venerdì 4 ottobre 2019

LA RÜGA, IL MISTERIOSO GERGO DELLA VAL SOANA

Il ricordo di A. resta vivo in me. Era uno degli ultimi parlanti della Rüga, un bizzarro linguaggio criptico della Val Soana che gli studiosi considerano un gergo. Dalla viva voce di A., in un pub a Torino, ho appreso un certo numero di parole e ho avuto conferma di altre che già conoscevo, avendole viste attestate nell'opera del Biondelli (Studi sui dialetti gallo-italici, Milano, 1857) - ben datato ma pieno di dati interessantissimi. Purtroppo, date le circostanze della serata in cui ho conosciuto A. (ricordo ancora le pinte di ottimo sidro da me ingurgitate avidamente), non ho avuto occasione di ottenere maggiori informazioni. Mi sembrava di infastidirlo ed ero molto soddisfatto di quanto avevo raccolto, così ho mollato la presa. Dopo qualche mese ho saputo, con grande dolore e tristezza, che A. era stato sedotto da una laidissima carampana, una cougar ben più matura di lui. Posso cercare di ricostruire in qualche modo la dinamica degli eventi. Questa donna libidinosa deve averlo fellato, ingurgitandogli il materiale genetico e conducendolo poi alla follia. Questo mi è stato riferito da comuni amici: una volta abbandonato dall'avida Messalina, A. aveva potuto trovare conforto soltanto in Dioniso, finendo in condizioni molto preoccupanti. A quel punto le notizie si sono interrotte. A tutt'oggi non so nulla di cosa ne sia stato di lui, se sia tuttora in vita o se si trovi nel paese che i Sumeri chiamavano Urugal. Se fosse stato ghermito dal Tristo Mietitore, esiste la fondata possibilità che la Rüga sia morta con lui.

Queste sono alcune delle glosse di A.: 

ÀIMA "fuoco"
BÓMBA "cane"
DAÙR "camoscio"

DÜRBI "padre"; "anziano" 
FÀIMA "gatto"
GÒRI "uomo"
LÜFA "acqua"
SANSÌGAR "testardo"
TÒUFA "stambecco"
TRI "figlio"; "piccolo"
TRILA "ferro" 

ÀIMA "fuoco" sembra puntare a una protoforma *aid-ma(n), che ha la stessa radice del nome degli Edui (Aedui), dal protoceltico *aidu- "fuoco", a sua volta dall'indoeuropeo *aidh- "ardere". Il dittongo /ai/ è conservato. Senza dubbio questo è a un relitto di un sostrato preromano (ligure o celto-ligure). 

DAÙR "camoscio" richiama subito alla mente l'inglese doe "cerva", dall'anglosassone "cerva", termine oscuro preso da un idioma di sostrato, con ogni probabilità celtico. In antico irlandese si trova daṁ "bue" (< *damos), mentre in gallese abbiamo dafad "pecora" (< *damatā). Si può ricostruire una base *dam- che doveva significare "animale (domestico)". Il latino ha preso dāma (variante damma) "daino" da una lingua di adstrato, con ogni probabilità il ligure, anche se c'è chi ritiene questa voce di origine berbera. Si tratterà in altra sede il problema. La -m- intervocalica deve aver subìto una lenizione come nelle lingue celtiche per dare DAÙR, il cui suffisso è alquanto oscuro.  

LÜFA "acqua" rimanda subito al latino lympha "acqua; liquido puro; fonte limpida"; "ninfa delle acque". La parola deve essere entrata nella lingua dotta dell'Urbe dall'etrusco: nella lingua dei Rasna dovette esistere *lumφa "acqua, liquido puro", adattamento del greco νύμφη (nymphe) "ragazza, giovane sposa", ma anche "ninfa delle acque", il cui uso poetico come "acqua" è ben documentato. Probabilmente i due significati di "ragazza" e di "acqua" puntano a parole distinte e omofone, poi associate per etimologia popolare. Il professor Guido Borghi, come gli ho trasmesso anni fa questa mia ipotesi sull'origine di LÜFA "acqua", mi ha scritto che effettivamente la derivazione della voce valsoanina è verosimile.

TÒUFA "stambecco" sembra puntare a una protoforma *tolfa, che ha singolari riscontri nella toponomastica dell'Italia centrale: nel panorama del centro abitato di Tolfa (anticamente Tulphae) si vede un grande sperone roccioso.  Il toponimo deve aver avuto origine da una radice *tul- / *tol- "sporgenza, corno", che nel linguaggio alpino è passato a indicare l'animale cornuto per eccellenza.

A. mi ha fatto notare, mentre stavo abbeverandomi al grosso bicchiere di sidro, che SANSÌGAR "testardo" è un vocabolo comune a un gergo della Bergamasca. Tale gergo è stato poi da me identificato nel Gaì, una parlata criptica dei pastori delle valli bergamasche. Il professor Guido Borghi mi aveva a suo tempo inviato del materiale sul Gaì, che purtroppo è andato smarrito.  Ipotizzo che il significato d'origine fosse "testa dura come la pietra", con -GAR che rimanda al ligure carris, glossato con "nomen saxi", ben documentato nella toponomastica e presente anche in basco come harri "pietra".

Oltre alle parole da me selezionate come antiche, ve ne sono anche alcune di ben diverso tipo. Di notevole interesse antropologico sono ad esempio i vocaboli LUMBARDA "mattina" e BURGÒGNA "sera", di chiara origine furbesca: come A. mi ha spiegato, per le genti della Val Soana è in Lombardia che nasce il sole ed è in Borgogna che tramonta. Chiaramente queste forme sono molto più recenti rispetto a quelle attribuibili a un sostrato preromano. 

Scarne le note grammaticali fornite da A., anche se appare chiara la natura romanza della morfologia. L'articolo è LU, che non conosce variazioni di genere per il lessico nativo, non romanzo: LU BÓMBA "il cane", LU FÀIMA "il gatto", etc. La cosa è interessante: a quanto pare tutti i sostantivi in -A di questo genere sono considerati maschili, non si ha traccia di una loro assimilazione al genere femminile. Questa caratteristica mi è stata fatta notare espressamente da A.; i vocaboli di questo tipo sono invariabili al plurale: BÓMBA traduce sia "cane" che "cani", etc. Un fatto a cui finora non è stato dato il giusto rilievo dagli studiosi.  Il lessico di origine furbesca o romanza funziona diversamente: LA LUMBARDA "la mattina", LA BURGÒGNA "la sera". A. non mi ha fornito alcun esempio di verbo coniugato. Non sono riuscito ad avere da lui saggi di frasi complete, per quanto elementari. Ero sicuro che avrei rivisto A. in altre occasioni e che avrei avuto tempo di approfondire ogni questione. Beh, mi sbagliavo. 

Queste sono alcune interessanti glosse raccolte dal materiale di Bernardino Biondelli, sia dal già menzionato volume sui dialetti galloitalici che da Studi sulle lingue furbesche (Milano, 1846): 

BASORDA "fame"
BERO "anno"
CAMU "amico; compagno"
CHEZA "porci, maiali" (z = /ts/
COSPA, COSBA "casa"
CRÜINA "scrofa"
CUCÀR "mangare"
DÜRBI "padre"
FAMÀUT "servitore"
GHÈISI "fame"
GORI
"uomo"
GÒRIA "scrofa; prostituta"
LOMBARD "sole"
MURCÀR "mangiare"
PIERLO "Dio" 
TABURNA "villa" (dimora di campagna)


Si noterà che il Biondelli fallisce nell'intento di dare una precisa definizione della Rüga, che a dire il vero non menziona nemmeno con questo nome. Non sembra che la considerasse un linguaggio criptico distinto dal locale dialetto, da lui definito piemontese canavesano - anche se in altre fonti è invece considerato franco-provenzale come l'arpitano. Le parole prive di corrispondenza romanza, presenti nel lessico di base, le evidenzia come bizzarrie, comprendendone però soltanto in parte l'estrema importanza. Nel suo volume si trova anche una versione in valsoanino della Parabola del Figliol Prodigo, in cui compaiono alcuni dei vocaboli sopra riportati. La lingua in cui è redatta è a tutti gli effetti piemontese, ha soltanto alcune caratteristiche morfologiche franco-provenzali, come le uscite -t  della III persona singolare e -unt della III persona plurale dei verbi (es. ho hat avü "ha avuto", l'est fuièit "è fuggito", j'avansunt "gli avanzano"). 

BASORDA "fame" doveva in origine significare "carestia; morte per fame". Ho subito riconosciuto in questa voce un'etimologia celtica, comparandola all'antico irlandese bás "morte", dal protoceltico *bāθθon, a sua volta da un precedente *bāstom. La terminazione è confrontabile con il suffisso -red che si trova in gallese, derivato da -*reton. Così da *bāθθo-retā (con l'accento su -o-), con una variante femminile del suffisso, abbiamo direttamente BASORDA. Nel gergo dei minatori di Usseglio si trova bazir "morire", formato dalla stessa radice celtica, diffusa anche negli argot francesi.

BERO "anno" è una forma molto criptica, ma alla fine sono riuscito a carpirne il mistero. Tra i ladri si usavano forme gergali come longo, longano "anno" (in Lombardia longon, lungagnen), la cui spiegazione è ovvia: un anno in carcere non passa mai. Siccome tali codici tendevano a filtrare tra i profani, per via della loquacità femminile, nelle conventicole furbesche si cominciò a dire serpente "anno": il serpente è lungo come l'anno, inoltre l'Ouroboros, che si morde la coda, allude al tempo ciclico. Orbene, BERO significava in origine "serpente". Siamo abituati a questa parola. Chi non conosce la Vipera berus? Si tratta di una parola celtica che indicava la vipera e la lancia. L'origine indoeuropea è la stessa del latino veru "spiedo; giavellotto" < *gweru- "spiedo".

CAMU "amico; compagno" presenta qualche problema già a livello di pronuncia. Non è infatti segnato alcun accento. Suppongo che la pronuncia corretta sia CAMÙ, con l'accento sull'ultima sillaba: una vocale /-u/ atona e finale di parola è scritta costantemente -O dagli autori. Viene la tentazione di ritenere questa parola di origine gitana: in Romaní abbiamo kamel "amare", dalla stessa radice del sanscrito kāma- "desiderio", che ha dato origine al famosissimo Kāmasūtra. Il punto è che il verbo in questione indica l'amore tra uomo e donna, la concupiscenza sessuale e il corteggiamento, non l'amicizia tra uomini. Il terminie Romaní per dire "amico" è invece prieten (sanscrito pri- "amare", in senso platonico). Nonostante i parlanti della Rüga fossero calderai come molti Rom, non notiamo alcuna traccia di commistioni lessicali. Il problema rimane dunque aperto, ma credo che la parola sia antica e non gitana: mi è subito venuto in mente il nome dei Camuni. La questione, molto complessa, andrà approfondita in altra sede.

COSPA, COSBA "casa". Una parola antica e di vasta diffusione nel furbesco, con diverse varianti. Già nel toscanissimo Cecco Angiolieri troviamo cosco "casa". Nel mafiese si ha il tristemente noto cosca. La parola potrebbe essere imparentata con il latino casa "capanna", di origine preindoeuropea e con ogni probabilità etrusca, oltre che con le forme germaniche: inglese house "casa", tedesco Haus "casa", dal protogermanico *χūsan - senza credibili paralleli indoeuropei. 

CRÜINA "scrofa" somiglia a crin "maiale", un vocabolo preromano assai diffuso in Piemonte (a Finestrelle curìn e a Giaglione carrìn). In basco si ha kurrinka "grugnito".    

FAMÀUT "servitore" è chiaramente derivato dal latino famulus. La cosa è abbastanza sorprendente, visto che non mi sembra che abbondino gli esiti romanzi della parola latina (a parte qualche forma dotta rammento soltanto l'italiano famiglio). 

GHÈISI "fame" sembra connesso con una gran varietà di forme diffuse in Piemonte (sgösia), in Lombardia e persino in Emilia (sghessa). Non è tuttavia facile risalire a una protoforma solida. Si nota però la sorprendente somiglianza con il basco gose "fame". 

LOMBARD "sole" corrisponde chiaramente alla sopracitata glossa di A., LUMBARDA "mattina". Il sole era chiamato così perché si pensava che nascesse in Lombardia. 

PIERLO "Dio" è sempre citato con l'aggettivo preposizionale BON "buono": nel lavoro sui furbeschi si ha EL BON PIERLO "Il buon Dio". L'articolo usato pare in contrasto con quanto comunicatomi a suo tempo da A., che aveva LU, non EL. Si noti però che nella versione valsoanina della parabola del Figliol Prodigo si ha LO BON PIERLO "il buon Dio" e LO BON DÜRBI "il buon padre".

TABURNA "villa" somiglia molto al latino taberna "osteria, locanda", ma anche "capanna" - a sua volta prestito da una lingua non indoeuropea, con ogni probabilità dall'etrusco. Il diverso significato e il suffisso -URNA mi spingono a ritenera la voce valsoanina imparentata col latino taberna, ma non un prestito. 

Diverse parole fornite da A. non si trovano nelle opere di Biondelli (es. DAÙR "camoscio", TÒUFA "stambecco", TRILA "ferro"). 

Costantino Nigra (1828 - 1907), che fu definito l'Ultimo Vate, scrisse diffusamente su questo linguaggio singolare, compilandone anche un dizionario. Sono venuto a conoscenza di questo autore durante un convegno a Torino. Ricordo ancora la buffa excusatio non petita di R., che presentò la sessione: "Certo, Costantino Nigra era un massone, ma chi non lo era a quei tempi?" Siccome la presentazione precedente era stata su Don Bosco e sul cattolicesimo sociale piemontese, R. provava un certo imbarazzo, forse temeva che qualche vandeano si levasse dal pubblico e gli rimproverasse l'improvvida commistione. 

Riporto alcune interessanti glosse tratte dal dizionario di Nigra, pubblicato in Archivio glottologico italiano, vol. III, Roma, 1878, pagg. 53-60. L'ortografia, razionalizzata da Albert Dauzat, si basa su quella italiana, ma con alcune peculiarità (J = I semivocalica); noto che dove Biondelli ha Z, Nigra usa in modo sistematico TH per esprimere un suono interdentale. 

BÁLJO "soldato"
BÉJRO
"anno"
BIMA
"sale"
BÓMBA "cane", "cagna"
BÓNGA "bottiglia"
BÓRNA "forno"
CHÉTHA "maiale"
CRÜ'JNA "porco"
DÁLJO "sciabola"
EMME "miglio" (misura di lunghezza)
FÁJMA "gatto"
FÁPER "bastone"
FÍRFA "porco"
GÁJNA "gatto"
GHISÓRBA "lupo"
GÓRLA "vacca"
IPORÍGE "Ivrea"
LAP "latte"
L
ÓPA "orecchio" 
L
Ü'FA "pioggia" 
LÜ'RNA "re"
MANDÓCA "vacca"
MARGÓJNA "pastore"
MORÉJNA "lardo"
M
ÓSSA "vino"
NICO "naso"
PÉLJO "pietra"
PIC "argento"
RÜF "fuoco"
RÜLL "mela"
TÁMPA "porta" 


Diverse parole fornite da A. non si trovano nell'opera di Nigra (es. DAÙR "camoscio", TÒUFA "stambecco", TRILA "ferro").  

BÁLJO "soldato" rimanda all'istante al nome dei Balari, antica popolazione della Sardegna, il cui significato è "esiliati, fuggiaschi, predoni, banditi". Anche le isole Baleari devono il loro nome agli antichi abitanti, che avevano grandissima fama di pirati.

BÓRNA "forno" è sorprendente e di certo antico: è un corrispondente ligure del latino furnus, con /b-/ dall'indoeuropeo *gwher- "caldo; ardere". Il latino furnus è corradicale di formus "caldo" e in celto-ligure abbiamo una radice molto simile proprio con /b-/ iniziale, che sopravvive nella toponomastica: basti pensare al fiume BORMIDA "Caldo", ossia "Ribollente", oltre che a BORMIO "(Luogo) delle Acque Calde". 

DÁLJO "sciabola" deriva da un'antica parola ligure, *daklom, il cui significato è "falcetto". Il latino ha preso daculum "falcetto" proprio dal ligure.

EMME "miglio" (unità di lunghezza) parrebbe una forma abbastanza banale, se così si può dire: è infatti la pronuncia del nome della lettera M, che caratterizzava le pietre miliari. 

IPORÍGE "Ivrea" è una diretta evoluzione della forma celtica Eporēdiā "(Luogo) della Cavalleria" (cfr. gallese ebrwydd "rapido", da *epo-rēdos; antico irlandese echraḋ "cavalli (coll.); cavalleria; cavallo da corsa", da *ekwo-rēdos), avvenuta di certo in modo indipendente dal piemontese Ivrèja. Queste forme toponomastiche devono essere il risultato di tardi esiti del gallico parlato, piuttosto che di forme assimilate dal latino volgare: l'usura fonetica è più "corrosiva" di quella del lessico latino avvenuta nel romanzo e presenza mutamenti anomali - ovviamente trascurati dai romanisti. 

LÜ'FA "pioggia": A. traduce questa parola con "acqua". Chiaramente il significato di "pioggia" è secondario e si è sviluppato da quello più generale. Nigra cita anche la forma verbale LÜ'FET "piove".

MANDÓCA "vacca". La radice preindoeuropea di questa parola si trova nel basco mando "mulo" e nel paleosardo, ma anche nel celtico mandu- "cavallino" (passato in latino come mannus "cavallino", da un dialetto che aveva -nd- mutato in -nn-, forse il leponzio). Con ogni probabilità nella lingua neolitica di origine significava "animale domestico (bovino o equino)".

MORÉJNA "lardo" ha vasti paralelli in moltissime lingue nostratiche ed afroasiatiche. Tra questi derivati si annovera la radice indoeuropea *smeru- "grasso, unto", tipica del germanico e del celtico, che però non sembra essere la diretta origine della forma valsoanina.   

MÓSSA "vino" lo associo al basco ozpin "aceto", dal protobasco *boz-bin "idromele acido": la radice d'origine, *boz-, da un precedente *moz- (-z- trascrive una sibilante sorda laminale), doveva essere lontanamente imparentata con l'indoeuropeo *medhu- "idromele; miele". Parole simili si trovano anche in altri argot e devone essere residui di lingue antiche.

PÉLJO "pietra" è da una radice di sostrato *pel(l)-, tuttora ben viva in diverse parlate dell'arco alpino. In Trentino (Agordo, Livinallongo) si ha pelf "roccia durissima". In Savoia si ha peilevo "roccia", dalla stessa radice. Persino in greco antico si ha un relitto preindoeuropeo πέλλα (pella) "roccia", tramandatoci da Esichio. Abbiamo poi la variante apofonica *pal-, che è ben documentata nell'idronimo ligure Vindupale "Pietra Bianca" (che attualmente porta il nome romanzo di Prealba, dalla traduzione latina Petra Alba), oltre che nel leponzio epigrafico pala "lapide".

Mi sono accorto che Nigra non riporta nulla di simile a BURGÒGNA "sera", ma oltre a LOMBART "sole" ha anche LOMBARDA "luna". Una singolare contraddizione con le glosse di A., spiegabile supponendo che la Rüga non sia mai stata un linguaggio monolitico e che avesse numerose varietà locali, spesso con divergenze lessicali anche notevoli.   

Molte simili parole, attribuite all'argot di Locana in Val Soana, sono riportate nell'opera di Arturo Aly-Belfadei, Archivio di psichiatria, scienze sociali e antropologia criminale (Torino, 1900). L'autore, rappresentante moralista delle mostruosità dello Stato-Moloch e del suo insopportabile paternalismo, riteneva ogni argot come una manifestazione criminale da sopprimere - previa schedatura per finalità poliziesche. L'ortografia usata per trascrivere i vocaboli è molto simile a quella già adottata dal Dauzat nel riportare i dati del Nigra.  

BASÔRDA "fame"
BRÍA
"guerra"
CRÒJNA "scrofa"
DÖRBI "padre"
DÖRBJA "madre"
GÀUNA "gatto"
GRÍA "carne"
GÖRBA "paese natio"
LIMA "camicia"
LÖRNA "re"
MÖRCH "ricco"
MOSA "vino"
RÜGA "calderaio"
TAMPA "finestra"


Si noterà che Aly-Belfadei glossa PIÉRLO con "monsieur, seigneur": ËL BÔN PIÉRLO è glossato con "Dieu" (alla lettera "Il Buon Signore"). Nigra ha invece LO BON PJÉRLO "Dio" e cita una forma femminile PJERLÜ'A "signora". Secondo Dauzat, che riporta i dati di Nigra, il significato originario del termine sarebbe "padre" nel dialetto locale e avrebbe una variante PIRLO

RÜGA "calderaio" spiega il nome stesso del gergo di cui ci stiamo occupando. Con ogni probabilità è un derivato di RÜF "fuoco". 

Infine faccio notare una cosa singolare che mi ha molto stupito. Oltre a parole molto peculiari e dall'aspetto antico, sia nel lavoro di Nigra che in quello di Aly-Belfadei ne troviamo moltissime deludenti. Si tratta di parole romanze dotate di suffissi. Questi sono alcuni esempi: 

AGNELÁRRO "agnello"
AUTRÉNC
"altro"
AVILJÓCA "ape"
BINÉNC "bene"
CAVAGNÓCA "cavagna"
DOVANTÉNC "davanti"
FJATÁRRO "soffio"
FJEURÓCA "fiore"
GABJÓCA "gabbia"
GIOANÁRRO "giovane"
GIOVENÓCA "giovane"
MELÜ' "miele"
MESÁRRO "mese"
NOVÁRRO "nuovo"
ORSÁCO "orso"
ORSÜ' "orso"
OSSÁCO "osso"
PONTÁRRO "ponte"
SANGÁRRO "sangue" 


La Rüga ha un lessico che comprende sia forme antichissime, sopravvivenze di sostrati preromani, che forme più recenti (in taluni casi addirittura banali, es. BEC "capra", cfr. italiano becco; BROC "cavallo", cfr. italiano brocco; MÜCA "vacca", cfr. italiano mucca). Sembra di ravvisare una strana tendenza a sostituire forme criptiche antiche con forme moderne più trasparenti, prossime all'italiano o al piemontese, o addirittura ottenute da parole italiane aggiungendo suffissi - cosa che appare un controsenso, essendo la finalità di un gergo quella di risultare incomprensibile agli estranei. In molti casi due o più forme convivono (TARGA "bene" rispetto a BINÉNC; MANDÓCA "vacca" rispetto a MÜCA, etc.), come se fosse avvenuto un imponente processo di rilessificazione. Le forme celto-liguri o di origine ignota sembrano essere sfavorite nella competizione.

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