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sabato 2 ottobre 2021

UN RELITTO RETICO IN ROMANCIO: NUORSA 'PECORA'

Tra le parole di sostrato presenti nella lingua romancia, ne ho notata una che senza dubbio è un resto dell'antica lingua retica. Mi sembra molto importante, anche perché non è la solita parola tecnica: appartiene a una parte fondamentale del lessico alpino. È il nome della pecora: nuorsa. Questi sono i dati: 
 
Sursilvano: nuorsa "pecora" 
   traduzione inglese: sheep 
Sursilvano, Puter, Vallader: nuorsa "pecora femmina"  
   traduzione inglese: ewe 
Rumancio grigionese: nursa "pecora", "pecora femmina"
   traduzione inglese: sheep, ewe  
Sottosilvano: nursa "pecora", "pecora femmina"
   traduzione inglese: sheep, ewe  
Surmirano: nursa "pecora", "pecora femmina" 
   traduzione inglese: sheep, ewe  
 
Forme plurali: 
nuorsas, nursas "pecore", "pecore femmine"
 
Derivati: 
nurser "pecoraio"  

Protoforma retica ricostruita: 
*nurza
Nota: 
Il suffisso tirrenico -za, in origine un diminutivo, è molto comune e produttivo in etrusco; si trova inoltre fossilizzato in almeno un nome di animale: marza "maiale" (cfr. Facchetti, 2000).
 
Chiaramente i romanisti si sono sempre trovati in grande difficoltà con una parola tanto bizzarra. Hanno cercato in tutti i modi di ricondurla al latino, evocando una derivazione da nūtrīx (genitivo nūtrīcis) "nutrice", o di una sua variante con vocale breve, nŭtrīx - cosa che è foneticamente impossibile, oltre che semanticamente contortisimo, ben oltre i confini del ridicolo. Queste sono le mie obiezioni: 
 
i) Posizione dell'accento: 
 
La forma accusativa nūtrīce(m) porta l'accento sulla seconda sillaba, ovvero sulla vocale -ī- lunga: non è plausibile che l'accento si sia ritratto sulla prima sillaba. 
La forma nominativa nūtrīx porta l'accento sulla prima sillaba, ma non può aver dato nu(o)rsa
 
ii) Evoluzione della vocale finale: 
 
È implausibile che la finale -e(m) dell'accusativo nūtrīce(m) si sia evoluta in -a, anche visto che avrebbe dovuto produrre l'assibilazione della consonante -c-
La terminazione -īx del nominativo  non avrebbe potuto evolvere in -a.

iii) Evoluzione del gruppo consonantico -tr-:

Il gruppo consonantico -tr- non può aver dato -rs- in romancio: il suo esito è -dr-.
Così il verbo nūtrīre (nūtriō "io nutro", nūtrīs "tu nutri", nūtriī "io ho nutrito", nūtrītum "a nutrire") ha dato nudrir, non *nursir
 
iv) Semantica: 
 
È cosa sommamente implausibile che un animale tra i più comuni e utili non conservi il proprio nome e che al suo posto ne venga fabbricato uno nuovo derivato da un verbo. Questo processo di sostituzione non è di per sé impossibile, ma in genere si ravvisa in caso di tabù, per via di un timore superstizioso che in genere è connesso ai predatori o ad altri animali considerati pericolosi, nocivi, sinistri (ad esempio il lupo, l'orso, la volpe, etc.). 
 
Purtroppo, sembra che ormai questa derivazione da nutrīce(m) sia ormai ritenuta ufficiale, quasi una sorta di dogma della romanistica. Solo per fare un esempio, basti vedere il sito del progetto VerbaAlpina, diretto da Thomas Krefeld e Stephan Lücke, in cui il romancio nu(o)rsa è mostrato come esito del tipo latino nutrīcem. I dati possono essere visualizzati su mappa, in modo molto efficace: 
 
 
Eppure qualche dubbio talvolta emerge dalla crosta compatta della sicumera e della disonestà intellettuale, come un baco che rode la coscienza. Così il Salvioni menziona nuorsa nel trattare la voce francese nourrice (priva di qualsiasi connessione), in Romania, volume 43, N° 171 (1914): 


FRANC. nourrice

Pare strano che il REW ponga al num. 6008, e cioè tra le rispondenze di nŭtrix, questa voce (ch'egli scrive nourrisse) e il prov. noirissa. Già il Dict. gén., e chissà quanti prima di esso, avevano esposto che vi si tratti di nŭtrīcia. Questa forma è ben confermata dal nap. notriccia nutrice e meglio ancora dal sic. nurrizza ch'è appunto (questo non quello) un gallicismo e che ha figliato un nurrizzu balio, che ha allato a se un nutrizziu ampliato da *nutrizzu, che presuppone un indigeno *nutrizza. Mi pare invece che sbagli il Dict. gén. e con lui il REW, 6007, nel muovere dall'astratto nŭtrītio per ispiegare nourrison, ecc. che sarà il diminutivo di quel positivo ch'è nel prov. noiritz, che anche il REW colloca erroneamente al num. 60031. Io avrei accolto l'articolo nŭtrīcius "poppante". - E mi si lasci dire che mi par ben problematica la spettanza allo stesso num. del REW, di grig. nuorsa pecora. A me almeno non riesce in nessun modo di venirne foneticamente a capo. 

1. Starà a nŭtricia come poupon a poupe. (nota dell'autore)
 
Rileggete tutti le conclusioni del Salvioni: "A me almeno non riesce in nessun modo di venirne foneticamente a capo". A lui e a nessun altro può essere riuscita una simile impresa, perché siamo di fronte a una falsa etimologia fabbricata ad hoc.
 
Una citazione interessante del termine nuorsa si trova nell'Almanacco dei Grigioni (2016), nell'articolo Di come la Val Orsera divenne italiana, di Fabrizio Lardi:
 
 
"La storia del contenzioso sulla Val Orsera ha inizio nella notte dei tempi, da quando cioè le prime mandrie di armenti salite brucando dai pascoli della Vall’Agoné vennero a incontrarsi con quelle bormine che estivavano nell’ampia conca di Livigno. Erano quelli tempi grami, in cui la pastorizia, soprattutto di bestiame minuto, pecore e capre, faceva la ricchezza delle comunità. Così si saranno incontrati anche i primi pastori. Probabile è che Ursera, più che da orso, come vuole un* romantica toponomastica, venga dal romancio «nuorsa», pecora.2 Troppo importanti quegli animali, che fornivano tutto il necessario per vivere: carne, latticini, lana. La valle delle pecore per antonomasia, insomma. Tuttavia le vaste e selvagge vallate e i remoti altipiani di questa parte dell’Arco alpino sembravano in quei tempi garantire sufficiente disponibilità di pascoli a tutti. Sotto la spinta della crescita demografica la situazione andò però pian piano inasprendosi. Il mercato di prodotti ovini, soprattutto dell’affamata pianura lombarda in forte espansione, spinse a uno sfruttamento sempre più intensivo delle risorse alpine."

* Sic! (nota mia)
2) Sul modello di Alp Nursera, sopra Andeer. (nota dell'autore) 
 
Queste osservazioni del Lardi sono molto interessanti. Già da tempo mi ero imbattuto nella menzione dell'esistenza di toponimi in Urs-, presenti lungo l'arco alpino e non connessi con il nome latino dell'orso. Prima di poter stabilire con sicurezza che questa radice sia una variante di quella che ricorre nel romancio nu(o)rsa, occorrerebbero ulteriori studi e dati che molto probabilmente sono andati perduti.
 
Gli Aruspici e il fegato di pecora 
 
In etrusco la Dea della Fortuna era chiamata *Nurθia. Il teonimo in latino era trascritto come Nortia, con numerose varianti: Nurtia, Norcia, Norsia, Nursia, Nercia, Nyrtia. Questo nome doveva significare per l'appunto "Destino", "Fortuna", anche se dobbiamo dire che finora non si è trovato il modo di chiarirne l'etimologia. Queste sono le attestazioni di gentilizi derivati dal teonimo:  

Nurziu 
 genitivo: Nurziuś    
    femminile: Nurziunia  
    genitivo femminile: Nurziunias
Nurtine 
Nota: 
Cfr. Bezzembergher, 1877; D'Aversa, 1984; Morandi Tarabella, 2004.
 
Ora si spiega finalmente perché gli Aruspici usassero il fegato della pecora per scrutare i segni divini. La pecora doveva essere chiamata *nurza, proprio come in retico. Si capisce come l'assonanza con il teonimo *Nurθia fosse motivo sufficiente per giustificare e fondare una tradizione. Ovviamente si tratta di una somiglianza accidentale: il nome della divinità non è connesso a quello dell'ovino. 
 
Consideriamo ora alcuni altri antroponimi etruschi che potrebbero avere a che fare col teonimo *Nurθia. Il primo è un gentilizio:
 
Nufrzna  
 genitivo: Nufurznas 
    femminile: Nufrznei  
    genitivo femminile: Nufrznal 
Cfr. Benelli, 2015; Pittau, 2012, 2018. 

Il secondo è attestato come cognomen e come praenomen (es.: CIE 196, Tabula Cortonensis) ed è senza dubbio la base da cui è stato formato il gentilizio sopracitato:
 
Nufre   
  genitivo: Nufreś 
  genitivo patronimico: Nufresa
Cfr. Alberghina, 2013 
 
Il gentilizio Nufrzna, tipico di Perugia, è reso in latino con Noborsinius, Noforsinius o Nufronius (femminile Noborsinia, Noforsinia, Nufronia). Potrebbe anche essere che *Nurθia sia derivato da un precedente *Nufrθia. Se così fosse, sarebbe utile notare la somiglianza di queste forme con la ben nota parola egiziana nfr "buono, bello", femminile nfr.t "buona, bella". La pronuncia nel Medio regno doveva essere questa: maschile /'na:fa/; femminile /'nafra/. In epoca ellenistica, la pronuncia era ormai simile a quella del copto: maschile /'nu:fə/; femminile /'nɔfrə/. In copto il maschile è ⲛⲟⲩϥⲉ, il femminile ⲛⲟϥⲣⲉ (Sahidico), ⲛⲟϥⲣⲓ (Bohairico). Si fosse avvenuto un prestito dall'egiziano all'etrusco, molte cose si spiegherebbero. Non posso esserne sicuro al cento per cento, ma la trovo un'ipotesi affascinante. Certo è che sono documentati rapporti culturali tra l'Etruria e l'Egitto.   

domenica 17 aprile 2016

LE ORIGINI DI DESIO

La città oggi nota come Desio era un borgo chiamato Deussio nel X secolo. In seguito sono comparse le varianti Deuxio e Dexio, dove -x- è meramente grafica per -ss-, -s-. Il suo nome non deriva la sua origine dal vocabolo latino Deus o dal greco Zeus, come pure è stato proposto da etimologi incompetenti. Tali derivazioni sono impossibili per motivi morfologici e fonetici. Qualsiasi persona con conoscenze anche esigue di latino e di greco capirebbe che in Deus e in Zeus la finale -s non fa parte della radice (basti considerare le forme declinate) e quindi non è possibile derivarne formazioni come *Deusius e *Zeusius, anche senza menzionare la presenza della consonante doppia nel toponimo antico. Un'etimologia popolare è senza dubbio anche quella che rimanda a Deusdedit, ossia "Dio diede". C'è tuttavia anche di peggio: per molto tempo è stata in auge una paretimologia delirante che riconduceva Desio al latino ad decimum, perché situato "a dieci miglia da Milano verso Como".

L'autentica etimologia del toponimo in questione è da una radice celtica che indica lo spirito immondo, documentata da Agostino d'Ippona come dusius "demone". Questa è la citazione (De Civitate Dei contra Paganos):

"Et quoniam creberrima fama est multique se expertos uel ab eis, qui experti essent, de quorum fide dubitandum non esset, audisse confirmant, Siluanos et Panes, quos uulgo incubos uocant, inprobos saepe extitisse mulieribus et earum appetisse ac peregisse concubitum; et quosdam daemones, quos Dusios Galli nuncupant, adsidue hanc inmunditiam et temptare et efficere, plures talesque adseuerant, ut hoc negare inpudentiae uideatu." 

Anche Isidoro di Siviglia ne parla (Originum sive Etymologiarum): 

"Pilosi, qui Graece Panitae, Latine Incubi appellantur, sive Inui ab ineundo passim cum animalibus. Unde et Incubi dicuntur ab incumbendo, hoc est stuprando. Saepe enim inprobi existunt etiam mulieribus, et earum peragunt concubitum: quos daemones Galli Dusios vocant, quia adsidue hanc peragunt immunditiam."

Nel celtico locale dell'Insubria doveva suonare *Deuđđios, dove -đđ- esprime un suono interdentale simile a quello dell'inglese thin, ma forte. Il termine è dalla radice indoeuropea *dhwes- "spirito". Il dusius di Agostino può rappresentare un diverso grado apofonico (se sta per /'dusius/ o /'du:sius/) o una forma tarda (se sta per /'du:ssius/. Il toponimo lombardo è ben compatibile con la forma cornica dus "diavolo" e con quella bretone teus "folletto", che conservando una sibilante devono derivare da una forma gallica con -đđ- (< *-st-). La vocale cornica u e il dittongo spurio bretone eu trascrivono entrambi il suono /y/, e questo deve derivare da un precedente dittongo: *douđđios. Si tenga conto che -eu- è nella lingua gallica un arcaismo, presto sostituito da -ou-, quindi anche da -o- /o:/ e da -u- /u:/, come dimostrato dall'attestazione di centinaia di antroponimi di epoca romana. Nel toponimo Deussio si è invece avuta la riduzione del dittongo -eu- in -e-, come è accaduto anche in un altro nome di luogo di chiara origine indoeuropea: Leucum, che è diventato Lecco.

Stessa etimologia ha l'inglese Deuce "Diavolo", che non è realmente dall'antico francese deus "due" (moderno deux) inteso come il punteggio dei dadi. Questa è soltanto una paretimologia o etimologia popolare, un tentativo del volgo e di studiosi ingenui di spiegare Omero con Omero. A riprova di questa origine celtica, si cita la presenza della forma ducius, evidentemente per dusius, che glossa alcuni vocaboli per indicare i demoni nel Promptorium parvulorum sive clericorum (anno 1440):

Bugge, or buglarde. Maurus, Ducius.
Thyrce, wykkyd spyryte. Ducius.

Ebbene, questo ducius è la fonte diretta di Deuce nell'accezione di Diavolo. Si noti che la grafia con la lettera c per /s/ si trova anche nella parola thyrce, che è direttamente dal protogermanico *þurisaz "demone": norreno þurs "gigante", gotico *þauris /'θɔris/, che si trova nell'antroponimo Thorismodus, ossia *Þaurismoþs "Ira del Demone"

Il termine celtico all'origine del nome di Desio si ritrova non solo in varietà dialettali del francese, ma anche nel romancio (dischöl "folletto" < *dusiolus), nel tedesco della Westfalia (dus "diavolo") e persino nel basco (tusuri "bestia").

sabato 9 agosto 2014

IL LESSICO DEL NEOLATINO DI GAFSA (RICOSTRUITO)

Nel lessico di base del neolatino di Gafsa si conservano numerosi arcaismi. Alcuni sono andati perduti al di fuori dell'Africa, altri si conservano tuttora in alcune aree della Romània. Si trovano anche vocaboli che conservano il loro significato primitivo, avendo subito slittamenti semantici altrove. In altri casi ancora è il tema della parola ad essere arcaico.

abe, uccello < lat. ave(m)
(cfr. spagnolo ave id.)
anniklu, vitello di un anno < lat. anniculu(m)
(cfr. romancio anugl, montone)
àssere, oca < lat. ansere(m)
bellu, guerra < lat. bellu(m)
bentre, pancia < lat. ventre(m)   

bespru, sera < lat. vespru(m) 
bìtriku, patrigno < lat. vitricu(m)
bubulku, bovaro < lat. bubulcu(m) (italiano bifolco < *bi:fulcu(m),

    di origine italica)
bukka, guancia < lat. bucca(m)
eka, giumenta < lat. equa(m)
   (cfr. spagnolo yegua id., sardo logudorese ebba
eku, cavallo < lat. equu(m)
ekullu, cavallino < lat. equuleu(m) 

ezòlu, capretto < lat. haediolu(m) (cfr. romancio anzöl id.) 
kèrebru, cervello < lat. cerebru(m)
kuna, culla < lat. cu:na(m)
mankìppiu, servo < lat. mancipiu(m)  

metu, paura < lat. metu(m) 
mure, topo < lat. mu:re(m)
muskerda, escrementi di topo < lat. mu:scerda(m)
noberka, matrigna < lat. noverca(m)
nuru, nuora < lat. nuru(m)
obikla, pecora < lat. ovicula(m)
   (cfr. spagnolo oveja id.) 
òkkiput, nuca < lat. occiput
os, bocca < lat. o:s
pèrpera, partoriente < lat. puerpera(m)
pribinna, figliastra < lat. pri:vigna(m)
pribinnu, figliastro < lat. pri:vignu(m)
subulku, porcaro < lat. subulcu(m)
sue, scrofa < lat. sue(m)
   (cfr. sardo logudorese sue id.)
suile, porcile < lat. sui:le
suillu
, porco < lat. suillu(m)

Numerosissimi vocaboli suonano in modo molto simile all'italiano:

balena, balena < lat. ballaena(m) 
berme, verme < lat. verme(m)
bespa, vespa < lat. vespa(m)
dente, dente < lat. dente(m)
fronte, fronte < lat. fronte(m)
kampu, campo < lat. campu(m)
kane, cane < lat. cane(m)
kapra
, capra < lat. capra(m)
kastu, casto < lat. castu(m)
kolle, colle < lat. colle(m)
kollu, collo < lat. collu(m)
krabrone
, calabrone < lat. crabro:ne(m) 

dannu, danno < lat. damnu(m)
iunku, giunco < lat. iuncu(m)
lamna
, lamina < lat. la:mina(m)
lumbrìku, lombrico < lat. lumbri:cu(m)
luna, luna < lat. lu:na(m)
lupu
, lupo < lat. lupu(m)
mare
, mare < lat. mare
mente, mente < lat. mente(m)
monte, montagna < lat. monte(m)
ossu, osso < lat. ossu(m), per os (1) 
pala, pala < lat. pa:la(m)
palu, palo < lat. pa:lu(m)
pede, piede < lat. pede(m)
ponte, ponte < lat. ponte(m)
sale, sale < lat. sale(m)
sekùre, scure < lat. secu:re(m)
skarafazu, scarafaggio < lat. *scarafa:iu(m) (2)
sole, sole < lat. so:le(m)
sorte, sorte < lat. sorte(m)
sonnu, sonno < lat. somnu(m) 
stella, stella < lat. ste:lla(m)
tèrmite, tarlo < lat. termite(m)
terra, terra < lat. terra(m)
umblìku, ombelico < lat. umbili:cu(m)

(1) Agostino usava ossum quando predicava, per paura che le folle confondessero os con la parola che significa bocca, perché "Afrae aures de correptione vocalium vel productione non iudicant" (De Doctrina Christiana, 4, 10, 24).
(2) Il termine è di origine osca e corrisponde regolarmente al nativo scarabaeu(m).

Sono eminentemente latini i termini relativi all'agricoltura:

abena, avena < lat. ave:na(m) 
aratiba, terra arabile < lat. ara:ti:va(m)
aratore, aratore < lat. ara:to:re(m)
aratre, aratore < lat. ara:tor
aratru, aratro < lat. ara:tru(m)
aratzo, aratura < lat. ara:tio:
bòmere, vomere < lat. vo:mere(m)
faba, fava < lat. faba(m)
fasòlu, fagiolo < lat. phaseolu(m)
frumentu, frumento < lat. fru:mentu(m)
granu, grano < lat. gra:nu(m) 
kentènu, segale < lat. cente:nu(m)
kombustu, campo bruciato < lat. combu:stu(m)
iugu, giogo < lat. iugu(m)
lentitta, lenticchia < lat. *lentitta(m), per lente(m)
millu, miglio < miliu(m)
orzu, orzo < lat. hordeu(m)
semnare, seminare < lat. se:mina:re
sulku, solco < lat. sulcu(m)
suzugare, fissare al giogo < lat. subiuga:re
sùzugu, fissato al giogo < lat. subiugu(m)
temone, timone del carro < lat. te:mo:ne(m)

Anche l'apicoltura ha tratto il suo lessico da Roma:

àlbiu, celletta < lat. alveu(m)
apikla, ape < lat. apicula(m)
appiaru, alveare < lat. apia:riu(m)
appiaru, apicultore < lat. apia:riu(m)
fabu, favo < lat. favu(m)
kera, cera < lat. ce:ra(m)
mulsu
, vino mielato < lat. mulsu(m)

Interessanti sono i vocaboli relativi alla viticoltura, tutti di origine latina:

aketu, aceto < lat. ace:tu(m)
àkina, uva < lat. acina
   (f. coll., cfr. sardo logudorese àghina, àniga id.)
binaru, venditore di vino < lat. vi:na:riu(m) 
binu, vino < lat. vi:nu(m)
binza, vigna < lat. vi:neam
   (sardo logudorese binza id.)
bite, vite < lat. vi:te(m)
kaupo, oste < lat. caupo:
kaupones, osti < lat. caupo:ne:s
kellaru, cantina < lat. cella:riu(m)
lora, vino annacquato < lat. lo:rea(m)
mustu, mosto < lat. mustu(m)
pàmpinu, pampino < lat. pampinu(m)
uba
, uva < lat. u:va(m) 
temètu, vino forte < lat. te:me:tu(m)
torklu, torchio < lat. torculu(m)
trazektoru, imbuto < lat. traiecto:riu(m) 

Si noti che il latino caupo, perduto altrove nella Romània, fu popolarissimo tra i Germani.

Questi sono alcuni termini relativi all'economia:

arghentzu, argenteo < lat. argenteu(m)
aru, aureo < lat. aureu(m)
assaru, moneta da un'unità < lat. assa:riu(m)
dinaru
, denaro < lat. de:na:riu(m)
dramma, dracma < lat. drachma(m)
eràmine, moneta di rame < lat. aera:men
kintu, moneta da un quinto, quintino < lat. quintu(m)
   (cfr. gotico kintus, centesimo < lat.)
kommertzu, commercio < lat. commerciu(m)
merkatore
, mercante < lat. merca:to:re(m)
merkatre, mercante < lat. merca:tor
moneta
, moneta < lat. mone:ta(m)
pondus, libbra < lat. pondus
soldu aru, zecchino d'oro < lat. solidu(m) aureu(m)
untza, oncia < lat. uncia(m)

Si noti che aru "aureo" si contrappone ad auru "oro": la semiconsonante -e- deve aver influito nel semplificare il dittongo.

Aggettivi di base:

altu, alto < lat. altu(m)
baldu, forte < lat. validu(m)
bassu, basso < lat. bassu(m)
beklu, vecchio < lat. *vetulu(m)
beru, vero < lat. ve:ru(m)
brebe, corto < lat. breve(m)
bonu, buono < lat. bonu(m)
essìgu, minuscolo < lat. exiguu(m)
falsu
, falso < lat. falsu(m)

formu
, tiepido < lat. formu(m) 
friktu
, freddo < lat. fri:gidu(m)
gheldu
, gelido < lat. gelidu(m)
grabe
, pesante < lat. grave(m)

iùbene
, giovane < lat. iuvene(m)
kaldu
, caldo < lat. calidu(m)
keku, cieco < lat. caecu(m)
largu, largo < lat. la:rgu(m)
lebe, leggero < lat. leve(m) 
letu, fecondo < lat. laetu(m)
longu
, lungo < lat. longu(m)
malu
, cattivo < lat. malu(m)
mannu, grande < lat. magnu(m)
mezòkre, piccolo < lat. mediocre(m)
mutu, muto < lat. mu:tu(m)
pusillu, piccolo < lat. pusillu(m)
sanu, intero < lat. sa:nu(m)
tene, minuscolo < lat. tenue(m)
turpe, brutto < lat. turpe(m)
surdu, sordo < lat. surdu(m)

Esistono alcuni comparativi sintetici, ma nella maggior parte dei casi si ottengono tramite perifrasi, preponendo maghis "più" o minus "meno":

altzore, più alto < altio:re(m)
minore, minore < lat. mino:re(m)
mazore, maggiore < lat. ma:io:re(m)
pezore, peggiore < lat. pe:io:re(m)
senzore, più vecchio < senio:re(m)

maghis largu, più largo
minus largu, meno largo
maghis longu
, più lungo
minus longu, meno lungo

Esistono anche alcuni superlativi antichi, che però non possono essere usati come meri accrescitivi:

màssimu, il più grande < lat. maximu(m) mìnimu, il più piccolo < lat. minimu(m)
òktimu, il più buono < lat. optimu(m) pèssimu, il più cattivo < lat. pessimu(m)

Questi sono i nomi dei colori:

albu, bianco < lat. albu(m) 
birde, verde  < lat. viride(m)
flabu, giallo < lat. fla:vu(m)
fulbu, giallo scuro  < lat. fulvu(m)
fusku, marrone  < lat. fuscu(m)
gàlbinu, giallo chiaro  < lat. galbinu(m)
glauku
, azzurro < lat. glaucu(m)
kerullu, azzurro  < lat. caeruleu(m)
kesu, blu < lat. caesiu(m)
kineratzu, grigio chiaro  < lat. cinera:ceu(m)
lutzu, giallo < lat. luteu(m)
nigru
, nero < lat. nigru(m)
pullu, rosso scuro  < lat. pullu(m)
purpùru, purpureo  < lat. purpureu(m) 
rubru, rosso  < lat. rubru(m)
rufu
, fulvo < lat. ru:fu(m)
rabu, grigio  < lat. ra:vu(m)

Questi sono i nomi dei giorni:

Zie Lunis, Zilunis, Lunedì
Zie Martis, Zimartis, Martedì
Zie Mèrkuris, Zimèrkuris, Mercoledì
Zie Iobis, Zizòbis, Giovedì
Zie Bèneris, Zibèneris, Venerdì
Sàbbatu, Sabato
Dominka, Domenica

Appare evidente che le uscite dei giorni da Lunedì a Venerdì, in origine genitivi, hanno subito sincretismo, facendo prevalere un'uscita in -is nata dall'influenza di lat. -is (Dies Martis, Dies Iovis, Dies Veneris) su lat. -ae (Dies Lunae) ed -i (Dies Mercurii).

Questi sono i nomi dei mesi:

Ianaru, Gennaio < lat. Ianua:riu(m)
Febraru, Febbraio < lat. Februa:riu(m)
Martzu, Marzo < lat. Ma:rtiu(m)
Aprile, Aprile < lat. Apri:le
Mazu, Maggio < lat. Ma:iu(m)  

Iunzu, Giugno < lat. Iu:niu(m)
Iullu, Luglio < lat. Iu:liu(m)
Agustu, Agosto < lat. Augustu(m)
Sektembre
, Settembre < lat. Septembre(m)
Oktombre, Ottobre < lat. Octo:bre(m)
Nobembre
, Novembre < lat. Novembre(m)
Dekembre, Dicembre < lat. Decembre(m)

Molte parole sono state ereditate dal latino dotto, che a sua volta le ha prese dal greco. Il suffisso -ia - che in greco portava l'accento - è diventato atono, a differenza di quanto è accaduto in italiano. Il dittongo eu presente soltanto in parole di questa origine, è stato ridotto a un semplice e

abbestu, amianto; salamandra < lat. *asbestu(m), per asbeston
   (acc.) 
aiògrafa
, agiografia < lat. hagiographa (pl.)
armonza, bellezza < lat. harmonia(m)
artzàtre, medico < lat. archia:ter 
asfaltu, bitume < lat. asphaltu(m)
baktizare, battezzare < lat. baptiza:re
baktismu, battesimo < lat. baptismu(m)
blasfèmu, bestemmiatore < lat. blasphe:mu(m)
butirru, burro < lat. bu:ty:ru(m)
demonzu, demonio < lat. daemonium
ekarìssa
, eucaristia < lat. eucharistia(m)
ènniku, pagano < lat. ethnicu(m)
enukizare, castrare < lat. eunu:chiza:re
enùku, eunuco < lat. eunu:chu(m)
erèsa, eresia < lat. *haeresia(m), per haeresi(m)
fantàsa, fantasia < lat. phantasia(m)
filosòfa, filosofia < lat. philosophia(m) 
filosfu, filosofo < lat. philosophu(m)
krismare, cresimare < lat. chrisma:re
krisma, cresima < lat. chrisma
poèma, poema < lat. poe:ma 
poèsa, poesia < lat. *poe:sia(m), per poe:si(m) 
sfera, sfera celeste < lat. sphaera(m) 
simonza, simonia < lat. *simo:nia(m) 
simonzàku, simoniaco < lat. simo:niacu(m)
sinfonza, zampogna < lat. symphonia(m)
sodonza
, sodomia < lat. *sodomia(m)
zalektu
, vernacolo < lat. dialectu(m)
zàlogu
, discorso < lat. dialogu(m)

Il latino gergale delle prime comunità cristiane ha anche lasciato il suo segno:

kaktibu, indemoniato < lat. crist. capti:vu(m) <Diaboli:> (ossia
   "prigioniero del Diavolo")
persona, persona, tipo < lat. crist. perso:na(m) 
   (ossia "maschera"

tartaruka, tartaruga < lat. crist. *tartaru:cha(m) (ossia "abitatrice
   degli Inferi"
)
zie natale, il giorno della morte < lat. crist. Die(m) Na:ta:le(m)
   (ossia "nascita nel Regno dei Cieli")

Da kaktibu deriva kaktibitate, che indica la possessione diabolica.

Il nesso sf in queste parole ha una consonante bilabiale, un po' diversa da f, e in alcune varietà della lingua è rimpiazato a sp: spera, blaspèmu, aspaltu.

Elementi di sostrato, adstrato e superstrato

Esistono nel neolatino di Gafsa interessanti vocaboli risalenti al sostrato neopunico. La cosa non deve stupire: ancora Agostino di Ippona ci dice che ai suoi tempi la lingua punica era ancora in uso e che proprio i territori in questione ne erano la culla ancora calda. Di questi lemmi, soltanto due o tre sono sopravvissuti anche in sardo.

abadiru, meteorite < pun. abaddir, abadir id. 
alma, ragazzina < pun. alma, vergine (glossa)
Baldiru, Satana < pun. Baladdir, Baladir, Baal 
Balu, Satana < pun. Bal, Baal
bibbàlu, tempio pagano < pun. *beth-bal, *bith-bal, casa di Baal
kesàru, elefante < pun. kaisar id. (glossa)
kurma, ruta d'Aleppo < pun. churma id. (glossa)
(sardo nuorese kurma, kùruma id.)
makumbàlu, luogo dei pagani < pun. *maqom-bal, luogo di Baal 
minkàdu, capotribù berbero < pun. mynkd /min'kad/, sovrano
mintziktu, sepolcro < pun. mynsyfth id.
molkomòru, rito satanico < pun. molchomor, sacrificio di un
   agnello (iscrizioni di N'Gaous)  
molku, rito satanico < pun. molch, fen. mlk /molk/, olocausto
sikkìra, aneto < pun. *sichiria id.
(cfr. sardo zikkiria, zikkidia id.)

zìbbire, rosmarino < pun. zibbir id. (glossa)
(cfr. sardo campidanese zìppiri id.) 

I plurali di questi nomi si formano quasi sempre in modo regolare, ma alcune voci come molkomòru e molku sono ascritti ai nomi della IV declinazione latina:

bibbàlos, templi pagani
kesàros, elefanti
makumbàlos, luoghi dei pagani
minkàdos, capitribù berberi
molkomòrus, riti satanici 
molkus, riti satanici.

Una parola di chiara origine latina trova corrispondenza nelle iscrizioni neopuniche:

kentenara, fattoria : neopunico centenaria id., < lat. cente:na:ria(m)

Il termine in orgine si riferiva a fattorie fortificate, chiamate così perché costruite per resistere agli assalti delle popolazioni numidiche (berbere), e quindi idealmente per durare cent'anni. Meno probabile la derivazione dal latino cente:num "segale", coltura che a quanto pare era molto diffusa nell'Africa Romana.

Alcuni celtismi già diffusi nel latino dell'Impero sono presenti:

benna, cesta < lat. benna(m) < celt. *benna:
bira, anello < lat. viria(m) < celt. *wiria:
dusu, folletto, jinn < lat. du:siu(m) < celt. *du:sio-
ghesu, giavellotto < lat. gaesu(m) < celt. *gaiso-
kamìsa, camicia < lat. camisia(m) < celt. *kamisia:
karpentu, carro coperto < lat. carpentu(m) < celt. *karbento-
karru, carro < lat. carru(m) < celt. *karro-
kerbìsa, birra < lat. cervi:sia(m) < celt. cis. *ker(e)wi:sia:
segùsu, segugio < lat. segu:siu(m) < celt. lig. *segu:sio-

Una delle maggiori differenze con il vocabolario della lingua italiana sta nell'assenza di quel rinnovamento che ha portato moltissime parole come "bianco", "guerra", etc. Si trovano ben pochi germanismi, che discendono quasi tutti dalla lingua germanica orientale dei Vandali, che era una varietà della lingua dei Goti. 

maunire, ammannire < got. manwjan, preparare 
(cfr. sardo logudorese maunire)
melka, latte acido < lat. volg. melca, latte speziato, cfr. got. miluks, latte
(cfr. sardo nuorese merka, miscuglio cotto di latte fresco ed acido)

Si notano infine numerosi prestiti dall'arabo, spesso relativi alla religione islamica e alle istituzioni:

balla, è così < ar. wallah
Emiru, Emiro < ar. 'ami:r
Islamu, Islam < ar. Isla:m
kafiru
, pagano < ar. ka:fir
Kalifu, Califfo < ar. Khali:f
Kuranu, Corano < ar. qur'a:n
Mammadu, Maometto < ar. Muḥammad
matzida, moschea < ar. masjid
Mezinu, muezzin < ar. mu'aḏḏin
muslimu, musulmano < ar. muslim
Sittanu, Satana < ar. Shaiṭa:n
Sultanu, Sultano < ar. Sulṭa:n
Ziadu, Jihad < ar. jiha:d

Alcuni termini di abuso di uso comune sono pure stati tratti da termini arabi:

allufu, porco < ar. nordafr. ḥallu:f
aramu, peccaminoso < ar. ḥara:m
kàbalu, effeminato, travestito < ar. khawal  
kiziru, porco < ar. khinzi:r
marramu, cosa vietata < ar. muḥarram
sarmuta, puttana < ar. sharmu:ṭa

Ascoltando i suoni di questa conlang si compie quasi un viaggio a ritroso nel tempo e si comprendono le osservazioni di coloro che viaggiando a Gafsa hanno riportato che la lingua parlata in quel luogo era una latinità quasi integra, virante alla lingua sarda, oppure che era una una varietà di italiano poi deviata a causa della vicinanza con popoli di lingua araba.