giovedì 30 marzo 2017

GLI ESITI DEL LATINO VOLGARE IN SICILIA E UNO STRANO NEGAZIONISMO

Esistono negazionisti che non riconoscono l'esistenza e la genealogia della lingua siciliana. Li chiamo negazionisti, senza indugio, e affermo che il loro è negazionismo puro e semplice, perché consiste nella negazione di una realtà incontrovertibile. Secondo i chierici traditori che propugnano queste idee aberranti, nell'isola non sarebbe mai esistito un latino volgare: la conquista araba avrebbe imposto l'uso della lingua araba e cancellato in men che non si dica ogni traccia di lingua romanza: soltanto una forma di greco sarebbe sopravvissuta nei distretti nordorientali. In seguito, cessata la dominazione araba, ad essere parlato dalle classi alte dell'isola sarebbe stato il latino ecclesiastico, tirato fuori dalla naftalina per l'occorrenza. Per questo motivo non pochi negazionisti sostengono l'esistenza di una vera e propria "romanizzazione secondaria" in seguito alla conquista normanna, innestatasi su un contesto arabofono e grecofono come un elemento intrusivo a partire dalla realtà artificiale della lingua dotta del clero. 

Una prima formulazione di questa folle tesi fu fatta negli anni '30 dello scorso secolo dal romanista Gerhard Rohlfs (1892-1986), che tuttavia in seguito la rinnegò, attribuendola alla propria impetuosità giovanile. L'abiura del Rohlfs non esito ad attribuirla a un processo di maturazione come quello che rende il cognac migliore al passar degli anni: egli ha identificato come aberrazioni alcune sue teorie e con grande senso critico ha provveduto a rimuoverle. Eppure nel mondo accademico italico l'élite massonica ha passato sotto silenzio la notizia di questa abiura, formando al contempo fanatici sostenitori della nullità di varietà romanze che sono tuttora parlate da centiniaia di migliaia di persone, che hanno avuto una loro genesi e che non possono essere piovute dall'Iperuranio di Platone. Il folle enunciato di Rohlfs è in altre parole divenuto un dogma. I suoi partigiani riportano come prova l'assenza di documentazione scritta del latino volgare nell'isola fino ad epoca molto tarda, così ne negano l'esistenza tout court. Tutto ciò si fonda sul demente presupposto dell'archeologismo, secondo cui l'assenza di una lingua scritta implica l'assenza della lingua parlata.

Con buona pace dei sostenitori di una discontinuità insanabile nella Romània di Sicilia, la lingua latina volgare è esistita nell'isola senza soluzione di continuità, come provato dagli sviluppi fonetici regolari che sono ben riconoscibili da un'analisi anche sommaria del lessico di base. Non si scorge nessun elemento di frattura. Fornisco un sintetico quadro dei cambiamenti del sistema vocalico occorsi nei secoli. Come di costume quando si considera l'origine delle lingue romanze dal latino volgare, le forme latine di origine, sostantivi e aggettivi (salvo qualche eccezione), sono fornite all'accusativo, perché quella è nella maggior parte dei casi la base delle forme volgari.

La vocale a latina, breve o lunga, resta a.

annu(m) > annu "anno" 
caballu(m)*
> cavaḍḍu "cavallo"   
latro: > latru "ladro"
patre(m) > paṭṛi "padre"
ma:sculu(m) > masculu "maschio"
ma:tre(m)
 > maṭṛi "madre"
  
*Forma volgare, nel sermo nobilis si usava equu(m).

La vocale e breve latina dà e aperta. 

bellu(m)* > beḍḍu "bello" 
fel > feli "fiele"
ferru(m) > ferru "ferro" 
melmeli "miele" 
ventu(m) > ventu "vento" 
 
   *Forma volgare, nel sermo nobilis si usava pulchru(m).

Può dare i in alcuni contesti: 

mentula(m) > minchia "pene" 

La vocale e lunga latina dà i.

fe:mina(m) > fimmina "femmina"
me:nse(m)
 > misi "mese"
re:ne:s
> rini "reni"
te:la(m)
 > tila "tela" 

La vocale i breve latina resta i.

cicere(m) > cìciri(1) "cece" 
illu(m)
 > iḍḍu "lui" 
nive(m)
> nivi "neve"
pice(m)
> pici "pece"
pisce(m)
 > pisci "pesce"
 
(1)Non *cicìrri

La vocale i lunga latina resta i.  

fi:lu(m) > filu "filo"
fi:ne(m)
 > fini "fine"
vi:nu(m)
> vinu "vino" 

La vocale o breve latina dà o aperta.

bonu(m) > bonu "buono"
cor
> cori "cuore"
homo:
 > omu "uomo"
mortua(m)
 > morta "morta"
orbu(m) >
orvu "cieco" 

La vocale o lunga latina dà u.

ante ho:ra(m) > antura "poco fa"
dolo:re(m)
> duluri "dolore"
flo:re(m)
> sciuri "fiore" 
so:le(m) > suli "sole"
vo:ce(m)
 > vuci "voce" 

La vocale u breve latina resta u.  

cruce(m) > cruci "croce"
nuce(m)
> nuci "noce" 
russu(m) > russu "rosso" 
surdu(m)surdu "sordo" 
turri(m) > turri "torre"  

La vocale u lunga latina resta u

fu:mu(m) > fumu "fumo" 
iu:dice(m)
 > jùrici "giudice"
lu:ce(m)
 > luci "luce"
lu:na(m)
 > luna "luna" 
mu:ru(m)
> muru "muro" 

In vari dialetti si producono fenomeni di metafonesi molto peculiari, che comportano la formazione di dittonghi e mutamenti vocalici. Così beddu "bello" può essere pronunciato bièddu, bìeddu, biddu. Per maggiori dettagli rimando a questo interessante documento, opera di Silvio Cruschina dell'Università di Cambridge:


Per quanto riguarda il consonantismo, si hanno diversi mutamenti comuni ad altri dialetti del Meridione. 

Il nesso cl- e il nesso pl- evolvono entrambi in chi-; il nesso fl- evolve in sci-

cla:ve(m) > chiavi "chiave"
cla:vu(m) > chiovu "chiodo"
clu:dere*chiùriri "chiudere"
plangere
> chiànciri "piangere"
platea(m) > chiazza "piazza"
plu:scchiù "più"
fla:tu(m) > sciatu "fiato"
flu:mensciumi "fiume"

   *Volgare per claudere.

La liquida seguita da semiconsonante -i- dà origine a un suono velare. 

fi:liu(m) > figghiu "figlio"
fi:lia(m) > figghia "figlia"
muliere(m)* "donna" > mugghièri, mugghièra "moglie"
  *In lat. classico era mulìere(m), poi passato a mulière(m) per regolare mutamento. 

La liquida seguita da altra consonante si oscura fino a dare origine a un dittongo in -u-.

alteru(m) > auṭṛu "altro"
altu(m) > autu "alto"
calceae > causi "calzoni"
falsu(m) > fausu "falso" 

Per inciso, questo mutamento è una prova lampante dell'origine diretta del siciliano dall'antichità, perché continua il suono che tale consonante aveva nel latino volgare. Il latino ecclesiastico non ha traccia di questa pronuncia. La caratteristica durò così a lungo da intaccare anche i germanismi: es. meusa "milza"

Il nesso -mb- si assimila in -mm-; il nesso -nd- si assimila in -nn-. Questo sviluppo si trova non soltanto nell'Italia Meridionale, ma anche nei dialetti italiani mediani (es. quello di Roma).

camba(m)*camma, gamma "gamba"
palumba(m)
 > palumma "colomba"
plumbu(m)
 > chiummu "piombo"
grande(m)
 > ranni "grande" 
manda:re
mannari "mandare"
mundu(m) > munnu "mondo" 
quando:
> quannu "quando" 

La liquida del latino volgare, quando forte, ha prodotto un suono cacuminale (retroflesso), che si è sviluppato anche nella lingua sarda. Così il siciliano cavaḍḍu è molto simile al sardo quaddu e varianti. Appare evidente che una simile pronuncia è dovuta all'evoluzione di un remoto elemento di sostrato preromano che accomunava la Sicilia alla Sardegna. 

collu(m) > coḍḍu "collo"
gallu(m)
 > aḍḍu "gallo"
galli:na(m) > aḍḍina "gallina"
nullu(m) > nuḍḍu "nessuno" 

Come vediamo, non pochi sviluppi dei dialetti della lingua siciliana sono parte di un continuum più vasto e non sono assolutamente spiegabili in termini di latino ecclesiastico.

Origini della delirante teoria di Rohlfs

A questo punto ci si può porre una domanda. Cosa ha portato Gerhard Rohlfs a vaneggiare? La risposta è semplice: è stata la tendenza alla semplificazione estrema e allo schematismo, che accomuna i romanisti agli archeologi e che ha la sua origine nei metodi di insegnamento tipici del mondo scolastico. Procediamo per passi per comprendere la nascita e la crescita di un'aberrazione che arreca ancora danni.

1) Rohlfs è partito dalla constatazione seguente: non esisterebbe in siciliano traccia alcuna di uno strato arcaico di latinità, come invece avviene in altre parlate del Meridione. Così in Sicilia abbiamo dumàni "domani" anziché crai < lat. cras "domani". Allo stesso modo abbiamo testa "testa" anziché capa < lat. caput "capo, testa".
2) Rohlfs ha dedotto che non essendo attestati i suddetti vocaboli arcaici nell'isola, questi non siano mai esistiti. Questa deduzione bacata è diventata un dogma. Si tratta della fallacia logica detta non sequitur: crai "domani" non esiste nella Sicilia odierna (dato di fatto) => crai "domani" non è mai esistito in Sicilia, neanche in epoca in cui non esistono documenti (assunzione gratuita e infondata) => crai "domani" non può essere esistito in Sicilia per impossibilità ontologica (articolo di fede).
3) Rohlfs ha quindi definito su questa base il siciliano come una "lingua romanza moderna".
4) Dato che una "lingua romanza moderna" nell'estremo Meridione non si spiega, Rohlfs ha creduto di poterla definire una realtà estranea, proprio come la pecora e il coniglio in Australia.
5) Non esistendo una fonte attendibile per questa lingua romanza "nuova", ecco che Rohlfs la riconduce al latino ecclesiastico. La teoria deleteria ha così preso forma.

Non è difficile confutare la ricostruzione storica e linguistica usata da Rohlfs e dai suoi seguaci, tuttora molto attivi. 

1) Il dominio dei Bizantini inizia nel VI secolo. In Sicilia il greco diventa la lingua corrente, mentre il latino volgare è scomparso oppure ha lasciato qualche residuo locale.
    I nostri avversari assumono che le date abbiano un potere magico: quello di operare la trasformazione demica di un territorio all'istante, proprio come è inculcato agli studenti nelle scuole. L'esperienza mostra che le lingue neolatine hanno una grande vitalità e che la loro estirpazione è tutt'altro che facile.  

2) Nell'anno 827 inizia la conquista della Sicilia per mano degli Arabi. Questo processo porta alla nascita dell'Emirato di Sicilia. 
   I nostri avversari assumono che al comparire dei primi turbanti in Trinacria, la lingua araba si sia subito diffusa come un'epidemia di peste, portando alla quasi totale arabizzazione dei Siciliani, come per magia. 
3) In Sicilia, a causa della separazione dalla Romània, scompare ogni traccia di esiti del latino volgare eventualmente superstite. Si estingue del tutto ogni eredità dell'Impero, mentre il greco bizantino permane.
    I nostri avversari non sono in grado di provare questa fantomatica estinzione dell'eredità del latino volgare di Sicilia. Non possono fornire la data in cui sarebbe morto il suo ultimo parlante, né posseggono una macchina del tempo per appurare quale fosse la situazione linguistica dell'isola, ad esempio nel X secolo. Certo, al pari dei settari archeologi, si illudono di possedere queste conoscenze, date loro dalla mitica sfera di cristallo. 
4) Nel 1061 giungono in Sicilia i Normanni. All'inizio sono mercenari in un contesto di staterelli musulmani indipendenti e in declino, ma presto si impongono e alla fine si impadroniscono dell'isola fondando un regno. Il Regno di Ruggero II d'Altavilla include oltre alla Sicilia e all'Italia Meridionale anche l'area costiera della Tunisia e della Tripolitania.
    I nostri avversari credono che la Sicilia abbia cambiato più lingue degli abiti cambiati da una donzella appariscente e volubile! 
5) I Normanni fanno giungere in Sicilia un gran numero di coloni, soprattutto dalla Marca Aleramica (attuale Monferrato).
    In pratica i nostri avversari postulano una spaventosa frattura genetica in Sicilia, la cui popolazione sarebbe stata più volte rimossa per intero e rimpiazzata da nuovi venuti. L'analisi del genoma degli isolani rileva la stratificazione di diversi contributi e non giustifica la tesi della sostituzione demica. Per approfondimenti rimando al sito Genealogiagenetica.it.    
6) Nel 1198, morta Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II, il dominio della Sicilia passa agli Svevi. 
   Ecco pronta una nuova epoca di sostituzioni linguistiche!

Ogni passaggio fa acqua da tutte le parti. Appare evidente che i fatti storici registrati sono soltanto la superficie: non bastano per comprendere a fondo la realtà linguistica in divenire. Secondo queste narrazioni confuse e confabulanti, non appena i Normanni stabilirono il Regno di Sicilia, avrebbero provocato un vero e proprio esodo di Arabi, al punto che le terre sarebbero rimaste quasi del tutto deserte. Per avere qualcuno su cui regnare e per introdurre quella che alcuni studiosi chiamano "agricoltura cristiana" (facendo quasi intendere che i musulmani mangiassero sabbia e sassi anziché cereali), gli Altavilla avebbero richiamato in Sicilia una massa immensa di persone dalla Lombardia (così era chiamata allora l'intero Settentrione). Questo popolamento ha dato origine a dialetti peculiari che vanno sotto il nome di gallo-italico di Sicilia. Sono totalmente diversi dai dialetti siciliani nativi di cui ci stiamo occupando e sono chiaramente riconoscibili.
    Confutazione: Se l'isola fosse rimasta deserta come affermano i nostri avversari, la lingua dei coloni della Marca Aleramica sarebbe prevalsa e noi avremmo al giorno d'oggi soltanto parlanti di varietà gallo-italiche. Così non è. 

I negazionisti che affermano l'inconsistenza del siciliano e la sua origine dal Nulla ignorano tutte le criticità insite nei loro vaniloqui. Questo però non basta. Negli ultimi anni sono andati anche oltre. Procedono nel loro assurdo atteggiamento negando addirittura l'esistenza dei Normanni!

martedì 28 marzo 2017

ETIMOLOGIA DI DARTH VADER E ORIGINE DELLA FORMA DART FENER


Fin dall'inizio George Lucas concepì Darth Vader come il Padre Oscuro di Luke Skywalker. Partì ovviamente dall'inglese, Dark Father, ma non poteva usare questa forma come nominativo del tenebroso personaggio. Siccome l'arcano sarebbe stato subito compreso dal pubblico, recando grave nocumento alla fantasia e ai profitti, ecco che Lucas alterò l'aggettivo dark creando Darth per dare un'impressione esotica e misteriosa, quindi prese la parola olandese per indicare il padre, ossia vader. Fu così che ottenne Darth Vader. In olandese la parola vader è pronunciata /'va:der/. Siccome nei paesi anglosassoni le pronunce ortografiche sono una piaga assai diffusa, Lucas decise con grande ingegno di approfittarne: al nome Vader fu data la pronuncia /'veɪdə(ɹ)/, che farebbe rabbrividire un olandese. Così Darth Vader fu pronunciato /'da:θ 'veɪdə/ dai parlanti dei dialetti non rotici e /'da:ɹθ 'veɪdəɹ/ dai parlanti dei dialetti rotici. Infatti l'alterazione della vocale tonica olandese, riprodotta come un dittongo, ha avuto successo nell'oscurare l'etimologia del nome!

In seguito, come il mondo di Star Wars veniva ad accrescersi in modo prodigioso, i dettagli filologici si andavano via via facendo più profondi e verosimili. Fu presto chiaro che Darth doveva essere un titolo dato ai temibili Jedi Oscuri, i Sith. Fu quindi razionalizzato come forma contratta di Dark Sith. Lucas, o qualcuno per lui, si accorse che aveva spianata la strada per definire scenari di estremo interesse. Infatti l'epiteto Vader veniva a somigliare a una forma abbreviata di Invader "Invasore". Darth Vader non è altro che Dark Sith Invader. Lo stesso mutamento fonetico si riscontra anche in Sidious, che è forma abbreviata di Insidious "Insidioso": Darth Sidious non è altro che Dark Sith Insidious. Ormai è charo che la lingua franca della Galassia, il Basic, è una forma di inglese che Lucas ha proiettato in un lontanissimo futuro ignorando le derive fonetiche già in atto. L'antroponimia dei Sith anche in altri casi trae origine dal lessico dotto latino e greco: Darth Tyranus ha un nome la cui etimologia ci è così ben nota che non possiamo nutrire su di essa il minimo dubbio. Darth Plagueis prende il suo nome dall'inglese plague "peste". Darth Nihilus prende il suo nome dal latino nihil "nulla", a simboleggiare la sua natura diabolica. Darth Traya prende il nome dall'inglese betrayer "traditore". Darth Thanaton è chiaramente dal greco thanatos "morte"

L'epiteto Darth è descritto dagli appassionati di fantalinguistica di Star Wars come un portmanteau, ossia come una parola macedonia. In realtà è frutto di un semplice processo di usura fonetica, simile a quello che ha dato origine alle forme verbali contratte in inglese. Seguendo queste premesse, Darth sarebbe soltanto in parte di origine aliena. I Sith hanno tratto il loro nome da quello di una specie aliena umanoide dalla pelle rossa, estinta da lungo tempo. Questo endoetnico ha il significato di "supremo", "divino", "perfetto". L'altisonante titolo di Signore Oscuro dei Sith attribuito a Darth Vader compare per la prima volta nel libro Guerre Stellari, scritto dallo stesso George Lucas in seguito all'immenso successo del primo film della Saga (Episodio IV - Una nuova speranza). La lingua dei Sith è stata creata proprio per gettare qualche raggio di luce in questo abisso di mistero. Per maggiori informazioni rimando alla voce Sith (language) sul sito Wookieepedia


Recentemente qualcuno ha pensato di fornire a Darth un'etimologia interamente aliena, respingendo l'idea della contrazione di Dark Sith e costruendo come origine la lingua dei Rakata, in cui esisterebbero tuttavia due diverse possibilità di spiegazione: 

1) Darth < DARITHA "Imperatore";
2) Darth < DARR "vittoria" + TAH "morte"


Così facendo il problema diventa sopradeterminato e decidere diventa molto difficile a causa dell'insostenibile rumore di fondo che si viene a creare: qui nimis probat nihil probat.

A questo punto è necessario capire come nella nostra Penisola dalla forma Darth Vader si sia arrivati a Dart Fener. Mi sono accorto che ci sono migliaia di siti e di forum che trattano lo spinoso argomento, ma nessuno sembra essersi avvicinato alla verità - che è molto più banale e prosaica di quanto si possa pensare. Semplicemente la colpa è... di un doppiatore raffreddato! Procediamo con ordine. 

1) La pronuncia ortografica di Vader come /'vader/ è stata subito esclusa per evitare un'imbarazzante e ridicola confusione con l'atroce vocabolo water /'vater/ "cesso": non restava altra via che cercare di riprodurre la pronuncia originale del nome del Sith. Per inciso, se dipendesse da me, depennerei senza indugio water dal vocabolario italiano, dato che assomma due caratteristiche peggiori di un cancro: la pronuncia ortografica e il fraintendimento. 
2) In Italia il dittongo /eɪ/ dell'inglese, ben evidente nella versione in lingua originale del film, è riprodotto in modo sistematico come una vocale /e/ chiusa. Così ad esempio Lady suona /'leɪdɪ/ nei dialetti senza rotacismo e in Italia è pronunciato /'ledi/. Il suffisso -ation è /-'eɪʃṇ/ in inglese e in Italia è pronunciato /-'eʃon/. Così si sarebbe dovuto adattare Vader in /'veder/. Siccome alcuni italiani non distinguono /e/ chiusa da /ɛ/ aperta, specie in parole straniere, si è prodotta una pronuncia /'vɛder/.
3) Un doppiatore con un gran raffreddore pronunciava male le parole. Cercava di realizzare Darth Vader come /'dart 'vɛder/, ma non ci riusciva bene. La fricativa /v-/ ha perso la sua sonorità per contatto con l'occlusiva sorda /-t/ finale nella pronuncia bofonchiata dell'individuo in questione. L'occlusiva sonora /-d-/ ha acquisito una pronuncia nasalizzata, così chi ha trascritto il dialogo al momento, ignorando la forma scritta, ha riprodotto /'dart 'fɛner/. L'errore si è quindi propagato. Questo Dart Fener, con la variante Lord Fener, è piaciuto di più di Darth Vader, avendo un suono più sinistro e adatto a descrivere l'orrore del personaggio. Essendo un cultore dei miti nordici, vedo in Fener un'assonanza col nome del lupo Fenrir, e può darsi che altri abbiano avuto la mia stessa impressione. 

sabato 25 marzo 2017

ETIMOLOGIA DI GRAND MOFF


Nel corso degli anni mi sono interrogato molte volte sul perché l'odioso Governatore Tarkin sia noto come Grand Moff. Sono convinto che moltissime persone nel Web e prima del Web si siano poste la stessa domanda. Senz'altro sull'aggettivo Grand non può sussistere il benché minimo dubbio (l'inglese grand è dal francese grand ed è un esito del latino grandis, proprio come l'italiano grande), mentre l'epiteto Moff si è dimostrato a lungo un enigma, tanto da far pensare che il suo ideatore lo abbia inteso come un termine di adstrato o di superstrato di origine extraterrestre. Per purissimo caso sono giunto a trovare una soluzione decisamente ragionevole.

Tutto è cominciato quando mi sono visto comparire nella home di Facebook un post di una carissima amica dei tempi di Splinder, da sempre convinta dell'esistenza di un nesso ontologico tra Nazionalsocialismo e Islam. Credo che sia per questo che ha pubblicato una foto, chiaramente in bianco e nero, che mostrava il Gran Muftì di Gerusalemme Amin al-Husseini nell'atto di passare in rassegna un gruppo di Waffen-SS bosniache di religione islamica. Accade spesso che immagini di questo tipo siano addirittura presentate come la prova delle origini islamiche delle dottrine di Adolf Hitler, cosa che definire opinabile sarebbe di certo eufemistico. Per inciso, l'uso di truppe musulmane bosniache e albanesi nelle SS si rivelò catastrofico, al punto che ci fu lo scioglimento delle tre divisioni Handschar, Kama e Skaderberg. Ogni volta che mi imbatto nella tesi del fantomatico "Reich islamico" abbandono il post e passo ad altro. L'esperienza mi mostra che l'equazione propagandistica Nazismo = Islam è qualcosa di simile a un dogma religioso. Esula dallo scopo di questo articolo mostrare che le dottrine del Mein Kampf e il concetto di Jihad hanno diversa origine e natura, così ne parlerò in un'altra occasione. 


Nonostante quanto da me riassunto, quando ho visto la foto di Amin al-Husseini e delle SS bosniache qualcosa mi ha trattenuto. Un commentatore se ne era uscito con una battuta brillante, chiamando il Gran Muftì di Gerusalemme con il divertente nomignolo Ammuffit, ovviamente calcato sull'italiano ammuffito. Il riferimento doveva essere alle muffe, ossia alle micosi, alla pelle morta e allo smegma. Di colpo ho capito tutto. Sono stato còlto da un improvviso lampo di intuizione. Ecco l'etimologia cercata a lungo e invano! Grand Moff è una semplice derivazione di Grand Mufti. La pronuncia piana inglese /'mʌftɪ/ ha quindi ispirato l'epiteto, pronunciato /mɔf/ nei dialetti britannici e /mɒ:f/, /ma:f/ nei dialetti americani. Non pare inverosimile che tale mutamento si potrebbe produrre nel corso dei secoli - anche se a giudicare dalle tendenze evolutive delle parlate neoinglesi potrebbe accadere di peggio, visto che l'aggettivo grand mostra già la tendenza ad essere pronunciato /gwɛ:n(dʒ)/, /gwɛən(dʒ)/. L'ineffabile Bruce Sterling nel suo idioma neotexano trasformerebbe il povero Grand Moff Tarkin in GWEA MAA TSAGHE, mentre Grand Mufti of Jerusalem diventerebbe addirittura GWEA MAFFE OJIWÚSALA

L'origine ultima del titolo Muftì è il vocabolo arabo muftī "giudice", "esecutore legale", che viene dal verbo fata "egli dà una decisione (legale)", a sua volta da afta "dare". Si noti il tipico prefisso agentivo mu-. Sapendo queste cose è facile capire che la radice è la stessa di fatwa "decisione legale", "sentenza". Questa etimologia araba di Moff è tanto più convincente se si pensa che in origine si scriveva Mouff, verosimilmente pronunciato /mu:f/. Senza senso sono le etimologie popolari escogitate da fan privi di conoscenze filologiche. Alcuni hanno pensato a un acronimo imperfetto di Main Officer Manager, ma questi sono sprovveduti che reputano acronimi anche le parole shit e fuck, costruendosi ridicole narrazioni. Altri hanno proposto una forma olandese mof "tedesco" (dispregiativo, pl. Moffen). Altri ancora propendono per il tedesco Muff, tradotto con "persona orribile". Sia l'olandese mof che il tedesco Muff, che sono senza dubbio termini colloquiali, risalgono al tedesco Muff "muffa" (sinonimo di Schimmel) ... e si ritorna al Grande Ammuffit! A parer mio Grand Mufti resta un'opzione migliore di forme come mof e Muff, dato che ha vasta diffusione e che richiede uno slittamento semantico meno drammatico.

A questo punto resta soltanto da comprendere perché nell'Impero di Star Wars per designare un militare di rango elevato sia stata scelta una denominazione derivata dal nome di un'autorità religiosa islamica sunnita. La soluzione non è difficile. Non è impossibile che le idee che connettono il Nazionalsocialismo all'Islam godessero di un certo seguito negli States già negli anni '70 dello scorso secolo, ben prima che George W. Bush se ne uscisse a parlare di "fascisti islamici". Non appare quindi assurdo che, dovendo battezzare un terribile cattivone, lo stesso Lucas abbia provveduto ad alterare il titolo dell'uomo che era creduto addirittura il burattinaio di Hitler e di Himmler. I teorici dell'equazione Nazismo = Islam cadono infatti in un interessante paradosso logico che contraddice le loro stesse premesse. Se da una parte definiscono Hitler metro e misura del Male, una singolarità nella Storia, dall'altra lo ritengono ispirato dal Grande Ammuffit, quindi non indipendente nella sua malvagità. Per classificare in modo sensato i soggetti genocidari sarebbe richiesta la conoscenza dettagliata dell'intera estensione del passato e del futuro del genere umano, cosa che è impossibile. Si converrà tuttavia che non è mai vissuto su questo mondo un genocida paragonabile al distruttore di Alderaan, o nessuno di noi sarebbe qui a parlarne. 

martedì 21 marzo 2017

ALCUNE RIFLESSIONI SULL'APPRENDIMENTO DELLA LINGUA LATINA

Girando nella Rete, in una pagina del Corazziere della Sera mi sono imbattuto in qualcosa di veramente singolare. Si tratta dell'adattamento in lingua latina di una canzonetta che reputo ossessiva e oltremodo fastidiosa: Il gatto e la volpe, di Edoardo Bennato.


Questo è il testo latino del video pubblicato, riportato anche dall'articolo del Corazziere: 

FELES ET VULPES 

Quid festinas? Quo curris? Quo vadis?
Si breve tempore nos audibis intelleges: 
Is feles est et ego vulpes, societatem habemus, nobis fidere potes.
De tuis rebus et molestiis loqui potes,
optimi in hac re sumus nos.
Est negotium peritissimum, pactum fac et videbis te non paenitere.
Ingenia invenimus et numquam erramus.
Tuis virtutibus sciemus uti.
Da nobis quattuor nummos et famae certamini te inscribimus.
Nonne vides verum negotium, dies carpendum est aut tibi paenitendum erit.
Non accidit quotidie ut habeas duos consulentes, duos redemptores qui maxime curent tibi.
Prae i! Nole haesitare: subscribe hic. Ordinarius contractus, consuetudo est.
Potestatem nobis cede et faciemus te Capitolinum divum!  

Questo è il testo originale di Bennato:

IL GATTO E LA VOLPE 

Quanta fretta, dove corri, dove vai?
Se ci ascolti per un momento, capirai,
lui è il gatto, e io la volpe, siamo in società
di noi ti puoi fidare...
Puoi parlarci dei tuoi problemi, dei tuoi guai
i migliori in questo campo siamo noi
è una ditta specializzata, fai un contratto e vedrai
che non ti pentirai...
Noi scopriamo talenti e non sbagliamo mai
noi sapremo sfruttare le tue qualità
dacci solo quattro monete e ti iscriviamo al concorso
per le celebrità!... 
Non vedi che è un vero affare
non perdere l'occasione
se no poi te ne pentirai
non capita tutti i giorni
di avere due consulenti
due impresari, che si fanno
in quattro per te!....
Avanti, non perder tempo, firma qua 
è un normale contratto, è una formalità
Tu ci cedi tutti i diritti
e noi faremo di te
un divo da hit parade!...

Se il video con l'irritante tormentone tradotto in latino è senz'altro qualcosa di utile e di meritorio, che deve essere elogiato, dissento dalle opinioni espresse dall'artefice dell'iniziativa in suo commento sull'apprendimento dell'idioma di Cicerone: "Nessuno si illuda che questo metodo consenta di impararlo più facilmente", "Cantare in latino serve a imparare le regole"

"Non è stata una passeggiata", commenta la professoressa. Mi dispiace che i suoi studenti siano rimasti sfiniti dall'ardua impresa. Per i contemporanei sembra che questa impresa sia tanto ostica da rasentare l'inconcepibile. Neanche si dovesse tradurre un convoluto testo filosofico di Schopenhauer in una lingua extraterrestre con quarantacinque casi della declinazione, con centodue tempi e trentaquattro modi verbali, con coniugazioni totalmente diverse per i verbi transitivi e per i verbi intransitivi, in cui prefissi e suffissi cambiano in funzione dei pronomi inclusi. Santo Cielo, se il latino fosse insegnato con metodi sensati e come lingua viva, la traduzione del testo di una canzone la farebbe senza sforzo anche un bambino! 

Per colmo del paradosso, la principale pietra d'inciampo è proprio il deleterio mito del "latino che fa ragionare" o del "latino che insegna la logica". Trattasi di una gran massa di colossali stronzate, talmente radicate nell'idea dei moderni da risultare quasi dogmi indiscutibili. Una lingua non è fatta per insegnare la logica applicando le regoline: è fatta per essere appresa e parlata. Tramite le regoline, le regolucce, le regolette e le regolacce non si riuscirà mai a raggiungere questo scopo: non è questo il modo per far sì che da un poppante che sa solo frignare e smerdare si arrivi a un bambino in grado di parlare in modo corretto la propria lingua. Cicerone, Cesare e Virgilio non hanno imparato il latino tramite gli specchietti e la grammatichina, o sarebbero cresciuti senza saper proferire verbo! Prova di quanto affermo sia il fallimento completo del sistema scolastico nel trasmettere qualcosa di utile che possa facilitare l'apprendimento delle lingue classiche. Gli studenti, quei pochi che ancora studiano il latino, balbettano. Sanno fare versioni rigorosamente dal latino all'italiano soltanto servendosi di un ponderoso vocabolario e dei bigini. Se si chiedesse loro di tradurre un testo dall'italiano al latino, farebbero tutti seppuku in aula.

Il segreto per l'apprendimento è questo: immersione, imitazione, ripetizione, correzione delle frasi errate tramite ripetizione della forme corrette. Cantare in una lingua non serve a imparere le regolette: serve a parlare e a pensare! Purtroppo la più deleteria piaga del Moloch scolastico impone alle genti di pensare che non ci sia differenza tra una struttura grammaticale e il nome usato dai grammatici per descriverla.

Alcune osservazioni sul testo tradotto

Sorvolando sulla pronuncia della lingua di Roma, devo ammettere che l'esperimento in questione ha dato un esito tutto sommato positivo, che rappresenta un passo avanti notevole rispetto alle tipiche quanto vane versioni. Aggiungo qualche nota critica. 

Mentre il testo di Bennato si fonda su un ritmo ben preciso e presenta versi rimati o allitteranti, il testo in latino prodotto dalla professoressa e dai suoi studenti presenta quelli che il giornalista del Corazziere della Sera definisce "inevitabile scivolata sulla metrica musicale della lingua latina". Abbiamo così quo vadís, intellegés, nobís, habemús. Sono stati fatti salti mortali per costringere a viva forza il testo tradotto in uno spartito che di certo sarebbe stato giudicato alieno dagli antichi Romani. Va anche detto, a difesa dell'insegnante e degli studenti, che nella lettura dei versi poetici la metrica imponeva spesso accentazioni non troppo dissimili.

Geniale è l'adattamento del famoso "divo da hit parade" in Capitolinum divum (acc.). Non tutto fila però così liscio. Se si studia il lessico della lingua latina, ci si imbatte spesso in sorprese non di poco conto. Il vocabolo feles in realtà non traduce automaticamente "gatto" nella moderna accezione del termine. Intanto indicava soprattutto l'animale selvatico. Poi va detto che era usato anche per designare altri carnivori come la martora, il tasso, la faina e la puzzola. Per indicare il tasso e la martora si usava anche il sinonimo meles, che pur essendo assonante ha diversa origine. Nella lingua parlata l'animale domestico era chiamato cattus, da cui deriva la parola che usiamo tuttora, mentre termini medievali come muriceps e murilegus "acchiappatopi" sembrano essere nati da un tabù. Eppure l'uso scolastico vuole che feles corrisponda in modo biunivoco ed ontologico al nostro gatto. La tradizione è inveterata: l'aggettivo dotto felino è stato recuperato direttamente dalla lingua classica (felinus), mentre felide è una formazione più recente nata nel mondo scientifico.

Non è dunque a mio avviso senza difficoltà la traduzione "Is feles est et ego vulpes", dato che è ambigua. Un antico romano avrebbe potuto immaginarsi infatti una martora e una volpe. La locuzione "il gatto e la volpe" dice a noi molto, certamente, ma soltanto perché abbiamo letto le avventure di Pinocchio scritte di Collodi. Un antico romano avrebbe comunque compreso questo accostamento di animali, anche senza sapere nulla del burattino dal lungo naso e delle sue traversie. Senza dubbio avrebbe interpretato Feles e Vulpes come soprannomi di persone. Infatti vulpes significa anche "furbizia", "astuzia". Si noterà che quando è detto di persona, feles significa "rapitore". Tutto ciò metterebbe in guardia persino un allocco. :) 

Le insidie del latino moderno

La traduzione del testo di Bennato dà l'occasione per ulteriori riflessioni. Per quanto concerne la semantica del latino moderno, un caso interessante è quello di birota, pronunciato costantemente *biròta e interpretato come "bicicletta", quando in realtà la parola classica si pronunciava bìrota /'birota/ e significava "calesse a due ruote" (da cui deriva la forma diminutiva *birotulus che ha dato biroccio). Non di rado l'ingenuità dei moderni fa loro proiettare all'epoca dell'Impero recenti modalità di formazione di parole, che dimostrano la totale assenza di comprensione per i composti della lingua classica: è il caso del nuntius televisificus "annunciatore televisivo", in cui mi è capitato di imbattermi anni fa e che ha destato in me assoluto obbrobrio. Ebbene, questo nuntius televisificus non nasce da giochini di metallari: è una traduzione ufficiale usata dalle autorità vaticane nei loro testi. Allego i seguenti link sull'aggettivo televisificus:



A questi abusi oscenissimi del latino moderno dovrebbe essere posta la parola FINE: non è così che si riporta in vita una lingua antica. 

domenica 19 marzo 2017


SPECIE MORTALE

Titolo originale: Species
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1995
Durata: 108 min
Colore: Colore
Audio: Sonoro
Lingua: Inglese
Rapporto: 2.35 : 1
Genere: Orrore, fantascienza, thriller erotico
Regia: Roger Donaldson
Soggetto: Dennis Feldman
Sceneggiatura: Dennis Feldman
Fotografia: Andrzej Bartkowiak
Montaggio: Conrad Buff
Effetti speciali: Gino Acevedo, Damon Allison
Musiche: Christopher Young
Scenografia: John Muto
Interpreti e personaggi:
    Ben Kingsley: Xavier Fitch
    Michael Madsen: Preston Lennox
    Alfred Molina: Dott. Stephen Arden
    Forest Whitaker: Dan Smithson
    Marg Helgenberger: Dott.ssa Laura Baker
    Natasha Henstridge: Sil
    Michelle Williams: Sil (giovane)
    Scott McKenna: Hobo ucciso sul treno
    Shirley Prestia: Dott.ssa Victoria Roth
Doppiatori italiani:
    Renzo Stacchi: Xavier Fitch
    Massimo Corvo: Preston Lennox
    Gianni Giuliano: Dott. Stephen Arden
    Roberto Pedicini: Dan Smithson
    Laura Boccanera: Dott.ssa Laura Baker
    Francesca Fiorentini: Sil
Budget: $35 million
Incassi: $113.3 million

Titoli alternativi:

   Argentina e Messico: Especies
   Belgio (Fiandre): De vrouwelijke mutant
   Brasile: A Experiência
   Bulgaria: vidove
   Canada (Quebec): Espèces
   Francia: La mutante
   Grecia: Thanásimo eídos
   Norvegia: Farlig rase
   Polonia: Gatunek
   Portogallo: Espécie Mortal
   Romania: Specii
   Russia: Osob'
   Serbia: Vrste
   Slovenia: Tuja vrsta
   Spagna: Species (Especie mortal)
   Finlandia: Peto e Species - Peto
   Svezia: Species - Hotet från rymden 
   Turchia: Tehlikeli tür 
   Ungheria: A lény

Riconoscimenti:
    1995 - Catalonian International Film Festival
        Migliori effetti speciali a Steve Johnson e
           Richard Edlund
        Candidatura per Miglior film a Roger
           Donaldson
    1995 - Universe Reader's Choice Award
        Miglior trucco a Steve Johnson
    1996 - MTV Movie Awards
        Miglior bacio a Natasha Henstridge e Matthew
           Ashford
        Candidatura per Miglior performance
           rivelazione a Natasha Henstridge
    1996 - Saturn Awards
        Candidatura per Miglior film di fantascienza
        Candidatura per Miglior trucco a Steve
           Johnson, Bill Corso e Kenny Myers
        Candidatura per Migliori effetti speciali a Steve
           Johnson e Richard Edlund

Testi e musiche di Christopher Young:
    Species – 3:43
    A Vibrant Slime – 3:34
    Protostar – 2:57
    Ring Nebula – 5:29
    Fever (Original Main Title) – 2:29
    Species Feces – 4:28
    Bax Max – 3:43
    Milky Way Breasts – 4:54
    Safe Sex – 2:37
    Worm Hole – 2:26
    Son Of Sil – 1:54
    Star Bright – 5:03
  Durata totale: 43:17
 

Trama:

Il SETI, quell'inutile ente che si aspetta di trovare il bavoso e incontinente E.T. di Spielberg tra le stelle, dopo lunghi anni di vana ricerca riceve finalmente un segnale intelligente di origine aliena. La trasmissione dalle profondità cosmiche viene decifrata. Non è il famoso "E.T. telefono-casa" dell'osceno bradipo glabro: si tratta invece della descrizione di un sistema in grado di procurare energia gratuita all'infinito. C'è anche una sequenza di DNA alieno, completa di istruzioni per combinarla con DNA umano per produrre un ibrido. A chiunque sano di mente sarebbe suonato un campanello d'allarme nel cranio. Chi può essere così idiota da pensare di attuare simili istruzioni deleterie credendole innocue? Gli anglosassoni degli States, ovviamente! Senza pensare a possibili conseguenze, un gruppo di scienziati pieni di coglionesco entusiasmo dà origine a una bambina artificiale con DNA ibrido. A questa creatura viene dato il nome Sil. Quando gli scienziati si accorgono che Sil cresce a ritmi incredibili e ha seri problemi, come violente crisi durante il sonno, cominciano a temere qualcosa di grave e decidono di sopprimerla col cianuro. La frittata a questo punto è fatta: Sil trattiene il respiro e riesce a mandare in frantumi il vetro della sua prigione, fuggendo. Come quelli del Governo vengono a sapere l'accaduto, si cagano in mano un bel po' di diarrea. Presi dal panico, incaricano una squadra di scienziati di recuperare l'aliena. Fanno parte di questa formazione Xavier Fitch (il demiurgo di Sil), la bellissima Laura Baker dalla chioma rossa come il fuoco, l'antropologo Stephen Arden, il sensitivo (o meglio mentalista) Dan Smithson e il sicario Preston "Press" Lennox. Intanto Sil subisce una metamorfosi. Nascosta in un vagone letto su un treno, si impupa e in breve tempo dal bozzolo fuoriesce una donna adulta, che ruba degli abiti e si confonde facilmente nella massa. Così arriva a Los Angeles, dove comincia a far danni. Il suo imperativo è trovare un maschio con cui scopare facendosi eiaculare nel vaso procreativo e restando così gravida. Chi si mette di traverso viene da lei ucciso senza pietà né misericordia. Si reca in una discoteca a rimorchiare e trova un bell'uomo, ma quando giunge nella sua villa si accorge che qualcosa non va: il suo partner ha una malattia genertica, il diabete. Sil lo capisce dall'odore. L'accoppiamento non può avvenire perché darebbe origine a una prole difettosa. Così l'uomo dal pancreas malfunzionante viene soppresso. Sil è una donna bellissima e seducente che non perde tempo in preliminari. Non pratica la fellatio e non si lascia leccare. Ha un solo fine: copulare e ricevere lo sperma nel ventre. Un altro potenziale partner che si trova con lei in piscina cerca di sottrarsi quando lei gli dice che vuole un bambino. È preso dal terrore alla sola idea di sburrarle dentro, perché teme che lei lo possa ricattare e costringere a mantenere la creatura fino alla maggiore età. Non sa di aver a che fare con qualcosa che viene da un altro pianeta. Lei non perde tempo: lo uccide. In una discoteca una ragazza le soffia un uomo sotto il naso. Lei la uccide in una latrina. Quando capisce che la squadra di Fitch le dà la caccia, ruba un'auto, inscena un incidente e lascia trovare una sua falange sul luogo dello scontro, per far credere d'esser morta. In realtà Sil fugge, cambia look, il dito amputato si rigenera. Fitch e i suoi festeggiano in un hotel, folleggiando. Laura Baker si introduce nella camera del killer Preston Lennox, lo spoglia e si inginocchia davanti a lui, prendendogli in bocca il fallo e poppandolo avidamente. L'aliena, che adesso ha i capelli neri, entra nell'albergo senza essere riconosciuta, si introduce nella stanza di Stephen Arden e subito si mette a copulare con lui nella posizione della cowgirl: evidentemente l'odore dell'uomo la convince della bontà del suo corredo genetico. Lui le schizza dentro, e subito il ventre di lei si muove, ribollendo di vita in formazione. Stephen rimane agghiacciato ma è troppo tardi: Sil lo uccide. Dan arriva nella stanza tropo tardi. A questo punto l'aliena si strappa la sua forma umana di dosso e assume il suo vero aspetto. Abbatte un muro e si introduce in un condotto fognario. Qui ha luogo la battaglia finale, che si conclude con l'annientamento di Sil e della sua orrida progenie. Tutto sembra concludersi per il meglio, ma le riprese mostrano che un tentacolo dell'atroce creatura, perso durante la lotta, finisce in un anfratto dove attira un ratto di chiavica, che se ne ciba. L'incubo è tutt'altro che finito, ma a questo punto compaiono i titoli di coda. 

Curiosità:

La costruzione in laboratorio di una creatura artificiale servendosi di dati alieni captati dallo spazio è un'idea sinistra e seducente che risale alla miniserie televisiva britannica A for Andromeda (1961), di cui è stato fatto un remake italiano un decennio dopo: A come Andromeda (1972).

Nella sceneggiatura originale Sil doveva uccidesse un autista di taxi spinta dall'arbitrio del momento. La scena è stata cambiata per far sì che il pubblico continuasse a simpatizzare per la ragazza (si sa, è cosa gradita che la gente veda di buon occhio una assassina di bell'aspetto): all'omicidio è stata fornita una motivazione percepita come legittima, ossia l'autodifesa.

La MGM desiderava di evitare costi giudicati inutili - essendo i suoi dirigenti più tirchi dei Cartaginesi - così cercò di impedire che fosse girata la scena in cui Sil si imbozzolava in treno. H.R. Giger, vero padre della creatura, si oppose a questa decisione insensata, reputando la scena di importanza capitae. Dovette pagarne la produzione con i propri soldi.

La colonna sonora, opera di Christopher Young, è stata pubblicata da Intrada in formato CD nel 1995, con numerose ristampe. Il genere è definito come "Electronic, Stage & Screen", mentre lo stile è "Modern Classical, Score". Sembra che sia tuttora possibile acquistarlo online.  

Sequel: 

Species II, regia di Peter Medak (1998)
Species III, regia di Brad Turner (2004)
Species IV - Il risveglio, regia di Nick Lyon (2007)

Recensione:

Il film di Roger Donaldson è stato sottovalutato e ritenuto un prodotto di serie B rispetto ad Alien di Ridley Scott (1979), pur trattando in sostanza lo stesso argomento: la riscrittura del DNA umano ad opera di materiale genetico alieno. La differenza sostanziale è che mentre nel film di Scott questa riscrittura avviene per opera di un parassita che si sviluppa nella vittima, nel film di Donaldson il genetico alieno è usato per creare in laboratorio un ibrido che in natura non potrebbe esistere. Sono convinto che qualche merito Specie mortale lo abbia senz'altro. 


Una fulva molto lasciva 

Siamo di fronte a un assoluto capolavoro della fantascienza erotica. L'attrice più sensuale del cast non è a parer mio Natasha Henstridge, che interpreta Sil. Le mie preferenze vanno alla fulva e sensualissima Marg Helgenberger, che interpreta la dottoressa Laura Baker. Donna immensamente libidinosa, potrebbe sciogliere un iceberg col suo calore. È una fellatrice spermatofaga capace di far deviare un uomo dalla virtù e da ogni suo principio etico, e persino di fargli rinnegare la sua religione. La sequenza centrale del film è quella in cui si reca nella stanza di un suo collega e lo seduce, succhiandogli il membro eretto per ottenere in bocca il suo seme e ingoiarlo con voluttà.


Lasciando il giudizio ai lettori e intimando ai minori di non entrare, riporto il link allo spezzone, che si trova su un sito pornografico: 


La persecuzione dei diabetici nel mondo
anglosassone 

Specie mortale parla di un argomento che per il pubblico di lingua inglese è un gravissimo tabù, ritenuto ancor più traumatizzante della pedofilia, dell'incesto e del cannibalismo: il diabete! Tremenda nel mondo anglosassone è infatti la discriminazione nei confronti dei diabetici e in special modo di coloro che soffrono di diabete II - quello che compare in età adulta, da cui io stesso sono affetto. Le autorità sanitarie credono che tale malattia insorga a causa della vita dissoluta dei pazienti e cercano con ogni mezzo di porre le basi per impedire loro di curarsi. Se un diabetico II ha un problema e necessita di cure urgenti, i medici violano tranquillamente il giuramento di Ippocrate e lasciano che le condizioni del malato si incancreniscano. Se poi questi muore, il personale sanitario fa festa ed è convinto di aver acquisito benemerenze agli occhi di Dio e del genere umano per aver evitato spese mediche insostenibili alla Nazione. In Nuova Zelanda uno chef sudafricano è stato espulso perché in sovrappeso: le autorità sanitarie hanno espresso il terrore che potesse diventare diabetico, aggiunendo che in tal caso avrebbe gravato sulle spese pubbliche, cosa che era giudicata un affronto sanguinoso. Negli States sono innumerevoli i diabetici che nascondono le loro condizioni alla famiglia per timore di essere rinnegati, espulsi e diseredati. Si possono curare soltanto persone molto ricche, per gli indigenti non c'è altra possibilità all'infuori dello sfacelo e della morte. In Facebook si trovano non pochi commenti di cittadini inglesi che invocano lo sterminio dei diabetici, affermando di non voler "pagare per l'altrui ghiottoneria". Questi mostri sono proprio quei "Liberatori" che hanno seppellito la Germania sotto un tappeto di bombe incendiarie e che si lamentano di non essere riusciti a processare il dottor Mengele. 

Il Genio della Specie

Sil sa fiutare il genoma dei potenziali partner, soltanto da pochi feromoni comprende ogni cosa sul loro stato di salute. In base a questo giudica se il genoma annusato meriti di essere propagato o debba essere consegnato all'Oblio. Non si creda che questo sia poi molto distante dalla nuda e cruda realtà delle cose! In ogni essere umano di sesso femminile agisce lo stesso identico meccanismo genetico, che porta le donzelle a scegliere come partner i peggiori energumeni. La differenza è che mentre l'ibrida aliena Sil è capace di perforare la giugulare degli energumeni e di farli crollare morti sul pavimento di una latrina, per poi scomparire nella notte, le umane non hanno queste capacità e subiscono le conseguenze delle loro scelte luttuose - salvo poi frignare ed esporre una lunga serie di scarpette rosse ogni volta che una di loro soccombe al partner selezionato come ideale prosecutore della Specie. Nel film Sil agisce e seleziona per far sì che ciò che è feroce possa prevalere: la sua prole non è letale a causa della stupidità dello scimmione che presta il seme, ma a causa del corredo genetico alieno che domina il processo di riscrittura del DNA. Non nasconderò la verità innegabile. Le femmine umane hanno decretato l'estinzione dei poeti e dei filosofi, moltiplicando i bruti. Inutile dire che una specie che permette questo è giunta al suo stadio terminale: se dallo Spazio giungesse la sua Nemesi, riderei come un pazzo di Dio ed eleverei inni senza fermarmi un attimo, in preda all'ebbrezza, andando con gioia verso la morte!     

Reazioni della stampa e nel Web 

Riporto nel seguito alcuni interventi su questo film, che possono essere facilmente reperiti nel Web (ad esempio su Wkipedia). Alcune frasi sembrano interessanti per i dettagli che forniscono, altre sono di una banalità assoluta e di una noia a dir poco mortale. Metafore, immigrazione, politica radical shit e altre cazzate da salotto, ancora un po' salta fuori anche il disagio

«Se nell'ambientazione dell'epilogo sono evidenti le memorie del primo Alien, la parentela tra Sil e il mostro del film di Ridley Scott è lampante (l'autore, il premiato Hans Rudi Giger, è lo stesso). Vogliamo spingerci fino a vedere in Specie mortale simbologie prenatali (i cunicoli uterini) o allegorie di maternità frustrata? Più prudente limitarsi a considerarlo un thriller fantascientifico di pura evasione, nei limiti, peraltro, accurato ed efficace.»
(Roberto Nepoti La Repubblica del 4 marzo 1996)

«Disegnata dal talento di H. R. Giger (il papà di Alien), Specie mortale ha raccolto un certo successo in patria, grazie all'accoppiata sesso e mostri, ma Roger Donaldson non è capace di mettere un'idea portante alla materia, la lascia allungarsi sugli effettacci horror, sulle copulazioni mostruose, in un ritmo lentissimo e senza l'ombra di vera suspense: c'è solo il trionfo barocco del Trucco Ripugnante. Il contesto ha questa mantide sexy omicida è la Los Angeles dove tutto è possibile e dove ciascuno al momento giusto urla "oh mio Dio!" mentre alla fine i ragazzacci si consolano con "tutto ok, tutto a posto, tesoro". Il confine col ridicolo è spesso superato e il racconto offre la spiacevole sensazione di girare a vuoto.»
(Maurizio Porro Corriere della Sera del 15 febbraio 1996)

«Donaldson, che nelle interviste parla di metafora del colonialismo e delle invasioni (oltre al proprio Dna gli alieni inviano sulla Terra tecnologia "pulita" e benefica, come fece a suo tempo l'Occidente civilizzatore), si perde ben presto dietro ai cliché del film d'azione. Quanto al look della creatura, che alterna i canonici 90-60-90 a fattezze da locusta, è curato dal Giger di Alien. Ma tanto è vistosa l'eredità del film capostipite, quanto pallida l'eco della sua forza. Se questi sono i kolossal fantastici di oggi, ridateci la cara vecchia serie B.»
(Fabio Ferzetti Il Messaggero del 12 febbraio 1996)

«Controversa produzione realizzata con il limitato budget di 30 milioni di dollari, con i talenti riuniti di Richard Edlund (curatore anche degli effetti visivi della saga di Guerre stellari) e di Hans Rudi Giger (ideatore del mostro di Alien) e con un cast solido ma privo di una vera e propria star: la splendida esordiente Natasha Henstridge nel ruolo di Sil avrebbe poi finito con il monopolizzare il successo. Va comunque ricordato, nel ruolo dell'antropologo Arden, vittima di Sil e involontario "padre" della sua creatura, l'attore Alfred Molina (la guida che tenta di rubare la statuetta d'oro ad Indiana Jones nel prologo de I predatori dell'arca perduta), che impersona il terribile Dr. Octopus nel recentissimo Spider Man 2. Nelle intenzioni del regista Donaldson il soggetto dovrebbe suggerire una metafora del moderno colonialismo, ma qualche commentatore vi ha letto anche un discorso sulla maternità negata, agganciando le peripezie della perseguitata madre aliena alle scenografie "uterine" dei vicoli e dei cunicoli bui. Senza soffermarci a ricercare referenze tematiche letterarie o a cogliere derivazioni stilistiche dal primo Alien, il film va forse più prudentemente considerato come un onesto lavoro di pura evasione che mette efficacemente a servizio della fantascienza gli stereotipi dell'horror e del thriller erotico.»
(Fantafilm)

mercoledì 15 marzo 2017

 

IL SEGRETO DEGLI INCAS 

Titolo originale: Secret of the Incas
Lingua originale: Inglese, Quechua (Qusqu
     Runasimi), spagnolo, rumeno
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1954
Durata: 100 min
Colore: Colore
Audio: Sonoro
Genere: Avventura
Regia: Jerry Hopper
Soggetto: Sydney Boehm,
  Ranald MacDougall,
  Boehm Maximum
Sceneggiatura: Sydney Boehm,
  Ranald MacDougall,
  Boehm Maximum
Produttore: Mel Epstein,
  Hal B. Wallis
Casa di produzione: Paramount Pictures
Fotografia: Lionel Lindon,
  Irma Roberts
Montaggio: Eda Warren
Musica: David Buttolph
Interpreti e personaggi:
    Charlton Heston: Harry Steele
    Robert Young: Stanley Moorhead
    Nicole Maurey: Elena Antonescu
    Thomas Mitchell: Edward "Ed" Morgan
    William Henry: Dott. Lang
    Glenda Farrell: Mrs. Winston
    Michael Pate: Pachacutec
    Yma Sumac: Kori-Tika
    Leon Askin: Anton Marcu
    Grandon Rhodes: Mr. Winston
    John Marshall: Charlie
    Booth Colman: Direttore del Museo
    Kurt Katch: Sicario
Doppiatori italiani:
    Emilio Cigoli: Harry Steele
    Augusto Marcacci: Stanley Moorhead
    Rosetta Calavetta: Elena Antonescu
    Mario Besesti: Edward "Ed" Morgan
    Pino Locchi: Dott. Lang
    Franca Dominici: Mrs. Winston
    Cesare Polacco: Pachacutec
    Andreina Pagnani: Kori-Tika
    Carlo Romano: Anton Marcu; Sicario
    Lauro Gazzolo: Mr. Winston
    Stefano Sibaldi: Charlie
    Gianfranco Bellini: Direttore del Museo

Trama:

Il polveroso avventuriero Harry Steele, romantico sotto la dura scorza e con uno strano concetto di igiene, vive in Perù e ha dimestichezza con i nativi, tanto che ha appreso alla perfezione la lingua Quechua. Per guadagnarsi da vivere fa la guida turistica a Cuzco, ma in lui rifulgono ben altre aspirazioni. Ha adottato come perno della propria esistenza una singolare teoria partorita dalla sua immaginazione e da abbondanti bevute di ayahuasca. La civiltà degli Inca a parer suo non sarebbe andata in rovina a causa della brutalità dei Conquistadores, delle terribili malattie da essi introdotte e dall'incapacità di reggere l'impatto con il nuovo mondo portato dagli stranieri: sarebbe invece scomparsa per via della volontà degli Dei capricciosi, adirati in seguito al furto sacrilego del tesoro del Tempio del Sole. Anziché proteggere il popolo loro devoto, questi esseri sovrumani lo avrebbero punito per la colpa commessa da uno spagnolo, alla faccia di ogni parvenza di senso della giustizia e di amore per i propri figli. Acquisite queste fondamentali conoscenze tra una crisi di vomito da ayahuasca e l'altra, Steele è più che convinto di poter operare la resurrezione dell'Impero dell'Inca, il Tawantinsuyu, trovando il fantomatico tesoro sottratto e riportandolo nel Tempio. Magari pensa anche di ricevere come ricompensa i favori di qualche dea. Come sempre accade nella filmografia americana, c'è il cattivo, certo Edward Morgan, soprannominato con molta fantasia Ed. Ovviamente si tratta di un cattivo sommamente banale, che non può stare nemmeno al livello di Macchia Nera o di Gambadilegno: è piuttosto un vecchio ubriacone avido e taccagno. Non poteva poi mancare la maliarda fatale, l'esule rumena Elena Antonescu, elegantissima e rossochiomata. Fuggita dal suo paese per la sua inclinazione al furto e alla truffa, più che per motivi politici, si è rifugiata in Sudamerica, braccata dal console Anton Marcu, parente del più famoso Silupescu: in parole povere è un energumeno che si distingue da Polifemo per il solo fatto di aver due occhi. Costretta a fuggire dalla Bolivia, la Antonescu è finita proprio a Cuzco, ma gli emissari del Partito non demordono e cercano di acciuffarla per ricondurla nel Paradiso dei Proletari. Inutile dire che la leggiadra fanciulla incontra proprio Steele e gli chiede aiuto. Dopo una fuga rocambolesca, prima in aeroplano e poi a piedi per i dirupi, i due si ritrovano tra le rovine di Machu Picchu nel bel mezzo di un raduno dei discendenti degli Incas e di una spedizione archeologica il cui fine è la ricerca della tomba del Primo Inca, Manco Capac. Qui ogni tassello del mosaico ritorna al suo posto. Prima viene esumata la mummia di una principessa, la Mamakuna, subito esposta all'adorazione dei nativi. Poi Steel scopre il Tesoro, un disco d'oro tempestato di diamanti (che gli Inca non conoscevano e non avrebbero saputo lavorare) proprio in un anfratto della tomba dell'Inca, mettendo così in crisi l'idea del furto. Non si capisce infati perché mai il prezioso manufatto sia stato sottratto a un tempio per essere sepolto proprio in una parete del sepolcro di Manco Capac, Figlio del Sole e sacro a sua vola. Alla fine i protagonisti raggiungono l'Apoteosi e tutti vissero felici e contenti: il malvagio tirchio alcolizzato Ed precipita in un baratro, l'attempato archeologo Moorhead riceve picche dalla Antonescu, che si riconcilia con Steele dopo tutta una serie di litigi. Il disco d'oro con i suoi improbabili diamanti ritorna al Tempio del Sole e gli epigoni degli Incas iniziano la resurrezione dell'Impero.

Curiosità:

Il film non ha utilizzato scenari di cartapesta. È stato girato in Perù, proprio nei luoghi reali in cui si svolge l'azione: Cuzco e Machu Picchu. Per la prima volta il cinema americano si è interessato a questi siti incaici e soprattutto alla popolazione indigena che tuttora parla la lingua Quechua. Furono infatti impiegati più di cinquecento nativi come comparse.

In svariate occasioni George Lucas ha molto insistito sul fatto che Il segreto degli Incas gli ha ispirato I predatori dell'arca perduta (1981). La figura di Steele ricorda infatti quella di Indiana Jones: un uomo selvatico e coperto di polvere, sotto il cui involucro abita un'immensa conoscenza e splendono grandi ideali. 

Recensione:

Pur essendo la trama abbastanza banale e a tratti degna di essere messa in satira, questa pellicola ha comunque qualche merito, perché ha promosso l'uso della lingua Quechua nel cinema, contribuendo ad innalzarne il prestigio in un contesto particolarmente difficile. Il fatto è passato inosservato al pubblico italiano e nessuno sembra aver fatto caso alle conversazioni in purissimo Runasimi di Cuzco (Qusqu). Già solo per questo motivo sarebbe auspicabile che l'opera di Jerry Hopper godesse di una maggior fama.


Splendori della tradizione incaica

Quando la fulva protagonista si fa il bagno in una vasca rudimentale scavata nella roccia, una donna autoctona la guarda con intenso disgusto. Questo non perché sia turbata dalla nudità della profuga, nonostante le genti incaiche siano abbastanza puritane, ma per l'incapacità di reggere senza disgusto la vista di un corpo dalla pelle tanto lattea. Così essa, in preda allo sdegno, esclama "aya khanka!" /'aya 'khanka/, parole che vengono tradotte da Steele come "pallida come un pesce morto". In realtà il pesce menzionato da Steele non c'entra granché: aya khanka significa "cadavere sudicio" e fa riferimento al terrore superstizioso per i morti e per il loro colorito alterato. Infatti aya si traduce con "morto, cadavere", ma anche "spettro". La stessa radice aya si trova anche nel vocabolo ayawaska (in genere scritto ayahuasca), che indica un beverone allucinogeno dal sapore ripugnante in grado di fungere da violento purgante, inducendo vomito e diarrea: alla lettera è la "liana dei morti" o "corda dei morti" (waska indica la corda). La pronuncia corretta è /aya'waska/ e non /*aya'waʃa/ come a volte si sente. La principessa Kori-Tika è interpretata dalla splendida Yma Sumac, il cui nome in Quechua significa "che bella!", essendo formato dal pronome ima /'ima/ "che cosa; quanto" e dall'aggettivo sumaq /'sumaχ/ "bello". Kori-Tika significa invece "Fiore d'Oro", da qori /'qɔri/ "oro" e da t'ika /'tʔika/ "fiore". Pachacutec è una trascrizione di Pachakutiq, che significa "Trasformatore del Mondo": deriva da pacha /'patʃa/ "terra; mondo" e dal verbo kutiy /ku'tij/ "cambiare". Pachakutiq Yupanki è il nome del nono Inca, a cui è attribuita la costruzione della maggior parte dell'Impero Incaico. Regnò tra il 1438 e il 1471. Quando ho sentito la fulva Elena Antonescu apostrofare l'archeologo e accusarlo di essere "ignorante" perché ha confuso sarcasticamente George Washington con Abraham Lincoln, mi è andato in ebollizione il sangue nelle vene. Come si fa a definire "ignorante" un conoscitore di una lingua amerindiana tanto complessa e ricca? Una rifugiata che si atteggia a insopportabile maestrina, che già ha l'arroganza di una nobildonna senza averne alcuna virtù! I danni provocati dal sistema scolastico sono più devastanti di quelli della Terza Pandemia di peste! 

Il mito di Machu Picchu

Il film riflette le idee un tempo popolari su Machu Picchu, che era ritenuta la Città Santa degli Incas. Alla sua scoperta nel 1911 il sito fu confuso con Vilcabamba (Willkapampa), l'ultimo centro del potere dell'Inca dopo l'espugnazione di Cuzco ad opera di Francisco Pizarro nel 1533: era una enclave fondata da Manco Capac II (Manqu Inka Yupanki), che durò fino al 1572. In realtà oggi sappiamo che la fondazione di Machu Picchu risale al XV secolo e fu probabilmente opera dell'Inca Pachacutec, che intendeva imporre una residenza estiva forzata ai nobili dell'Impero, in pratica per tenerli in ostaggio e impedire rivolte. Era un luogo ben diverso da Vilcabamba e che non vi si potrà mai trovare la tomba del Primo Inca Manco Capac (Manqu Qhapaq). A scanso di equivoci, non è nemmeno possibile che  nel film si parli della tomba di Manco Capac II, primo sovrano dello Stato Neoincaico di Vilcabamba, dato che i suoi resti mummificati furono distrutti dagli Spagnoli. Il film di Hopper si mostra estremamente grossolano e non aderente alla realtà storica. Notevole la presenza di un soffietto tra gli oggetti recuperati in un sito archeologico incaico. La scarsa cura per questi dettagli anacronistici e incoerenti è la norma e ci sarebbe piuttosto da stupirsi del contrario. Allo stesso modo, il disco del Sole è incastonato di diamanti perché l'ideatore della trama ha pensato di proiettare caratteristiche del mondo moderno nella civiltà del Tawantinsuyu. Questo ci dice Garcilaso de la Vega nei suoi Commentari reali degli Incas (Libro III, cap. XXII): 

"Lungo gli spigoli delle modanature stavano molte pietre preziose incastonate, come smeraldi e turchesi, perché in quella terra non s'avevano né diamanti né rubini. In codesti tabernacoli s'assideva l'Inca in occasione delle feste del Sole, ora in quelli di una parete, ora in quelli dell'altra, a seconda della festa." 

E ancora (Libro I, cap. IX), quando si parla dell'idolatria degli Indiani preincaici: 

"Adoravano la pietra smeralda, soprattutto in una provincia che oggi chiamano Puerto Viejo; non adoravano diamanti né rubini perché in quella terra non se ne trovavano."

Il termine Quechua per indicare il diamante, q'ispirumi, è un neologismo che significa "pietra di vetro", da q'ispi (variante qhispi"vetro; cristallo" (dall'omonimo aggettivo che significa "trasparente") e da rumi "pietra". In realtà il Disco d'Oro esisteva e si trovava nel Tempio del Sole di Cuzco, che era chiamato Coricancha (Qorikancha "Corte dell'Oro"). Era incrostato di turchesi e di altre pietre preziose, di certo non di diamanti - e non fu mai a Machu Picchu. Fu proprio questo manufatto, che era un simbolo della Dinastia dell'Inca, a cadere nelle mani del Viceré Francisco de Toledo quando nel 1572 fu catturato Tupac Amaru I, l'ultimo sovrano di Vilcabamba.

Stratificazioni etniche

Il Perù è rappresentato da Hopper in modo verosimile, come una realtà composita e variegata, in cui convivono popolazioni tra loro diversissime. Questo si nota anche nell'uso della lingua spagnola da parte della classe dominante, che si contrappone all'uso generale del Runasimi tra gli Indiani. Quello che in Europa sanno davvero in pochi è che in America latina esiste un fortissimo pregiudizio nei confronti delle lingue native. Se un turista cercasse di parlare in Quechua a un peruviano ispanofono, il suo tentativo potrebbe anche essere considerato un insulto. Il termine runa, che in Quechua significa "uomo, essere umano", è stato adottato dallo spagnolo locale col significato di "campesino" e addirittura di "uomo rozzo, ignorante", in frasi come "es un verdadero runa". Anche se il Quechua è lingua ufficiale del Perù assieme allo spagnolo, il suo futuro è abbastanza incerto. Il sistema scolastico, causa e radice di tutti i mali di ogni società, opera infatti attivamene per eradicare l'idioma, anche perseguitando gli alunni che osano pronunciarne in pubblico qualche parola.


Il mistero di Yma Sumac

La cantante peruviana conosciuta come Yma Sumac ha dietro di sé un passato a dir poco misterioso. Il suo vero nome è Zoila Augusta Emperatriz Chávarri del Castillo e nacque nel lontano 1922 a Ichocán, nella regione di Cajamarca che diede i natali anche a Carlos Castaneda. Il suo nome d'arte è spesso scritto con ortografia incostante, come Ymma Sumak o Imma Sumack. In genere è tradotto come "la più bella", anche se non mi risulta che in Quechua i superlativi si formino in questo modo (vedi l'etimologia più sopra). Sulla sua biografia permangono ombre e circolano diverse versioni contraddittorie, il cui studio riguarda la scienza della memetica. Alcuni ritengono che sia nata in uno squallido sobborgo di Lima, pur essendo cresciuta a Ichocán, dove i suoi avevano una fattoria. Per accrescere e propagare intorno a lei un alone leggendario, qualcuno ha provveduto a diffondere la voce che attribuiva la sua origine addirittura all'Inca Atahuallpa, di cui sarebbe stata l'ultima discendente diretta. Sarebbe meraviglioso se fosse così, purtroppo non si hanno prove scientifiche che possano dimostrare la fondatezza di una simile voce. Altri fabbricatori di pacchetti memetici hanno anagrammato il nome d'arte Yma Sumac, leggendolo al contrario e ottenendone Amy Camus. Per questo motivo si è diffuso il mito di sue origini canadesi del Québec o addirittura statunitensi di New York. La sua voce era portentosa e copriva l'estensione di cinque ottave (secondo alcuni soltanto di quattro, ma è già una cosa incredibile). Sua fu la nota più acuta mai registrata in una voce femminile. Nel film di Hopper la si sente mentre intona una strana e bellissima opera lirica di stile incaico, anche se non immune da infussi musicali più moderni. In diverse sequenze vediamo i nativi che la fissano come ipnotizzati, rapiti nell'Iperuranio. La Sumac ha avuto una vita abbastanza irrequieta, ha viaggiato in lungo e in largo per il mondo e il suo matrimonio col compositore e direttore d'orchestra Moisés Vivanco è stato poco felice. Incurante delle voci confuse e divergenti sui suoi natali, la cantante si è spenta nel 2008 a Los Angeles.  


Il declino della reputazione della Romania 

All'epoca in cui il film fu girato, negli anni '50 dello scorso secolo, la popolazione della Romania doveva godere di una fama non troppo cattiva negli States e più in generale nell'Occidente: la donna rumena era ritenuta piena di fascino e di mistero, al punto da poter essere la protagonista di un film di avventura. Qualche decennio più tardi, nel film Alibi seducente (Her Alibi, 1989) con Tom Selleck, si mostrano già stereotipi non proprio positivi sulle donne della Romania, sospettate addirittura di essere assassine e avvelenatrici solo per esser nate e cresciute nel paese sbagliato: è sufficiente che il protagonista oda la moglie pronunciare la parola înmormântare "funerale" (da *in-monumentare) per scatenare il panico e far sottoporre a lavanda gastrica gli invitati a un banchetto. Oggi l'italiano medio che guardasse Il Segreto degli Incas rimarrebbe basito nel vedere un tipo di donna molto distante dalla realtà a cui è abituato: Elena Antonescu è chiaramente un'americana WASP in ogni fibra del suo essere. Ancor più si stupirebbe il regista se potesse vedere qual è la reputazione della Romania nell'Italia degli inizi del XXI secolo. Additata come terra di ladri, di assassini e di prostitute, è maledetta migliaia di volte ogni giorno da innumerevoli persone, complice anche la confusione tra i Rumeni e i Rom, che è diffusissima. Perderei tempo e fiato a spiegare che i primi, discendenti di Daci e di Romani, nulla hanno a che fare coi secondi, che sono giunti in Europa dalla remota India. Data l'avversione assoluta e viscerale che le popolazioni della Penisola nutrono verso le genti zigane, la confusione con il popolo rumeno ha lo scopo precipuo di disumanizzarlo. Queste stranezze non dipendono nemmeno dalla politica, sia essa di destra o di sinistra. Coloro che si definiscono di destra o neofascisti dimenticano la stessa esistenza di Corneliu Codreanu e considerano personalità come Emil Cioran e Mircea Eliade alla stregua di extraterrestri di Altair o di Vega. Coloro che si definiscono di sinistra e si danno nome di antirazzisti, a conti fatti si limitano a nascondere la loro avversione per motivi di ipocrisia politica, poi in privato odiano mortalmente sia i Rumeni che i Rom - puntualmente ritenuti lo stesso popolo. Questi sono meccanismi che meritano studi antropologici approfonditi.

Reazioni nel Web 

Forse ho cercato in modo poco approfondito, ma su questo film non ho trovato online recensioni o pensieri meritevoli di qualche interesse. 

Così su Filmscoop.it:

Siamo agli sgoccioli della carriera cinematografica di Hopper, il quale troverà nel piccolo schermo la sua dimensione intrattenitiva, Heston nei panni di un Indiana Jones ante litteram, impressionante quanto in look e in stilemi i 2 personaggi siano collimanti, presente anche Thomas Mitchell nel ruolo di una carriera a rappresentare il villan attraverso forme bonarie. (NotoriousNiki)

Simili concetti sono espressi anche su Davinotti.com: