τοῦ Ἡρακλέους ἔγερσιν ἐποιήσατο ἐν τῷ Περιτίῳ μηνί· τοῖς τε Ἰτυκαίοις ἐπεστρατεύσατο μὴ ἀποδιδοῦσι τοὺς φόρους καὶ ὑποτάξας πάλιν αὑτῷ ἀνέστρεψεν. ἐπὶ τούτου ἦν Ἀβδήμονος παῖς νεώτερος, ὃς ἀεὶ ἐνίκα τὰ προβλήματα, ἃ ἐπέτασσε Σολόμων ὁ Ἱεροσολύμων βασιλεύς.’
145 questi realizzò l'Euruchoron e innalzò una colonna d'oro nel tempio di Zeus; viaggiò e tagliò gran copia di legname dal monte chiamato Libano per i tetti dei templi,
146 abbatté antichi templi e ne eresse di nuovi ad Eracle e ad Astarte; e fu il primo che celebrò la risurrezione di Eracle nel mese di Peritio; fece una spedizione contro gli Itikai, che non pagavano i tributi e, quando li ebbe assoggettati, se ne tornò indietro. Durante il suo regno, il giovanotto Abdemone aveva sempre successo nella soluzione dei problemi che gli erano sottoposti da Salomone, re di Gerusalemme.»"
(Edizione UTET, a cura di Luigi Moraldi)
Il mese macedone di Peritios corrispondeva al nostro febbraio.
Le Colonne d'Ercole nell'antichità omerica erano immaginate a Oriente, all'ingresso del Mar Nero. In seguito, con l'ampliarsi degli orizzonti della civiltà ellenica e con l'espansone del dominio di Roma, anche il mito cambiò per influsso fenicio. Proprio due colonne di bronzo ornate da iscrizioni si trovavano in un famoso tempio di Melqart fondato dalle genti di Tiro, nel luogo di Gades (attuale Cadice). Strabone descrisse il tempio, ma si mostrò scettico a proposito dell'identificazione delle famose Colonne d'Ercole con i manufatti citati. Queste cose scrisse nella Geografia, volume 2, libro 3, capitolo 5:
περὶ δὲ τῆς κτίσεως τῶν Γαδείρων τοιαῦτα λέγοντες μέμνηνται Γαδιτανοὶ χρησμοῦ τινος, ὃν γενέσθαι φασὶ Τυρίοις κελεύοντα ἐπὶ τὰς Ἡρακλέους στήλας ἀποικίαν πέμψαι: τοὺς δὲ πεμφθέντας κατασκοπῆς χάριν, ἐπειδὴ κατὰ τὸν πορθμὸν ἐγένοντο τὸν κατὰ τὴν Κάλπην, νομίσαντας τέρμονας εἶναι τῆς οἰκουμένης καὶ τῆς Ἡρακλέους στρατείας τὰ ἄκρα ποιοῦντα τὸν πορθμόν, ταῦτα δ᾽ αὐτὰ καὶ στήλας ὀνομάζειν τὸ λόγιον, κατασχεῖν εἴς τι χωρίον ἐντὸς τῶν στενῶν, ἐν ᾧ νῦν ἔστιν ἡ τῶν Ἐξιτανῶν πόλις: ἐνταῦθα δὲ θύσαντας μὴ γενομένων καλῶν τῶν ἱερείων ἀνακάμψαι πάλιν. χρόνῳ δ᾽ ὕστερον τοὺς πεμφθέντας προελθεῖν ἔξω τοῦ πορθμοῦ περὶ χιλίους καὶ πεντακοσίους σταδίους εἰς νῆσον Ἡρακλέους ἱερὰν κειμένην κατὰ πόλιν Ὀνόβαν τῆς Ἰβηρίας, καὶ νομίσαντας ἐνταῦθα εἶναι τὰς στήλας θῦσαι τῷ θεῷ, μὴ γενομένων δὲ πάλιν καλῶν τῶν ἱερείων ἐπανελθεῖν οἴκαδε. τῷ δὲ τρίτῳ στόλῳ τοὺς ἀφικομένους Γάδειρα κτίσαι καὶ ἱδρύσασθαι τὸ ἱερὸν ἐπὶ τοῖς ἑῴοις τῆς νήσου, τὴν δὲ πόλιν ἐπὶ τοῖς ἑσπερίοις. διὰ δὲ τοῦτο τοὺς μὲν δοκεῖν τὰ ἄκρα τοῦ πορθμοῦ τὰς στήλας εἶναι, τοὺς δὲ τὰ Γάδειρα, τοὺς δ᾽ ἔτι πορρώτερον τῶν Γαδείρων ἔξω προκεῖσθαι. ἔνιοι δὲ στήλας ὑπέλαβον τὴν Κάλπην καὶ τὴν Ἀβίλυκα, τὸ ἀντικείμενον ὄρος ἐκ τῆς Λιβύης, ὅ φησιν Ἐρατοσθένης ἐν τῷ Μεταγωνίῳ νομαδικῷ ἔθνει ἱδρῦσθαι: οἱ δὲ τὰς πλησίον ἑκατέρου νησῖδας, ὧν τὴν ἑτέραν Ἥρας νῆσον ὀνομάζουσιν. Ἀρτεμίδωρος δὲ τὴν μὲν τῆς Ἥρας νῆσον καὶ ἱερὸν λέγει αὐτῆς, ἄλλην δέ φησιν εἶναί τινα, οὐδ᾽ Ἀβίλυκα ὄρος οὐδὲ Μεταγώνιον ἔθνος. καὶ τὰς Πλαγκτὰς δὲ καὶ τὰς Συμπληγάδας ἐνθάδε μεταφέρουσί τινες, ταύτας εἶναι νομίζοντες στήλας, ἃς Πίνδαρος καλεῖ πύλας Γαδειρίδας, εἰς ταύτας ὑστάτας ἀφῖχθαι φάσκων τὸν Ἡρακλέα. καὶ Δικαίαρχος δὲ καὶ Ἐρατοσθένης καὶ Πολύβιος καὶ οἱ πλεῖστοι τῶν Ἑλλήνων περὶ τὸν πορθμὸν ἀποφαίνουσι τὰς στήλας. οἱ δὲ Ἴβηρες καὶ Λίβυες ἐν Γαδείροις εἶναι φασίν: οὐδὲν γὰρ ἐοικέναι στήλαις τὰ περὶ τὸν πορθμόν. οἱ δὲ τὰς ἐν τῷ Ἡρακλείῳ τῷ ἐν Γαδείροις χαλκᾶς ὀκταπήχεις, ἐν αἷς ἀναγέγραπται τὸ ἀνάλωμα τῆς κατασκευῆς τοῦ ἱεροῦ, ταύτας λέγεσθαί φασιν: ἐφ᾽ ἃς ἐρχόμενοι οἱ τελέσαντες τὸν πλοῦν καὶ θύοντες τῷ Ἡρακλεῖ διαβοηθῆναι παρεσκεύασαν, ὡς τοῦτ᾽ εἶναι καὶ γῆς καὶ θαλάττης τὸ πέρας. τοῦτον δ᾽ εἶναι πιθανώτατον καὶ Ποσειδώνιος ἡγεῖται τὸν λόγον, τὸν δὲ χρησμὸν καὶ τοὺς πολλοὺς ἀποστόλους ψεῦσμα Φοινικικόν.
"Intorno poi alla fondazione di Gadi quegli abitanti ricordano un certo oracolo, dal quale dicono che fu già tempo comandato ai Tirii d’inviare una colonia alle Colonne d’Ercole: che le persone spedite ad esplorare il luogo, essendo pervenute allo stretto vicino a Calpe, credendo che que’ promontorii dai quali esso è formato fossero i termini della terra abitata e della spedizione di Ercole (e che per questo l’oracolo le avesse denominate Colonne), approdarono al di qua dello stretto medesimo in quel luogo nel quale ora si trova la città degli Assitani; ma che avendo poi quivi sagrificato e vedendo che gli augurii non riuscivauo favorevoli se ne tornarono al proprio paese. Di lì a qualche tempo (soggiungono) furono spediti alcuni altri, i quali si spinsero fino al di là dallo stretto lo spazio di circa mille e cinquecento stadii, e trovarono un’isola consacrata ad Ercole, posta rimpetto ad Onoba città dell’Iberia. E pensando che quelle fossero le Colonne, sagrificarono al Dio. Ma tornando contrarii gli indizii rimpatriarono anch’essi. Se non che essendo inviata una terza missione fondarono Gadi, fabbricando il tempio di Ercole nelle parti orientali dell’isola, e la città nelle parti occidentali. Di qui poi è venuto che sotto il nome di Colonne alcuni intendono i promontorii dello stretto, altri intendono Gadi; ed altri un luogo ancor più lontano. V’ha chi stima che le Colonne siano Calpe ed Abila, che è un monte di Libia opposto a Calpe, e situato secondo Eratostene fra’ Metagoni, schiatta di nomadi. Altri le crede invece quelle due isolette cbe stanno presso ai monti già mentovati, ed una delle quali è chiamata isola di Giunone. Anche Artemidoro parla dell’isola di Giunone e del suo tempio, ma nega che ne sussista alcun’altra, nè il monte Abila nè la gente dei Metagoni. Alcuni poi riferiscono a que’ luoghi le Plancte e le Simplegadi, e tengono che queste siano le Colonne da Pindaro denominate Porte Gaditane, affermando che furon l’ultimo punto a cui Ercole giunse. Del resto Dicearco, Eratostene, Polibio e la maggior parte degli scrittori greci sogliono collocar le Colonne vicino allo stretto; ma gli abitanti d’Iberia e di Libia affermano che sotto quel nome debba intendersi Gadi; perchè i luoghi intorno allo stretto non rendono punto immagine di colonne. V’ha eziandio chi vuol cbe s’intendano le colonne di bronzo di otto cubiti che sono nel tempio d’Ercole in Gadi, su le quali sta inscritto quanto fu speso nella fondazione del tempio stesso. Queste (dicono essi) son quelle colonne alle quali pervenivano i navigatori come ad ultimo punto dei loro viaggi, ed avendo in costume di far quivi sagrifizii ad Ercole, s’adoperarono a diffondere questa opinione che le dice l’estremo confine e della terra e del mare. Anche Posidonio stima che questa opinione sia più credibile di tutte, e che l’oracolo e le molte spedizioni ricordate poc’anzi siano una menzogna fenicia."
(traduzione di Francesco Ambrosoli, 1832)
(traduzione di Francesco Ambrosoli, 1832)
Nell'Antico Testamento si trova un riferimento a Melqart, che pure nn viene esplicitamente nominato: è però ben riconoscibile dai suoi attributi. Questo è il testo (1 Re 18, 27):
וַיְהִ֨י בַֽצָּהֳרַ֜יִם וַיְהַתֵּ֧ל בָּהֶ֣ם אֵלִיָּ֗הוּ וַיֹּ֙אמֶר֙ קִרְא֤וּ בְקֹול־גָּדֹול֙ כִּֽי־אֱלֹהִ֣ים ה֔וּא כִּ֣י שִׂ֧יחַ וְכִֽי־שִׂ֛יג לֹ֖ו וְכִֽי־דֶ֣רֶךְ לֹ֑ו אוּלַ֛י יָשֵׁ֥ן ה֖וּא וְיִקָֽץ׃
"Essendo già mezzogiorno, Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: «Gridate con voce più alta, perché egli è un dio! Forse è soprappensiero oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse addormentato, si sveglierà»."
Questo è un riferimento satirico abbastanza caustico alle fatiche di Melqart, ai suoi viaggi e al suo risveglio.
Il Signore di Tiro e l'Ade
Le connessioni di Melqart con l'Oltretomba non mancano. È stato ipotizzato che nel teonimo la città faccia riferimento non soltanto a Tiro, ma soprattutto al Regno dei Morti. Sappiamo che questa idea dell'Ade come città nacque tra i Sumeri. URUGAL "Grande Città" è uno dei nomi sumerici dell'ultima destinazione di tutti i viventi. Variante: ERIGAL. L'aggettivo in sumerico segue sempre il nome: GAL significa "grande", mentre URU significa "città" (variante: IRI). In accadico questo toponimo arcano è stato preso a prestito come IRKALLA o ERKALLU. Del resto anche l'Eracle greco è strettamente connesso con l'Oltretomba. In origine era infatti un eroe mortale, elevato poi al rango di divinità per le sue portentose imprese. Nell'Odissea (libro XI) si menziona l'incontro tra Ulisse e l'ombra di Eracle, subito specificando che si tratta di un mero simulacro, dato che l'eroe siede alla mensa degli Dei dell'Olimpo.
τὸν δὲ μέτ’ εἰσενόησα βίην Ἡρακληείην,
εἴδωλον· αὐτὸς δὲ μετ’ ἀθανάτοισι θεοῖσι
τέρπεται ἐν θαλίῃς καὶ ἔχει καλλίσφυρον Ἥβην.
εἴδωλον· αὐτὸς δὲ μετ’ ἀθανάτοισι θεοῖσι
τέρπεται ἐν θαλίῃς καὶ ἔχει καλλίσφυρον Ἥβην.
«Subito dopo intravidi il vigore di Eracle, |
la sua immagine; ma lui invece con gli dèi immortali |
gode a banchetto e sua è Ebe dalle belle caviglie»
la sua immagine; ma lui invece con gli dèi immortali |
gode a banchetto e sua è Ebe dalle belle caviglie»
Ovviamente si tratta di un'aggiunta posticcia, di un artifizio che serviva a evitare la contraddizione con la tradizione più antica, anteriore all'importazione del mito cananeo della resurrezione dell'eroe divinizzato.
Melqart a Cartagine
Cartagine
mantenne a lungo un legame particolare con Tiro, tanto che fino
all'epoca ellenistica versava un notevole tributo alla città madre, pari
alla decima parte degli introiti annui del tesoro. Non sorprende dunque sapere che l'Eracle di Tiro vi era molto venerato. La pronuncia punica di Melqart era /mil'kar/, dati gli sviluppi che la lingua subì a Cartagine nel corso dei secoli. L'antica consonante /k/ era divenuta una fricativa /χ/, mentre la consonante /q/ era divenuta /k/. La desinenza tipica del femminile /-t/, che in genere divenne /-θ/, qui cadde del tutto, forse per evitare l'incongruenza semantica, dato che il teonimo è maschile.
La pronuncia del punico era molto sincopata: possiamo dire che i Cartaginesi "mangiavano le parole". Analizziamo alcuni importanti antroponimi formati a partire dal nome di Melqart.
i) Il punico ʽbdmlqrt /amil'kar/, da un più antico /ˁabdmil'qart/, significa "Servo di Melqart". In latino il nome fu preso a prestito con l'accento sulla penultima sillaba: Hamilcar, Amilcar /(h)a'milkar/.
ii) Il punico ḥmlqrt /imil'kar/, da un più antico /ħi:mil'qart/, significa "Fratello di Melqart". Si può immaginare che si sia in parte confuso col precedente /amil'kar/ per via del suono molto simile nelle fasi tarde della lingua.
ii) Il punico bdmlqrt /bomil'kar/, da un più antico /bo:dmil'qart/, significa "Nella mano di Melqart". Il prefisso b- "in" aggiunto a yd /jo:d/ ha dato bd /bo:d/ "nella mano". In latino il nome fu preso a prestito con l'accento sulla penultima sillaba: Bomilcar /bo'milkar/; la quantità della prima sillaba è incerta.
Melqart in Sicilia
Sono state trovate monete d'argento con l'immagine di una testa d'uomo provvisto di orecchini, simile dalle raffigurazioni greche di Eracle, e la scritta RŠ MLQRT, ossia "Promontorio di Melqart" (alla lettera "Testa di Melqart", pronuncia fenicia /ru:ʃ mil'qart/, punico /rusmil'kar/; trascrizioni comuni e inesatte sono Ras Melqart e Rash Melqart). Queste monete sono tetradrammi, coniati a partire dalla metà del IV secolo a. C. L'identificazione del toponimo non è sicura. Molti hanno creduto che la monetazione indicasse Cefalù, ma questa ipotesi è infine stata smentita (cfr. Kōkalos: Studi pubblicati dall'Istituto di Storia Antica dell'Università di Palermo, volume 20, pag. 121). Nonostante ciò, questa errata identificazione è tuttora presente in modo pervasivo nel Web, trovandosi nella stessa Wikipedia come data per assodata. Regna una grande confusione: c'è chi propone l'identificazione con Eraclea Minoa, con Lilibeo (attuale Marsala) e addirittura con Selinunte. Eraclea Minoa non era uno stanziamento punico, ma aveva avuto una notevole influenza fenicia, traeva il suo nome da Eracle e aveva un nome non greco, Makara, che potrebbe ben essere derivato da Melqart. Secondo Leuven (1989), RŠ MLQRT non indicherebbe un toponimo, bensì un'istituzione dell'amministrazione cartaginese in Sicilia. Un'idea molto simile è sostenuta da Bonnet e Manfredi (1995): RŠ significherebbe "capi" o "eletti", nonostante non sia presente alcun suffisso per marcare il plurale. Ciò è tuttavia smentito con sicurezza da due iscrizioni trovate a Cartagine, che contengono la locuzione ʻM RŠ MLQRT "assemblea del popolo del Promontorio di Melqart").
Melqart in Sardegna
Tra i Sardi il nome di Melqart è stato adattato in un modo davvero singolare: Makeris. Questo pone una serie di problemi a livello fonetico, al punto che Edward Lipiński si è opposto a questa identificazione (Dieux et Déesses de l'univers phénicien et punique, 1995). Con ogni probabilità Makeris è il prodotto di una metatesi da un più chiaro *Mekari-, derivato direttamente dal punico /mil'kar/. In italiano è spesso reso con Maceride.
Pausania riporta questo nella Periegesi della Grecia, volume IV (libro 10, capitolo 17, 1-2):
[1] βαρβάρων
δὲ τῶν πρὸς τῇ ἑσπέρᾳ οἱ ἔχοντες Σαρδώ, εἰκόνα οὗτοι χαλκῆν τοῦ
ἐπωνύμου σφίσιν ἀπέστειλαν. ἡ δὲ Σαρδὼ μέγεθος μὲν καὶ εὐδαιμονίαν ἐστὶν
ὁμοία ταῖς μάλιστα ἐπαινουμέναις: ὄνομα δὲ αὐτῇ τὸ ἀρχαῖον ὅ τι μὲν ὑπὸ
τῶν ἐπιχωρίων ἐγένετο οὐκ οἶδα, Ἑλλήνων δὲ οἱ κατ᾽ ἐμπορίαν ἐσπλέοντες
Ἰχνοῦσσαν ἐκάλεσαν, ὅτι τὸ σχῆμα τῇ νήσῳ κατ᾽ ἴχνος μάλιστά ἐστιν
ἀνθρώπου. μῆκος δὲ ἀπ᾽ αὐτῆς εἴκοσι στάδιοι καὶ ἑκατόν εἰσι καὶ χίλιοι,
εὖρος δὲ ἐς εἴκοσί τε καὶ τετρακοσίους προήκει.
[2] πρῶτοι δὲ διαβῆναι λέγονται ναυσὶν ἐς τὴν νῆσον Λίβυες: ἡγεμὼν δὲ τοῖς Λίβυσιν ἦν Σάρδος ὁ Μακήριδος, Ἡρακλέους δὲ ἐπονομασθέντος ὑπὸ Αἰγυπτίων τε καὶ Λιβύων. Μακήριδι μὲν δὴ αὐτῷ τὰ ἐπιφανέστατα ὁδὸς ἐγένετο ἡ ἐς Δελφούς: Σάρδῳ δὲ ἡγεμονία τε ὑπῆρξε τῶν Λιβύων ἡ ἐς τὴν Ἰχνοῦσσαν καὶ τὸ ὄνομα ἀπὸ τοῦ Σάρδου τούτου μετέβαλεν ἡ νῆσος. οὐ μέντοι τούς γε αὐτόχθονας ἐξέβαλεν ὁ τῶν Λιβύων στόλος, σύνοικοι δὲ ὑπ᾽ αὐτῶν οἱ ἐπελθόντες ἀνάγκῃ μᾶλλον ἢ ὑπὸ εὐνοίας ἐδέχθησαν. καὶ πόλεις μὲν οὔτε οἱ Λίβυες οὔτε τὸ γένος τὸ ἐγχώριον ἠπίσταντο ποιήσασθαι: σποράδες δὲ ἐν καλύβαις τε καὶ σπηλαίοις, ὡς ἕκαστοι τύχοιεν, ᾤκησαν.
Questa è la traduzione fatta da Antonio Nibby (1817), che per gli standard moderni sarebbe considerata deprecabile:
"1. De’ barbari occidentali quelli, che occupano la Sardegna mandarono un ritratto di bronzo di quello, che loro diede il nome.
2. La Sardegna per grandezza, ed abbondanza non la cede alle isole più lodate: quale fosse l’antico nome, che dai nazionali avea, nol so; que’ Greci però, che navigarono per commercio la chiamarono Icnusa, perchè la figura della isola è molto simile alla impronta del piede umano. La sua lunghezza è di mille, e centoventi stadj; di quattrocento settanta la sua larghezza. Si dice, che i primi a passare con navi nella isola furono Affricani, e loro condottiere fu Sardo di Maceride, di Ercole, al quale si dà il soprannome di Egizio, e di Affricano. Molto celebre fu il viaggio di Maceride a Delfo. Sardo poi portò gli Affricani in Icnusa, e perciò l’isola cangiò il nome nel suo. La flotta degli Affricani non discacciò gl’indigeni; ma questi li accolsero più per forza, che per benevolenza. Nè gli Affricani, nè i naturali sapevano edificare città; ma abitavano dispersi in capanne, e spelonche come potevano."
2. La Sardegna per grandezza, ed abbondanza non la cede alle isole più lodate: quale fosse l’antico nome, che dai nazionali avea, nol so; que’ Greci però, che navigarono per commercio la chiamarono Icnusa, perchè la figura della isola è molto simile alla impronta del piede umano. La sua lunghezza è di mille, e centoventi stadj; di quattrocento settanta la sua larghezza. Si dice, che i primi a passare con navi nella isola furono Affricani, e loro condottiere fu Sardo di Maceride, di Ercole, al quale si dà il soprannome di Egizio, e di Affricano. Molto celebre fu il viaggio di Maceride a Delfo. Sardo poi portò gli Affricani in Icnusa, e perciò l’isola cangiò il nome nel suo. La flotta degli Affricani non discacciò gl’indigeni; ma questi li accolsero più per forza, che per benevolenza. Nè gli Affricani, nè i naturali sapevano edificare città; ma abitavano dispersi in capanne, e spelonche come potevano."
Melqart in Britannia
Riporto alcune interessantissime informazioni tratte dal lavoro di Corinne Bonnet, Melqart in Occidente. Percorsi di appropriazione e di acculturazione (in P. Bernardini – R. Zucca, Il Mediterraneo di Herakles, Roma, 2005):
"Persino nella lontanissima Corstopitum (Corbridge), lungo il vallo di Adriano, due altari gemelli associano in una dedica greca l'Eracle di Tiro (con interpretatio graeca) ad Astarte (senza interpretatio!), come se non ci fosse Melqart senza Astarte."