giovedì 8 febbraio 2018

ETRUSCO NETS'-, NETHS'- 'INTERIORA'

Nell'iscrizione bilingue di Pesaro, di età augustea, abbiamo l'attestazione del termine netśvis "aruspice".

Il testo latino è il seguente: 
 
L. caf(at)ius . l . f . ste . haruspex | fulguriator  

Questo è il testo etrusco: 

cafates. lr. lr. netśvis . trutnvt . frontac  

Tutto molto chiaro:

netśvis = aruspice
trutnvt = interprete
frontac = delle folgori (agg.)

Evidentemente trutnvt frontac indicava il folgoratore, che non era un Goldrake o un Mazinga ante litteram, bensì colui che interpretava i fulmini.La vocale -o- del lemma frontac è scritta con un carattere speciale. 

In un'altra iscrizione (CI 1.1036) troviamo la variante netsviś. Poi abbiamo l'iscrizione del sarcofago di Laris Pulena, detto anche sarcofago del Magistrato, che ci mostra la locuzione ziχ neθśrac "libro aruspicino", in cui l'aggettivo è formato con l'usuale suffisso -c a partire da neθś-ra-, che evidentemente indica la scienza degli Aruspici (alla lettera "la cosa delle interiora"). La radice di questi lemmi, netś-, nets-, neθś-, indica infatti le interiora. Esiste un notevole parallelismo in greco, dove abbiamo la parola νηδύς "interiora, ventre, stomaco", evidentissimo relitto del sostrato pre-ellenico e privo di qualsiasi parentela nelle lingue indoeuropee.   

Anni fa, mentre vagavo nei gruppi di Yahoo!, mi capitò di imbattermi in un autore russo che con grande insistenza proponeva un'interpretazione bislacca e insensata del lemma etrusco netsviś. A sentir lui, il termine in questione avrebbe avuto il senso di "astrologo" anziché quello di "aruspice". La base della sua pseudotraduzione era a suo dire una radice protosemitica che trascriveva come /*ndZm/ e che doveva significare "stella". Stanco di continuare a vedere riproposta questa assurdità, ho fatto in brevissimo tempo le mie indagini. Orbene, in proto-semitico è ricostruibile *nagmu "segno", poi passato a significare "oggetto celeste" e infine "astro, stella". Da questa radice è derivato l'arabo najm /nadʒṃ/ "stella" (nel dialetto egiziano suona /neg/, con consonante velare /g/). Tutto ha avuto origine da un equivoco marchiano quanto grossolano nato dall'ignoranza più belluina, se non dal dolo: una trascrizione della consonante postalveolare sonora dell'arabo come /dʒ/ ha generato l'illusione  di un gruppo consonantico. L'autore, di cui non riesco proprio a ricordare il nome, a quanto pare è stato preso dal senso di inadeguatezza e di vergogna, dato che ha fatto perdere le sue tracce: ancora oggi non se ne riesce a trovare traccia alcuna nel Web. Una piccola vittoria contro la marea della Pseudoscienza.

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