Visualizzazione post con etichetta biologia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta biologia. Mostra tutti i post

sabato 1 aprile 2023

 
QUELLO DI CUI LA NATURA
NON HA BISOGNO
 
 
Titolo originale: More than Nature Needs: Language,
      Mind, 
and Evolution
Autore: Derek Bickerton  
Lingua originale: Inglese 
Anno: 2014  
I ed. italiana: 2022  
Genere: Saggio 
Temi: Neuroscienze, linguaggio, biologia, 
   evoluzione, lingue creole 
Editore: Adelphi  
Collana: Biblioteca Scientifica 
Numero: 66
Codice ISBN: 9788845936593 
Pagine: 477 pagg. 
Traduzione: Davide Bordini 
 
Sinossi (risvolto): 
Noto per aver formulato, in parallelo a Darwin, una teoria evoluzionistica «per selezione naturale», Alfred Wallace ne coglieva fin dall’inizio uno dei limiti principali: l’incapacità di spiegare perché la nostra specie abbia acquisito una mente «di gran lunga più potente» rispetto alle necessità adattative. Domanda ingombrante, a cui lo stesso Darwin tentava di rispondere ipotizzando che quella ridondanza cognitiva fosse l’esito «dell’uso continuo di un linguaggio perfetto». Congelato per oltre un secolo e riaffiorato solo negli ultimi anni, il «problema di Wallace» ha trovato infine una convincente soluzione in questo libro ammaliante e definitivo. Riconsiderando punti di forza e carenze delle principali teorie sull’argomento, Bickerton ricolloca il linguaggio nell’alveo evoluzionistico e in­dividua tre fasi decisive per il suo sviluppo: quella della generazione nel cervello di «rappresentazioni di unità simboliche», innescata dalla comunicazione dislocata necessaria per il reclutamento di alleati nella saprofagia conflittuale; quella della riorganizzazione neurale in rapporto alle sollecitazioni ambientali, in cui il cervello ridisegna le proprie connessioni in modo da collegare le parole ai concetti appropriati; e quella culturale, in cui un processo di elaborazione grammaticale sviluppa unità sintattiche elementari in altre più ampie. Bickerton riesce così ad attualizzare la risposta di Darwin al «problema di Wallace», delineando un nuovo orizzonte: «Linguaggio e cognizione (almeno quegli aspetti della cognizione propri degli esseri umani) sono cresciuti a partire da un’origine comune e hanno le stesse fondamenta». La locuzione Homo sapiens loquens sarebbe dunque molto più di un gioco di parole. 

L'autore: 
Derek Bickerton (1926 - 2018), eminente linguista nato in Inghilterra, ha a lungo insegnato alla University of Hawai'i a Mānoa. Basandosi sul suo lavoro sulle lingue creole in Guyana e nelle Hawaii, ha proposto che le caratteristiche delle lingue creole forniscano importanti spunti di riflessione sullo sviluppo del linguaggio sia a livello individuale che come caratteristica della specie umana. È stato l'ideatore e il principale sostenitore dell'ipotesi del bioprogramma linguistico, fondata su questa idea: la somiglianza delle lingue creole è dovuta al fatto che sono state formate da un pidgin preesistente da bambini che condividono tutti una capacità grammaticale innata universale umana.
 
Struttura del volume: 
 
1 Il problema di Wallace 
     La risposta di Darwin 
     La chiave d'accesso al problema 
     La struttura di questo libro 
2 La teoria generativa 
     Le tre fasi della grammatica generativa 
     La teoria standard (1957-1980) 
     Princìpi e parametri (1981-1994) 
     Il programma minimalista (dal 1995 a oggi) 
     Minimalismo ed empirismo 
     Minimalismo e biologia 
     Operazioni minimaliste
     Il problema di Chomsky 
     Proscritto 
3 L'«unicità» degli esseri umani 
     Un «istinto ad apprendere»? 
     L'approccio all'evoluzione in termini di «caratteristiche componenti»
     Sovrastimare la evo-devo 
     Il «patchwork» delle caratteristiche componenti 
     Risalendo la scala fino agli esseri umani 
     Primati e pressioni 
     La teoria della costruzione della nicchia 
     La costruzione della nicchia e la speciazione ominide 
     Alcune linee guida per lo studio dell'evoluzione del linguaggio
4 Dalla comunicazione animale al proto-linguaggio 
     Il paradosso della cognizione 
       Prove a favore della cognizione avanzata 
       Prove contro la cognizione avanzata 
       La soluzione del paradosso della cognizione 
     Il primo passo verso il linguaggio 
     Gli imenotteri dimenticati 
     Una nicchia per «Homo» basata sulla saprofagia? 
     Saprofagia conflittuale e dislocamento 
     La saprofagia e il problema di Wallace 
     L'importanza del dislocamento 
     Dalla cognizione preumana a quella umana 
     Quello che le parole possono fare 
     Il proto-linguaggio 
     Dopo il proto-linguaggio 
5 La grammatica universale 
    La struttura costituente e le sue implicazioni 
    L'«impossibilità» della grammatica universale 
    Il cervello dà una mano 
      Dall'inizio del proto-linguaggio 
      Un modello dell'evoluzione della sintassi come dettata dal cervello 
    Dalla stringa alla frase 
       Concatenare unità simboliche 
       Strutturare le concatenazioni 
    Un modello astratto di come il cervello gestisce la sintassi 
    Il processo di costruzione delle frasi 
       Il c-comando 
       Gli effetti-isola 
       Il riferimento delle «categorie vuote» 
    Dopo la grammatica universale
6 Variazione e cambiamento 
    Perché la variazione e il cambiamento?
    Instabilità intrinseca 
    Sotto-specificazioni che vanno specificate 
      Ordine delle parole 
      Sistemi tempo-modo-aspetto (TMA) 
    Sotto-specificazioni che non richiedono di essere specificate 
      Grammaticizzazione delle relazioni tra parole 
      Grammaticizzazione delle relazioni verbo-argomento
      Grammaticizzazione dei confini tra sintagmi e clausole 
    Cause del cambiamento 
    Obiezioni a questo modello 
      Un'obiezione particolare: categorie funzionali
      Un'obiezione generale: la teoria dei parametri 
7 L'«acquisizione» della lingua 
   Un'alternativa al consenso 
   Il linguaggio infantile è un proto-linguaggio? 
   La fase della parola singola 
   La fase delle due parole 
   Il «discorso telegrafico» 
   La distinzione causativo/non causativo 
   La negazione in francese e in inglese 
   Acquisire le forme interrogative 
   L'«errore» come fonte di comprensione
8 Creolizzazione 
   Il «continuum» delle lingue creole  
   Il ciclo della piantagione 
   Critiche al programma innato 
      Adulti e bambini 
      L'influenza delle lingue di sostrato 
      Creolizzazione «graduale» 
      Negazione del pidgin 
      Differenze nel creolo 
   Lo sranan e il saramaccano: origini comuni o indipendenti? 
      La storia degli albori del Suriname 
      Il lessico dello sranan e del saramaccano  
   La creolizzazione alla Hawaii 
      Lo stato della generazione G2 
      G2 e le lingue dei genitori
   Le lingue creole e l'argomento universalista
9 «Homo sapiens loquens» 
   Le tre stanze e la scala mobile
   L'«uso continuo» e il fattore Joyce 
   Il fattore Joyce 
   Perché non abbiamo bisogno di capacità ulteriori
   Alcune conseguenze di queste proposte 
       Quanto erano probabili gli esseri umani?
       Innatismo contro empirismo 
Conclusione 
Bibliografia
 
Recensione:  
Il problema dell'origine del linguaggio umano è ben lungi dall'essere risolto, con buona pace di quanto affermano il contrario (ad esempio i sostenitori della grammatica generativa di Noam Chomsky). Questo ponderoso testo di Bickerton è certo affascinante, ma tutt'altro che "definitivo" e non fornisce comunque alcuna spiegazione convincente del mistero che è il fondamento della nostra stessa esistenza come creature pensanti. Per quanto il risvolto presenti l'opera come il compimento supremo dell'impresa di ridurre il linguaggio "nell'alveo dell'evoluzionismo", direi piuttosto che lo colloca nel letto di Procuste, tagliando ciò che sporge e stirando ciò che manca. Gli sforzi fatti dall'autore sono senza dubbio eroici e lodevoli, ma credo che ci sia ancora molta strada da percorrere. 

Un'osservazione cruciale 

Questo scrisse nel 1869 il naturalista e geografo britannico Alfred Russel Wallace (1823 - 1913), intendendo con "selvaggi" coloro che vivevano in una società senza scrittura (agrafa) e pre-industriale: 

"La selezione naturale avrebbe potuto dotare i selvaggi di un cervello di poco superiore a quello di una scimmia, mentre essi possiedono un cervello che è di poco inferiore a quello di un membro medio delle nostre società scolarizzate."

Ai frequentatori compulsivi di Facebook il nome di Wallace dirà ben poco. Basti ricordare che fu il cofondatore della teoria dell'evoluzione per selezione naturale, assieme al più noto Charles Darwin (1809 - 1882). Bickerton ci fa capire l'enormità delle conseguenze di quanto Wallace aveva compreso:

"Un cervello leggermente migliore di quello di una scimmia sarebbe comunque bastato per superare in intelligenza qualsiasi altra cosa si muovesse su due o quattro zampe e raggiungere così la cima della catena alimentare. I primi umani non avevano bisogno di occuparsi di matematica, di costruire barche, di comporre musica o di avere idee circa la natura dell’universo per poter fare tutte le cose che in concreto facevano. Il fatto che, all’improvviso, scoprissero di essere dotati di un cervello che potenzialmente avrebbe potuto renderli capaci di tutte queste cose era già abbastanza notevole. Ma ancor più straordinario era che quegli stessi cervelli avrebbero reso capaci coloro che li possedevano di ricoprire il mondo intero delle proprie opere, di immergersi negli abissi più profondi degli oceani e addirittura (meno di mezzo secolo dopo la morte di Wallace) di lasciarsi alle spalle la Terra." 
 
Una singolare contraddizione di Darwin  

Bickerton riporta 
quanto scrisse Darwin nel 1871 (pag. 101, trad. it. pag. 106), in risposta alle argomentazioni del suo connazionale Wallace

"Se si potesse provare che alcuni elevati poteri mentali, come la formazione di concetti generali, l’autocoscienza, ecc. sono assolutamente peculiari all’uomo, il che sembra estremamente dubbio, non sarebbe improbabile che queste qualità apparissero come il risultato incidentale di altre facoltà intellettuali altamente avanzate e queste ancora principalmente il risultato dell’uso continuo di un linguaggio perfetto." 

Se la logica è il prodotto dell'uso continuo di una lingua perfetta, come ebbe a dire Darwin, come si spiega allora l'origine di questa perfezione? Come si è formata la lingua perfetta? Il problema è che Darwin non lo chiarisce affatto, in qualche modo si tira fuori dalla scomoda discussione. Soltanto pochi anni prima, egli avrebbe affermato quanto segue: "La lingua perfetta è stata data all'essere umano dal Creatore". In altre parole, il dono del Logos sarebbe qualcosa di acosmico, quindi non soggetto alle regole dell'evoluzione per selezione naturale. Qualcosa di non scandagliabile dalla stessa mente umana che ne fa uso. Proprio questa è la risposta data da Wallace, che postulava la necessità di un intervento soprannaturale, in grado di conferire alla specie umana la sua unicità rispetto agli altri viventi. In un'altra occasione, sempre nel 1871 (pag. 57, trad. it. pag. 79), Darwin si era contraddetto, affermando quanto segue: 

"[...] i poteri mentali in alcuni primi progenitori dell’uomo devono essere stati più altamente sviluppati che in ogni scimmia esistente, anche prima che la più imperfetta forma di discorso fosse entrata nell’uso."

Mettiamo dunque assieme quanto affermato da Darwin: 
 
I) Pag. 57: le facoltà logiche preesistevano al linguaggio articolato.
II) Pag. 101: le facoltà logiche sono la conseguenza dell'uso del linguaggio articolato. 

Si applica il principio di non contraddizione: le proposizioni I e II non possono essere entrambe vere
 
Bickerton fa notare che i creazionisti, sostenitori del cosiddetto Disegno Intelligente, non hanno sfruttato questo bug. Quindi riporta dichiarazioni di un'estrema gravità e importanza: 

"Il divario cognitivo tra umani e nonumani è il tallone d’Achille dell’evoluzione. Il problema di Wallace è reale, e gli evoluzionisti lo hanno semplicemente ignorato oppure hanno cercato di dare delle spiegazioni che lo facessero scomparire. A quanto ne so, l’unico che ha provato a riaffermarlo è David Premack (1986, p. 133), il quale ha fatto notare che «il linguaggio umano è fonte di imbarazzo per la teoria evoluzionista, perché è molto più potente di quanto si possa spiegare nei termini delle forze selettive»."

Il nascondimento è sempre indice di disonestà intellettuale. A maggior ragione in questo caso, così delicato. Più che di fronte a un'onesta comunità scientifica, vediamo gli effetti deleteri di quella che ha tutte le parvenze di una camorra e di una camarilla. 

Deprivazione linguistica

In buona sostanza, Bickerton ammette che non è facile dedurre qualcosa di utile dalle normali condizioni in cui avviene l'apprendimento di lingue ben consolidate, come ad esempio l'inglese e lo spagnolo. Occorre quindi studiare circostanze in cui l'input linguistico dato ai bambini presenta carenze e distorsioni. Per ragioni etiche, l'autore rifiuta la possibilità di utilizzare metodi sperimentali, che comporterebbero la crescita di bambini "con qualche grado di deprivazione degli input". Restano quindi soltanto due situazioni "naturali" utili: quella dei ragazzi selvaggi e quella in cui hanno origine le lingue creole. Si noterà che in passato ci sono stati studiosi che non hanno avuto scrupoli a tentare esperimenti di deprivazione linguistica, pur con risultati scarsi e assai dubbi. A quanto ci narra Erodoto, il Faraone Psammetico I (... - 610 a.C.), della XXVI dinastia, fece crescere due bambini da un pastore, in modo tale che non gli fosse insegnato a parlare. Quando questi bambini videro per la prima volta il sovrano, pronunciarono la parola "bekos", che in frigio significa "pane". Il Faraone dovette quindi ammettere la maggior antichità dei Frigi rispetto agli Egizi. L'Imperatore Federico II di Svevia (1194 - 1250) decise di far crescere alcuni bambini senza che fosse insegnato loro a parlare. Lo Stupor mundi era convinto che gli infanti si sarebbero messi a parlare in ebraico, ritenuto per motivi religiosi la prima lingua del genere umano - quella in cui Adamo avrebbe dato nome a tutte le cose esistenti, su comando di Dio. Questa convinzione biblica si dimostrò fallace: certamente nessuno dei bambini si mise mai a parlare, in ebraico o in qualsiasi altra lingua. Anzi, finirono col morire a causa della salute cagionevole. Sappiamo che i ragazzi selvaggi, bambini cresciuti senza contatti con adulti (o con scarsi contatti), hanno insormontabili problemi ad acquisire anche soltanto l'uso di poche parole. Bickerton non tratta di questi casi nel volume, ritenendoli irrilevanti e concentrandosi invece sul problema delle lingue creole, che costituisce la sua idée fixe. A parer mio ha commesso un grave errore. Una cosa mi è subito saltata agli occhi: i ragazzi selvaggi, che non hanno il linguaggio articolato, non hanno il tabù degli escrementi. In altre parole, prima che apparisse il linguaggio articolato, la coprofagia doveva essere una condizione normale tra gli antenati degli esseri umani! Ciò pone problemi a non finire, perché il tabù degli escrementi esiste presso i macachi, che pure non hanno il linguaggio articolato. Le fonti? Si trovano nel Web filmati in cui viene porto un escremento a un macaco, che reagisce con furia, soffiando e minacciando, per poi allontanarsi. 

Pidgin e lingue creole

È necessario a questo punto dare alcune definizioni per capire meglio il fumoso mondo delle lingue ibride. Un mondo che è stato ben poco studiato, anche a causa di pregiudizi. Senza dubbio il lavoro sul campo fatto da Bickerton è molto meritorio.

1) I pidgin 

Un
pidgin è una lingua che nasce dalla mescolanza di lingue di popolazioni differenti, venute a contatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni e relazioni commerciali, che non è tuttavia la lingua madre di alcuna generazione. I pidgin si apprendono in età adulta; sono caratterizzati da strutture non codificate e fortemente semplificate, sia nella struttura sia nel vocabolario. 
 
2) Le lingue creole 

Una lingua creola nasce dall'ibridazione di due o più lingue esistenti, diventando la lingua madre di una nuova generazione di parlanti che non hanno imparato una delle lingue di origine. In sostanza è una lingua stabilita, con una propria struttura grammaticale e vocabolario, che si sviluppa quando i parlanti di diverse lingue entrano in contatto e devono interagire. Si chiama lessificatore principale la lingua (in genere europea, con alcune eccezioni) da cui proviene la maggior parte del vocabolario.

3) Creolizzazione dei pidgin 

Un pidgin che comincia ad essere appreso dai bambini di una nuova generazione, diventa una lingua creola, ossia subisce un processo di creolizzazione

4) Decreolizzazione dei creoli 

Una lingua creola subisce un processo di decreolizzazione man mano che si riducono le differenze con il suo lessificatore principale. Alla fine di questo processo, si può arrivare ad avere un dialetto del lessificatore.  

Due lingue creole:
Sranan e Saramaccano
 

In Suriname sono parlate tuttora due lingue creole molto singolari: lo Sranan e il Saramaccano. Lo Sranan (più propriamente Sranan tongo) è parlato da circa 500.000 persone ed è formato soprattutto da parole inglesi, con prestiti portoghesi e olandesi, oltre a un significativo sostrato africano. Il Saramaccano è parlato da circa 58.000 persone in Suriname e da 25.000 in Guyana Francese; il suo lessico è formato per il 30% da parole inglesi, per il 20% da parole portoghesi e per il 50% da parole africane (Fongbe, Akan, Twi, Kikongo, etc.). Si trovano anche tracce di parole di origine Carib. 
Queste ed altre simili lingue creole hanno avuto origine da un pidgin informe, non documentato, formatosi in tempi rapidi nel corso della seconda metà del XVII secolo nelle piantagioni. La creolizzazione del pidgin originario (dalla fine del XVII secolo) è avvenuta in circostanze diverse, che hanno portato alla divergenza delle lingue derivate. I parlanti dello Sranan sono i discendenti degli schiavi rimasti nelle piantagioni, mentre i parlanti del Saramaccano sono i discendenti dei cimarroni, schiavi fuggiaschi che si sono rifugiati nelle foreste. 
A questo punto riporto una tabella con alcuni dati lessicali relativi allo Sranan e al Saramaccano. In particolare ho aggiunto a quanto mostrato da Bickerton alcune parole del vocabolario di base e qualche altra voce relativa alla fauna. Ho inoltre cercato di evidenziare non soltanto la grande differenza tra i due creoli, ma anche la presenza di importanti lessemi in comune ("io", "acqua", "fiume", "piede", oltre agli articoli determinativi). 

Glossa italiana

Sranan

Saramaccano

il, lo, la

da

di

i, gli, le

den

dee

io

mi

mi

tu

yu

i

noi

unu, wi

u

voi

unu

un

chi

suma

ambé

che cosa

faa, san

andí

quando

oten

na unten

dove

ope, pe

ka, naase

quale

sortu

un

perché

sanede

andi-mbei

in

ini

a

con

psa

langalanga

dentro

ini

dendu

sopra

tapu

liba

sotto

ondro

basu

e

e, nanga

ku

se

efu

ee

acqua

watra

wata

fiume

liba

lio

montagna

bergi

kúnunu

cielo

loktu

gaangadu

fuoco

faya

faja

uomo

kel, man, mansma

womi

donna

frow, uma

mujee

bocca

mofo, smuru

buka

mano

anu

máun

piede

futu

futu

lucertola

lagadisi, lagadisa

kaluwá

alligatore

kaiman 

akalé, gandí, káima 

formica

mira

hansi


Si riconoscono facilmente le origini di numerose parole, solo in pochi casi trattate nel volume di Bickerton. Ecco alcune etimologie trasparenti: 

Saramaccano liba "sopra" < Portoghese arriba "su" 
Sranan watra "acqua" < Inglese water 
Saramaccano wata "acqua" < Inglese water 
Sranan liba "fiume" < Portoghese arriba "scoglio"
Saramaccano lio "fiume" < Portoghese rio 
Sranan faya, Saramaccano faja < Inglese fire 
Samaraccano womi "uomo" < Portoghese homem
Sranan uma "donna" < Inglese woman 
Saramaccano mujee "donna" < Portoghese mulher 
Sranan mofo "bocca" < Inglese mouth 
Saramaccano maun "mano" < Portoghese mão 
Sranan, Saramaccano futu "piede" < Inglese foot 
Sranan mira "formica" < Olandese mier 
Saramaccano hansi "formica" < Inglese ants "formiche" 

Si notano alcune parole africane, ben incastonate nella parte più importante del lessico: 

Saramaccano: ambé "chi" < Fongbe    
Saramaccano: andí "che cosa" < Fongbe àni 
Samaraccano: i "tu" < Fongbe ye 
Sranan: unu "voi" < Igbo únù
Samaraccano: un "voi" < Fongbe un 

Tra le poche parole di origine amerindiana, possiamo citare senza dubbio queste, derivate da una lingua di ceppo Carib: 

Samaraccano: kaluwá "lucertola"  
Samaraccano: akalé "alligatore" 
Sranan: kaiman; Samaraccano: káima "alligatore"  

Bickerton, che ha il merito di aver confrontato per la prima volta il lessico Sranan a quello Saramaccano, è dell'idea che non esista un proto-Sranan-Samaraccano ricostruibile, perché le due lingue creole si sarebbero formate in modo del tutto indipendente. 

La teoria della saprofagia organizzata

Bickerton sostiene che le caratteristiche peculiari della nicchia ecologica dell'uomo primitivo abbiano permesso questo passaggio da un sistema di comunicazione animale al linguaggio articolato. Cita il fatto che circa due milioni di anni fa i nostri antenati si facevano strada verso la cima di una piramide di spazzini, accedendo alle carcasse della megafauna prima di altri predatori, che tenevano a bada lavorando in gruppi coordinati. Imitando un animale, come un mammut, un membro poteva tentare di comunicare informazioni su tali fonti di cibo. Sebbene tale segnalazione imitativa mantenesse un carattere iconico piuttosto che completamente simbolico, implicava un atto di spostamento nella comunicazione, poiché il corpo poteva trovarsi a chilometri di distanza ed essere scoperto ore prima. Col tempo, i suoni che significavano qualcosa come un mammut sarebbero stati decontestualizzati e avrebbero finito per assomigliare a qualcosa di molto più simile a una parola. Questo spostamento è la caratteristica distintiva del linguaggio. 
Sempre secondo Bickerton, queste parole permettevano la formazione di concetti, piuttosto che delle semplici categorie di cui anche gli animali sono capaci. Le parole hanno avuto origine come un sistema di ancoraggio per le informazioni sensoriali e i ricordi relativi a un animale o un oggetto specifico. Una volta che il cervello aveva a disposizione le parole, poteva creare concetti che si assemblavano in un "protolinguaggio". Il protolinguaggio rimase molto simile a un pidgin per un milione di anni o più, per poi passare dal modello linguistico "a perline su un filo" a una struttura gerarchica tramite combinazione di stringhe. 

Un punto debole

Il problema è che né i pidgin né i creoli sono davvero "lingue primitive": derivano dalla degradazione e dalla ricombinazione di lingue già esistenti. A quanto si sa, non esistono lingue simili a pidgin e creoli, 
ma nate dal nulla (o meglio, da precedenti forme di comunicazione non linguistica, non articolata, animale). Quindi si sta lavorando facendo ipotesi in assenza di dati misurabili. In sintesi, non sono affatto sicuro che la pidginizzazione e la creolizzazione descrivano il processo di formazione degli antenati delle lingue naturali a noi note. 

L'inesistenza delle "lingue primitive" o "pre-lingue"

Purtroppo manca qualsiasi attestazione di lingue umane che possano essere chiamate "primitive" o "rudimentali". Con ogni probabilità saranno esistite, ma nessuna è riuscita a sopravvivere tanto a lungo da poter essere documentata. Qualcuno parla di "pre-lingue" o "protolingue assolute", ma il concetto è lo stesso - per quanto ritenga che la seconda locuzione sia un po' impropria. Trovo ragionevole pensare che una pre-lingua dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: 

i) una fonologia semplice, con poche consonanti e soltanto sillabe aperte 
ii) un lessico poverissimo, che consiste di un centinaio o al massimo di poche centinaia di vocaboli; 
iii) assenza di numerali 
iv) assenza di pronomi personali 
v) assenza di mezzi grammaticali, in particolare: 
   - assenza di suffissi e di prefissi, 
   - assenza di parole composte, 
   - assenza di qualsiasi modificazione delle parole;  
vi) frasi telegrafiche, costituite da semplice giustapposizione di vocaboli; 
vii) assenza di paratassi (frasi coordinate) e di ipotassi (frasi subordinate). 

Si noti che esistono nel mondo diverse lingue anumeriche, come quelle degli Andamanesi e di alcuni popoli dell'Amazzonia (Pirahã, Nambiquara, etc.). La lingua Pirahã ignora l'ipotassi e ha preso in prestito i pronomi personali da una lingua Tupí. Eppure tutte le lingue di questi popoli sono sufficientemente complesse, ricche nel lessico e dotate di mezzi grammaticali sviluppati (composti, morfologia, etc.). Sarebbe interessante cercare di capire se antiche lingue rudimentali scomparse possano aver contribuito alla formazione delle lingue in questione, ad esempio fornendo elementi di sostrato. 

L'immaginario collettivo

Nonostante non ci sia attestazione di "lingue primitive", sembra che il genere umano abbia un'idea ben precisa di come queste dovrebbero essere. In realtà, ne esce qualcosa di più complesso ed "evoluto" rispetto alle caratteristiche della proto-lingua assoluta sopra menzionate. La frase "Io Tarzan, tu Jane" mostra già una rudimentale paratassi e la capacità di servirsi di pronomi personali per indicare la contrapposizione tra il parlante (Tarzan) e un altro essere (Jane). I sostenitori dell'innatismo considererebbero questo fatto come una prova dell'esistenza di una natura intrinsecamente sintattica e grammaticale dell'essere umano. In altri termini, secondo costoro le parole sarebbero nate assieme alla sintassi, alle strutture grammaticali. Non sono affatto convinto che questo sia vero. 

Anelli mancanti?

Bickerton ha sempre dato prova di essere ben consapevole di questi problemi: 

"Se vi sono innumerevoli specie dotate di capacità a metà strada tra quelle di una lampreda e quelle di uno scimpanzé, dovrebbero esserci anche molte specie intermedie tra esseri umani e scimpanzé. Come mai, allora, non ci sono animali dotati di una piccola o moderata quantità di autocoscienza, né c’è un aumento graduale della capacità di innovazione o della creatività, né ci sono livelli diversi di produzioni artistiche (anche solo in una singola arte o in due), o per lo meno un linguaggio rudimentale? Il mero asserire che non vi è nessuna «differenza fondamentale» non è (e non avrebbe potuto essere, neppure al tempo di Darwin) un pronunciamento scientifico. Era ed è una pura e semplice dichiarazione di fede."

L'unico modo di risolvere la questione sarebbe la scoperta, in qualche densissima foresta dell'Indonesia o della Papua Nuova Guinea, di una specie di ominide diversa da Homo sapiens, qualcosa come l'Uomo di Flores (Homo floresiensis), che sia sopravvissuta nell'isolamento e che ci permetta finalmente di gettare un po' di luce sul nostro passato più oscuro. 

Il pericolo della presunzione dogmatica 

Riporto a questo proposito quanto scritto qualche tempo fa dal professor Fabio Calabrese. Sono parole che condivido appieno, perché esprimono molto bene il mio profondo disagio verso ogni tentativo di fondare una "religione scientista", con sostituzione di dogmi preconcetti alla ricerca della Conoscenza: 

"Una volta invitai alla mia scuola a tenere una conferenza ai ragazzi, un esponente del CICAP triestino, perché ritenevo l'opera di questa associazione nello smascheramento di guru e ciarlatani, assolutamente meritoria. Me ne fece pentire. Iniziò facendo un disegno alla lavagna, un castello incompleto in una parte del muro in basso e in una parte della merlatura. Disse che quello rappresentava l'edificio della conoscenza, ormai completo, tranne qualcosa che non sappiamo del mondo subatomico, e qualcosa che non sappiamo delle lontane galassie. Trovai il suo atteggiamento indisponente, e irritante la presunzione che "ormai sappiamo tutto", o "sappiamo quasi tutto".
Secondo me, una scienza che smette di porsi domande, è una scienza morta." 

sabato 25 marzo 2023


E-DOLL

Titolo originale: e-Doll
AKA: Il fabbricante di sorrisi 
Autore: Francesco Verso
1ª ed. originale: 2009 
2ª edizione: 2012
3ª edizione: 2015
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Fantascienza, noir, hard-boiled
Sottogenere: Cyber-sex-punk 
Lingua originale: Italiano 
Editore: Arnoldo Mondadori Editore;
      Kipple Officina Libraria; Mincione Edizioni 
Collana (Mondadori): Urania 
  Numero: 1552 
Collana (Mincione): Future Fiction 
Pagine (Urania): 304 pagg.
Codice ISBN (Kipple): 9788895414867 
Premi: Premio Urania 2008 

Sinossi (da MondoUrania.com):
"Donna morta, rannicchiata in posizione fetale. Bagno di sangue, liquidi ovunque. Bella mattinata mi si prospetta... Eri una squillo? Una di quelle disposte a tutto? Persino a farsi passare per una bambola di plastica?... Il polpastrello dell'investigatore sfiora una superficie tonda. Ne segue il percorso finché non tocca il prisma cilindrico della pompa cardiaca... 'Accidenti! Credevo... invece non è una donna.'" Ma se non è una donna, cos'altro è la vittima? La risposta viene da oltre il confine dell'umano, racchiusa in una sigla che si può pronunciare "e-doll" oppure "idol". Loro servono a questo, a vivere gli eccessi senza superarli, a eccedere senza causare altri inutili eccessi. Solo che, stavolta, l'esperimento è andato tragicamente male.

Sinossi (da Futurefiction.org):
Romanzo vincitore del premio Urania Mondadori 2008. 
Da tempo le abitudini sessuali degli esseri umani hanno subito un'evoluzione epocale grazie alla creazione degli e-Doll: più sofisticati dei normali androidi, i replicanti denominati e-Doll rappresentano la risposta definitiva alla richiesta di una sessualità senza limiti da parte di un'umanità previdente ma al tempo stesso decadente.
Maya, irrequieta adolescente moscovita, si finge un e-Doll e conduce una doppia vita. Da una parte è una studentessa svogliata, dall'altra si vende per sentirsi amata. Angel, un e-Doll ermafrodito esperto nell'arte amatoria, medita su come diventare un essere umano. I due protagonisti s'incontreranno in sessoteca e si scambieranno qualche cosa che li avvicinerà alla realizzazione di se stessi.
e-Doll è un noir fantascientifico che ci invita a riflettere sui limiti del concetto di "natura umana".

Trama: 
Mosca. Anno del Signore 2053. Il cadavere di una donna viene trovato in un cesso. Riverso accanto alla tazza, tra sangue e altri fluidi corporei. Arrivano il Tenente Igor Gankin e il cadetto Aleksej Shaparov per le indagini. Presto scoprono che non si tratta di un essere umano di sesso femminile, bensì di un simulacro robotico del tipo conosciuto come e-Doll e usato per soddisfare le pulsioni sessuali. A fabbricare queste mirabili creature è una grande azienda, la Silitron, il cui motto è "Fate l'amore. Vivrete meglio, vivrete di più!" Non si tratta di semplici giocattoli. Impossibili a distinguersi a colpo d'occhio dagli esseri umani, questi androidi sono provvisti di parola e della capacità di operare autonomamente. Hanno in circolo miliardi di nanobot, ossia robot microscopici, che assicurano loro la capacità di autoripararsi. In pratica sono quasi immortali. Il problema è quel "quasi": in questo specifico caso il danno è stato troppo grande e non c'è possibilità di recupero. Nel corso delle indagini, Gankin viene a scoprire che il caso di cui si sta occupando non è affatto isolato. Moltissimi e-Doll sono stati distrutti in tutto il mondo, come se fosse in atto un progetto di annientamento. Il poliziotto si rivolge così proprio al capo della Silitron, Grigorij Kursilov, ideatore degli e-Doll, detto il Fabbricante di Sorrisi. L'origine di questo soprannome è chiara. Con la sua opera, Kursilov ha reso possibili milioni di orgasmi intensissimi, sconvolgenti. Così spiega a Gankin che il motto della Silitron descrive una concreta realtà e non si limita ad essere una mera strategia di marketing. Due ambigui personaggi interagiscono tra loro, conoscendosi in sessoteca: l'e-Doll ermafrodita Angel e la problematica figlia adolescente dello stesso Fabbricante di Sorrisi, Maya Kursilova. Maya, sconvolta dalle tempeste ormonali della sua età, stravede a tal punto per i simulacri sessuali da desiderare di assumere la loro identità, incurante dei gravissimi pericoli che corre. Il percorso esistenziale dell'ermafrodita Angel è l'inverso di quello della giovane Maya, dato che vorrebbe diventare umano. Nella relazione che nasce tra loro, cercano qualcosa in grado di avvicinarle alla realizzazione dei loro più profondi desideri. Le linee narrative che scaturiscono da Gankin, Angel e Maya, finiscono col convergere fino ad arrivare a un'inaspettata soluzione di ogni mistero. 


Recensione: 
Ho letto questo romanzo appena uscito, nel lontano 2009. Aveva ricevuto il Premio Urania giusto un anno prima, nel 2008 (20a edizione). Quando ho deciso di recensirlo, a molti anni di distanza, mi sono accorto che mi restavano in mente soltanto pochi brandelli di trama, a malapena recuperabili dai banchi di memoria stagnante. Ricordo che non mi era dispiaciuto, anche se non aveva suscitato in me uno sconfinato entusiasmo. Ho dovuto analizzarlo in formato .pdf per ravvivare i ricordi e trovare agevolmente le informazioni cercate, rintracciandole con la giusta paginazione della versione cartacea. L'importanza di e-Doll è soprattutto filosofica ed etica: è ricchissimo di spunti di riflessione sulla natura dell'essere umano, sul suo comportamento e sull'origine ultima della violenza. Tratta inoltre il problema dell'Intelligenza Artificiale e del mistero insondabile della coscienza. Un androide è un essere vivente? Lo si può paragonare a un oggetto inanimato, a un virus oppure a un essere umano? Tutti temi di grandissima attualità, domande cogenti a cui urge trovare una risposta. Si perdoneranno quindi facilmente le occasionali inconsistenze e le bizzarrie che qua e là emergono nel testo. Si nota inoltre una conoscenza profonda della Russia e della sua realtà antropologica, maturata dalla personale esperienza dell'autore, che ha vissuto a lungo a Mosca. 

Il caso del meticcio abbronzato 

Non mancano gli spunti ironici e divertenti. Una cosa si è stampata nella mia mente e mi ha destato l'effetto di un'inalazione di gas esilarante. Si tratta di un brano che riporto in questa sede (Urania n. 1552, pag. 35). I grassetti sono miei. 

"Sergej scuote l'ampolla con maggiore forza, provocando un vistoso attaccamento del liquido ai bordi. 
— Ne dubito. Come può vedere, questo non è sangue umano. Nessun essere vivente può produrre una sostanza così ricca di melatonina e qui dentro ce n'è una concentrazione tale da trasformare un albino in meticcio nel giro di un paio di giorni.
"Melatonina?" si chiede Gankin. "È un cosmetico? Un trattamento estetico d'ultima generazione? Magari una cura a base di unguenti per migliorare le prestazioni sessuali. Qualcuno alla Silitron è in vena di sabotaggi? D'altronde potrebbe anche trattarsi di uno scherzetto della SimVita o di un cantinaro che vuole promuovere i suoi cloni di serie B."

La melanina (pigmento nero del corpo umano) è stata qui confusa con la melatonina (l'ormone che regola il ritmo sonno-veglia), di cui pure è data una sintetica descrizione in un altro passo (Urania n. 1552, pag. 62).  
Evidentemente Gankin e il suo collega non hanno la benché minima idea di cosa sia l'albinismo e non sanno che esistono molti albini nell'Africa Subsahariana. Non sembrano nemmeno avere idea di cosa sia un meticcio - che non è necessariamente scuro di pelle. Solo per fare un esempio, un meticcio europeo-cinese ha la pelle chiara come quella dei suoi genitori. Ebbene, la melatonina non c'entra proprio nulla col colore della pelle. Detto questo, l'autore non deve giustificare nulla. Secondo me è stato un errore cercare di farlo. Non si può attribuire all'autore la colpa del fatto che non funziona il discorso sulla melatonina e sui meticci: se qualcuno descrive due ignoranti in un suo testo, non significa che la loro ignoranza gli debba essere imputata! Del resto, il romanzo è ambientato in Russia, dove hanno idee molto particolari e amano poco la Scienza. Se uno li critica, si becca un'accusa di "russobobia" (!). 

Il problema dell'invecchiamento

Com'è invecchiato e-Doll? Meglio di molte altre opere di SF, anche pubblicate soltanto ieri. Scritto in un'epoca di grandi trasformazioni già in atto, non sempre è riuscito ad essere così predittivo nel campo della tecnologia come ci si sarebbe aspettati, ma solleva sempre questioni sociali del massimo interesse. 
Nel 2053 è menzionato una ventina di volte il congegno chiamato pad, che è in tutto e per tutto simile allo smartphone. Si coglie lo sforzo di descrivere un'umanità che utilizza questi mezzi in ogni istante della giornata, anche se non arrivando ai livelli di tirannia tecnocratica e di dipendenza a cui oggi siamo sottoposti. La cosa in assoluto più difficile è adattare alle macchine la prospettiva dei personaggi di un romanzo. Gli smartphone costituiscono la nostra visuale sull'Universo, ma il nostro modo di concepire le storie si è formato in un tempo in cui simili mezzi non esistevano. Dovremmo descrivere le navigazioni compulsive e nevrotiche fatte anche quando siamo seduti sulla tazza? Dovremmo parlare dei dialoghi fatti con l'Intelligenza Artificiale mentre stiamo defecando? 

Interrogativi etici inediti 

L'uccisione dei simulacri sessuali è citata nel corso del romanzo. "Scusi, ma non ne vengono uccisi tutti i giorni?", chiede il cadetto Aleksej Shaparov a un certo punto (Urania n. 1552, pag. 15). 

Ancora più importante è questa citazione (Urania n. 1552, pag. 138): 

"Gli e-doll neutralizzano la noia atavica degli esseri umani e la rendono un’evenienza passeggera, lieve come una piuma. Inoltre conoscono il modo di sedare quel viscerale bisogno di amore e morte che è congenito alla loro stessa natura. 
Le morti a ripetizione e gli omicidi sessuali inscenati allo scopo di lenire una sofferenza e una depravazione diffusa e mal esorcizzata, servono a questo. E per questo gli e-doll vengono uccisi, sfigurati, smembrati, soffocati, impiccati, seviziati, squartati e quant'altro possa via via estrarsi dall'immaginazione, dal rancore, dalla sperimentazione più ardita e fine a se stessa." 

Qualcuno, a una presentazione del libro, disse che G. (RIP), un amabile e dottissimo vecchietto, sarebbe ringiovanito di 20 anni se ci fossero stati gli e-Doll, se avesse potuto disporne. Immagini ripugnanti mi hanno sconvolto. Non oso pensare al povero e gentile G. intento a stuprare, seviziare, sfigurare e mutilare un e-Doll dalle sembianze di una ragazzina, per poi ucciderlo in modo atroce impiccandolo, soffocandolo,  smembrandolo, squartandolo. G. non nascondeva in sé una belva! Ci sono rimasto di merda a sentire un simile discorso folle! Poco importa che gli e-Doll siano in grado di autoripararsi e di resuscitare, capacità che gli esseri umani non hanno. Domanda: "Uccideresti qualcuno se fossi in grado di farlo poi rivivere?" Ovviamente la risposta è NO. Sempre di uccisione si tratta!  

La teoria idraulica
e la teoria del gusto acquisito

Quella che l'autore afferma in e-Doll è la cosiddetta teoria idraulica della violenza. In parole povere, significa che ogni uomo ha necessità di torturare e uccidere gli inermi: se normalmente non lo fa, è per via della deterrenza della Legge, di quello che Hobbes chiamava Leviatano. Conviene temere il carcere e le punizioni. Quindi, per mantenere il patto sociale, gli esseri umani si astengono dal commettere delitti, pur avendo il sé una natura belluina, pronta ad esplodere se non trova uno sfogo adeguato (ad esempio la guerra, le rivolte, i pogrom, le esecuzioni, etc.). 
Sono invece convinto della validità della teoria del gusto acquisito. Ogni essere umano sperimenta nel corso della sua esistenza una serie di vittorie su una sensazione che all'inizio gli era parsa spiacevole o addirittura disgustosa, per assuefarsi e iniziare ad amare ciò che al primo impatto non gli era molto piaciuto. Ne abbiamo innumerevoli esempi nella vita di tutti i giorni. In campo alimentare si va dal vino secco al gorgonzola e a piacevolezze come il casu martzu. In campo sessuale si va dai pompini al leccare i buchi del culo e via discorrendo. Moltissime donne che ne avevano schifo, sono diventate avide fellatrici e spermatofaghe guardando grandi quantità di materiale pornografico. Così è possibile acquisire ogni cosa, soltanto con un po' di esposizione e di buona volontà. Anche la coprofagia, la necrofilia, il cannibalismo, il sadismo estremo. Esposizione provoca assuefazione. Assuefazione provoca gusto acquisito. Quali sono i limiti etici di questo processo? Simulacri come gli e-Doll avrebbero un effetto devastante sulla società umana. Non solo non farebbero affatto diminuire le violenze e gli omicidi: questi atti aumenterebbero in modo esponenziale, non sarebbero più ritenuti moralmente ripugnanti, si radicherebbero come genere voluttuario. Come direbbe l'Ispettore Derrick, sarebbe la Fine. La Fine di Tutto.

Peculiari scelte stilistiche 

Proprio all'inizio (Urania n. 1552, pag. 7) si legge: "Fa un caldo melenso alle prime luci di un'alba estiva moscovita"
Domanda: il caldo può essere melenso? Forse sì, intendendo la parola "melenso" come "appiccicoso", anche se il suo significato principale è "scemo", "lento nei movimenti". Sulla semantica e sull'origine ignota di questo aggettivo si potrebbero scrivere volumi. In ogni caso è una scelta inconsueta.  
Noto che il Tenente Gankin viene menzionato per cognome, mentre il cadetto Shaparov viene più spesso chiamato Aleskej. Questa scelta non nuoce alla narrazione. 
Mi imbatto in un "post-mortem", scritto col trattino. Mi rendo conto che non tutti sono latinisti. In fin dei conti, le cose che ho menzionato sono più che altro curiosità. 

False etimologie 

Il Fabbricante di Sorrisi fa una disquisizione "filologica" in cui si cimenta in alcune false etimologie: riconduce l'inglese harlot  "prostituta" e il tedesco Hure "prostituta" al greco hierodulai "sacerdotesse" (Urania n. 1552, pag. 91). Tali derivazioni, basate su semplici assonanze fallaci, sono impossibili già soltanto per ragioni fonetiche. Ancora una volta, l'autore non ha colpa se descrive un personaggio che crede fermamente in grossolane scempiaggini. Il problema è che c'è gente che scandaglia migliaia di siti del Web alla ricerca di simili "perle", considerandole vere. Si vede il dramma della Rete a due velocità: c'è chi può accedere a studi sofisticatissimi di linguistica e chi si ostina a basarsi su etimologie popolari ottocentesche, che non dovrebbero nemmeno più circolare.
In altra sede tratterò in modo dettagliato le etimologie delle voci citate. 

Stravaganti mitologemi 

Con buona pace delle credenze del Fabbricante di Sorrisi, il soma, bevanda sacra e rituale dell'antica India, non era la secrezione della ghiandola pineale. Cosa fosse esattamente non lo sa nessuno, si sa soltanto che era un succo estratto da una pianta non identificata, oggetto di culto sacrificale. Ho trovato molto divertenti le scene evocate dalla mia immaginazione leggendo i brani in cui viene glorificato il sangue mestruale. Quello che forse il pubblico scandalizzato non riesce bene a capire, è che nessuno può impedire a un autore di attribuire a un suo personaggio il feticismo del mestruo!  

Curiosità  

In tutto il volume Vladimir Putin non viene menzionato neppure una volta; si cita tuttavia l'educazione Komsomol.  


Altre recensioni e reazioni nel Web 

Il Web si è diviso e polarizzato: appena il romanzo è stato pubblicato, si sono avute da una parte alcune recensioni entusiastiche e dall'altra un gran numero di recensioni fortemente negative, spesso al limite del denigratorio (ricordo una tale Gamberetta che si era accanita in modo particolare). Alcune reazioni (rare) rasentano l'apoteosi. Eccone qualche estratto significativo:

"In definitiva Verso ha mescolato tecnologia, erotismo, affetti famigliari e filosofia, senza dimenticare un accenno alle radici della fantascienza, rappresentate da Asimov e Dick, in un romanzo affascinante, degno vincitore del Premio Urania." 
(Giampaolo Rai, Fantascienza.com) 
https://www.fantascienza.com/13060/e-doll

"... Verso riesce a costruire una storia avvincente e, nello stesso tempo, capace di concedersi riflessioni a voce alta sul destino futuro dell'umanità. È questo forse il compito primario della narrativa odierna di genere – non tanto (o soltanto) riservarsi lo spazio dell’azione e dell’avventura quanto contribuire ad analizzare narrativamente un futuro che stinge già nel presente e che del presente conserva i caratteri dell’incubo e del dolore di vivere ma che ancora potrà forse essere riscattato da un semplice atto d’amore." 
(Giuseppe Panella, Retroguardia) 

"E' parlando di sesso che Verso ci conduce sui campi della narrativa d'anticipazione, attraverso tecnologia e fotografia sociale, lasciando emergere a tratti la riflessione a tratti il thriller, lasciandosi sfuggire qualche afflato filosofico mentre il mistero va a svelarsi e la vicenda trova il suo epilogo in un finale drammatico e - a modo suo - poetico." 
(Fabio Novel, ThrillerMagazine.it) 

Le reazioni negative sono principalmente dovute a due cause: 
1) L'inveterato puritanesimo di uno zoccolo duro di lettori uranisti, pardon, di lettori di Urania; 
2) Motivazioni stilistiche, narrative, tecniche, tutte puramente pretestuose. 

Il summenzionato zoccolo duro puritano non ha origini religiose. Ha le sue origini nello scientismo (cosa ben diversa dalla Scienza). Coloro che ne fanno parte sfoggiano un atteggiamento pedante e sterile da scolarette gnè-gnè-gnè e sono convinti di vivere nella realtà idealizzata dei documentari di Piero Angela, in cui in decenni non si è menzionata nemmeno una volta l'esistenza della merda! Gente simile etichetta come "pornografia" qualsiasi cosa che non sia "lui sopra, lei sotto, al buio, con la camicia col buco"
 
Ecco alcune recensioni negative tratte dal sito Anobii.com:   


Un certo Fayd, convinto che la fantascienza abbia l'imperativo di essere asessuata come le amebe, ha scritto: 

Non mi è piaciuto. Questo è un Giudizio personale, è ovvio.
Ho trovato questo libro assolutamente vuoto. Del porno con sprazzi di filosofia spicciola. Una fatica ad arrivare all'ultima pagina che non avevo mai provato prima. Descrizioni pretenziose quasi ad emulare grandi scrittori di altri tempi.
Scene spinte di coiti spesso violenti e assurdi. Esasperate e asasperanti (sic) riflessioni che sinceramente trovo di una banalità rara.
[...] Se questo è il futuro della fantascienza italiana forse devo cambiare genere oppure devo semplicemente continuare a leggere i "maestri". Mi rituffo in Dan Simmons che avevo lasciato da parte per finire questo strazio. Spero di vedere altra fantascienza italiana nel mondo ....ma badate bene ho detto FANTASCIENZA non pornoscienza o filopornoscienza. 

L'utente HAL9000, più sintetico, ha scritto: 

Nonostante l'elevato numero di pagine, la trama è piuttosto semplice. Lo stile spesso troppo ricercato è appesantito da lunghe ed intricate dissertazioni che rendono la lettura poco scorrevole e un po' stucchevole. Il contenuto a base di sesso "malato" lascia spazio anche a qualche buona idea, ma che non basta a risollevare il romanzo. 

Alex Marchetti ha scritto: 

Le citazioni, i riferimenti e i rimandi a Blade Runner si sprecano in questo saggio filosofico travestito da romanzo di fantascienza. La trama è la leva attraverso la quale l'autore propone e dispone le sue teorie sulla sessualità e sull'evoluzione, a volte fondate, ma più spesso strampalate per servire esse stesse alla trama. 
[...] Ma è nel finale che un romanzo potenzialmente sufficiente perde consistenza, nelle azioni confuse e incoerenti dei personaggi, nel finalino happy end che stride con le pretese neo-noir del resto della storia e, in ultima analisi, nell'assoluta inconsistenza di una vicenda che si riveste di fantascienza senza esserlo.
Insipido come lacrime diluite nell'acqua piovana.

Una chiusura più insensata delle scorregge di un pollo. Questo pensa che "come lacrime diluite nell'acqua piovana" sia diverso da "come lacrime nella pioggia"!  

Altre recensioni non proprio eulogistiche si trovano su Goodreads.com


Riporto poi una frase volante, sentita da A. (si dice il peccato ma non il peccatore): "Fa il verso a Houellebecq"

L'opinione di Zoon

Chiudo infine con l'opinione di Sandro "Zoon" Battisti, pubblicata come commento su Anobii.com e molto condivisibile. La riporto in questa sede:

il romanzo di francesco è un viaggio verso le propaggini di un'umanità che sta abbandonando le sue antiche fattezze. ma è una transumanità che abbonda di malvezzi e deviazioni prossime - se non superiori - all'umano.
l'autore ha messo mano a questi vizi e li ha mostrati, una critica del futuro per parare al presente, e lo ha fatto sostanzialmente bene, riuscendo a coinvolgermi mentre legggevo il libro in posti disagiati e rumorosi. qualche difetto c'è, e direi imputabile più che altro a un editing non accuratissimo, ma la polveriera che è esplosa in concomitanza con la pubblicazione di questo premio urania è meritata, ma immeritate sono molte critiche che si basano, alcune, su un sentito dire o su un tabù ancora intoccabile che è il sesso.
i personaggi principali li ho torvati credibili, e il finale mi ha sorpreso dopo che avevo sbagliato in precedenza almeno tre colpevoli.