QUELLO DI CUI LA NATURA
NON HA BISOGNO
NON HA BISOGNO
Titolo originale: More than Nature Needs: Language,
Mind, and Evolution
Mind, and Evolution
Autore: Derek Bickerton
Lingua originale: Inglese
Anno: 2014
Anno: 2014
I ed. italiana: 2022
Genere: Saggio
Genere: Saggio
Temi: Neuroscienze, linguaggio, biologia,
evoluzione, lingue creole
Editore: Adelphi
Collana: Biblioteca Scientifica
Numero: 66
Codice ISBN: 9788845936593
Pagine: 477 pagg.
Traduzione: Davide Bordini
Sinossi (risvolto):
Noto per aver formulato, in parallelo a Darwin, una teoria evoluzionistica «per selezione naturale», Alfred Wallace ne coglieva fin dall’inizio uno dei limiti principali: l’incapacità di spiegare perché la nostra specie abbia acquisito una mente «di gran lunga più potente» rispetto alle necessità adattative. Domanda ingombrante, a cui lo stesso Darwin tentava di rispondere ipotizzando che quella ridondanza cognitiva fosse l’esito «dell’uso continuo di un linguaggio perfetto». Congelato per oltre un secolo e riaffiorato solo negli ultimi anni, il «problema di Wallace» ha trovato infine una convincente soluzione in questo libro ammaliante e definitivo. Riconsiderando punti di forza e carenze delle principali teorie sull’argomento, Bickerton ricolloca il linguaggio nell’alveo evoluzionistico e individua tre fasi decisive per il suo sviluppo: quella della generazione nel cervello di «rappresentazioni di unità simboliche», innescata dalla comunicazione dislocata necessaria per il reclutamento di alleati nella saprofagia conflittuale; quella della riorganizzazione neurale in rapporto alle sollecitazioni ambientali, in cui il cervello ridisegna le proprie connessioni in modo da collegare le parole ai concetti appropriati; e quella culturale, in cui un processo di elaborazione grammaticale sviluppa unità sintattiche elementari in altre più ampie. Bickerton riesce così ad attualizzare la risposta di Darwin al «problema di Wallace», delineando un nuovo orizzonte: «Linguaggio e cognizione (almeno quegli aspetti della cognizione propri degli esseri umani) sono cresciuti a partire da un’origine comune e hanno le stesse fondamenta». La locuzione Homo sapiens loquens sarebbe dunque molto più di un gioco di parole.
L'autore:
Derek Bickerton (1926 - 2018), eminente linguista nato in Inghilterra, ha a lungo insegnato alla University of Hawai'i a Mānoa. Basandosi sul suo lavoro sulle lingue creole in Guyana e nelle Hawaii, ha proposto che le caratteristiche delle lingue creole forniscano importanti spunti di riflessione sullo sviluppo del linguaggio sia a livello individuale che come caratteristica della specie umana. È stato l'ideatore e il principale sostenitore dell'ipotesi del bioprogramma linguistico, fondata su questa idea: la somiglianza delle lingue creole è dovuta al fatto che sono state formate da un pidgin preesistente da bambini che condividono tutti una capacità grammaticale innata universale umana.
Struttura del volume:
1 Il problema di Wallace
La risposta di Darwin
La chiave d'accesso al problema
La struttura di questo libro
2 La teoria generativa
Le tre fasi della grammatica generativa
La teoria standard (1957-1980)
Princìpi e parametri (1981-1994)
Il programma minimalista (dal 1995 a oggi)
Minimalismo ed empirismo
Minimalismo e biologia
Operazioni minimaliste
Il problema di Chomsky
Proscritto
3 L'«unicità» degli esseri umani
Un «istinto ad apprendere»?
L'approccio all'evoluzione in termini di «caratteristiche componenti»
Sovrastimare la evo-devo
Il «patchwork» delle caratteristiche componenti
Risalendo la scala fino agli esseri umani
Primati e pressioni
La teoria della costruzione della nicchia
La costruzione della nicchia e la speciazione ominide
Alcune linee guida per lo studio dell'evoluzione del linguaggio
La costruzione della nicchia e la speciazione ominide
Alcune linee guida per lo studio dell'evoluzione del linguaggio
4 Dalla comunicazione animale al proto-linguaggio
Il paradosso della cognizione
Prove a favore della cognizione avanzata
Prove a favore della cognizione avanzata
Prove contro la cognizione avanzata
La soluzione del paradosso della cognizione
La soluzione del paradosso della cognizione
Il primo passo verso il linguaggio
Gli imenotteri dimenticati
Una nicchia per «Homo» basata sulla saprofagia?
Gli imenotteri dimenticati
Una nicchia per «Homo» basata sulla saprofagia?
Saprofagia conflittuale e dislocamento
La saprofagia e il problema di Wallace
L'importanza del dislocamento
Dalla cognizione preumana a quella umana
Quello che le parole possono fare
Il proto-linguaggio
Dopo il proto-linguaggio
Il proto-linguaggio
Dopo il proto-linguaggio
5 La grammatica universale
La struttura costituente e le sue implicazioni
L'«impossibilità» della grammatica universale
La struttura costituente e le sue implicazioni
L'«impossibilità» della grammatica universale
Il cervello dà una mano
Dall'inizio del proto-linguaggio
Dall'inizio del proto-linguaggio
Un modello dell'evoluzione della sintassi come dettata dal cervello
Dalla stringa alla frase
Concatenare unità simboliche
Strutturare le concatenazioni
Strutturare le concatenazioni
Un modello astratto di come il cervello gestisce la sintassi
Il processo di costruzione delle frasi
Il processo di costruzione delle frasi
Il c-comando
Gli effetti-isola
Il riferimento delle «categorie vuote»
Dopo la grammatica universale
Gli effetti-isola
Il riferimento delle «categorie vuote»
Dopo la grammatica universale
6 Variazione e cambiamento
Perché la variazione e il cambiamento?
Perché la variazione e il cambiamento?
Instabilità intrinseca
Sotto-specificazioni che vanno specificate
Ordine delle parole
Sistemi tempo-modo-aspetto (TMA)
Sotto-specificazioni che non richiedono di essere specificate
Grammaticizzazione delle relazioni tra parole
Grammaticizzazione delle relazioni verbo-argomento
Grammaticizzazione dei confini tra sintagmi e clausole
Cause del cambiamento
Obiezioni a questo modello
Un'obiezione particolare: categorie funzionali
Un'obiezione generale: la teoria dei parametri
7 L'«acquisizione» della lingua
Un'alternativa al consenso
Il linguaggio infantile è un proto-linguaggio?
La fase della parola singola
La fase delle due parole
Il «discorso telegrafico»
La distinzione causativo/non causativo
La negazione in francese e in inglese
Acquisire le forme interrogative
La distinzione causativo/non causativo
La negazione in francese e in inglese
Acquisire le forme interrogative
L'«errore» come fonte di comprensione
8 Creolizzazione
Il «continuum» delle lingue creole
Il ciclo della piantagione
Critiche al programma innato
Adulti e bambini
L'influenza delle lingue di sostrato
Creolizzazione «graduale»
Creolizzazione «graduale»
Negazione del pidgin
Differenze nel creolo
Lo sranan e il saramaccano: origini comuni o indipendenti?
La storia degli albori del Suriname
Il lessico dello sranan e del saramaccano
La creolizzazione alla Hawaii
Lo stato della generazione G2
G2 e le lingue dei genitori
Le lingue creole e l'argomento universalista
9 «Homo sapiens loquens»
Le tre stanze e la scala mobile
L'«uso continuo» e il fattore Joyce
Il fattore Joyce
Perché non abbiamo bisogno di capacità ulteriori
Alcune conseguenze di queste proposte
Quanto erano probabili gli esseri umani?
Innatismo contro empirismo
Conclusione
Bibliografia
Recensione:
Il problema dell'origine del linguaggio umano è ben lungi dall'essere risolto, con buona pace di quanto affermano il contrario (ad esempio i sostenitori della grammatica generativa di Noam Chomsky). Questo ponderoso testo di Bickerton è certo affascinante, ma tutt'altro che "definitivo" e non fornisce comunque alcuna spiegazione convincente del mistero che è il fondamento della nostra stessa esistenza come creature pensanti. Per quanto il risvolto presenti l'opera come il compimento supremo dell'impresa di ridurre il linguaggio "nell'alveo dell'evoluzionismo", direi piuttosto che lo colloca nel letto di Procuste, tagliando ciò che sporge e stirando ciò che manca. Gli sforzi fatti dall'autore sono senza dubbio eroici e lodevoli, ma credo che ci sia ancora molta strada da percorrere.
Un'osservazione cruciale
Questo scrisse nel 1869 il naturalista e geografo britannico Alfred Russel Wallace (1823 - 1913), intendendo con "selvaggi" coloro che vivevano in una società senza scrittura (agrafa) e pre-industriale:
"La selezione naturale avrebbe potuto dotare i selvaggi di un cervello di poco superiore a quello di una scimmia, mentre essi possiedono un cervello che è di poco inferiore a quello di un membro medio delle nostre società scolarizzate."
Ai frequentatori compulsivi di Facebook il nome di Wallace dirà ben poco. Basti ricordare che fu il cofondatore della teoria dell'evoluzione per selezione naturale, assieme al più noto Charles Darwin (1809 - 1882). Bickerton ci fa capire l'enormità delle conseguenze di quanto Wallace aveva compreso:
"Un cervello leggermente migliore di quello di una scimmia sarebbe comunque bastato per superare in intelligenza qualsiasi altra cosa si muovesse su due o quattro zampe e raggiungere così la cima della catena alimentare. I primi umani non avevano bisogno di occuparsi di matematica, di costruire barche, di comporre musica o di avere idee circa la natura dell’universo per poter fare tutte le cose che in concreto facevano. Il fatto che, all’improvviso, scoprissero di essere dotati di un cervello che potenzialmente avrebbe potuto renderli capaci di tutte queste cose era già abbastanza notevole. Ma ancor più straordinario era che quegli stessi cervelli avrebbero reso capaci coloro che li possedevano di ricoprire il mondo intero delle proprie opere, di immergersi negli abissi più profondi degli oceani e addirittura (meno di mezzo secolo dopo la morte di Wallace) di lasciarsi alle spalle la Terra."
Una singolare contraddizione di Darwin
Bickerton riporta quanto scrisse Darwin nel 1871 (pag. 101, trad. it. pag. 106), in risposta alle argomentazioni del suo connazionale Wallace:
"Se si potesse provare che alcuni elevati poteri mentali, come la formazione di concetti generali, l’autocoscienza, ecc. sono assolutamente peculiari all’uomo, il che sembra estremamente dubbio, non sarebbe improbabile che queste qualità apparissero come il risultato incidentale di altre facoltà intellettuali altamente avanzate e queste ancora principalmente il risultato dell’uso continuo di un linguaggio perfetto."
Se la logica è il prodotto dell'uso continuo di una lingua perfetta, come ebbe a dire Darwin, come si spiega allora l'origine di questa perfezione? Come si è formata la lingua perfetta? Il problema è che Darwin non lo chiarisce affatto, in qualche modo si tira fuori dalla scomoda discussione. Soltanto pochi anni prima, egli avrebbe affermato quanto segue: "La lingua perfetta è stata data all'essere umano dal Creatore". In altre parole, il dono del Logos sarebbe qualcosa di acosmico, quindi non soggetto alle regole dell'evoluzione per selezione naturale. Qualcosa di non scandagliabile dalla stessa mente umana che ne fa uso. Proprio questa è la risposta data da Wallace, che postulava la necessità di un intervento soprannaturale, in grado di conferire alla specie umana la sua unicità rispetto agli altri viventi. In un'altra occasione, sempre nel 1871 (pag. 57, trad. it. pag. 79), Darwin si era contraddetto, affermando quanto segue:
"[...] i poteri mentali in alcuni primi progenitori dell’uomo devono essere stati più altamente sviluppati che in ogni scimmia esistente, anche prima che la più imperfetta forma di discorso fosse entrata nell’uso."
Mettiamo dunque assieme quanto affermato da Darwin:
I) Pag. 57: le facoltà logiche preesistevano al linguaggio articolato.
II) Pag. 101: le facoltà logiche sono la conseguenza dell'uso del linguaggio articolato.
Si applica il principio di non contraddizione: le proposizioni I e II non possono essere entrambe vere.
Bickerton fa notare che i creazionisti, sostenitori del cosiddetto Disegno Intelligente, non hanno sfruttato questo bug. Quindi riporta dichiarazioni di un'estrema gravità e importanza:
"Il divario cognitivo tra umani e nonumani è il tallone d’Achille dell’evoluzione. Il problema di Wallace è reale, e gli evoluzionisti lo hanno semplicemente ignorato oppure hanno cercato di dare delle spiegazioni che lo facessero scomparire. A quanto ne so, l’unico che ha provato a riaffermarlo è David Premack (1986, p. 133), il quale ha fatto notare che «il linguaggio umano è fonte di imbarazzo per la teoria evoluzionista, perché è molto più potente di quanto si possa spiegare nei termini delle forze selettive»."
Il nascondimento è sempre indice di disonestà intellettuale. A maggior ragione in questo caso, così delicato. Più che di fronte a un'onesta comunità scientifica, vediamo gli effetti deleteri di quella che ha tutte le parvenze di una camorra e di una camarilla.
Deprivazione linguistica
In buona sostanza, Bickerton ammette che non è facile dedurre qualcosa di utile dalle normali condizioni in cui avviene l'apprendimento di lingue ben consolidate, come ad esempio l'inglese e lo spagnolo. Occorre quindi studiare circostanze in cui l'input linguistico dato ai bambini presenta carenze e distorsioni. Per ragioni etiche, l'autore rifiuta la possibilità di utilizzare metodi sperimentali, che comporterebbero la crescita di bambini "con qualche grado di deprivazione degli input". Restano quindi soltanto due situazioni "naturali" utili: quella dei ragazzi selvaggi e quella in cui hanno origine le lingue creole. Si noterà che in passato ci sono stati studiosi che non hanno avuto scrupoli a tentare esperimenti di deprivazione linguistica, pur con risultati scarsi e assai dubbi. A quanto ci narra Erodoto, il Faraone Psammetico I (... - 610 a.C.), della XXVI dinastia, fece crescere due bambini da un pastore, in modo tale che non gli fosse insegnato a parlare. Quando questi bambini videro per la prima volta il sovrano, pronunciarono la parola "bekos", che in frigio significa "pane". Il Faraone dovette quindi ammettere la maggior antichità dei Frigi rispetto agli Egizi. L'Imperatore Federico II di Svevia (1194 - 1250) decise di far crescere alcuni bambini senza che fosse insegnato loro a parlare. Lo Stupor mundi era convinto che gli infanti si sarebbero messi a parlare in ebraico, ritenuto per motivi religiosi la prima lingua del genere umano - quella in cui Adamo avrebbe dato nome a tutte le cose esistenti, su comando di Dio. Questa convinzione biblica si dimostrò fallace: certamente nessuno dei bambini si mise mai a parlare, in ebraico o in qualsiasi altra lingua. Anzi, finirono col morire a causa della salute cagionevole. Sappiamo che i ragazzi selvaggi, bambini cresciuti senza contatti con adulti (o con scarsi contatti), hanno insormontabili problemi ad acquisire anche soltanto l'uso di poche parole. Bickerton non tratta di questi casi nel volume, ritenendoli irrilevanti e concentrandosi invece sul problema delle lingue creole, che costituisce la sua idée fixe. A parer mio ha commesso un grave errore. Una cosa mi è subito saltata agli occhi: i ragazzi selvaggi, che non hanno il linguaggio articolato, non hanno il tabù degli escrementi. In altre parole, prima che apparisse il linguaggio articolato, la coprofagia doveva essere una condizione normale tra gli antenati degli esseri umani! Ciò pone problemi a non finire, perché il tabù degli escrementi esiste presso i macachi, che pure non hanno il linguaggio articolato. Le fonti? Si trovano nel Web filmati in cui viene porto un escremento a un macaco, che reagisce con furia, soffiando e minacciando, per poi allontanarsi.
Pidgin e lingue creole
È necessario a questo punto dare alcune definizioni per capire meglio il fumoso mondo delle lingue ibride. Un mondo che è stato ben poco studiato, anche a causa di pregiudizi. Senza dubbio il lavoro sul campo fatto da Bickerton è molto meritorio.
1) I pidgin
Un pidgin è una lingua che nasce dalla mescolanza di lingue di popolazioni differenti, venute a contatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni e relazioni commerciali, che non è tuttavia la lingua madre di alcuna generazione. I pidgin si apprendono in età adulta; sono caratterizzati da strutture non codificate e fortemente semplificate, sia nella struttura sia nel vocabolario.
2) Le lingue creole
Una lingua creola nasce dall'ibridazione di due o più lingue esistenti, diventando la lingua madre di una nuova generazione di parlanti che non hanno imparato una delle lingue di origine. In sostanza è una lingua stabilita, con una propria struttura grammaticale e vocabolario, che si sviluppa quando i parlanti di diverse lingue entrano in contatto e devono interagire. Si chiama lessificatore principale la lingua (in genere europea, con alcune eccezioni) da cui proviene la maggior parte del vocabolario.
3) Creolizzazione dei pidgin
Un pidgin che comincia ad essere appreso dai bambini di una nuova generazione, diventa una lingua creola, ossia subisce un processo di creolizzazione.
4) Decreolizzazione dei creoli
Una lingua creola subisce un processo di decreolizzazione man mano che si riducono le differenze con il suo lessificatore principale. Alla fine di questo processo, si può arrivare ad avere un dialetto del lessificatore.
Due lingue creole:
Sranan e Saramaccano
Sranan e Saramaccano
In Suriname sono parlate tuttora due lingue creole molto singolari: lo Sranan e il Saramaccano. Lo Sranan (più propriamente Sranan tongo) è parlato da circa 500.000 persone ed è formato soprattutto da parole inglesi, con prestiti portoghesi e olandesi, oltre a un significativo sostrato africano. Il Saramaccano è parlato da circa 58.000 persone in Suriname e da 25.000 in Guyana Francese; il suo lessico è formato per il 30% da parole inglesi, per il 20% da parole portoghesi e per il 50% da parole africane (Fongbe, Akan, Twi, Kikongo, etc.). Si trovano anche tracce di parole di origine Carib.
Queste ed altre simili lingue creole hanno avuto origine da un pidgin informe, non documentato, formatosi in tempi rapidi nel corso della seconda metà del XVII secolo nelle piantagioni. La creolizzazione del pidgin originario (dalla fine del XVII secolo) è avvenuta in circostanze diverse, che hanno portato alla divergenza delle lingue derivate. I parlanti dello Sranan sono i discendenti degli schiavi rimasti nelle piantagioni, mentre i parlanti del Saramaccano sono i discendenti dei cimarroni, schiavi fuggiaschi che si sono rifugiati nelle foreste.
A questo punto riporto una tabella con alcuni dati lessicali relativi allo Sranan e al Saramaccano. In particolare ho aggiunto a quanto mostrato da Bickerton alcune parole del vocabolario di base e qualche altra voce relativa alla fauna. Ho inoltre cercato di evidenziare non soltanto la grande differenza tra i due creoli, ma anche la presenza di importanti lessemi in comune ("io", "acqua", "fiume", "piede", oltre agli articoli determinativi).
A questo punto riporto una tabella con alcuni dati lessicali relativi allo Sranan e al Saramaccano. In particolare ho aggiunto a quanto mostrato da Bickerton alcune parole del vocabolario di base e qualche altra voce relativa alla fauna. Ho inoltre cercato di evidenziare non soltanto la grande differenza tra i due creoli, ma anche la presenza di importanti lessemi in comune ("io", "acqua", "fiume", "piede", oltre agli articoli determinativi).
Glossa italiana |
Sranan |
Saramaccano |
il, lo, la |
da |
di |
i, gli, le |
den |
dee |
io |
mi |
mi |
tu |
yu |
i |
noi |
unu, wi |
u |
voi |
unu |
un |
chi |
suma |
ambé |
che cosa |
faa, san |
andí |
quando |
oten |
na unten |
dove |
ope, pe |
ka, naase |
quale |
sortu |
un |
perché |
sanede |
andi-mbei |
in |
ini |
a |
con |
psa |
langalanga |
dentro |
ini |
dendu |
sopra |
tapu |
liba |
sotto |
ondro |
basu |
e |
e, nanga |
ku |
se |
efu |
ee |
acqua |
watra |
wata |
fiume |
liba |
lio |
montagna |
bergi |
kúnunu |
cielo |
loktu |
gaangadu |
fuoco |
faya |
faja |
uomo |
kel, man, mansma |
womi |
donna |
frow, uma |
mujee |
bocca |
mofo, smuru |
buka |
mano |
anu |
máun |
piede |
futu |
futu |
lucertola |
lagadisi, lagadisa |
kaluwá |
alligatore |
kaiman |
akalé, gandí, káima |
formica |
mira |
hansi |
Si riconoscono facilmente le origini di numerose parole, solo in pochi casi trattate nel volume di Bickerton. Ecco alcune etimologie trasparenti:
Saramaccano liba "sopra" < Portoghese arriba "su"
Sranan watra "acqua" < Inglese water
Saramaccano wata "acqua" < Inglese water
Sranan liba "fiume" < Portoghese arriba "scoglio"
Sranan liba "fiume" < Portoghese arriba "scoglio"
Saramaccano lio "fiume" < Portoghese rio
Sranan faya, Saramaccano faja < Inglese fire
Sranan faya, Saramaccano faja < Inglese fire
Samaraccano womi "uomo" < Portoghese homem
Sranan uma "donna" < Inglese woman
Saramaccano mujee "donna" < Portoghese mulher
Sranan mofo "bocca" < Inglese mouth
Saramaccano mujee "donna" < Portoghese mulher
Sranan mofo "bocca" < Inglese mouth
Saramaccano maun "mano" < Portoghese mão
Sranan, Saramaccano futu "piede" < Inglese foot
Sranan, Saramaccano futu "piede" < Inglese foot
Sranan mira "formica" < Olandese mier
Saramaccano hansi "formica" < Inglese ants "formiche"
Si notano alcune parole africane, ben incastonate nella parte più importante del lessico:
Saramaccano: ambé "chi" < Fongbe mε
Saramaccano: andí "che cosa" < Fongbe àni
Samaraccano: i "tu" < Fongbe ye
Sranan: unu "voi" < Igbo únù
Samaraccano: un "voi" < Fongbe un
Samaraccano: i "tu" < Fongbe ye
Sranan: unu "voi" < Igbo únù
Samaraccano: un "voi" < Fongbe un
Tra le poche parole di origine amerindiana, possiamo citare senza dubbio queste, derivate da una lingua di ceppo Carib:
Samaraccano: kaluwá "lucertola"
Samaraccano: akalé "alligatore"
Sranan: kaiman; Samaraccano: káima "alligatore"
Samaraccano: akalé "alligatore"
Sranan: kaiman; Samaraccano: káima "alligatore"
Bickerton, che ha il merito di aver confrontato per la prima volta il lessico Sranan a quello Saramaccano, è dell'idea che non esista un proto-Sranan-Samaraccano ricostruibile, perché le due lingue creole si sarebbero formate in modo del tutto indipendente.
La teoria della saprofagia organizzata
Bickerton sostiene che le caratteristiche peculiari della nicchia ecologica dell'uomo primitivo abbiano permesso questo passaggio da un sistema di comunicazione animale al linguaggio articolato. Cita il fatto che circa due milioni di anni fa i nostri antenati si facevano strada verso la cima di una piramide di spazzini, accedendo alle carcasse della megafauna prima di altri predatori, che tenevano a bada lavorando in gruppi coordinati. Imitando un animale, come un mammut, un membro poteva tentare di comunicare informazioni su tali fonti di cibo. Sebbene tale segnalazione imitativa mantenesse un carattere iconico piuttosto che completamente simbolico, implicava un atto di spostamento nella comunicazione, poiché il corpo poteva trovarsi a chilometri di distanza ed essere scoperto ore prima. Col tempo, i suoni che significavano qualcosa come un mammut sarebbero stati decontestualizzati e avrebbero finito per assomigliare a qualcosa di molto più simile a una parola. Questo spostamento è la caratteristica distintiva del linguaggio.
Sempre secondo Bickerton, queste parole permettevano la formazione di concetti, piuttosto che delle semplici categorie di cui anche gli animali sono capaci. Le parole hanno avuto origine come un sistema di ancoraggio per le informazioni sensoriali e i ricordi relativi a un animale o un oggetto specifico. Una volta che il cervello aveva a disposizione le parole, poteva creare concetti che si assemblavano in un "protolinguaggio". Il protolinguaggio rimase molto simile a un pidgin per un milione di anni o più, per poi passare dal modello linguistico "a perline su un filo" a una struttura gerarchica tramite combinazione di stringhe.
Un punto debole
Il problema è che né i pidgin né i creoli sono davvero "lingue primitive": derivano dalla degradazione e dalla ricombinazione di lingue già esistenti. A quanto si sa, non esistono lingue simili a pidgin e creoli, ma nate dal nulla (o meglio, da precedenti forme di comunicazione non linguistica, non articolata, animale). Quindi si sta lavorando facendo ipotesi in assenza di dati misurabili. In sintesi, non sono affatto sicuro che la pidginizzazione e la creolizzazione descrivano il processo di formazione degli antenati delle lingue naturali a noi note.
L'inesistenza delle "lingue primitive" o "pre-lingue"
Purtroppo manca qualsiasi attestazione di lingue umane che possano essere chiamate "primitive" o "rudimentali". Con ogni probabilità saranno esistite, ma nessuna è riuscita a sopravvivere tanto a lungo da poter essere documentata. Qualcuno parla di "pre-lingue" o "protolingue assolute", ma il concetto è lo stesso - per quanto ritenga che la seconda locuzione sia un po' impropria. Trovo ragionevole pensare che una pre-lingua dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:
i) una fonologia semplice, con poche consonanti e soltanto sillabe aperte
ii) un lessico poverissimo, che consiste di un centinaio o al massimo di poche centinaia di vocaboli;
iii) assenza di numerali
iv) assenza di pronomi personali
v) assenza di mezzi grammaticali, in particolare:
- assenza di suffissi e di prefissi,
- assenza di parole composte,
- assenza di qualsiasi modificazione delle parole;
vi) frasi telegrafiche, costituite da semplice giustapposizione di vocaboli;
vii) assenza di paratassi (frasi coordinate) e di ipotassi (frasi subordinate).
Si noti che esistono nel mondo diverse lingue anumeriche, come quelle degli Andamanesi e di alcuni popoli dell'Amazzonia (Pirahã, Nambiquara, etc.). La lingua Pirahã ignora l'ipotassi e ha preso in prestito i pronomi personali da una lingua Tupí. Eppure tutte le lingue di questi popoli sono sufficientemente complesse, ricche nel lessico e dotate di mezzi grammaticali sviluppati (composti, morfologia, etc.). Sarebbe interessante cercare di capire se antiche lingue rudimentali scomparse possano aver contribuito alla formazione delle lingue in questione, ad esempio fornendo elementi di sostrato.
L'immaginario collettivo
Nonostante non ci sia attestazione di "lingue primitive", sembra che il genere umano abbia un'idea ben precisa di come queste dovrebbero essere. In realtà, ne esce qualcosa di più complesso ed "evoluto" rispetto alle caratteristiche della proto-lingua assoluta sopra menzionate. La frase "Io Tarzan, tu Jane" mostra già una rudimentale paratassi e la capacità di servirsi di pronomi personali per indicare la contrapposizione tra il parlante (Tarzan) e un altro essere (Jane). I sostenitori dell'innatismo considererebbero questo fatto come una prova dell'esistenza di una natura intrinsecamente sintattica e grammaticale dell'essere umano. In altri termini, secondo costoro le parole sarebbero nate assieme alla sintassi, alle strutture grammaticali. Non sono affatto convinto che questo sia vero.
Anelli mancanti?
Bickerton ha sempre dato prova di essere ben consapevole di questi problemi:
"Se vi sono innumerevoli specie dotate di capacità a metà strada tra quelle di una lampreda e quelle di uno scimpanzé, dovrebbero esserci anche molte specie intermedie tra esseri umani e scimpanzé. Come mai, allora, non ci sono animali dotati di una piccola o moderata quantità di autocoscienza, né c’è un aumento graduale della capacità di innovazione o della creatività, né ci sono livelli diversi di produzioni artistiche (anche solo in una singola arte o in due), o per lo meno un linguaggio rudimentale? Il mero asserire che non vi è nessuna «differenza fondamentale» non è (e non avrebbe potuto essere, neppure al tempo di Darwin) un pronunciamento scientifico. Era ed è una pura e semplice dichiarazione di fede."
L'unico modo di risolvere la questione sarebbe la scoperta, in qualche densissima foresta dell'Indonesia o della Papua Nuova Guinea, di una specie di ominide diversa da Homo sapiens, qualcosa come l'Uomo di Flores (Homo floresiensis), che sia sopravvissuta nell'isolamento e che ci permetta finalmente di gettare un po' di luce sul nostro passato più oscuro.
Il pericolo della presunzione dogmatica
Riporto a questo proposito quanto scritto qualche tempo fa dal professor Fabio Calabrese. Sono parole che condivido appieno, perché esprimono molto bene il mio profondo disagio verso ogni tentativo di fondare una "religione scientista", con sostituzione di dogmi preconcetti alla ricerca della Conoscenza:
"Una volta invitai alla mia scuola a tenere una conferenza ai ragazzi, un esponente del CICAP triestino, perché ritenevo l'opera di questa associazione nello smascheramento di guru e ciarlatani, assolutamente meritoria. Me ne fece pentire. Iniziò facendo un disegno alla lavagna, un castello incompleto in una parte del muro in basso e in una parte della merlatura. Disse che quello rappresentava l'edificio della conoscenza, ormai completo, tranne qualcosa che non sappiamo del mondo subatomico, e qualcosa che non sappiamo delle lontane galassie. Trovai il suo atteggiamento indisponente, e irritante la presunzione che "ormai sappiamo tutto", o "sappiamo quasi tutto".
Secondo me, una scienza che smette di porsi domande, è una scienza morta."