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martedì 30 agosto 2022


IL CEKISTA
(ČEKIST)

 
Titolo originale: Чекист
Titolo in francese: Le Tschékiste
Lingua originale: Russo  
Paese di produzione: Russia, Francia
Anno: 1992
Durata: 91 min
Genere: Drammatico 
Sottogenere: Genocidario, torture porn  
Formato: Colore - 35 mm - Mono 
Regia: Aleksandr Rogožkin 
Produttore: Oleg Kon'kov 
Casa di produzione: Sodaperaga (Parigi), La Sept (Parigi), 
    Troitsky Most (San Pietroburgo) 
Soggetto: Vladimir Zazubrin (racconto) 
Fotografia: Valerij Mjul'gaut
Musiche: Dmitrij Pavlov
Interpreti e personaggi:
    Igor' Sergeev: Andrej Pavlovič
Srubov
    Aleksej Polujan: Ian Karlovič Pepel
    Mikhail Vasserbaum: Isaak "Isa" Katz
    Sergej Isavnin: Semjon Khudonogov
    Vasilij Domračev: Efim Solomin 
    Alexandr Medvedev: Ivan Mudynja 
    Alexandr Kharaškevič: Boje 
    Igor Golovin: Comandante 
    Nina Usatova: Spazzatrice 
    Sergej Zamorev: Dottore 
    Ivan Švedov 
Titoli in altre lingue: 
   Tedesco: Der Tschekist 
   Polacco: Czekista 

Trama: 
Il film è ambientato durante la guerra civile russa nel periodo del Terrore Rosso. In un ufficio provinciale della Čeka, la Commissione di emergenza tutta russa per la lotta alla controrivoluzione e al sabotaggio, in una cittadina senza nome, si svolge il lavoro burocratico di routine. Un lavoro genocidario, che consiste nel trucidare con ferocia davvero satanica chiunque non vada a genio al Partito. Ogni giorno il tribunale della troika della Čeka, composto dal direttore Srubov e dai suoi assistenti, Pepel e l'ashkenazita Katz, legge un lungo elenco di tutti i tipi di controrivoluzionari (reali e presunti) e di "nemici di classe". Gli arrestati vengono sempre giudicati immediatamente colpevoli e la pena, indipendentemente dall'accusa, dal sesso e dall'età della persona imputata, è sempre la stessa: la fucilazione
Nel seminterrato, sotto la supervisione di Srubov, opera il terribile Trasportatore della Morte: i prigionieri vengono sistematicamente portati fuori dalle celle, costretti a spogliarsi, messi contro il muro in cinque e abbattuti a fucilate, di solito alla nuca. In seguito alle uccisioni segrete, i cadaveri nudi vengono poi trascinati a piedi attraverso un'apposita finestra della cantina, caricati su un camion e portati via, per scomparire per sempre senza lasciare traccia (il fondato sospetto è che alimentino un mercato di carne umana). 
Srubov, un giovane di famiglia intellettuale, parla filosoficamente della necessità storica dello Sterminio al servizio della Rivoluzione Bolscevica. È altamente organizzato, rispettoso, spietato e assolutamente fedele alla causa: opera incessantemente come genocida. Alla fine, tuttavia, i rimorsi di coscienza diventano così insopportabili per lui che, dopo l'uccisione di suo padre per mano del compagno della Čeka e amico personale Katz, sperimenta una condizione di sempre più forte instabilità mentale. Un giorno incontra un gruppo di contadini ribelli, sono ancora i servi della gleba dell'epoca dei tempi dello Zar, solo formalmente liberati dalla loro condizione di schiavitù. Il Čekista sentenzia che sono innocenti e li lascia liberi; quelli fuggono in modo disordinato. Dice che la Rivoluzione non è confisca, non è fucilazione, non è la Čeka: la Rivoluzione è la fratellanza tra lavoratori. A questo punto ha un gravissimo crollo nervoso e viene internato in un manicomio. L'esame medico rivela uno stigma a forma di cicatrice da proiettile sulla parte posteriore della testa. In una sequenza minacciosamente simile alle esecuzioni a cui ha condannato così tante persone, gli ordinano di spogliarsi, quindi viene messo contro il muro e spruzzato con acqua gelida che scaturisce con violenza da un tubo. Il finale è surreale: si vede Srubov a cavallo nella steppa innevata con i suoi uomini, come in un sogno in bianco e nero. Si capisce benissimo che si tratta di una visione di pre-morte.  

Citazioni: 

"Sì, la Rivoluzione è crudele e povera. E avida di sangue. Succhia la linfa delle persone migliori. Ma è indispensabile spegnere la sua sete con la linfa e con il sangue. Per scuotere e rinnovare questo mondo... ..bisogna passare attraverso tormenti, sudiciume e sofferenze. Il nuovo non nasce senza tormenti e sangue." 
(Srubov) 

"Per reprimere il caos serve un potere forte, persino crudele. Ecco perché lo scantinato. In Francia tutti vedono la ghigliottina. Il condannato è come un attore in un teatro. Qualunque stupidaggine dica... colpisce lo spettatore e dà forza morale alla lotta. Invece l'esecuzione nello scantinato, nascosta, segreta... senza annunci di condanna, senza conseguenze... distrugge l'individuo moralmente. Dopo la morte non rimane niente."  
(Srubov)

Dialoghi: 

Srubov: "Pepel, ha mai riflettuto sul terrore? Non le hanno mai fatto pena i fucilati?" 
Pepel: "Io sono un operaio e lei un intellettuale. A me l'odio, a lei la filosofia." 


Sequenze memorabili: 

Una coppia di giovani amanti, messi al muro, si tiene per mano. Tra loro c'è una seconda donna, verosimilmente estranea, ma le mani della coppia si congiungono dietro la sua schiena. Un esecutore spara un colpo proprio nel cranio della donna tra i due amanti, abbattendola. 

Una ragazza sensuale e nuda, già pronta per l'esecuzione, si gira verso i carnefici e cerca di sedurli. Ha i capelli castani e dice che vuole vivere, che ha tanta voglia di vivere. Gli assassini esitano, sono come paralizzati di fronte alle sue tette, al triangolo di peli neri del pube. Abbassano le armi. Srubov estrae la pistola e spara a sangue freddo alla giovane, aprendole un terzo occhio nella fronte. Una ragazza bionda vicino a lei si ribella urla: "Bestia!" Viene messa al muro, le viene forato il cranio e cade esanime.  

Un uomo scalciante viene portato al muro. Si dimena, impreca e urla: "Canaglie! Vermi! Siate maledetti! Tanto non potete uccidere tutti!" Non era un controrivoluzionario. Era un anarchico venutosi a trovare di fronte al crollo di ogni illusione sulla bontà innata del genere umano. Il plotone spara e lo abbatte. 

Il prete ortodosso che cerca di conservare una dignità religiosa, dicendo agli esecutori che non può spogliarsi davanti alle donne; la signora matura che va al muro cercando di convincere i carnefici ad occuparsi della sua gattina grigia, rimasta a casa da sola e senza cibo (loro la tranquillizzano, dicendo che se ne occuperanno, ma figuriamoci che gliene frega a loro dei gatti, quelli macinano esseri umani, li fanno a polpette). 


Recensione: 
Questo è cinema iper-realistico. È torture porn a tutti gli effetti. La sua visione mette a dura prova la salute mentale dello spettatore. L'opera di macelleria è incessante, a ciclo continuo. Giudizio sommario, sancito dalla parola rasstrél "fucilazione", condannati messi al muro nudi come vermi, esecuzione, rimozione dei cadaveri tramite carrelli su binari. Al termine del ciclo, i corpi sono issati con ganci, come carcasse di porci, sparendo alla vista dello spettatore tramite una finestra simile a una botola. Sembra di essere in un loop infinito, in un circuito temporale chiuso che si ripete, uccidendo le vittime "fino ai limiti dell'Eternità, se l'Eternità potesse avere dei limiti". È l'Inferno. Il Terrore Rosso è stato un genocidio nel senso più stretto della parola, senza nessuna possibilità di fraintendimento. La definizione giuridica di genocidio, in base al Diritto Internazionale, è questa: "atto commesso con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso". In questo caso si tratta di un gruppo nazionale. Se dipendesse da me, utilizzerei, anziché "distruggere, in tutto o in parte", l'espressione "annientare" (tedesco: vernichten). L'intenzione genocidaria è in ogni caso l'annientamento (tedesco: Vernichtung). La distruzione parziale è solo dovuta all'impossibilità pratica, in  un dato contesto, di portare a termine l'annichilimento del gruppo perseguitato. Un gruppo nazionale può anche essere una classe sociale, come ad esempio i kulaki (contadini abbienti) fatti annientare da Stalin. Di fronte alla potenza delle sequenze mostrate da Rogožkin, alcuni critici cinematografici reagiscono con argomenti capziosi. Ci sono quelli che parlano di "decontestualizzazione" o di "pseudo-ricostruzione", attestandosi su posizioni negazioniste e revisioniste, affermando in buona sostanza che la Čeka non avrebbe mai ucciso nessuno (proprio come si trovano adepti di Comunione e Liberazione pronti a giurare sull'innocuità dell'Inquisizione).  Non osano dire esplicitamente queste cose allucinanti, ci girano però attorno di continuo. Poi ci sono critici cinematografici che usano un argomento di altro genere: sostengono che anche se qualcuno è stato ucciso, non si sarebbe trattato di un vero e proprio omicidio, perché la Rivoluzione "esprimeva la potenzialità di un'utopia". Quindi l'omicidio per motivi utopistici, sarebbe pienamente giustificabile, la sua colpa sarebbe del tutto irrilevante. Anche in questo caso, hanno paura di dirlo in modo esplicito, nei termini crudissimi da me usati, ci girano però attorno di continuo. 
Consigliato a tutti, anche a chi ha lo stomaco debole! L'ideale è guardarlo prima di mangiare un ricco piatto di frattaglie! 


Etimologia di Čeka 

L'origine del famigerato nome del corpo di polizia sovietico è semplicemente la pronuncia delle due lettere che compongono la sigla ЧК, che a sua volta è l'abbreviazione di чрезвычайная комиссия (črezvyčajnaja komissija) "Commissione straordinaria". Simili formazioni lessicali sono comuni nei regimi totalitari: rispondono all'esigenza di creare un linguaggio nuovo, qualcosa che faccia tabula rasa del mondo preesistente.

Etimologia di rasstrél "fucilazione",
rasstrelját' "fucilare" 

расстрел (rasstrél
sostantivo  
genere: maschile inanimato
declinazione: genitivo расстрела (rasstréla),
     nominativo plurale расстрелы (rasstrély),
     genitivo plurale расстрелов (rasstrélof
traduzione: fucilazione, esecuzione
      (da parte di un plotone); abbattimento; raffica 
note fonetiche: la consonante -l finale è pronunciata in modo velare, "oscuro", tanto da sembrare quasi una -u

расстрелять (rasstrelját'
verbo transitivo 
imperfettivo: расстреливать (rasstrélivat')
traduzione: fucilare, sparare a morte a qualcuno; esporre qualcuno a fuoco pesante (di artiglieria, etc.) 
formazione:
раз (raz-), prefisso che indica disgiunzione o allargamento di un'azione + стрелять (strelját') "far fuoco, colpire", a sua volta derivato da стрела (strelá) "freccia". Prima dell'introduzione delle armi da fuoco, il verbo indicava l'esecuzione tramite frecce. Il nome russo della freccia, strelá, è di origine germanica (gotico *strela /'stre:la/). 


Un genocidio che ha fatto scuola

Quello di Braunau scrisse 
nel Mein Kampf a proposito delle mattanze del Bolscevismo e del Terrore Rosso, attribuendo la responsabilità agli ebrei, ossia a Lenin, Trotskij (nato Bronštejn) et alteri. Così diceva, che essi avevano sterminato milioni di persone con una ferocia davvero satanica. Ebbene, quando si decise ad emulare tale ferocia, rivolgendola contro lo stesso popolo ashkenazita che accusava, ci riuscì alla perfezione. È singolare constatare che si presentasse come Alfiere della Libertà nella lotta contro il Tiranno e poi agisse come il Tiranno stesso che condannava. Ecco il testo originale in tedesco: 

"Nun beginnt die große, letzte Revolution. Indem der Jude die politische Macht erringt, wirft er die wenigen Hüllen, die er noch trägt, von sich. Aus dem demokratischen Volksjuden wird der Blutjude und Völkertyrann. In wenigen Jahren versucht er, die nationalen Träger der Intelligenz auszurotten, und macht die Völker, indem er sie ihrer natürlichen geistigen Führer beraubt, reif zum Sklavenlos einer dauernden Unterjochung.
Das furchtbarste Beispiel dieser Art bildet Rußland, wo er an dreißig Millionen Menschen in wahrhaft fanatischer Wildheit teilweise unter unmenschlichen Qualen tötete oder verhungern ließ, um einem Haufen jüdischer Literaten und Börsenbanditen die Herrschaft über ein großes Volk zu sichern."  

Questa è la traduzione riportata nell'edizione a cura dello storico Giorgio Galli (pagg. 290-291): 

"Infine comincia la grande rivoluzione finale. Quando ha raggiunto il potere politico, egli getta la maschera. L'ebreo popolare e democratico si trasforma in ebreo sanguinario e tiranno del popolo. In pochi anni egli tenta di sradicare i portatori della "intellighenzia" nazionale, e togliendo ai popoli la loro guida naturale e spirituale li fa maturi per una eterna soggezione. 
Il più spaventoso esempio di ciò ci offre la Russia, dove l'ebreo lasciò morire di fame o uccise circa 30 milioni di uomini con una rabbia fanatica e selvaggia e dopo tormenti inumani; e ciò per assicurare a un mucchio di ebrei letterati e banditi di Borsa il dominio sul popolo."  

Ed ecco alcune spiegazioni storiche molto interessanti: 

"Il concetto centrale, su cui Hitler sarebbe tornato più volte in Mein Kampf, può essere espresso mediante l’espressione bolscevismo giudaico. Per Hitler, i marxisti sono solo delle marionette, dei burattini. I veri registi del movimento comunista, infatti, sono gli ebrei, che sfruttano il malcontento operaio per scatenare rivoluzioni, al termine delle quali essi, e solo essi, saranno al vertice del potere." 
(Fonte: Regione Emilia-Romagna, Cittadinanza attiva in Assemblea)

"Hitler si convinse che gli ebrei stessero da secoli congiurando segretamente per la conquista del mondo. Come dimostravano sia la rivoluzione russa sia la disfatta tedesca del 1918, la principale arma di cui essi si servivano era il marxismo, per mezzo del quale gli ebrei distruggevano la coesione interna di una nazione, la portavano alla catastrofe e infine se ne impadronivano."
(Fonte: Regione Emilia-Romagna, Cittadinanza attiva in Assemblea


Lo strano caso di Katz, ebreo antisemita 

A un certo punto nel film, l'ashkenazita Katz si trova di fronte Zigelman, un membro del suo stesso popolo, intabarrato nelle vesti tradizionali e rappresentato con i tipici tratti grotteschi degli stereotipi streicheriani: fisico ingobbito e macilento, nasone prominente, lineamenti caricaturali. Si ha l'impressione che quell'anziano ashkenazita riesca facilmente ad essere liberato da ogni capo di accusa e tratto in salvo. La sua fucilazione è impensabile, dato che il potere della Tribù dei Numeri doveva essere esteso e trasversale in quel contesto. In ogni caso un malore lo stronca all'improvviso e risparmia a Katz una grossa bega. Riporto in questa sede il grettissimo dialogo.

Katz: "Cognome, nome e patronimico" 
Zigelman: "Karl. Genrichovic. Marx."  
Katz: "Scherza, cittadino Zigelman!"
Zigelman: "Non capisco quello che volete da me. Che danno ho arrecato al vostro potere? Tutto quello che avevo ve l'ho dato." 
Katz: "Ve l'hanno tolto" 
Zigelman: "L'ho dato senza fare resistenza. Qual è la mia colpa? Suo padre ha lavorato nel mio negozio... ..e lei ha potuto studiare."
Katz: "Mio padre ha sgobbato tutta la vita per lei!" 
Zigelman: "Suo padre mi ha rubato 500 rubli!"
Katz: "Che cosa?" 
Zigelman: "E se non fosse per lei, sarebbe in galera. Lei ha studiato con i soldi della comunità!"
Katz: "Lei per tutta la vita ha succhiato il sangue del popolo!" 
Zigelman: "Il popolo non veniva nella mia gioielleria. È successo solo una volta, e da allora non ho più il negozio. Voi me lo avete tolto."
Katz: "Giudeo! Sì, tu!"
Zigelman: "Io?"
Katz: "Sei un giudeo." 
Zigelman: "Ma tu stesso lo sei! Guardati allo specchio! Invece di farti studiare, dovevamo riempirti di botte!" 
(si adira, prende il capo di Katz e lo sbatte contro il tavolo) 
Katz: "Lasciami, mi fai male!"
(Zigelman, colpito da infarto, muore) 

Cosa sarebbe successo se Zigelman non fosse morto di colpo per l'attacco cardiaco? Sarebbe successo che Katz l'avrebbe mandato libero. Il regista non se l'è sentita di scavare troppo argomenti tanto controversi e sensibili, che avrebbero potuto fruttargli l'accusa di essere antisemita. 


Evacuazione, smaltimento 

Di fronte alla grande massa di cadaveri, per giunta in un paese afflitto da una grave carestia, non si può credere allo spreco di tanta carne. Rogožkin allude in modo indiretto alla pratica dell'antropofagia, pur senza citarla in modo esplicito. Srubov al ristorante, di fronte a un piatto carneo, esclama: "Ti avevo detto di non preparare la carne!" Come mai? Lo spettatore può credere che sia per via del disgusto provocato dalla vista di tanti morti. Si potrebbe però, più facilmente, pensare che sia per la conoscenza della provenienza della materia prima di quei piatti, ricavati dal prodotto delle carneficine.  
Esiste una proteina tipica di ogni specie, che identifica il tessuto muscolare: la miosina. Se viene rinvenuta negli escrementi la miosina umana, è assolutamente certo che qualcuno ha compiuto atti di cannibalismo. Forse un giorno saranno rinvenuti resti dei corpi scomparsi durante i massacri compiuti dalla Čeka e si potranno trovare nel terriccio tracce di questa proteina tracciante del cannibalismo, ad esempio nei luoghi in cui c'erano pozzi neri.  

Altre recensioni e reazioni nel Web

Girando nelle vastità immense della Rete, mi sono imbattuto in alcuni frammenti meritevoli di grande considerazione. Li riporto in questa sede. 

Nessuna apparizione della "pietas" cristiana ; solo il progressivo decadimento del nostro "eroe della rivoluzione" , mentalmente sempre più a disagio e distrutto dall'abbandono della moglie , ci da la parvenza dello scorrere del tempo in questo film che non è altro che un giretto all'inferno ... senza ritorno .
(tabula rasa elettrificata, Filmtv.it

La teoria e la fisicità delle esecuzioni enfatizzano l'anima violenta della nascita dell'Unione Sovietica, non è possibile nessuna evasione dalla realtà disumana in cui Rogozhkin ci ha condotto di forza. La sua messa in scena è inesorabile, programmatica ma capace di sfiorare ed evitare lo stucchevole puntando diritto al buio della Storia. Un'opera dura e politicamente necessaria che se ne frega del revisionismo storico e in una manciata di set, distrugge l'utopia della dittatura del proletariato, lasciandoci senza fiato. Tante le frasi ad effetto, tanti i pugni nello stomaco... 
(luca826, Filmtv.it

Le esecuzioni di cui siamo testimoni sono sconcertanti, “Chekist” sembra infatti una catena di montaggio inarrestabile che prevede un interrogatorio farsa, un colpo di pistola in testa e un corpo nudo buttato su un carretto insieme agli altri cadaveri. In quello scantinato, piccoli plotoni attendono soltanto il turno successivo, la prossima famiglia da sterminare. Questo cinema disumano si rivela (ancora una volta) fondamentale per sbatterci in faccia l’indole più infima dei nostri simili, al di là del periodo storico, degli schieramenti o delle ideologie. 
Estremo come un horror, scenograficamente scarno come giusto che sia, “Chekist” rappresenta l’ennesima faccia di un male incurabile ben radicato sul nostro pianeta. Un male chiamato uomo. 
(Paolo Chemnitz, cinemaestremo.wordpress.com)

Oggi sarebbe estremamente difficile girare un film del genere in Russia, in un clima di conformismo intellettuale imposto. Per quanto la Russia attuale sia molto diversa da quella sovietica, pure il regime di oggi non ama le critiche di quello di ieri. Oggi la Russia non si interroga più criticamente sul passato, ma lo mitizza: cancella la memoria delle persecuzioni staliniste come i gulag, e chiude l’associazione Memorial International, che si occupa di mantenere vivo il ricordo dei crimini comunisti, mentre Putin si diletta di revisionismo storico. 

In questo caso non mi è stato di alcuna utilità il sito Il Davinotti, che mostra nella pagina dedicata al film pochissimi commenti di scarso valore.

giovedì 18 agosto 2022


IL POLIZIOTTO È MARCIO 

Titolo originale: Il poliziotto è marcio 
Titolo in inglese: Shoot First, Die Later 
Lingua originale
: Italiano
Paese di produzione: Italia, Francia
Anno: 1974
Durata: 91 min
Rapporto: 1,85:1
Genere: Poliziesco, drammatico, noir 
Sottogenere: Poliziottesco, gangsterologico 
Regia: Fernando Di Leo
Soggetto: Sergio Donati
Sceneggiatura: Fernando Di Leo
Produttore: Galliano Juso, Alberto Marras,
    Ettore Rospoch 
Casa di produzione: Cinemaster, Mount Street Films,
    Mara Film
Distribuzione in italiano: Titanus
Fotografia: Franco Villa
Montaggio: Amedeo Giovini
Effetti speciali: Rémy Julienne (sequenze acrobatiche)
Musiche: Luis Bacalov
Scenografia: Francesco Cuppini
Costumi: Giorgio Gamma
Trucco: Antonio Mura 
Parrucchiera: Vittoria Silvi 
Segretario alla produzione: Gino Soldatelli 
Reparto artistico: Sandro Bellomia, Cristiano Tessari 
Reparto sonoro: Goffredo Salvatori, Massimo Turci 
Assistente alla telecamera: Enrico Biribicchi 
Fotografo: Ermanno Consolazione 
Cameraman: Gaetano Valle 
Continuità: Renata Franceschi 
Interpreti e personaggi: 
    Luc Merenda: Commissario Domenico Malacarne
    Richard Conte: Corrado Mazzari*
    Delia Boccardo: Sandra Rizzo
    Raymond Pellegrin: Pascal Dupont
    Gianni Santuccio: Questore
    Vittorio Caprioli: Serafino Esposito
    Salvo Randone: Maresciallo Antonio Malacarne
    Rosario Borelli: Pietro Garrito
    Monica Monet: La cronista Barbara
    Elio Zamuto: Rio il Portoghese
    Massimo Sarchielli: Rabal il Portoghese   
    Loris Bazzocchi: Sgherro di Pascal
    Sergio Ammirata: Vicecommissario Mario Curcetti
    Gino Milli: Il travestito Gianmaria
    Salvatore Billa: Agente Rizzo   
    Marcello Di Falco: Sgherro di Pascal
    Attilio Duse: Sgherro di Pascal**  
    Marisa Traversi: Contessa Nevio 
    Giampiero Arba: Sgherro di Pascal 
    Mario Garriba 
    Luigi Antonio Guerra: Giovane agente 
    Non accreditati: 
    Bruno Alias: Uomo nella galleria d'arte 
    Calogero Azzaretto: Passante 
    Lucia Baldi: Giornalista 
    Bruno Bertocci: Poliziotto 
    Adriana Bruno: Donna nella galleria d'arte 
    Empedocle Buzzanca: Sgherro nella pista da bowling 
    Dolores Calò: Donna alla stazione di polizia 
    Omero Capanna: Rapinatore in auto 
    Angelo Casadei: Poliziotto 
    Carlo Cattaneo: Uomo nella galleria d'arte 
    Lella Cattaneo: Donna nella galleria d'arte 
    Enrico Cesaretti: Uomo nella galleria d'arte 
    Enrico Chiappafreddo: Sgherro sleale di Pascal 
    Massimo Ciprari: Uomo nella galleria d'arte 
    Luca Damiano: Fotografo di Barbara 
    Domenico Demitri: Poliziotto 
    Ciro Di Mola: Poliziotto alla conferenza
    Gianni Di Segni: Ufficiale al funerale 
    Gilberto Galimberti: Rapinatore col giornale 
    Decio Gambini: Uomo nella galleria d'arte 
    Alfonso Giganti: Ufficiale dei Carabinieri 
    Augusto Innocenzi: Uomo nella galleria d'arte
    Giuseppe Marrocco: Uomo nella galleria d'arte 
    Quinto Marziale: Fotografo nella galleria d'arte 
    Giulio Massimini: Poliziotto alla conferenza 
    Carlo Micolano: Giornalista 
    Attilio Pelegatti: Gioielliere 
    Anna Maria Perego: Donna nella galleria d'arte 
    Virgilio Ponti: Sgherro sleale di Pascal
    Franco Ricci: Poliziotto 
    Mimmo Rizzo: Sgherro di Mazzari 
    Nando Sarlo: Poliziotto 
    Riccardo Satta: Prete 
    Oscar Sciamanna: Giornalista 
    Attilio Severini: Sgherro sleale di Pascal 
    Alvaro Tei: Uomo nella galleria d'arte 
    Sergio Testori: Agente alla stazione di polizia 
    Clemente Ukmar: Sgherro slerale di Pascal 
    Aldo Valletti: Poliziotto alla conferenza 
    Isabella Zanussi: Donna nella galleria d'arte 
    Lidia Zanussi: Donna nella galleria d'arte 
     *Molti riportano Mazzanti. I siti in inglese chiamano
     il personaggio Dr. Nazzari o addirittura Dr. Mazzoni.
     **Secondo Wikipedia in italiano è l'agente Aniello.
Doppiatori originali: 
    Sergio Graziani: Commissario Domenico Malacarne
    Giorgio Piazza: Corrado Mazzari
    Pino Locchi: Pascal
    Arturo Dominici: Maresciallo Antonio Malacarne
    Vittoria Febbi: Cronista Barbara
    Luciano De Ambrosis: Pietro Garrito
    Massimo Turci: Il travestito Gianmaria
    Renato Mori: Sgherro di Pascal 
Titoli in altre lingue: 
    Francese: Salut les pourris 
    Spagnolo: Corrupción policial 
    Portoghese (Brasile): Atire Primeiro, Morre Depois 
    Russo: Продажные полицейские 
    Greco (traslitterato): O ektos nomou ekdikitis 
    Turco: İt sürüsü 

Trama: 
Primi anni '70. Milano incubica. Domenico Malacarne è un commissario di polizia che ha un certo successo nello scoprire piccoli traffici di droga e arrestare criminali di poco conto. Tuttavia ha un suo oscuro segreto: è corrotto, al soldo della gang del boss marsigliese Pascal e del suo perfido consigliori, Mazzari. Viene pagato dai criminali per fornire informazioni utili e per offrire copertura a un traffico di sigarette e caffè di contrabbando. L'ingranaggio funziona alla perfezione, anche se c'è qualche attrito: il Commissario Malacarne, con la complicità dell'agente Pietro Garrito, riesce a mettere da parte ben 60 milioni di lire, ad abitare in un appartamento di lusso e a godere di una bellissima amante, la fulva Sandra. Qualcosa però a un certo punto inizia ad andare storto. Pascal fa pressione per ottenere copertura a un traffico di armi e droga, cosa che desta problemi di coscienza del funzionario corrotto. Come a dire: finché si tratta di sigarette e di caffè, va tutto bene, quando si passa a roba davvero pesante, allora non va bene più. Malacarne si mette in mente di ostacolare i corruttori che gli fanno intascare le mazzette. C'è di più: un napoletano trapiantato a Milano, certo Serafino Esposito, sporge denuncia per una macchina che gli ha bloccato l'ingresso di casa. Ricordando il numero di targa del veicolo e avendolo comunicato nel corso denuncia, l'informazione è verbalizzata e si trova nell'esposto. La macchina apparteneva a un uomo di Pascal. Il boss mafioso pressa il commissario affinché metta le mani sul documento, lo sottragga e glielo consegni. Le cose si complicano in modo insostenibile: il padre di Malacarne è un onesto maresciallo dei Carabinieri, in comando proprio nella caserma in cui il napoletano ha sporto denuncia. Di fronte alle insistenze del figlio, che vorrebbe a tutti i costi portarsi via il verbale, il Maresciallo Malacarne comincia ad insospettirsi. Quando Serafino Esposito viene trovato morto, soffocato da un sacchetto di plastica (persino il suo gatto è stato soppresso nello stesso modo), i sospetti si fanno sempre più incalzanti, fino a culminare in una scenata, in cui il commissario ammette platealmente la propria corruzione. Tutto va in merda. Il Maresciallo Malacarne, ferito nel più profondo dei sentimenti, si decide ad agire: consegna l'esposto problematico al figlio, nonostante disapprovi fortemente la sua corruzione. Subito dopo, mentre si trova in riva a un fontanile, viene aggredito e soffocato da un travestito. È Gianmaria, l'amante passivo di Pascal, femmineo ma letale. Si scatena un vortice di inaudita violenza omicida. Il Commissario Malacarne si vendica, massacrando di botte il sodomita e spezzandogli il collo. Il mafioso marsigliese a sua volta fa brutalizzare e uccidere in modo atroce la bellissima Sandra. Alla fine, il funzionario marcio riesce a ottenere la sua vendetta, sparando un colpo nel cranio a Pascal, ma viene a sua volta abbattuto allo stesso modo dall'agente Garrito, che non vedeva l'ora di prendere il suo posto! 


Recensione: 
Innovativo e anticonvenzionale, questo poliziottesco nichilista è a dir poco eccellente. Uno dei massimi capolavori della Settima Arte in Italia. È il primo film italiano di questo genere a trattare in modo esplicito lo scomodo tema della corruzione, avendo come protagonista un funzionario spietato e marcio fin nel midollo delle ossa. Tramite le sue sequenze cupissime ci si immerge in un mondo in cui è morta ogni traccia anche vaga di illusione, per non parlare di redenzione. Pessimismo estremo, apocalittico. Anche per questo mi piace così tanto. La regia è perfetta, il cast è ricchissimo e straordinariamente complesso. Memorabili le scene con gli inseguimenti.  
Ingovernabile e irruento, Luc Merenda è a mio avviso particolarmente azzeccato nel suo ruolo così strano e inedito, innervato di ambiguità. Ha capelli di un indefinibile colore castano-biondiccio tagliati a caschetto e occhi che sembrano carboni ardenti come quelli di Caronte. Il suo corpo è un fascio di muscoli sempre contratti, come quello di una lucertola che guizza perennemente al minimo stimolo dell'ambiente esterno.  
Richard Conte è perfetto nel suo personaggio intriso di perfidia. La sua fisionomia untuosa lo rende particolarmente ripugnante, con quello sguardo diabolico che irradia dai piccoli occhi neri da faina, con quelle orecchie dal lobo allungato, con ciuffi di peli scuri che escono dal condotto uditivo! Sembra in tutto e per tutto un vampiro appena uscito dalla tomba!  
Splendida e sensualissima la fulva Delia Boccardo nella parte di Sandra, una ragazza con velleità artistiche, sempre pronta ad accettare il suo uomo senza porsi troppe domande sui suoi aspetti più controversi: pagherà per questo un prezzo spropositato.  
Raymond Pellegrin ottimo interprete del ruolo del boss viscido e brutale, capace di incredibili efferatezze. Ogni dettaglio della sua odiosa fisionomia sottolinea la natura infernale del personaggio. Calvo, con occhi minuscoli e scuri come pozzi dell'Inferno, pelle lucida come quella di una zecca rigonfia di sangue, corrisponde a certe descrizioni dei vampiri che si dice imperversassero in Ungheria, provocando episodi di panico di massa!
Salvo Randone si distingue per la sua espressione umanissima quanto sofferente. Sembra la personificazione del pathos. È crocifisso in ogni singolo istante della sua esistenza e lo lascia trasparire con tutti i suoi sguardi, con tutte le sillabe che pronuncia.   
Vittorio Caprioli gode di un vasto plauso nel Web, tutti ne dicono mirabilia, eppure lo trovo poco comico nel suo ruolo di attempato napoletano sradicato dalla sua città e diventato acido, insofferente verso tutto e tutti, chiuso nel culto del suo gatto. Eccessivamente querulo, finisce con l'essere molesto quasi come una blatta caduta nel caffè della colazione. Ok, va bene, non esageriamo. Non dico che sia insopportabile, ma poco ci manca. 
Rosario Borelli indimenticabile con la sua espressione truce e la sua postura fiera. Mefistofelico fino all'ultimo istante!   
Gianni Santuccio interpreta bene il ruolo del Questore furibondo. Capelli grigiastri, occhi accesi, carattere bilioso, nutre un particolare odio verso i cosiddetti "capelloni", considerandoli il capro espiatorio di ogni malefatta compiuta dal genere umano nel corso dei millenni. 
Cronologicamente, Il poliziotto è marcio si colloca dopo la celeberrima Trilogia del milieu. È stato commissionato da Galliano Juso, che poco dopo ha prodotto anche La città sconvolta: caccia spietata ai rapitori, sempre diretto da Fernando Di Leo (1975). Tra le altre cose, Juso è stato anche lo sceneggiatore di Chicken Park (Jerry Calà, 1994)! 


Nomen omen

A quanto ho potuto constatare, è opinione comune tra i commentatori e i critici nel Web che il cognome "Malacarne" sia un nomen omen, essendo il suo ovvio significato quello di "cattiva carne". La carne cattiva, ossia guasta, si corrompe e si riempie di vermi. Quindi simboleggia la corruzione morale. Questa accezione si applica innanzitutto al funzionario corrotto, per ovvie ragioni, eppure in qualche modo persino suo padre non viene risparmiato. Si suppone che l'indole marcia sia passata al figlio per ereditarietà, come un carattere mendeliano qualsiasi. Infatti a un certo punto il Commissario Malacarne si rivolge così al genitore, gettando su di lui ombre con l'intenzione di sporcarne l'onestà: 

“Ma chi sei tu per farmi la morale? Io ti ho visto leccare le scarpe per tutta la vita. Quante volte hai massacrato di botte dei poveracci con la benedizione dei superiori? Quante prove hai fabbricato per trovare dei colpevoli qualsiasi? Quanti soprusi, quanti inghippi... per un panettoncino a Natale! Pure questa è corruzione, ma corruzione da fessi!”  

In ogni caso non mi sembra giusto che le cose siano descritte in questi termini. I due Malacarne non possono in alcun modo essere ridotti a un denominatore comune. Il padre del Commissario può essere biasimato per avere usato mezzi un po' troppo violenti, ma in fin dei conti ha semplicemente eseguito gli ordini. In una struttura militare, gerarchica e apicale, è difficile pensare che avrebbe avuto molto margine per agire in modo diverso. Non ha alcun senso l'insinuazione che abbia agito così allo scopo di guadagnarsi un panettone: è una pura e semplice malignità. Invece il Commissario è andato ben oltre i propri limiti, diventando a tutti gli effetti un criminale egli stesso. 


Origine e diffusione del cognome Malacarne 

A quanto ho potuto notare, tra i recensori del Web, è data per scontata l'origine meridionale e napoletana del cognome "Malacarne". Si tratta di un clamoroso errore, nato da superficialità.
Consultando il sito Gens Labo, che permette di ottenere mappe sulla presenza dei cognomi nei comuni italiani, si deduce che "Malacarne" è particolarmente diffuso nelle regioni del Nord e in Toscana. A settentrione si riscontra una grande densità in Lombardia, Veneto, Trentino ed Emilia-Romagna; è poco presente in Piemonte, in Valle d'Aosta e in Friuli Venezia Giulia. Si trovano alcuni Malacarne anche in diversi comuni del Sud Italia, ma in modo sporadico: se ne hanno tracce in Lazio, Campania, Basilicata e Puglia; a quanto pare sono invece assenti in Sicilia, in Calabria e in Sardegna. 

La pagina di Facebook Origine dei cognomi italiani, riporta alcune interessanti note sull'origine del cognome "Malacarne":  

"Dovrebbe derivare da un soprannome originale riferito ad un macellaio che vendeva carne di cattiva qualità; potrebbe essere riferito anche a persona di cattivi sentimenti."

E ancora: 

"Questo cognome, tipicamente settentrionale, è praticamente presente in tutte le province del Nord Italia ed in modo particolare in quelle di Belluno, Ferrara, Milano e Mantova. In Trentino ne troviamo un  centinaio (sempre con riferimento agli  utenti del telefono), principalmente a  Riva del Garda e nel comune di Bleggio Inferiore." 

Il luogo d'origine della stirpe era con ogni probabilità nelle Valli Giudicarie, in Trentino Occidentale. A parer mio è probabile che l'antenato comune dei Malacarne fosse così chiamato per motivi religiosi, perché si diceva che avesse una cattiva tunica di carne. In altre parole, era particolarmente predisposto alle opere della carne e della corruzione. Forse il regista aveva fatto qualche studio.   

Questo è riportato sul sito Cognomix.it (il corsivo è mio): 


"Tracce di questa cognominizzazione si trovano nel trentino almeno dalla prima metà del 1400 e così pure a Spoleto in un testo del 1414 dove si legge: "...Li caporali de Re eranu Sforza da cotogniola, Paulu Ursinu, lu Conte da Carrara, Malatesta da Cesena, messer Malacarne et Tartaglia...:". Vi è inoltre a Riva del Garda un registro comunale relativo all'anno 1619: "...Laurentius filius domini Ioseph Orlandi alias de Malacarnis...".
Il cognome Malacarne ha ceppi nel trentino, nel bellunese, nel pisano ed in Lombardia." 

Variante rara: Malacarni


Questa è la distribuzione, assoluta e percentuale, delle 930 famiglie Malacarne nelle singole regioni: 

Lombardia: 291 (31,3%) 
Toscana: 161 (17,3%)
Veneto: 154 (16,6%) 
Emilia-Romagna: 106 (11,4%)
Trentino Alto Adige: 100 (10,8%) 
Piemonte: 40 (4,3%) 
Lazio: 20 (2,2%)
Liguria: 19 (2,0%) 
Campania: 10 (1,1%)
Basilicata: 10 (1,1%)
Valle d'Aosta: 8 (0,9%)
Puglia: 5 (0,5%)
Friuli Venezia Giulia: 3 (0,3%)
Umbria: 1 (0,1%)
Sicilia: 1 (0,1%)
Abruzzo: 1 (0,1%) 

Quanto esposto mette in evidenza quanto sia facile incorrere in errori grossolani. Quando ci si atteggia a recensori ruggenti, si corre e si danno sempre troppe cose per scontate. È necessario indagare su ogni singolo dettaglio, anche se l'impresa è di una difficoltà erculea e le insidie sono molteplici. Ho imparato in numerose occasioni quanto sia facile distorcere i fatti. 
P.S. 
Nell'adattamento in lituano, il protagonista si chiama Domenikas Malakarnis. In quella lingua è inconcepibile usare cognomi indeclinabili: vengono sempre assegnati a una declinazione e trattati di conseguenza. 


Incertezze nell'onomastica 

Wikipedia riporta il nome del boss interpretato da Richard Conte come Corrado Mazzanti. A quanto ricordo, è nominato nel corso del film poche volte, mai per nome di battesimo e in modo confuso: ho trovato una sequenza in cui a nominarlo era Pascal e mi è parso di sentire "Mazzani", con una consonante -n- molto debole e senza traccia alcuna di -t-. Non sembra che la forma originale fosse "Mazzanti". Quale grado di affidabilità ha Wikipedia in casi simili? Comunque sia, si è creata tutta una serie di equivoci. Visto che molti trascrivono "Mazzari" e usano questa forma in modo sistematico, ho riguardando il film con attenzione, potendo constatare che il cognome è proprio "Mazzari". Questa sembra la variante più diffusa nel Web, anche se "Mazzanti" è ben attestato. Passando all'inglese, il cognome è diventato "Nazzari" o addirittura "Mazzoni". Il sito cinematografico IMDb.com ha proprio "Nazzari". Nell'adattamento in lituano, il cognome del boss è invece "Mazonis": è stata lituanizzata proprio la forma "Mazzoni". Questa spaventosa confusione è dovuta al fatto che il copione non era chiaro già all'origine. Dovendo dipendere tutto da una singola menzione bisbigliata, il cognome cambiava da un passaggio all'altro. Il mio sospetto è che sia tutta colpa dei doppiatori raffreddati! 


Gusti pesanti 

Pascal spara il suo sperma nell'intestino retto dell'effeminato Gianmaria. Gli buca le chiappe, gli schiaccia la prostata col glande rigonfio, lo possiede carnalmente. La cosa sembra essere in qualche modo tollerata, anche se con riluttanza, ma non ci si deve lasciar ingannare. Infatti, a un certo punto il sulfureo Mazzari (alias Mazzoni, Mazzanti, Nazzari) fa un'allusione inattesa: "I suoi gusti, Pascal, sono piuttosto pesanti". Un'allusione che è anche un monito
Una legge ferrea e non scritta del crimine organizzato vieta l'omosessualità, attiva o passiva che sia. Chi la infrange, presto o tardi paga con la vita. Ci si può chiedere perché Pascal, che si crede "intoccabile", a un certo punto venga lasciato in balìa della volontà vindice del Commissario Malacarne. La risposta è semplice, addirittura lapalissiana: ciò accade per il solo motivo che Pascal è omosessuale e per questo, terminata la sua utilità, deve essere soppresso. Un misto di pragmatismo e di rigore puritano. 
P.S. 
Nell'adattamento in lituano, Pascal diventa Paskalis

Alcune divertenti ingenuità 

Se si prendesse per oro colato quanto visto nel corso di questa pellicola e di altre dello stesso genere, la mafia avrebbe sede in uffici di fantomatiche agenzie import-export in palazzoni fatiscenti, all'interno di immensi cantieri inattivi (le famose "cattedrali nel deserto"). Se uno avesse l'ardire di recarsi in quei luoghi abbandonati e polverosi, pieni di calcinacci, troverebbe proprio i boss in persona, seduti in una stanza dall'arredamento spartano e circondati dai gorilla, enormi gangster dal ceffo patibolare. Appena fuori dall'ingresso, sulla parete sarebbe sempre in bella mostra un'insegna pubblicitaria dell'aperitivo Punt e Mes

Alcune bizzarrie

Nel corso della conferenza compare di sfuggita il sulfureo Aldo Valletti, proprio lui, il fainesco interprete di Salò o le 12o giornate di Sodoma (Pier Paolo Pasolini, 1975). Si fa molta fatica a notarlo. Il meglio di sé lo ha dato come adoratore dell'ano e delle feci della Signora Maggi!  

Il titolo in turco, İt sürüsü, significa "Branco di cani" (it "cane"; sürüsü "branco", "gregge").  


I due portugnoli 

Per alleggerire un po' la carica drammatica della pellicola, sono stati inseriti due personaggi insensati, comici. Sono i due portoghesi incredibilmente grotteschi che parlano una specie di spagnolo (ad esempio dicono "hasta la vista"). La questione è comunque interessante. Pochi sanno che esistono i Portugnoli. Sono genti di confine, che abitano in zone dove le lingue sovrappongono e si confondono, subiscono osmosi. Ad esempio il Portogallo al confine con la Spagna, il Brasile al confine con l'Uruguay, il Brasile al confine con il Perù e via discorrendo. I nativi di queste aree si esprimono quindi in un idioma indefinito, nebuloso, il portugnolo (Portunhol, Portuñol). Il nome è una parola macedonia: 

Portoghese: Português + Espanhol => Portunhol 
Spagnolo: Portugués + Español => Portuñol 
Italiano: Portoghese + Spagnolo => Portugnolo 

Chiaramente i due corrieri che si vedono nel film hanno nazionalità portoghese, come viene più volte ripetuto, ma in realtà sono portugnoli a tutti gli effetti. Dopo aver mostrato un campionario di espressioni facciali distorte, abatantuonesche, dopo aver fatto mille lazzi altisonanti, finiscono freddati in Piazza del Duomo, in mezzo ai piccioni, su una lettiera di stronzi. In genere i due portugnoli non sono affatto apprezzati dai commentatori del Web: sono ritenuti elementi incongrui, insensati, di cui si farebbe volentieri a meno. 


Feroce odio antisodomitico

Oggi questo film non potrebbe più essere girato. Sarebbe accusato di diffondere contenuti omofobici. Quando il Commissario Malacarne entra nell'ufficio di Pascal, subito esprime la sua avversione per il travestito Gianmaria, pronunciando parole violente. Ecco il dialogo: 

Gianmaria: "Ooh! Ciao, bell'uomo!"
Commissario: "Ecco Gianmaria con la vestaglia cinese! Gianni davanti e Maria di dietro!" 
Gianmaria: "Che lato vuoi provare per primo?" 
Commissario (davanti alla gang riunita): "Quanta bella gente! Date un ricevimento? E le donne dove sono? O ci pensa Gianmaria per tutti?" 
Mazzari: "Il Commissario è di buon umore. Il Commissario è un uomo di successo." 
Pascal: "Dobbiamo parlare."
Commissario: "Con tutti questi presenti? Allora non è così importante." 
Pascal (rivolto a Mazzari): "Dagli il suo!" 
Mazzari: "Ecco, per questo mese, Commissario. C'è quell'aumento che abbiamo concordato. Conti!"
Gianmaria: "Te li conto io!"
(Il Commissario lo spinge via)  
Gianmaria: "Ehi, bell'uomo, calma!" 
Commissario: "Allora, gente! Se Gianmaria vi diverte, è bene per voi! A me fa schifo, è chiaro?! Non deve chiamarmi più in Questura, né lui né chiunque altro, è chiaro?"

Trema, ricolmo d'ira funesta, è talmente alterato che sembra quasi dica: "... è pene per voi"! 
L'occlusiva labiale perde la sua sonorità. Si potrebbe parlare di "desonorizzazione isterica". In tale stato, un soggetto sarà incapace di distinguere "bene" da "pene". Così si azzerano le differenze tra "buffo" e "puffo", tra "baffuto" e "paffuto", tra "bollo" e "pollo", etc. Non si tratta di naturali mutamenti fonetici: è il cervello ad andare in tilt. In genere questo marasma si accompagna ad allucinazioni tattili, ossia sensazioni di pressione sull'ano. Esistevano davvero queste reazioni folli, esagerate, patologiche, anche se si direbbero scomparse dal sapere comune. 
Qualcuno si chiederà perché io insorga di continuo contro il politically correct dei nostri tempi. Si deve tener conto del fatto che negli anni '70 non regnava certo la libertà di parola. In particolare non si poteva parlare di argomenti come l'omosessualità - eppure ci sono stati registi che lo hanno fatto. Ci si dovrebbe piuttosto chiedere se quella che c'è oggi sia davvero "libertà", o se non sia piuttosto una subdola forma di indottrinamento a un contorto sistema di distorsioni mentali. 
In sintesi, le cose stanno così: 
1) Secondo la mentalità perbenista, menzionare l'omosessualità equivaleva a farne l'apologia. 
2) Secondo la mentalità neo-perbenista, menzionare l'omosessualità in modo diverso da come impongono i dettami del politically correct equivale ad essere etichettati come "omofobi"

Il mito melvilliano  

Ho trovato menzione di una singolare leggenda. A parlarne è un navigatore il cui nick è Dandy, sul sito Mymovies.it. Sembra che all'inizio Di Leo avesse in mente di dirigere il film assieme a Jean-Pierre Melville, che però morì proprio quando il progetto stava per concretizzarsi. A quanto pare, avrebbero dovuto esserci attori del calibro di Anthony Quinn e di Lino Ventura. Non sono riuscito ad appurare la veridicità o meno di questo racconto. Tuttavia è certo che Di Leo è spesso soprannominato "Il Melville italiano", avendo sempre considerato suo maestro il regista francese. 
 
Censura 

Quello di cui si parlerà sempre troppo poco sono le persecuzioni che il regista ha dovuto affrontare per aver osato affrontare lo scomodissimo tema della corruzione nelle Forze dell'Ordine. In pratica questo film in Italia non lo abbiamo potuto visionare per ben 30 anni. Non è cosa di poco conto, mi pare. Soltanto nel 2012 è stato pubblicato su DVD dalla casa di produzione e distribuzione indipendente RaroVideo. A partire dal maggio 2022 è disponibile in versione integrale su YouTube. Questo è il link:  


Queste sono le parole di Fernando di Leo a proposito delle sue gravi vicissitudini: 

"Credo di essere stato l'unico ad avere girato un film che parlasse della corruzione delle forze dell'ordine ne Il poliziotto è marcio. Il solo titolo e i manifesti irritarono il Viminale a tal punto che ricevetti telefonate minatorie da voci che a quel ministero facevano riferimento. Va da sé che forse le telefonate le fecero quelle bestie stupide e feroci conosciute come benpensanti".
(Fonte: Nocturno Dossier n. 14, Calibro 9 - Il cinema di Fernando Di Leo, a cura di Davide Pulici e Manlio Gomarasca)

E ancora: 

"Per Il poliziotto è marcio, il solo titolo fu trovato insultante. Il fatto che ci fossero i manifesti con il titolo 'Il poliziotto è marcio', sdegnò talmente i celerini, e naturalmente il Viminale, che io ebbi varie telefonate, con un tono minatorio tipo: 'Lei non si deve permettere...', a cui io rispendevo con parolacce, quali che fosse l'interlocutore, che doveva essere anche di alto grado. Mi attaccarono pure quando feci Brucia ragazzo, brucia (...) Dopo che il film  fu assolto, feci mettere una pubblicità sui giornali: 'Finalmente la giustizia ha detto sì al sano erotismo.' Che era uno sfottò per tutti quelli che si erano incazzati, perché il film era stato assolto a Rimini da un pubblico ministero che fece la più bella critica che io abbia mai avuto su Brucia ragazzo, brucia."
(Fonte: "La seconda mano del gioco", extra a cura di Nocturno cinema contenuto nel DVD RaroVideo)

Dal verbale allegato al n.o. n. 64039 (25 febbraio 1974):

"Poiché l'interessato dichiara di non poter aderire alla proposta dei tagli, la Commissione esprime parere favorevole alla concessione del n.o. di proiezione in pubblico, con il divieto di visione ai minori degli anni 18. Tale divieto è in relazione, innanzitutto, alla tematica del film, che ha come protagonista un commissario di P.S. ed un suo dipendente che si lasciano corrompere da una banda di delinquenti al solo fine di appagare desideri di vita agiata e lussuosa; né alla conclusione del film si ha uno spiraglio di luce, poiché al capo della banda ed al commissario uccisi subentrano altri da una parte e dall'altra decisi a perseverare nella losca ed illegale attività. A ciò si deve aggiungere che il film consiste in una serie ininterrotta di scene di violenze, alcune delle quali presentano carattere di particolare ferocia ed efferatezza."

Metri di pellicola dichiarata: 2595 (circa 94'40" su pellicola in 35 mm, uguale a 90'-91' su DVD o nei passaggi televisivi codificati PAL).

Una seconda commissione, datata 14 novembre 2012 (v.c. n. 106749), ha espresso parere favorevole al rilascio del nulla osta per la proiezione in pubblico, senza più limitazioni per i minori. 


Il cartello finale 

Nel tentativo, risultato poi vano, di mitigare il furore dei censori, il regista decise di inserire uno scritto esplicativo subito dopo l'uccisione del commissario corrotto. L'ho visto con i miei occhi, era in lingua inglese: 

"You have just witnessed a true story: four months later detective Pietro Garrito was arrested, tried and convicted on six separate charges of graft and conspiring to obstruct Justice... crime does not pay." 

Traduzione: 

"Avete appena assistito a una storia vera: quattro mesi dopo, l'agente Pietro Garrito è stato arrestato, processato e condannato con sei distinte accuse di corruzione e cospirazione per ostacolare la Giustizia... il crimine non paga."

Ho anche visionato una versione del tutto simile, ma senza il cartello, in cui tutto si concludeva con la parola "Fine". Non ho mai visto con i miei occhi il cartello in lingua italiana. 

Una lezione morale 

La diffusione di questo film era molto temuta. La paura era che potesse minare nei cittadini la fiducia nelle Forze dell'Ordine e più in generale in ogni istituzione. Menzionare un problema  grave come la corruzione era considerato equivalente al fare apologia del crimine. Negli anni '70 erano ancora molto comuni le persone incapaci di distinguere la realtà dalla finzione cinematografica. Si sentivano molto spesso, specie dagli anziani, frasi come: "È vero, l'ho visto al cinema", "È vero, l'ho visto alla televisione". Moltissimi erano convinti che i film fornissero resoconti attendibili degli eventi storici. Credevano che Maciste e Ursus fossero personaggi realmente esistiti, solo per fare alcuni esempi. "È Storia", commentavano ogni volta che vedevano un film peplum. Il pericolo era che qualcuno potesse dire: "I poliziotti sono tutti marci, sono tutti corrotti, l'ho visto al cinema, l'ho visto alla televisione." Possibile che nessuno abbia invece tratto una lezione morale dal film di Di Leo? Assistendo a quelle sequenze, si dovrebbe dire: "Vedete dove si arriva se la corruzione prevale?", "Vedete cosa succede se si lascia spazio ai corrotti?" 


Critica 

Riporto un cut-up di opinioni, frasi smozzicate tratte dalla pagina dell'ottimo sito Il Davinotti e ricucite insieme senza una logica apparente. Come di costume, riporto i refusi dei testi originali, quindi si impicchino i pedanti che dovessero fare "gnè-gnè-gnè" per qualche parola scritta male. 


"Luci e ombre per un poliziottesco che nonostante sia ben lontano dalla perfezione, è comunque superiore alla media di genere" 
"Di Leo prosegue la sua personalissima strada del noir poliziesco, stavolta affrontando il tema della corruzione di un commissario (il bravo Merenda)"
"Interessante noir di Di Leo, che si fa perdonare le cadute solite"
"Belle le ambientazioni milanesi, anche se qua e la è fin troppo chiaro che in realtà si è a Roma"
"Non siamo ai livelli di altri classici del regista, comunque buono"
"Buoni i dialoghi, serrato il montaggio" 
"Lontanissimo dai commissari di ferro del poliziesco, il corrotto Domenico Malacarne è parente stretto degli antieroi del noir, con cui condivide un destino nichilista e tragico"
"Il regista, pur non rinunciando ad alcune scene d'azione ben fatte, preferisce però indagare la psicologia del personaggio e mette in scena un dramma duro e spietato, senza speranza nemmeno nel crudo finale" 
"De Leo disarticola scientemente il poliziottesco, innervandolo con elementi di solidità strutturale originali per il genere e ribaltando il cliché del commissario incorruttbile (un Merenda di cui viene sfruttata l’ambiguita del phisique e visage, du role)"
"Nomi significativi (Malacarne quello del poliziotto protagonista); ambientazioni metropolitane (una caotica Milano)"
"Da annotare l'ambiguità di un Luc Merenda commissario eroe-antieroe e soprattutto l'ambiguità di farlo apparire migliore dei suoi superiori, non marci, ma fortemente prevenuti e attenti più all'apparenza che alla sostanza" 
"Migliora col tempo, seppur non raggiunge le altezze della grande trilogia"
"Perfetto Conte"
"Purissimo cinema di regia"
"C'è poi un velato (ma non troppo) confronto tra polizia e carabinieri" 
"Di questo stupendo film girano copie immonde in vhs dalla qualità più marcia del poliziotto in questione"
"Un mistero come questo film non abbia avuto la stessa risonanza mediatica de La piovra"
"Qui il poliziotto è marcio già dal titolo"
"Il marciume del titolo alla fine copre quasi tutti i personaggi del film, in un un pot-pourri di tradimenti, parole mancate e colpi alle spalle"
"Noir teso, cupo e violento, in pieno stile Di Leo"
"Abbiamo degli autentici mostri sacri del poliziesco all'italiana: Pellegrin nei parti di un criminale bastardissimo, Conte nei panni del solito intrallazzatore e Merenda che naviga tra corruzione e sensi di colpa, che alla fine tenterà di fare giustizia"
"Sui canoni del poliziesco all’italiana, fusi con le atmosfere noir di cui era maestro, Di Leo innesta la figura ambigua di un poliziotto corrotto ma non privo di coscienza, più complesso dei ferrei tutori dell’ordine tipici del genere"
"Spietato e marcio (come da titolo) questo noir mette in mostra un "anticommissario" che è la reincarnazione del concetto di corruzione"
"Noir e amaro"
"Trattasi di un prodotto di notevole livello"
"Appena sotto la mitica trilogia, ma da vedere assolutamente"
"Il titolo fa tremare i muri per le inconfutabili verità che purtroppo rivela"
"molto probabilmente il film più riuscito di Di Leo dopo Milano calibro 9
"In negativo gli inserti "umoristici", con alcune macchiette inutili (su tutti i due portoghesi "italo-spagnoli")" 
"Ottimo poliziesco non conforme al cliché dell'epoca"
"In tempi di fiction-promozione per le forze dell'ordine, un titolo del genere oggi è impensabile ed improponibile"
"Ci voleva Di Leo per avere un commissario che esce dagli stereotipi del senso del dovere e del sacrificio"
"Prodotto originale nel mostrare un poliziotto che scende allo stesso livello dei delinquenti che persegue. E che sono brutti ceffi da far paura, capaci di ammazzare uomini e gatti coi sacchetti di plastica"
"Poco incisiva la caratterizzazione di Caprioli (altrove ben più piacevole) mentre Randone regala il suo sguardo severo e malinconico al padre del protagonista corrotto" 

martedì 16 agosto 2022


MILANO CALIBRO 9

Titolo originale: Milano calibro 9 
Titolo in inglese: Caliber 9
Lingua originale
Italiano
Paese di produzioneItalia
Anno1972
Durata88 min
Rapporto1,85:1
GenereNoir, poliziesco, thriller
Sottogenere
: Poliziottesco, gangsterologico 
Regia: Fernando Di Leo
Soggetto: Fernando Di Leo, Giorgio Scerbanenco
    (accreditato da IMDb.com
Sceneggiatura: Fernando Di Leo 
Produttore: Ermanno Curti e Armando Novelli
Casa di produzione: Cineproduzione Daunia 70
Distribuzione in italiano: Minerva Pictures
Fotografia: Franco Villa
Montaggio: Amedeo Giomini
Musiche: Luis Enríquez Bacalov e gli Osanna
Scenografia: Francesco Cuppini
CostumiFrancesco Cuppini e Marcella Moretti
TruccoAntonio Mura 
Continuità: Vivalda Vigorelli 
Interpreti e personaggi: 
    Gastone Moschin: Ugo Piazza
    Barbara Bouchet: Nelly Bordon
    Mario Adorf: Rocco Musco
    Frank Wolff: Commissario di polizia
    Luigi Pistilli: Vicecommissario Mercuri *
    Ivo Garrani: Don Vincenzo
    Philippe Leroy: Chino
    Lionel Stander: L'Americano **
    Salvatore Aricò: Luca
    Mario Novelli: Pasquale Tallarico
    Giuseppe Castellano: Nicola
    Ernesto Colli: Alfredo Bertolon 
    Giulio Baraghini: Brigadiere baffuto 
    Giorgio Trestini: Franceschino
    Fortunato Cecilia: Vincenzo Affatato
    Omero Capanna: Uomo con il tick alla spalla
        nelle scene iniziali; uomo ucciso nella piscina
    Mira Vidotto: Prostituta nella villa
    Rossella Bergamonti: Prostituta nella villa
    Marina Brengola: Prostituta nella villa
    Bruno Bertocci: Primo corriere 
    Empedocle Buzzanca: Secondo corriere 
    Imelde Marani: Terzo corriere
    Sergio Serafini: Quarto corriere 
    
Fernando Cerulli: Portiere d'albergo
    Ettore Geri: Barman del night club
    Gastone Pescucci: Funzionario di polizia 
    Alessandro Tedeschi: Corriere tedesco 
    Artemio Antonini: Incappucciato  
    Franco Beltramme: Incappucciato 
    Salvatore Billa: Incappucciato
    Alberto Fogliani: Incappucciato 
    Gilberto Galimberti: Incappucciato 
    Dolores Calò: Cliente del night club 
    Pupita Lea Scuderoni: Ciente del night club 
    Cesare Di Vito: Poliziotto 
    Luigi Antonio Guerra: Poliziotto 
    Mauro Vestri: Poliziotto
    Edda Tiberio: Prostituta 
    Toni Trono (come Tony Trono) 
    Luciano Cecchini 
    * Nella versione in inglese è Fonzino
    ** Nella versione in inglese è The Mikado.
Doppiatori originali: 
    Noemi Gifuni: Nelly Bordon
    Stefano Satta Flores: Rocco Musco
    Sergio Rossi: Commissario di polizia
    Renato Izzo: Vicecommissario Mercuri
    Giacomo Piperno: Chino
    Antonio Guidi: L'Americano 
Titoli in altre lingue: 
   Tedesco: Milano Kaliber 9 
   Francese: Milan calibre 9 
   Spagnolo: Milán, calibre 9
   Russo: Миланский калибр 9 


Trama: 
Primi anni '70. Dopo un periodo in prigione, il piccolo gangster milanese Ugo Piazza viene subito perseguitato dai suoi vecchi soci, guidati da un potente riciclatore conosciuto semplicemente come "L'Americano", che lo crede colpevole di avergli rubato rubato 300.000 dollari durante una consegna, poco prima del suo arresto per rapina. Piazza nega categoricamente il furto, anche sotto coercizione da parte del volubile braccio destro dell'Americano, Rocco Musco. Anche la sua ragazza, la bionda ballerina go-go Nelly Bordon, crede che lui abbia rubato i soldi, così come il lombrosiano commissario di polizia, che tenta invano di convertirlo in un informatore. 
Piazza incontra il suo ex padrino Don Vincenzo, ormai vecchio e cieco, con il suo unico uomo rimasto, Chino. Anche se Rocco si fa beffe dell'autorità di Don Vincenzo, nutre ancora un riluttante rispetto per Chino, che si è rifiutato di lasciare il suo padrino anche dopo che tutti gli altri lo hanno fatto. L'Americano dà a Piazza un ultimatum per restituire i soldi e riprendere a lavorare per lui, ma lui insiste ancora affermando di non averli e di non sapere chi li abbia. Paranoico per altri furti simili, Rocco inizia a brutalizzare e uccidere i suoi corrieri di denaro. 
Piazza viene inviato a uno scambio di 30.000 dollari, che avviene in una sala da bowling. Lo scambio è però interrotto da un misterioso aggressore con una sciarpa bianca, che uccide il loro cliente e ruba la borsa di pelle marrone contenente i soldi. L'Americano dà a Rocco e a Piazza l'ordine di uccidere gli uomini da lui ritenuti responsabili, ma quando i due arrivano a destinazione scoprono che le vittime designate sono Chino e Don Vincenzo. Piazza si rifiuta di uccidere il suo ex padrino, ma Rocco spara a sangue freddo al vecchio, mentre Chino riesce a scappare per un pelo. L'Americano fa picchiare Piazza per la sua insubordinazione e sta per farlo uccidere, tuttavia gli viene risparmiata la vita quando sostiene in modo convincente che dietro il furto dei 30.000 dollari c'erano Rocco e la sua gang. 
L'Americano si ritira in una tenuta rurale con le sue guardie del corpo, tra cui Piazza, ma viene colpito e ucciso in un'imboscata dal vendicativo Chino. Nel corso della strage, Piazza punta la pistola contro gli uomini dell'Americano e li abbatte, prima che Chino muoia per le ferite riportate. A questo punto Piazza si reca in una chiesa abbandonata nelle spettrali campagne fuori Milano e recupera una borsa blu con i 300.000 dollari, rivelando di aver rubato davvero i soldi all'Americano anni prima e di aver orchestrato tutto per farlo uccidere. Viene però fermato dalla polizia per guida con patente scaduta e costretto a recarsi in commissariato per un colloquio. 
Nella sala d'attesa Piazza incontra Rocco, interrogato per il massacro in casa dell'Americano. Rocco, vedendo la borsa contenente il denaro, non mostra animosità e anzi propone a Piazza di entrare in società con lui. Piazza rifiuta e viene rilasciato; subito si dirige a casa di Nelly con i soldi, progettando di fuggire insieme a lei per andare a vivere a Beirut, a quell'epoca capitale della Dolce Vita. La sorpresa che scopre è amarissima: la perfida marchettara Nelly è assieme a Luca, un gangster della banda di Rocco, scelto come amante per via del suo enorme Schwanzstücker. È proprio lui il misterioso uomo con la sciarpa responsabile del furto dei 30.000 dollari al bowling. Nelly aveva cospirato con il suo amante segreto per impadronirsi dei 300.000 dollari da Piazza! Luca spara a Piazza, ancora annichilito dallo stupore, che però riesce ad uccidere Nelly con un solo pugno prima di spirare. Rocco, che aveva seguito Piazza a casa, irrompe e uccide Luca facendogli cozzare la nuca contro uno spigolo, spinto da un impeto di rabbia per il suo tradimento e per aver mancato di rispetto alla statura criminale di Ugo Piazza. I poliziotti, che a loro volta avevano seguito Rocco, lo trascinano lontano dal cadavere insanguinato di Luca. 

Citazioni: 

“Tu uno come Ugo Piazza non lo uccidi a tradimento! Tu a uno come Ugo Piazza non lo devi neanche toccare! Tu a uno come Ugo Piazza non lo devi neanche sfiorare! Tu quando passa uno come Ugo Piazza il cappello ti devi levare! Il cappello ti devi levare! Il cappello ti devi levare!”
(Rocco Musco) 


Recensione: 
Questo è il primo capitolo della cosiddetta Trilogia del milieu di Fernando Di Leo, che prosegue con La mala ordina (1972) e Il boss (1973). 
Ambientato in una Milano cupa e plumbea, questo è un ottimo film con un robusto Gastone Moschin, scerbanenchiano fino al midollo. Anche quando si vede la luce del sole, è pallida e malata. La tenebra dell'Essere è assoluta, impenetrabile, compatta, così densa che nemmeno un'esigua scintilla può farvi il suo corso. Il concetto stesso di speranza è del tutto assente, non se ne trova nemmeno il minimo abbozzo. Ogni singola sequenza trasuda totale senso di annichilimento: il mondo che il regista ci mostra è uno dei più abissali distretti dell'Inferno. È la Morte Eterna. Molte sono le interpretazioni memorabili. Indimenticabile è il sanguigno Mario Adorf nel ruolo di Rocco Musco, il colossale gangster siciliano e smargiasso, perennemente esagitato. 
Il massacro finale assume proporzioni irreali, quasi genocidarie. Ricorda quei film spaghetti-western in cui nel corso di alcuni regolamenti di conti venivano annientate intere comunità! Le pistole sparano infiniti colpi come se le pallottole scaturissero dal nulla: si assiste in tutto soltanto a un caricamento! Solo i film brasiliani di Glauber Rocha sulle gesta di Antonio das Mortes mostrano sparatorie più prodigiose! Chino, ottimamente interpretato da Philippe Leroy, è una vera e propria macchina da guerra. 
Posso senz'altro dire che aver visionato questa pellicola gangsterologica mi abbia molto giovato. La trovo eccellente!

Milano calibro 9 è il titolo di una raccolta di 22 racconti dello scrittore e giornalista Giorgio Scerbanenco, nato Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko, all'anagrafe italiana Wladimiro Scerbanenko (Kiev, 1911 - Milano, 1969). Fu pubblicata per la prima volta nel 1969. Uno di questi racconti noir si intitola Milan by Calibro 9, ma ha una trama molto diversa ed è stato adattata in un altro film di Di Leo, La mala ordina. Qualcuno pensa che l'ispirazione sia stata tratta da un altro racconto di Milano calibro 9, ossia Stazione centrale ammazzare subito. Non mi pare comunque che ci sia una grande somiglianza, trattandosi della storia di due malviventi, ciascuno dei quali riceve l'incarico di uccidere l'altro. Lo scrittore dalla figura scheletrica, notissimo per i polizieschi-noir, ha scritto anche romanzi di generi molto diversi: fantascienza, western e persino rosa (incredibile dictu). 


Conversazioni sull'origine del crimine 

A un certo punto Di Leo ha pensato di espungere un dialogo particolarmente scomodo tra il commissario fascista e il neocommissario comunista Mercuri, appena promosso e trasferito nell'impervia Lucania (promoveatur ut amoveatur). Il regista riteneva che la conversazione ad alto contenuto politico togliesse forza alla trama, o forse gli è venuto in mente di aver osato troppo. Per fortuna ha deciso di conservare quelle sequenze: il lavoro degli attori Frank Wolff e Luigi Pistilli era così eccellente che non poteva assolutamente essere tagliato. Riporto a pubblica edificazione l'interessante discorso. 

Commissario: "Ah, Mercuri! Signori, il nostro caro Mercuri, funzionario democratico, è stato promosso. Trasferito e promosso. Fategli le vostre congratulazioni. Che, mi vuoi parlare, Mercuri?" 
Neocommissario Mercuri: "Sì, un momento solo." 
Commissario: "Scusatemi, eh. Torno subito. Vieni, vieni."
Neocommissario Mercuri: "So che debbo a lei il mio trasferimento."
Commissario: "Trasferimento d'urgenza e d'ufficio per lei, mio caro commissario Mercuri." 
Neocommissario Mercuri: "Volevo dire che fare il poliziotto in Basilicata o in Lombardia per me è lo stesso. L'importante è saper fare il proprio dovere."
Commissario: "E io non ho dubbi che lei lo sappia fare il suo dovere. Specialmente dove non ci sono ricchi e soprattutto gente come l'Americano." 
Neocommissario Mercuri: "Posso dire qualcosa, senza urtare la sua suscettibilità?"  
Commissario: "È molto difficile urtare la mia suscettibilità. Dica pure, collega."
Neocommissario Mercuri: "Lei è un vecchio poliziotto, cioè un poliziotto vecchio. Sì, lei ha pochi anni più di me, ma ha una mentalità vecchia. E perciò è inadatto a occupare il posto che occupa." 
Commissario: "Ti senti di fottere, eh, Mercuri? E che cosa ci vuoi fare? Io che ho una mentalità arretrata, me ne resto qua, e tu che sei moderno te ne vai a pascolare bello bello le tue pecorelle in Basilicata. Perché, non ti va?" 
Neocommissario Mercuri: "No, io non mi sento di fottere, come dice lei. Volevo soltanto spiegarle due o tre cose, e lei mi permette." 
Commissario: "E come, lo permetto! Ma fa' presto, perché non aggio pigliato ancora o' cafè"
Neocommissario Mercuri: "L'Americano è un effetto e non una causa, come sono effetti tutti i delinquenti. Mi ascolta?"
Commissario: "Sì, sì, la ascolto."
Neocommissario Mercuri: "Lei mi capisce?" 
Commissario: "Finora no. Ma vada avanti. Continui."
Neocommissario Mercuri: "Dicendo che l'Americano e i delinquenti meridionali sono un effetto, intendevo dire questo. La massa dei meridionali che viene a lavorare qui nel Nord fa i mestieri più umili, quelli che da decenni gli altri si rifiutano di fare. Mal pagati, male alloggiati, niente affatto assistiti. Per forza poi diventano delinquenti." 
Commissario: "E basta, Mercuri, aggio capito. Delinquenti si nasce. Per adesso va dove ti hanno mandato, va'. E scrivi una cartolina illustrata, mi raccomando." 

Poco prima i due avevano avuto un altro scambio di opinioni su un tema connesso e cruciale. Questo spiega la particolare avversione di Mercuri per i plutocrati. 

Vicecommissario Mercuri: "Perché non agiamo in modo più massiccio?"
Commissario: "Ah, in modo più massiccio! Ma fammi il piacere: gli uomini chi me li dà? Tu stai qua da poco tempo, ma il nostro organico lo conosci, no?"
Vicecommissario Mercuri: "Facciamoci dare quelli che cacciano chi non ha una casa, che picchiano gli studenti, che disperdono gli operai! Per questa roba agenti ce ne sono!"
Commissario: "Mercuri, non fare il sovversivo! La cittadinanza non ne può più di scioperi e occupazioni abusive: gli agenti occorrono lì!"
Vicecommissario Mercuri: "Ma di quale cittadinanza parla? Dei cosiddetti "benpensanti"?"
Commissario: "Mercuri, tu leggi troppo i giornali di sinistra! Ho capito dove vuoi arrivare, ai ricchi, ma ci sono ricchi e ricchi!"
Vicecommissario Mercuri: "Ma di quali ricchi parla lei?! Di quelli che dicono "paghiamo meglio i terroni"? "Diamo loro le case più abitabili"? Ma ne conosce qualcuno?!"
Commissario: "I ricchi non danno fastidio!" 
Vicecommissario Mercuri: "E no, commissario, li danno eccome! Di che cosa ci stiamo occupando? Di ricchi che mandano i soldi all'estero! Di fastidi ne danno eccome!"
Commissario: "Insomma, Mercuri, tu vuoi fare un comizio. Te l'ho detto: ci sono ricchi e ricchi, e noi lotteremo contro quelli che mandano via i soldi! Mercuri, lo so, tu vuoi una bandiera rossa, ma la questura ne è sfornita. Poliziotti, ricordatevi: la proprietà è un furto. È giusto?" 
Vicecommissario Mercuri: "Sì, commissario, proprio così! Noi della polizia dobbiamo tenerlo presente che la proprietà è un furto! Noi, che finora siamo sempre stati al servizio dei ricchi!" 
Commissario: "A noi spetta soltanto di fare osservare le leggi, e la legge, mio caro Mercuri, è uguale per tutti!" 
Vicecommissario Mercuri: "Uguale per tutti?! Ma mi dica lei quando mai abbiamo manganellato dei ricchi! Oppure i ricchi hanno sempre ragione, e il torto sta sempre dove stanno gli operai, gli studenti e i meridionali?!" 
Commissario: "C'è qualcuno che vuole applaudire, no? E applaudo io! E adesso ascolta, Mercuri, quello che hai detto forse è giusto, forse è sbagliato, non lo so. Però la realtà qua è un'altra. Tu hai fatto il tuo servizio in provincia, e hai avuto a che fare con quattro rubagalline, cose 'e pretura. Qui la lotta è contro l'Americano. Un giro grosso, gente che ce li ha quadrati, e se io mi distraggo, lui me lo fa tanto così! Le belle parole non servono. Tu le hai dette, le belle parole. E a che sono servite? A fare fumo! Ma voi guardate che cacchio mi tocca sentire in questura!"

Ed ecco qualche considerazione sul sistema carcerario e sull'efficacia della pena:  

Commissario: "Come si sta adesso a San Vittore?"
Ugo Piazza: "Un carcere vale l'altro: uno schifo!"
Commissario: "Ah si capisce, adesso si son messi pure a contestare i carceri! San Vittore lo vogliono chiudere, ai detenuti non sta più bene! Vogliono luoghi salubri, spaziosi, vogliono andare in vaganza! Tra poco vorranno le donne come in Messico e finiranno col dargliele! Ci sarà qualche psicologo o sociologo che dirà che è giusto, che fa bene! E già, e questi devono stare bene in carcere, in modo che quando escono sono in perfetta salute!"
Vicecommissario Mercuri: "Be', io credo che un po' male delle carceri italiane lo si possa dire, perché così come sono messe adesso fanno pensare che lo Stato si voglia vendicare sui detenuti. Commissario, per esempio il potere legislativo per le amnistie..." 
Commissario: "Loro prima di delinquere si possono fare i calcoli, visto che è ricorrente, e a volte più volte in un anno. Questo si vede soltanto in un Paese come il nostro che perdona sempre! Ti dico che l'amnistia è uno stimolo a delinquere! Avanti, Piazza, dillo anche tu, di' la verità, tanto puoi dirla: facendo la rapina pensavi sì o no ai benefici dell'amnistia?" 
Ugo Piazza: "Pensavo a non farmi prendere."
Commissario: "Pensavi a quanti anni ti davano e a quanti anni ti saresti fatto realmente in carcere!"
Ugo Piazza: "All'amnistia si pensa quando si è dentro, non prima."

Nessuno dei due funzionari ha davvero ragione sull'ontologia delinquenziale. La vera origine del crimine organizzato non è genetica e non è sociale: è esoterica. La mafia è una vera e propria setta, una forma di religione occulta il cui codice si trasmette da una generazione all'altra. Ha i suoi miti fondanti, i suoi riti di iniziazione, i suoi complessi rituali che regolano ogni aspetto della vita, i suoi tabù, la cui violazione può essere espiata soltanto tramite la morte.  

Razzismo indotto 

L'apparato delle Forze dell'Ordine è composto quasi interamente da meridionali, eppure si nota sia nel Commissario che negli agenti una diffusa avversione nei confronti dei propri conterranei. "Finalmente abbiamo trovato un delinquente che non è meridionale", dice il commissario, che è napoletano. "È un anàrcoco (sic)", sentenzia il brigadiere, un massiccio baffuto. Molti anni fa mi sono imbattuto in un caso simile, che era stato etichettato dalla stampa come "razzismo indotto", in cui un poliziotto di Parigi, di origine magrebina, vessava con particolare accanimento una comunità magrebina non assimilata, comportandosi come un aguzzino e cercando addirittura di imporre la violazione del Ramadan. Anche questa è a tutti gli effetti una forma di autorazzismo, ossia di odio verso la propria stessa etnia. Seppur diverso nell'aspetto, nella sostanza e negli effetti pratici, questo autorazzismo è molto simile alla ripugnante follia woke, quella malattia dello spirito che sostiene l'inesistenza dei popoli, spingendo i dementi che ne sono colpiti a proferire aberrazioni del tipo "non esistono Italiani etnici", "non esistono Tedeschi etnici", "non esistono Francesi etnici", "non esistono Finlandesi etnici" e via discorrendo. 


La pronuncia del commissario 

Nelle conversazioni non mancano tratti "dialettali". Un esempio è l'uso che il Commissario fa di una lenizione molto spinta. Le consonanti /p/, /t/, /k/, /f/, sono realizzate come /b/, /d/, /g/, /v/. Il mutamento però non scatta nei gruppi /sp/, /st/, /sk/ e quando le consonanti sono doppie, /pp/, /tt/, /kk/, /ff/. Anzi, i gruppi /sp/, /st/, /sk/ all'inizio di parola sono realizzati con la sibilante palatalizzata, come /ʃp/, /ʃt/, /ʃk/. Spesso la sibilante /s/ inervocalica è realizzata come /z/ (la cosiddetta "s di rosa") anche quando le vocali appartengono a parole diverse. Ecco alcuni esempi, ben coglibili anche da uno spettatore dall'udito poco attento:   

calcoli => gàlgoli 
come => gome 
commissario => gommissario
continui => gondinui  
delinquenti => delinguendi 
delinquere => delinguere 
furto => vurdo  
mio caro => mio garo 
non sta => non shta
parole => barole 
perdona sempre => berdona zembre  
prima => brima 
proprietà => brobriedà 
provincia => brovingia 
può => buò 
ricordatevi => rigordadevi 
ricorrente => rigorrende 
scrivi => shcrivi 
stesso => shtesso 
tanto => dando 
tempo => dembo 

Detto dal Commissario, "puoi" suona indistinguibile da "buoi" e si fa un'enorme fatica a distinguere le forme verbali "puoi" e "vuoi". Bizzarramente non si nota la lenizione nei segmenti in napoletano genuino, come "aggio pigliato", "aggio capito", "ancora""o' cafè", che mostrano le consonanti sorde /p/, /t/, /k/ e /f/. Non dice *bigliado, *gabido, *angora, *gavè. Queste stranezze sono sempre molto affascinanti e si fa una gran fatica a spiegarle. Una cosa davvero strana: non si conosce il cognome del Commissario! 


L'Americano e i problemi di doppiaggio

Nella versione in inglese, l'Americano è chiamato The Mikado. Il motivo di questa scelta, a prima vista così stravagante, è quella solita del doppiatore raffreddato. La parola "Americano" è stata percepita come qualcosa di simile a "Mikado", per via della difettosa pronuncia di alcune consonanti da parte di un uomo dal naso pieno zeppo di catarro (Americano > *Americado > Mikado). Ecco che il nome distorto è stato quindi frainteso e interpretato come l'appellativo dell'Imperatore del Giappone! Un caso molto simile è quello di Darth Vader, che nella versione in italiano di Star Wars (George Lucas, 1977) è diventato Dart Fener.  
Del tutto incomprensibile è invece il destino del Vicecommissario Mercuri (poi promosso a commissario), che si è visto trasformare prodigiosamente in Fonzino. Qui non c'è nemmeno l'ombra di una somiglianza fonetica e non so dare una ragionevole spiegazione della scelta arbitraria. No, non penso che Fonzino sia un piccolo Fonzie, chiamato così perché vuol fare a tutti i costi il fighetto. 


Il Padrino e i Beati Paoli

Chino: "L'Americano fa troppo chiasso. Bombe, in pieno giorno. Una volta li faceva sparire con più cura."
Ugo Piazza: "Ora ha molta più gente." 
Chino: "Appunto. E più sono e meno si controllano. Lui queste cose le dovrebbe sapere, no? Si vede che impegni grossi ha. Dammi retta, stanne alla larga, Ugo. Non dura."  
Ugo Piazza: "Ah, sai che mi ha detto l'Americano? Che hai esagerato. E vuole delle scuse."  
Chino: "Non voglio avere niente a che fare con lui, nemmeno per delle scuse. Una volta lo stimavo, adesso te l'ho detto, fa troppo chiasso.
Don Vincenzo: "Se continua così, vedrai che faranno l'Antimafia pure per Milano."
Ugo Piazza: "Un'Antimafia per Milano? Ma che c'entra?"
Don Vincenzo: "Niente! Perché, credi che nelle altre parti c'entri? La chiamano "mafia", ma oggi sono... sono bande: bande in lotta e concorrenza tra di loro. La vera mafia non esiste più. Quando quelli della droga vogliono investire i loro guadagni, costruiscono palazzi. E quelli della milizia sparano. Che c'entra la mafia? La vera mafia è morta." 

Don Vincenzo si presenta come un nostalgico di un ideale di "mafia cavalleresca", da lui considerata come una diretta discendenza della setta medievale dei Beati Paoli, simili per impegno a Robin Hood. Il suo racconto è chiaramente una distorsione profonda della realtà, in ogni caso si capisce cosa lo inquieta. Depreca soprattutto la mancanza di discrezione ("l'Americano fa troppo chiasso") e la mancanza di coesione ("bande in lotta e concorrenza tra loro"). Vuole mantenere "zone grigie" ed evitare lo scontro diretto con lo Stato.
Una cosa sorprende molti nella galassia della critica online: la menzione dell'Antimafia in un film del 1972. In effetti, la Direzione Nazionale Antimafia (DNA) e la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) furono istituite nel 1991 su iniziativa di Giovanni Falcone, circa vent'anni dopo gli eventi immaginari narrati dal film. Abbiamo a che fare con una profezia? In realtà penso che non ci sia nessun anacronismo. L'aggettivo "antimafia" esisteva già negli anni '70, come pure la sua forma sostantivata. L'opera di Di Leo potrebbe infatti riferirsi alla Commissione Parlamentare Antimafia, che era stata istituita nel dicembre 1962. Resta in ogni caso un fatto: a Milano fino agli anni '80 dello scorso secolo persisteva nelle istituzioni un atteggiamento di radicale negazione della presenza mafiosa nella metropoli, ben al di fuori del suo contesto di origine. Quindi in un qualche modo si può dire che comunque Di Leo abbia precorso i tempi. 


Curiosità 

La pubblicità occulta è imperante. Il whisky J&B, con la sua tipica etichetta gialla e rossa, è onnipresente, come in molti altri poliziotteschi e non solo. Anche altri prodotti sono messi in bella vista: ricordo che nel secondo film della Trilogia del milieu, oltre al J&B era reclamizzato in modo massiccio il vermut tipicamente milanese (d'adozione) Punt e Mes. In seguito queste pratiche furono vietate.  

La morte di Luca originariamente era più lunga e sanguinosa, ma dovette essere ridimensionata a causa delle lamentele della censura. Probabilmente anche l'invettiva di Rocco doveva essere più lunga e questo spiegherebbe come mai se ne trovino in giro citazioni estese: "Tu uno come Ugo Piazza non lo devi neanche nominare! Tu uno come Ugo Piazza non lo devi neanche guardare!", etc. 

L'attore Frank Wolff è morto suicida poco dopo aver completato le sue scene, quindi il suo doppiaggio in inglese ha dovuto essere completato dal suo frequente co-protagonista ed ex compagno di stanza Michael Forest. Il suicidio di Frank Wolff, forse dovuto a depressione causata da una delusione amorosa, fu davvero terribile: si recise la carotide in una stanza d'albergo, a quanto pare usando la lametta di un rasoio. 

Nel 2006, una sequenza di questo film, con Moschin che torna nella discoteca dove balla Barbara Bouchet, è stata utilizzata dal gruppo Vinylistic come videoclip per la loro canzone Record Player

Gastone Moschin (Ugo Piazza) e Lionel Stander (L'Americano) si sono ritrovati nello stesso anno di uscita di Milano calibro 9, il 1972, a interpretare rispettivamente Don Camillo e Peppone in Don Camillo e i giovani d'oggi, diretto da Mario Camerini. Indimenticabile è poi l'eccellente interpretazione di Stander nella parte del bizzarro Cardinale Maravidi in Nonostante le apparenze... e purché la nazione non lo sappia... All'onorevole piacciono le donne, sempre del 1972, diretto da Lucio Fulci! 


Il tallone d'Achille, la spalla di Sigfrido

Ugo Piazza sembra fatto di acciaio. Impassibile, subisce tutti i colpi dell'avversa fortuna senza mai lasciarsi sfuggire un lamento. In realtà ha un solo punto debole: le femmine. Al loro fascino è molto sensibile. In particolare è fissato con la prostituta bionda che alla fine lo fa ammazzare dal suo nuovo ganzo. Basta poco per essere condotti all'annientamento. 
La morale è lampante, eppure è necessario ripeterla senza sosta, all'infinito: le puttane fanno schifo, sono peggiori dei vermi dei cadaveri! 

Colonna sonora

L'autore è il maestro argentino Luis Enríquez Bacalov, che ha utilizzato le musiche da lui composte per il complesso progressive degli Osanna. Si nota anche l'inserimento di un brano dei New Trolls, intitolato Adagio e tratto dall'album Concerto grosso. 
Queste sono le tracce: 

1. Preludio
2. Tema
3. Variazione I (To Plinius)
4. Variazione II (My Mind Flies)
5. Variazione III (Shuum...)
6. Variazione IV (Tredicesimo cortile)
7. Variazione V (Dianalogo)
8. Variazione VI (Spunti)
9. Variazione VII (Posizione raggiunta)
10. Canzona 


Critica 

Riporto un cut-up ottenuto dalla pagina dedicata al film di Di Leo sul sito Il Davinotti


"Regia e fotografia di altissimo livello e musiche straordinarie"
"Un Moschin superlativo per un film teso, sporco e piuttosto crudele" 
"Se Gastone Moschin appare inespressivo, Mario Adorf risulta caricaturale nel ruolo del solito mafioso siciliano impomatato."
"Un film più strutturato rispetto alla media dei polizieschi italiani"
"Teso, violento, cinico e beffardo, un noir che attinge a Melville e Siegel, ma che marca l'impronta personalissima di Di Leo"
"Colpisce come il protagonista si lasci, almeno apparentemente, scivolare tutto addosso: insulti, minacce, pressioni" 
"Donne inermi percosse a sangue, presunti traditori fatti esplodere con la dinamite... Impensabile poter riproporre nelle sale odierne una pellicola tanto radicale e drasticamente pessimista."
(Invece dovremmo avercelo, il sacrosanto coraggio di farlo!) 
"I primi minuti sono una vetta inviolabile anche per Tarantino e compagnia"
"Se alla solida sceneggiatura che si impreziosisce di spunti sociologico-politici aggiungiamo un cast di altissimo livello (il furioso Adorf, il glaciale Moschin e il tenace Leroy) è impossibile non chinare il capo e applaudire alla maestosità del progetto"
"Memorabile poliziesco fortemente noir di Fernando di Leo: violento, brutale, ma con molto ritmo e ben realizzato" 
"Luigi Pistilli, poliziotto "progressista" contrapposto al "destrorso" Frank Wolff, è un po' manieristico" 
"Comincia così una violenta partita a scacchi in cui ruoli e morale si annullano"
"Il gelido realismo, il pessimismo di fondo, l’esemplare rappresentazione dell’ambiente criminale e lo spessore psicologico dei personaggi, lo rendono una pietra miliare del genere"
"Fernando Di Leo con questo film ha dimostrato cosa sapesse fare: vero cinema" 
"se si pensa che Moschin e Stander erano appena stati Don Camillo e Peppone vengoni (sic) i brividi!"
"Violento quanto basta, ideologicamente agguerritissimo (ancora oggi fanno molto discutere i dialoghi tra Wolff, commissario conservatore e Pistilli, poliziotto progressista in rotta con i superiori) e per certi versi anche profetico"
"Grandi facce, grandi attori: Moschin indecifrabile, Adorf una forza della natura!" 
"Probabilmente il miglior film di Di Leo e uno dei migliori noir di sempre" 
"Cupo, pessimista, imperdibile" 
"Un tuffo negli anni 70 in una Milano autunnale, quando il Duomo era ancora annerito" 
"Più che un film, uno spaccato di storia sociale italiana: potrebbero farlo studiare nelle facoltà di Storia, magari per un esame di Storia contemporanea italiana"
"Più che un poliziesco è un noir dalle atmosfere tese e dure, con un'analisi interna alla società italiana davvero spietata"
"Un incubo nero sognato a occhi aperti"
"la polizia non capisce niente dei delinquenti, di tutte le variabili etiche, esistenziali, estetiche, insospettabili sfumature di un universo che appare uniforme, dominato da un plumbeo ed elementare codice d'onore, e invece è variegato e profondo" 
"Scelta come teatro la plumbea Milano, Di Leo disegna un'esiziale parabola sul potere, capace di perpetrare se stesso attraverso espiazioni, tradimenti e compromessi necessari"
"Particolare Philippe Leroy doppiato in siciliano" 
"Noir da pelle d'oca con musiche fantastiche, una Milano fredda, grigia, cinica e maledetta" 
"Il punto di vista di Fernando Di Leo è forte, tragicamente reale, vergognosamente identico al nostro, abitanti dell’anno 2012" 
"Eccezionale Di Leo che partendo da Scerbanenco delinea un genere che negli anni a seguire produrrà centinaia di (discontinui) cloni."
"Gregari e nemici sono sostanza per far la guerra per il bottino, per la vita e l'onore."
"Film senza fronzoli, dalle inquadrature sporche."
"Ovunque è diventato film di culto: e non a caso."
"Se il personaggio di Pistilli è quasi una caricatura, gli altri sono invece ineguagliabili per tensione emotiva e credibilità: grande Moschin nella sua imperturbabilità, fantastico Adorf nella sua irruenza." 
"Capolavoro di Di Leo che compone un noir antieroico pressoché perfetto e incalzante con evidenti echi melvilliani, dotato di un intreccio torbidissimo e tragico, violento e paranoico in cui si mescolano senso dell'onore, romanticismo e nefandezza."
"Un tuffo negli anni 70 in una Milano autunnale, quando il Duomo era ancora annerito."
"Più che per la sceneggiatura, questa pellicola va protetta come le specie in estinzione per il suo valore storico." 
"Unico appunto: la sparatoria in villa, girata con un po' di leggerezza."
"Cult Assoluto."

Una sorta di "auto-remake" 

Il regista nel 1978 diresse Diamanti sporchi di sangue, che è una riedizione di Milano calibro 9, ambientato però a Roma. La sceneggiatura originale si intitolava proprio Roma calibro 9; il titolo è stato cambiato in fase di lavorazione, dapprima in Diamanti rossi di sangue e quindi nel definitivo Diamanti sporchi di sangue. Questa mania di apportare lievi cambiamenti nei titoli, anche solo in una preposizione o in un articolo, è tipica degli editori di noir, che non riescono a comprendere il suo potenziale di confusione. Nel riadattamento romano la parte dell'equivalente di Ugo Piazza è interpretata da Claudio Cassinelli, mentre a Martin Balsam è toccato il ruolo di un boss molto simile a quello che conosciamo col volto di Lionel Stander. 

Il sequel 

Un sequel del film di Di Leo, Calibro 9, fu girato nel 2020. È stato diretto da Toni D'Angelo e prodotto da Gianluca Curti, il cui padre Ermanno era stato un co-produttore della prima pellicola. Marco Bocci interpreta Fernando Piazza, figlio del personaggio di Moschin, con Barbara Bouchet che riprende la parte di Nelly Bordon (ma come, non era stata uccisa con un pugno?). Tra gli attori c'è anche Michele Placido nella parte di Rocco Musco, oltre ad Alessio Boni e alla russa Kseniya Rappoport. La trama sembra una riedizione: il figlio di Ugo Piazza è sospettato di aver sottratto soldi alla mafia. La mia idea è sempre la stessa: Paganini non ripete. Che necessità c'era di fare un sequel?