domenica 18 marzo 2018

NOTE SUL LAVORO DI MOSENKIS

Iurii Leonidovych Mosenkis (Università Nazionale Taras Shevchenko di Kiev, Ucraina) è l'autore del lavoro Paleo-West European Languages, che con molto coraggio tratta quelle lingue considerate paria dal mondo accademico, idiomi antichi e misteriosi che sono tutto ciò che rimane di continenti culturali scomparsi, la sola luce residua che giunge a noi da una preistoria sconosciuta e sprofondata nell'Oblio. Purtroppo la trattazione è poco approfondita e alcune sue ipotesi presentano gravi criticità. Lo studio è consultabile e scaricabile liberamente al seguente link: 


Questo è l'abstract, da me tradotto in italiano:

"Le lingue aborigene delle isole Canarie (Guanche) appartenevano chiaramente alla macrofamiglia afro-asiatica. Tuttavia, in aggiunta all'idea tradizionale delle lingue dei Guanche come berbere-libiche, sono dimostrati legami guanche-chadici.
La lingua pictica potrebbe essere vicina alle lingue siberiane Yenissei, cfr. il possibile sostrato Yenissei in proto-germanico e il proto-hattico come lingua sino-caucasica (di possibile origine indoeuropea occidentale) strettamente imparentata con lo Yenissei.
Resti di sostrato pre-ugrofinnico in Saami/Lappone (connesso all'aplogruppo I1?) mostra somiglianze con il sostrato pre-rumeno (connesso all'aplogruppo I2?). Potrebbe essere una traccia di una lingua d'origine dall'aplogruppo maschile I."
 

Le lingue dei Canari

Da tempo sospettavo che le lingue dei Guanche delle Canarie non fossero semplici dialetti berberi. Esistono sostrati molto difficili da trattare. Se ci sono numerose parole ascrivibili al ceppo berbero, non va nascosto che ne esistono altre che presentano caratteristiche incompatibili con tale origine - anche nel lessico di base. Alcuni dei raffronti proposti da Mosenkis sono fondati e oltremodo interessanti, altri mi lasciano perplesso, altri ancora sono di certo da rigettarsi. A quanto mi è parso di capire, non è stata tentata la ricerca di corrispondenze fonetiche regolari. Talvolta si trovano corrispondenze in antico egiziano, in chadico e in cuscitico, ma non in berbero. In alcuni casi sono riportate anche possibili corrispondenze con il basco, non sempre a proposito. Riporto alcune considerazioni:

1) Guance cel /tsel/ "luna" viene ricondotto al proto-afroasiatico *ṭilVʕ- "sorgere (della luna)", che ha dato esiti in semitico (solo in arabo, col senso di "sorgere del sole"), in chadico occidentale (col senso di "sole") e in chadico centrale (col senso di "luna"). Mosenkis connette a questa radice il cretese talos "sole" (glossa di Esichio) e il proto-basco *hil- "luna" (in realtà è *(h)iL-, con la liquida forte). Si noterà che la forma basca potrebbe essere benissimo un prestito dal proto-afroasiatico *hilal- "luna" (con esiti in semitico e in berbero), ben diverso da *ṭilVʕ-. Al momento, la questione non può essere facilmente risolta.  
2) Guanche tea "pino" sembra derivato dal latino taeda "pino resinoso; torcia" (cfr. berbero taida "pino"). In spagnolo vive ancora la parola tea "torcia", sempre da taeda, così alcuni decostruzionisti hanno ritenuto che la voce Guanche in realtà sia un ispanismo equivocato. A parer mio può ben trattarsi di una mera convergenza fonetica, essendo l'origine ultima la stessa. Non mi sembra necessario ricorrere a un proto-afroasiatico *tVʔal "albero, cespuglio". Esistono antichi prestiti dal latino nelle Canarie (il toponimo Afur a Tenerife, < lat. furnus) e anche iscrizioni rupestri in caratteri romani.
3) Guanche guirre /'girre/ "avvoltoio" a parer mio corrisponde alla perfezione al berbero igider "aquila": il mutamento è stato /*i'gidre//'girre/. L'etimologia data da Mosenkis (proto-afroasiatico ʔac̣ir- "uccello da preda") mi pare vana, non rendendo conto della consonante /g/ iniziale, che ben difficilmente potrebbe risalire a PAA c̣ /tsʔ/. I decostruzionisti vorrebbero ricondurre guirre allo spagnolo buitre "avvoltoio" (esito del lat. vultur), cosa che è impossibile per motivi fonetici e priva di qualsiasi senso. 4) Guanche mayec "madre" viene ricondotto al proto-afroasiatico *maH- "madre". Il paragone con il basco emazte "donna" è da rigettarsi non soltanto per motivi semantici, ma per l'errata etimologia: non è lecito ritagliare da tale parola una radice -ma-, dato che è un composto di eme "femmina" e di gazte "giovane", la protoforma essendo *ema-gazte. A parer mio eme viene da *enbe ed è un termine nativo, anche se la massima parte dei vasconisti lo ritiene un prestito dal guascone hemna "femmina" (< lat. fēmina) - cosa che porrebbe gravi problemi fonetici. 5) Guanche cancha "cane" (Tenerife) è fatto risalire da Mosenkis al proto-afroasiatico *kwVHen-, che ha dato esiti solo in omotico e in chadico. Tuttavia la stessa radice è diffusa in moltissime lingue nostratiche, come ad esempio nel proto-indoeuropeo. È ben difficile capirne il percorso. Si noterà che oltre a cancha è documentato anche cuna "cane", che ipotizzo essere un prestito dal celtiberico < *kunam (acc.). La cosa non è così folle come potrebbe sembrare: è possibile che ci siano state spedizioni dall'Iberia alle Canarie nel corso dei secoli. Esistono anche altre voci che potrebbero essere prestiti: si veda magua, maguada, magada "vergine" (Gran Canaria), che rimanda al proto-germanico *maγaθi- "vergine"

La lingua dei Picti 

La lingua dei Picti è una crux per gli studiosi. I decostruzionisti cercano con ogni mezzo di negarne l'esistenza, servendosi di argomenti derridiani futili e capziosi. Con buona pace di questi propagatori di virus memetici, è chiaro che esiste un residuo di lingua non indoeuropea, un nucleo che non può essere spiegato a partire dal celtico.

1) Il nome dei Picti viene ricondotto al proto-Yenisei *pixe- "essere umano" (-x- è una forte aspirazione), che ha dato in Yug fik. Tuttavia, per quanto ne sappiamo, il nome non era un endoetnico. La spiegazione tradizionale vuole che i Picti siano semplicemente dei "dipinti", per via dei loro tatuaggi, ma questa sembra proprio una falsa etimologia. Per alcuni, la riprova starebbe nel fatto che Picti ha l'aria di essere una traduzione della denominazione gaelica Cruithne e di quella gallese Prydein (< *Pritanī < *Kwritanī). In antico irlandese abbiamo cruith "forma" e in gallese pryd "forma". Da questa fonte sarebbe derivato il nome dei Britanni, pur con una consonante iniziale di difficile spiegazione. Resta poi da colmare la distanza semantica tra "forma" e "dipinto, tatuaggio". Potrebbe anche essere sensata l'ipotesi di una somiglianza col nome della popolazione celtica dei Pictavi (Pictones) della Gallia Transalpina, che potrebbe ben risalire a piχto- "quinto" (sinonimo del più comune pinpetos "quinto", attestato nella forma piχte "come un quinto"). Al momento attuale delle conoscenze, non scomoderei le lingue paleosiberiane.
2) Interessante il tentativo di accostare il nome degli Scotti, donde deriva quello della Scozia, agli etnonimi Yenissei Ket e Kott. La stessa origine avrebbe anche il nome dei misterioso popolo antropofago degli Attacotti (e varianti), sempre formato da una radice *kott-. Va detto che a quanto pare, i nomi paleosiberiani Ket e Kott non avrebbero la stessa etimologia. 
3
) Mosenkis fornisce un'etimologia Yenissei per il termine IPE, con ogni probabilità da tradurre con "figlio". Questa parola enigmatica è attestata in due iscrizioni - la più famosa riporta DROSTEN IPE UORET ETT FORCUS. L'autore fa risalire questo IPE al Ket hyp "figlio". Si noterà però che poi prende Fip (variante Fibe), nome di un figlio di Cruithne, l'antenato mitico dei Picti, e lo correla allo Yug fyp "figlio". Dalla ricostruzione fatta da Starostin, risulta chiarissimo che il Ket hyp e lo Yug fyp risalgono alla stessa protoforma. Quindi è difficile ammettere che nella lingua non indoeuropea dei Picti esistessero entrambe le forme. Per quanto riguarda ETT, Mosenkis l'analizza come un suffisso del genitivo con corrispondenze in Ket. Credo più probabile che si tratti del latino et, preso come prestito. Si tradurrà dunque "Drosten figlio di Uoret, e Forcus". Non sussiste infatti traccia alcuna di un ETT interpretabile come genitivo in altre iscrizioni. Quelli di Mosenkis sembrano voli pindarici. Dal canto suo, Theo Vennemann fa risalire IPE a una protoforma semitica (donde ebraico bēn, arabo ibn). Si noterà che la parola pictica più comune per "figlio" è MAQQ, un evidente prestito dal goidelico.

La scarsità di materiale è un fattore limitante e non è facile capire se queste proposte di Mosenkis hanno un senso. Per quanto mi riguarda, credo che il pictico fosse una lingua imparentata alla lontana con il proto-basco, ma con una fonotassi radicalmente dissimile in quanto ha subìto mutamenti divergenti. Mi propongo di esporre le mie teorie e relative prove in altra sede; posso tuttavia anticipare di aver trovato una certa quantità di materiale interessante nello Shelta, la lingua degli stagnini itineranti irlandesi, che conserva un gran numero di vocaboli finora inspiegabili.

La lingua pre-Saami e
la lingua paleobalcanica

L'autore tenta una classificazione delle parole del sostrato pre-Saami, basandosi sulla loro somiglianza con materiale di altre lingue, in particolare cercando connessioni con vocaboli problematici comuni all'albanese e al rumeno. Questo è il riassunto proposto dall'accademico ucraino, in cui le voci trattate sono qui riportate tal quali:

1) Parole di aspetto indoeuropeo comune: viske "giallo", ken'te "uccidere"
2) Parole di aspetto indoeuropeo satem: sar'D' "cuore di cervo"
3) Parole di aspetto iranico: s'avn'e "diventare scuro";
4) Parole di aspetto germanico: ur'm "tafano"
5) Parole di aspetto russo antico: v'arv "cappio, occhiello"*
6) Parole di aspetto basco: niŋgлes' "femminile", nizan "donna"
7) Parole di aspetto urartaico: šuɛn'n' "palude"
8) Parole di aspetto "pre-inglese": odgi "giovane volpe"
9) Parole di aspetto albanese o "carpatico": beaski "passo montano", roahpi montagna rocciosa"
10) Parole che hanno aspetto paleo-balcanico: čearr "vetta", čerr "cresta" (cfr. mediterraneo kar "pietra"); abbr' "pioggia" (pre-rumeno abur, albanese avull "vapore"); k'ed'd'k "pietra" (pre-rumeno codru "foresta densa", albanese kodër, kodrë "collina").

*L'autore riporta "loop" come traduzione, senza specificare altro. Ho cercato senza successo la parola lappone, perdendo tempo senza arrivare a nulla. Non so quindi se il lemma sia corretto. Questo rende l'idea di quanta approssimazione regni nel mondo accademico dei paesi slavi.

Resterebbe da spiegare cosa si intenda per "parola di aspetto pre-inglese". Si dovrebbe anche specificare che la radice kar- è ricostruita a partire da vocaboli residuali di varie lingue e da toponimi, da come viene posta sembra invece che kar- sia "mediterraneo" attestato, cosa ovviamente non possibile. Questa approssimazione può rendere difficile per molti accademici cogliere quanto di interessante c'è nella trattazione, che reputo senza dubbio utile. Per maggiori dettagli rimando ai lavori del finlandese Ante Aikio e alle mie note sull'argomento.

Limiti del lavoro

Non nascondo la mia grande sfiducia nell'archeolinguistica fondata sulla genetica. La storia ci insegna che numerosi gruppi umani possono cambiare lingua nel corso dei secoli: non c'è ragione alcuna per pensare che le cose andassero diversamente nella preistoria. Così come un afroamericano di Harlem si esprime in un bizzarro inglese e non in Yoruba, è possibile che persino un sostrato linguistico antichissimo non fosse in realtà la lingua originale di un dato popolo identificabile dall'analisi degli aplogruppi. Non dimentichiamoci che i Pigmei dell'Africa e i Negritos dell'Indonesia hanno abbandonato le loro lingue d'origine da tempo immemorabile, per adottare quelle dei popoli stanziali con cui vivevano a contatto.

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