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sabato 26 agosto 2023

UNA STRANA COPPIA DI OMOFONI: FORMENTO 'LIEVITO' E FORMENTO 'FRUMENTO'

No, non sto parlando di una coppia di omofobi. Sto parlando di due omofoni, cioè parole che hanno lo stesso suono ma significati diversi.

1) In toscano antico, formento significava "lievito" e aveva come sinonimo levame
L'origine è dal latino fermentum "lievito", "fermentazione". La radice è la stessa di ferveō (II sing. fervēs, perf. I sing. ferbuī, inf. fervēre) "bollire", "ribollire". 
Il passaggio della vocale -e- a -o- è dovuto alla presenza delle due consonanti f- e -m-, che ne hanno influenzato la pronuncia, conferendogli un'articolazione labiale.
2) In toscano antico, formento (variante: fromento) significava "frumento". Dante scriveva: "Grande vuole essere la scusa, quando a così nobile convito per le sue vivande, a così onorevole per li suoi convitati, si pone pane di biado, e non di formento" (Convivio, 97). 
Anche in lombardo e in veneto, formento significava "frumento", da cui è derivato il diffuso cognome Formenti; in Veneto si trova il suo diminutivo Formentin
Nel lombardo odierno si ha forment, pronunciato /fur'ment/, con derivati come formentón /furmen'tun/ "mais". 
L'origine è dal latino frūmentum "frumento, grano", a sua volta dal latino antico *frūgmentom. La radice è la stessa di frūx "raccolto" (genitivo frūgis) e di frūctus "frutto" (genitivo frūctūs) - in ultima analisi dal verbo fruor (II sing. frueris, perf. I sing. frūctus sum, inf. fruī) "godere di qualcosa". 
Ci sono stati due passaggi: la produzione di una variante *frŭmentum con vocale -u- breve, quindi la metatesi di *frŭmentum in *fŭrmentum.

L'omonimia tra il toscano formento "lievito" e formento "frumento" è fortuita e dovrebbe far riflettere. 
Nota: 
Oltre all'esito protoromanzo *formentu "lievito", in Liguria doveva esistere anche l'esito protoromanzo *vermentu. Infatti è chiaro che il nome del vino vermentino è un derivato di fermentu(m), con allusione al tipico gusto frizzante. La consonante iniziale f- è diventata sonora, v-. Così *fermentīnu(m) ha dato vermentin, passando come prestito dal genovese al sardo.  

La conseguenza di quanto esposto è sconcertante: in italiano le parole fermento e frumento sono derivate entrambe dalla trafila dotta anziché dalla genuina usura della pronuncia del volgo. In altre parole, siamo di fronte a due latinismi

Allotropi: 
fermento - †formento
frumento - †formento, †fromento


Latino: fermentum "lievito", "fermentazione"
 Romanzo insulare: 
   Sardo: fromentu, fermentu 
      (altre varianti: framentu, frammentu, frementu
      frommentu, frumentu, frummentu); 
      derivati: fermentarzu "pasta cruda del pane"        
 Italo-dalmatico: 
   Italiano antico: formento 
 Gallo-italico: 
   Romagnolo: forment 
 Ibero-romanzo:
   Spagnolo (dial., Salamanca): hermiento, jurmiento 
   Asturiano: formientu 
   Leonese: furmientu, fermientu 
   Galiziano: formento 
   Portoghese: formento


Latino: frūmentum "frumento, grano"
 Italo-dalmatico: 
   Italiano antico: formento, fromento 
   Dalmatico: furmiant 
 Reto-romanzo:
   Friulano: forment 
   Romancio: frument 
 Gallo-italico: 
   Lombardo: forment /fur'ment/ 
     Bergamasco: formét 
 Gallo-romanzo:
   Catalano: forment 
   Franco-provenzale: froment 
   Antico francese: froment, ferment, formant, forment
         froument, furment 
     Medio francese: froment, forment, fourment 
     Francese moderno: froment 
   Derivati: 
     1) Antico francese: fourmenté "porridge" 
       Medio francese: fromenté "porridge" 
     => Medio inglese: frumente "tipo di porridge" 
            Inglese moderno: frumenty "tipo di porridge" 
     2) => Ungherese: furmint "tipo di uva bianca" 
              (lett. "del colore del frumento")

martedì 8 agosto 2023

IL PANGIALLO, LE SUE ORIGINI... E IL PANE ROSSO

Una cosa non mancherà mai di stupirmi: l'apparente assenza di una vera continuità tra la cucina dei tempi dell'Impero Romano e quella dei nostri giorni. Sono tuttavia convinto che, indagando in modo approfondito, si possano scoprire cose molto interessanti, in grado di dimostrare che un legame esiste e di permetterci di gettare un po' di luce sui cambiamenti avvenuti nel corso dei secoli.   


Un dolce tipico del Lazio e di altre regioni

Denominazione: pangiallo
Varianti: pangiallo romanopancialle 
Altri nomi: panpepato, pampepato  
Origine: Lazio 
Ingredienti principali: 
   farina, 
   uva passa, 
   miele,  
   frutta secca (mandorle, nocciole), 
   cedro candito, 
   zafferano, 
   pastella d'uovo (per la copertura) 
Altri ingredienti: 
   pinoli, 
   fichi, 
   cioccolato fondente a pezzetti 
Ingredienti desueti: 
   semi di albicocca, semi di prugna 
Preparazioni simili in altre regioni:  
  Umbria: pampepato 
  Ferrara: pampapato 
Link: 

Il tradizionale dolce natalizio romano è ritenuto da molti un'eredità dell'antica Roma. Credo che in effetti lo sia: deriva dai dolci che venivano offerti agli Dèi in occasione del Solstizio d'Inverno. La finalità era quella di favorire il ritorno del Sole. In seguito, con l'adozione del Cristianesimo, l'usanza continuò grazie all'esaugurazione, sopravvivendo fino ad oggi. Gli antichi significati legati al tradizionale politeismo assunsero nuovi significati, pur mantenendo la loro sostanza antica. I dolciumi originali non erano certo preparati con la loro ricetta attuale fatta e finita, che comprende ingredienti presi a prestito dal mondo arabo: l'uvetta sultanina e le scorze candite. Sappiamo che lo zafferano, conosciuto in latino come crocus, dal greco κρόκος (krokos), era nell'antichità una spezia preziosa come l'oro. Giusto per fare un esempio, a Bisanzio solo l'Imperatore poteva servirsene e l'uso più comune era quello di colorante. Quindi sembrerebbe abbastanza improbabile che l'inestimabile pigmento potesse entrare nella composizione di un dolce popolare dell'età tardo-antica. Eppure l'aggiunta della spezia pregiatissima doveva avvenire in quantità minime, con ogni probabilità regolamentate in modo stretto. Troviamo infatti un corrispondente quasi perfetto in Sardegna, terra di arcaismi. 


Su pani arrubiu di Tuili, Sardegna 

Tipico della zona di Tuili (provincia del Medio Campidano), su pani arrubiu, ossia "il pane rosso", è un tipo di pane preparato con grano duro, miele, uva passa e buccia di arancia, che deve il suo tipico colore rossiccio all'aggiunta di una piccola quantità di zafferano. Viene tuttora distribuito ai fedeli nel corso della festa patronale del paese. Notevole è la sua importanza nella religiosità popolare del luogo.
Etimologia:
Il sardo campidanese arrubiu "rosso" deriva direttamente dal latino rubeus "rossiccio". 
Varianti: su pai arrubiu 
Link: 

sabato 29 luglio 2023

UN RELITTO PALEOSARDO IN SARDO LOGUDORESE: SUSPU 'GHIANDOLA DI CAPRA'

In sardo logudorese esiste la parola suspu "ghiandola di capra". Questo vocabolo non va confuso con l'omofono suspu (variante súspiu) "sospiro", "linguaggio sibillino", "specie di gergo" - che ha tutt'altra origine, essendo una parola romanza. Senza dubbio il nome della ghiandola è un termine la cui origine è anteriore all'arrivo dei Romani. 


Questa è la glossa in sardo riportata sul dizionario online, Ditzionàriu in linia de sa limba e de sa cultura sarda

"gràndhula, néula chi portat in gatzile su mascru ’e mamas de su tàgiu" 
Traduzione in italiano: "ghiandola, esalazione che ha sul collo il becco nel branco"

Questa espressione allude al famigerato e pestilenziale fetore esalato dal capro, che si intensifica nella stagione riproduttiva. 

Paralleli in Euskara 

A partire dai dati disponibili, possiamo procedere nelle nostre elucubrazioni. Queste sono le protoforme ricostruibili: 

Paleosardo: *anunts-bin "
ghiandola di capra"
Derivazione: *anuntsa "capra" + -bin "cosa aguzza"
Esiti romanzi:
   Sardo: suspu 
Trafila: 
 su (articolo determinativo romanzo) + *àu(n)spu >
 s'aùspu > suspu 
Nota: 
La perdita della nasale intervocalica, con una serie complessa di mutamenti, è un fenomeno analogo a quello che ricorre nel passaggio dal protobasco alle forme attestate di basco. La trafila qui presentata presuppone una lunga sovrapposizione di forme tarde di protosardo con il protoromanzo. Secondo Lorenzo Pianu, si è avuta una concrezione dell'articolo su, derivato dal pronome latino ipsu(m). Esiste tuttavia anche la possibilità che s- sia un prefisso non romanzo, espressivo o prodotto di una reduplicazione.  

Protobasco (ortografia di Mitxelena): 
    *anuntz-biN "ghiandola di 
capra" 

Derivazione del composto:

Protobasco (ortografia di Mitxelena): *anuntz "
capra"
  Basco: ahuntz "capra" 
Link:
Protobasco (ortografia di Mitxelena): *biN "cosa aguzza", 
      "dolore" 
Ricostruzione alternativa: *bin
  Basco: min 
  Semantica: min significa "pena", "dolore", "nostalgia",
     "desiderio" (sost.); 
     "amaro", "pungente" (agg.) 
    Forma articolata: mina "il dolore"
    Forma comparativa: minago "più pungente" 
    Forma superlativa: minen "il più pungente" 
    Forma eccessiva: minegi "troppo pungente" 
    Composti fossili: ozpin "aceto" 
Link: 
https://hiztegiak.elhuyar.eus/eu_es/min

Lorenzo Pianu sostiene invece che il secondo membro del composto sia -behe "magro, sottile". Questa è la protoforma ricostruibile: 

Protobasco (ortografia di Mitxelena): *bene "magro",
      "sottile"
  Basco: mehe "magro, sottile" 
  Derivati: mehar "stretto" 
  Composti fossili:
     ope "pasticcino" (< ogi + mehe, lett. "pane sottile"), 
     zume "vimini" (< zur + mehe, lett. "legno sottile") 
     alme "fianco di animale, lombo" (< alde + mehe,
       lett. "lato sottile")
Link: 
Attestazioni toponomastiche della radice paleosarda 
 
Il microtoponimo Genn'Anuntza (Genn'Aununtza), a Seùlo (comune in provincia di Nùoro, in Barbagia), è citato dal professor Eduardo Blasco Ferrer (RIP), che lo ha reputato giustamente una traduzione di toponimi come Monte craba (Ardauli, provincia di Oristano) e Baku de sa craba (Àrzana, provincia dell'Ogliastra). Risulterebbe l'unica attestazione toponomastica di questa radice in Sardegna, ma è comunque molto significativa. Si noti la sua perfetta conservazione, che contrasta con l'evoluzione corrosiva del composto qui analizzato. 

giovedì 27 luglio 2023

UN RELITTO PALEOSARDO IN SARDO LOGUDORESE: CODOSPE 'PANE D'ORZO'; 'VINO FATTO MALE', etc.

In sardo logudorese esiste la parola codospe (varianti: catospe, godospe, gordospe), che ha una sorprendente gamma di significati: "pane d'orzo", "pane di crusca per cani"; "vino fatto male" e persino "sputo", "scarto" (fonte: Lorenzo Pianu, da investigazioni sul campo). Senza dubbio si tratta di un termine la cui origine è anteriore all'arrivo dei Romani. 

Paralleli in Euskara  

A partire dai dati disponibili, possiamo procedere nelle nostre elucubrazioni. Queste sono le protoforme ricostruibili: 

Protosardo: *katon-orspin "cosa disgustosa" 
Significato letterale: mercorella-crescione 
   Esiti sardi: codospe, catospe, godospe, gordospe 
   Altre varianti: cadospe, godospo 
Nota: 
L'antica rotica è ancora evidente nella variante gordospe, con metatesi.

Derivazione del composto:

1) Protosardo: *katoni "cosa amara", "mercorella" 
   Esiti sardi: cadòni, cadòne "mercorella"
Protobasco (ortografia di Mitxelena): *kedaR- / *gedaR- "cosa amara" 
   Esiti baschi: kedar, gedar "fuliggine", "oscenità", "fiele" 
Per maggiori dettagli, vedi:
2) Protosardo: *orspin, *gurspin "crescione" 
Glossa punica: cusmin "crescione" 
  Esiti sardi: óspinu, gúspinu, grúspinu, grúspiu "crescione"
Nota: 
L'opinione comune è che la parola sarda sia di origine punica. In realtà la parola punica che indica il crescione è stata finora considerata di origine sconosciuta, non ha corrispondenze note nel Paese di Canaan ed è plausibile, anche dall'analisi della fonologia, che sia proprio di origine sarda/vasconica. Pianu riporta *OSPE come protoforma ricostruita. 

Derivazione ipotetica: *(k)ors- "fiore" + *bin "cosa aguzza" 

Mentre la prima parte *(k)ors- "fiore" è altamente speculativa, esistono buone basi per la seconda, che è ben documentata in basco: 

Protobasco (ortografia di Mitxelena): *biN "cosa aguzza", 
      "dolore" 
Ricostruzione alternativa: *bin
  Basco: min 
  Semantica: min significa "pena", "dolore", "nostalgia",
     "desiderio" (sost.); 
     "amaro", "pungente" (agg.) 
    Forma articolata: mina "il dolore"
    Forma comparativa: minago "più pungente" 
    Forma superlativa: minen "il più pungente" 
    Forma eccessiva: minegi "troppo pungente" 
    Composti fossili: ozpin "aceto" 
Link: 
https://hiztegiak.elhuyar.eus/eu_es/min 

Si nota infatti che il crescione ha un odore pungente e un gusto piccante. A quanto pare, le genti più povere della Sardegna lo usavano come alimento quotidiano. 

Un errore ingenuo

Quando mi sono imbattuto per la prima volta nel sardo codospe, l'unico significato a me conosciuto era pane d'orzo. Come conseguenza, avevo ipotizzato che si trattasse di una derivazione di un antico nome del pane, che avvicinavo al basco ogi "pane" (in alcuni dialetti "frumento"), che forma alcuni composti nella forma abbreviata o(t)-, come ad esempio: 

okin "fornaio" (< ogi + -gin, lett. "facitore di pane"), 
otondo "crosta di pane" (< ogi + ondo, lett. "fondo di pane"), 
otordu "pasto" (< ogi + ordu, lett. "ora del pane"), 
otsein "servitore" (< ogi + sein, lett. "bambino del pane"),
otzara "paniere" (< ogi + zara, lett. "cesto del pane"),
etc.  

Con ogni probabilità il protobasco *ogi "pane" risale a una forma più antica *koki. Mi sono reso conto dell'errore quando ho appreso che il sardo codospe non indica soltanto il pane d'orzo! Inoltre, il corrispondente sardo della parola basca è con ogni probabilità coccòi "tipo di pane" (varianti: cocòi, cacòi), da cui si può ricostruire un protosardo *kokkoi "pane". Esiste una problema con la consonante mediana, che è forte, a differenza di quanto accade nel basco. Al momento non si riesce a fare più luce su questi residui neolitici. 

martedì 25 luglio 2023

UN RELITTO PALEOSARDO IN SARDO CAMPIDANESE E LOGUDORESE: CADONE 'MERCORELLA'

In sardo campidanese e logudorese esiste la parola cadòne (variante cadòni), che indica la mercorella (Mercurialis annua). Quest'erba è considerata un nemico dei viticoltori, perché è radicata l'idea che dia un cattivo sapore al vino, rendendolo amaro e indesiderabile. Una simile idea, non verificata scientificamente, potrebbe essere un'antico pregiudizio superstizioso. Siccome l'etnologia studia, tra le altre cose, i pregiudizi e le superstizioni dei popoli, questa è una cosa della massima importanza, che può aiutarci a far luce su un'epoca remota, anteriore all'arrivo dei Romani. 
Varianti locali: 
  caroni 
  codone
  codoni
  gadoni
  aghedone
  cadòi 
  catone 

A quanto pare, cadoni burdu indica anche altre specie, come Chenopodium album, Chenopodium polyspermumChenopodium vulvaria. La confusione è grande. Si menziona anche il fatto, di per sé bizzarro, che nel Web ci sono pagine in cui il fitonimo cadoni è attribuito a "un tipo di giunco o canna palustre"

Fraseologia: 
Custu binu tenit sabori de cadòni! "Questo vino ha sapore di mercorella!" (ossia è da buttare perché imbevibile). 

Sinonimi di mercorella in italiano: 
erba mercuriale
erba mercurina 
farinaccio
erba puzzolana 
piede anserino 

Glosse in altre lingue: 
francese: mercuriale 
inglese: pigweed
spagnolo: cenizo

Abbiamo la glossa di Dioscoride (traduzione latina) catone "atriplice" (Atriplex hortensis), che indica una pianta annua commestibile del genere delle Amarantacee. In parole povere, è una specie di bietolone. 

Un primo tentativo di ricostruzione paleosarda 

Si ritrova una ricostruzione kathuni (senza asterisco) nel sito dell'Associazione Culturale Messaggero Sardo, in un contributo relativo all'etimologia del cognome Cadoni:  

Non sono riuscito ad appurare il nominativo dell'autore di questo breve articolo - che non cerca neppure di identificare un'origine ipotetica per il fitonimo problematico. 
In un altro articolo, pubblicato sempre sullo stesso sito, si trova invece la ricostruzione "khatuni" (senza asterisco e virgolettata), attribuita invece alla lingua etrusca, senza alcuna fonte o prova concreta: 


Paralleli in Euskara 

All'improvviso, un giorno, mentre mi struggevo alla ricerca di un'etimologia credibile per il fitonimo sardo, ho avuto un'idea che mi è parsa degna di nota. Dai miei banchi di memoria stagnante è emersa un'informazione che credevo di aver dimenticato dall'epoca in cui avevo studiato l'opera del professor Larry Trask: in basco kedar (varante: gedar) significa "fuliggine", ma anche "cosa disgustosa", "oscenità", "fiele". Ho subito controllato e ho potuto constatare che il mio ricordo era corretto. In origine, kedar doveva significare "cosa schifosa", "cosa amara". A parte la diversità del suffisso, che in basco mostra una rotica forte, mentre in sardo ha una nasale, la radice è sicuramente la stessa. 

A partire dai dati disponibili, possiamo procedere nelle nostre elucubrazioni. Queste sono le protoforme ricostruibili: 

Paleosardo: *katoni "cosa amara" 
   > *kadoni 
Nota: 
Si nota che la trafila che ha portato dalla forma paleosarda agli esiti nelle varietà locali di sardo campidanese e logudorese non si spiega bene in termini di regolari sviluppi romanzi. 
 
Protobasco (ortografia di Mitxelena): *kedaR- / *gedaR-
      "cosa amara" 
   Basco: kedargedar "fuliggine", "oscenità", "fiele" 
Link: 
Nota: 
Trask riporta soltanto le varianti gedarre e kedarra, con vocale finale che non sembra essere l'articolo; Morvan riporta l'enigmatica variante kelder.  
L'alternanza di /k/ e /g/ in protobasco iniziale depone a favore di un antico prestito, la cui origine non è però determinabile. Anche la consonante intervocalica /d/ è problematica e potrebbe derivare, tramite /t/ da un gruppo più antico con un elemento nasale /nt/, poi ridotto. Forse resta traccia di questa situazione nella variante kelder riportata da Morvan. La radice potrebbe essere ke "fumo" (varianti: khe, kee, kei, ki, ge, eke, ike; vedi Trask e Mitxelena), anche se non ne sono affatto sicuro (si potrebbe ipotizzare che il significato originale della radice fosse "schifo, fastidio"). Approfondiremo la complessa questione in altra sede.
Link:

Un parallelo in berbero 

Nel berbero della Cabilia esiste la parola aktūn (variante: waktūn) "piede anserino". Evidentemente è un prestito antico giunto dalla Sardegna. La protoforma ricostruibile è  questa: 

Proto-berbero: *ākVtūn "piede anserino" 
Origine: prestito dal paleosardo 
  Berbero di Cabilia: aktūn, waktūn
Nota: 
Il prefisso (w)a- che si trova in (w)aktūn è un articolo maschile fossilizzato. La vocale indeterminata -V- nella protoforma era con ogni probabilità /a/.

Un racconto di Agostino d'Ippona 
(De Civitate Dei, XXII, 8)

Un viticoltore di Uzalis, in Africa Proconsolare, era disperato perché aveva ottenuto una vendemmia assolutamente imbevibile. Così, piuttosto che gettar via tutto il contenuto di 200 anfore, ordinò a un suo schiavo di portare una caraffa nel santuario di Santo Stefano e di lasciarvela tutta la notte. L'indomani versò una piccola quantità del vino della caraffa in ciascuna anfora. Il vino guasto divenne all'istante eccellente. L'aneddoto di Agostino d'Ippona è riportato e commentato da Hugo M. Jones nella sua seminale opera Il tardo Impero Romano, 284-602 d.C. (The Later Roman Empire, 284-602, prima edizione 1981): "Storie ingenue come questa senza dubbio erano state sempre credute dal gregge dei comuni fedeli, ma è un segno dei tempi che un uomo della statura intellettuale di Agostino desse loro importanza." (Vol. III, pag. 1417). 
Forse il racconto fa riferimento, per quanto indiretto, proprio alla mercorella. Quando il vino andava a male, ad esempio a causa di muffe, la gente di cultura sardo-africana era portata a credere che la causa fosse un'infestazione di tale erba. Questo potrebbe far parte delle somiglianze linguistiche e culturali tra le genti del Nordafrica dell'epoca romana e i Sardi. 

Le opinioni dei romanisti

Giulio Paulis, nella sua opera I nomi popolari delle piante in Sardegna (1992), parte dall'aggettivo latino catus "furbo, astuto", "prudente", "saggio", "acuto (detto di suono)", arrivando a dedurne un significato originario di "aguzzo", "pungente". Quindi fa derivare la parola sarda cadone e le sue varianti dall'aggettivo latino con la semantica da lui ricostruita. La variante aghedone viene invece ricondotta ad acētum "aceto" con l'aggiunta di un suffisso, come se fosse un *acētōne(m). Anche Lorenzo Pianu sostiene queste ipotesi. 

Pseudoetimologie e farragini varie

Alcune ricostruzioni alternative, che hanno tutto l'aspetto di favole grottesche, si trovano nel vasto Web. Si basano su criteri anteriori alla nascita del metodo comparativo o su fantasie ideologiche di ogni genere. Così mi sono imbattuto in un tentativo di derivare cadone da un immaginario *aucato (genitivo *aucatonis), col senso di "zampa d'oca" (auca in latino tardo). L'etimologia è stata costruita a partire dalla denominazione "piede anserino" data alle piante del genere Chenopodium (dalle parole greche khēn "oca" e poûs "piede"), applicando un improbabile cumulo di suffissi. Fantasie romanistiche che sembrano formarsi tramite generazione spontanea! I bizantinisti vogliono vedere nel fitonimo sardo una frase greca, κάδω (kádō) "rovino" + οἶνος (oînos) "vino" - a dire il vero ci vorrebbe l'accusativo οἶνον (oînon) - con allusione al sapore amaro che la mercorella darebbe alla bevanda di Bacco. Ritagliano le parole del latino e del greco, tratte dai dizionari, poi ne fanno collage, nell'estremo tentativo di spiegare Omero con Omero. 

domenica 23 luglio 2023

UN RELITTO PALEOCORSO IN SARDO GALLURESE: ZERRU 'MAIALE' - E UN PARENTE IN BASCO

In sardo gallurese esiste la parola zerru "maiale", con la variante zerricu. La cosa sorprende molto, dato che si trova una perfetta corrispondenza in basco: zerri "maiale", con la variante txerri e la forma diminutiva txerriko


zerri "maiale" 
pronuncia: /'s̻er:i/ 
   (/s̻/ è una sibilante laminale sorda) 
varianti: txerri /'tʃer:i/, txarri /'tʃar:i/ 
  (/tʃ/ è l'affricata postalveolare sorda, come ch- in spagnolo) 
derivati: 
   zerrama "scrofa con prole" (ama "madre")
   zerri eme "scrofa" (eme "femmina")
   zerrikeria "porcheria", "sozzura"   
   zerrikume "maialino" (ume "cucciolo") 
   txerri-arbi "barbabietola" (arbi "rapa")
   txerri gorri "maialino" (lett. "maiale rosso") 
   txerri-hanka "zampe di maiale" (hanka "zampa")
   txerri-jan "pastone per i porci"; "cibo ripugnante"
       (jan "mangiare") 
   txerriko "maialino" (-ko, suffisso diminutivo)
polirematiche: 
   zerri-zerri eginda "ridotto a uno schifo" 
   (anche txerri-txerri eginda, txerri txerri egina)

Nel suo dizionario etimologico della lingua basca, l'accademico Larry Trask bloccava ogni indagine dei lemmi nativi, apponendo loro la frustrante sigla OUO (= of unknown origin "di origine sconosciuta"). Può sorgere il sospetto che zerri "maiale" sia un prestito giunto in basco in epoca remota, dato che esiste in tale augusta lingua anche un altro nome del porco: urde


urde "maiale" 
derivato antico: ordots "verro" 
derivati: 
   urdabere "bestiame suino"
   urdai "carne di porco", "lardo"
   urdaiazpiko "prosciutto" (traduce lo spagnolo jamón
   urdaki "lardo" 
   urdalde "branco di porci"
   urdama "scrofa con prole" 
   urdandegi "porcile" 
   urdanga "scrofa" 
   urde "sporco" (aggettivo)
   urde-ahardi "scrofa" 
   urde-gantz "grasso di porco" 
   urdekeria "porcheria", "sozzura"
   urdeki "carne di porco" 
   urdetu "insudiciare"; "insudiciarsi"
   urdezain "porcaro" 
   urdezko "sudicio", "impuro" 
   basurde "cinghiale" 
   gizaurde "delfino" (lett. "uomo-maiale"),
        variante izurde 
   itsas-urde
"tipo di delfino" (lett. "maiale di mare"), 
   etc.  

Vediamo che urde è più versatile del sinonimo zerri nella derivazione dei composti, cosa che depone a favore di una sua maggiore antichità.

I romanisti considerano il sardo gallurese zerru come un prestito dal basco. Non prendono neppure in considerazione l'ipotesi che si possa invece trattare di un resto del sostrato prelatino. Non si pongono nemmeno il problema di come una parola basca possa essere giunta in Sardegna in epoca medievale o successiva. Essendo il sardo gallurese molto affine al còrso, si può pensare che sia stato importato proprio dalla Corsica. Quindi i suoi elementi di sostrato saranno molto probabilmente dovuti al paleocòrso, la lingua prelatina degli antichi Còrsi - che doveva avere affinità genetiche con il paleosardo. Questi sono le protoforme ricostruibili: 

Paleocòrso: *tserru, *tserrikko "maiale" 
Protobasco (ortografia di Mitxelena): *tzeRi "maiale" 

Senza dubbio, come molti sapranno, in spagnolo esiste una parola simile per indicare il porco: cerdo. I romanisti hanno fatto di tutto per ricondurla al latino, ipotizzando una derivazione assurda da sētula "setola" (diminutivo di sēta), nonostante le più ardue difficoltà fonetiche. Queste sono le protoforme ricostruibili: 

Proto-iberico: *tserrito "maiale" 
Proto-romanzo: *tsèrritu(m) "maiale 
Trafila: 
*tsèrritu(m) > *tsèrridu > *tsērdu > cerdo 
Il femminile cerda "setola di porco" è un derivato secondario, con buona pace dei romanisti.

Un possibile prestito indoeuropeo
in proto-vasconico

Anche se non so tracciare bene i percorsi antichi della parola, sono dell'idea che si tratti di un remoto prestito da una lingua indoeuropea. 
Queste sono due protoforme indoeuropee ricostruibili, tra loro strettamente correlate. Le riportiamo assieme agli esiti nelle lingue derivate: 
   Proto-ellenico: *khr "porcospino" 
      Greco antico: χήρ (khr) "porcospino" 
   Proto-italico: *hēr "porcospino" 
      Latino: ēr "porcospino" (genitivo ēris), 
         ēricius, hēricius "porcospino" 

2) Proto-indoeuropeo: g'horjos "maiale"
   Proto-ellenico: *khorjos "maiale, porcello" 
      Greco antico: χοῖρος (khoĩros) "maiale, porcello" 
      Zaconico: χιουρί (çurí) "maiale" 
   Proto-albanese: *darja "maiale" 
      Albanese: derr "maiale"
      Nota: 
      Il nome della popolazione illirica dei Deuri è con ogni 
      probabilità un derivato di questa radice: 
      Deur- < *Derw-, con metatesi. 

Dal protoindoeuropeo, *g'horjos "maiale" è giunto in proto-kartvelico - anche se non è escludibile il percorso inverso: 


Proto-kartvelico: *γori "maiale"  
   Georgiano: ɣori "maiale" 
   Laz: ğeciğeji "maiale" (-c-, -j- < -r-)
   Mingrelio: ɣeǯi "maiale" (-ǯ- < -r-)

Ora della fine, si considerano del tutto ragionevole quanto riportato in questo dizionario etimologico per la voce zerri, anche se ritengo problematico parlare di "sostrato albanese".  


La speranza è che emergano nuovi dati in grado di estendere di molto le nostre conoscenze su un passato tanto difficile.

mercoledì 7 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: MÈLLEN 'GIALLO' - E UN SUO PARENTE IN SARDO

In romancio esiste la parola mellen "giallo". L'accento è sulla prima sillaba: mèllen /'mellen/. In sardo abbiamo una parola molto simile: mélinu "giallo". La sua origine è chiaramente celtica.

Proto-celtico: *melinos "giallo"  
  Antico irlandese: -
  Gallese antico: melin "giallo"
   Medio gallese: melyn "giallo"
   Gallese moderno: melyn "giallo"
  Cornico: melyn "giallo"
  Bretone: melen "giallo"

Proto-celtico: *melissis "dolce"
  Antico irlandese: milis "dolce"  
    Gaelico d'Irlanda: milis "dolce"
    Gaelico di Scozia: milis "dolce"

Proto-celtico: *melissos "dolce"
  Gallico: Melissos "Il Dolce" (antroponimo)  



Il nome del colore giallo è un derivato del proto-celtico *meli- "miele", tramite un comune suffisso aggettivale -no-. La vocale mediana è breve. L'accento cade sulla prima sillaba. Ci è documentato in latino l'aggettivo melinus "giallastro", con la -i- breve nella seconda sillaba: è un evidente prestito dal celtico. 

Proto-celtico *meli- "miele" 
  Antico irlandese: mil "miele"
    Gaelico d'Irlanda: mil "miele"
    Gaelico di Scozia: mil "miele"
    Manx: mill "miele"
  Gallese: mêl "miele"
  Cornico: mel "miele"
  Bretone: mel "miele"  


La radice è di chiara origine indoeuropea: *melit "miele". Ecco un elenco di discendenti:  

Greco: μέλι (méli) "miele", gen. μέλιτος (mélitos
Albanese: mjaltë "miele" (< *melita
Armeno: mełr "miele"; mełu "ape" 
Gotico: miliþ"miele" 

La stessa radice è documentata anche nelle lingue anatoliche: 

Ittita: mallit- / millit- "dolce; miele"
Luvio: mallit- "miele"
Palaico: mallitanna- "dolcezza (del miele)" 


Il latino melinus non va confuso con il quasi omofono mēlinus "fatto di mele; fatto di cotogne", "del colore delle cotogne", derivato dal greco μῆλον (mêlon) "mela", che ha la prima sillaba con vocale lunga. Esiste anche un omografo, non realmente omofono: mēlīnus "relativo a martora o tasso", da mēlēs "martora", "tasso" (animale): il suffisso in questo caso ha la vocale lunga -ī- e porta l'accento: /me:'li:nus/.  

In latino mel "miele" presenta in modo sistematico una consonante doppia nel corso della flessione e nei derivati.

nominativo: mel
genitivo: mellis
dativo: mellī
accusativo: mel
ablativo: melle, mellī

Questa consonante doppia proviene dall'assimilazione di un più antico gruppo -ld-, abbastanza anomalo come derivato di un precedente -l-it-, tramite un'antichissima lenizione. Ecco le protoforme ricostruite: 

Proto-latino: *meld "miele" 
  nominativo/accusativo: *meld
  genitivo: *meldes / *meldos
  dativo: *meldei
  ablativo: *melded / *meldīd  

Si ritrova naturalmente la doppia -ll- nei derivati, per questo ovvio motivo, che a scuola viene insegnato come "da imparare così e basta". Ecco un elenco: 

mellārium "arnia, alveare"
mellārius "apicultore"; "relativo al miele"
mellātiō "raccolta del miele"
melleus "di miele", "simile al miele", "dolce come il miele"  
melliculum "dolcezza" (vezzeggiativo) 
mellifer "che produce miele"
mellificāns "che produce miele"
mellificium "raccolta del miele", "produzione di miele" 
mellificō "produco miele" 
mellificor "produco miele"
mellifluēns "dal dolce parlare fluente" 
mellifluus "che versa miele", "dolce come il miele" 
mellīgō "propoli", "resina delle api" 
mellilla "dolcezza" (vezzeggiativo) 
mellīna "dolcezza" (vezzeggiativo)
mellītula "dolcezza" (vezzeggiativo) 
mellītus "mielato", "dolce come il miele" 
Mellōna "Dea del miele e delle api" 
Mellōnia "Dea del miele e delle api"
mellōsus "del miele", "simile al miele"

Notiamo che melinus "giallastro" presenta per analogia la forma mellinus, ma ha in origine una consonante semplice, proprio perché deriva dal celtico.

In proto-celtico, la parola indoeuropea *melit è passata da un tema in -i-:

Proto-celtico: *meli "miele" 
  nominativo/accusativo: *meli
  genitivo: *melois
  dativo: *melei
  locativo: *melei
  strumentale: *melī

Un altro derivato presente in latino:

melina, mellina "idromele"
Nota: 
Sembra un sinonimo di medus, medu "idromele", anche se più probabilmente indica la bevanda non fermentata. 

Nelle lingue celtiche non abbiamo attestati discendenti di *melinā "idromele", ma dovette essere esistito, come dimostra la forma latina. Tradurrei questa protoforma come "idromele non fermentato". 

domenica 6 febbraio 2022


IL MISTERO DEGLI ERETICI SARDI

Il millenarismo imperversava. Gli animi pii provavano un sincero terrore: l'avvicinarsi dell'Anno 1000 aveva riportato in vita le suggestioni apocalittiche del primo cristianesimo. In corrispondenza della data si temeva che sarebbe giunta la Fine dei Tempi. Anche quando l'Anno 1000 fu passato, il timore restava: molti credettero possibile che la data fatidica fosse invece il millenario della morte di Cristo anziché quello della sua nascita - ossia il 1033. Di quest'atmosfera ci dà testimonianza uno storico e cronista dell'epoca: Rodolfo il Glabro. Questo autore interpreta la comparsa di fermenti eterodossi come un segno dell'imminenza del Giudizio. Così egli scrive a questo proposito: 

Tutto ciò costituisce un presagio che ben si accorda con la profezia di Giovanni, là dove dice che Satana verrà liberato, e al termine di mille anni [uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra].

Tra i tanti eventi descritti come calamitosi, molti devono essere connessi alla comparsa di gruppi di Protocatari, riconducibili al Dualismo Bogomilo. È però da notare che alcuni casi sono di natura totalmente dissimile, come quello di Vilgardo da Ravenna (1), spiegabile piuttosto come un fermento neopagano nato tra i cultori delle lettere. Un fenomeno certo stravagante per il contesto dell'epoca, ma descritto tutto sommato nei particolari. Per contro un passo è ancora senza alcuna spiegazione soddisfacente:

Anche dalla Sardegna, isola dove gli eretici sempre abbondano, in quel tempo uscirono alcuni che andarono a traviare in parte la popolazione della Spagna: e finirono massacrati dai cattolici.

A cosa si riferisce Rodolfo il Glabro? Non sono riuscito a trovare in alcuna fonte altre allusioni a movimenti eterodossi in Sardegna. Il fatto, di per sé eccezionale, dovrebbe risalire al tardo X secolo, quindi prima della comparsa dei fermenti protocatari. Qual era la situazione religiosa della Sardegna dell'epoca in questione? Va notato che se ci fosse stata un'inveterata abbondanza di dissidenti religiosi, la cosa sarebbe dovuta emergere anche nelle opere di altri autori, anche se è probabile che la natura periferica di quel territorio spieghi almeno in parte questo silenzio.

Quando i Vandali giunsero ad occupare l'isola verso il 456, la cristianizzazione era abbastanza recente e non si era diffusa che nei centri costieri. I Vandali erano una popolazione appartenente al ramo rientale dei Germani, come i Goti e i Burgundi. Seguivano l'Arianesimo, ma essendo un'aristocrazia poco numerosa, la loro influenza religiosa sulle popolazioni sottomesse fu in pratica nulla. Avendo occupato anche l'Africa e perseguitandovi accanitamente il clero cattolico, utilizzarono la Sardegna come terra di esilio per i dissidenti. Accadde così che molti chierici della Chiesa di Roma furono confinati nell'isola.

Le lotte tra le diverse confessioni cristiane non toccarono la popolazione dell'interno. Questa regione era conosciuta come Barbaria, ossia come Terra Barbara (da cui Barbagia), perché i suoi abitanti non erano stati romanizzati. I Barbaricini, lontanamente imparentati con i Baschi, continuavano ad esprimersi in un idioma preindoeuropeo derivato dal nuragico, e adoravano gli idoli. Non c'è traccia di un singolo cristiano in quest'area prima dell'epoca di Gregorio Magno. Quando il dominio vandalico finì in Sardegna, nel 534, vi subentrarono i Bizantini. Papa Gregorio Magno scrisse nel maggio del 594 una lettera al barbaricino Ospitone, esprimendosi in questi termini:

"Gregorio ad Ospitone, capo dei Barbaricini.
Poiché nessuno della tua gente è Cristiano, per questo so che sei il migliore di tutto il tuo popolo: perché sei Cristiano. Mentre infatti tutti i Barbaricini vivono come animali insensati, non conoscono il vero Dio, adorano legni e pietre, tu, per il solo fatto che veneri il vero Dio, hai dimostrato quanto sei superiore a tutti.
Ma dovrai mettere in atto la Fede che hai accolto anche con le buone opere e con le parole, e al servizio di Cristo, in cui tu credi; dovrai impegnare la tua posizione di preminenza, conducendo a Lui quanti potrai, facendoli battezzare e ammonendoli a prediligere la vita eterna.
Se per caso tu stesso non potrai fare ciò perché sei occupato in altro, ti chiedo, salutandoti, di aiutare in tutti i modi gli uomini che abbiamo inviato lì, cioè il mio "fratello" e coepiscopo Felice e il mio "figlio" Ciriaco, servo di Dio consolatore, e di aiutarli nelle loro mansioni, di mostrare la tua devozione nel Signore onnipotente, e Lui stesso sia per te un aiuto nelle buone azioni come tu lo sarai per i servi consolatori in questa buona opera, e tramite loro ti mandiamo veramente la benedizione di San Pietro Apostolo, che ti chiedo di ricevere con buona disposizione d'animo."

Sembra che l'intento cristianizzatore di Gregorio si sia dimostrato fallimentare e che anzi il paganesimo abbia conosciuto una fase di espansione accompagnata da violente scorrerie ai danni delle popolazioni cristianizzate di lingua romanza.

Il dominio bizantino, limitato alle coste, portò nuove forme di culto cristiano, fino ad allora sconosciute. Alcuni residui di quest'epoca ancora permangono. Un tipico esempio è il culto di San Costantino (in sardo Santu Antine). L'Imperatore Costantino è ignorato dal martirologio romano, ma è considerato santo dalla Chiesa Ortodossa, che anzi gli attribuisce un singolare epiteto, chiamandolo Pari agli Apostoli.

Qualche autore ha pensato che Rodolfo il Glabro alludesse a forme di monachesimo greco-bizantino, che sarebbero state considerate eretiche (2). Ancora oggi qualcuno nei forum si chiede con stupore come mai i Sardi venererebbero Costantino se la Chiesa di Roma non lo considera santo.

Non è comunque possibile che il cronista facesse riferimento a questo. L'uso di termini come "eretici" o "traviare" alludono evidentemente a contenuti dottrinali e non a mere differenze formali.

Non è neppure possibile pensare che Rodolfo confondesse del tutto l'eresia con il paganesimo (3). Agli adoratori di pietre ed alberi non è mai interessato il proselitismo. Chi erano dunque questi dissidenti religiosi che veleggiarono fino alla Spagna? Questo è un vero mistero, e a differenza dei tanti falsi dei misteriologi non ha soluzione alcuna. Si potrebbe pensare a Bogomili radicatisi precocemente attraverso ambienti monastici bizantini. Non si trovano comunque prove a favore di questa interpretazione. Dai documenti emerge che la Barbagia era ancora pagana nel X secolo, e che la sua prima cristianizzazione avvenne soltanto nel XI secolo (4). A un certo punto le fonti ci dicono che i cristiani della Sardegna avevano nemici esterni, ossia i Saraceni, come nemici interni, ossia i Barbaricini pagani. Non è facile capire come in un contesto simile l'isola potesse essere registrare abbondanza di eretici.

La stessa ipotesi di una precoce influenza bogomila comporta difficoltà. Se corrispondesse al vero, nei secoli successivi l'isola avrebbe dovuto essere un territorio ben predisposto alla diffusione del Catarismo, che vi apparve invece solo in forma marginale. Verso la fine del XIII secolo la Chiesa di Roma organizzò una spedizione in Sardegna per cercare di snidare esuli Albigesi, ma non registrò a quanto pare alcun successo (5).

Interessante è infine notare quanto contrasti con il quadro descritto da Rodolfo il Glabro la faziosa affermazione del Vaticano
, secondo cui "la Sardegna non è mai stata terra di eresie; il suo popolo ha sempre manifestato filiale fedeltà a Cristo e alla Sede di Pietro". 

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/
homilies/2008/documents


Sarebbe tra l'altro bello disporre di una macchina del tempo e spedire tra i Barbaricini pagani chi ha scritto "Sì, cari amici, nel susseguirsi delle invasioni e delle dominazioni, la fede in Cristo è rimasta nell’anima delle vostre popolazioni come elemento costitutivo della vostra stessa identità sarda". 

Note: 
 
(1) Vilgardo era un grammatico di Ravenna, appassionato di studi classici, che in seguito a una visione di Virgilio, Orazio e Giovenale, si mise a predicare il ritorno all'antica religione di Roma, finendo sul rogo (fine X secolo). Di lui ci parla Rodolfo il Glabro.
(2) Benelli è particolarmente incline a considerare gli eretici Sardi come Bogomili detti Fundaiti; Duvernoy è incline poi a considerare il Bogomilismo come un esito diretto del monachesimo basiliano.
(3) Jones e Pennick (2013) sono di diversa opinione e attribuiscono a una forma attiva di culto pagano l'eresia menzionata da Rodolfo il Glabro. 
Melis (2010) è incline a considerare gli eretici della Sardegna come proseliti di Vilgardo, giunti dalla Penisola.
(4) Non si deve confondere il nicodemismo con la conversione. "Gregorio la informa di aver mandato nell'isola dei chierici per convertire i Barbaricini pagani e si lamenta del fatto che il giudice dell'isola (ab eodem insulae judice...) esigeva la tassa dovuta dagli idolatri per poter praticare la propria religione, anche da quelli che si erano già convertiti" (Fois, 1990). Altri dettagli sono riportati in Jones-Pennick (2013). Una testimonianza tardissima di persistenza dei Barbaricini nel paganesimo è una poesia di Fazio degli Uberti (1305 o 1309 - post 1367), che dell'isola aveva esperienza diretta. Nel Dittamondo è scritto: "Quel che sia Cresime, e Battesimo non sanno". Con superficialità, il mondo accademico ha liquidato questo verso come dovuta all'influenza della lettera a Ospitone.
(5) Lambert (2001).

lunedì 4 ottobre 2021

UN RELITTO PALEOSARDO IN SARDO CAMPIDANESE: NEA 'AURORA'

Tra le più strane e interessanti parole sarde che mi sia capitato di incontrare, posso annoverare sicuramente il campidanese nea "aurora, alba". Come c'era da aspettarsi, il tentativo di spiegare questo vocabolo erratico ha fatto impazzire gli studiosi. 
 
Così il Salvioni: 
 
 
CAMPID. néa AURORA   
 
Non vedo altra via per dichiarar la voce, che di invocare ēōs, riconoscendo nel n un resto della preposizione in concresciuta, e nell' -a, un facile metaplasma.  
 
Una simile invocazione è più stupida degli escrementi di una mosca su uno specchio di un postribolo d'infimo ordine. 
 
Salvioni invoca addirittura il greco epico ἠώς (ēṓs) "aurora", nemmeno il greco attico ἕως (héōs). E come diavolo avrebbe fatto una forma antiquata e dotta come quella ad arrivare tra i pastori del Campidano? 
Questo è l'elenco degli esiti del proto-indoeuropeo *h₂éwsōs "aurora" negli antichi dialetti della lingua dell'Ellade.
 
Epico: ἠώς (ēṓs) 
    trascrizione IPA: /e:'o:s/
Attico: ἕως (héōs)
    trascrizione IPA: /'heo:s/
Eolico: αὔως (áuōs), ᾱ̓́ϝως ´wōs)
    trascrizione IPA: /'auo:s/, /'a:wo:s/
Dorico: ᾱ̓ώς (āṓs)
    trascrizione IPA: /a:'o:s/
Beotico: ᾱ̓́ας
´as)
    trascrizione IPA: /'a:as/
Laconico: ᾱ̓ϝώρ (āwṓr), αβώρ (abṓr)
    trascrizione IPA: /a:'wo:r/, /a:'bo:r/
 
Possiamo essere sicuri che nessuna di queste varianti avrebbe trovato la sua via nell'impervia Sardegna. I romanisti, quando si trovano davanti una voce che non deriva da una trafila di una protoforma latina, vanno in marasma, perché gli schemi che hanno appreso non riescono a sorreggerli. In queste condizioni critiche, troppo spesso proferiscono scemenze! 
 
Tra l'altro, all'epoca in cui le genti di Bisanzio avevano contatti con la Sardegna, l'antico nome dell'aurora era stato sostituito da un'altra parola, αὐγή (augḗ). 
 
αὐγή (augḗ) f. (genitivo αὐγῆς); prima declinazione 

 1. luce del sole
 2. raggi del sole (plurale)
 3. aurora, alba  
 4. luce splendente (come quella del fuoco)
 5. riflesso sulla superficie di oggetti splendenti 
 
In greco antico la pronuncia era /au'ge:/, mentre in greco bizantino si era già evoluta in /avˈʝi/
 
I Neogrammatici sostengono che questo nome dell'aurora derivi dalla ben nota e produttiva radice indoeuropea *h₂ewg- "crescere, accrescere", da cui sono discese anche le parole latine augēre "crescere" (augeō "io cresco", augēs "tu cresci", auxī "io crebbi", auctum "essendo cresciuto"), augmen "aumento, crescita" e augustus "maestoso, venerabile". 
Non sono convinto dell'esattezza di questa ipotesi, nata da una grossolana applicazione del Rasoio di Occam. A parer mio ci sono le basi per postulare una radice indoeuropea omofona di *h₂ewg- "crescere, accrescere", ma indipendente: *h₂ewg- "raggio di sole", "splendore", con paralleli anche extra-indoeuropei (vedi nel seguito). 
 
Altri esiti indoeuropei di *h₂ewg- "raggio di sole": 
Albanese: ag "aurora" 
     < proto-albanese *(h)aug-
  agòj "albeggiare, fare giorno"  
Proto-slavo: *ju:gu "sud", "vento del sud"
     Slavo ecclesiastico: *jugŭ "meridione, sud",
          "vento del sud"  
     Russo: юг (jug) "sud" 
     Ucraino: юга (juhá) "vento caldo del sud"  
     Serbo: ју̏г (jȕg) "sud" 
     Croato: jȕg "sud" 
     Sloveno: jȕg "sud" 
     Polacco: jug "disgelo" (dialettale)
     Ceco: jih "sud" 
     Slovacco: juh "sud" 

Nemmeno il greco αὐγή può essere l'origine della parola campidanese.

Le opinioni di Pittau

Pittau sosteneva che il sardo campidanese nea "aurora" fosse un grecismo, ma non lo identificava con l'antico nome della Dea Eos: lo confrontava invece con il greco νέα ἡμέρα (néa hēméra) "nuovo giorno". La pronuncia in greco moderno è /'nea i'mera/
 
Ben noto è il quotidiano Νέα Ημέρα Τεργέστης (Néa Iméra Tergestis), ossia "Nuovo Giorno di Trieste" (fine XIX secolo - inizi XX secolo).  

Ancora una volta, riesce difficile comprendere tutti i passaggi. Ci saremmo aspettati che dalla locuzione greca derivasse in campidanese *neamera, *neimera o *nemera anziché semplicemente nea

Un possibile prestito dal ligure 

La soluzione più ovvia e razionale, quella di un termine proveniente dal sostrato pre-romano, a quanto pare non è stata mai nemmeno considerata. Lo reputo un grave errore, nato dal pregiudizio che offusca la visione e impedisce di conoscere. Procediamo per gradi.   
 
Il greco νέος (néos) "nuovo" e il latino novus "nuovo" hanno la stessa origine, come anche il gallico novio- "nuovo" (attestato ad esempio in Noviomagus "Campo Nuovo", etc.). Queste parole risalgono tutte alla stessa radice: 
 
Proto-indoeuropeo: *newos, *newyos "nuovo" 

La lingua degli antichi Liguri era indoeuropea, anche se con un sostrato lessicale più antico. Il concetto di "nuovo" era espresso dall'aggettivo *nevios, come provato da importanti documenti. 
L'idronimo ligure Neviasca è attestato nella Tavola bronzea di Polcevera, scritta in latino arcaico e risalente al 117 avanti Cristo, che ci conserva toponimi notevolissimi. Riporto in questa sede il brano che ci interessa (i grassetti sono miei): 

Langatium fineis agri privati: ab rivo infimo, qui oritur ab fontei in Mannicelo ad flovium / Edem: ibi terminus stat; inde flovio suso vorsum in flovium Lemurim; inde flovio Lemuri susum usque ad rivom Comberane(am); / inde rivo Comberanea susum usque ad comvalem Caeptiemam: ibi termina duo stant circum viam Postumiam; ex eis terminis recta / regione in rivo Vendupale; ex rivo Vindupale in flovium Neviascam; inde dorsum flovio Neviasca in flovium Procoberam; inde / flovio Procoberam deorsum usque ad rivom Vinelascam infumum: ibei terminus stat; inde sursum rivo recto Vinelesca: / ibei terminus stat propter viam Postumiam, inde alter trans viam Postumiam terminus stat; ex eo termino, quei stat / trans viam Postumiam, recta regione in fontem in Manicelum; inde deorsum rivo, quei oritur ab fonte en Manicelo, / ad terminum, quei stat ad flovium Edem.

Traduzione (di Agostino Giustiniani): 
 
"I confini dell'agro privato dei Langati: presso il fiume Ede, dove finisce il rivo che nasce dalla fonte in Manicelo, qui sta un termine. Quindi si va su per il fiume Lemuri fino al rivo Comberanea. Di qui su per il rivo Comberanea fino alla Convalle Ceptiema. Qui sono eretti due termini presso la via Postumia. Da questi termini, in direzione retta, al rivo Vindupale. Dal rivo Vindupale al fiume Neviasca. Poi di qui già per il fiume Neviasca fino al fiume Procobera. Quindi già per il Procobera fino al punto ove finisce il rivo Vinelasca; qui vi è un termine. Di qui direttamente su per il rivo Vinelasca; qui è un termine presso la via Postumia e poi un altro termine esiste al di là della via. Dal termine che sta al di là della via Postumia, in linea retta alla fonte in Manicelo. Quindi già per il rivo che nasce dalla fonte in Manicelo sino al termine che sta presso il fiume Ede."

L'idronimo Neviasca significa qualcosa come "quella del (luogo) nuovo".

La radice ligure in questione, ha formato almeno un toponimo oltre al nome di fiume sopra considerato. Nell'entroterra genovese, in Val Graveglia, si trova il piccolo borgo di Ne (pronuncia /nɛ/, con la vocale aperta). I romanisti hanno tentato di ricondurlo all'antroponimo Nevius, da loro considerato "romano" - e confuso col gentilizio Naevius. Molto peggio dei romanisti hanno fatto i latinisti d'accatto pullulanti nelle parrocchie ottocentesce e novecentesche. Alcuni di loro hanno preso il latino nāvis "nave" e lo hanno fatto diventare Ne, incuranti del fatto che in genovese ha dato nae. Altri hanno preso il latino nemus "bosco sacro" e lo hanno fatto diventare Ne, incuranti del fatto che la consonante -m- intervocalica non può dileguarsi nel latino volgare che ha dato il genovese. Questi escrementi concettuali, che dovrebbero stare sepolti in una fossa settica, sono stati esumati da Google e messi sotto il naso degli utenti. 
 
Ne deriva direttamente dal ligure *Neviom "(Luogo) Nuovo" (pronuncia /'newiom/). 
Propongo così la ricostruzione *nevia /'newia:/ "cosa nuova", che tra i vari significati doveva avere anche "inizio del giorno". 
Sappiamo che alcuni elementi indoeuropei di provenienza ligure si sono insinuati nel paleosardo (Blasco Ferrer, 2011). Ad esempio il sardo tevele "debbio", elemento di sostrato, è derivato in ultima analisi dal ligure *debelo- (Debelus fundus) < protoindoeuropeo *dheghw- "bruciare". Così è plausibile che si sia verificata questa trafila: 
 
ligure /'newia:/ > paleosardo /'neia/ > /'nea/.  

Decisamente meglio delle storture dei romanisti!
 
Altra proposta etimologica per nea "aurora"
 
Quando sono venuto a conoscenza della parola campidanese nea "aurora", la mente mi è andata subito al basco egun "giorno", derivato dal verbo proto-basco *e-gun-i "splendere" (detto del sole). La protoforma ricostruibile sarebbe dunque n-egu-a. Tuttavia mi è sembrata troppo contorta e insoddisfacente la derivazione, carente soprattutto dal punto di vista morfologico: trovavo difficoltà a spiegare l'iniziale n- e la terminazione -a (considerato che questa non può essere l'articolo basco -a, il cui antenato suonava diversamente). Così ho abbandonato questa etimologia.
 
Conclusioni 
 
Un annoso problema è stato finalmente risolto. Peccato che al mondo accademico non importerà mai nulla di tutto questo: basta che una cosa sia scritta su un blog e la considerano automaticamente immondizia, senza nemmeno leggerla.