venerdì 7 aprile 2023


LA MERDA
 
 
Regia: Cristian Ceresoli
Autore: Cristian Ceresoli
Protagonista: Silvia Gallerano 
Anno di produzione: 2012 
Tempo di lavorazione: circa 2 anni 
Produzione: Frida Kahlo Productions, Richard Jordan
    Productions, Produzioni Fuorivia 
Collaborazioni: Summerhall, Teatro Valle Occupato 
Durata: 100 minuti
Numero atti: 1
Tempi: 3
   Le Cosce
   Il Cazzo 
   La Fama
   Più un controtempo: L'Italia
Tipologia narrativa: Monologo, flusso di coscienza 
Direttore tecnico: Giorgio Gagliano 

Sinossi (da Teatro.it): 
"Il “brutale, disturbante e straordinario” testo sulla condizione umana già tradotto in numerose lingue di Cristian Ceresoli attraverso l’interpretazione “sublime e da strapparti la pelle di dosso” di Silvia Gallerano si manifesta come uno stream of consciousness dove si scatena la bulimica e rivoltante confidenza pubblica di una “giovane” donna “brutta” che tenta con ostinazione, resistenza e coraggio, di aprirsi un varco nella società delle Cosce e delle Libertà. La Merda arriva a Lecce dopo il clamoroso e scioccante successo di pubblico e critica in tutto il mondo, con Edimburgo, Copenhagen, Madrid, São Paulo, Glasgow, Berlino, Vilnius, Adelaide e Londra con quattro anni consecutivi di tutto esaurito, nonostante una sottile e persistente censura in Italia." 

La Merda e il Pasolinismo 
(da Radio Onda Rossa): 

"Dedicato ai 150 anni dell'Unità d'Italia. L'interprete dà sfogo al proprio flusso interiore nelle sue (inumane) escursioni vocali, insegue il successo con seriosa ferocia da belva e lucida determinazione assassina. Si deve ridere. È una tragedia in tre tempi: 'Le Cosce', 'Il Cazzo', 'La Fama' e un controtempo: 'L'Italia'. Attraverso un percorso creativo in cui la parola suona e si fa carne, una scrittura ispirata allo "stream of consciousness" in cui si scatena la bulimica e rivoltante confidenza di una "giovane" donna "brutta" che tenta con ostinazione, resistenza e coraggio, di aprirsi un varco nella società delle cosce e delle libertà. È preponderante la chiave dell'invettiva, del grido, del corpo che sussulta la sua storia personale nel flusso di pensieri/parole raccontati come suoni. Strazi. Assordanti rumori di urla contratte, sopite. Implose. Uno spettacolo sulla condizione della Bellezza, femminile, e della Storia (di questo Paese). L'attrice si offre come in un banchetto, pronta a venire sbranata da tutti, nelle sue escursioni vocali, nelle sue cadute tonali, nella sua progressiva umiliazione. Una scrittura che nasce così dalla carne e alla carne ritorna. 'La Merda' ha come spinta propulsiva il disperato tentativo di districarsi da un pantano o fango ultimi prodotti di quel genocidio culturale di cui parlò Pier Paolo Pasolini all'affacciarsi della società dei consumi. Quel totalitarismo, secondo Pasolini, ancor più duro di quello fascista poiché capace di annientarci con dolcezza."

Questo commento riportato sul sito di Radio Onda Rossa è stato a sua volta preso da Radio Teatro: dell'originale resta soltanto una pagina sbiadita e piena zeppa di refusi nella "macchina del tempo" di Archive.org.


Alcuni estratti: 

(In questo brano la protagonista masturba un disabile, gli ritrae il prepuzio e gli provoca un'eruzione di sperma) 

"Non devo vomitare. Non devo vomitare. Ingoia, mi dico. E chiudo gli occhi. Dopotutto, ho tredici anni, è il primo coso che mi capita di avere tra le mani, sì, e anche se è sordo e ha l’apparecchio e sbava e mette sempre ste camicine verdi, immagino che ce l’abbia come gli altri, no? O gli handicappati ce l’hanno diverso? Ma poi li fanno, i figli, gli handicappati? Ma no, dev’essere come quella differenza tra i muli ed i cavalli, fratelli d’Italia. Ma si è mai visto un handicappato presentare il telegiornale? Insomma, provo a fare quel che mi pare giusto, con questa carne tra le mani, un po’ bislacca, e caldina, e tiro, ahia, e giro, e glie lo schiaccio un po’, ma ci dev’essere qualcosa che non va, perché si arrabbia, ahiaaa, e poi mi grida qualche cosa come piano e non capisco, perché sto con gli occhi chiusi per non piangere e poi non devo vomitare e se mettiamo proprio adesso esce qualcuno, un professore, e poi ci vede e io sono così, piccolina, da sola, che non ho altri al mondo che lui, sì, lui, il mio popstar, il mio eroe che mi sussurra nelle cuffie e canta, per me, solo per me, e canta così piano che io non sono più qui, nel parcheggio, col mio compagno handicappato e la mia tuta da ginnastica rosa, ma sono lì, con lui, che mi tiene tra le braccia e canta per me e poi dopo fa il concerto nello stadio e quando ha finito il concerto andiamo via con la sua macchina e mi porta a mangiare il gelato e mi dice che mi porterà nella sua villa dove c’è un acquario grandissimo e ci mettiamo a guardare i pesci e mentre siamo lì che li guardiamo, con quella luce blu dell’acqua, io, chiudo gli occhi, e non sento più niente. Lui mi dice qualche cosa come piano, ma io non capisco, e resto giù, vicino a lui. Finché mi sporca sui capelli. Sì. Tutti i capelli. Come la colla. Poi dice uffa, e lo rimette a posto. Dentro le mutande, usato. E se ne va. Ma dove va? Ma dove va, mi dico io, ma dove va questo cretino che neanche mi saluta. Ma cosa crede, che lui basta che si tira giù i pantaloni e io son qui, pronta?"  

(Il finale scatofilo, scatofago!) 

Ho i crampi alla pancia. Dolore. Corro in bagno. Abbasso le mutande. Alzati. No. Trattieni. In piedi. Esci. Coraggio. Resisti. No. Alzati. No. Resisti. Esci dal bagno. Resisti. No. Non ce la faccio. Resisti. No. Non ce la faccio. Resisti. Viene. Alzati. Tienila. Viene. No. Viene. No. Vedo. Io. Vedo. Dal. Mio. Culo. Pezzi di ragazzini nelle loro camicie rosse, nella mia merda. Spaghetti attorcigliati al pomodoro e sangue, dal mio culo, e nella mia merda. Mozzarella spiaccicata sui binari e mille tappi malnutriti, nella mia merda. Ho tredici anni e c’è la bara di mio padre, nella mia merda. Lo stadio, le scale, l’ascensore e gli elettrodi infilzati nella carne, nella mia merda. La nazionale, il mondiale e la domenica all’acquario, nella mia merda. Il delfino e i maschi forti e i maschi allegri e gli storpi e i ritardati sui tappeti rossi, nella mia merda, gli autografi e le stampelle senza gamba, nella mia merda, la misericordia la pietà la paura la ginnastica e la religione, sì, nella mia merda il mio popstar handicappato i miei capelli e la colla e l’Austria e l’Ungheria nella mia merda le convention e i cazzi e i palinsesti nella mia merda i miei denti, sì, i miei denti a pezzi e la vittoria e il mio pianto dal mio culo il pianto di piangere la merda e la mia bella gioventù e la mia età e i tonni e le sirene e le ragazze che vogliono farcela. Fine crescendo, respiro. Sì, dovunque, qui, sul mio divano, proprio adesso, dal mio culo. Proprio ora che domani ho il mio provino. Proprio adesso che ero quasi grassa. E ce l’avevo quasi fatta. Guardarsi allo specchio. Penso. A cosa avrebbe fatto il mio piccolo papà. Penso. Respiro. Penso. Respira. Piano. È la mia ultima occasione. Non posso permettermi di perdere il mio treno. Il mio appuntamento con la storia. Oltrepassare la linea gialla. Forza. Buttati. Riprendi gli spaghetti, con le mani. Riprendi in bocca tutto. Riprendi la mozzarella, in pezzi. Riprendi il mio paese. La mia patria. E la nazione. Riprendi in bocca tutto, con le mie mani. Riprendi la merda, tutta la merda, nella mia bocca. Sì. Ecco. Così. Pezzo per pezzo, tutta la merda e il mio paese nella mia bocca. Mangia. Mangia. Mangia. Sì, mangio. Mangia. Sì, mangio, mamma, mangio. Coraggio. Rimangio tutta la mia merda e sono gonfia, sul divano. E so cantare. E sono pronta, gorda, grassa, adiposa, fetida. Ho i buchi di grasso nella faccia, e nella testa. Così, come vogliono loro. E non mi fa più schifo. No. Non mi fa più schifo niente. IL SESSO MASCHILE LA NOSTRA BANDIERA, IL SESSO MASCHILE LA NOSTRA BANDIERA. Controfinale cantato, disperato, unplugged, blues, straziante. Un inno comico al disgusto, eseguito con raffinata sapienza canora. Frateeelli d’Itaaalia, l’Itaaalia s’è deeesta, dell’eeelmooo di Sciiipiooo, s’è ciiintaaa la teeestaaa. Dov’èee la vittooooriaaa? Le porga la chioooma, ché schiaaava di Roooma Iddio la creò. Frateeelli d’Itaaalia, l’Itaaalia s’è deeesta, dell’eeelmooo di Sciiipiooo, s’è ciiintaaa la teeestaaa. Dov’èee la vittooooriaaa? Le porga la chioma, ché schiaaava di Roooma Iddio la creò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte, siam prooonti alla morte, l’Italia chiamò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte, siam prooonti alla morte, l’Italia chiamò. Su gli applausi l’interprete ricopre la sua nudità con una stoffa tricolore, verde bianco rossa. 


Recensione: 
Il palco è occupato da una donna nuda dai muscoli contratti. In preda alle convulsioni, vomita la sua bile in faccia all'Artefice del Cosmo. Il volto di questa dannata è una maschera atroce di sofferenza, stravolta come una gorgone urlante. Si consuma un atto di coprofagia pantagruelica, a cui segue una marea di acido gastrico che inonda il mondo intero - in particolare questo distretto di Malebolge che siamo abituati a chiamare Italia! All'ingestione di escrementi concettuali e alla conseguente violentissima espulsione di vomito fecaloide, segue una nuova ingestione della densa materia rigettata, con successiva digestione e fuoriuscita dal deretano sanguinolento e suppurato! Tutto questo è ATELORREA! Vomito e scatofagia senza fine! Come in un dipinto entelechiano dello spettrale Roland Topor, il panico è assoluto, totalizzante! Sembra che all'orizzonte incombano nubi nere come il petrolio, foriere di una tempesta inconcepibile. Nubi di annientamento! La protagonista si trova a sedere su una montagna di deiezioni miste ad ogni tipo di liquame schifoso, che cola sulle colonie concentrate di Escherichia coli! Una morchia tenace, oleosa e nerissima, come petrolio! Talmente immonda da dare conati al solo pensiero, da rivoltare lo stomaco! La tensione lirica è incessante, a tratti insopportabile nella sua natura merdosa. Tutto ciò è pari ai più profondi deliri infernali di Dante! Queste sono cose etterne, fatte di una sostanza abominevole che non può venir meno. Come negli Inferi degli antichi Egiziani, in cui i dannati camminano a testa in giù defecando dalla bocca! In alcuni passaggi si raggiungono vette incredibili, paragonabili a quelle del Sommario di decomposizione di Cioran! È un olocausto visceraleUna simile capacità di sputare sulla realtà, sull'Esistenza, è quanto di più sublime possa esistere! 
P.S.
Ai nostri tempi, un'opera teatrale di una tale potenza non potrebbe più essere creata! Se La Merda viene ancora rappresentata, è soltanto per pura e semplice inerzia. Non soltanto l'uso del suo linguaggio susciterebbe le furie dei fanatici buonisti politically correct (figuriamoci se sarebbe possibile usare parole come "handicappato" - per non parlare di cazzi scappellati da una tredicenne): l'uso delle parole dell'Inno di Mameli sarebbero considerate un sacrilegio dalla Piccoletta Biondiccia e dai suoi mirmidoni! Il termine tecnico è "vilipendio".

Il linguaggio destrutturato dei giornalisti

Quando leggo sui siti del Web titoli come "La Merda di Silvia Gallerano e Cristian Ceresoli", nella mia mente si materializza l'immagine dell'attrice e dell'autore che smerdano in un enorme bacile: dai loro ani esce una quantità impressionante di pastone escrementizio, denso e fetido! Di quello greve, schifoso, che si fa un'enorme fatica ad asportate dal perineo con la carta igienica, perché consiste in una scia incancellabile di tarzanelli scuri. Si consumano mezzi rotoli e ne resta traccia anche dopo essersi fatti il bidet! Si capisce che i giornalisti introducono nella realtà tali distorsioni da alterarne in modo permanente il tessuto ontologico! 

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Ho raccolto alcuni interessanti frammenti di recensioni e di critica teatrale, che riporto qui come una specie di collage.

La Merda: il grido disperato di un essere umano 

"Sei volte a Milano per sei sold-out. Uno spettacolo che vuole essere un urlo di dolore: scritto da Cristian Ceresoli, interpretato dalla straordinaria, ironica, infantile e dannatamente feroce Silvia Gallerano. "La Merda" è un fiore all'occhiello del teatro contemporaneo, e nel 2019 sarà a New York..."
(StarsSystem Magazine, 2012, YouTube.com)

"La merda è un monologo scorretto che se la prende con tutto e tutti, non per un atto di cinismo e di mero nichilismo ma per richiamarci a un significato diverso dell’esistere. La protagonista della pièce accetta di tutto. Ingoia, ingoia, ingoia. Accetta tutta la merda che viene proposta come se fosse la cosa più naturale del mondo. Riesce persino a giustificarla. Soltanto nell’atto finale si renderà conto di quanto questo nutrirsi di merda sia devastante, e come debba essere chiamato col suo vero nome, merda."
(Gianfranco Falcone, 2022, mentinfuga.com)

"La Merda si conferma uno spettacolo rivoluzionario per la portata del messaggio che colpisce tutti, donne e uomini, che si possono rispecchiare sulla superficie del corpo nudo di una donna che grida il suo dolore, la sua rabbia e la sua solitudine."
(Francesca Nardelli, 2019, teatro.it

All'Italia con disgusto 

"Il monologo femminile – ma scritto da un uomo – ha dunque la stessa struttura dell’alimentazione: nutrimento, trasformazione, defecazione tramite un flusso interiore che la liberi, la purifichi da tutto questo, la rinnovi del disgusto in cui ha condotto chi la ascolta quando anche la materia espulsa costituisce nuovo nutrimento. Ha intensità e padronanza di mezzi Silvia Gallerano, è urgente e nobile il progetto di Cristian Ceresoli (e di Marta Ceresoli, che con lui lo produce), ben scritto il suo testo e cadenzato con sapienza sulla scena, ma mi resta in fondo una vaga sensazione di essere in un luogo in cui davvero molto difficili sono il dibattito e il conflitto, in cui non si saprà mai evadere dall’adesione, dall’applauso, dalla complicità di riconoscersi fuori dal male cui si fa riferimento."
(Simone Nebbia, 2012, teatroecritica.net

Curiosità: 

Nel 2016, accadde un fatto increscioso: a Torino, un'azienda di trasporti rifiutò la pubblicità alla meritoria pièce teatrale. Siccome il titolo "La Merda" avrebbe potuto "offendere il pudore", ne vietò l'affissione sulle fiancate degli autobus e dei tram. Come se i bigottoni fossero privi di funzioni escretorie. Come se fossero in grado di far sparire tutto il cibo ingurgitato, nel nulla, come per un gioco di prestigio. Certo, non stupisce più di tanto che ciò sia accaduto proprio nella città di Piero Angela, che in decenni di opera di divulgazione scientifica non nominò mai l'esistenza delle feci. 

Questo riportò Andrea Gianbartolomei il 5 febbraio 2016, commentando l'accaduto: 

"L’autore ha provocatoriamente deciso di cambiare il nome del suo monologo in La Cacca. In un post su Facebook esprime il suo rammarico: «Non è questa, in verità, la forma di censura che più ci umilia e progressivamente va distruggendoci» spiega. «Quella più pericolosa è una più oscura e subdola, che si manifesta attraverso una sorta di isolamento, che qui in Italia ci viene imposta»."

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