giovedì 24 maggio 2018

DIALETTO: UNA PAROLA CONTROVERSA

Non esiste una definizione scientifica e rigorosa di cosa si debba intendere per "dialetto". Poche parole sono più problematiche e ambigue di questa. La confusione che la circonda è davvero troppa, considerato quanto è capillare il suo uso. Questi sono i significati più comuni:

1) Varietà di una lingua;
2) Una lingua in contrapposizione a un'altra, in genere a
lla lingua ufficiale di una nazione;
3) Una lingua parlata in una singola località o comunque in un contesto territoriale ristretto, in rapporto a una lingua parlata in un'area più estesa;
4) Una lingua non scritta, soprattutto se parlata da popolazioni considerate "primitive", "selvagge", "non civilizzate"
5) Qualsiasi lingua di cui un topo di biblioteca chiamato "grammatico" non abbia fissato la struttura in un tomo chiamato "grammatica".

Più preciso è il Vocabolario Treccani, che combina le prime tre definizioni sopra riportate integrandole: oltre a definire il dialetto come realtà il cui contesto culturale e geografico è limitato, insiste molto sull'assenza del prestigio tipico di una lingua nazionale, o sul fatto che questo prestigio, un tempo esistente, è andato perduto dopo una fase di declino. Inoltre, cosa non meno importante, perché un sistema linguistico possa essere definito come "dialetto" è necessaria l'appartenenza a un gruppo di sistemi linguistici di origine comune, che condividono un certo numero di innovazioni. Per chi volesse approfondire l'interessante argomento, rimando senz'altro al sito web Treccani.it, astenendomi da riportarne in questa sede i testi coperti dal diritto d'autore.



Si converrà che tale trattazione possa risultare di difficile comprensione per le persone meno istruite. Il pregiudizio volgare, plasmato da decenni di propaganda scolastica e di bombardamento televisivo, interpreta tuttora la parola "dialetto" in modo fortemente spregiativo. Così, per ovviare a questo problema, è stato proposto l'uso di locuzioni come "lingua locale" o "lingua regionale". Una bella strategia, non c'è che dire: per fare un paragone, proviamo a immaginarci un dittatore come Pinochet, ma reso buonista e rimbambito dalla demenza senile, che intenda restituire la dignità a prigionieri politici che ha fatto immergere in vasche di feci e a cui ha fatto strappare le unghie. Ecco le lacrime del coccodrillo! Prima fare di tutto per annientare, poi, di fronte ai perseguitati distrutti, innalzarli su un trono di cartapesta. Questo è il teatrino massonico. 

Vita, agonia e morte dei dialetti italiani  

Realizzata l'unità nazionale, le politiche dei Savoia per imporre l'italiano del Manzoni come unica lingua furono molto aggressive, anche se poco efficaci nel breve e nel medio termine. Il fine era quello di eradicare fino all'estinzione completa ogni parlata popolare. Questo processo di italianizzazione linguistica forzata era chiamato in sintesi "fare gli Italiani". Ricordo un interessante articolo, purtroppo perduto, in cui si descriveva con grande efficacia il processo di diffusione di una lingua italiana sostanzialmente artificiale. All'epoca dell'Unità d'Italia, l'italiano era la lingua parlata di una percentuale molto piccola della popolazione. I maestri erano costretti ad insegnarlo nelle scuole del Regno come una lingua straniera. Il giornalista diceva che sua madre e sua suocera, una modenese e l'altra toscana, ignorando entrambe l'italiano, per comunicare avevano bisogno dell'interprete. La terribile suocera, trasferita a Modena, quando andava a messa restava sconvolta dalla pronuncia usata dal prete e dai fedeli, sbottando di continuo in un "Ché, ché, ché! Questi 'un son cristiani!": le formule latine, storpiate dai modenesi in un modo diverso da quello usato dai toscani, le sembravano un modo volgare e blasfemo di rivolgersi a Dio. La Grande Guerra, si diceva nell'articolo, mescolò sangue, pidocchi e dialetti di tutt'Italia, portando a un lieve miglioramento nelle comunicazioni. Tuttavia, per molti, l'italiano rimase a lungo soltanto la lingua dei telegrammi ("mamma indisposta rientrare subito") e delle autorità. Il regime fascista fece di tutto per imporre l'italiano come unica lingua, ma a vincere la battaglia contro i dialetti fu la televisione. Il ruolo di Mike Bongiorno e di Lascia o raddoppia? fu determinante. Altrettando fondamentale fu l'opera di Totò, che con i suoi film insegnava l'italiano agli Italiani, mettendoli in guardia da errori di ogni genere, travestendo l'istruzione in forma di battute esilaranti. La scuola aveva fatto di tutto, era ricorsa ad ogni mezzo repressivo per estinguere i dialetti, fallendo la sua battaglia contro gli "asini", gli alunni recalcitranti che reagivano all'indottrinamento rifiutandosi di imparare la lingua imposta. La televisione, mostro sacro, fece piazza pulita di tutto. Il giornalista modenese riportava il caso di un'anziana maestra. Quando aveva iniziato il suo magistero scolastico, la donna aveva dovuto combattere contro l'italiano dialettizzato dei suoi studenti, che infarcivano i loro temi con parole come pita "tacchino" e via discorrendo. Avvicinandosi alla pensione, la maestra si era resa conto che qualcosa era cambiato nei bambini: tutti si esprimevano nell'italiano piatto e disadorno della televisione! Certo esistono ancora numerosi parlanti dei dialetti della Penisola, tuttavia mescolano l'idioma avito con l'italiano (code mixing e code switching), nativizzano parole italiane - ma soprattutto la Dea della Gioventù non mette alcuna ghirlanda di fiori sul loro capo.

Un reperto della massima importanza

Tempo fa recuperai un libro di storia ad uso delle scuole medie, consunto e mezzo mangiato dai pesciolini d'argento, che era appartenuto a mio padre (RIP). Era molto sintetico, ma non per questo privo d'interesse. Quello che più mi colpì fu la descrizione di un mito pseudognostico risorgimentale sull'origine del dialetti, descritti come invenzioni di un genio malefico per far sì che gli Italiani non si intendessero gli uni con gli altri e obliassero le proprie origini. L'idea fondante era la seguente: essendo l'Italia erede dell'Impero Romano, le sue popolazioni dovevano continuare l'eredità dell'Urbe antica - ovviamente in contrapposizione ai "barbari" - solo che nel corso dei secoli avevano perso ogni consapevolezza del proprio passato comune. Così si affermava che l'antica lingua italiana era cambiata per degenerazione e imbastardimento, dando origine al complesso panorama delle parlate definite "dialetti". Le origini massoniche di questo mito sono lampanti.

Propaganda risorgimentale massonica

Non si creda che la religione civica massonica che ispirò il Risorgimento sia del tutto estinta: ne perdurano ancor oggi vestigia. Ricordo ancora quando in un ufficio in cui mi è toccato recarmi per lavoro, i miei occhi sono stati colpiti da un manifesto totalitario. Sotto le sagome di alcuni figuri, in verità piuttosto loschi, seduti davanti a un bar, campeggiava la scritta propagandistica "Itali siam tutti". Per un cimbro dell'altopiano di Asiago, per un greco del Salento o per un albanese di Calabria non c'è posto: non essendo "itali", secondo questa visione politica dovrebbero sparire, in quanto la loro stessa esistenza dà fastidio ai ministri del culto risorgimentale. Manzoni, che fu un gran malfattore, considerò sempre sua fonte d'ispirazione il concetto di "Italia una di sangue, di lingua e d'altar" (o "una d'arme", ci sono diverse varianti). Quindi, per chi propugnò queste idee deleterie, in Italia non ci sarebbe posto nemmeno per un valdese. Quale ipocrisia, le parole sull'unità di altare pronunciate da un giansenista che si finse un cattolico-belva per convenienza personale!

Il razzismo di un antirazzista

Posso fornire la testimonianza delle conseguenze luttuose della politica applicata alle lingue galloitaliche, più note alle masse come "dialetti del Nord Italia". La Lega Lombarda di Umberto Bossi, poi divenuta Lega Nord (quindi soltanto Lega per decisione di Matteo Salvini), cercò di rilanciare le lingue galloitaliche, pur fallendo su tutta la linea. Un risultato concreto ottenuto dal partito völkisch è stato quello di fomentare l'avversione verso le parlate da promuovere. Infatti nella mitologia di una sinistra ormai lontana anni luce da Marx, i leghisti sono bollati come "razzisti" e "fascisti", più per tradizione polemica che per oggettivi riscontri nella realtà. Così, se anche una persona ritenuta "razzista" e "fascista" sostenesse qualcosa di utile, la sua proposta sarà per necessità considerata un male da combattere. Anni fa mi capitò di discutere dei dialetti con un informatico che era venuto in ufficio per sistemarmi il computer. Questo individuo sosteneva, per avversione politica, che ogni dialetto lombardo fosse soltanto una degradazione dell'italiano. Così, per fare un esempio, definiva la frase "schiscia ul butùn" come forma degradata dell'italiano "schiaccia il bottone". La "degradazione" sarebbe derivata a suo dire dall'errata imitazione dell'italiano da parte di persone illetterate. Per colmo del paradosso, questo ragazzo, che si professava "antirazzista", applicava categorie tipiche del razzismo biologico nel descrivere il locutori delle lingue galloitaliche, ritenuti da lui "subumani". Ho cercato di spiegargli l'origine delle lingue romanze a partire dall'evoluzione del latino volgare, ma non sono riuscito nemmeno a farmi capire. La Scienza non può nulla contro le storture dell'ideologia!

Il giusto uso della parola "dialetto" 

Qual è il vero senso della parola "dialetto"? A parer mio, per spiegare una parola di origine greca, bisogna rifarsi alla lingua degli antichi Elleni. Il termine διάλεκτος (dialektos) ha i seguenti significati: 

1) discorso, conversazione; discussione, dibattito, argomento
2) lingua comune, parlata; linguaggio articolato, lingua
3) la lingua di un paese; varietà della lingua greca (es. attico, ionico, dorico)
4) parola o espressione locale
5) modo di parlare; accento
6) stile, dizione poetica
7) qualità, "idioma" (detto di strumenti musicali)

A quanto si può vedere, la parola "dialetto" non può avere in sé un significato spregiativo. Non c'è nulla nella sua etimologia (da διά "attraverso", λέγω "io dico, parlo") che possa far pensare a qualcosa di indegno. L'origine è la stessa della parola "dialogo". Non può e non potrà mai significare "sottolingua" o "lingua degenere": questi falsi significati le sono stati annessi dai massoni risorgimentali e dalle maligne istituzioni scolastiche. Così professo di non avere colpa alcuna parlo di "dialetti italiani", usando una denominazione geografica, o se uso locuzioni come "dialetti lombardi", "dialetti piemontesi", "dialetti siciliani" e via discorrendo. Non posso tuttavia dire di aver superato le difficoltà descritte: enormi sono le possibilità di essere fraintesi, qualunque discorso si faccia. 

Un problema non di poco conto

Come visto consultando l'Enciclopedia Treccani online, è chiaro che un dialetto in genere appartiene a un gruppo di parlate simili, ossia a un continuum. Così si può dire che il milanese, il pavese, il bergamasco e il bresciano sono dialetti della lingua lombarda, oppure che la lingua lombarda è parlata in diverse varietà, tra cui il milanese, il pavese, il bergamasco, il bresciano, etc. Non esiste tuttavia una lingua lombarda ufficiale, codificata, di riferimento. Se si cercasse di prendere il milanese di Carlo Porta e di farne una lingua standard, ci sarebbero sollevazioni popolari. Sarebbero rivolte senili, ma non per questo meno accese: già la Brianza, in cui si parlano dialetti molto affini al milanese, è abitata da gente campanilista che impedisce qualsiasi operazione volta a definire una lingua lombarda di riferimento. Questi sentimenti bellicosi sono tra le cause del declino di tutte queste parlate, che non vengono trasmesse alle giovani generazioni e che si estingueranno in breve volgere di tempo. Mentre parlo, a Seregno muoiono tre o quattro persone ogni santo giorno che passa, e nella massima parte dei casi si tratta di anziani dialettofoni. Azrael sta falciando innumerevoli uomini e donne dagli ottant'anni in su. Ognuno di questi defunti è un parlante lombardo in meno, che non sarà mai sostituito. Ade non ha mai restituito nessuno.

Anche l'italiano è un dialetto

Tecnicamente parlando, ogni lingua ufficiale è uno specifico dialetto che ha avuto più fortuna di altri, riuscendo ad imporsi per mezzo della politica. Va inoltre ricordato che una lingua dotta, usata per fini politici, culturali e scientifici, è in buona sostanza una creazione artificiale. L'italiano che parliamo non sfugge a queste regole. Consiste infatti di una base formata da parole passate per la genuina usura popolare, che ne costituiscono l'ossatura (es. cane, gatto, albero, pietra, muro, mare, occhio, orecchio, fiorefiume, riva, miele, etc.), su cui si sono stratificati innumerevoli vocaboli presi dal latino letterario (es. applauso, auscultare, floreale, plumbeo, aureo, lene, mensile, mestruo, clausura, sessuale, etc.) e dal greco (es. problema, filosofo, poema, fantasia, fantasma, ecclesiastico, pederasta, coprofagia, etc. - oltre a formazioni come clorofilla, elicottero, brontosauro, triceratopo, pterodattilo, etc.). Potremmo dire che la lingua italiana da noi parlata e scritta è viva solo grazie a massicce trasfusioni dalle lingue classiche.

Un bel paradosso! 

Spesso la lingua italiana è chiamata lingua di Dante. Anch'io uso di solito questa locuzione. Nonostante ciò, l'italiano che usiamo quotidianamente è più che altro la lingua elaborata da Manzoni. Si noterà infatti che I promessi sposi è un'opera di lettura assai scorrevole e lineare, per quanto deprimente, mentre l'italiano di Dante è difficile e richiede studi approfonditi. Se andassi in giro a parlare la sublime lingua in cui Dante scrisse la Commedia... non soltanto non sarei affatto capito, ma sarei considerato un folle!

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