mercoledì 9 marzo 2016


LA GRANDE ATTUALITÀ
DELL'OPERA DI JONATHAN SWIFT

Si direbbe che l'unica opera di Jonathan Swift nota alle masse sia una versione abbreviata del suo capolavoro, che narra le peregrinazioni di Gulliver tra i minuscoli abitanti di Lilliput e tra i giganti di Brobdingnag. A quanto pare la versione completa dei Viaggi di Gulliver è molto meno conosciuta, tanto che ben pochi hanno sentito anche soltanto una menzione di Lagado e della sua Accademia. Un vero peccato, perché i passi che ne parlano sono profetici. Si direbbe quasi che il caustico e geniale pamphlettista abbia visto il presente mostruoso in cui siamo condannati a vivere e ne abbia tratto spunto per la sua satira corrosiva. A Lagado regna la follia. La realtà oggettiva delle cose e dei fatti non ha alcun valore in quel luogo: i suoi abitanti pensano di poterla adattare ai loro deliri. La stessa calamità colpisce questa umanità terminale, proprio in questi Ultimi Giorni. I chierici traditori sono sempre esistiti in ambito universitario: non mancano casi in cui la Scienza è corrotta dalla politica e dalla convenienza. Tuttavia è nella Rete che si è formata la vera Accademia di Lagado. Mezzi semplici come forum, blog e siti hanno permesso il pullulare della pseudoscienza, moltiplicando a dismisura le stronzate concepite da menti distorte e facendole percolare capillarmente nella società intera. L'Ignoranza diventa Legge. I pacchetti memetici sostituiscono il Pensiero. Ogni parvenza di Logica viene derisa e aggredita ogni giorno da deleterie conventicole di "ricercatori indipendenti" e dai loro entusiasti sostenitori, che nei casi peggiori arrivano a formare vere e proprie orde di bulli. 

Riporto in questa sede la vivida descrizione di Lagado e dei suoi falsi scienziati, fatta dal grande irlandese nel suo romanzo satirico: 

Quarant'anni prima, alcuni personaggi di Lagado erano andati a Laputa per affari o per divertimento; e dopo esservi rimasti cinque mesi ridiscesero con un'infarinatura di matematica e una gran dose di spiriti volatili incorporati in quell'area regione. Codesti messeri, dopo il loro ritorno, avevano cominciato a criticare tutto quanto si faceva nel paese, e avevano deciso di ricostruire su nuove basi tanto le arti quanto le scienze; a questo fine si fecero rilasciare un decreto per la creazione di un'accademia d'ingegneri a Lagado. Presto la mania delle accademie si diffuse talmente, che ogni cittadino del regno volle avere la sua.
In codesti collegi, gli scienziati avevano scoperto un gran numero di nuovi metodi per l'architettura e l'agricoltura, e nuovi strumenti e utensili per tutti i mestieri, per mezzo dei quali un uomo solo poteva innalzare un palazzo così solido da sfidare i secoli senza mai richiedere alcun restauro. I prodotti della terra dovevano, in virtù dei loro ritrovati, nascere in tutte le stagioni, cento volte più grossi dei soliti: insomma essi concepirono non so quanti meravigliosi disegni. Ci fu però un piccolo inconveniente: che neppur uno di codesti disegni era giunto, fino allora, alla necessaria perfezione, sicché in poco tempo tutta la campagna fu rovinata, le case caddero a pezzi e il popolo restò senza vesti e senza cibo. Ma lungi dello scoraggiarsi, codesti scienziati si ostinavano sempre più nelle loro ricerche, non si sapeva se spinti dalla speranza o dalla disperazione.
Ma il signor Munodi non era uno spirito intraprendente, sicché aveva cercato di tirare avanti coi vecchi sistemi, vivendo nelle case fabbricate dai suoi antenati e facendo ciò che si era sempre fatto senza nulla cambiare, e alcune altre persone di nobile condizione avevano fatto come lui. Essi però erano mal visti e disprezzati come nemici delle arti e delle scienze, e come cattivi cittadini più amanti del proprio comodo e del dolce far niente che del benessere del paese.

Visita dell'autore alla grande accademia di Lagado – Descrizione dell'accademia; arti e scienze in cui si esercitavano quei dotti.

L'accademia maggiore di Lagado occupava parecchi edifizi posti da ambo i lati d'una strada, che furono destinati a codesto scopo perché disabitati. Ogni stanza conteneva uno scientifico personaggio intento a qualche suo esperimento, e talora più d'uno; e l'accademia comprendeva circa cinquecento stanze. Tornai parecchi giorni consecutivi a visitarla, sempre accolto dal portiere con somma cortesia.
Il primo accademico che visitai aveva il volto magro e spaurito da far compassione, la barba e i capelli incolti, la pelle color tabacco, e gli abiti e la camicia del colore stesso della pelle.
Egli da otto anni si perdeva dietro un progetto consistente nell'estrarre i raggi del sole dalle zucche, affinché fosse possibile, dopo averli chiusi in boccette ermeticamente tappate, di servirsene per riscaldare l'aria nelle stagioni fredde e umide. Mi disse che sperava, entro i prossimi otto anni, di fornire ai giardini del governatore dei raggi solari a un prezzo conveniente.
Si lamentò però d'esser povero, e mi chiese qualche soldo a guisa d'incoraggiamento, tanto più che le zucche erano piuttosto care quell'anno. Per fortuna il signor Munodi, conoscendo gli usi di codesti scienziati, mi aveva dato qualche spicciolo; così potei contentare l'accademico, il quale, come i suoi colleghi, ripeteva la stessa richiesta a tutti i visitatori.
Entrando in un'altra sala, fui quasi tentato di uscirne per l'orribile puzzo che l'empiva. Ma la mia guida mi esortò a farmi avanti, pregandomi sottovoce di non offendere in alcun modo lo scienziato che ivi risiedeva; sicché non osai neppure tapparmi il naso. L'ingegnere che stava lì era il più vecchio dell'accademia; aveva la faccia e la barba giallastre, le mani e le vesti pieni di sudiciume. Quando gli venni presentato mi abbracciò con effusione, ma non gli fui punto grato di codesta cortesia. Costui, fino dal primo giorno del suo ingresso nell'accademia, indagava sul modo di ritrasformare gli escrementi umani nel primitivo aspetto dei cibi da cui risultavano, separandone le varie parti e depurandole dal fiele, che è appunto la causa del puzzo che mandano gli escrementi. Egli faceva svaporare il fiele e toglieva la schiuma derivante dalla saliva. Ogni settimana l'Accademia gli forniva, per le sue esperienze, un recipiente pieno di sostanze fecali grosso all'incirca come un barile di Bristol.
Un terzo che visitai stava arroventando il ghiaccio per estrarne, diceva lui, la migliore qualità di salnitro, con cui fabbricare la polvere da sparo. Mi mostrò anche un suo trattato sulla malleabilità del fuoco, che avrebbe pubblicato presto.
Un architetto di grande genialità, che conobbi dipoi, aveva inventato un nuovo sistema di costruire le case cominciando dal tetto per finire con le fondamenta; e giustificava la sua trovata con l'esempio di ciò che fanno l'ape e il ragno, due insetti di cui nessuno mette in dubbio l'intelligenza.
Un accademico, cieco dalla nascita, aveva sotto di sé parecchi apprendisti non meno ciechi di lui: essi si occupavano di fabbricare i colori per i pittori; e il maestro insegnava agli scolari a distinguere le tinte per mezzo del tatto e dell'olfatto. Disgraziatamente, nell'epoca in cui visitai l'accademia, gli apprendisti non erano ancora esperti nel loro mestiere, e lo stesso maestro s'ingannava generalmente nella scelta dei colori. Tuttavia codesto artista era molto stimato dai suoi colleghi.
In un'altra stanza feci la piacevole conoscenza d'un inventore, al quale si doveva un nuovo sistema per lavorare la terra senza strumenti, servendosi dei maiali. Così si risparmiava, evidentemente, la spesa dei cavalli e dei bovi, dell'aratro e del bifolco. Bastava nascondere sotto terra, a sei pollici di distanza l'uno dall'altro, diversi vegetali di cui i porci sono ghiottissimi, come ghiande, datteri o castagne; poi sparpagliare per ogni acro di superficie circa seicento di codesti animali. Questi in pochissimo tempo, non solo avrebbero smosso la terra col muso e con le zampe in modo da potervi seminare, ma l'avrebbero contemporaneamente concimata coi loro escrementi.
Fatta l'esperienza, il sistema era sembrato poco pratico e assai dispendioso; inoltre il campo non aveva prodotto quasi nulla. Ma tutti ritenevano quest'invenzione suscettibile di essere utilmente perfezionata.
Un'altra stanza era tutta tappezzata di tele di ragno, tanto che lo scienziato ivi racchiuso stentava a muoversi. Quando mi vide, gridò: «Attento a non disturbare i miei operai!» Costui andava deplorando l'accecamento degli uomini che per tanto tempo si erano serviti dei bachi da seta, quando esistevano tanti insetti domestici capaci non solo di filare, ma anche di tessere. Egli sperava di fare risparmiare anche la spesa per la tintura dei tessuti, dando da mangiare ai suoi ragni gran numero di mosche di diversa razza e di svariati e brillanti colori. Me ne fece vedere di tutte le sfumature, e disse che quanto prima avrebbe potuto contentare tutti i gusti: non gli mancava che di trovare i cibi più adatti per le sue mosche, cioé gli oli, le gomme, il glutine necessari perché i fili emessi del ragno avessero la dovuta solidità e resistenza.
Vidi, seguitando, un celebre astronomo che aveva cominciato l'impianto d'una meridiana sulla punta della più alta torre del palazzo municipale, e studiava ora il modo di regolare i movimenti della terra e del sole in tal guisa da farli andar d'accordo con gli spostamenti capricciosi della girandola.
Da qualche tempo mi sentivo un certo dolore di corpo; sicché con molta opportunità il mio cicerone mi fece entrare nella stanza d'un illustre medico, veramente benemerito per avere scoperto il segreto per guarire le coliche con un semplice meccanismo che agisce in senso contrario alla malattia. Egli si serviva d'un grande soffietto munito d'un lungo e sottile tubo d'avorio, che insinuava nell'ano per circa otto pollici di profondità. Per mezzo di codesta specie di clistere a vento, egli pretendeva di portar via, aspirando, tutte le flatulenze interne ripulendo le viscere e rendendole piatte come una vescica vuota.
Quando poi il male era molto grave, egli empiva il clistere d'aria, introduceva il tubo e scaricava tutto quel vento nel corpo dell'ammalato; poi ritirava il soffietto per riempirlo ancora badando a tenere tappato l'orifizio del paziente col dito pollice. Quando l'operazione era stata ripetuta tre o quattro volte, il vento introdotto e compresso prorompeva fuori con tal forza da portar via seco tutti i vapori nocivi, come l'acqua ripulisce i condotti d'una pompa; e il malato era bell'e guarito.
Vidi esperimentare ambedue queste operazioni sopra un cane; ma la prima non produsse alcun effetto sensibile. Dopo la seconda, invece, l'animale era gonfio da scoppiare: a un tratto fece un scarica così tremenda che tutti noi ne restammo quasi tramortiti. L'animale spirò sull'istante, e noi ce n'andammo lasciando il dottore occupato a resuscitarlo ripetendo l'operazione.
Non voglio annoiare il lettore col racconto delle curiosità da me vedute nelle altre stanze dell'accademia, essendomi proposta la massima brevità e concisione. Dirò solo che la parte dell'istituto da me visitata era riservata alle invenzioni meccaniche, ma v'era tutta un'altra parte assegnata agli studiosi delle scienze astratte; e di questa parlerò dopo aver fatto cenno del personaggio più illustre della prima categoria, soprannominato l'artista universale.
Costui ci disse d'aver passato trent'anni a riflettere sul modo di migliorare il vivere degli uomini, e ci mostrò due grandi sale piene di cose curiose, dove cinquanta operai lavoravano, sotto la sua direzione, gli uni a condensare l'aria fino a renderla solida, con l'estrarne il nitro e lasciarne svaporare le particelle fluide e liquide; gli altri a rammollire il marmo per farne guanciali e materassi; altri ancora a pietrificare gli zoccoli dei cavalli per rendere inutile la ferratura. Il grande scienziato poi, si occupava per suo conto di due grandi disegni. Il primo consisteva nel fecondare la terra con una speciale acqua seminale di effetto prodigioso, com'egli dimostrava con diverse esperienze troppo superiori al mio comprendonio; il secondo consisteva in un composto di gomme vegetali e minerali destinato a impedire lo sviluppo del pelo sul corpo degli agnelli. Quello scienziato sperava di potere, fra non molto tempo, propagare in tutto il paese la razza delle pecore senza lana.
Traversando un giardino ci trovammo nella seconda divisione dell'accademia, assegnata ai cultori delle discipline astratte. Nella prima grande sala trovai un professore circondato da quaranta scolari. Dopo esserci salutati, siccome egli si accorse ch'io guardavo con curiosità una certa macchina che occupava quasi tutta la sala, mi spiegò che il suo più ambizioso disegno consisteva nella scoperta del metodo di perfezionare le scienze mentali con mezzi meccanici. Egli andava orgoglioso di questo concetto, il più vasto e geniale che cervello umano avesse mai avuto, e sperava che tutti, quanto prima, ne riconoscessero l'utilità.
Mentre, infatti, i metodi comunemente adottati per arrivare alle diverse nozioni scientifiche e ideali sono faticosi e difficili, col suo nuovo sistema, invece, anche un ignorante poteva scrivere libri di filosofia o di poesia, trattati i politica e di matematica, senza bisogno di speciale vocazione né di studio: bastava una modesta spesa e un piccolo sforzo muscolare.
Nello spiegarmi ciò, egli mi fece vedere il meccanismo intorno a cui stavano i suoi scolari.
Era una specie di telaio di venti piedi quadrati, sul quale erano disposti moltissimi pezzetti di legno simili a dadi, di cui alcuni erano alquanto più grossi; e tutti erano legati insieme per mezzo di fili sottili. Ogni faccia di ciascun dado portava un pezzo di carta, su cui stava scritta una parola; sicché sul telaio si trovavano tutte le parole della loro lingua nei differenti modi, tempi e declinazioni, ma mescolate alla rinfusa.
Il professore mi avvertì che stava per mettere in moto la macchina: a un suo cenno, infatti, ciascun allievo prese in mano un manubrio di ferro (ve ne sono quaranta fissati lungo il telaio). Essi, facendolo girare, cambiarono totalmente la disposizione dei dadi, e perciò delle parole corrispondenti. Allora il professore ordinò a trentasei dei suoi scolari di leggere fra sé le frasi che ne risultavano, via via che le parole apparivano sul telaio; e quando trovassero tre o quattro parole che avessero l'apparenza d'una frase, di dettarle agli altri quattro giovinetti, che facevano da segretari. Questo esercizio fu ripetuto diverse volte, e col successivo capovolgersi dei cubi sempre nuove parole e frasi comparivano sulla macchina. Gli scolari si dedicavano a tale occupazione per sei ore del giorno.
Il professore mi fece vedere diversi volumi in folio pieni di frasi sconnesse ch'egli aveva raccolto e di cui pensava fare un estratto, ripromettendosi di cavar fuori da codesto materiale, il più ricco del mondo, una vera enciclopedia scientifica e artistica. Egli sperava che codesto suo lavoro, spinto con energia, avrebbe toccata la massima perfezione, a patto che la popolazione consentisse a fornire il denaro necessario per impiantare cinquecento consimili macchine in tutto il regno, e che i sovrintendenti dei vari istituti mettessero in comune le loro personali osservazioni.
Ringraziai umilmente codesto illustre inventore, assicurandolo che, se avessi avuto la fortuna di tornare in Inghilterra, gli avrei reso giustizia celebrandolo fra i miei concittadini come primo creatore d'una macchina sì meravigliosa; anzi mi feci dare il disegno di questa e la descrizione dei suoi vari movimenti, e sopra tavole apposite li unii alle mie memorie. Assicurai anche l'accademico che avrei saputo prendere le necessarie cautele perché l'onore della scoperta restasse tutto suo, data l'usanza vigente fra gli scienziati europei di rubarsi reciprocamente i loro ritrovati, tanto che non si sa quasi mai a chi attribuirli.
Passammo poi alla scuola delle lingue, dove tre professori discutevano insieme sul modo di perfezionare l'idioma del paese.
Il loro primo disegno era di rendere più conciso il discorso, riducendo tutti i polisillabi a monosillabi e sopprimendo i verbi e ogni altra parte del discorso, tranne i sostantivi: perché in realtà tutti gli oggetti di questo mondo si possono rappresentare con sostantivi.
Ma il sistema di riforma più radicale doveva consistere, secondo loro, nel fare a meno addirittura delle parole, con grande risparmio di tempo e beneficio per la salute; perché è chiaro che ogni parola da noi pronunziata corrode i nostri polmoni e li danneggia, accorciando così la nostra esistenza. Ora, siccome le parole sono in conclusione i nomi delle cose, costoro proponevano semplicemente che ognuno portasse seco tutti gli oggetti corrispondenti all'argomento delle varie discussioni. E la riforma sarebbe certamente stata adottata, con notevole vantaggio della salute e del comodo generale, se il popolaccio, e specialmente le donne, non avessero minacciato di fare addirittura la rivoluzione qualora fosse loro vietato di parlare nella solita lingua, come i loro antenati avevano fatto fin lì: tanto il volgo è costante e irreconciliabile nemico della scienza!
Tuttavia, il nuovo metodo era adoperato da alcuni dei più illuminati e dotti personaggi, i quali se ne trovavano benissimo. Il solo inconveniente s'affacciava quando costoro dovevano trattare di parecchi e complicati argomenti, perché in tal caso erano costretti a portare addosso dei pesi enormi; a meno che non potessero permettersi il lusso di mantenere un paio di robusti facchini per codesto ufficio. Più d'una volta ho osservato due di codesti scienziati, curvi sotto il peso del loro fardello, fermarsi in mezzo alla strada per conversare, posare in terra il sacco e slegarlo; poi, dopo un'ora di colloquio, aiutarsi reciprocamente a ripigliare il carico sulle spalle e riprendere il cammino.
S'intende che, mentre per i discorsi più comuni ciascuno portava indosso tutti gli oggetti necessari per farsi capire, in ogni casa v'era poi una provvista di molti altri oggetti; e nei locali dove si doveva tenere qualche adunanza di adepti della nuova lingua, si trovava ogni sorta di cose capaci di sopperire alla più complessa conversazione artificiale. E si noti che questo nuovo sistema aveva anche il sommo pregio d'essere universale, cioé di fornire un idioma comune a tutti i popoli civili, come sono loro comuni, press'a poco, tutti gli utensili e gli oggetti d'uso; né gli ambasciatori avrebbero avuto più bisogno, così, di studiare le lingue straniere per trattare coi principi e coi ministri degli altri paesi.
Visitai finalmente la scuola di matematica, in cui trovai un professore che adoperava, per l'istruzione dei suoi scolari, un metodo che in Europa nessuno sarebbe mai stato capace d'inventare.
Ogni dimostrazione, proposizione o teorema veniva scritto sopra una piccola ostia, con uno speciale inchiostro di succo cefalico. Lo studente inghiottiva l'ostia e stava digiuno tre giorni, nutrendosi solo d'un po' di pane e acqua. Durante la digestione dell'ostia, il succo cefalico saliva al cervello e vi recava l'esercizio o il teorema desiderato.
Questo sistema non aveva dato, a quanto sentii riferire, risultati molto brillanti; ma ciò era dovuto solo al fatto d'essersi ingannati nel quantum, cioé nella dose del succo cerebrale; oppure anche al contegno maligno e ribelle degli scolari, i quali trovando nauseante il sapore dell'ostia, invece d'inghiottirla la sputavano da una parte, o dopo averla inghiottita la rivomitavano prima che potesse compiere il suo effetto, oppure anche non avevano la costanza di mantenere per tre giorni il regime d'astinenza necessario.

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