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venerdì 23 settembre 2022

ETIMOLOGIA DI VADUZ

Il Principato del Liechtenstein è una micronazione situata nell'arco alpino, incastonata tra la Svizzera e l'Austria. In effetti è uno dei paesi più piccoli del mondo. La lingua ufficiale è il tedesco standard ed è correntemente parlato un dialetto alemannico. Questa varietà di alemannico, usata dal 73% della popolazione (dato 2020), è molto divergente dal tedesco standard, che invece è usato dal 92% della popolazione (dato 2020). Tecnicamente parlando, vi sono due gruppi di dialetti; alto alemannico nel nord e altissimo alemannico nel sud. La capitale del Principato ha un nome che desta subito l'attenzione per il suo singolare aspetto fonetico: Vaduz. L'accento è sull'ultima sillaba. Riporto nel seguito alcuni dati sintetici:  

Tedesco standard: Vaduz 
   Pronuncia: /fa'dʊts/, /va'du:ts/ 
   Declinazione: gen., dat., acc. Vaduz 
Alemannico: Vadoz 
   Pronuncia: /fa'dots/
Prima attestazione: Faduzes
    Anno: 1175-1200 
Attestazioni successive (XIII sec.): Faduzze (1250), Vaducz, Vaduz (1249, 1304), Vadutzze, Vadutz  



Ci si pone ora una domanda. Qual è l'etimologia del toponimo Vaduz? A questo proposito, in letteratura si trovano due possibilità. 

1) Vaduz deriva dal latino Vallis Dulcis, ossia "Valle Dolce".  Il riferimento è alla grande bellezza dei luoghi e all'amenità del clima. Questa teoria in passato era molto accreditata. Friedrich Umlauft ha scritto in una nota nel suo libro "Das Fürstenthum Liechtenstein. Geographisch, historisch, touristisch" (1891): "Vaduz oder Valdulz, corrumpirt aus dem rätoromanischen Valdultsch, ist gleich "Süßthal", ehedem Valdulz, Valdultsch", ossia "Vaduz o Valdulz, corrotto dal retoromancio Valdultsch, è uguale a "Valle Dolce", anticamente Valdulz, Valdultsch" (i grassetti sono miei). Resta il fatto che non sono riuscito a trovare alcuna attestazione delle forme Valdulz e Valdultsch. All'epoca non erano diffusi gli asterischi per contrassegnare le forme ricostruite o congetturali. Fatto sta che la nota di Umlauft è stata citata centinaia e centinaia di volte, acquisendo un prestigio senza limiti.
 
2) Vaduz deriva dal latino Aquaeductus, ossia "Aquedotto". In romancio esiste la parola auadutg "canale del mulino", "conduttura" (glossa tedesca: Wasserleitung; offener Wassergraben, Kanal für Mühlen), da alcuni riportata come avadutg, che deriva direttamente dal latino aquaeductus "acquedotto". La sua pronuncia è /ava'dutʃ/ e presenta numerose varianti, come auadottel, aquaduct, etc. Il riferimento è ai canali che a quanto pare sarebbero stati usati già nel XII secolo per alimentare le numerose segherie e i mulini dell'area, che ferveva di frenetica attività imprenditoriale. Questa teoria alternativa sembra acquistare sempre più sostegno. 

Questo è quanto, allo stato attuale delle cose, è riportato sul Wiktionary in inglese: 


Etymology 

Via Rhaeto-Romance auadutg from latin aquaeductus.

Questo è quanto, allo stato attuale delle cose, è riportato sul Wiktionary in tedesco (i grassetti sono miei):


Zur Herkunft des Ortsnamens gibt es verschiedene Theorien: Einmal glaubt man, festgestellt zu haben, dass ein Bezug zum lateinischen vadum oder vadutium (Furt) bestehe. Dieser Ansatz gilt heutzutage als falsch. Es wird nun davon ausgegangen, dass Vaduz dadurch entstanden sei, dass aus dem Lateinischen das Wort aquaeductus (Wasserleitung, Wassergraben, Mühlgraben) in das Alträtoromanische als auadutg übergegangen sei. Die Übersetzung Mühlgraben oder Mühlgerinne ist den anderen vorzuziehen, da Wassergräben in Liechtenstein in früherer Zeit ungleich seltener vorkamen als Mühlgräben. Anlass zur Benennung des Ortes nach einem Mühlgraben hat aller Wahrscheinlichkeit nach eine Mühle am heute kanalisierten Altabach gegeben.[1]
Eine andere Quelle spricht davon, dass der Name der Gemeinde sich aus Valdutsch entwickelt hat, was sich aus dem lateinischen Wort vallis (Tal) und dem althochdeutschen diutisk (deutsch) zusammensetzt.[2]

1. Historischer Verein für das Fürstentum Liechtenstein: Vaduz
2. Wikipedia-Artikel „Vaduz“ 

Traduzione in italiano: 

Esistono diverse teorie sull'origine del toponimo: in primo luogo si ritiene sia stabilito un collegamento con il latino vadum o vadutium (guado). Questo approccio è oggi considerato sbagliato. Ora si suppone che Vaduz sia nata perché la parola aquaeductus (conduttura dell'acqua, canale dell'acqua, corsa del mulino) è stata trasferita dal latino nell'antico romancio come auadutg. La traduzione "fossato del mulino" o "canale del mulino" è preferibile alle altre, poiché in passato nel Liechtenstein i fossati erano molto meno comuni dei fossati dei mulini. Il motivo per cui la località prese il nome da una corsa di mulini era molto probabilmente un mulino sull'Altabach, che ora è canalizzato.(1)
Un'altra fonte afferma che il nome del comune deriverebbe da Valdutsch, composto dalla parola latina vallis (valle) e dall'alto tedesco antico diutisk (tedesco).(2)  

1. Associazione storica per il Principato del Liechtenstein: Vaduz
2. Articolo di Wikipedia “Vaduz
 
Non solvitur? Non proprio

Sono partito dal fatto che in romancio il digramma tg trascrive il suono palatale (affricata postalveolare) sordo /tʃ/.
Il passaggio dal latino volgare -ct- a /tʃ/ è molto comune: si trova anche nelle lingue galloitaliche, oltre che in spagnolo (es. octō "otto" > ocho). 
Invece in Vaduz si trova /ts/, che a quanto ne so non è mai il prodotto del latino volgare -ct- (se qualcuno può confutarmi portandomi esempi in qualche remota lingua locale, è di certo il benvenuto).  
Ho quindi dedotto che Vallis dulcis è possibile e plausibile, mentre Aquaeductus è comunque possibile ma abbastanza implausibile. 
Questa mia prima conclusione si è dimostrata troppo tecnicistica e frettolosa, non avendo tenuto conto dell'estrema variabilità dei dialetti della lingua romancia e del fatto che auadutg è  una voce semidotta. Rianalizzando la questione, ecco quanto ho appreso. 
Un esito /ts/ è il prodotto a partire dalla desinenza del plurale -s: aquaducts "canali del mulino", che è una forma attestata anche nella variante Avaduz (1725). Tutto mi è stato chiaro consultando il Dicziunari Rumantsch Grischun, disponibile online. Riporto il link (i grassetti sono miei): 


Flurnamen (aus RN.): als Adúts, Idúts (Tujetsch); Aquaduck, -dutgi, -dugt (Urk. 1448, Untervaz); Uadọ́tg (Bach, Lohn); Avaduz (Urk. 1725, Filisur); Suot Aguadottas (Äcker und Wiesen in Zuoz, urkundl. 1479 subter awadoytta, 1547 Sutaguaduttas, 1650 Suott aguaduattas, 1655 Suottaguaduottels). Gaduottel, Vaduottel (Wiese, Lavin, urkundlich 1742 guaduotel).  

Traduzione in italiano:   

Nomi di campi (da RN.): als Adúts, Idúts (Tujetsch); Aquaduck, -dutgi, -dugt (docum. 1448, Untervaz); Uadọ́tg (ruscello, Lohn); Avaduz (documento del 1725, Filisur); Suot Aguadottas (campi e prati a Zuoz, documentati nel 1479 subter awadoytta, 1547 Sutaguaduttas, 1650 Suott aguaduattas, 1655 Suottaguaduottels). Gaduottel, Vaduottel (prato, Lavin, documentato nel 1742 guaduotel).* 

*Tujetsch, Untervaz, Lohn, Filisur, Lavin sono cognomi di autori.

Conclusioni 

A questo punto non ci sono dubbi che la teoria dell'origine di Vaduz da Vallis Dulcis debba per necessità tramontare. Nel territorio del Liechtenstein era un tempo parlata una lingua retoromanza, con ogni probabilità affine al romancio dei vicini Grigioni. È possibile che questa lingua si sia estinta nel corso del XIII secolo. L'area è stata quindi interamente germanizzata da popolazioni di lingua alemannica: fa parte a tutti gli effetti della Romània sommersa

giovedì 15 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: GIOP 'GINEPRAIO'

In romancio esiste la parola giop "ginepraio" (glossa tedesca: Wacholderbusch). Si capisce all'istante che è una voce prelatina e ha corrispondenze galloitaliche in un'area abbastanza compatta della regione alpina: valtellinese giupp "rododendro" (Sondrio), giub "ginepro nano" (Tre Pievi), ticinese gip "rosa delle Alpi" e molte altre forme simili (Stampa, 1937). Se ne parla nell'Archivio glottologico italiano, volumi 22-23, ove è riportata la variante engadinese inferiore gioc, giocca "ginepro" (Ascoli, 1929). Purtroppo non sono riuscito ad avere accesso a questi testi e ne ho ottenuto solo brevi stralci da Google Books.  

Rileviamo una glossa del medico e botanico Dioscoride Pedanio (circa 40 d.C. - circa 90 d.C.), vissuto a Roma all'epoca di Nerone, che si collega al vocabolo romancio.  

Voce riportata da Dioscoride: 
   ἰουπικέλλους
ον (iupikélluson
Glossa greca: 
   ἄρκευθος (árkeuthos
Traduzione italiana: "ginepro" 
Fonte: De materia medica libri quinque - Volume I, cap. CIII. 

Sono erronee e dovute a tentativi di razionalizzazione le trascrizioni ιουπικελλους (iupicellus) e ιουπικελλος (iupicellos) che spesso si trovano riportate nei testi dei romanisti e di altri studiosi. 

Questo è il testo di Dioscoride originale in greco: 

Κεφ. ργ'. [Πεr Ἀρκεύθου.] Ἄρκευθος ἡ μέν τίς ἐστι μεγάλη, ἡ δ μικρά. [οἱ δ ἀρκευθίδα, οἱ δ μνησίθεον, οἱ δὲ ἀκαταλίδα, Ἀφροί ζουορινσίπετ, Αἱγύπτιοι λιβιούμ, Ῥωμαῖοι ἰουνίπερουμ, Γάλλοι ἰουπικέλλουσον. Γνώριμος δ ἡ μεγάλη τοῖς πλεῖστοις, ἐμφερς κυπαρίσσῳ, γεννωμένη ἐν τραχέσι κα παραθαλασσίοις τόποις.] Δριμεῖαι δ ἀμφότεραι, διουρητικα θερμαντικα, θuμώμεναί τε θηρία διώκουσιν. Ὁ δ καρπς αὐτῶν ὁ μέν τις καρύου μέγεθος εὐρίκεται, ὁ δ καρύοι ποντικοῦ ἴσος, στρογγύλος τε κα εὐώδης κα γλυκς ἐν τῷ διαμασσᾶσθαι κα ὑπόπικρος, ἀρκευθìς καλούμενος, θερμαντικς μετρίως κα στυπτικς, εὐστόμαχος. ποιῶν πρς τ ἐν θώρακι κα βῆχας κα πνεuματώσεις κα στρόφους κα θηρία πινόμενος. ἔστι δè κα οὐρητικς, ὅθεν κα σπάσμασι κα ῥήγμασι κα ὑστερικαῖς πνιγομέναις ἁρμόζει.

Questo è il testo di Dioscoride in latino (il grassetto è mio): 

Cap. CIII. [De Iunipero.] Iuniperus quaedam maior est, minor altera. [Hanc nonnulli arceuthida, alii mnesitheum, alii acatalida, Afri zuorinsipet, Aegyptii libium, Romani iuniperum, Galli iupicelluson vocant, Maior est in vulgus nota, cupresso similis, proveniens in asperis et submarinis locis.] Utraque est acris, urinam movet, calefacit, accensaque animalia noxia fugat. Fructus vero earum, alterius nucem (euboïcam), alterius nucem avellanam mole aequat, rotundus est, odoratus, dulcis dum manducatur, ac subamarus, arceuthis vocatus. Moderate calefacit et astringit, stomacho utilis. Potus ad pectoris vitia, tusses, inflationes, tormina morsusque bestiarum noxiarum inservit. Urinas quoque ciet, unde et convulsis et ruptis et quae utero strangulantur, subvenit. 

Traduzione in italiano: 

"Un tipo di ginepro è più grande, l'altro più piccolo. [Alcuni lo chiamano arceuthis, altri mnesitheum, altri acatalis, gli Africani zuorinsipet, gli Egiziani libium, i Romani iuniperus, i Galli iupicelluson, e allontana gli animali nocivi incendiandoli. Ma il loro frutto, grande l'una come una noce (euboïca), l'altra come una nocciola, è rotondo, profumato, dolce quando si mangia e subamaro, chiamato arceuthis. Moderatamente riscaldante e astringente, utile per lo stomaco. La bevanda serve contro le malattie del petto, la tosse, le flatulenze, le convulsioni e i morsi di animali nocivi. Cura anche l'urina, dalla quale aiuta coloro che sono convulsi e lacerati e coloro che sono strangolati nel grembo materno."

Nei testi dell'Archivio glottologico italiano, il suffisso 
-ikel-, molto peculiare, è confrontato con quello della glossa celto-ligure aravicelus "pino cembro", "pinastro", trasmessa da Plinio e attribuita ai Taurini, di cui si parlerà in altra sede. Tuttavia, appurato che la forma trasmessa da Dioscoride termina in -ikell-us-on, si evince che le cose sono un tantino più complesse.

La protoforma ricostruibile a partire dalle forme romance e galloitaliche è la seguente: 

Proto-celtico: *juppos "specie di arbusto" 
      < *jukkwos 

Questo scrive Carlo Salvioni in Etimologie varie, Romania, Vol. 36, No. 142 (1907), pp. 224-251, proponendo una ridicola paretimologia, pur avendo il pregio di riportare dati altrimenti difficili da reperire:

ENGAD. giob -p GINEPRO 2

Ricorre anche di quà dall' Alpi : valtell. giùba, giub, gip, ginepro, ginepro nano, poschiav. giòb pianterella nana. Nella Valle del Ticino però e altrove, le è proprio il significato di ʻ rododendro ʼ 3: arbed. gip, valcoll. žüp, e inoltre žip, gep, ǧüp, v. Bollett. st. d. Svizz. it., XIII, 102. Evidentemente c'è qui un trapasso di significato, nè saprei dire se dal ʻ rododendro ʼ al ʻ ginepro ʼ o da questo a quello. Molto verosimilmente però la prima alternativa è quella che corrisponde meglio alla realtà, poichè a designare il rododendro, quei di Pontirone, una valletta tributaria del Blenio, adoperano ǧọpadrórz cioè ʻ giubba dell' orso ʼ; e qual pur si sia la concezione da cui s'è mosso per creare questa designazione, essa trae conforto dal sinonimo braga d'ors proprio di Leontica (Blenio). Mi par dunque che non andremo lontani dal vero ravvisando in giop ecc. come la riduzione elittica del composto ʻ giubba dell' orso ʼ. La gamma vocalica in cui la voce ci si fa davanti, questa già ce l'offre nel suo significato proprio (valtell. giùba e gíba, arbed. gípa, sopras. gieppa ; per l'o, v. il ted. Joppe, Diez, W, 166). Solo giǫ́pa è a me ignoto, e chi sa che l'ǫ́ non si debba a ciò, che scioltosi giópa dal composto, e non intendendosene più il primitivo valore etimologico, venne facilmente attratto da qualche altra voce ? 

2. Divariato anche per gioc -cca, jocca, nel basso-eng.
3. Nella stessa Valtellina, a Ponte, è giüp rododendro. - La Leventina ha anche un giópa pianta di patate, e simili. 

Incredibile e grottesca è la conclusione del Salvioni, nel tentativo di ricondurre l'ignoto al noto, spiegando a viva forza Omero con Omero e mettendo il tutto nel letto di Procuste. Un simile operato alla meglio si deve considerare futile, alla peggio intellettualmente disonesto; l'unica scusante possibile è la scarsità d'informazione e di mezzi tipica dell'epoca. 

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: CARMUN 'DONNOLA'

In romancio esiste la parola carmun "donnola". L'origine è chiaramente celtica. 

Proto-celtico: *karmū*karmon- "donnola; ermellino" 
   Gallico: CARMO (attestato come antroponimo maschile) 
   Celtiberico: CARMO (nome di città, oggi Carmona
 
   Gallese: carlwm "ermellino" 
   Bretone: kaerel "donnola" (*)  

(*) Si noti l'irregolarità fonetica, forse dovuta ad analogia con kaer "forte".

Esiste qualche parallelo in altre lingue indoeuropee: 

1) Proto-germanico: *χarmǣn "donnola; ermellino" 
(ricostruzioni alternative: *xarmēn, *harmǭ, etc.)
  Antico inglese: hearma "ermellino; toporagno; ghiro" 
     (gen./dat./acc. hearman; nom./acc. pl. hearman;
      gen. pl. hearmena
dat. pl. hearmum
  Frisone occidentale: harmel "ermellino" 
  Antico sassone: harmo "ermellino" 
     Medio basso tedesco: harm "ermellino" 
  Antico olandese: *harmo, *hermilo "ermellino" 
    Medio olandese: hermel "ermellino"
    Olandese: herm "ermellino" (obsoleto); hermelijn
        "ermellino" 
  Antico francone: *harmo "ermellino; furetto"; 
        *hermilo, *hermilîn "ermellino" (**)
  Antico alto tedesco: harmo "ermellino; furetto";
        harmiloharmilîn "ermellino"  
     Medio alto tedesco: harme "ermellino"; hermelîn
        "ermellino"  
     Tedesco moderno: Harm "ermellino" (obsoleto);
        Hermelin "ermellino"  

(**) L'antico francese ha ereditato ermine (ermin, hermin, hermine) "ermellino" dalla lingua dei Franchi. La parola francese è poi passata in medio inglese ermyne (armyn, armyne, ermin, ermine, ermyn, hermyn), dando infine l'inglese moderno ermine


2) Proto-baltico: *čarm-ō̃, *čarm-ul-ia- (/ -e-"ermellino"
  Lituano: šarmuõ "ermellino; gatto selvatico", 
       šermuonėlis "ermellino" 
  Lettone: sarmulissermulis "ermellino" 

A partire da queste forme è stato possibile ricostruire un possibile antenato: 

Proto-indoeuropeo: *k'ormōn, *k'ormen- "ermellino" 
  (Starostin ricostruisce *k'er
əm-)

La parola è con ogni probabilità un resto di un più antico sostrato, assorbito nel tardo indoeuropeo occidentale. Allo stato attuale delle conoscenze non si riesce a specificare di più sull'origine ultima della radice e sulle sue dinamiche di diffusione.   

Il caso del topo dell'Armenia 

I romanisti, come ben noto, ritengono un libro chiuso tutto ciò che va oltre le conoscenze di latino del liceo. Così hanno escogitato una grossolana pseudoetimologia. Partendo dalla forma latina medievale (XIII sec.) armeninus "ermellino", chiaramente derivata dall'antico alto tedesco harmilîn con assimilazione, hanno ricostruito un inesistente (mūs) armenīnus "topo d'Armenia", facendolo derivare da armēnus "armeno".  

lunedì 12 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: UMBLAZ 'CORDA O ANELLO CHE UNISCE IL GIOGO AL TIMONE'

In romancio esiste la parola umblaz "corda o anello che unisce il giogo al timone", riferita all'aratro. L'origine è chiaramente celtica.   

Proto-celtico: *ambi-(s)lattijo- "corda o anello che unisce il giogo al timone" 

1) Il prefisso è eminentemente indoeuropeo e deriva da una ben nota preposizione:  

Proto-celtico: *ambi "attorno, intorno"
  Antico irlandese: imb "attorno, intorno" 
   Gaelico d'Irlanda: um "attorno, intorno"
   Gaelico di Scozia: mu "attorno, intorno" 
   Manx: mysh "attorno", "a proposito" 
  Medio bretone: am, em "attorno, intorno"
  Medio gallese: am "attorno, intorno" 
    Gallese moderno: am "attorno, intorno" 


Proto-indoeuropeo: *h2m̥bhi "attorno, intorno", "su entrambi i lati" 
Oltre all'esito in celtico, ha dato origine a questi discendenti:  
   Greco: ἀμφί (amphí) "attorno, intorno", "presso",
       "su entrambi i lati" 
   Latino: ambi-, amb-, am-, an- "attorno, intorno";
       "su entrambi i lati" 
   Proto-germanico: *umbi "attorno, intorno" 
   Sanscrito: abhi "verso", "sopra" 
   Antico persiano: abiy "verso", "contro", "sopra" 
   Armeno: ambołǰ "intero"


2) La radice del secondo membro del composto è ben attestata ed è con ogni probabilità un elemento di sostrato preindoeuropeo (come suggerito dal vocalismo e dalla presenza di una consonante geminata): 

Proto-celtico: *(s)lattā "asta", "stelo"
  Antico irlandese: slat "verga", "canna", "pene" 
    Gaelico d'Irlanda: slat "verga", "canna", "pene"  
  Medio gallese: llath "asta"
   Gallese moderno: llath "asta" 


A mio parere la protoforma dovrebbe avere una s- mobile, dato che non abbiamo la possibilità di appurare se il gallese llath provenga da *lattā o da *slattā. Nelle lingue germaniche esiste abbondante materiale della stessa antichissima origine, ma senza alcuna traccia di s- iniziale: 

Proto-germanico: *lattō, *laþþō "asta", "assicella" 
Antico inglese: lætt "assicella" 
   Medio inglese: laththe, laþþe, lathe, laþe "assicella"
   Inglese moderno: lath "assicella", "striscia sottile e stretta,
       fissata alle travi" 
   Scots: latt, lat, lath "assicella"
Antico sassone: latta "assicella" 
   Medio basso tedesco: latte "assicella"; lāde "tabellone
       espositivo, stand di vendita"
Medio olandese: latte "assicella"
   Olandese moderno: lat "assicella"
Antico alto tedesco: latta "assicella" 
  Medio alto tedesco: latte "assicella"; lade, laden "asse,
     mensola; imposta (di finestra)"
  Tedesco moderno: Latte "assicella" 

La parola italiana latta "lamiera di acciaio rivestita di stagno" è un chiaro germanismo, in origine utilizzato in ambito nautico col significato di "assicella".  

I romanisti hanno tentato con ogni mezzo di ricondurre la parola romancia al latino laqueus "laccio". Non tengono tuttavia conto di alcune cose: 

i) Il prefisso latino ambi- (am-, an-) "attorno, intorno" è stato ereditato in molti vocaboli, ma non è realmente vivo e produttivo in epoca classica. Non lo si trova in nuove formazioni, mentre è presente in molti composti sclerotizzati, spesso dotti, non presenti nella lingua volgare. Si noterà anche che è assente un elemento indipendente (preposizione) *ambi. Riporto un elenco di vocaboli, senza la pretesa di essere esaustivo: 

  ambedō "io mangio attorno, rosicchio" 
  
ambiguus "ambiguo, incerto, indeciso, dubbioso"
  ambiō "io vado attorno, circondo" 
  ambitiō "intrigo, ambizione" 
  ambitus "giro, orbita"
  ambivium "diramazione, bivio" 
  ambō "ambedue", "entrambi" (antico duale) 
  ambulō "io cammino, attraverso, viaggio" 
  ambūrō "io brucio in superficie, carbonizzo" 
  amptruō "io danzo attorno" (< *ambi-truō)  
  amputō "io taglio, recido" (< *ambi-putō
  anceps "che ha due teste" (< *ambi-caps
  ancīsus "tagliato attorno" (< *ambi-caesus)

ii) Il prefisso celtico ambi-, di identica origine indoeuropea, è vivissimo e alquanto produttivo anche nelle lingue celtiche moderne. A differenza di quanto accade in latino, si trova anche come elemento indipendente (preposizione). Riportiamo a titolo di esempio un elenco di parole gallesi formate con il prefisso am-

  amcan "idea, nozione"; "intenzione"
  amgáu "chiudere" 
  amgrwm "convesso" 
  amguedd "tesoro", "proprietà" 
  amgyffred "comprendere, afferrare, capire" 
  amgylchol "ambiente"; "circuito" 
  amgylchynu "circondare" 
  amchwaraefa "anfiteatro" 
  amddiffwn "proteggere, difendere" 
  amlaethai "erba del genere Polygala" 
  amlen "sviluppo" 
  amlosgi "cremare"  
  amnewid "rimpiazzare, sostituire"; "permutare" 
  ambell "occasionale" 
  amrwymo "legare con una fascia"
  amryw "vari, diversi" 

La conclusione è sempre la stessa. I romanisti conoscono soltanto il loro ambito limitatissimo. Non vanno oltre. In particolare, ignorano qualsiasi rudimento delle lingue celtiche. Non sono in grado di comprenderne i resti e fanno di tutto per consegnarli all'oblio eterno. Contro questa loro opera, insorgo ed insorgerò sempre.

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: TRUTG 'SENTIERO, PASSAGGIO A PIEDI SUI MONTI'

In romancio esiste la parola trutg "sentiero alpino", con le varianti trotg, truoch, truoi. Questi sono altri esiti della parola di sostrato in altre lingue retoromanze (friulano, ladino) e galloitaliche (veneto):

Friuliano: troi "sentiero"
Ladino: tru "sentiero" 
Veneziano: tróso "sentiero" 

L'origine è chiaramente celtica. Questa è la protoforma ricostruibile:  

Proto-celtico: *trogijo- "sentiero", "cammino" 

Non sono rimaste attestazioni di discendenti diretti, tuttavia la radice è ben nota nel mondo celtico con una variazione apofonica e un suffisso in dentale: 

Proto-celtico: *traget- "piede"    
  Antico irlandese: traiġ "piede" < *tragess  (< -ts),
         gen. traiġeḋ < *tragetos
     Irlandese moderno: troigh "piede" (di umano; unità
         di misura; unità metrica)
     Gaelico di Scozia: troigh "piede"    
     Manx: trie "piede"   
  Medio gallese: troet "piede" < *tragess  (< -ts),
        traet "piedi" < *tragetes  
     Gallese moderno: troed "piede", traed "piedi"   
  Antico bretone: troat "piede", treit "piedi"
     Bretone: troat "piede"
  Antico cornico: truit "piede"
     Medio cornico: troys, tros "piede"
     Cornico: troes "piede"
  Gallico: *trageđ
    Neogallico (1): treide "piedi" < *tragete (duale),
        *tragetes (plurale)  

(1) Glossario di Vienne (VIII sec.): treide "pedes". 


Questo è un notevole derivato, che mostra la stessa vocale tonica -a- ma non ha il suffisso in dentale: 

Proto-celtico: *wer-trago- "cane da caccia" 
     < *uper-trago- 
   Gallico: *VERTRAGOS "cane da caccia"  
      => Latino: vertragus "cane da caccia" 
        Antico francese: veltre "cane da caccia" 
        => Italiano (obsoleto): veltro "cane da caccia" 

L'antico significato letterale doveva essere qualcosa come "super-corridore". La parola vertragus (variante: vertraha) è uno dei più notevoli prestiti dal gallico in latino. Il prefisso ver-, ben noto anche nell'onomastica gallica (es. Ver-cingeto-rīx "Supremo Re dei Guerrieri), è discendente dalla stessa radice indoeuropea che ha dato il latino super e il greco ὑπέρ (hypér) "sopra". 
La radice proto-celtica -trag- doveva avere il significato originale di "camminare, correre". La protoforma indoeuropea ricostruibile, che ha pochi discendenti in germanico e in slavo, è la seguente: 

Proto-indoeuropeo: *tregh- "camminare", "correre" 
    Gotico: þragjan "correre"
    Serbo-croato: trâg "traccia" 

Con ogni probabilità si tratta di una variante di un'altra simile radice proto-indoeuropea, *dhregh- "correre", "trascinare", "spingere", che è più produttiva: numerosi esiti si trovano in greco, armeno, celtico, germanico, baltico, slavo. L'origine ultima permane comunque sconosciuta.  

giovedì 8 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: TEGIA 'MALGA, BAITA D'ALPE, CASCINA DI MAGGENGO'

In romancio esiste la parola tegia "malga, baita dl'alpe, cascina di maggengo". La sua origine è chiaramente celtica. 

Proto-celtico: *tegos, *teges- "casa"   
  Antico irlandese: teġ "casa"
    Gaelico d'Irlanda: teach "casa" 
    Gaelico di Scozia: taigh "casa" 
    Manx: çhagh, thie "casa" 
  Medio gallese: ty "casa" 
    Gallese moderno: "casa" 
  Antico bretone: tig "casa" 
    Bretone moderno: ti "casa" 
  Antico cornico: ti "casa" 
    Cornico: chi, chy "casa" 


Già in epoca antica ci è attestato nella toponomastica di area celtica la parola attegia "capanna" (attestata da Giovenale), che deriva chiaramente da un precedente *attegesā e che costituisce un chiaro esempio di neutro plurale/collettivo in , divenuto poi un femminile singolare (con vocale lunga, a differenza del latino -a). Si danno molti casi di scomparsa della sibilante -s- intervocalica in gallico, anche se non è un esito generalizzato: eias < *esijās; eianom < *esijānon e via discorrendo (Piombo di Larzac). Non accade mai questo dileguo nel suffisso superlativo -isamos, probabilmente perché in questo caso deriva dalla semplificazione di un gruppo consonantico (cfr. latino -issimus, etc.). 
In veneto la parola attegia si è conservata ed è diventata tesa /'teza/ "capanna". È perfettamente analoga alla forma romancia tegia. 

È molto facile ricostruire l'origine più lontana della parola celtica che ha dato questi chiari esiti in romancio e in veneto. La riportiamo con un sintetico elenco di discendenti (ben lungi dall'essere esaustivo): 

Proto-indoeuropeo: *(s)teg- "coprire" 
   Greco: στέγω (stégō) "io copro"; στέγος (stégos) "tetto" 
   Latino tegō "io copro", tectustēctus "coperto", "nascosto"  
       contegō "io nascondo" 
       dētegō "io scopro" 
       integō "io copro", "io proteggo" 
       praetegō "io proteggo" 
       prōtegō "io copro" 
       retegō "io scopro", "io rivelo"
       tector "pittore", "decoratore di muri"
       tectum "tetto", "rifugio"
       tegulum "tetto" 
       tegumen, tegmen, tegimen "protezione"  
       tegumentum "copertura", "armatura" 
       tēgula "tegola"   
       toga "tipo di veste" 
   Sanscrito: sthagati "egli copre, nasconde" 
   Proto-germanico: *θakan "tetto" 
      Antico inglese: þæċ "tetto" 
        Inglese moderno: thatch "tetto di paglia" 
      Tedesco: Dach "tetto" 
      etc.

mercoledì 7 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: MÈLLEN 'GIALLO' - E UN SUO PARENTE IN SARDO

In romancio esiste la parola mellen "giallo". L'accento è sulla prima sillaba: mèllen /'mellen/. In sardo abbiamo una parola molto simile: mélinu "giallo". La sua origine è chiaramente celtica.

Proto-celtico: *melinos "giallo"  
  Antico irlandese: -
  Gallese antico: melin "giallo"
   Medio gallese: melyn "giallo"
   Gallese moderno: melyn "giallo"
  Cornico: melyn "giallo"
  Bretone: melen "giallo"

Proto-celtico: *melissis "dolce"
  Antico irlandese: milis "dolce"  
    Gaelico d'Irlanda: milis "dolce"
    Gaelico di Scozia: milis "dolce"

Proto-celtico: *melissos "dolce"
  Gallico: Melissos "Il Dolce" (antroponimo)  



Il nome del colore giallo è un derivato del proto-celtico *meli- "miele", tramite un comune suffisso aggettivale -no-. La vocale mediana è breve. L'accento cade sulla prima sillaba. Ci è documentato in latino l'aggettivo melinus "giallastro", con la -i- breve nella seconda sillaba: è un evidente prestito dal celtico. 

Proto-celtico *meli- "miele" 
  Antico irlandese: mil "miele"
    Gaelico d'Irlanda: mil "miele"
    Gaelico di Scozia: mil "miele"
    Manx: mill "miele"
  Gallese: mêl "miele"
  Cornico: mel "miele"
  Bretone: mel "miele"  


La radice è di chiara origine indoeuropea: *melit "miele". Ecco un elenco di discendenti:  

Greco: μέλι (méli) "miele", gen. μέλιτος (mélitos
Albanese: mjaltë "miele" (< *melita
Armeno: mełr "miele"; mełu "ape" 
Gotico: miliþ"miele" 

La stessa radice è documentata anche nelle lingue anatoliche: 

Ittita: mallit- / millit- "dolce; miele"
Luvio: mallit- "miele"
Palaico: mallitanna- "dolcezza (del miele)" 


Il latino melinus non va confuso con il quasi omofono mēlinus "fatto di mele; fatto di cotogne", "del colore delle cotogne", derivato dal greco μῆλον (mêlon) "mela", che ha la prima sillaba con vocale lunga. Esiste anche un omografo, non realmente omofono: mēlīnus "relativo a martora o tasso", da mēlēs "martora", "tasso" (animale): il suffisso in questo caso ha la vocale lunga -ī- e porta l'accento: /me:'li:nus/.  

In latino mel "miele" presenta in modo sistematico una consonante doppia nel corso della flessione e nei derivati.

nominativo: mel
genitivo: mellis
dativo: mellī
accusativo: mel
ablativo: melle, mellī

Questa consonante doppia proviene dall'assimilazione di un più antico gruppo -ld-, abbastanza anomalo come derivato di un precedente -l-it-, tramite un'antichissima lenizione. Ecco le protoforme ricostruite: 

Proto-latino: *meld "miele" 
  nominativo/accusativo: *meld
  genitivo: *meldes / *meldos
  dativo: *meldei
  ablativo: *melded / *meldīd  

Si ritrova naturalmente la doppia -ll- nei derivati, per questo ovvio motivo, che a scuola viene insegnato come "da imparare così e basta". Ecco un elenco: 

mellārium "arnia, alveare"
mellārius "apicultore"; "relativo al miele"
mellātiō "raccolta del miele"
melleus "di miele", "simile al miele", "dolce come il miele"  
melliculum "dolcezza" (vezzeggiativo) 
mellifer "che produce miele"
mellificāns "che produce miele"
mellificium "raccolta del miele", "produzione di miele" 
mellificō "produco miele" 
mellificor "produco miele"
mellifluēns "dal dolce parlare fluente" 
mellifluus "che versa miele", "dolce come il miele" 
mellīgō "propoli", "resina delle api" 
mellilla "dolcezza" (vezzeggiativo) 
mellīna "dolcezza" (vezzeggiativo)
mellītula "dolcezza" (vezzeggiativo) 
mellītus "mielato", "dolce come il miele" 
Mellōna "Dea del miele e delle api" 
Mellōnia "Dea del miele e delle api"
mellōsus "del miele", "simile al miele"

Notiamo che melinus "giallastro" presenta per analogia la forma mellinus, ma ha in origine una consonante semplice, proprio perché deriva dal celtico.

In proto-celtico, la parola indoeuropea *melit è passata da un tema in -i-:

Proto-celtico: *meli "miele" 
  nominativo/accusativo: *meli
  genitivo: *melois
  dativo: *melei
  locativo: *melei
  strumentale: *melī

Un altro derivato presente in latino:

melina, mellina "idromele"
Nota: 
Sembra un sinonimo di medus, medu "idromele", anche se più probabilmente indica la bevanda non fermentata. 

Nelle lingue celtiche non abbiamo attestati discendenti di *melinā "idromele", ma dovette essere esistito, come dimostra la forma latina. Tradurrei questa protoforma come "idromele non fermentato". 

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: MARV 'RIGIDO, INSENSIBILE AL FREDDO'

In romancio esiste la parola marv "rigido, insensibile per il freddo". Descrive in modo sintetico la spiacevole sensazione di formicolio degli arti non ben irrorati dalla circolazione sanguigna, ad esempio quando ci si trova con una gamba "addormentata". La sua origine è chiaramente celtica.  

Proto-celtico:
*marwos "morto" 
  Antico irlandese: marḃ "morto"
   Gaelico d'Irlanda: marbh "morto, defunto"
        (pron. /'marəv/)
   Gaelico di Scozia: marbh "morto, defunto" 
        
(pron. /'marəv/)
  Manx: marroo "morto, defunto" 
  Medio gallese: marw "morto" 
    Gallese moderno: marw "morto" 
  Medio bretone: marf, maru "morto" 
   Bretone: marv "morto" 
  Gallico: *MARUO- "morto" 

Allo stato attuale delle mie conoscenze, la forma gallica non risulta attestata, ma sarò lieto di pubblicare aggiornamenti se necessario.


Questi sono alcuni derivati della radice in analisi: 

1) Proto-celtico: *marwo-natus "canto funebre, elegia" 
  Antico irlandese: marḃnaḋ "canto funebre, elegia"
  Bretone: marvnad "elegia"
  Medio gallese: marwnad "elegia"
    Gallese moderno: marwnad, marnad "elegia"
Nota: 
La parola *natus "canto" è di origine sconosciuta, molto probabilmente è un resto del sostrato pre-celtico. Ci sarà da stabilire - e non è facile - se sia un resto di un sostrato pre-celtico comune a tutti i Celti, passato nella protolingua nel suo antico luogo d'origine continentale, oppure se sia un resto di un sostrato pre-celtico specifico della Britannia e dell'Irlanda. 

2) Proto-celtico: *marwāti "morire"; "uccidere"
   Medio bretone: meruel "morire" 
     Bretone: mervel "morire" 
   Medio cornico: merwel "morire" 
     Cornico: merwel "morire" 
   Medio gallese: merwi "morire" 
   Antico irlandese: marḃaiḋ "uccidere"
      (forma congiunta: -marḃa; nome verbale: marḃaḋ)

Sarebbe troppo lungo e complicato riportare tutte le forme della radice indoeuropea d'origine. Mi limiterò a citare alcuni dati indispensabili, rimandando al Web per approfondimenti.

Proto-indoeuropeo: *mṛtwós "morto", derivato dalla radice *mer- "morire"  
    Proto-baltoslavo: *mirtwas "morto" 
       Proto-slavo: *mŭrtvŭ "morto" 
    Proto-italico: *mortwos "morto" 
       Latino: mortuus "morto" 
       Venetico: murtuvoí, “dead” (dat. sing.) 

sabato 2 ottobre 2021

UN RELITTO RETICO IN ROMANCIO: NUORSA 'PECORA'

Tra le parole di sostrato presenti nella lingua romancia, ne ho notata una che senza dubbio è un resto dell'antica lingua retica. Mi sembra molto importante, anche perché non è la solita parola tecnica: appartiene a una parte fondamentale del lessico alpino. È il nome della pecora: nuorsa. Questi sono i dati: 
 
Sursilvano: nuorsa "pecora" 
   traduzione inglese: sheep 
Sursilvano, Puter, Vallader: nuorsa "pecora femmina"  
   traduzione inglese: ewe 
Rumancio grigionese: nursa "pecora", "pecora femmina"
   traduzione inglese: sheep, ewe  
Sottosilvano: nursa "pecora", "pecora femmina"
   traduzione inglese: sheep, ewe  
Surmirano: nursa "pecora", "pecora femmina" 
   traduzione inglese: sheep, ewe  
 
Forme plurali: 
nuorsas, nursas "pecore", "pecore femmine"
 
Derivati: 
nurser "pecoraio"  

Protoforma retica ricostruita: 
*nurza
Nota: 
Il suffisso tirrenico -za, in origine un diminutivo, è molto comune e produttivo in etrusco; si trova inoltre fossilizzato in almeno un nome di animale: marza "maiale" (cfr. Facchetti, 2000).
 
Chiaramente i romanisti si sono sempre trovati in grande difficoltà con una parola tanto bizzarra. Hanno cercato in tutti i modi di ricondurla al latino, evocando una derivazione da nūtrīx (genitivo nūtrīcis) "nutrice", o di una sua variante con vocale breve, nŭtrīx - cosa che è foneticamente impossibile, oltre che semanticamente contortisimo, ben oltre i confini del ridicolo. Queste sono le mie obiezioni: 
 
i) Posizione dell'accento: 
 
La forma accusativa nūtrīce(m) porta l'accento sulla seconda sillaba, ovvero sulla vocale -ī- lunga: non è plausibile che l'accento si sia ritratto sulla prima sillaba. 
La forma nominativa nūtrīx porta l'accento sulla prima sillaba, ma non può aver dato nu(o)rsa
 
ii) Evoluzione della vocale finale: 
 
È implausibile che la finale -e(m) dell'accusativo nūtrīce(m) si sia evoluta in -a, anche visto che avrebbe dovuto produrre l'assibilazione della consonante -c-
La terminazione -īx del nominativo  non avrebbe potuto evolvere in -a.

iii) Evoluzione del gruppo consonantico -tr-:

Il gruppo consonantico -tr- non può aver dato -rs- in romancio: il suo esito è -dr-.
Così il verbo nūtrīre (nūtriō "io nutro", nūtrīs "tu nutri", nūtriī "io ho nutrito", nūtrītum "a nutrire") ha dato nudrir, non *nursir
 
iv) Semantica: 
 
È cosa sommamente implausibile che un animale tra i più comuni e utili non conservi il proprio nome e che al suo posto ne venga fabbricato uno nuovo derivato da un verbo. Questo processo di sostituzione non è di per sé impossibile, ma in genere si ravvisa in caso di tabù, per via di un timore superstizioso che in genere è connesso ai predatori o ad altri animali considerati pericolosi, nocivi, sinistri (ad esempio il lupo, l'orso, la volpe, etc.). 
 
Purtroppo, sembra che ormai questa derivazione da nutrīce(m) sia ormai ritenuta ufficiale, quasi una sorta di dogma della romanistica. Solo per fare un esempio, basti vedere il sito del progetto VerbaAlpina, diretto da Thomas Krefeld e Stephan Lücke, in cui il romancio nu(o)rsa è mostrato come esito del tipo latino nutrīcem. I dati possono essere visualizzati su mappa, in modo molto efficace: 
 
 
Eppure qualche dubbio talvolta emerge dalla crosta compatta della sicumera e della disonestà intellettuale, come un baco che rode la coscienza. Così il Salvioni menziona nuorsa nel trattare la voce francese nourrice (priva di qualsiasi connessione), in Romania, volume 43, N° 171 (1914): 


FRANC. nourrice

Pare strano che il REW ponga al num. 6008, e cioè tra le rispondenze di nŭtrix, questa voce (ch'egli scrive nourrisse) e il prov. noirissa. Già il Dict. gén., e chissà quanti prima di esso, avevano esposto che vi si tratti di nŭtrīcia. Questa forma è ben confermata dal nap. notriccia nutrice e meglio ancora dal sic. nurrizza ch'è appunto (questo non quello) un gallicismo e che ha figliato un nurrizzu balio, che ha allato a se un nutrizziu ampliato da *nutrizzu, che presuppone un indigeno *nutrizza. Mi pare invece che sbagli il Dict. gén. e con lui il REW, 6007, nel muovere dall'astratto nŭtrītio per ispiegare nourrison, ecc. che sarà il diminutivo di quel positivo ch'è nel prov. noiritz, che anche il REW colloca erroneamente al num. 60031. Io avrei accolto l'articolo nŭtrīcius "poppante". - E mi si lasci dire che mi par ben problematica la spettanza allo stesso num. del REW, di grig. nuorsa pecora. A me almeno non riesce in nessun modo di venirne foneticamente a capo. 

1. Starà a nŭtricia come poupon a poupe. (nota dell'autore)
 
Rileggete tutti le conclusioni del Salvioni: "A me almeno non riesce in nessun modo di venirne foneticamente a capo". A lui e a nessun altro può essere riuscita una simile impresa, perché siamo di fronte a una falsa etimologia fabbricata ad hoc.
 
Una citazione interessante del termine nuorsa si trova nell'Almanacco dei Grigioni (2016), nell'articolo Di come la Val Orsera divenne italiana, di Fabrizio Lardi:
 
 
"La storia del contenzioso sulla Val Orsera ha inizio nella notte dei tempi, da quando cioè le prime mandrie di armenti salite brucando dai pascoli della Vall’Agoné vennero a incontrarsi con quelle bormine che estivavano nell’ampia conca di Livigno. Erano quelli tempi grami, in cui la pastorizia, soprattutto di bestiame minuto, pecore e capre, faceva la ricchezza delle comunità. Così si saranno incontrati anche i primi pastori. Probabile è che Ursera, più che da orso, come vuole un* romantica toponomastica, venga dal romancio «nuorsa», pecora.2 Troppo importanti quegli animali, che fornivano tutto il necessario per vivere: carne, latticini, lana. La valle delle pecore per antonomasia, insomma. Tuttavia le vaste e selvagge vallate e i remoti altipiani di questa parte dell’Arco alpino sembravano in quei tempi garantire sufficiente disponibilità di pascoli a tutti. Sotto la spinta della crescita demografica la situazione andò però pian piano inasprendosi. Il mercato di prodotti ovini, soprattutto dell’affamata pianura lombarda in forte espansione, spinse a uno sfruttamento sempre più intensivo delle risorse alpine."

* Sic! (nota mia)
2) Sul modello di Alp Nursera, sopra Andeer. (nota dell'autore) 
 
Queste osservazioni del Lardi sono molto interessanti. Già da tempo mi ero imbattuto nella menzione dell'esistenza di toponimi in Urs-, presenti lungo l'arco alpino e non connessi con il nome latino dell'orso. Prima di poter stabilire con sicurezza che questa radice sia una variante di quella che ricorre nel romancio nu(o)rsa, occorrerebbero ulteriori studi e dati che molto probabilmente sono andati perduti.
 
Gli Aruspici e il fegato di pecora 
 
In etrusco la Dea della Fortuna era chiamata *Nurθia. Il teonimo in latino era trascritto come Nortia, con numerose varianti: Nurtia, Norcia, Norsia, Nursia, Nercia, Nyrtia. Questo nome doveva significare per l'appunto "Destino", "Fortuna", anche se dobbiamo dire che finora non si è trovato il modo di chiarirne l'etimologia. Queste sono le attestazioni di gentilizi derivati dal teonimo:  

Nurziu 
 genitivo: Nurziuś    
    femminile: Nurziunia  
    genitivo femminile: Nurziunias
Nurtine 
Nota: 
Cfr. Bezzembergher, 1877; D'Aversa, 1984; Morandi Tarabella, 2004.
 
Ora si spiega finalmente perché gli Aruspici usassero il fegato della pecora per scrutare i segni divini. La pecora doveva essere chiamata *nurza, proprio come in retico. Si capisce come l'assonanza con il teonimo *Nurθia fosse motivo sufficiente per giustificare e fondare una tradizione. Ovviamente si tratta di una somiglianza accidentale: il nome della divinità non è connesso a quello dell'ovino. 
 
Consideriamo ora alcuni altri antroponimi etruschi che potrebbero avere a che fare col teonimo *Nurθia. Il primo è un gentilizio:
 
Nufrzna  
 genitivo: Nufurznas 
    femminile: Nufrznei  
    genitivo femminile: Nufrznal 
Cfr. Benelli, 2015; Pittau, 2012, 2018. 

Il secondo è attestato come cognomen e come praenomen (es.: CIE 196, Tabula Cortonensis) ed è senza dubbio la base da cui è stato formato il gentilizio sopracitato:
 
Nufre   
  genitivo: Nufreś 
  genitivo patronimico: Nufresa
Cfr. Alberghina, 2013 
 
Il gentilizio Nufrzna, tipico di Perugia, è reso in latino con Noborsinius, Noforsinius o Nufronius (femminile Noborsinia, Noforsinia, Nufronia). Potrebbe anche essere che *Nurθia sia derivato da un precedente *Nufrθia. Se così fosse, sarebbe utile notare la somiglianza di queste forme con la ben nota parola egiziana nfr "buono, bello", femminile nfr.t "buona, bella". La pronuncia nel Medio regno doveva essere questa: maschile /'na:fa/; femminile /'nafra/. In epoca ellenistica, la pronuncia era ormai simile a quella del copto: maschile /'nu:fə/; femminile /'nɔfrə/. In copto il maschile è ⲛⲟⲩϥⲉ, il femminile ⲛⲟϥⲣⲉ (Sahidico), ⲛⲟϥⲣⲓ (Bohairico). Si fosse avvenuto un prestito dall'egiziano all'etrusco, molte cose si spiegherebbero. Non posso esserne sicuro al cento per cento, ma la trovo un'ipotesi affascinante. Certo è che sono documentati rapporti culturali tra l'Etruria e l'Egitto.