Questa definizione è tratta dalla versione online del Vocabolario degli Accademici della Crusca:
MELICHINO.
Definiz: Lat. vinum ex malis, *pomatium.
Esempio: G. V. 11. 82. 2. Facea, e vendea il melichino, cioè cervogia fatta con mele.
Definiz: Lat. vinum ex malis, *pomatium.
Esempio: G. V. 11. 82. 2. Facea, e vendea il melichino, cioè cervogia fatta con mele.
Il vocabolo melichino sarebbe dunque un sinonimo di sidro e del lombardo vin de pomm. Questo termine non va confuso con il nome dei melichini piacentini, biscotti rustici fatti con la farina di mais. Tutto parrebbe chiaro, eppure non è così.
La glossa latina corretta di melichino è infatti vinum ex melle, hydromeli (1), medus (2)
(1) dal greco
(2) dal gallico
La traduzione italiana corretta è questa:
melichino = idromele leggero
In altre parole, siamo di fronte a un annoso abbaglio: melichino non è un altro nome del sidro e almeno in origine indicava una bevanda ben diversa.
In altre parole, siamo di fronte a un annoso abbaglio: melichino non è un altro nome del sidro e almeno in origine indicava una bevanda ben diversa.
Una distorsione antica
Vi ricordate di Nicolò Tommaseo (1802 - 1874)? Era quello che derideva Leopardi e che è stato reso cieco dalla sifilide, dopo un'assidua frequentazione dei bordelli di Parigi. Scrisse un detestabile romanzo, Fede e bellezza (Venezia, 1840), che Manzoni definì "un pasticcio mezzo giovedì grasso e mezzo venerdì santo", mentre Cattaneo ne parlà come di "una lunga e turpe storia per trovar marito". I suoi ingredienti sono misticismo, erotismo, senso del peccato, profonda religiosità e decadentismo. A onor del vero va detto che il Tommaseo ha compiuto anche qualche opera meritoria, avendo prodotto assiene a Bernardo Bellini (1792 - 1876) il Dizionario della Lingua italiana (1a ed. 1861), il più importante del Risorgimento. Questo lavoro monumentale è sinteticamente noto come Tommaseo-Bellini. Essendo deceduti sia Tommaseo che Bellini, gli ultimi due volumi furono portati a termine da Giuseppe Meini (1810 - 1889): a lui si devono tutte le voci da si a zuzzurellone. Dovremmo quindi definire l'opera in modo più corretto come Tommaseo-Bellini-Meini.
Nicolò Tommaseo e Bernardo Bellini portavano avanti convenzioni ortografiche più antiche, seguite da moltissimi altri autori secoli prima di loro. Così scrivevano sistematicamente "mele" per "miele". L'ambiguità non esisteva a livello fonetico: era soltanto grafica e avrebbe potuto essere evitata tramite l'uso di un accento: mèle = miele. Tutti davano per scontata l'immediata comprensibilità delle loro parole, non si rendevano conto delle ambiguità e non immaginavano le conseguenze ultime delle loro scelte, come quella di non usare alcun accento per distinguere il miele dalle mele. L'opposizione tra i due lemmi omografi è così descritta in dettaglio:
mele /'mɛle/ "miele" - mele /'mele/ "mele"
Non comparendo alcun diacritico, è tuttora possibile ingenerare confusione tra chi legge l'opera e non è informato a sufficienza. Ecco la voce MELICHINO (contrassegnata con una croce + perché caduta in disuso già all'epoca) nel Tommaseo-Bellini:
+ MELICHINO. S m. Cervoglia fatta con mele. V. Melca nel De Vit., e anche il § 6 di Melicus e Meninon in Cel. Aurel.; e Melinus e Mellinia in Plaut., e in Plin. Melitinus, e in Apic. Melizomum, e nell'Onom. lat. gr. Mellaceum. G. V. 11. 82. 2. (C) Facea, e vendea il melichino, cioè cervogia fatta con mele.
Si vede subito che la definizione è stata presa direttamente dal più antico Vocabolario degli Accademici della Crusca. La citazione "Facea, e vendea il melichino, cioè cervogia fatta con mele", ripresa tal quale e incompleta, è dall'opera di Giovanni Villani (1280 - 1348), storico, cronista e mercante fiorentino, autore della Nuova Cronica. Perché dico che è incompleta la citazione del Villani? Perché l'originale è questo (Nuova Cronica, Libro dodicesimo): "Alla fine si levò in Guanto uno di vil mestiere, che facea e vendea il melichino, cioè cervogia fatta con mele, ch'avea nome Giacopo d'Artivello, e fecesi maestro della Comuna di Guanto". Il toponimo Guanto è riferito alla famosa città di Gand (fiammingo Gent), nelle Fiandre Orientali. Subito dopo il Villani aggiunge: "E questo fu l’anno MCCCXXXVII; e per suo bello parlare e franchezza montò in brieve tempo in tanto stato e signoria col favore della Comune di Guanto, che cacciò di Fiandra al tutto il conte e tutti i suoi seguaci, e così di Guanto e di Bruggia e d’Ipro e delle altre ville di Fiandra ch’amavano il conte; imperò che chiunque facea resistenza si partia di Guanto con VIm o più della Comuna, e venia contro a que’ cotali, a combatterli e cacciarli; e così in poco tempo fu al tutto signore di Fiandra." Non sta parlando di Firenze. Ne deduciamo in ogni caso che l'autore riteneva l'uso del melichino proprio di genti di infima condizione sociale.
Ecco le necessarie glosse alla definizione della Crusca, a quella di Tommaseo e alla citazione da Villani:
con mele = col miele
cervogia fatta con mele = bevanda fermentata fatta col miele
Veniamo ora alle voci latine e greche riportate da Tommaseo-Bellini:
1) melca = latte con aceto e spezie
Non ha attinenza col melichino, essendo un latte acidulo e aromatizzato. Si veda il mio contributo sull'argomento:
Le altre voci citate sono senza dubbio derivate dal latino mel "miele" o dal greco meli "miele":
melinus (varie fonti, lat.)
mellinia (lat.)
melitinus (Plinio il Vecchio, < gr.)
melizomum (Marco Gavio Apicio, < gr.)
mellaceum (lat.)
Va espunta la voce melicus "poeta lirico; melodioso", che è dal greco μελικός (melikós), a sua volta da μέλος (mélos) "canzone, verso di una poesia", ma anche "membro, parte del corpo" - di cui non ho trovato nessun significato secondario attinente alla nostra trattazione: probabilmente il Tommaseo è incorso in un equivoco, interpretando con ingenuità "melodioso" come "dolce".
Nessuna delle voci elencate può essere derivata dal nome della mela, che in latino era mālum. Siccome Tommaseo e Bellini queste cose le dovevano sapere bene, è evidente che alludevano a un idromele leggero e non a un sidro di mele. Ancora una volta c'è stata un'interferenza con le cazzute e fantomatiche mele!
Riporto qualche dettaglio in più.
2) melinon = tipo di impiastro
greco: μέλινον
Indubbiamente è una voce greca, anche se il suffisso in nasale -in- è ben strano, dato che i derivati di μέλι (meli) "miele" sono formati con μελιτο- (melito-) e μελισσο- (melisso-).
La grafia meninon, erronea, è un refuso del Tommaseo-Bellini. Il demone Titivillus è sempre stato all'opera! Ecco il passo del medico Celio Aureliano che cita la preparazione (Morborum chronicorum libri V, tomo II):
Adponenda praetera extrinsecus emplastra, quae in cicatricem ducere valeant, ut est melinon, ac deinde siccantia magis.
Tum cum firmum adparuerit lenimentum, erit amitaonion imponendum, vel polyarcyon malagma, admixto cerotario, ex oleo Cyprino confecto, parte tertia: siquidem haec singularia primo tempore aegrotantes ferre minime possint.
Come si può notare, già esistevano i cerotti, alla lettera pezzi di cera usati per chiudere e curare le ferite. Come tutti i prodotti delle api, la cera è ricca di potenti antibiotici naturali.
3) melinus = di miele; relativo al miele
Questo aggettivo è strano per essere genuinamente latino: ci saremmo aspettati una liquida doppia -ll- e non siamo in grado di spiegarci l'anomalia. Potrebbe essere un prestito dal greco, che però ha derivati di μέλι (meli) "miele" formati con μελιτο- (melito-) e μελισσο- (melisso-). Non deve essere confuso con forme quasi omonime ma con vocale -ē- lunga:
mēlīnus "di martora, di tasso" (donde mēlīna "sacca di pelle
di tasso"), derivato da mēlēs "martora, tasso"
di tasso"), derivato da mēlēs "martora, tasso"
mēlinus "di mela cotogna"; "di color giallo cotogna" (dal greco
μήλινος)
μήλινος)
mēlinum "olio di cotogne" (dal greco μήλινον)
Questi sono due sostantivi che hanno a che fare con bevande ottenute dal miele:
i) melina = idromele
glossa inglese: mead
Nello Pseudolus (Atto 2, scena 4, 51), Plauto ha scritto:
murrinam, passum, defrutum, melinam promere quoiusmodi "prendere vino di mirra, passito, vino cotto e idromele, di qualunque tipo".
Sono menzioni di varie bevande dolci in uso a Roma all'epoca, tra cui un vino aromatizzato alla mirra (murrina), un degno passito fatto con uvette (passum) e un poco salutare vino cotto in pentole di piombo e addolcito dalla reazione naturale col metallo tossico: è il famigerato dēfrutum (dēfrūtum), che sarebbe saggio rifiutare anche in condizioni di astinenza.
Altri riportano mellam anziché melinam: va detto che i testi di Plauto sono soggetti a letture e tentativi di restauro piuttosto capricciosi. Basti pensare che anziché quoiusmodī troviamo quoiquoimodī e quoivismodī. Tuttavia la scansione metrica del verso trocaico dimostra che non sarà da leggersi *mellam e che la forma melinam è perfettamente legittima. Ecco l'alternanza di sillabe lunghe e brevi:
mur- (lunga)
-ri- (breve)
-nam (lunga)
pas- (lunga)
-sum (lunga)
dē- (lunga)
-frū- (lunga)
-tum (lunga)
me- (breve)
-li- (breve)
-nam (lunga)
quo- (lunga)
-ius- (lunga)
-mo- (breve)
-dī (lunga)
Chiaramente la voce in questione è derivata dalla sostantivazione dell'aggettivo melinus "di miele; relativo al miele". Ne esiste una variante con consonante doppia e vocale lunga nel suffisso:
ii) mellīna = idromele
glossa inglese: mead
E' riportato che questa variante di melina "idromele" si troverebbe in Plauto, nell'Epidicus (Atto 1, scena 1, 23), ma si vede subito che non è così:
Ubi is ergost? nisi si in vidulo aut si in mellina attulisti "Dov'è dunque? A meno che tu non lo abbia portato in una valigia o in una borsa"
In questo caso mellīna è una variante di mēlīna "borsa di pelle di tasso" e non c'entra con l'idromele, a dispetto di molte citazioni trovate nel Web.
4) mellinia = dolcezza, delizia
sinonimi: dulcedo, dulcitudo, dulcitas, dulcor, mel
Plauto ha scritto nel Truculentus (Atto 4, scena 1, 6):
hoc nimio magnae melliniae mihist "ciò è per me di troppo grande delizia".
Non siamo di fronte al nome di una bevanda, bensì a un semplice sostantivo astratto.
5) melitinus = mellifero, relativo al miele
È dal greco μελίτινος (melítinos) "fatto di miele". In Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, Libro XXXVI, 33) si trova la seguente menzione del termine:
Melitinus lapis sucum remittit dulcem melleumque. tunsus et cerae mixtus erutionibus pituitae maculisque corporis medetur et faucium exulcertioni, epinyctidas tollit, volvarum dolores inpositus vellere.
"La pietra melitina emette un liquido dolce e di miele. Pestata e mischiata alla cera cura le eruzioni di catarro e le macchie del corpo e le ulcerazioni delle gole, toglie le pustole notturne e, messa sopra con un panno di lana, i dolori degli organi femminili."
Non sembra essere lo specifico nome di una bevanda: è piuttosto un medicamento di dubbia efficacia. Si nota che in greco il suffisso -in- ha la vocale lunga, mentre in latino ha la vocale breve.
6) melizōmum = sciroppo di miele
greco: μελίζωμον
Questo è quanto scrisse Marco Gavio Apicio nel De re coquinaria (1, 2, 2):
II. Conditum melizomum viatorium.
1. Conditum melizomum perpetuum, quod subministratur per viam peregrinanti: piper tritum cum melle despumato in cupellam mittis conditi loco, et ad momentum quantum sit bibendum, tantum aut mellis proferas aut vinum misceas sed, si vas erit, nonnihil vini melizomo mittas, adiciendum propter mellis exitum solutiorem.
1. Conditum melizomum perpetuum, quod subministratur per viam peregrinanti: piper tritum cum melle despumato in cupellam mittis conditi loco, et ad momentum quantum sit bibendum, tantum aut mellis proferas aut vinum misceas sed, si vas erit, nonnihil vini melizomo mittas, adiciendum propter mellis exitum solutiorem.
7) mellāceum = mosto cotto
varianti: mellācium
sinonimi: sapa
È una voce postclassica. Il grammatico Nonio Marcello (IV o V secolo d.C.) ha dato nella sua opera De compendiosa doctrina (551, 21) la seguente definizione della parola sapa:
Sapa, quod nunc mellaceum dicimus, mustum ad mediam partem decoctum.
Come si evince dal testo di Nonio, il mosto veniva cotto fino a ridursi della metà (ad mediam partem). Una sopravvivenza romanza di mellāceum è lo spagnolo melaza (in origine il plurale neutro), passato in francese come mélasse, da cui è stato preso l'italiano melassa.
Come si vede, le mele non c'entrano una cippa! Non posso certo dire di essere il primo ad essersi accorto del problema. Vincenzo Monti nel 1821 ha scritto Proposta di alcune correzione ed aggiunte al Vocabolario della Crusca, in cui ha segnalato l'ambiguità:
OSSERVAZIONE
Quel con mele tanto può esser plurale di Mela, quanto singolare di Mele, o sia Miele ; anzi ha più apparenza di questo che dell'altro. Chi assicura dunque al Crusca che la latina definizione Vinum ex malis, Pomatium sia giusta, e non piuttosto Mellina, o com'altri vogliono Melina con una sola l ( v. Plauto, Pseud. 2. 4. 51 ), cioè Pozione fatta col miele? La cervoglia non si fa forse con questo egualmente , anzi meglio?
Cosa ne deduciamo? Possiamo giungere a questa solida conclusione: in origine melichino e vin de pomm non erano sinonimi, ma si riferivano a due diverse bevande che un tempo erano in uso in Lombardia e altrove. La confusione deve poi essere effettivamente subentrata. Nel Dizionario veneziano-italiano di Giuseppe Piccio, II Edizione, con note grammaticali e fonologiche seguite da testi dialettali, Libreria Emiliana Editrice, Venezia (1929), la voce veneziana vin de pomi è tradotta in italiano con "sidro, melichino".
Molti anni fa spiegai a un amico soprannominato Totz, nativo di Sovico, come mi producevo in casa l'idromele usando miele, acqua e lievito. Il Totz mi disse che la stessa ricetta da me descritta, ma con successiva diluizione con acqua, serviva a produrre il vin de pomm. Segno che il melichino aveva preso il nome del sidro, vin de pomm (= vinum ex malis), confondendosi con esso nel sapere comune e dando luogo a una singolare contraddizione. Questa è la spiegazione che mi è venuta in mente, alla luce dei fatti. Ai Lombardi di Milano e della Brianza era necessario produrre una bevanda inebriante, perché il vino era troppo costoso (si trovava soltanto il barbera di Superciuc, che doveva essere importato a caro prezzo dal Piemonte). Quindi si produceva questo spumantino dolce, fatto con miele o con mele, in fondo non importava, bastava che ci fosse qualcosa da bere per stare un po' allegri. Ho notato che il carissimo amico P. "Nodens" chiamava vin de pomm anche il vino moscato del Piemonte e più in generale ogni tipo di spumante dolce. "Gh'è ul vin de pomm!", diceva quando un comune amico apriva una bottiglia. Questo è segno che a un certo punto la locuzione vin de pomm si era separata dal suo significato letterale per indicare qualsiasi bevanda leggermente alcolica, frizzante e di colore chiaro, indipendentemente dalla materia prima utilizzata per la sua produzione (miele, mele, uva). Ho poi letto che nel Cusio, soprattutto a Omegna, per vin de pomm si intendeva invece un vino scadente. Sarebbe utile se la carissima L., che è di Omegna, confermasse l'informazione.
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