domenica 4 febbraio 2018

ETRUSCO S'A 'QUATTRO': L'ARGOMENTO DELLA QUADRUPLICAZIONE

All'epoca di Pallottino si brancolava nel buio. Non c'era comprensione del fatto molto semplice che il lemma etrusco tamera significa "spazio funebre", "tomba". Abbondavano le ubbie e molti accostavano invano la parola a epiteti greci e anatolici indicanti titoli sacerdotali (es. luvio dammara-, cilicio-ciprio Tamiras), senza poter ottenere traduzioni sensate e concrete delle iscrizioni. L'etimologia di tamera è di chiara origine indoeuropea e indica qualcosa di meramente materiale: si tratta di un antico prestito dalla radice *tam-, che corrisponde a IE *dom-, con l'ara semantica di "casa" e "costruire". Facchetti rende tamera semplicemente con "camera", traduzione da me poco amata, dato che potrebbe trarre in inganno il lettore poco accorto, suggerendo per assonanza una falsa connessione con il vocabolo italiano (di ultima origine greca).  

Agostiniani fu il primo a notare che le locuzioni tamera zelarvenas e tamera śarvenas sono altamente significative e presentano un importante parallelismo. Infatti tamera zelarvenas significa "avendo raddoppiato lo spazio funebre", mentre tamera śarvenas significa "avendo quadruplicato lo spazio funebre". L'analisi delle forme verbali in questione è la seguente:

zel-ar-ve-nas "avendo raddoppiato" : va con zal "due" (alterna con zel-, esl-)
śa-r-ve-nas "avendo quadruplicato" : va con śa "quattro".

In entrambi i casi abbiamo un suffisso rotico. Si noti che zelur, trovato in un'altra iscrizione (San Manno, CIE 4116), si tradurrà con "duplice".

Per ulteriori approfondimenti, si rimanda a all'opera di Agostiniani Sul valore semantico delle formule etrusche "tamera zelarvenas" e "tamera śarvenas" (in Studi linguistici offerti a G. Giacomelli dagli amici e dagli allievi, Padova 1997).

Va subito detto che śar- in śarvenas si oppone a sar "dieci", che ha una sibilante diversa. A quanto pare le forme soggiacenti all'ortografia difettosa e incompleta sono rispettivamente /ʃa:r-/ "quadruplo" e /sar/ "dieci", che non presentavano ambiguità per il parlante, anche per il loro aspetto morfologico.

Quando ero al liceo, venni a conoscenza di una bella storiella.
La peste infuriava ad Atene, e tramite l'oracolo di Delfi si seppe che Apollo, infuriato, ne era la causa. La divinità ordinò di duplicare il suo altare, che si trovava sull'isola di Delo e che aveva forma cubica. Così fu subito costruito un nuovo altare raddoppiando lo spigolo di quello esistente. Fu così ottenuto un altare le cui facce avevano area quadrupla rispetto alle facce dell'altare originale, mentre il volume era otto volte maggiore. La pestilenza divenne ancor più grave, perché Apollo era infuriato a causa della brutale ignoranza delle sublimi leggi della geometria dimostrata dagli Ateniesi. Ci furono altri tentativi infruttuosi, compiuti da matematici, e la ricerca sarebbe andata avanti fino all'annientamento della popolazione.
La soluzione fu trovata da Platone, che diede una lettura simbolica alle parole dell'oracolo: Apollo voleva che gli Ateniesi coltivassero la matematica e la geometria, non un altare raddoppiato. In effetti, non era possibile con i mezzi esistenti in Grecia a quei tempi risolvere il problema, dovendo moltiplicare lo spigolo del cubo originale per la radice cubica di due. Per raddoppiare l'area di un quadrato le cose sono molto più facili: basta costruire un quadrato avente per lato la diagonale del quadrato originale. 

Siccome gli etruscologi hanno la brutta tendenza a crogiolarsi nella loro torre d'avorio e non sembrano capire la complessità delle cose, riporterò due interessanti link che rimandano a una descrizione dettagliata di questi problemi di geometria:



Gli Etruschi, come i Greci, sapevano soltanto raddoppiare o quadruplicare un'area quadrata. Non sapevano triplicarla né sestuplicarla. Questo argomento da solo sarebbe sufficiente a spazzar via l'insistente idea di coloro che traducono śa con "sei" e huθ con "quattro". Spero che costoro, messi di fronte ai fatti da me esposti, si rendano conto di aver imboccato un vicolo cieco, abbandonino i loro paraocchi ideologici e si ravvedano.

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