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sabato 24 aprile 2021

ANCORA SUL MISTERO DEL PIPPOLOGIO: VERSO UNA SOLUZIONE

Nel lontano 2014 ho pubblicato un brevissimo articolo sul pippologio, un dolce fallico prodotto nella nativa città di Seregno, in Brianza, in occasione dell'Epifania. Riporto il link a quel mio vecchio contributo, che si concludeva con una richiesta di informazioni, ovviamente caduta nel vuoto.    

 
Avevo cercato invano di trovare un'etimologia credibile a una parola così stramba, senza riuscire ad approdare a nulla di convincente. La mia mente contorta aveva risolto l'enigmatico pippologio in un improbabile *pippologi(h)o, cioè "pippo logico" quasi fosse un "pene dotato di logica" (ben noto è il termine pippo nel senso di "pene" e di "scemo"); l'inconsueto sviluppo fonetico lo adducevo a un'origine toscana tramite gorgia, pensando che si dovesse alla pronuncia di un pasticcere trapiantato in Brianza. Invece l'amico Watt, che ai tempi di Splinder gestiva il blog Etymos, mi aveva suggerito un'interpretazione altrettanto implausibile, ricostruendo un *pippo-elogio, ossia "elogio del pippo", senza badare troppo alla bizzarria formale di un simile composto. La cosa poi era finita con la pubblicazione dell'articoletto su questo blog e per diversi anni non ho più pensato a questo argomento.  
 
 
Qualche tempo fa l'amico seregnese P., grassoccio e calvo ma con una robusta barba, scrisse sul suo profilo di Facebook un post brevissimo ma entusiastico, corredato da una foto del dolciume simile a un membro eretto: "VIVA IL PIPOLOGIO!" La cosa mi ha illuminato. Finalmente avevo trovato una attestazione certa della parola da me descritta già da anni e la cui etimologia mi era parsa tanto misteriosa! Subito ho capito l'arcano: si trattava di una semplice questione di ortografia! Quando avevo appreso il vocabolo, chi me lo trasmise lo pronunciava con una consonante -pp- doppia (pippologio), ma la forma più comune ha una consonante -p- semplice (pipologio). Quando ho cercato "pipologio" usando Google, il vasto Web mi ha restituito alcune tracce utilissime quanto insperate e sono finalmente riuscito a capire qualcosa di più. 
 
Si trovano anche altre varianti del nome: papurogio, poporogio e papuròtt. Queste forme sono utilizzate nei comuni di Desio e di Lissone. Non c'è motivo di dubitare del significato originario di queste parole: "bambolotto".  
 
 
Epifania in Brianza, la tradizione del "Papurott" o "Papurogio"  
 
"Papurott o Papurogio è il bambolotto, dolce tipico brianzolo della festa: nella giornata del sei gennaio sulle tavole dei brianzoli, per la gioia dei bambini, non può mancare il fantoccio (esiste la variante con impasto di pan brioche o di frolla) preparato secondo le ricette della tradizione con le sue innumerevoli varianti. L'usanza di sfornare o acquistare i Papurott è particolarmente sentita a Lissone dove ogni anno all'Epifania in città avviene la distribuzione dei dolcetti e anche a Desio." 
 
E ancora, su una pagina ormai cessata: 
 
 
Il Papurogio è un dolce tipico dell’Epifania di Desio 

"Il nome lo si può ricondurre alla parola dialettale “Papurot” ossia bambino paffuto e sorridente, come è raffigurato tradizionalmente Gesù Bambino." 
 
"Il dolce tipico di Desio è il ‘papurogiu’. Le pasticcerie e le panetterie della cittadina brianzola ne fanno ognuna la propria versione personalizzata, solo nei cinque giorni che precedono l’Epifania. Il nome in origine lo si può ricondurre alla parola dialettale “Papurot” ossia bambino paffuto e sorridente, come è raffigurato tradizionalmente Gesù Bambino."

In questa pagina si trovano ancor più informazioni, che riporto per evitare che scompaiano inghiottite nel Nulla del Web: si fa persino nome e cognome dei possibili artefici.  
 
 
Papurott o Papurogio: un po’ di storia (e storie) del dolce dell’Epifania in Brianza
 
"A Desio ne sono convinti. Sono sicuri. L’originale dolce dell’Epifania è nato qui, esattamente a metà strada tra le case dove hanno visto la luce due grandi: Achille Ratti e Luigi Giussani. È nato nel laboratorio di Edoardo Pastori, sul “ponte”, con la roggia Traversi a scorrere accanto, la discesa per raggiungere la basilica e lo sferragliare del tram. È nato nel 1929, l’anno dei Patti Lateranensi, ma le sue radici, l’idea, l’intuizione, sono più vecchi di dieci anni, quando il papà di Edoardo, panettiere a Rho, già creava qualcosa di simile con la pasta del pane."

"A Desio il dolce della Befana è chiamato ‘papurogiu’, con due ‘u’. Il suo nome, però, in origine era leggermente diverso: Pastori lo aveva battezzato ‘poporogio’,con una serie di ‘o’ da fare invidia ad un onomatopeico. Era così per via della sua forma da bambino. Il nome del dolce si è alterato nel tempo, ma non la ricetta originale. Quella è rimasta invariata per anni, è stata portata avanti da Italo, figlio di Edoardo, ed è andata in pensione con lui, quando decise di chiudere il bar pasticceria di corso Italia. Non è mai invecchiata, la ricetta, pur avendo tra le pieghe 90 anni di vita come il lievito madre che era l’anima di ciascun omino dei Pastori. Sempre quello. Custodito gelosamente e attentamente dentro il tabernacolo della sala dolci. Piuttosto, la ricetta diveniva più fresca e fragrante, tanto che in molti hanno cercato di ripeterla. Ma non col medesimo gusto, quello regalato dalla ‘ics’, dall’ingrediente segreto." 
 
"E proprio a Lissone è storia è diversa. Perché sono storie di famiglia che sono dolci ricordi, dolci come il “Papurott”. Giancarlo Gatti, titolare della pasticceria “San Rocco” di via Settembrini a Lissone, ha mosso i primi passi sul bancone dell’attività aperta dal padre, Alfredo, e dallo zio Camillo nel 1953 in via Mazzini e 10 anni più tardi trasferitasi nella sede attuale. «Ai tempi mio padre e mio zio dividevano i locali, tra falegnameria e dolci – raccontava al CittadinoMB un anno fa – Vedevo mio papà col triciclo dei legnamè portare in giro le brioches. Poi, in via Settembrini, ricordo che io, avevo 7 o 8 anni, lo aiutavo a fare il Papurott: mettevo le uvette per creare gli occhi e l’ombelico. Si faceva solo a Lissone, sì. A Desio lo portavamo ai clienti. È una tradizione che è rimasta e di cui ancora oggi c’è una vera febbre: il 5 e il 6 gennaio la richiesta è sempre alta. Tutti vogliono il Papurott che è un simbolo, come la torta paesana alla festa di Lissone»."
 
Le genti di Lissone, in uno slancio di fanatismo campanilistico, si ostinano a dire che il dolciume è tipico unicamente del proprio paese. Le genti di Desio, dal canto loro, sono sempre pronte a giurare il contrario. A distanza di tanto tempo, è molto difficile accertare i fatti. Immagino il dialogo da cui è nato tutto. Il pasticcere ha plasmato dell'impasto e lo ha cotto, dando origine a una figura storpia e gobba. La moglie gli ha chiesto, con tono scettico: "Sa l'è cus'è cul ropp chi?" E l'uomo, afflitto, le ha risposto: "Al su nò. L'è un queicòss. L'è un poporògiu".  
 
A questo punto sono riuscito a mettere assieme lo scibile a cui posso avere accesso per elaborare una conclusione. Il percorso non è lineare e bisogna partire da lontano.

Mi trovavo a Malesco, in Val Vigezzo, con il fraterno amico P. "Nodens" (da non confondere con P. il Pingue) e con suo fratello T. (R.I.P.). Mentre passeggiavamo in paese come tutte le sere, ci imbattemmo in una vetrina in cui erano mostrati oggetti provvisti di etichette con il loro nome nel dialetto ossolano locale. C'era una bambola gigantesca, grande quasi quanto una bambina di dieci anni, con lunghe vesti e con i capelli biondi ben pettinate, di quelle che a Milano erano un tempo chiamate pigòtt (al singolare pigòta). Sotto la bambola c'era un'etichetta con la sua denominazione ossolana: LA PUPÙ. Scoppiammo a ridere e andammo avanti per una buona mezz'ora. Il giorno dopo, l'anziano C. (R.I.P.), che era nativo del paese, ci spiegò che in dialetto maleschese la pupù è la bambola. 

In un'altra occasione giunse una glossa inattesa. Il fratello di P. "Nodens" se ne uscì in un'occasione a chiamare i bambini col loro nome locale: pupurìtt. Capii subito che questo strano vocabolo era connesso con l'ossolano pupù "bambola". Certamente il termine pupurìtt "bambini" significava in origine qualcosa come "bambolotti". Anche in italiano esistono voci simili: pupo, pupa, pupattola, pupazzo. In Sicilia i pupi sono burattini che narrano vicende epiche, e l'uomo che li muove è il puparo. Questa radice esisteva già in latino, come ci mostrano le forme di origine dotta pupillo e pupilla.
 
pupo 
   1) "bambino piccolo" (regionalismo, Italia centrale)
   2) "marionetta" 
 
pupa 
   1) "bambola" 
   2) "ragazza" (gergale) 
     Esempio: Quella è la pupa del boss.
   3) "crisalide" (linguaggio scientifico)  

Forma derivata:
pupazzo

Etimologia: dal latino pūpus "bambino, ragazzo", fatto derivare dalla radice indoeuropea *peh2w- "poco, piccolo". La forma derivata pupazzo presuppone un latino *pūpāceus.  


1) ragazzino, fanciullo
2) bambola, pupazzetto, fantoccio 


1) bambina, fanciulla, ragazza 
2) pupilla dell'occhio 
3) (in senso figurato) occhio 
4) bambolina
5) pupilla 
 
 
Nell'Atlante Linguistico AIS, alla voce "bambola" (numero 750), troviamo alcune informazioni interessanti. 
 

Si può vedere che in alcuni paesini della Val Chiavenna e della Valtellina la bambola è chiamata pipœla o pipóla. Queste forme sono semplici varianti del più comune pupòla. Certo, è possibile che a Seregno il pipologio o pippologio si sia originato da un mutamento fonetico dissimilatorio simile a quello che ha portato a pipœla, pipóla, a partire da papuròtt, papurogio e simili, anche se la cosa in fondo non mi convince molto. A parer mio il passaggio dal biascicato papurogio all'audace pippologio è stata introdotta da un pasticcere estroso che ha deciso di alterare la figura infantile del pupazzo per trasformarla nella figura maliziosa del pippo, che è un cazzone gonfio di sperma. Detto questo, P. "Nodens" mi ha confermato che nella sua nativa Albiate è usata soltanto la forma pupurìn "bambino" (plurale pupurìtt "bambini"), che un vocabolo papuròtt "bambino grassoccio" è del tutto sconosciuto e che il dolciume fallico non si trova affatto. Evidentemente la produzione del pupazzo di pasta brioche, nata a Desio o a Lissone, è giunta a Seregno subendo la sua metamorfosi in un simulacro del membro virile eretto, senza poter arrivare più lontano.   

giovedì 4 febbraio 2021

ALCUNE RIFLESSIONI SULL'ERA DI SPLINDER E SULLA RETE SOLITARIA

Marco Palombi, il fondatore di Splinder, nel lontano 20 aprile 2001 scrisse un articolo di estremo interesse, intitolato The lonely net (ossia "La Rete solitaria"). Lo redasse in inglese e la scelta a parer mio non fu casuale. Voleva parlare al mondo intero ed essere compreso da più persone possibile, perché i cruciali argomenti trattati, tuttora attualissimi, non riguardavano soltanto l'Italia. Il testo è disponibile al seguente indirizzo, sul blog dell'autore, Ocrampal's place
 
 
Sono convinto che sia un contributo di capitale importanza, quindi provvedo a riassumerlo e ad elencarne i concetti portanti, a pubblica edificazione. 
 
I capisaldi palombiani 
 
1) Si parte dalla triste constatazione dell'assoluta solitudine dell'utente nella Rete. Le domande poste in questo vuoto abissale sono semplici ma restano senza risposta. Eccone alcune: 

Cosa stanno facendo gli altri? 
Cosa stanno guardando?
Di cosa stanno parlando? 
A cosa stanno giocando? 
Dove si svolge l'azione? 
Come posso partecipare? 
Cos'è eccitante? 
Cosa non è eccitante?

2) Nel mondo reale si riesce a capire facilmente se un luogo è o meno interessante, Nella Rete le cose sono più difficili, perché la navigazione è solo un contatto tra l'utente e il browser. 
 
3) Il Web, ossia il contenuto della Rete, non è nato come strumento di comunicazione. Le sue origini risalgono al CERN ed è stato pensato come un sistema per navigare nei documenti.
 
4) La comunicazione mediatica è sempre stata un'esperienza solitaria, già prima dell'avvento della Rete. Radio e televisione non prevedono l'interazione tra chi trasmette un programma e chi lo riceve. L'ascoltatore è completamente passivo! 
 
5) Il telefono è un sistema di comunicazione abbastanza avanzato, dato che richiede lo scambio di messaggi tra due persone (point-to-point). È però impossibile estendere questa comunicazione a un gruppo interconnesso di utenti. Se non si conosce il numero telefonico di qualcuno, non esiste modo di contattarlo. 
 
6) La Rete si è evoluta importando modelli modelli dai vecchi media e adattandoli alla nuova realtà. La natura di un sito Web è quella di trasmettere informazioni. Il contenuto è lo stesso per tutti. Non si può parlare ad altri utenti. 
 
7) Nasce l'intuizione di usare la Rete come combinazione di diversi mezzi di comunicazione: 
    i) navigazione di contenuti permanenti (il Web), 
    ii) strumenti per far fluire l'informazione (e-mail, etc.),
    iii) sistemi di transazione (autenticazione, etc.). 
 
8) Si comprende la lenta nascita di una nuova Rete, meno solitaria. All'epoca alcuni siti del Web hanno tentato di aggiungere funzionalità nuove per facilitare la comunicazione (es. SlashDot, i Wikies). I navigatori hanno cominciato a diventare parte di comunità di persone affini, accomunate da qualche interesse.
 
9) Si comprende l'esistenza di mezzi tecnologici in grado di favorire l'aggregazione di una Rete sociale, un vero salto rivoluzionario rispetto alla vecchia Rete solitaria. 
 
L'Era di Splinder 
 
Marco Palombi è riuscito a creare una piattaforma blogosferica che metteva a frutto le intuizioni enunciate in The lonely net. È stato qualcosa di epocale, mai visto prima a memoria di essere umano. Si era in preda alla frenesia e si assaporava l'ebbrezza di una libertà senza limiti. Si aveva l'impressione di poter compiere grandi cose. Lo stato da intossicazione splinderologica aveva più di un lato in comune con la dipendenza da cocaina: era come avere impiantata nel cranio una macchinetta che sovraeccitava i neuroni, frustava le sinapsi, trasformava gli impulsi elettrici nell'encefalo infiammato in colate di lava incandescente. Non esisteva più una vera discontinuità tra il sonno e la veglia. Ricordo ancora quando, in preda a vere e proprie allucinazioni, ero convinto di potermi connettere alla Rete con la sola potenza del cervello e persino di poter postare tramite un semplice comando telepatico. Esisteva un senso generale di impunità, tanto che sembrava presente un pungolo che spingeva a comportamenti rischiosi, folli. Era come stare in una stanza buia e toccare sconosciuti a caso. Non c'era nessuna garanzia reale di incolumità, ma questo non lo sapeva nessuno. Bastava un flame e ciascuno poteva diventare un thug. La perdita del senso della realtà incombeva ad ogni passo. Splinder aveva questa peculiarità: metteva in contatto persone ed ambienti che nella vita reale pre-Internet non avrebbero mai avuto alcuna connessione né conoscenza reciproca. Si affacciavano nella homepage della piattaforma realtà inquietanti e difficili a classificarsi. Ricordo ancora un episodio di quelli che lasciano il segno. Un blogger affermava di lavorare in un obitorio e pubblicava post in forma di diario su sue supposte attività necrofile e cannibaliche. Dichiarava di avere la costumanza di cucinare membra di cadaveri nel formo a microonde in dotazione alla morgue e di mangiarne dopo averle arrostite lentamente, deliziandosi nell'aspirare l'odorino rilasciato dal processo di cottura. A quanto pare ci sono state denunce, visto che i post inneggianti alla necrofagia avevano destato un immenso scandalo. A quanto quell'utente stravagante ha in seguito dichiarato, si trattava soltanto di una colossale invenzione. I gestori di Splinder gli avrebbero permesso di scagionarsi, provando che gli orari di pubblicazione dei post non corrispondevano ai suoi turni di lavoro. Ho sempre avuto il dubbio che anche questa affermazione fosse fantomatica. Potrei parlare di diversi altri casi assurdi, come quello di un attivista dei diritti umani che nei meandri di un blog abbandonato si è imbattuto casualmente in un presunto picciotto mafioso. E che dire di quella donna matura e sfatta che il marito sfruttatore costringeva a fare le gangbang spermatiche, pubblicando poi le foto su un blog? Forse tutte queste aberrazioni non sarebbero esistite nel vecchio mondo. Credo che Palombi non le avrebbe mai immaginate: ogni sua parola ha sempre trasudato di una fede assoluta nella bontà innata del genere umano. Del resto c'è un prezzo da pagare per ogni cosa. Non si può avere la connettività illimitata nel Web senza tenere in conto possibili conseguenze avverse. 
 
Splinderdämmerung 
 
L'ipereccitazione dei primi anni dell'Era di Splinder non poteva durare a lungo. Quello che ha fatto seguito all'Espansione è stato un oscurissimo periodo di down. Anche in questo caso è utile servirsi del gergo dei cocainomani per comunicare il concetto. Certo si può ben comprendere che la piattaforma blogosferica splinderiana è stata condannata al suo epilogo dalla politica, eppure erano già in atto dinamiche autodistruttive. Splinder era una macchina termodinamica che rendeva possibile la creazione di un fiorire di reti neurali di blog. La formazione di queste sinapsi concettuali non è però in nessun caso gratuita. Richiede lavoro ed energia per poter esistere ed essere accresciuta. Ogni uso di lavoro e di energia provoca in maniera ineluttabile l'aumento esponenziale dell'entropia. Splinder è diventato come un pollaio privo di sistemi di drenaggio per far defluire la merda. La stagnazione escrementizia è diventata imperante. Si è instaurato un clima pestilenziale e i patogeni sono dilavati. Una specie di sepsi blogosferica. Come è ben risaputo, un potentissimo magnate aveva da tempo l'idea di annientare Splinder e non si è lasciato sfuggire l'occasione. Ha comprato la piattaforma e l'ha chiusa, nel disinteresse generale. Nel mondo dei blogger ben pochi si sono accorti di quanto stava accadendo. Nessun giornalista ha trattato il problema come avrebbe meritato. Da anni profetizzavo la Splinderdämmerung, ma nessuno mi ha mai voluto credere. Quando il Ragnarok blogosferico è diventato realtà, un amico sardo (RIP) si chiedeva se il magnate da me menzionato sarebbe stato il nuovo padrone di Splinder. Mi è venuta in mente una scena del film Il dottor Živago (David Lean, 1965), quella in cui un anziano contadino, sfinito dagli stenti, di fronte alla Rivoluzione bolscevica chiedeva se Lenin sarebbe stato il nuovo Zar. Qui era stato uno Zar a mandare in rovina il vecchio mondo, non certo un Lenin, eppure trovo calzante il confronto con quelle sequenze cinematografiche, perché esprimono l'incapacità di comprendere il mutare dello Zeitgeist.

IoBloggo e la Rete Solitaria
 
IoBloggo, una piattaforma blogosferica che aveva molto in comune con Splinder sia a livello tecnico che di funzionalità comunicative offerte, non è mai riuscito ad essere davvero parte della Rete sociale. Nonostante la sua forma, non aveva nulla di splinderiano nella sostanza. Dalla mia personale esperienza ho potuto trarre conclusioni deprimenti. Non vi è mai esistita alcuna community, a parte alcuni gruppuscoli di adolescenti che usavano uno strumento di messaggistica istantanea incorporato nel template dei loro blog. I messaggi che si scambiavano erano inconsistenti e fatti di abbreviazioni, con un lessico poverissimo, al punto di sembrare quasi una forma di monolingua degenerata, una regressione del linguaggio al livello dei pre-ominidi. IoBloggo non ha mai conosciuto una vera espansione. Molti blogger in fuga dalla distruzione di Splinder hanno migrato i loro portali su IoBloggo, ma limitandosi a usarlo come repositorio: nella maggior parte dei casi i backup dei blog sono stati abbandonati al loro destino. La piattaforma è stata lasciata nell'incuria più totale, finendo più volte devastata da violenti attacchi hacker, tanto che a un certo punto ha cessato di esistere nel Web.
 
Blogspot e la Rete Solitaria 

Blogspot permette di creare e di mantenere blog in gran numero e non troppo diversi da quelli che c'erano su Splinder. Saltano comunque all'occhio alcune differenze marchiane. Non esiste un servizio di messaggistica privata. Nulla di simile ai cosiddetti pvt (ossia "messaggi privati") può essere inviato ad altri utenti. Non esiste un servizio di chat. La cosa più importante è però un'altra. Non esiste una homepage che mostri in tempo reale gli aggiornamenti postati dai blogger. Non esistono strumenti di navigazione nella blogosfera. Non posso sapere chi sta postando cosa. Non posso avere la benché minima idea di quali siano i blog più aggiornati o che trattano un certo argomento, se non ricorrendo ai motori di ricerca. Una ricerca di questo tipo, effettuata tramite Google, solo per fare un esempio, si rivela essere tutt'altro che facile. In altre parole, non c'è possibilità di compiere ricerche interne alla piattaforma. Questi limiti sono talmente gravi che Blogspot mi pare ascrivibile in tutto e per tutto alla Rete Solitaria, senza nemmeno l'ombra della possibilità di formare una community. I commenti sono rarissimi, non si formano thread. Non si riescono a conoscere nuove persone. In pratica il blogger si trova alla deriva nel Nulla.

Il Nulla dei Social 

Certo, i Social non hanno niente a che vedere con la Rete Solitaria, già per definizione. Resta il fatto che sono qualcosa di molto diverso dalla Rete Sociale sognata da Palombi. Prendiamo ad esempio Facebook, che è il Social per eccellenza. La sua immensità è tale che si può esplorarne soltanto una sezione infinitesimale, microscopica, senza avere la benché minima idea di ciò che c'è al di fuori. Non è quindi una community in senso splinderiano, perché non è completamente aperta. È come se uno si trovasse in un ammasso galattico gigantesco e cercasse di navigarvi, avendo però le dimensioni di una minuscola scintilla. Dove potrebbe andare? Potrebbe avere consapevolezza dei densissimi grappoli di stelle che si stanno formando? Potrebbe tracciare una mappa dei sistemi solari più antichi, delle stelle a neutroni e dei pianeti vagabondi? Allo stesso modo, in Facebook tutto dipende dai contatti e dagli ambienti che si frequentano (pagine, gruppi, etc.), che sono soltanto microscopiche particelle in un Cosmo vastissimo. Cercare spiriti affini può essere una fatica soverchiante quanto inutile. Torniamo quindi al problema della solitudine. Si va alla deriva, si posta qualcosa, si mette qualche reazione ai post che compaiono nella homepage, si pubblica qualche commento e tutto finisce lì. Sono azioni compulsive e futili. Il senso è scomparso da tempo. Facebook non è un contenitore adatto alle idee. Non è nemmeno un luogo in cui poter trovare quello che si desidera, qualunque cosa possa essere. Immaginiamo che un utente cerchi sesso occasionale. In Splinder si poteva anche riuscire a trovare un pompino. Anzi, c'è gente che in Splinder ha trovato addirittura il partner della vita e ci ha anche fatto un figlio. Facebook è un deserto. Solo per fare un esempio, se ci fosse una ninfomane che si mette in posa a gambe allargate, sarebbe un inutile massacro: si formerebbero masse di energumeni in competizione tra loro, facendo finire tutto in uno schifo che non può nemmeno essere descritto a parole. Ormai Zuckerborg riesce persino ad anticipare i processi di formazione di un desiderio, sommergendo l'utente di post pubblicitari di siti per incontri. Siti che sono soltanto trappole con cui speculatori senza scrupoli sfruttano le miserie umane. Per quanto riguarda la mia esperienza su Facebook, diventa sempre più solitaria ogni giorno che passa. La socialità va estinguendosi, come un ruscello che si secca sotto il solleone. Credo che sia significativo far notare che molti dei miei contatti, e tra questi i più attivi, siano un'eredità dei lontani tempi di Splinder. Ho conosciuto ben poche persone nuove, non splinderiane.     
 
Una rivoluzione fallita 
 
Con la triste fine di Splinder, la Blogosfera è tornata ad essere il regno oscuro della Rete Solitaria! Eppure i mezzi di comunicazione non mancano, anzi, si sono evoluti notevolmente dai tempi in cui Palombi descriveva la sua utopia. Com'è possibile questo? Ci ho pensato moltissimo, inutilmente. Non me lo riesco a spiegare. L'esperimento antropologico di Splinder non si è più ripetuto. Non è mai più comparso nulla di simile. Quando ho esposto questo problema a svariati conoscenti e ho domandato loro quali potessero esserne le cause, nessuno mi ha saputo dare una risposta convincente. L'ipotesi più comune è questa: Splinder avrebbe suscitato un enorme entusiasmo perché era una novità. Come tutte le novità, sarebbe poi venuto a noia. Non sono convinto che sia così. C'era davvero qualcosa di magico, quasi un'alchimia folle che non ha potuto essere riprodotta in condizioni diverse da quelle in cui è stata generata.

sabato 5 settembre 2020

L'OPERA DI EDWARD BERNAYS E LA MORTE DELLA BLOGOSFERA

 

Edward Bernays (Vienna, 1891 - Cambridge, 1995) era nipote di Sigmund Freud: suo padre Ely era fratello di Martha Bernays, moglie del Padre della Psicanalisi - ed era sposato con la sorella di quest'ultimo, Anna Freud Bernays. Oggi sono pochi a ricordare il suo nome, eppure la sua importanza nella storia del genere umano è stata capitale. Egli conosceva i segreti del potere della comunicazione, che gli furono rivelati direttamente da Satana. Fu una delle persone più potenti, spietate e maligne mai apparse sulla faccia di questo pianeta.  

Fu giustamente definito Padre delle relazioni pubbliche. Egli fu anche il primo spin doctor, alla lettera "esperto in colpi a effetto", specializzato nel procurare consenso elettorale ai personaggi politici di cui era consulente, servendosi di opportune "strategie di immagine"

Le idee di partenza sono quelle dell'antropologo Gustave Le Bon, del chirurgo Wilfred Trotter, dello scrittore Walter Lippmann e dello stesso Sigmund Freud. Le masse sono come colonie di batteri. Inutile cercare di convincerle di qualcosa in cui non credono. Qualsiasi argomentazione razionale si utilizzerà nel tentativo di far cambiare loro idea su qualcosa, non si otterrà successo alcuno. Per raggiungere lo scopo prefisso è necessario manipolare l'opinione pubblica. Si può dire che Bernays sia stato il primo a utilizzare sugli esseri umani le teorie di suo zio, allo scopo di controllare la popolazione e di mutarne le proprietà definitorie. Così è iniziata la progressiva metamorfosi dei cittadini americani in consumatori, promossa con nefasto successo dal Padre delle relazioni pubbliche. Riporto in estrema sintesi alcune delle sue imprese più significative, che hanno lasciato nella Storia conseguenze durature, talvolta drammatiche. 
 
Bernays scatenò l'odio antitedesco 
 
A soli 26 anni, Bernays era un consulente del Committee on Pubblic Information (anche noto come Creel Committee), nato poco dopo l'entrata degli Stati Uniti nella Grande Guerra contro la Germania e l'Austria. Il popolo americano era ostile all'intervento bellico e questo era imbarazzante per il governo. Bernays diede un contributo determinante nel produrre un'isteria antitedesca nelle plebi e rendere desiderabili le ostilità. I suoi slogan: "Portare la democrazia in tutta Europa" e "Fare del mondo una democrazia più sicura". Si riconosce il suo zampino nei manifesti dello Zio Sam con la scritta "I want you for the US Army" e in quelli con il Kaiser rappresentato come un gigantesco scimmione con l'elmo chiodato e una clava con scritto KULTUR, intento a rapire una giovane donna bionda.
Alcune conseguenze:
Ci furono linciaggi, ondate di panico e persecuzioni di cittadini di origine tedesca; molte persone con cognome tedesco furono costrette a cambiarlo per salvarsi la pelle. Questo è il motivo per cui negli States ci sono tanti Goodman (che in origine erano Gutmann), Weaver (che in origine erano Weber), Wood (che in origine erano Wald), etc. 

Bernays diede fama di filantropi ai tiranni
 
John Davison Rockefeller era odiato mortalmente dagli operai, perché era uno spietato tiranno che stritolava le loro vite. I comunisti volevano addirittura rapirlo e ucciderlo. Ebbene, Bernays riuscì a trasformarlo in un filantropo, donatore di smisurati patrimoni! Il mutamento promosso fu più profondo di quanto non si immagini. Se l'operaio viene costretto a turni massacranti coi caporali pronti a randellarlo, se le sue condizioni di vita sono malsane, se la sua alimentazione è scarsa, si manterrà un permanente focolaio di odio e di insurrezione. Le idee socialiste e anarchiche diverranno prevalenti, fino a portare ad attentati e ad altre violenze. Se invece all'operaio saranno dati quattro spiccioli in più con cui comprarsi del cibo in quantità sufficiente, se gli sarà data la possibilità di avere una casetta prefabbricata, se si potrà permettere l'acquisto e il mantenimento di un'utilitaria, ecco che i focolai socialisti ed anarchici saranno soffocati. Nessuno penserà più ad insorgere. Così è stato: Bernays ha fatto sì che per molti anni le idee considerate pericolose dai datori di lavoro perdessero il loro fascino tra i lavoratori. Nel 1939, all'Esposizione Universale che si tenne a New York, lo Spin Doctor fece esibire in un padiglione una famiglia di ex comunisti, per dare testimonianza del trionfo della società dei consumi.
 
Bernays cambiò le abitudini alimentari americane 
 
Una ditta produttrice di salumi lamentava le scarse vendite di bacon. Ormai la pancetta affumicata era considerata un cibo antiquato, fuori moda, addirittura rustico. Nelle città si era imposta una colazione molto leggera: una tazza di caffè, un bicchiere di succo di frutta e un paio di fette di pane tostato. Proprio a Bernays fu dato l'incarico di incrementare le vendite di bacon. Egli non usò una campagna pubblicitaria classica, basata sulle qualità del prodotto. Fece molto di più. Si attivò per cambiare le abitudini degli Americani e ci riuscì. Assoldò diversi medici famosi perché sostenessero la necessità di una colazione abbondante e diffuse le loro interviste, in modo tale che ogni famiglia fosse martellata dalla propaganda. I giornalisti fecero partire il tam tam mediatico ed ecco: la colazione a base di uova fritte e bacon fu presentata come "la colazione di tutti gli Americani" (All Americans' breakfast). Il successo fu travolgente: in breve tempo le vecchie abitudini frugali furono abbandonate. Di più, furono dimenticate. La colazione di tutti gli Americani era diventata tale retroattivamente, da tempi immemorabili! 
Conseguenze:
Il cambiamento dell'alimentazione in America non si è limitato alle uova col bacon, ma ha generato un'epidemia di voracità che ha indotto sempre più persone a ingurgitare quantità immense di cibo spazzatura (junk food). L'obesità è diventata un autentico flagello, portando a un aumento enorme dei casi di infarto e di ictus.
 
Bernays fece fumare le donne 
 
Negli anni '20 dello scorso secolo il rapporto tra le donne e il fumo non era semplice come ai nostri giorni. Non era ritenuto conveniente che una donna fumasse. Anzi, l'atto era un vero e proprio tabù. Le cosa sono cambiate in modo drastico a partire dal 1929, quando a Bernays fu dato dall'industria del tabacco l'incarico di incrementare le vendite. Un comune pubblicitario si sarebbe limitato a vantare i prodotti di una marca di sigarette. Bernays ebbe un'idea mefistofelica: comprese quanto sarebbe stato imponente il successo se fosse riuscito a espandere il mercato, facendo fumare non soltanto gli uomini, ma anche le donne. Se avesse cercato di convincere la società americana usando sofismo, di certo non ci sarebbe riuscito. Così presentò il cambiamento come una cosa già compiuta, come un dato di fatto. Ciò che era sconveniente sarebbe sembrato desiderabile! Ecco che fece sfilare alcune splendide modelle intente a fumare sigarette e incaricò alcuni giornalisti di comporre un articolo intitolato "Le Torce della Libertà" (Torches of Freedom). Fu qualcosa di travolgente. Le donne si buttarono in massa sulle sigarette, mettendosi a fumare come comignoli! Secondo le fonti, il trionfo di Bernays sarebbe stato causato dal fatto che tramite il fumo ogni donna poteva pensare di avere un pene. Secondo me è qualcosa di più sottile: ogni donna poteva mostrare un simbolo della fellatio e del potere della sua bocca sul fallo!
Alcune conseguenze:
Tutti i cancri che nel corso del decenni hanno ucciso milioni di donne a causa del fumo sono da imputarsi interamente a Bernays.   
 
Bernays mandò Hitler al potere 
 
L'ascesa di Adolf Hitler al potere fu condizionata da molte concause e non è facile comprenderne i meccanismi in dettaglio. Sappiamo però per certo che Bernays ebbe la sua parte, e fu una parte molto importante. La consapevole manipolazione delle tremende energie dell'inconscio collettivo fu qualcosa in cui l'Uomo di Braunau divenne un maestro indiscusso, animato dalla certezza di poter controllare in ogni momento le forze ctonie che aveva scatenato. Il Ministro della Propaganda del III Reich, Joseph Goebbels, era un grandissimo ammiratore di Bernays, al punto che non si curava minimamente di un dettaglio di non poco conto su di lui: l'appartenenza al Popolo Eletto. Lesse i suoi libri e ne applicò senza scrupolo alcuno gli insegnamenti. Adottò le tecniche bernaysiane per mantenere con pugno di ferro il potere conquistato da Führer e per diffondere in modo capillare un antisemitismo virulento, talmente violento da arrivare al parossismo. A quanto si dice, il nipote di Freud rimase inorridito dall'uso che la dirigenza della NSDAP faceva delle sue dottrine e delle sue tecniche, ma non poté farci nulla. Una reazione vana: chi inventa un'arma micidiale, dovrebbe essere consapevole dell'uso che se ne potrà fare e delle sue conseguenze.
Per quanto bizzarra la cosa possa essere, il ruolo di Bernays nel plasmare il Reich Millenario è considerato un tabù in America. A quanto ho constatato se ne trovano poche menzioni nella Wikipedia in inglese, ma non uno specifico paragrafo. 
Olasky (1984) ha scritto questo: 
"Bernays stesso ha aggiunto benzina a questo fuoco quando ha sostenuto, come ha fatto Goebbels, la necessità che uomini forti, dèi umani, emergano come influenzatori dell'opinione pubblica; per esempio, in un discorso alla Financial Advertisers Association nel 1935, Bernays ha affermato che la risposta principale ai problemi finanziari è 'acquisire un'intera nuova serie di eccezionali simboli viventi umani. che manterranno la fiducia del pubblico... Pubblicisti, economisti, leader nella ricerca, i capi delle grandi istituzioni educative possono e devono essere resi simboli umani per portare nuova fede e forza." I giornalisti hanno paragonato questo tipo di dichiarazioni di Bernays ai pensieri di Goebbels o, in alternativa, di Stalin."
Il paragone è una delle poche cose sensate proferite dalla genia dei giornalisti, mi sento in dovere di aggiungere.
Alcune conseguenze:
La II Guerra Mondiale e la distruzione degli Israeliti in Europa difficilmente avrebbero avuto corso senza il contributo di Bernays.
 
L'eredità dello Spin Doctor  

Edward Bernays morì nel 1995 alla venerabile età di 103 anni. Eppure, nonostante quasi nessuno più parli di lui, le sue dottrine ancora vivono e sono applicate in modo pervasivo! 

La morte della Blogosfera 

I Blog davano un immenso fastidio. Erano considerati un autentico flagello. Pensate soltanto alla situazione in Italia: Berlusconi tentò per molti anni di distruggere la Blogosfera, usando sistemi come l'intimidazione, le leggi ad hoc e innumerevoli altri mezzi iniqui. Eppure tutti i suoi tentativi di controllo del Web sono sempre falliti. Questo è un dato di fatto. Ovviamente la situazione di insofferenza verso la Blogosfera era qualcosa di planetario, non esclusiva della realtà italiana. I maggiorenti di Google, Satrapi di Ahriman, sono riusciti a risolvere il problema una volta per tutte, proprio facendo ricorso agli insegnamenti di Bernays. 
 
Non si poteva convincere il volgo che la funzione dei Blog non fosse quella di comunicare e diffondere informazioni, magari peculiari e scomode. È invece bastato presentare i propri desiderata come realtà compiute e incontrovertibili. Così un giorno è stato rivelato alle masse: "Il blog è un'azienda!" Così è accaduto qualcosa di incredibile. Un blogger si poneva questa domanda, più che legittima: "Come posso far sì che i miei contenuti abbiano una maggior diffusione?" Gli eredi dello Spin Doctor, che ha appreso i Misteri dell'Iniquità dal Libro Apadno, scritto da Lucifero con inchiostro verde, hanno rivelato: "Devi ottimizzare i tuoi contenuti servendoti del SEO, mettendone in pratica gli arcani!" La sigla SEO sta per "search engine optimizer" (ottimizzatore dei motori di ricerca). Così si è giunti a quella che dovrebbe essere considerata una vera e propria aberrazione: "Per far valere i tuoi contenuti, li devi modificare! Li devi cambiare! Devi scrivere quello che vogliamo noi!" 

Si introduce il concetto di "contenuto di qualità", la cui definizione è oltremodo nebulosa e gestita dagli algoritmi impenetrabili dell'Idiozia Artificiale. Ti dicono che un contenuto di qualità è orginale. Benissimo. Se io cito un autore, come ad esempio Poe, allo scopo di commentarlo, ecco che l'Idiozia Artificiale non capisce e mi accusa di non essere originale. Basta usare una parola al di sopra delle righe, come ad esempio "pompino", per essere messi nella lista nera. Se poi qualcuno ha l'idea di parlare del Nazismo, ha finito di vivere. Per l'Idiozia Artificiale, non c'è differenza alcuna tra il ricorrere della parola "genocidio" nelle invettive di un neonazista o nel sito dello Yad Vashem.
 
Il concetto di "articolo pillar", unito alla "cannibalizzazione dei contenuti", è in pratica una forma di draconiana censura universale. Nell'Inghilterra del XIX era inflessibile il potere censorio del Lord Ciambellano, che impediva di portare in scena qualsiasi argomento seriamente politico o religioso. Ecco, è come se fossimo soggetti all'arbitrio di un Lord Ciambellano invisibile. Funziona così: se vuoi parlare di un argomento, puoi farlo una volta sola, componendo un articolo che lo riassume interamente, appunto un "articolo pillar" (ossia "pilastro"). Se scrivi altri articoli sullo stesso argomento, l'Idiozia Artificiale ti annienta. Per l'appunto, è come se i tuoi contenuti si distruggessero a vicenda, come se Google ti considerasse un auto-plagiario. Orbene, si potrà scrivere un solo articolo su come impastare gli escrementi di una influencer per farne una torta, ma come si fa a ridurre argomenti scientifici a un unico contributo? Si può parlare della Natura del Tempo in un unico "articolo pillar"? Si può parlare della lingua degli Etruschi in un unico "articolo pillar"? Diabole, no! 
 
Di fronte a questi subdoli cambiamenti, presentati come innovazioni desiderabili, non si sono viste insurrezioni di massa. Vuoi chiedere aiuto per qualcosa? Subito tutti presentano come panacea universale i princìpi di funzionamento del SEO, danto per assodata la natura aziendale dello stesso concetto di blog. Ti dicono che l'unica opzione è pubblicare contenuti commerciali. Se protesti, arrivano i troll (ovviamente prezzolati) e affermano con furore talebano che il blog è una realtà commerciale. Ecco il dogma fondante di questa campagna bernaysiana. Nonostante tutte le evidenze che ho riportato, le genti si crogiolano nella rassicurante equazione "democrazia = libertà". Tutto ciò mi dà i conati di vomito!

giovedì 3 settembre 2020

L'IMPERMANENZA DEL WEB

Spesso si sente dire: "Se una cosa è nel Web resta per sempre!" Esistono anche varianti come questa: "Se una cosa si trova in Google ci resta per sempre! Non si cancella più!" Queste opinioni circolavano già quando iniziai a navigare in Internet e godono tuttora di una notevole diffusione. Basta fare qualche indagine per scoprire che il pacchetto memetico della memoria immortale della Rete è stato inventato da un protoblogger e giornalista, Joseph Daniel Lasica, nel lontano giugno del 1998. Un suo post storico si intitolava "The Net never forgets" (reso in italiano con "Internet non dimentica niente"). In un'epoca anteriore al Web 2.0 aveva scritto "Dio perdona e dimentica, la Rete no". L'articolo, comparso sul sito Salon.com, è tuttora leggibile:
 
 
Eppure le cose non stanno esattamente come descritto da questo autore. Non sempre. Quante volte si cerca qualcosa di importante che non si riesce più a trovare da nessuna parte! Posso dimostrare con alcuni esempi concreti che anche l'informazione presente nella Rete delle Reti è soggetta alla degradazione e all'annichilimento. 
 
Il culo di Ramona 
 
Esisteva uno strano blog sull'estinta piattaforma blogosferica di Splinder: Neodecadenza. L'url era neodecadenza.splinder.com. Il blogger che gestiva il portale aveva come nick Appestato. Aveva una scarsa opinione di sé: spesso scriveva cose come "sono un merdone". Un giorno pubblicò una poesia oscenissima ma originale, che brillava per laidezza e genio nel firmamento splinderiano. Si intitolava Il culo di Ramona. Parlava di una ragazza di nome Ramona, bruttina ma lasciva, che era ancora vergine e curava poco l'igiene intima. La sua vulva velata dall'imene emanava lezzi ed era piena di smegma: nulla che non si potesse sistemare passandoci sopra un semplice panno umido. Non era però il pertugio anteriore l'attrazione principale, bensì lo sfintere dell'ano, disponibile alla penetrazione. Ricordo soltanto i versi finali del componimento, che incitavano a iniettarle lo sperma nell'intestino: 
 
un culo pieno di merda scorreggiona, 
un culo da sborrarci dentro è quello di Ramona. 

Devo ammettere che mi è capitato di masturbarmi pensando a Ramona, plasmandola nella mia fantasia morbosa, con grande realismo. Ora, quando ho pensato bene di cercare la poesia nel Web, ho fallito miseramente. Non ve ne è più la benché minima traccia da nessuna parte. Adesso si potrà dire che il Web abbia un ricordo di Ramona, del suo culo e delle sue attività sodomitiche: ho reimmesso io le informazioni tramite questo post! Qualcuno dirà di utilizzare la Wayback Machine (https://wayback.org/web/), la famosa macchina del tempo del Web, che permette di visualizzare degli snapshot di siti e blog ormai estinti. Se un utente inserisce nell'apposita finestra l'url da ricercare, la macchina del tempo gli mostra le varie catture, simili a fotografie. Bisogna precisare che non è possibile fare ricerche più estese servendosi di questi snapshot: sono resti cristallizzati e monadici di un passato perduto. Tra gli Splinderiani della Diaspora si trovano spesso imbecilli convinti di poter recuperare persino i commenti e i messaggi privati. In realtà questi snapshot sono catture casuali e non salvataggi completi di tutto un portale: i link che contengono sono quasi tutti rotti. Un amico aveva il brutto vizio di mettere il tag <-br-> (detto anche break row, su Splinder funzionava con i trattini) per non mostrare nel blog post troppo lunghi: il lettore premeva su questo tag e il post si apriva nella sua interezza. Peccato che la Wayback Machine abbia salvato soltanto le parti dei post prima del fatidico tag, rendendo inaccessibile il resto. Tornando al culo di Ramona, ho provato molte volte ad andare nella macchina del tempo e a digitare neodecadenza.splinder.com. Niente da fare. Esiste un unico snapshot, risalente al 2011 e per giunta inaccessibile! Ritorna una schermata bianca. Quindi si è dimostrato che un contenuto messo nel Web da un utente ora non esiste più, non può più essere recuperato.  
 
 
Chiunque può vedere cosa si può leggere: assolutamente niente! In ogni caso, nel 2011 il blog di Appestato non conteneva più la poesia Il culo di Ramona: qualche anno prima il portale era stato distrutto da qualche hacker e rifatto ex novo. Il gestore mi confidò che in quell'occasione aveva perduto tutto il precedente materiale e non riuscì più a produrre nulla di paragonabile.   
 
Il lignaggio di Sylvester Stallone 
 
Qualche anno fa mi è capitato di leggere una notizia bizzarra su Sylvester Stallone. Egli era tormentato dall'assenza di notizie sui suoi Avi, così ha commissionato qualche ricerca in proposito. Purtroppo è caduto nella trappola ordita da alcuni imbroglioni, che gli hanno comunicato la sua origine dalla stirpe degli Stallonizzi, definiti "fornaretti di Venezia". Egli si è fatto fabbricare persino un anello araldico. In occasione di un suo viaggio in Italia, egli si è accorto tuttavia che gli Stallonizzi erano soltanto il parto di una fantasia malata. Così ha commissionato ulteriori indagini, stabilendo alla fine la sua discendenza da una famiglia nobiliare pugliese, gli Stallone, il cui motto è SINE METU, ossia "senza paura".  Ho anche letto che Stallone avrebbe gettato di persona l'anello fittizio degli Stallonizzi nel crogiolo, facendone forgiare l'autentico anello degli Stallone di Puglia. Non so quanto di vero esista in tutto questo. La fonte potrebbe essere poco fidedigna, essendo una rivista scandalistica che avevo trovato nella sala di attesa di un medico. Queste amenità sono emerse nella mia mente per puro caso, in seguito a una libera associazione. Ho fatto qualche ricerca in Google, giungendo alla conclusione che degli Stallonizzi e della complessa truffa non esiste alcuna testimonianza nel motore di ricerca. Stallone ha esercitato il diritto all'oblio? Oppure era tutta un'invenzione di un giornalista in cerca di scoop? Ebbene, la cosa non può più essere determinata. Quando sarò morto, quando questo blog si sarà inabissato, quando la Wayback Machine sarà stata dismessa, quando non esisterà più nemmeno un'esile traccia della Blogosfera, queste notizie saranno per sempre inaccessibili. Apparterranno all'Entropia! Tutto muore, perché questa Creazione è fallibile e fondata sul Nulla: anche i contenuti del Web si stemperano e lasciano come unica traccia residui e cenere. Niente in questo universo demoniaco è immune alla corruzione e allo sfacelo. La dissoluzione nell'Oblio attende tutti, anche Zuckerberg, Bill Gates, Bezos e gli ideatori di Google.
P.S.
Attualmente il Web riporta informazioni del tutto diverse sulla genealogia stallonesca: 
 
 
Un ago in un pagliaio 
 
Non basta sapere che esiste un ago in un pagliaio. Devi anche sapere in che pagliaio è nascosto. Immagina ora di avere una sola informazione: da qualche parte c'è un ago, in un pagliaio che si trova in Francia. Può essere in Alta Savoia o in Bretagna, a Bordeaux o in Piccardia. Come puoi contare anche soltanto di iniziare a cercarlo? La Wayback Machine è assolutamente inutile. Oltre al fatto che permette soltanto di visualizzare le catture per un dato url e non di fare ricerche per stringhe scandagliando tutte le pagine stoccate, non è possibile impostare una ricerca sulla storia passata di un sito web se non si conosce il suo url. Può sembrare una cosa banale, ma non è così. Tu sai che c'era un certo blog sui ramarri, ma non ricordi assolutamente il suo url, che non era ovvio. Immaginiamo che tu non lo riesca a ricostruire, che non ricordi neanche il nick del blogger per fare qualche prova. Qualcuno dirà che nel Deep Web sono conservate le tracce di tutto ciò che è scomparso dal Web che tutti conosciamo. Benissimo, sfido chiunque a recuperarle. Lancio la sfida all'Ordalia! Che qualcuno vada negli abissi e trovi il testo completo della poesia di Appestato, Il culo di Ramona! Che qualcuno vada negli abissi e trovi la cronistoria completa delle ricerche genealogiche di Stallone da me citate (vere o fantomatiche che siano)! Se qualcuno potrà riuscire in queste imprese, allora e soltanto allora sarò disposto ad ascoltarlo.

martedì 25 agosto 2020

 
IL GRANDE INGANNO DEL WEB 2.0
 
Autore: Fabio Metitieri
Anno: 2009
Genere: Saggio
Temi trattati: Web, blog, siti, media, giornalismo 
Lingua: Italiana
Editore: Laterza
Collana: Saggi tascabili Laterza (n. 322)
Codice ISBN-10: 8842089176
Codice ISBN-13: 978-8842089179
Formato: Copertina flessibile
Pagine: 182
 
Sinossi:
In un’Internet di massa, trovare ciò di cui si ha bisogno è sempre più difficile, ma ancor più difficile è valutarne l’attendibilità. È il prodotto dell’ideologia del Web 2.0 – quello di blog e social network – che preconizza la scomparsa degli intermediari dell’informazione, dai giornalisti alle testate di prestigio, dai bibliotecari agli editori, presto sostituiti dalla swarm intelligence, l’intelligenza delle folle: chiunque può e deve essere autore ed editore di se stesso. Il ‘mondo Web 2.0’, dove nessuno è tenuto a identificarsi e chiunque può diffondere notizie senza assumersene la responsabilità, realizza davvero un sogno egualitario, o piuttosto un regno del caos e della deriva informativa? 

Indice dell'opera:
 
Sommario
  La crisi dell'autorevolezza, fra l'ornitorinco e i lemming
  Imparare dagli errori per costruire un'intelligenza collettiva
  Istruzioni per la lettura e ringraziamenti
 
1. I nativi digitali come scoiattoli incapaci
  Quando tutto è Google
  I docenti contro i blog e contro il plagio
  Internet: strumento neutro o cattiva maestra?  
  Il copyright e le bufale: perché Internet non è onnisciente
 
2. Il Web 2.0 e gli user generated content
   Il Web 2.0: una brillante operazione di marketing
   Il negazionismo, i "flame" e i "barcamp"
   Il valore dei contenuti generati dagli utenti
 
3. La conversazione perduta dei blog
   La conversazione dai mercati ai blog, alle biblioteche
   Il successo dei blog e il fallimento dei bloggher
   Il desiderio di link e la piramide dei blog
   Un appunto sui veri Vib e su Beppe Grillo
   La conversazione nei media e la reputazione del villaggio
   Chi vuole distruggere l'idea comunitaria della Rete?
 
4. I dolori della stampa tradizionale e i new media
   La crisi della stampa e il fascino indiscreto del "rag"
   Ridurre i costi sfruttando gli Ugc
   Bloggher-giornalisti, new media e citizen journalism
 
5. Il caos che collabora: i wiki e le folksonomie
   Wikipedia e la resa delle enciclopedie
   L'anonimato, Knol e le folle di idioti
   Le folksonomie: i volatili tra gli zoologi e i cuochi
 
6. Le biblioteche, la filosofica open e i blog
   Le soluzioni 2.0 nelle biblioteche
   Gli "open archive": i blog degli accademici
   Validazione e valutazione negli open archive e nei blog
 
7. I difetti dei motori e i pregi delle persone
   Google, gli altri motori e il semantic web
   Le persone come fonti di informazione
   I social network e l'eccesso di socialità
 
8. Old media e new media allo sbaraglio
   Il racconto degli old media: Internet, Second Life e gli stupri
   Gli old media, i blog e il fallimento di Second Life
 
Conclusioni come valutare e come pubblicare
   L'infomation literacy, questa sconosciuta
   Valutare e pubblicare con giudizio (e con qualche metodo)
   Attrezzarsi per il Medioevo 2.0
 
Riferimenti bibliografici 

Recensione: 
 
Quando ho ordinato in libreria quest'opera, sono stato guardato male dalla commessa, che stupefatta ha farfugliato qualcosa come: "Ma è un contenuto datato!" La cosa le sembrava abbastanza scandalosa, neanche avessi ordinato un trattato sui processi digestivi dei mangiatori di feci o sulla diffusione dell'incesto tra madre e figlio. Non mi sono lasciato scoraggiare. Una settimana dopo mi è stato consegnato il volume, nella cui lettura mi sono presto immerso. Già conoscevo l'esistenza de Il grande inganno del Web 2.0: ne avevo reperito alcune recensioni e brani sparsi nella Rete, che mi avevano subito incuriosito. Per molto tempo avevo invano cercato di accedere a una copia in formato pdf, così alla fine mi sono deciso a optare per l'acquisto del volume cartaceo. Alcune ricerche mi hanno permesso di venire a conoscenza di alcuni importanti dettagli. L'autore era un giornalista ed è deceduto proprio nell'aprile del 2009, mentre era in corso la pubblicazione del libro in questione. Per quanto riguarda l'obsolescenza dei contenuti, mi sembra una questione di lana caprina: per indagare a fondo un fenomeno di capitale importanza è necessario consultare ogni fonte a disposizione, non soltanto i lavori più recenti. 
 
La visione che Metitieri ha del Web è cupa e in particolare si caratterizza per una forte ostilità verso la Blogosfera, che in parole semplici e pratiche è considerata alla stregua di un gigantesco immondezzaio. Già soltanto i titoli dei paragrafi del trattato sono tutt'altro che lusinghieri: i blogger sembrano dipinti non soltanto come coglioni, dementi, plagiari, parassiti e inquinatori, bensì come veri e propri soldati del Caos, consapevoli agenti dell'Entropia il cui fine è la distruzione di ogni punto di riferimento. In pratica siamo di fronte a una raccolta di osservazioni sparse, a tratti interessanti e a tratti tediosissime, inframmezzate da un pastone acido di contenuti a dir poco irritanti. Si capisce subito che l'oggetto della polemica non è un'astrazione, ma un avversario con un nome e un cognome: Giuseppe Granieri. Proprio lui, l'autore del saggio Blog Generation, pubblicato per la prima volta nel 2005. Metitieri applica molte volte la citazione (Granieri, 2005), più di rado (Granieri 2006), in pratica a ogni sorta di contenuti da lui ritenuti discutibili: Granieri confonde il Web con la Blogosfera, identifica i due concetti; Granieri afferma che la vecchia conoscenza, quella dell'epoca pre-Internet, sia obsoleta e vana; Granieri afferma che il blog è la storia intellettuale dell'individuo e che un individuo senza un blog è percepito come debole, etc. etc. Non che io abbia un'enorme simpatia per le tesi granieresche, però ho l'impressione che queste critiche a getto continuo nascondano un profondo livore personale.    

L'autore inizia la sua trattazione evidenziando tutti i limiti dei nativi digitali, la V Generation (dove V sta per virtual). Questi giovani, che non avevano mai conosciuto un mondo senza Internet, già confidavano nell'onnipotenza e nell'onniscienza di Google pur essendo incapaci di leggere lunghi testi on line. Abbastanza indigeste sono le continue geremiadi sull'inesorabile declino delle biblioteche cartacee, del mondo universitario e dei media tradizionali. Il tema centrale di queste lamentazioni bibliche è la crisi dell'autorevolezza, provocata dall'avvento del cosiddetto Web 2.0. A questa denominazione non è riconosciuta alcuna sostanza. In altre parole non si avrebbe alcuna differenza tra un Web 1.0 e una sua versione successiva, il Web 2.0: sarebbe tutto derivato da un equivoco comunicativo. Mi sarà permesso di dissentire. Il Web 1.0 era la Rete Solitaria, formata da una serie di pagine simili a vetrine, con i cui gestori era molto difficile interagire. La linea di demarcazione a mio avviso si è avuta quando hanno cominciato ad esserci intense comunicazioni tra utenti, proprio tramite la Blogosfera. 
 
Metitieri aveva forse un'opinione troppo elevata della professione che esercitata: la considerava come un ideale sublime per cui valeva la pena di combattere. Il nemico del giornalismo erano proprio i blog nel loro insieme. Lo stesso concetto di blog fin dall'inizio suscitava la furiosa reazione dei media tradizionali. Per molti giornalisti, i blog erano le membra informi di un colossale Moloch, che chiamavano "macchina del fango". Adesso che al desiderio di link è subentrato il deserto dei link, la polemica mostra segni di affievolimento.     

Riporto alcuni esempi che possono essere utili a illustrare ciò che intendo dire.
 
Nella migliore delle ipotesi, i Millennial erano ancora girini spermatici in nuoto nei testicoli paterni, quando Beppe Grillo inscenò uno sketch in cui Spadolini aveva un telefono mozzo con solo la parte audio, mentre all'altro capo della linea c'era Brezhnev con un altro telefono mozzo con soltanto il microfono in cui impartire ordini. Erano tempi non sospetti: Grillo era un comico e non esisteva il MoVaffaimento. Ecco, i media tradizionali sono come il telefono di Spadolini di grillesca memoria. Politicanti, giornalisti e presentatori parlano e i cittadini ascoltano, subiscono senza poter mai replicare. Una comunicazione verticale e unidirezionale. Nessun cittadino poteva nemmeno diffondere in modo efficace le proprie opinioni ad altri suoi simili: ogni cosa che venisse detta o scritta non arrivava da nessuna parte. 
 
In epoca pre-blog, un giornalista compose un articolo sull'omosessualità militare, cominciando a discorrere di Alessandro il Grande per passare poi a Röhm e a Mishima. Un interessante articolo, ma con un dettaglio di non poco conto. Il nome attribuito a Röhm era Eric anziché Ernst, sia nel testo che nella foto. Sono andato su tutte le furie e ho subito scritto una mail alla redazione, chiedendo che fosse pubblicata una rettifica dell'errore. Non ebbi alcun riscontro. Come doveva essere in epoca antecedente l'introduzione dell'email? Anche peggio. Questa è l'autorevolezza del giornalismo: non è garantita alcuna accuratezza delle informazioni, non si può interagire, non si può reagire alle stronzate, non si possono emendare errori marchiani, non si può comunicare in alcun modo. Si può soltanto subire, con buona pace di Metitieri. Tramite il Web tutti possono sapere che il tal giornalista ha scritto una stronzata. Tutti lo possono leggere. Forse non servirà a molto, ma qualche internauta prima o poi incapperà senz'altro nel testo e si renderà conto dell'accaduto.  
 
Anche l'accademia mostra problemi simili. Ho identificato diversi errori marchiani, talvolta sesquipedali, fatti da professori su alcuni loro testi. Facchetti, che pure è un ottimo etruscologo, ha fatto molti voli pindarici a partire da una parola greca tradotta in modo erroneo come "topi", mentre in realtà significa "mosca"; da questi roditori inesistenti ha dedotto un verbo col senso di "consumare". Pur avendo pubblicato un articolo sulla questione, non ho avuto nessun riscontro. Fattovich in un suo lavoro sull'antico irlandese ha tradotto erroneamente con "naviglio" una parola che significa "ombelico". Anche in questo caso, pur avendo reso pubblica la questione in un articolo sul mio blog, non ho avuto riscontro alcuno. Voglio credere che sia perché i miei lavori non sono stati indicizzati bene da Google, sfuggendo così all'attenzione. Altrimenti dovrei dedurre, visto che gli errori degli accademici citati sono rimasti al loro posto, che il ragionamento sia stato un "metitierismo" di questo genere: "Se una cosa è scritta su un blog, allora è merda e non vale nulla." Anche se è vera, oserei aggiungere. Eppure sono convinto che i miei articoli siano utili: prima o poi qualche internauta leggerà e trarrà le sue conclusioni. In fondo è anche colpa della mia accidia: avrei potuto scrivere una mail ai docenti per segnalare gli errori. Non l'ho fatto, ho preferito dare la possibilità di una discussione pubblica e costruttiva, impossibile ai tempi della civiltà del libro stampato. 
 
Concordo con Metitieri sull'importanza dell'information literacy, che è la capacità di reperire fonti (on line e off line) e di valutarle. Reputo tuttavia che la validazione dei dati reperiti nel Web non affatto così ardua come viene suggerito, anzi, è una sfida oltremodo interessante. Spesso si rimanda a contenuti cartacei informatizzati, ad esempio in Webarchive o altrove. La cosa può funzionare anche senza che ci sia un signore chiamato "bibliotecario", che magari non sa nulla dell'argomento trattato. La generalizzazione è stigmatizzata, spesso confusa con la più che legittima inferenza statistica. Quando però si parla dei blog, la generalizzazione è ritenuta lecita dai giornalisti. C'è la tendenza a non distinguere i singoli portali e le singole informazioni, come se valutandone una ne conseguisse in via diretta la valutazione di tutte le altre. Se 99 blogger su 100 sono superficiali e non considerano il problema delle fonti, questo non significa che tutti i blog siano automaticamente sterco, per definizione. Così non si può dire che se su un blog è presente un'inconsistenza, tutto ciò che vi è contenuto debba essere automaticamente inconsistente. 
 
Per i politici di ogni genere e di ogni nazione, la comunicazione tra i cittadini è una iattura, qualcosa di sommamente funesto. Solo per citare un caso, Erdoğan ebbe a dire che il Web è come un'autobomba. Da quando ho iniziato la mia attività nei blog su Splinder, ci sono stati decine di tentativi da parte di forze politiche varie, tutti volti a reprimere la Blogosfera, ad impastoiarla con i mezzi più elaborati e stravaganti. Hanno tentato di accusare i blogger di stampa clandestina. Hanno tentato di trasformare ogni blogger (anche il perditempo che parlava della diarrea dei gatti) in un giornalista iscritto a una specie di albo, con l'obbligo di assumere un redattore e un legale. Hanno tentato di punire in modo draconiano ogni contenuto blogosferico etichettabile arbitrariamente come "apologia di reato" o "istigazione": ci fu addirittura una proposta, per fortuna naufragata, che arrivava a prevedere pene fino a 12 anni di carcere. Hanno tentato di ostacolare i blogger servendosi del copyright, minacciando di oscurare senza l'intervento del giudice ogni portale che riportasse anche solo il titolo di un articolo di giornale o che mostrasse anche soltanto un'immagine presa dalla Rete. Hanno cercato di censurare i blogger imponendo un gravoso obbligo di rettifica, da applicarsi in tempi rapidissimi alla minima denuncia o segnalazione. La piattaforma blogosferica Splinder è stata acquistata soltanto per essere chiusa; nessuno potrà mai convincermi che i motivi della sua cessazione non fossero di natura politica. Tutto questo è accaduto in Italia, in quella che è considerata una delle democrazie più avanzate del pianeta. Ci si aspetta che cose simili siano tipiche dei paesi del terzo e del quarto mondo. Ci sono luoghi in cui i blogger finiscono finiscono incarcerati e torturati, addirittura macellati e appesi ai viadotti autostradali. All'epoca c'era il timore paranoico che presto o tardi in Europa si sarebbe potuto instaurare un regime autoritario che avrebbe liberato le galere dai criminali per riempirle di blogger. Faccio notare che Metitieri non ha menzionato nulla di tutto ciò, nulla di ciò che ha potuto vedere mentre era in vita.

Errori folksonomici 
 
L'autore critica il sistema di categorizzazione dei portali blogosferici, da lui etichettato come folksonomia (dall'inglese folksonomy). Lo contrappone al sistema di catalogazione dei volumi nelle biblioteche cartacee, facendo intendere che si tratta di un'attività nociva e apportatrice di marasma. Si capisce subito che il paragone è abusivo e insostanziale. A dire il vero, non avevo mai sentito usare quella strana parola prima di conoscere Il grande inganno del Web 2.0. Non si è mai parlato di folksonomie ai tempi di Splinder, soltanto di categorie e di categorizzazione. Esisteva anche un nome dato a queste etichette dei post, ossia tag. In alcune piattaforme blogosferiche esisteva l'identità tra categoria e tag, in altre si trattava invece di due concetti diversi. Ci terrò a precisare che le folksonomie sono raramente utili e danneggiano innanzitutto il blogger. Se si etichettano male i contenuti, si rischiano poi pesanti conseguenze nella loro indicizzazione da parte di Google. Non ho mai visto nemmeno un blogger animato dalla pretesa di organizzare i contenuti in una classificazione folksonomica basata su una logica rigorosa. Spesso la folksonomia è improvvisata e incoerente. L'accidia frena ogni tentativo di miglioramento. Trovo assurdo che Metitieri descrivesse questi sistemi di etichette come l'arrogante pretesa di rifondare la Scienza, quando è soltanto cazzeggio. Neanche si parlasse delle imprese di Linneo o di Darwin! 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 

L'internauta .mau. ha definito il saggio di Metitieri "Una voce fuori dal coro e molto interessante". Poi però ha aggiunto "peccato parli troppo dei blog". La Blogosfera è in buona sostanza considerata merda. Ecco un estratto in cui si spiega il concetto: 
 
Però a mio parere la vis polemica ha portato l'autore a perdere un po' di vista la sua tesi principale, e cioè che da un lato oggi risulta sempre più difficile validare e valutare la correttezza di un fatto, perché non ci sono più fonti autorevoli, e dall'altro si nota come la gente stia perdendo il proprio senso critico e si limiti a ricerchine banali senza un'analisi critica dei primi risultati che escono. Aver passato buona parte del libro a denigrare i blog, generalmente prendendo come esempio per antonomasia i saggi di Giuseppe Granieri, dà loro troppa importanza, e nasconde appunto il vero e condivisibile problema dell'attendibilità delle fonti. 
 
Per Chiara Marra ci troveremmo addirittura di fronte al "Vaccino alla saggistica di De Biase e Granieri". A questo titolo altisonante aggiunge quindi: "quando internet non è positivista". Non capisco bene cosa intenda dire. Forse pensa che il Web debba essere animato dalla fede di poter giungere a spegnere e accendere il sole come se fosse una lampadina?  
 
Woland ha scritto: 

Le ipotesi erano pure giuste ma lo svolgimento è superficiale nei due punti essenziali:
1)la falsità utopistica della sostutizione dell'intelligenza delle masse agli intermediari dell'informazione e 
2) i rapporti tra editoria tradizionale e editoria elettronica 

Questi due punti andavano sviluppati meglio e invece nel libro non si trova molto di più degli enunciati messi in IV di copertina. 
Magari togliendo un po' di spazio all'inutile e ridondante sproloquio su blog blig blug etc etc 

Ercole aggiunge: 

Un saggio "quasi totalmente inutile" 

Amare riflessioni 
 
Usando il suggestivo linguaggio dell'intervento di Woland, ecco un estremo sunto del pensiero che si ha l'impressione di poter estrarre dall'opera metitieresca: 

Se c'è la scabbia, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la lebbra, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la peste, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la guerra, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è il terrorismo, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è lo stupro, è colpa dei blog blig blug.
Se cìè la crisi, è colpa dei blog blig blug.
Se le cose vanno male, è colpa dei blog blig blug.