giovedì 12 ottobre 2017

I MILLENNIALS E IL CONTESTO

In questo macrosistema possiamo identificare la Generazione Y, o Millennials, come quella che prova a emergere, ritagliandosi tra mille difficoltà uno spazio fra le consolidate gerarchie lavorative e sociali. Questa generazione è quella composta da ragazzi nati dal 1980 fino ai primi anni 2000. Si parla di giovani che hanno goduto di ottime condizioni di partenza e hanno potuto dedicarsi allo studio; infatti una buona percentuale di loro è laureata ed è depositaria di un sapere e un saper fare ignoti ad altri gruppi di popolazione.

Cosa impedisce ai Millennials di prendere il posto che spetterebbe loro di diritto? Tra le tante cause possibili c'è senz'altro la situazione di contesto.

La tecnologia e la globalizzazione hanno contratto lo spazio e il tempo e stanno trasformando la società da stazionaria (lavoro a tempo indeterminato, casa di proprietà, comunità locali) a nomade (lavoro a progetto, continui traslochi, comunità online).

Questo influisce fortemente sulle abitudini delle nuove generazioni, che faticano a trovare stabilità economica, sociale, affettiva, spirituale ed emotiva. Come osserva Zygmunt Bauman: "La generazione meglio equipaggiata tecnologicamente di tutta la storia umana è anche quella afflitta come nessun'altra da sensazioni di insicurezza e d'impotenza."2

  2 Z. Bauman, Paura Liquida, Roma-Bari, Laterza, 2006

Data l'imprevedibilità dei mutamenti in atto, le azioni da intraprendere devono rispondere a una forma mentis differente rispetto a quanto si continua a insegnare. Le dinamiche che regolano il mondo diventano sempre più complesse, ma l'educazione è affrontata ancora in maniera settoriale e riduzionistica: la Generazione Y che esce dalle università si ritrova a fare i conti con un sistema economico e sociale che non rispecchia le sue aspettative.

Accade spesso che, a fronte di esperienze universitarie molto valide, ci si ritrovi a contestare quanto le figure professionali che si prefigurano in ambito accademico non coincidano con quelle che possono operare proficuamente nella realtà attuale. Qualche anno fa, ho frequentato un corso di Design industriale e, per quanto l'esperienza in generale sia stata molto formativa, non ho potuto fare a meno di  constatare l'assenza di un pensiero critico che riflettesse sul legame profondo fra il designer e il contesto nel quale opera. Ciò che viene insegnato non tiene in considerazione il suo impatto sociale e ambientale. Spesso si tratta di formare tecnici al servizio delle aziende, in grado di trasformare in prodotto analisi di marketing basate su tipologie e target specifici.
Vicktor Papanek, già negli anni Settanta scriveva: "There are professions more harmful than industrial design, but only a very few of them. And possibly only one profession is phonier. Advertising design, in persuading people to buy things they don't need, with money they don't have, in order to impress others who don't care, is probably the phoniest field in existence today. Industrial design, by concocting the tawdry idiocies hawked by advertisers, comes as a close second".

Tornando al contesto, mi sono sempre chiesto cosa significhi fare il designer industriale in un Paese senza grandi industrie. Con una tradizione di piccole e medie imprese forse sarebbe più utile puntare sull'imprenditorialità, insegnare ai giovani progettisti come poter essere indipendenti, condividere il proprio sapere con altre figure professionali complementari e costruire insieme dei percorsi utili per se stessi e per gli altri. È solo un esempio, ma è possibile osservare come nell'ambiente accademico la frammentazione e l'iperspecializzazione delle conoscenze spingano sempre più giovani a non riflettere approfonditamente sul senso del loro lavoro, sul loro potenziale ruolo innovativo e positivo nella società.

Dario Bucci, Generazione 2030
Equilibri. Rivista per lo sviluppo sostenibile, Il Mulino, 1/2016

Peccato che Zygmunt Bauman e l'autore del contributo alla rivista Equilibri non tengano conto di alcuni fattori molto importanti. 

1) La generazione dei Millennials è la prima nella storia del genere umano ad essere cresciuta in uno stato di completo scollamento dalla realtà. Le competenze da loro accumulate sono tante ma non hanno alcuna utilità pratica.
2) La generazione dei Millennials è caratterizzata da una crescita lenta. I giovani nati in epoca digitale mostrano un notevole ritardo a fare ingresso nel mondo degli adulti, come conseguenza delle condizioni estremamente agiate e vantaggiose in cui sono cresciuti. Vale questo nesso causale: 

Nessuna necessità di crescere causa contesto agiato => Nessuna necessità di applicare le conoscenze teoriche e schematiche acquisite.  
3) Quando i Millennials tentano di trovare il loro posto nel mondo vengono macinati perché il peso del loro scollamento dalla realtà li schiaccia e li stritola. Questo non avviene per problemi ambientali, legati al contesto, come piace pensare alla futile setta dei sociologi: la vera causa è genetica e ontologica. Si colgono segni evidenti di un processo a cui possiamo dare un solo nome: Involuzione della Specie.  

Queste tendenze si accentuano drammaticamente nella generazione successiva a quella dei Millennials (detta iGen, Generazione Z, Post-Millennials, Centennials o Plurals), formata da persone nate dopo i primi anni del XXI secolo. L'Involuzione continua, tanto che emergono sempre più i tratti caratteristici di un processo di riscimmiazione.

In realtà questa definizione potrebbe sembrare ingenerosa nei confronti delle scimmie e delle loro capacità. Lo scimpanzé che utilizza pietre per schiacciare le noci o i fili d'erba per estrarre le termiti da un termitaio, è padrone di una tecnologia che gli permette di migliorare le proprie condizioni. Grazie a queste competenze, il Pan troglodytes riesce a strappare qualche beneficio alla funesta Natura, integrando la propria dieta con nutrienti preziosi altrimenti inaccessibili. Per contro, l'adolescente riscimmiato dei nostri giorni dipende interamente da una tecnologia di cui ignora i princìpi fondanti. Se gli venisse a mancare la connessione a Internet, se gli venissero a mancare gli smartphone, si troverebbe in uno stato di isolamento assoluto dall'universo circostante. Uno stato che potremmo descrivere come catatonia solipsistica. Un simile giovane non potrebbe competere con le capacità di un babbuino: sarebbe nelle condizioni di una scimmia cieca e paralitica.

Una generazione di zombie con meno neuroni di un baco da seta. "Uno su due andrà all'università". Se ne usciranno archeologi, investiranno capitali per cercare l'account Facebook e il numero di cellulare dell'Imperatore Costantino.

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