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mercoledì 26 maggio 2021

QUALIS ARTIFEX PEREO!

Mentre era in procinto di suicidarsi, il Divo Nerone, che come me nacque il 15 Dicembre, pronunciò una frase famosa tramandata da Svetonio. Queste sono le sue parole: "Qualis artifex pereo!" La traduzione più comune e tradizionale è "Quale artista muore con me!" o "Che artista muore con me!" Tutto sembra chiaro, tuttavia analizzando bene la questione si scopre che le cose non stanno esattamente così. Innanzitutto notiamo che il punto esclamativo è un'aggiunta degli editori, che hanno la tradizione di adattare i testi alle necessità moderne.  
 
Ecco il brano di Svetonio in cui è descritto il suicidio di Nerone (De vita Caesarum, VI, XLIX): 
 
 
Tunc uno quoque hinc inde instante ut quam primum se impendentibus contumeliis eriperet, scrobem coram fieri imperavit dimensus ad corporis sui modulum, componique simul, si qua invenirentur, frustra marmoris et aquam simul ac ligna conferri curando mox cadaveri, flens ad singula atque identidem dictitans: 'Qualis artifex pereo!'. Inter moras perlatos a cursore Phaonti codicillos praeripuit legitque se hostem a senatu iudicatum et quaeri, ut puniatur more maiorum, interrogavitque quale id genus esset poenae; et cum comperisset nudi hominis cervicem inseri furcae, corpus virgis ad necem caedi, conterritus duos pugiones, quod secum extulerat, arripuit temptataque utriusque acie rursus condidit, causatus nondum adesse fatalem horam. Ac modo Sporum hortabatur, ut lamentari ac plangere inciperet, modo orabat, ut se aliquis ad mortem capessendam exemplo iuvaret; interdum segnitiem suam his verbis increpabat: 'Vivo deformiter, turpiter - οὐ πρέπει Νερωνι, οὐ πρέπει· νήφειν δεῖ ἐν τοῖς τοιούτοις· ἄγε ἔγειρε σεαυτόν--'. Iamque equites appropinquabant, quibus praeceptum erat, ut vivum eum adtraherent. Quod ut sensit, trepidanter effatus: 'Ἵππων μ᾽ ὠκυπόδων ἀμφὶ κτύπος οὔατα βάλλει·' ferrum iugulo adegit iuvante Epaphrodito a libellis. Semianimisque adhuc irrumpenti centurioni et paenula ad vulnus adposita in auxilium se venisse simulanti non aliud respondit quam 'Sero' et 'Haec est fides'. Atque in ea voce defecit, extantibus rigentibusque oculis usque ad horrorem formidinemque visentium. Nihil prius aut magis a comitibus exegerat quam ne potestas cuiquam capitis sui fieret, sed ut quoquo modo totus cremaretur. Permisit hoc Icelus, Galbae libertus, non multo ante vinculis exsolutus, in quae primo tumultu coniectus fuerat.       
 
Traduzione:  

Poi, dal momento che ognuno dei suoi compagni, a turno, lo invitava a sottrarsi senza indugio agli oltraggi che lo attendevano, ordinò di scavare davanti a lui una fossa della misura del suo corpo, di disporvi attorno qualche pezzo di marmo, se lo si trovava, e di portare un po' d'acqua e un po' di legna per rendere in seguito gli ultimi onori al suo cadavere. A ognuno di questi preparativi piangeva e ripeteva continuamente: "Quale artista muore con me!" Mentre si attardava in questo modo, un corriere portò un biglietto a Faone: Nerone, strappandoglielo di mano, lesse che il Sento lo aveva dichiarato nemico pubblico e che lo faceva cercare per punirlo secondo l'uso antico; chiese allora quale fosse questo tipo di supplizio e quando seppe che il condannato veniva spogliato, che si infilava la sua testa in una forca e che lo si bastonava fino alla morte, inorridito, afferrò i due pugnali che aveva portato con sé, ne saggiò le punte, poi li rimise nel loro fodero, protestando che l'ora segnata dal destino non era ancora venuta. Intanto ora invitava Sporo a cominciare i lamenti e i pianti, ora supplicava che qualcuno lo incoraggiasse a darsi la morte con il suo esempio; qualche volta rimproverava la propria neghittosità con queste parole: "La mia vita è ignobile, disonorante. -Non è degna di Nerone, non è proprio degna. -Bisogna aver coraggio in questi frangenti. -Su, svegliati." Ormai si stavano avvicinando i cavalieri ai quali era stato raccomandato di ricondurlo vivo. Quando li sentì, esclamò tremando: "Il galoppo dei cavalli dai piedi rapidi ferisce i miei orecchi." Poi si affondò la spada nella gola con l'aiuto di Epafrodito, suo segretario. Respirava ancora quando un centurione arrivò precipitosamente e, fingendo di essere venuto in suo aiuto, applicò il suo mantello alla ferita; Nerone gli disse soltanto: "È troppo tardi" e aggiunse: "Questa sì è fedeltà." Con queste parole spirò e i suoi occhi, sporgendo dalla testa, assunsero una tale fissità che ispirarono orrore e spavento in coloro che li vedevano. La prima e principale richiesta che aveva preteso dai suoi compagni era che nessuno potesse disporre della sua testa, ma che fosse bruciato intero a qualunque costo. Il permesso fu accordato da Icelo, liberto di Galba, da poco uscito dalla prigione in cui era stato gettato all'inizio della rivolta.
 
Si deducono alcune cose interessanti: 
1) Nerone non conosceva alcuni importanti dettagli dei costumi antichi del Senato; 
2) Nerone aveva una grande familiarità col greco, al punto di usare questa lingua per comporre brevi frasi poetiche mentre la Morte si avvicinava a grandi passi;
3) Nerone aveva una personalità fortemente bipolare, tanto che passava da momenti di esaltazione e di megalomania a momenti di profonda depressione, spesso all'improvviso e in modo imprevedibile; 
4) Nerone era terrorizzato all'idea di essere destinato a terribili punizioni ultraterrene in quanto matricida e credeva di poter subire ulteriori sofferenze in caso il suo cadavere non fosse stato cremato intero secondo i riti.  
 
Pur sembrando chiarissima nel concetto espresso, la frase "Qualis artifex pereo" è stata soggetta a non pochi problemi interpretativi. Se diamo per buona la traduzione "Quale artista muore con me", dobbiamo notare che la struttura grammaticale della frase è abbastanza insolita. Qualcuno ha tradotto liberamente "Che artista perde il mondo" In ogni caso, i moderni se la cavano in qualche modo soltanto aggiungendo qualcosa a ciò che ha detto l'Imperatore: o c'è un pronome oppure il mondo, tutte cose assenti nella frase in latino. Dopo tanti secoli c'è inquietudine. Noi in italiano diremmo "Quale artista muore", con un verbo alla terza persona singolare, riferito al vocabolo "artista". La mentalità degli antichi Romani era di certo molto diversa dalla nostra: possiamo pensare che la concordanza fosse con il pronome personale a cui si riferiva l'esclamazione. Così avrebbero detto qualcosa che possiamo tradurre come "Quale artista muoio" Ne sono consapevole, in italiano non suona affatto bene. Tuttavia suonerebbe bene se intendessimo "Muoio come un artista" La cosa sarebbe perfettamente razionale e rientrerebbe benissimo nella mentalità neroniana, che era abbastanza teatrale. Dobbiamo però stare attenti. Cosa intendere per artista? Un creatore di nuovi concetti, un demiurgo riformatore del mondo, oppure un attore, un teatrante, un miserabile guitto? Ignoramus. Vediamo inoltre che il problema non è soltanto il termine artifex. Anche un semplice qualis prensenta difficoltà. Ho letto che Vittorio Sermonti, uomo di cui ho la massima stima, discuteva con Cesare Garboli all'epoca degli studi universitari, a proposito di cosa intendere per artifex e dell'accezione da dare a questo pronome qualis. "Quale artista" o "Come un artista" esprimono due concetti diversi, che tuttavia in latino erano indistinguibili, a meno di non usare un mezzo espressivo diverso da qualis. Riporto il link all'articolo di Cesare Garboli, Ma un imperatore muore come un artista o come un attore?, apparso nel lontano 2003 su Repubblica. Ne raccomando vivamente la lettura.   

 
Sermonti, Garboli avevano enunciato l'idea che artifex dovesse essere tradotto con "attore" indipendentemente dal filologo Raffaele Cantarella, che nel 1931 scrisse un contributo sull'argomento, in cui sosteneva la stessa tesi, Le ultime parole di Nerone morente, apparso su Mondo classico, I, pagg. 53-58. In questo suo intervento, specificava che "il τεχνίτης o l'artifex non è l'artista, ma è l'auleta o il vasaio o il fabbro o il barbiere o magari il carnefice". Fu da lui scelta l'interpretazione di "attore" per via delle notorie velleità artistiche di Nerone. Ecco un estratto dell'articolo di Garboli, che a un certo punto era arrivato a intendere "attore" nel modo più negativo possibile: 
 
"I diversi punti di vista si combattono ancora con grande vigore. E chissà che un giorno, tempo e salute permettendo, non proseguano con Sermonti (ma con il Forcellini sottomano), le nostre lontane conversazioni. In una recente, breve telefonica è saltata fuori, ineluttabile, un'altra lettura tanto fantastica e improbabile quanto suggestiva per la sua attualità: "Muoio come un buffone, come un povero guitto"."
 
E ancora: 
 
"Allora le parole di Nerone sembreranno riassumere in un solo enunciato tristemente rivelatore la vanità e insieme la tragica commedia della sua vita, unificando il suo delirio d’imperatore e la sua vocazione d'istrione. Mi piaceva che quelle parole si formassero come un soprassalto riflessivo, uno di quei pensieri che nascono lì per lì, una meditazione sul proprio stato fanciullesca, querula, ma non per questo meno lucida."
 
Una nuova interpretazione 
 
Grazia Sommariva (Università di Tuscia - Viterbo) è l'autrice dello studio "Morire come un artifex". Ancora sulle ultime parole di Nerone presso Svetonio (Nero 49), Amicitiae munus. Miscellanea di studi in memoria di Paola Sgrilli, La Spezia 2006, pagg. 221-239 (2006). In quest'opera si menzionano Sermonti, Garboli e il suo articolo del 2003. Ecco il link allo studio, liberamente consultabile: 


Una nuova interpretazione della frase del Divo Nerone vi è enunciata e sta prendendo piede nel mondo accademico. "Qualis artifex pereo" significherebbe "Muoio come un artigiano", ossia "Muoio come un operaio" (glossa inglese: craftsman, artisan). Né artista, né attore, dunque, ma umile produttore e plasmatore professionale di materia, puro meccanico. Il concetto espresso sarebbe dunque questo: "Sono condannato a morire come un semplice artigiano", ovvero "Sono condannato a morire in condizioni indegne di un imperatore" Sarebbe un triste modo per sottolineare lo squallore di una morte considerata non all'altezza della propria vita. Dal punto di vista semantico e grammaticale, questa traduzione pare ineccepibile. Non presenta alcun elemento interno che ne rimarchi l'incoerenza. Ecco un riassunto degli elementi che ci servono, che possono essere verificati da chiunque sul Dizionario Latino Olivetti:
 
 
artifex, gen. artificis 
scansione metrica: ar-tĭ-fex, ar-tĭ-fĭ-cis
 
1) artefice, artista, artigiano 
2) esperto 
3) creatore, autore 
4) furfante, maestro in intrighi  
 
Può anche essere usato come aggettivo nel senso di "abile, capace, da artista", anche se il Dizionario Latino Olivetti non riporta questa accezione in modo esplicito tra i significati.  

Nello Wiktionary in inglese abbiamo menzione dell'uso aggettivale. Ecco le defnizioni: 
 

Noun

artifex m or f (genitive artificis); third declension

  1. artist, actor
  2. craftsman, master (of a craft)
     Synonyms: opifex, faber
  3. mastermind, schemer
 
Adjective

artifex (genitive artificis); third-declension one-termination adjective

   1. skilled, artistic
   2. expert
   3. artful, cunning
   4. creative

Ecco alcune locuzioni interessanti: 
 
artifex aerārius "bronzista" 
artifex dicendī "maestro nell'arte del dire" 
artifex lignārius "carpentiere" 
artifex lignōrum "carpentiere"
artifex morbī "medico, dottore" 
artifex mōtus "movimento fatto con arte" 
artifex plombārius (plumbārius) "idraulico" 
artifex sceleris "l'autore di un delitto" 
artifex scelestus "orditore di inganni"
artifex scēnicus (scaenicus) "commediante, attore"
artifex signārius "scultore" 
artifex stilus "abile penna", "penna da artista" 
artificēs argentāriī "artigiani che lavorano l'argento" 
artificēs manūs "mani abili"
artificēs lapidum "muratori" 
artificis scelus "orditore di inganni"
claustrārius artifex "fabbro ferraio" 
 
Come si vede, nelle locuzioni artifex mōtus, artifex stilus e artificēs manūs troviamo la parola artifex usata come se fosse un aggettivo. Questo fatto è a mio avviso abbastanza notevole. Purtroppo gli insegnanti di latino nelle scuole raramente scendono in dettagli tanto sottili. 
La Sommariva segnala la contraddizione tra lo stato d'animo prostrato in cui Nerone pronunciò la frase e l'esplicita idea megaolomane secondo cui la morte avrebbe impoverito il mondo privandolo di un artista geniale. Questa contraddizione è sorprendente solo per chi non conosce persone bipolari. Conoscendone diverse, non ravviso alcuna reale incongruenza. La studiosa afferma altresì che l'interpretazione di artifex come "artista geniale" o come "attore" sarebbe in contraddizione con le misere esequie che l'Imperatore stava organizzando per sé. Un artista di genio o un buon attore avrebbero avuto funerali molto più lussuosi. Tuttavia sembra sfuggire un piccolo ma significativo dettaglio. Nerone era un artista geniale braccato, un attore braccato, che i rivoluzionari volevano uccidere in modo atroce. Un uomo braccato e condannato a una morte terribile, per quanto nobile sia il suo rango, non può certo sperare che gli saranno tributati funerali lussuosi. 

L'assillo dell'indeterminazione 
 
In sostanza, cosa ha detto Nerone? Svetonio avrà compreso quello che Nerone intendeva realmente dire o lo ha riportato fraintendendolo? Traduzioni come "Quale artista perde il mondo", "Muoio come un artista" o "Muoio come un attore" esprimono concetti drasticamente contrastanti con quello veicolato dalla traduzione "Muoio come un artigiano". Come faceva un antico romano a capire la differenza tra queste possibilità? È una strada in salita. Dovremmo scandagliare l'intera letteratura antica in latino e verificare con cura ogni singola ricorrenza della parola artifex, per stabilire se il concetto di "artigiano" (anziché di "artista" o di "attore") fosse almeno in certe condizioni oggetto di disprezzo. Per quanto circostanziati siano gli argomeniti della Sommariva, non mi sembra una cosa plausibile. Ho quasi l'impressione che la traduzione "Muoio come un artigiano" sia frutto di un intervento decostruzionista. Se così fosse, costituirebbe un pacchetto memetico di informazioni distorte, concepito e diffuso ad arte nella Noosfera col preciso compito di creare confusione e di affermare l'assoluta inconoscibilità di ogni cosa. Il punto è che non posso in alcun modo dimostrare, allo stato attuale delle mie conoscenze, che si tratti di un pacchetto memetico di questo genere. Potrebbe invece essere una sfida meritoria a posizioni consolidate ma fragili. Anche le ultime parole pronunciate dal Divo morente, "Haec est fides", dovrebbero essere oggetto di discussione. In genere si traduce "Questa sì è fedeltà", eppure la Sommariva intende "È questa la (tua) fedeltà?", forte di quanto riportato appena prima: in auxilium se venisse simulanti. Il militare che soccorse Nerone stava soltanto fingendo di prestargli aiuto. Anche in questo caso si tratta di interpretazioni diametralmente opposte! Persino chi fu testimone oculare della morte di Nerone potrebbe non aver capito cosa il moribondo intendesse davvero dire! Forse dovremmo concludere che non riusciremo mai a penetrare nel densissimo muro dell'Oblio e del rumore di fondo. Ignoramus et ignorabimus

venerdì 30 aprile 2021

DUE LEGGENDE PSEUDOLONGOBARDE SULL'ORIGINE DELLA COLOMBA PASQUALE

Si conoscono con una certa precisione i dettagli della nascita della colomba pasquale: risale al 1930 e a inventarla è stata la ditta milanese Motta. In quell'anno ci fu una grande abbondanza e avanzò molta pasta madre, che non poté essere utilizzata per la produzione del panettone natalizio. Così il pubblicitario Dino Villani, impiegato alla Motta, propose la geniale idea di utilizzare la pasta madre per la produzione di un nuovo dolciume in occasione della Pasqua, apportando qualche semplice cambiamento alla ricetta. Le principali innovazioni furono queste: la forma che imitava quella di un pingue volatile, il rivestimento di glassa di amaretto e mandorle, l'assenza di uva sultanina, l'abbondanza di scorze d'arancia candite. I macchinari rimasero gli stessi che già avevano prodotto il panettone a Natale, così il risparmio sarebbe stato notevole. La colomba nacque come dolce riciclato e il suo successo fu strepitoso.  

 
Falsi storici e memetica virale 
 
Tutto sembra chiaro e tracciabile. Eppure anche su qualcosa di tanto recente si sono diffusi racconti che hanno tutta l'aria di essere stati inventati ad arte, creati per conferire alla preparazione dolciaria una tradizione solida e una grande antichità. Anche se non ho alcuna prova al riguardo, non escludo che tutto sia partito dalla stessa Motta, forse addirittura dalla fantasia di Dino Villani, come trovata pubblicitaria. 
 
1) La leggenda della colomba di Alboino 
 
Questo pacchetto memetico è relativo alla pretesa origine della colomba pasquale ai tempi di Re Alboino "Amico degli Elfi" (circa 530 - 572), figlio di Audoino "Amico della Ricchezza". Riporto alcuni testi reperiti nel Web. 
 
Testo 1: è tratto dal sito Pavia e dintorni (www.paviaedintorni.it):
 

"Nel 572, quando Alboino entrò in Pavia, dopo tre anni di estenuante assedio durante i quali più volte minacciò di radere al suolo la città dopo averla conquistata, il suo leggendario cavallo stramazzò al suolo, proprio all'altezza dell’attuale via Alboino, dove allora esisteva porta San Giovanni.
Un fornaio, per placare l'ira furente del Re, gli si avvicinò e gli offrì un dolce fumante , profumato, appena sfornato dicendo:
"Sire, domani è la Santa Pasqua e le dono questo dolce che ha la forma di una colomba che è il simbolo della pace, la prego di risparmiare e rispettare la città ".
Il cavallo, come per miracolo, si drizzò completamente rianimato ed il Re proseguì il suo percorso.
Il giorno seguente Alboino doveva incassare quanto imposto alla città: denaro, gioielli e 12 fanciulle.
La prima di queste, interpellata, disse il suo nome: "Mi chiamo Colomba, sono la figlia del vecchio fornaio e - indicando le altre undici fanciulle - anche queste sono colombe al servizio del Re".
Alboino, addolcito dalle parole e dal ricordo del dono ricevuto, fece grazia e liberò le belle ragazze pavesi."

 
Testo 2: è tratto dal sito Sogni d'Oro (www.sognidoro.net):
 
 
"Questa leggenda risale all’epoca medioevale, quando re Alboino calò in Italia con le sue orde barbariche per assalire Pavia.
Dopo un assedio durato tre anni, alla vigilia della Pasqua, riuscì ad entrare in città. Come gesto di sottomissione dai cittadini riceve vari regali, fra i quali anche dodici meravigliose fanciulle.
Fu allora che un vecchio artigiano si presentò al re donandogli un dolce a forma di colomba, quale tributo di pace. Questo dolce era così invitante che costrinse il re alla promessa di pace e di rispettare sempre le colombe, simbolo di questa delizia.
Quando il re interpellò le fanciulle donategli scoprì che il loro nome rispondeva a quello di Colomba. Alboino comprese il raggiro che gli era stato giocato, ma rispettò lo stesso la promessa fatta e liberò le fanciulle."
 
 
2) La leggenda della colomba di Teodolinda e San Colombano  
 
Questo pacchetto memetico è relativo alla pretesa origine della colomba ai tempi della Regina Teodolinda "Tiglio del Popolo"  (circa 570 - 627) e di suo marito, il Re Agilulfo "Lupo Spaventoso" (morto nel 616).  

Testo 1: è tratto dal sito Pavia e dintorni (www.paviaedintorni.it): 
 

"Narra la leggenda che, intorno al 614, il santo abate irlandese San Colombano, dalla Svizzera passò in Brianza e poi a Pavia, città scelta come capitale dai Longobardi.
La cattolica longobarda Regina Teodolinda, in accordo con il re Agilulfo, donò a Colombano il luogo di Bobbio, con la chiesa di San Pietro e un quadrilatero di quattro miglia per lato.
Secondo la loro tradizione, Colombano e i suoi monaci, restaurarono la chiesa e costruirono all'intorno modeste abitazioni per tutti loro.
Al termine dei lavori Colombano, in periodo prepasquale, si recò a Pavia con i suoi monaci per ringraziare la Regina della importante donazione ricevuta.
Al suo arrivo in città fu ricevuto con santi onori dalla popolazione pavese e invitato ad un sontuoso pranzo dalla stessa Regina Teodolinda, naturalmente con tutti i suoi monaci.
Gli furono servite numerose vivande vegetali e farinacee e anche molta selvaggina rosolata e arrostita.
Colombano ed i suoi monaci, benchè non fosse di venerdì, giorno consigliato con cibi magri, rifiutarono quelle carni troppo grasse e ricche servite in un periodo di precetto quale quello pasquale.
La Regina Teodolinda si offese non capendo il motivo del rifiuto, ma l’abate superò con diplomazia l’incresciosa situazione affermando che essi avrebbero consumato le carni solo dopo averle benedette.
San Colombano alzò la mano destra in segno di croce ed ecco, le pietanze carnacee si trasformarono in candide colombe di pane bianco molto addolcito e zuccherato.
Colombano e i suoi monaci mangiarono abbondantemente le squisite colombe unitamente alla Regina Teodolinda che considerò il pasto come una benedizione divina pensando alle colombe che festeggiarono l'ingresso di Alboino a Pavia."

Testo 2: è tratto dal sito Il Golosario (www.ilgolosario.it): 
 

"Una leggenda vuole che la tradizione della colomba pasquale sia legata a Colombano, santo abate irlandese, e alla regina longobarda Teodolinda. Si narra che la regina favorì la predicazione del santo e che attorno al 612 i sovrani longobardi lo invitarono coi suoi monaci a un sontuoso pranzo. Fu servita molta selvaggina rosolata, ma Colombano e i suoi rifiutarono quelle carni troppo ricche in periodo quaresimale; Colombano però, per non offendere la regina Teodolinda affermò che avrebbero consumato le carni solo dopo averle benedette, quindi alzò la mano destra in segno di croce e le pietanze si trasformarono in candide colombe di pane. Il prodigio colpì molto la regina che comprese la santità dell’abate e decise di donare il territorio di Bobbio dove nacque l’Abbazia di San Colombano. La colomba bianca è anche il simbolo iconografico del Santo ed è sempre raffigurata sulla sua spalla."
 
Testo 3: riportiamo infine un link a un documento che si trova sul sito San Colombano (www.saintcolumban.eu), liberamente accessibile e scaricabile: 
 
 
Ebbene, queste sono soltanto leggende fatte di aria sottile. Non hanno nessuna documentazione che ne dimostri la fondatezza, oltre al fatto rilevante che sono tra loro contraddittorie: o la colomba pasquale ha avuto origine ai tempi di Alboino o ha avuto origine ai tempi di Teodolinda. Non è possibile che siano entrambe vere, però possono benissimo essere entrambe false.  

Un sano scetticismo

Con una certa saggezza, la Wikipedia in lombardo riporta quanto segue: 
 
 
"La Colomba de Pasqua a l'è un dolz inventad de la Motta a Milan al principi del '900, inscì de podé doperà l'impast del Panaton anca foeura del period del Denedal, e che poeu el s'è spantegad in tuta l'Italia. La legenda la cunta su che 'sto dolz chi el gh'habia origin ai temp di Lombard antigh, adritura del Re Alboin, ma a bon cunt a l'è apena una legenda." 

Traduzione in italiano: 

"La colomba di Pasqua è un dolce inventato dalla Motta a Milano all'inizio del '900, così da poter usare l'impasto del panettone anche fuori dal periodo natalizio, e che poi si è diffuso in tutt'Italia. La leggenda racconta che questo dolce abbia origine ai tempi degli antichi Longobardi, addirittura del Re Alboino, ma dopotutto è soltanto una leggenda." 
 
Le genti di Lombardia non sono certo note per la natura sofisticata delle loro argomentazioni intellettuali: tutto si riduce a poche frasi stringate, ma spesso alquanto efficaci ed annichilenti. 

Problemi di continuità 

Se le due leggende avessero il loro fondamento in un testo di qualche autore, si saprebbe. Chi le sostiene userebbe infatti queste fonti per giustificare la propria narrazione. Come mai questo non viene fatto? Semplice: perché non ci sono fonti di alcun genere. In altre parole, non si può dimostrare la trasmissione senza soluzione di continuià delle due leggende attraverso i secoli. 
Sarebbe necessario ricercare nei ricettari anteriori al XX secolo l'esistenza di qualche preparazione dolciaria pasquale a forma di colomba usata nel Milanese. Il fatto che nessuna ricetta di questo tipo sia citata come fonte dai sostenitori delle leggende riportate è un fortissimo indizio del fatto che non esista nulla su cui fondarsi. In altre parole, non si può dimostrare la trasmissione senza soluzione di continuità attraverso i secoli della ricetta di un pane pasquale dolcificato.    

Elementi di incongruenza interna 

Le due leggende riportate non mostrano una conoscenza adeguata del mondo dei Longobardi e di quello dei loro sudditi all'epoca di Alboino. Siamo ai grotteschi livelli di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (Mario Monicelli, 1984), un film delirante e improbabile con Ugo Tognazzi nella parte di Bertoldo, Lello Arena nella parte di Re Alboino (non scorderò mai il suo ghigno!), Maurizio Nichetti nella parte di un Bertoldino fulvo dall'intelletto gracilissimo. Questi sono i miei commenti:  

1) Re Alboino era pagano e sostanzialmente non interessato alle dispute religiose. Non fu mai battezzato, come suo padre Audoino. Credeva che un uomo dovesse essere misurato soltanto col metro del valore sul campo di battaglia. Certamente conosceva il Crisianesimo e per motivi politici sostenne la Chiesa Ariana. Tuttavia non perseguitò mai la Chiesa Cattolica. La sua prima moglie era Clodosvinta, figlia del Re dei Franchi Clotario I, ed era cattolica. A quei tempi i matrimoni tra donne cattoliche e uomini pagani era particolarmente incentivati dal clero, nella speranza di poter ottenere conversioni. Queste disposizioni si applicavano in special quando il pagano era un sovrano. Clodosvinta tuttavia morì senza aver ottenuto il suo scopo, non riuscendo ad allontanare il marito dal paganesimo e dalla Chiesa Ariana. Fatta questa premessa, l'ideatore della leggenda della colomba pasquale di Alboino è partito dal presupposto che esistesse una situazione religiosa uniforme in tutto il Regno Longobardo, tra i nobili come tra i sudditi, essendo per lui scontato che l'unico culto fosse quello cattolico. Riteneva anche che fosse uniforme la situazione linguistica, che Alboino intendesse alla perfezione il latino volgare di un fornaio pavese e riuscisse a farsi da lui intendere con naturalezza. La cosa non è affatto scontata. Non dimentichiamoci che il latino volgare era divenuto incomprensibile tra località lontane: se anche Alboino avesse conosciuto una qualche forma di latino per necessità politiche, non gli sarebbe stato di giovamento alcuno per comunicare con un popolano di Pavia. Difficilmente il volgo pavese avrebbe inteso la lingua germanica dei Longobardi. A quale Santa Pasqua si riferiva il fornaio? A quella cattolica o a quella ariana? Essendo il suo culto quello di Godan, il Re Alboino sarebbe stato più sensibile al simbolismo del corvo, legato alla bellicosità e alla saggezza, che a quello della colomba. Un antico germano non apprezzava affatto la pace e cercava modi per rischiare la propria vita in grandi imprese, acquisendo così gloria imperitura.
 
2) La Regina Teodolinda era notoriamente cattolica, conosceva bene i monaci e sapeva senza alcun dubbio che bisognava informarsi sulle loro necessità alimentari quando si pensava di invitarne qualcuno a pranzo o a cena. I monaci irlandesi in particolare erano noti ovunque per avere regole di vita molto severe, fondate su un'ascesi rigorosa. Nessuno si sarebbe sognato di offrire loro della selvaggina rosolata, il cibo meno monastico che si possa immaginare! Trovo ridicola anche la narrazione dei monaci irlandesi che si ingozzano con pane zuccherato, per giunta anacronistico: all'epoca in Langobardia lo zucchero non lo aveva nessuno, nemmeno la corte reale. Veniamo ora a San Colombano (circa 540 - 615). Il suo nome originale irlandese era Colum Bán "Colomba Bianca", latinizzato in Columbanus. Fu un energico evangelizzatore, uomo coltissimo, abile diplomatico e gran viaggiatore, che attraversò l'Europa fondando molte abbazie, tra cui quella di Bobbio. Questi erano i dieci capitoli della Regula monachorum da lui istituita: obbedienza, silenzio, digiuno, disprezzo dei beni terreni, ripudio della vanità, castità, preghiera, discrezione, mortificazione di superbia e orgoglio, buon esempio. San Colombano non era Frate Trippa! Era un uomo di cui avere rispetto. Emergono anche altre contraddizioni. Ci furono gravi controversie tra San Colombano e Roma riguardo al calcolo della data della Pasqua. A quale Pasqua fa riferimento la leggenda? A quella calcolata da San Colombano o a quella calcolata secondo la tradizione di Roma? Mi sembra evidente che l'ideatore della leggenda della colomba pasquale di Teodolinda e di San Colombano ignorasse tutte queste cose e proiettasse nel passato un'immagine distorta del monachesimo irlandese. 
 
Un pacchetto memetico scadente
 
Si segnala infine un'altra leggenda, ancor più farlocca, che colloca l'invenzione della colomba pasquale durante la battaglia di Legnano, nel 1176, che finì la sconfitta di Federico Barbarossa da parte dei Comuni della Lega Lombarda. Durante l’attacco due colombe bianche si sarebbero fermate sulle insegne della Lega: l'accaduto, interpretato come buon augurio, avrebbe ispirato la preparazione di dolci bianchi a forma di colomba. 

Conclusioni

Il Web ha alterato la nostra percezione della realtà, rendendola offuscata e crepuscolare, dando enorme diffusione a quelle che sono pure e semplici assurdità. Riuscire a discernere il Vero dal Falso è sempre più difficile. L'Intelligenza Artificiale (meglio definibile come Idiozia Artificiale) affosserà senza dubbio questo mio contributo, bollandolo come "scarsamente originale" e "senza valore aggiunto", solo perché cito alcune fonti perché i lettori possano confrontarle e analizzarle. Me ne frego e continuo per la mia strada! 

lunedì 15 febbraio 2021

IL MITO DI EDWARD MORDAKE, L'UOMO CON DUE FACCE

Edward Mordake (talvolta scritto Mordrake) è un personaggio apocrifo, protagonista di una leggenda urbana che conobbe notevole diffusione nella tarda epoca vittoriana e che è ancor oggi in voga. Erede di un'importante famiglia di Pari d'Inghilterra, il povero Edward avrebbe sofferto di un'eccezionale malformazione, essendo nato con una seconda faccia sulla sua nuca. Questo volto posteriore sarebbe stato incapace di parlare, potendo però piangere e ridere. Avrebbe inoltre avuto la capacità di trasmettere i propri orribili pensieri tramite un incessante mormorio, avvertibile dallo sfortunato rampollo. Non esistendo rimedio a una simile condizione, Edward Mordake si sarebbe suicidato all'età di 23 anni. La vulgata corrente ci narra le cose in questo modo. Si rende necessario esaminare le fonti disponibili. 
 
Questo è riportato nel testo medico Anomalies and Curiosities in Medicine ("Anomalie e curiosità in medicina"), di George Milbry Gould e Walter Lytle Pyle (1896): 
 

The following well-known story of Edward Mordake, though taken from lay sources, is of sufficient notoriety and interest to be mentioned here:—
 
One of the weirdest as well as most melancholy stories of human deformity is that of Edward Mordake, said to have been heir to one of the noblest peerages in England. He never claimed the title, however, and committed suicide in his twenty-third year. He lived in complete seclusion, refusing the visits even of the members of his own family. He was a young man of fine attainments, a profound scholar, and a musician of rare ability. His figure was remarkable for its grace, and his face – that is to say, his natural face – was that of an Antinous. But upon the back of his head was another face, that of a beautiful girl, "lovely as a dream, hideous as a devil". The female face was a mere mask, "occupying only a small portion of the posterior part of the skull, yet exhibiting every sign of intelligence, of a malignant sort, however". It would be seen to smile and sneer while Mordake was weeping. The eyes would follow the movements of the spectator, and the lips "would gibber without ceasing". No voice was audible, but Mordake avers that he was kept from his rest at night by the hateful whispers of his "devil twin", as he called it, "which never sleeps, but talks to me forever of such things as they only speak of in Hell. No imagination can conceive the dreadful temptations it sets before me. For some unforgiven wickedness of my forefathers I am knit to this fiend – for a fiend it surely is. I beg and beseech you to crush it out of human semblance, even if I die for it." Such were the words of the hapless Mordake to Manvers and Treadwell, his physicians. In spite of careful watching, he managed to procure poison, whereof he died, leaving a letter requesting that the "demon face" might be destroyed before his burial, "lest it continues its dreadful whisperings in my grave." At his own request, he was interred in a waste place, without stone or legend to mark his grave.” 
 
Traduzione: 

La seguente ben nota storia di Edward Mordake, anche se presa da fonti non ufficiali, è di sufficiente notorietà e interesse da essere essere menzionata qui:—
 
Una delle storie più strane nonché melanconiche di deformità umana è quella di Edward Mordake, che si diceva fosse l’erede di uno dei più nobili lignaggi d’Inghilterra. Non rivendicò mai il titolo, comunque, e si suicidò all’età di 23 anni. Viveva in completa reclusione, rifiutando persino le visite dei membri della sua famiglia. Era un giovane di fini maniere, uno studioso profondo, un musicista di rara abilità. La sua figura spiccava per grazie e il suo viso – bisogna dirlo, il suo viso naturale – era quello di un Antinoo. Ma sul retro della sua testa c’era un’altra faccia, quella di una bella ragazza "amabile come un sogno, odiosa come il diavolo". Il volto femminile era una mera maschera, occupando solo una piccola porzione della parte posteriore del cranio, anche se esibiva ogni segno di intelligenza – di un tipo maligno, comunque. Fu vista ridere e sogghignare mentre Mordake stava piangendo. Si dice che gli occhi seguissero i movimenti dell’interlocutore, e che le labbra si muovessero in continuazione. Nessuna voce era udibile, ma Mordake affermava di essere tenuto sveglio la notte dai sussurri odiosi del suo "demone gemello", come lo chiamava, "che mai dorme, ma mi parla continuamente di cose di cui si parla solo all’inferno. Nessuna immaginazione può concepire le terribili tentazioni che mi pone innanzi. Per qualche maledizione mai perdonata dei miei antenati sono saldato a questo demonio – perché un demonio lo è senz’altro. Io vi prego e vi imploro di distruggerla, anche se dovessi morire per questo". Queste erano le parole dello sfortunato Mordake a Manvers e a Treadwell, i suoi dottori. Nonostante l’attenta guardia a cui era sottoposto riuscì a procurarsi del veleno grazie al quale morì, lasciando una lettera in cui chiedeva che il suo "volto demoniaco" fosse distrutto prima della sua sepoltura, "per timore che continui i suoi spaventosi sussurrii nella tomba". Su sua richiesta venne inumato in un luogo desolato, senza pietra o iscrizione a segnarne il sepolcro.” 
 
Per molti l'analisi potrebbe finire qui, data l'autorevolezza della pubblicazione scientifica. Invece è il caso di non fidarsi e di proseguire.  
 
La vera origine del mito memetico

Che la storia di Edward Mordake sia un meme lo capirebbe anche un poppante. Qual è il problema? Ovviamente a creare difficoltà a uno studioso moderno sono proprio le fonti non ufficiali e non menzionate di cui si sono serviti Gould e Pyle. Nonostante questa deplorevole mancanza di accreditamento, la fonte ultima è stata trovata nel 2015 da Alex Boese, che ha scritto un articolo sul sito The Museum of Hoaxes. Questo è il link:


In sintesi, Edward Mordake è nato dalla fantasia del poeta, scrittore di proto-fantascienza e giornalista Charles Lotin Hildreth (1853 - 1896). Questo autore non sembra avere al momento una propria pagina su Wikipedia in inglese, per quanto la cosa possa sembrare incredibile: l'unica pagina a lui dedicata è su Wikipedia in italiano. Il contributo di Charles Lotin Hildreth, un articolo intitolato The Wonders of Modern Science: Some Half Human Monsters Once Thought to Be of the Devil's Brood ("Le meraviglie della scienza moderna: alcuni mostri semiumani che un tempo si pensava appartenessero alla stirpe del Diavolo") è stato pubblicato per la prima volta sul Boston Sunday Post l'8 dicembre 1895; l'autore sarebbe morto meno di un anno dopo, il 22 agosto 1896. Pochi giorni dopo la prima pubblicazione, l'articolo apparve su diversi altri quotidiani, come appurato da Boese: l'11 dicembre sul Parsons Daily Sun e il 14 dicembre su The Decatur Herald. L'articolo di Hildreth era puramente sensazionalistico e privo di qualsiasi fattualità, tanto che includeva la descrizione di alcuni mostri chimerici, tra cui un ragno con la testa umana, un uomo con quattro occhi, una sirena, un essere con caratteri di uomo e di granchio. La fonte accreditata, la Royal Scientific Society, si è rivelata inesistente. L'unica società nota con questo nome è stata fondata nel 1970 dai regnanti della Giordania, mentre la Royal Society of London, dal nome simile, non mostra traccia alcuna di documentazione sui mostri sopra descritti. Questo è il link a un sito che riporta l'articolo apparso sul Boston Sunday Post:   
 

Ebbene, Gould e Pyle hanno preso da Hildreth ricopiando il suo testo su Mordake parola per parola! Boese ha fatto ricerche sui due supposti medici citati, Manvers e Treadwell, mostrando che sono sconosciuti, non trovandosi alcuna loro menzione nella documentazione dell'epoca. 
 
Insidie del debunking 
 
Il sito Bufale.net, fondato da Claudio Michelizza e Fabio Milella, ha dedicato una pagina al nobiluomo inglese con due facce. Questo è il link:   
 
 
Gli autori citano il lavoro di Gould e Pyle, ma incorrono in un errore grossolano. La locuzione lay sources, che significa "fonti non ufficiali", ossia "fonti estranee al sistema di validazione delle riviste scientifiche", è stata tradotta come "fonti laiche" - dal momento che in inglese lay significa "laico". Il significato di lay è tuttavia più esteso: "non istruito; non professionale; profano; ignorante; secolare, non clericale". La traduzione di lay sources usata su Bufale.net è fuorviante, in quanto fa supporre la corrispondente esistenza di "fonti ecclesiastiche" usate in contesto scientifico, cosa di per sé assurda. Questo fa capire quanto la conoscenza dell'inglese in Italia sia labile e affetta da gravi distorsioni.  
 
I meandri della Parìa 

La Parìa britannica (Peerage) è un'istituzione estremamente complessa. In sostanza è un sistema di titoli nobiliari che fa parte delle onorificenze vigenti in Gran Bretagna. Sarebbe interessante fare qualche ricerca sull'eventuale esistenza di una famiglia di Pari col cognome Mordake o Mordrake. Non mi risulta che questo sia stato fatto dallo stesso Alex Boese. Probabilmente la ricerca è stata creduta inutile, una volta ottenute le prove della natura apocrifa del personaggio di Edward Mordake. Per me sarebbe comunque interessante provarci. Certo, è un'impresa impegnativa e le risorse del Web potrebbero non essere sufficienti. 
 
Iconografia (posticcia) diffusa nel Web 
 
Non esiste la benché minima prova che sia mai vissuto un individuo corrispondente a quanto descritto nel mito di Edward Mordake, o Mordrake che dir si voglia. Tuttavia si capisce bene come una simile storia abbia eccitato l'immaginazione per più di un secolo, vivendo di vita propria e ispirando vari artisti.  
 
1) Primo reperto 
 

La fotografia in questione è spacciata nel Web come originale. Si è diffusa come un contagio in moltissimi siti e social. Non si è potuto determinare il suo autore. In ogni caso l'ipotesi più probabile è che sia stata scattata in un museo delle cere, per poi essere rielaborata con tecniche moderne come Photoshop. Certamente non è una foto dell'epoca in cui si suppone abbia vissuto Mordake e quindi deve essere stata "anticata" in qualche modo.

2) Secondo reperto 
 

È una statua di cera che si trova al Panoptikum Wax Museum di Amburgo, cittadina amena da me prediletta (una sera ho esplorato i bassifondi di Sankt Pauli e ho trovato un simpatico topo rossiccio). Si nota che il volto posteriore di questo simulacro di Mordake mostra un'inquietante somiglianza con quello di Michel Houellebecq, pur essendo contratto e distorto. Non è improbabile che il primo reperto, descritto in precedenza, sia stato ottenuto da una foto del presente secondo reperto, procedendo in questa maniera: i capelli sono stati trasformati fino a diventare neri e a caschetto; la faccia posteriore, quella simile a Houellebecq col ghigno, è stata appiattita fin oltre il limite del grottesco, tanto da ricordare uno di quei trofei rinsecchiti prodotti dagli Jívaro con le teste dei nemici uccisi. 

3) Terzo reperto 
 

La testa mummificata di Edward Mordake è un'opera in cartapesta dell'artista Ewart Schindler. Non è facile reperire dati su di lui nel Web: sono riuscito soltanto a venire a conoscenza de fatto che si è laureato all'Università di Plymouth (Contea del Devon, Inghilterra). Si noti che la faccia posteriore presenta proprie orecchie, seppur residuali e minuscole rispetto a quelle associate alla faccia anteriore. Il primo reperto e il secondo hanno non mostrano traccia di orecchie associate alla faccia posteriore. L'etichetta apposta alla testa mummificata recita: "Head of Edward Mordrake, preserved for posterity, by P. Manvers." Riconosciamo il cognome di uno dei medici che ebbero in cura Mordake. L'iniziale del nome, non citata da Hildreth, deve essere frutto della fantasia di Schindler. 

4) Quarto reperto 

 
L'autore di quest'opera d'arte è Thomas "Tom" Kuebler. A quanto ho potuto constatare, il manufatto è stato venduto a 1.047,45 €, imposte locali incluse, più spese di spedizione. È definito "iperrealistico". L'etichetta apposta al duplice teschio recita: "The skull of Edward Mordake, the man born with a second face on the back of the head, c. 1890. Although it would non speak full words, the second face was able to laugh, cry and make strange moans without Edward's control. He reportedly begged to have his 'Demon's Face' removed, claming that it whispered to him at night, but no doctor would attempt it. He committed suicide at the age of 23." Si tratta sempre della stessa narrazione, che non presenta elementi nuovi rispetto a quanto scritto da Hildreth.

Possibili ispirazioni dalla teratologia 

Anche se Edward Mordake è frutto della fantasia, è ben possibile che questa abbia un suo fondamento in qualche grave malformazione osservata realmente. In genere nel Web si trovano le seguenti ipotesi, che non mi sembrano soddisfacenti:
 
1) Dicephalus parapagus dipus 
 

 
È una rara varietà di gemelli siamesi. Il feto ha due teste e due spine dorsali, ma soltanto due gambe (una per ogni gemello). Una testa può essere anencefalica oppure possono essere entrambe pienamente sviluppate. Se ha due braccia è detto dibrachius. Ne esistono anche con tre o quattro braccia. Un caso famoso di questa anomalia genetica è quello delle americane Abigail e Brittany Hensel, su cui alcuni internauti hanno infierito in modo crudele fabbricando deepfake porno, mettendo loro cazzoni in faccia e in bocca. Non ci sono dubbi: il Dicephalus parapagus dipus non ha alcuna somiglianza con Edward Mordake.

2) Craniopagus parasiticus 
 
 
La testa di un gemello parassita, col corpo atrofizzato o residuale, è saldata alla testa di un gemello pienamente sviluppato. I due crani sono uniti tramite l'osso frontale. Il cranio parassitario è capovolto rispetto a quello principale. Si parla invece di craniopagus conjunctus se entrambi i gemelli hanno un corpo pienamente sviluppato. Né una forma di craniopagus né l'altra hanno alcuna somiglianza con Edward Mordake. 
P.S.
È craniopagus, non craniophagus!  
 
3) Gemelli parassiti (fetus in fetu)
 
 
I tessuti che formano un feto sono cresciuti e si sono differenziati all'interno del corpo di un gemello pienamente sviluppato. Secondo un'ipotesi si tratterebbe di un feto inviluppato all'interno di un altro. Secondo un'altra ipotesi si tratterebbe di un teratoma altamente sviluppato. Sul fatto che si tratti di teratomi non ho il benché minimo dubbio: si danno casi di recidiva, in cui il feto parassitario si forma nuovamente una volta asportato chirurgicamente. Un caso come quello di Edward Mordake potrebbe forse essere ricondotto a un fetus in fetu, anche se la cosa non sembra molto probabile. Il gemello parassita ha sempre lo stesso sesso di quello pienamente sviluppato. Tuttavia una faccia secondaria potrebbe avere aspetto femminile pur essendo di sesso maschile.
 
4) Diprosopus 
 
 
Il feto mostra una duplicazione craniofacciale, ossia ha due facce. Non si tratta di fusione o di incompleta separazione di due gemelli. L'encefalo è uno solo. Quando ero un moccioso, ho visto un gattino imbalsamato che aveva tre occhi, due nasi e due bocche. Ci sono persone diprosope con quattro occhi, due nasi e due bocche. È vero che Hildreth ha descritto un uomo con quattro occhi, ma con una disposizione implausibile: due occhi sopra gli altri due. Il Diprosopus non ha alcuna somiglianza con Edward Mordake. 
 
Difficoltà giuridiche e religiose
 
Com'è considerato dalla Legge un individuo affetto da policefalia? Cos'è realmente un Dicephalus? È un singolo essere umano che ha due teste? Oppure sono due esseri umani che condividono un unico corpo? Dipende dai casi e dal contesto. Negli States, le già menzionate Abigail e Brittany Hensel, nate nel 1990, hanno avuto due nomi distinti e due identità separate, una per ciascuna testa. Per contro, il Dicephalus Syafitri, nato in Indonesia nel 2006, ha ricevuto un solo nome ed è considerato legalmente un singolo individuo, perché dotato di un unico cuore. In Germania era seguita la stessa prassi e un bambino con due teste riceveva un unico nome e un'unica identità legale.    
 
Come fa un prete a battezzare un individuo affetto da policefalia? Il problema dovette sussistere fin dagli inizi del Cristianesimo e pone profondi interrogativi teologici. Ogni testa deve essere considerata dotata di un'anima propria? Il principio seguito dalla Chiesa Ortodossa è il seguente: se le teste sono separate, ognuna viene battezzata con un proprio nome; se si hanno teste non ben distinte o facce non separate dal cranio, prima viene battezzata una persona con la formula normale, poi viene battezzata l'altra (o le altre), ma includendo nella formula battesimale la locuzione "se non già battezzato" o "se non già battezzata", allo scopo di evitare casi di anabattismo. Questa pratica è stata enunciata dal teologo ruteno Petro Mohila nel XVII secolo. Sarebbe interessante conoscere le disposizioni di altre Chiese Cristiane, che però a quanto pare preferiscono non parlare esplicitamente di argomenti tanto scomodi e delicati.     
 
Etimologia del cognome Mord(r)ake 
 
Quando lo sentii menzionare per la prima volta, subito pensai che il cognome Mordrake derivasse dal gallese Morddreic "Drago di Mare". La variante Mordake, per quanto comprendessi la sua maggior antichità, la riconducevo a un diverso adattamento della stessa parola gallese, con dissimilazione del nesso -rddr- con perdita della seconda rotica - anche se la cosa non mi convinse mai. Una supposta variante Mordakedrake, citata nella Wikipedia in italiano, sembra essere inesistente e spuria. In realtà Mordake (che è la forma genuina, essendo Mordrake una variante spuria) è un cognome di origine scozzese e non gallese. 
 
Shakespeare citò un uomo di nome Mordake tra i Clan della Scozia: 
 
Mordake the Earl of Fife, and eldest son / 
To beaten Douglas, and the Earls of Athol, / 
Of Murray, Angus, and Menteith.
(Enrico IV - Parte I, Scena 1) 
 
Come spesso accade, il cognome è derivato dalla sclerotizzazione di un nome proprio, diventato così un'etichetta trasmessa in modo ereditario. 
 
Varianti del cognome Mordake (l'elenco non ha la pretesa di essere esaustivo): 
 
Moordake
Murdac
Murdak
Mordac
Mordoc
Mordok,
Mordik
Mordyk,
Moreduc,
Mourdac
Murthak
Meurdoch,
Murdoch
 
L'origine del cognome è l'antico irlandese muiredach "signore". L'etimologia di questo termine è stata a lungo discussa. Secondo alcuni il significato dovrebbe essere quello di "signore del mare", ossia "capitano": il primo membro del composto, muir- è da una protoforma *mori-. A questo muiredach si sovrappone un antroponimo maschile di diversa origine, Muirchad "Battaglia del Mare", da una protoforma *mori-katu-. La confusione tra le due forme deve essersi generata in epoca tarda, quando le fricative prodotte dalla lenizione si sono affievolite, spesso scomparendo del tutto. Resta l'interrogativo sull'origine di muiredach. In cosa consiste il secondo elemento del composto? Credo di poter offrire una soluzione ragionevole e interessante. Comincio col far notare che muiredach ha una variante muire "signore", in apparenza ancor più enigmatica. Ebbene, il secondo elemento del composto deriva da *wid- "conoscere", ed è lo stesso presente in druí "druida, mago", da *dru-wids (genitivo sing. druad, da *dru-widos; nominativo pl. druïd, da *dru-wides). Così abbiamo: 
 
muire "signore" < *mori-wids "conoscitore del mare" 
   gen. sing. muired < *mori-widos 
derivato di origine aggettivale muiredach < *mori-widākos.  
 
A complicare le cose esiste anche un antroponimo maschile Muirid, un altro composto di muir- "mare", il cui secondo membro è invece fid "legno" (genitivo sing. fedo, feda; nominativo pl. fedae), a sua volta da *widu-
 
Muirid < *Mori-widus "Legno del Mare"
  gen. sing. Muireda < *Mori-widous  
 
In antico gallese esiste un antroponimo simile, derivato dalla stessa protoforma: Morguid. Non ci sono dubbi sul fatto che questi nomi propri di persona siano molto antichi, di molto antecedenti all'arrivo del Cristianesimo.